AQM Vol. V - Parte Prima. Metallografia

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VOLUME QUINTO: Parte Prima: metallografia

I CRITERI DI SCELTA E DI TRATTAMENTO DEGLI ACCIAI DA COSTRUZIONE E DA UTENSILI

di Cibaldi dr. Cesare

I CRITERI DI SCELTA E DI TRATTAMENTO DEGLI ACCIAI DA COSTRUZIONE E DA UTENSILI

VOLUME QUINTO: Parte Prima: metallografia

Introduzione alla metallografia Esame visivo Macrografia

di Cibaldi dr. Cesare

cod. barre


Capitolo primo INTRODUZIONE ALLA METALLOGRAFIA studiati e ottimizzati per ogni esigenza. Oggi la metallografia è molto diffusa e, anche considerando la sola analisi strutturale, è diventata un indispensabile complemento della ricerca metallurgica, come dimostrano le seguenti osservazioni: • la metallografia strutturale può definirne lo stato fisico (incrudito, ricotto, temprato, cementato, ecc.) di un metallo o lega e quindi può completare le informazioni dell’analisi chimica, che può solo determinare la composizione media o quella di un singolo cristallo, ma nulla ci dice dell’aggregazione degli elementi; • le prove tecnologiche classiche (trazione, compressione, resilienza, piega, ecc.) danno preziose informazioni sulle proprietà dei metalli, che sono la logica conseguenza della loro intima struttura, valutabile direttamente tramite l’indagine metallografica.

PREMESSA La metallografia è la scienza che studia la morfologia cristallina dei metalli per meglio comprenderne le proprietà fisiche e tecnologiche, al fine di migliorare l’affidabilità e l’economia dei processi produttivi e del loro impiego. Si può affermare che la metallografia, nelle sue numerosissime applicazioni, sia il più efficace mezzo di ricerca e d’indagine a disposizione dell’industria metallurgica, metalmeccanica, elettronica e chimica, cioè sia un validissimo strumento della progettazione (vedi diagnostica dei difetti mirata alla validazione della progettazione) e del controllo della qualità (verifica della conformità dei prodotti alle prescrizioni, capitolati d’accettazione e specifiche tecniche). Il fondatore della metallografia fu il fisico, matematico e naturalista inglese Robert Hooke (1635÷1703) che, fra l’altro, enunciò la teoria dell’elasticità, definendo la legge della proporzionalità diretta tra forza applicata a un corpo elastico e la sua conseguente deformazione relativa. Tuttavia, il primo trattato di metallografia risale al 1671 ad opera di Wester John (1610÷1682) che pubblicò il libro: “Metallographia. (History of geology)” vol. 1 Metals. Nell’arco dei successivi tre secoli i più insigni metallografi furono Reamur, Sorby, Osmond, Le Chatelier, Gibbs, Austend. Essi misero a punto le moderne tecniche d’indagine metallografica, che ancor oggi trovano largo impiego. Ad Austend si deve lo studio e la prima stesura del diagramma d’equilibrio ferro-carbonio (1899). Per questo, in suo onore fu dato il nome austenite alla fase gamma, o soluzione solida del carbonio nel ferro cubico facce centrate. Nel ventesimo secolo la tecnologia s’è evoluta iperbolicamente e la metallografia ha raggiunto elevati traguardi, migliorando gli strumenti e le attrezzature, resi sempre più disponibili, affidabili e automatizzati. Nella microscopia ottica si è passati dal primo microscopio semplice a lente singola, ai moderni e sofisticati microscopi, corredati con obiettivi otticamente e cromaticamente corretti, grandangolari e planari, che consentono di osservare a fuoco campi assai larghi e raggiungono il massimo ingrandimento e potere risolutivo consentito dall’illuminazione con luce bianca. La microscopia elettronica ha dato ai metallografi possibilità d’indagine assolutamente inimmaginabili all’inizio del ventesimo secolo, rendendo accessibili a una vasta schiera di ricercatori i microscopi elettronici a scansione (SEM) e a trasmissione (TEM). La risoluzione e gli ingrandimenti già elevatissimi sono stati spinti addirittura a livello atomico con la realizzazione del microscopio elettronico a effetto tunnel. Per questa scoperta, ai due fisici Gerd Binnig (tedesco) e Heinrich Rohrer (svizzero) fu assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1986. È stato anche realizzato il microscopio metallografico a ultrasuoni che, sfruttando i principi dell’ecografia, consente di focalizzare e ottenere immagini ingrandite di piani che stanno all’interno delle provette. Nel settore della preparazione metallografica si è passati dalla polimentazione manuale su carte abrasive fisse a quella automatica computerizzata, su dischi metallici alveolari diamantati o panni impregnati di abrasivi specificatamente

Prima di descrivere sommariamente le varietà delle indagini che la metallografia consente e che saranno oggetto d’approfondimento nei capitoli successivi, è opportuno dare alcune definizioni. Ciò scaturisce dall’innata esigenza umana di classificare ogni argomento di studio, ma anche dalla necessità di poter comunicare con chiarezza le nostre idee agli altri. Si definisce metalloscopia l’insieme delle tecniche d’osservazione macro o microscopiche, i cui risultati non sono documentati attraverso fotografie, tabulati o grafici. Quando si documentano i risultati delle osservazioni si parla di metallografia. Poiché i ricercatori amano provare le loro ipotesi, difficilmente si limiteranno a descrivere i risultati delle loro indagini senza il supporto di una documentazione grafica, per cui il termine metalloscopia è caduto in disuso a favore della metallografia. Per questa ragione quegli strani personaggi di laboratorio che s’occupano di questa disciplina, ancora considerata con una certa diffidenza dai tecnici con scarse conoscenze metallurgiche, ormai si definiscono metallografi e non metalloscopisti. La metallografia propriamente detta è divisa in due grandi classi, sempre e soltanto per soddisfare l’insaziabile esigenza umana di schematizzare e classificare: • la macrografia, che s’occupa delle osservazioni e fotografie a basso ingrandimento (qualcuno afferma fino a 30 x o a riduzioni, minori di 1 x), mediante l’uso di lenti normali, mono o binoculari, semplici o autoilluminanti; • la micrografia, che s’occupa delle osservazioni a elevato ingrandimento (qualcuno dice maggiore di 30 x), sempre e soltanto con l’uso di un microscopio metallografico ottico o elettronico. La ragione del limite d’ingrandimento posto a 30 x per distinguere la macro dalla micrografia non è nota e mi meraviglia che non sia stato fissato un limite diverso, per esempio 33 ingrandimenti, visto il suo significato ieratico e cabalistico. Poiché fatta la regola è subito necessario infrangerla con le eccezioni, quando il metallografo osserva a 20÷25 ingrandimenti un preparato mediante il microscopio metallografico, compie senza alcun dubbio un’osservazione microscopica e non macroscopica, come si dovrebbe definire secondo la minuziosa classificazione e le definizioni quan1


titative sopra descritte. In realtà il confine tra le due tecniche non è tanto l’ingrandimento, quanto il fatto che sono oggettivamente diverse (anche se presentano molti aspetti analoghi) per i metodi d’indagine, compresa la preparazione dei saggi e delle provette e per gli scopi che si prefiggono, cioè per le informazioni e risultati che ci forniscono. La macrografia si prefigge, infatti, di rilevare le caratteristiche generali dei saggi o delle provette, quali l’aspetto superficiale, l’eventuale presenza di macro difetti, la fibratura, l’omogeneità e l’eterogeneità, la grossezza della grana, la presenza di dendritismo, la morfologia generale delle superfici di frattura, ecc., mentre la micrografia entra nei dettagli più fini quali la microstruttura, la grossezza dei grani o dei cristalli, la tessitura, la valutazione microinclusionale, la morfologia e misura degli strati superficiali cementati, o alterati, la morfologia microscopica delle fratture, ecc. In senso lato, la macrografia s’avvale di tutte le tecniche d’esame visivo, anche se non disdegna l’uso di strumenti tipicamente micrografici, come il microscopio stereoscopico e il microscopio elettronico a scansione.

d’osservazione soprattutto macroscopica, pur essendo tipicamente tecniche d’esame visivo, siano indispensabili per la gestione della metallografia e della diagnosi di difetto. In questo primo capitolo, saranno trattati rapidamente tutti i suddetti argomenti, rimandando ai successivi capitoli l’approfondimento e forse a future pubblicazioni la raccolta di documentazione macro e micrografica (atlanti) e di casi concreti di diagnosi di difetti (case histories).

La metallografia, macro o micrografica, può essere applicata a vari livelli di competenza e finalità: • il primo livello, che si addice agli operatori metallografi, chiamati a preparare saggi e provette e ad eseguire prove routinarie per le quali è richiesta la conoscenza delle attrezzature e delle tecniche metallografiche, ma non la competenza per l’interpretazione dei risultati, salvo il semplice paragone a standard o immagini di riferimento (per esempio la determinazione della grossezza del grano o la valutazione del grado inclusionale, la classificazione della grafite nelle ghise o della struttura a bande negli acciai formati a caldo); • il secondo livello si addice agli analisti metallografi che, oltre alle competenze del primo livello, devono possedere approfondite conoscenze metallurgiche per l’interpretazione delle macro e microstrutture e per il riconoscimento delle fasi, dalla genesi alla loro evoluzione; • il terzo livello si addice ai diagnosti di difetti metallurgici che, oltre alle competenze del secondo livello, devono possedere approfondite conoscenze di fisica, chimica, meccanica, metallurgia e delle tecnologie di fabbricazione e d’impiego dei più disparati prodotti metallici. Poiché questo libro ha l’ambizione di essere utile a chiunque si occupi di metallografia e, quindi, anche ai diagnosti di difetti metallurgici, ho ritenuto utile estendere il concetto di metallografia ben oltre quello della metallografia tradizionale o propriamente detta e quindi comprendere quattro grandi classi o argomenti di studio: • l’esame visivo; • la macrografia; • la micrografia; • la frattografia macro e microscopica. So bene che il primo non è propriamente un campo della metallografia, visto che appartiene alle prove non distruttive; tuttavia è strettamente collegato alla metallografia, tanto che non riesco a comprendere come quest’ultima potrebbe esistere senza la conoscenza delle corrette tecniche d’esame visivo. Pensate, per esempio, alla scelta dei saggi e delle loro sezioni per la preparazione delle provette, alla verifica della qualità dei prodotti e a quanto la capacità 2


ESAME VISIVO Probabilmente l’esame visivo, definito come esame ad occhio nudo, o con vari strumenti d’ingrandimento, senza cambiare, alterare o distruggere il materiale oggetto dell’osservazione, è il metodo più importante d’ispezione dei materiali, sebbene sia il meno descritto, compreso ed efficacemente usato fra le varie tecniche d’ispezione. L’esame visivo è utilissimo in ogni circostanza e in molte applicazioni metallografiche; in particolare per: • il controllo d’accettazione delle materie prime dei prodotti semilavorati e dei componenti usati nella fabbricazione dei prodotti metallici; • il controllo finale dei prodotti finiti; • la diagnosi dei difetti di prodotti nuovi o già usati.

Esame con ingrandimento Dopo l’esame di tutte le superfici dell’oggetto ad occhio nudo, si procede all’osservazione con ingrandimento. Per raggiungere lo scopo, esistono molte attrezzature di cui si accennerà più avanti. La migliore procedura consiglia di passare da una semplice lente d’ingrandimento fino al microscopio stereoscopico aumentando progressivamente l’ingrandimento. Se necessario si può ricorrere anche al microscopio elettronico a scansione per raggiungere il massimo ingrandimento possibile, con una visione quasi tridimensionale. Durante l’osservazione bisogna tener conto di tutte le peculiarità e le anormalità delle superfici in relazione al loro stato, pensando alla concentrazione di sforzi che l’acutezza e profondità di eventuali incisioni possono determinare. Bisogna annotare ogni tipo di colorazione e cercare di definirne le cause (riscaldamento, corrosione?).

L’esame visivo permette di raccogliere una miriade di informazioni utili sugli oggetti esaminati e non si limita semplicemente a vederli. Esiste una fondamentale differenza tra vedere e osservare un oggetto. Basta aprire gli occhi per vedere, se non si è ciechi, ma questo non è sufficiente per memorizzare l’idea e le correlazioni di ciò che si è visto, che invece è la finalità dell’osservazione. Osservare significa memorizzare le informazioni per poi usarle quando necessario. Anche nella professione medica l’attento esame visivo od osservazione del paziente risolve la maggior parte dei problemi, nonostante il medico disponga di sofisticati strumenti che lo aiutano nella diagnosi e nel trattamento delle malattie. L’attrezzatura specialistica è generalmente usata dal medico per confermare ciò che già aveva ipotizzato sulla base del semplice esame visivo. Per condurre un buon esame visivo bisogna conoscere le tecniche per svolgerlo correttamente. Ciò consente di raggiungere la massima conoscenza possibile dell’oggetto osservato. Non solo si devono scoprire i difetti, ma bisogna saperli valutare in termini d’accettazione o rifiuto. La conoscenza delle loro cause aiuta a comprenderli e a prevenirli. Si dovrebbe sapere a quale uso era destinato l’oggetto d’ispezione e come fu effettivamente usato, oppure ipotizzare come possa essere usato in modo scorretto. Si dovrebbe avere familiarità con i difetti che si possono normalmente osservare nei vari prodotti metallurgici, quali scaglie, ripiegature e delaminazioni nei prodotti formati a caldo o la corrosione, l’erosione e i danneggiamenti fisici delle strutture e dei componenti in esercizio.

Schizzi e immedesimazione Esistono due procedimenti che si sono dimostrati molto utili ed efficaci per l’esame visivo. Il primo consiste nel disegnare la parte esaminata, cercando di rappresentarla il meglio possibile. Quando si disegna minuziosamente l’immagine di qualche oggetto è necessario averla osservata bene e allora se ne colgono molte più caratteristiche di quanto non s’immagini. Per esempio, osservate il viso di una persona e allora guardatela di nuovo e cercate di memorizzare i dettagli. Guardate lo stesso viso e disegnatelo anche stilizzato. Non importa quanto siate abili nel disegno. Con sorpresa constaterete che nello schizzo potrete osservare molti più dettagli di quanti ne avevate memorizzato con la sola osservazione senza disegnare. L’altro procedimento sfrutta l’empatia, cioè la capacità di immedesimarsi nell’oggetto che si sta osservando e immaginare quale tipo di sforzo deve aver sopportato o quale reazione sia avvenuta, capace di averlo danneggiato più o meno intensamente fino all’avaria. Questo approccio permette d’immaginare e osservare gli oggetti da una diversa prospettiva; consente ai particolari di raccontare la loro storia; evita d’imporre la propria opinione e ci libera dai pregiudizi. PECULIARITÀ DA OSSERVARE Marcature d’identificazione Bisogna osservare ogni marcatura, perché può identificare il fabbricante, la data di fabbricazione, le dimensioni originali del materiale, le specifiche del materiale e anche la colata. Tutto ciò consente di rintracciare la composizione chimica e altre proprietà del materiale. Se non avete familiarità con le marcature d’identificazione, non presupponete che i particolari non siano marcati. Cercate d’imparare, chiedendo agli esperti o ai fabbricanti stessi, come si identificano i prodotti. Le figure 1.01 e 1.02 mostrano le marcature di una lamiera d’acciaio resistente all’usura e di una staffa d’alluminio pressofusa. La prima reca le seguenti iscrizioni: • DILLIDUR400V, che significa lamiera d’acciaio legato resistente all’usura, temprata in linea alla durezza ≥ 400 HB, proveniente da rinomata acciaieria francese; • 52008/1-52095 3, che sono il n° di colata e della bramma che fu laminata; • 277880, che indica il n° del lotto d’appartenenza della lamiera; • 8000-2500-10, che sono le dimensioni in mm della la-

TECNICHE D’ESAME VISIVO Esame ad occhio nudo Questo esame incomincia guardando l’oggetto ad occhio nudo. È la fase più difficile. Infatti, bisogna costringersi non solo a guardare, ma a osservare. Nel gioco del golf alcune persone ritrovano molte più palline perdute di altri. Queste persone cercano con metodo, osservando distintamente, piuttosto che perlustrare genericamente una vasta area. Essi camminano, si fermano e osservano, al contrario di chi continuamente si muove mentre cerca. È molto difficile vedere piccoli oggetti mentre si è in movimento. In marina la ricerca di navi o di aerei all’orizzonte segue una procedura particolare. Invece di muovere lentamente la testa per scrutare in modo continuo l’orizzonte, bisogna muoverla di pochi gradi e fermarsi. La ripetizione di queste sequenze di arresti e riprese fa sorprendentemente aumentare e non di poco le informazioni raccolte.

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viti fabbricate negli Stati Uniti d’America e loro significato. Durezza Marcature Resistenza a Norma o specifiRockwell d’identificatrazione Rm ca di riferimento zione MPa min. min. max. SAE grado 1 415 B 70 B 100 510 B 80 B 100 SAE grado 2 440 B 70 ASTM A307 415 B 69 B 100

miera (lunghezza 8000, larghezza 2500, spessore 10 mm).

SAE 3

670

\

\

SAE 5 ASTM A449

825 725

C 25 C 19

C 34 C 30

ASTM 31.1.53

725

C 18

C 30

ASTM A325

825

C 23

C 34

SAE grado 5.1

825

C 23

C 40

SAE grado 5.2

825

C 26

C 36

ASTM A354-BC

825

C 26

C 36

SAE grado 6

915

C 28

C 36

SAE 7

915

C 28

C 34

ASTM A354-BD SAE grado 8

1035

C 33

C 38

SAE 8.2

1035

C 35

C 38

ASTM A490

1035

C 32

C 38

Oltre SAE grado 8

1275

C 36

C 40

Specifica sottolineata. Resistente alla corrosione atmosferica

Varie

\

\

BB

Figura 1.01. Marcatura d’identificazione di una lamiera d’acciaio resistente all’usura. A 325

BC

Figura 1.02. Marcatura d’alluminio pressocolata.

• • • •

d’identificazione

di

una

staffa

La seconda reca le iscrizioni: 2A, 084, cioè il numero di lotto e colata; A236, ovvero il tipo di lega, che corrisponde alla AC46100 UNI EN 1706 (1999); il datario, in basso quasi al centro, che indica l’anno il mese e giorno della colata; il simbolo del fabbricante a destra, tagliato dalla cricca.

Tutte queste sono identificazioni ovvie. Ma esistono anche identificazioni segrete, che il fabbricante appone, ma non rivela. Per esempio, nell’industria delle funi tessili alcuni prodotti possiedono nel trefolo centrale una singola fibra, avvolta con gli altri fili, che rivela l’identità del fabbricante e anche il tipo di fune. È difficile distinguere questa fibra e la sua separazione e spianatura richiedono una certa esperienza. Oggi tutte le funi possiedono un’identificazione, che può essere un filo colorato, o di diametro diverso, o la configurazione dell’intreccio. Anche le marcature sulla testa delle viti sono un altro esempio delle informazioni che si possono ottenere sulle caratteristiche del prodotto e del fabbricante (tabella 1.01 e figura 1.03). Un altro tipico esempio di marcatura identificativa del fabbricante è quella obbligatoria per i tondi e vergella nervata per cemento armato, che sfrutta la sequenza di nervature ingrossate, alternate a un numero definito di nervature normali (figura 1.04).

A 490

A 490

In Italia, tale sequenza è depositata dal fabbricante pres-

Tabella 1.01. Marcature che si possono trovare sulle teste delle

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so il Ministero dei Lavori Pubblici per ottenere l’autorizzazione alla fabbricazione e vendita del prodotto. Sui tondi e vergella nervati di diametro maggiore a 6 mm, i cilindri di laminazione imprimono periodicamente il marchio, che può essere facilmente letto in cantiere dal Direttore Lavori, prima dell’uso, per accertarsi della conformità del prodotto ai requisiti di legge. Infatti, nella serie sono presenti due nervature ingrossate vicine che rappresentano il punto di partenza per la lettura del marchio, poi segue un numero definito di nervature normali prima della successiva ingrossata. Se tale numero è 4 significa che lo stabilimento che ha fabbricato il prodotto è ubicato in Italia, Slovenia o Malta. Il numero di nervature normali che segue, fino alla successiva nervatura ingrossata che chiude il marchio, indica il fabbricante.

di danneggiamento, deve cercare di stabilire se il cattivo uso possa aver causato il danneggiamento o se quest’ultimo sia avvenuto come conseguenza dell’approssimativa o incompetente manipolazione dei pezzi prelevati come campioni dopo un incidente e quindi possa essere interpretato erroneamente come causa dell’avaria. In figura 1.05 è illustrato il foro di soglia di un utensile di trivellazione dei pozzi di petrolio, rotto per un cattivo uso che ne ha consentito un urto violento, sufficiente per innescare una cricca. Se il particolare oggetto dell’osservazione è deformato, bisogna cercare di definire il tipo, la direzione e l’intensità del carico necessario per generare quel tipo di deformazione. Se le superfici sono colorate si possono consultare le tavole cromatiche, come quella di figura 1.06, per definire approssimativamente la temperatura raggiunta.

Figura 1.05. Danneggiamento del foro di soglia di un utensile di trivellazione dei pozzi di petrolio dovuto a cattivo uso.

Figura 1.03. Tipici simboli d’identificazione dei materiali e dei fabbricanti sulle teste delle viti. (a) ASTM A449 o SAE grado 5; (b) ASTM A 325; (c) ASTM A354 grado BD o SAE grado 8; (d) tipo d’acciaio inossidabile 18-8 (AISI 304).

Codice paese Codice stabilimento fabbricante (Italia, Slovenia, Malta) (per esempio Alfa Acciai Spa) (0) (4) (2 + 6) Inizio Direzione di lettura

0 4 2 6 Numero nervature normali tra quelle ispessite (in rosso)

Figura 1.06. Scala cromatica dei colori di riscaldamento e di rinvenimento di acciai non legati e basso legati.

Figura 1.04. Esempio di marcatura di vergella nervata per cemento armato tramite la sequenza delle nervature ingrossate, che identifica univocamente il paese di fabbricazione e il fabbricante (da Alfa Acciai Spa, Brescia).

Effetti del riscaldamento I difetti dei componenti e strutture d’acciaio sono spesso dovuti al riscaldamento, che spesso lascia eloquenti indicazioni, risultato di complessi fenomeni d’ossidazione del ferro e degli elementi di lega. A temperatura moderata, i particolari che possiedono una superficie sufficientemente pulita

Uso non corretto dei prodotti L’analista deve osservare ogni caratteristica che possa evidenziare un eventuale uso scorretto del prodotto. In caso 5


svantaggio di queste macchine fotografiche era la ridotta dimensione della pellicola, che richiedeva un discreto ingrandimento alla stampa della fotografia. Se l’ingrandimento era eccessivo, l’immagine si sgranava e si perdevano dettagli. Un altro svantaggio era il ritardo per lo sviluppo della pellicola, che non avveniva prima di aver scattato tutte le 24 o 36 pose, per evitare inutili sprechi. Un ulteriore ritardo derivava dallo sviluppo e la stampa delle fotografie variamente ingrandite, o per l’intelaiatura delle diapositive. Tuttavia la rapidità degli scatti, la versatilità, la portabilità e la varietà di accessori d’alta qualità e delle pellicole adatte per ogni situazione fecero di queste macchine le più usate e un’eccellente scelta per la maggior parte delle registrazioni dei risultati dell’esame visivo. Le macchine fotografiche tipo Polaroid avevano il vantaggio dello sviluppo immediato della fotografia. Questo permetteva di vedere subito i risultati senza aspettare l’accumulo delle immagini, lo sviluppo della pellicola e la stampa di tutte le immagini del rullino. Esistevano macchine di varie dimensioni, ma le più diffuse erano quelle formato 100x125 mm. Per la macrografia si usavano i formati 120x220 e 200x250mm. Inizialmente erano disponibili solo mono immagini in bianco e nero, ma poi arrivarono anche le fotografie a colori e i pacchi precaricati da 10 o 20 immagini, che fornivano anche il negativo, con alta e bassa sensibilità. I tipi con negativo fornivano un’immagine positiva immediata e il negativo che consentiva di riprodurre successivamente quante copie si desiderava della stessa fotografia. Le macchine fotografiche a soffietto producevano una lastra o una pellicola di grande dimensioni (100x125 mm, 125x175 mm e 200x250 mm). Perciò davano immagini d’eccellente qualità, con dovizia di dettagli. Spesso dovevano essere sostenute con trepiedi robusti. Le lastre o pellicole erano disponibili in bianco e nero e a colori. La stampa poteva essere molto ingrandita con scarsa perdita di risoluzione dei dettagli. Le macchine fotografiche per macrografia erano un tipo particolare di macchine a soffietto, corredate di un’ottica adatta per ingrandire le immagini e di soffietto per la focalizzazione. Queste macchine fotografiche erano usate con successo per la fotografia di particolari di piccole dimensioni. L’illuminazione per queste macchine era molto importante (vedi paragrafo dedicato alla fotografia delle macrografie). Ai più alti ingrandimenti, la distanza tra l’obiettivo e il soggetto è piccola e l’illuminazione d’adeguata intensità diventa un problema. Moltissime lastre o pellicole erano disponibili per queste macchine, incluse quelle in bianco e nero, a colori e polaroid per la fotografia istantanea.

Cinepresa Un grande progresso della gestione delle immagini si ebbe con l’avvento della cinematografia, che consentì di registrare anche il movimento degli oggetti mediante la sequenza di migliaia di fotogrammi. Registrando il movimento fu possibile fermarsi, ritornare indietro, avanzare lentamente e fermarsi al punto desiderato. La cinepresa poteva essere associata alla registrazione dei suoni che diventavano parte integrante del film. Il suono poteva essere quello reale, registrato durante le riprese o quello elaborato o aggiunto più tardi durante il montaggio del film, come nei documentari. Le più comuni cinecamere usavano pellicola da 8 o 16 mm, ma erano disponibili anche pellicole più piccole o più grandi. Benché le cinecamere fossero complesse e costose, erano disponibili cinecamere da 8 mm con relativo proiettore a prezzi accessibili. Le pellicole erano in bianco e nero e anche a colori. Le attuali videocamere digitali hanno totalmente sostituito le cineprese, che sono state rapidamente dismesse. Videoregistrazioni L’evoluzione della cinepresa fu la videocamera (figura 1.33) che permise di registrare le immagini sequenziali, prima su nastro magnetico (videocassette) e poi in digitale ad alta risoluzione. L’attrezzatura era quella usata nell’industria della televisione, ma solo nell’ultimo ventennio del secolo scorso diventò disponibile in forme portatili e a basso costo. Le registrazioni televisive producevano e producono immagini simili a quelle della cinematografia, con l’enorme vantaggio che si possono rivedere istantaneamente senza la necessità di sviluppare la pellicola. Possono essere visualizzate su ogni televisore standard o nello schermo della telecamera. La cassetta registrata poteva essere archiviata o riutilizzata per una nuova registrazione esattamente come oggi si può archiviare il file su memorie fisse (schede o chiavette) o sull’hard disk dei computer o esterni rimuovibili. Il principale inconveniente delle prime telecamere era che l’immagine non era nettamente definita così come nella cinematografia. Solo con l’avvento della televisione digitale ad alta risoluzione la qualità delle immagini ha raggiunto lo stesso livello o addirittura migliore di quello della cinematografia. Il progresso non è finito e consentirà d’ottenere immagini sempre migliori e con maggiore definizione tali da poter estrarre il singolo fotogramma d’eccellente fattura come la fotografia di un singolo scatto.

Illuminazione per la fotografia L’illuminazione per tutti i tipi di fotografia è molto importante. Le scelte sono molte, come la luce diurna, la luce artificiale, i riflettori, i flash e tutti i tipi specifici di luce ad alta intensità già descritti al paragrafo dedicato all’illuminazione. I tipi di luce richiesti dipendevano dal tipo di pellicola da esporre e anche in parte dalla macchina fotografica. Spesso si ricorreva all’uso di filtri per ottenere colori più verosimili. Oggi la fotografia digitale ha semplificato anche questo problema, consentendo la rielaborazione dei colori. Tuttavia una buona illuminazione, possibilmente simile a quella solare, dà in prima battuta un’immagine eccellente che non necessita di elaborate correzioni.

a) - 0,1 x circa b) - 0,3 x circa Figura 1.33. Esempi di telecamera portatili. a) Telecamera storica semiautomatica con registrazione su videocassetta a nastro; b) telecamera moderna digitale totalmente automatica.

ALTRE ATTREZZATURE PER L’ESAME VISIVO Esistono molti altri strumenti per l’esame visivo fra cui lo stereomicroscopio, gli specchi, gli endoscopi e i campioni di riferimento dello stato delle superfici. 18


microchirurgia.

Stereomicroscopio Lo stereomicroscopio (figure 1.34 e 1.35) è uno strumento molto importante e molto usato per l’esame visivo. Esso permette una visione tridimensionale, chiara e ben definita da 5 a 50 x e fino a 250 ingrandimenti, con l’uso di lente addizionale. Esistono molte varianti di questo strumento, che riguardano la combinazione delle lenti, l’opzione dello zoom e lo stativo. Le lenti possono essere parzialmente o totalmente intercambiabili. L’uso cui è destinato lo stereomicroscopio determina la scelta del tipo di strumento. Per uso generico si usano strumenti da 5 a 50 ingrandimenti. Lo stativo base (figura 1.34) è adatto solo per l’osservazione di piccoli oggetti. Per la maggior parte delle applicazioni, lo stativo a braccio estensibile (figura 1.35) è molto più versatile. Esistono anche bracci meccanici molto estesi, perfettamente bilanciati e con moltissimi gradi di libertà di rotazione e traslazione, come quelli usati nella microchirurgia, che consentono di allacciare lo strumento alla testa dell’operatore con gli occhi posizionati sugli oculari e di permetterne i movimenti della testa. Un braccio a lunga estensione concede allo stereoscopio di scorrere su quasi tutta la superficie di un oggetto di grandi dimensioni e all’operatore di soffermarsi per esaminare un’area specifica.

L’opzione con zoom è raccomandata, perché consente una variazione continua dell’ingrandimento, semplicemente ruotando una manopola, senza necessità di cambiare le lenti. Per esempio, l’ingrandimento può essere modificato progressivamente da 5 a 50 x. Così, le osservazioni generali possono essere condotte a 5 x e se si scopre qualcosa d’interessante che richiede maggiore dettaglio si può passare rapidamente a un più alto ingrandimento, fino a 50 x. Sono disponibili anche macchine fotografiche e videocamere da adattare agli stereomicroscopi. Tuttavia solo scattando contemporaneamente due fotografie, una per oculare, e osservandole appaiate, ciascuna con l’occhio giusto (fotografia destra con occhio destro), si mantiene la visione tridimensionale. Specchi Gli specchi sono strumenti essenziali per l’esame visivo. Sono disponibili in tutte le dimensioni e forme, con o senza luci incorporate. Possono essere montati su lunghe aste, con testa girevole e manovrata a distanza. Alcuni tipi di specchi fra i più semplici sono illustrati in figura 1.36. Gli specchi e gli endoscopi sono talvolta i soli strumenti per osservare aree altrimenti inaccessibili.

Figura 1.36. Specchietti per retro osservazione.

Endoscopi Gli endoscopi sono molto utili per l’osservazione di aree inaccessibili. I tipi rigidi sono tubi di vario diametro contenenti un sistema di lenti e d’illuminazione (figura 1.37).

Figura 1.34. Stereomicroscopio con stativo base e didascalie con le definizioni delle parti essenziali. Figura 1.37. Esempi di endoscopi industriali rigidi.

Figura 1.38. Esempi di endoscopi industriali flessibili: (a) fibroscopi; (b) endoscopio flessibile con telecamera e schermo.

Figura 1.35. Esempi di stereomicroscopi montati su stativi a braccio: (sinistra) stativo per metallografia; (destra) stativo per

Possono essere a lunghezza fissa o estensibili. La lun19


ghezza varia da 150 mm a 12 metri. Il diametro varia generalmente da 2 a 25 mm. L’apice dell’endoscopio (obiettivo) può osservare in linea retta (0°), inclinata in avanti (30°), ad angolo retto (90°), in modo retrogrado (110°), con campo normale (angolo d’apertura 90°) o panoramico (180°). Esistono endoscopi monoculari o binoculari, con oculari a focale fissa o aggiustabile all’occhio. Sono anche disponibili adattatori per macchina fotografica o videocamera, che può trasferire l’osservazione su uno schermo televisivo. Gli endoscopi possono incorporare un sistema d’illuminazione con lampade a incandescenza o alogene, alimentate a batteria o con trasformatore collegato alla rete elettrica. Il sistema ottico può ingrandire in modo fisso o variabile con zoom secondo la progettazione dell’obiettivo, la cui focale definisce la distanza dal soggetto messo a fuoco. Gli endoscopi sono eccellenti strumenti per esaminare le superfici interne di lunghi tubi, di fori profondi, di pozzi, di cilindri di motori endotermici a combustione, di parti interne di getti e altro ancora. Gli endoscopi a fibre ottiche flessibili (figura 1.38) sono molto simili a quelli rigidi, ma hanno il vantaggio di potersi deformare, anche con manovre esterne, e seguire percorsi molto tortuosi, come nel caso della chirurgia endocrina. La fibra ottica di questi endoscopi è costruita con migliaia di fibre di vetro perfettamente allineate con una lente obiettivo da un lato e una lente oculare dall’altro. Le lenti possono ingrandire, secondo necessità. Poiché la fibra ottica è flessibile, può serpeggiare lungo percorsi tortuosi e consente d’esaminare aree inaccessibili agli endoscopi rigidi. Gli endoscopi a fibra ottica sono normalmente disponibili con lunghezze variabili fino a 5 metri, ma non esistono teoricamente limiti alla loro lunghezza. Sono corredabili con numerosissimi accessori, incluse le fibre ottiche per osservazioni subacquee.

OSSERVAZIONE DELLE MATERIE PRIME E DEI PRODOTTI SEMILAVORATI Definizioni Quasi tutti i prodotti metallici fabbricati partono da materiali formati a caldo (fucinati, laminati o stampati) o da getti (prodotti ottenuti in fonderia per solidificazione diretta del metallo liquido in forme di terra, sabbia o metallo che danno al prodotto solidificato forma e dimensioni assai prossime a quelle del pezzo finito). Queste materie prime sono disponibili in una miriade di tipi e qualità. Per garantirne la conformità all’impiego, tra cliente e fornitore dovrebbero essere definiti, all’ordine o all’offerta, i capitolati e le specifiche tecniche dei prodotti e le procedure per il loro controllo d’accettazione, che dovrebbero ispirarsi a norme internazionali o nazionali esistenti (norme EN, ISO, UNI, UNI EN, UNI EN ISO) o a specificazioni di Enti universalmente riconosciuti, come l’American Society for Testing e Materials (ASTM). Ovviamente le norme e le specificazioni non sono cogenti e possono essere modificate dalle parti, secondo necessità. L’accordo raggiunto diventa la base del contratto e la guida per l’ispezione d’accettazione e quindi anche per l’esame visivo. I materiali formati a caldo sono prodotti primari fabbricati tramite deformazione plastica dei lingotti, come la fucinatura, la laminazione e lo stampaggio. Spesso lo stampaggio parte da prodotti già laminati. I getti, come si è detto, sono prodotti di forma definita ottenuti per solidificazione del metallo fuso in una forma che dà un oggetto solido, di dimensioni e forma molto prossime a quelle finali, utilizzabile dopo le opportune lavorazioni meccaniche di finitura. Materiali formati a caldo I prodotti d’acciaio più usati come materie prime per la fabbricazione dei prodotti finiti si possono suddividere in: • lingotti; • blumi, slebi e billette; • barre mercantili; • laminati piani; • prodotti strutturali; • nastri laminati a caldo; • fili; • prodotti tubulari, ferma restando la classificazione e designazione dei prodotti siderurgici della norma UNI EN 10079, cui si rimanda (vedi capitolo primo, volume secondo, parte prima).

Campioni di riferimento per la finitura superficiale Esistono campioni metallici con diverso grado di finitura superficiale usati come standard per la taratura dei rugosimetri, che possono essere usati quali riferimenti di confronto nell’esame visivo per stimare lo stato delle superfici di oggetti metallici variamente lavorati. Infatti, la valutazione della finitura superficiale è spesso lo scopo dell’esame visivo. Questi standard sono disponibili per diversi stati di finitura superficiale delle superfici lavorate, inclusi la tornitura, rettifica, lappatura, laminazione, profilatura, estrusione ed elettroerosione. Sono disponibili anche standard di confronto per la finitura superficiale di superfici grossolanamente o finemente sabbiate o di getti grezzi di colata. La figura 1.39 illustra un set di campioni con diversi stati di finitura e rugosità proposto da una nota industria americana costruttrice di rugosimetri.

Lingotti I lingotti sono prodotti primari d’acciaieria, ottenuti direttamente da colata dell’acciaio liquido in lingottiera (colata in fossa) o da colata continua. Le lingottiere possiedono sezione quadra, rettangolare, esagonale, ottagonale o poligonale con molti più lati. L’altezza dei lingotti è generalmente molto maggiore della dimensione trasversale. I lingotti possono pesare da 150 kg a 120 tonnellate o più. Sono quasi sempre riscaldati e lavorati a caldo per ottenere altri prodotti. Devono essere correttamente ispezionati e condizionati per eliminare i difetti superficiali in modo che non si trasferiscano al prodotto formato a caldo. In senso letterale i lingotti sono getti, fino al momento della formatura a caldo.

Figura 1.39. Esempio di campioni standard con diversi gradi di finitura superficiale.

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scoria, bolle di gas, frammenti di elettrodi o zone di durezza diversa (dure o tenere). Tutti possono essere osservati sulle superfici lavorate meccanicamente del fucinato. Le ripiegature avvengono quando protuberanze del metallo caldo sono piegate sulla superficie durante la fucinatura e non si risaldano completamente per la presenza di un eccessivo strato d’ossido (scaglia) sulle due superfici ripiegate. Questi difetti sono gli stessi già descritti per i prodotti laminati. Le paglie o filature sono gli stessi difetti già descritti per le materie prime formate a caldo. Appartengono a questi tipi di difetti anche le sovrapposizioni e la scaglia impressa. Le cricche si possono formare anche durante la tranciatura delle bave degli stampati. In tal caso sono diagonali e si formano se gli stampi di tranciatura hanno un gioco eccessivo o i taglienti sono eccessivamente usurati. Gli stampi progettati male possono produrre vari tipi di difetti, quali ripiegature e riprese, soprattutto quando il materiale non scorre correttamente nello stampo. Anche il trattamento termico dopo fucinatura può generare difetti quali cricche, surriscaldamento, decarburazione, o eccessiva ossidazione. Questi difetti non sono sempre visibili e possono sfuggire anche all’esame visivo più attento. La velocità di riscaldamento o di raffreddamento, come anche la temperatura e durata del riscaldamento, sono le principali cause dei difetti di trattamento termico. Le superfici delle cricche aperte si ossidano apprezzabilmente in presenza d’aria a temperatura superiore a 560 °C. Sotto questa temperatura, la superficie si ossida poco e il sottile film d’ossido è responsabile dei colori di rinvenimento, che si notano sulle superfici delle cricche aperte intenzionalmente per poterne studiare la morfologia. La tavola dei colori di riferimento, illustrata in figura 1.06, rivela approssimativamente la temperatura alla quale è stata esposta la cricca e può aiutare a comprendere in quale fase del processo di fabbricazione si sia aperta. Le grinze o corrugazioni si formano per ricalcatura e inglobamento di materiale, come nelle ripiegature (figura 1.66-f). Errori di fucinatura possono generare depressione su una o più superfici. Quando il metallo fluisce male nello stampo può non riempirlo completamente. Questi difetti si definiscono mancanza di materiale o riempimento incompleto (figura 1.66-g). Le bave e righe (figura 1.66-h) si formano per errori di fucinatura o stampaggio durante la formatura a caldo.

Difetti dei getti Come per i fucinati, esistono molti tipi di getti, classificabili secondo le caratteristiche del metallo fuso, dal tipo di forma e tecnica di colata. In termini di tonnellate, la colata in sabbia o terra è la più diffusa. Quanto segue si limiterà a descrivere sommariamente i difetti rilevabili con l’esame visivo dei getti d’acciaio colati in sabbia. Tuttavia molti difetti descritti sono rilevabili anche nei getti ottenuti con altri metodi di colata. Si consiglia il lettore interessato ad un approfondimento di consultare il capitolo ottavo del quarto volume. I difetti più comuni dei getti incluono: • porosità e bolle di gas occlusi; • cavità da ritiro e risucchi; • strappi e cricche a caldo e a freddo; • difetti superficiali generati da contaminazione; • getti incompleti; • difetti superficiali vari; • getti deformati o malformati. Porosità e bolle L’esame visivo evidenzia le soffiature, o bolle di gas intrappolato, solo se affioranti. Questi difetti possono assumere la forma di grosse cavità tondeggianti (figura 1.67), porosità a punta di spillo (figura 1.68) o protuberanze o bollosità (blistering) che corrispondono a una soffiatura subcorticale (figura 1.69). Possono essere generati da numerose cause, incluse le forme di terra troppo umida e/o insufficientemente permeabili, la procedura di fusione, d’elaborazione del bagno fuso e di colata inadeguata.

Figura 1.67. Soffiature o porosità affioranti in un getto d’acciaio.

Le spazzole usate per pulire e lubrificare gli stampi possono lasciare frammenti di setole metalliche che possono essere impresse sulla superficie durante lo stampaggio dei particolari. Questo accade anche per ogni materiale non metallico lasciato sullo stampo, sulle attrezzature di fucinatura, o sui punzoni e mazze. Nella fucinatura con stampi chiusi, la sfalsatura delle parti superiore e inferiore dello stampato indica un errato assetto dello stampo. Spesso i fabbricanti identificano con punzonature registrate i propri prodotti fucinati e stampati. L’esame visivo del prodotto evidenzia i marchi esistenti e consente d’identificare il costruttore. Spesso i marchi sono simili a quelli già descritti e osservabili sulle teste dei bulloni (figura 1.03). La Drop Forging Association ha pubblicato e tiene aggiornato un catalogo dei marchi delle più note industrie americane di fucinatura e stampaggio.

Figura 1.68. Punte di spillo in un getto d’acciaio generate da ec-

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cessiva umidità della terra.

Figura 1.71. Superficie di un getto d’acciaio con strappo a caldo.

Difetti superficiali generati da contaminazione I difetti superficiali dei getti sono numerosi e sono per esempio: inclusioni, scorie, vetrificazioni, aderenze, cedimenti, essudazioni e perdite di metallo, tacconi o sfoglie. Le inclusioni sono materiali estranei, generalmente non metallici, intrappolati nel getto, come granuli di sabbia, sporcizia o altro. Quelle superficiali, se non troppo profonde, possono essere asportate tramite molatura. Le scorie sono inclusioni superficiali di scoria che generalmente flotta sul metallo liquido nella siviera (figura 1.72).

Figura 1.69. Bolle in un getto d’acciaio dovute a stampaggio troppo duro della terra della forma con eccessivo tenore d’umidità.

Cavità da ritiro e risucchi Sono depressioni in una parete del getto, che spesso assumono un aspetto frastagliato o dendritico. Sono dovute alla contrazione del metallo durante la solidificazione, non adeguatamente alimentata dal liquido per errata progettazione del getto o inadeguata procedura di colata (figura 1.70).

Figura 1.72. Esempio di inclusione di scoria in un getto d’acciaio.

Le vetrificazioni si manifestano quando la sabbia della forma o dell’anima fonde a contatto col metallo fuso. In tal caso la superficie del getto mostra un aspetto grossolanamente vetroso. Le aderenze si formano quando parte della forma è intrappolata nella superficie del getto. I cedimenti, le essudazioni e le perdite di metallo si manifestano quando la sabbia della forma si muove per insufficiente pressione di formatura, generando protuberanze, escrescenze o perdite di metallo dal getto (figura 1.73). I tacconi o le sfoglie si formano quando la sabbia della forma è erosa per l’eccessiva turbolenza del metallo liquido durante la colata. Così sulla superficie del getto si formano protuberanze formate da una miscela di metallo solidificato e sabbia (figura 1.74).

Figura 1.70. Cavità da ritiro o risucchi in getti d’acciaio visibili: (a) sulla superficie; (b) su sezione macrografica a cuore.

Strappi e cricche a caldo e a freddo Questi difetti sono cricche o lacerazioni che possono o no arrivare in superficie. Gli strappi a caldo (figura 1.71) sono generalmente più aperti e derivano dalla contrazione impedita durante la solidificazione. Generalmente le loro superfici sono ossidate, colorate e spesso decarburate. Le cricche a caldo sono generate dalle sollecitazioni di trazione dovute al ritiro dopo solidificazione e durante il raffreddamento. Sono generalmente cricche più strette degli strappi a caldo e possono essere colorate, ma non sono decarburate. Anche il trattamento termico del getto può produrre cricche che sono simili alle cricche a caldo. Le cricche a freddo sono dovute alle sollecitazioni di manipolazione dopo raffreddamento e possiedono superfici brillanti, non ossidate e mai decarburate.

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• • • • • •

rapporti scritti, gli schemi, le fotografie fatte sulla scena. Quanto segue è una lista di alcuni dati operativi che dovrebbero essere raccolti: • specifiche dei materiali; • condizioni operative di progetto; • durata in servizio; • temperatura e pressione di progetto e in esercizio; • tipi di carichi statici e dinamici; • condizioni corrosive e d’usura; • carichi ciclici; • prove, controlli e manutenzione; • ogni evento straordinario. L’esame non è completo senza la buona e accurata conservazione delle registrazioni, per cui è utile un computer portatile dove memorizzare e conservare le immagini digitali registrate e tracciare eventuali schemi o disegni in scala o prospettici. Anche un registratore tascabile è talvolta conveniente per evitare la scrittura di appunti, spesso non agevole.

punta metallica per incidere; spazzola; carta abrasiva; stetoscopio; vetri di sicurezza; matite o pennarelli colorati, meglio se vetrografici. Bisogna sempre portare con sé i dispositivi di protezione individuale (DPI) e, se si opera in altezza su ponteggi o passerelle, anche le attrezzature di protezione anticaduta più idonee. Uno stereomicroscopio, sebbene non sia normalmente compreso nel kit d’ispezione in campo, darebbe la capacità d’esaminare a più alto ingrandimento. Un secondo kit dovrebbe contenere la macchina fotografica digitale e tutto l’equipaggiamento necessario per la macro fotografia. Inoltre bisognerebbe considerare anche la videocamera per registrare le immagini e i suoni, per migliorare la narrazione. Prima del controllo in campo è bene chiedere a chi conosce i luoghi, quali siano le condizioni ambientali, d’illuminazione, d’accesso, di disponibilità d’elettricità, d’assistenza locale, per preparare tutto ciò che potrà essere utile per l’ispezione. DIAGNOSI DEI DIFETTI La diagnosi dei difetti metallurgici è diventata nel tempo sempre più importante, perché alcuni difetti o danneggiamenti sono costosissimi; non solo comportano perdite cospicue di attrezzature costose, ma anche l’interruzione della produzione, che può costare migliaia di euro ogni ora nelle installazioni ad alta produttività. Perciò il costo della diagnosi per determinare le cause dei difetti o danneggiamenti è ben giustificato. Le informazioni ottenute possono essere usate per prevenire ulteriori costose avarie. Si possono anche usare per stabilire chi abbia sbagliato e forse ottenere dal responsabile un risarcimento. Una grande enfasi alla diagnosi di difetto è stata data dall’avvento della legislazione sulla responsabilità civile per danno da prodotto difettoso. I giornali raccontano ogni tanto dei risarcimenti milionari alle vittime di prodotti difettosi.

Prelievo e preparazione dei campioni Tenuto conto che durante o dopo l’esame visivo, nella maggioranza dei casi si preleveranno campioni per le prove di laboratorio, è buona cosa pianificare il tutto per tempo. Si dovrebbero definire tutti i particolari da cui prelevare i saggi e le dimensioni di questi ultimi. Bisognerebbe conoscere la disponibilità in loco dell’attrezzatura per i prelievi e dell’eventuale assistenza. In alcuni casi necessitano apposite attrezzature per il taglio, come il cannello da ossitaglio, o per la movimentazione e manipolazione degli oggetti. Se è disponibile l’energia elettrica sufficientemente vicino, è sicuramente utile avere un cavo da 30 metri almeno e una lampada di sufficiente potenza per illuminare adeguatamente l’area di prelievo. Per il prelievo dei campioni di piccole dimensioni, sono generalmente utili un seghetto a mano, una smerigliatrice angolare con dischi da taglio, un trapano con punte per forare. Se l’oggetto non può essere tagliato, bisognerebbe disporre del kit per gli esami metallografici per replica, utile per indagare sulle aree significative, come l’origine di una frattura.

Informazioni di base La diagnosi dei difetti è come un’indagine poliziesca ma su oggetti inanimati. La prima fase è la raccolta dei dati, talvolta nota come informazione di base. Questa include ogni informazione disponibile relativa a cosa sia avvenuto di importante fino e soprattutto poco prima del danneggiamento. Le informazioni sono classificabili in due categorie: • i pettegolezzi; • le informazioni che riguardano fatti oggettivi. Le prime descrivono uno scenario degli eventi come lo ricordano i testimoni oculari. Ogni informazione di questo tipo dovrebbe essere valutata con molta cura, poiché spesso è prevenuta. È stato dimostrato che vari testimoni dello stesso evento raccontano storie assai diverse del fatto cui hanno assistito. I testimoni tendono ad arricchire l’evento e spesso sono propensi a raccontare ciò che vorremmo sentirci dire. Agendo in tal modo pensano di proteggere sé stessi e i propri errori dal biasimo. Le seconde, sono molto migliori e mirano a raccogliere dati dettagliati che riguardano fatti oggettivi come la data e il tempo del danneggiamento, le condizioni atmosferiche, i

Esame in sito È sempre consigliabile esaminare il prodotto danneggiato e il sito dove s’è manifestato il danneggiamento non appena possibile dopo l’evento. Sfortunatamente, nella maggior parte dei casi, passano giorni, settimane o mesi e alcune volte anche anni prima che un serio esame visivo sia svolto. In tal caso è molto importante definire che cosa sia accaduto ai particolari e al sito dopo il danneggiamento. Per esempio è importante conoscere dove e come sono stati immagazzinati i particolari danneggiati. Infatti, ogni particolare metallico rotto o danneggiato, abbandonato agli elementi atmosferici, può essere drasticamente alterato e possono essere cancellati, totalmente o parzialmente, gli indizi delle cause del danneggiamento. L’esame in sito dovrebbe partire con l’osservazione generale dello scenario, compresi i dintorni. Si verifica se sia possibile un’interazione con l’ambiente che abbia favorito il danneggiamento. Bisogna stabilire se il danneggiamento sia avvenuto in un’area circoscritta, dove potrebbero essersi accumulati vari tipi di prodotti di corrosione o essere avvenuto un surriscaldamento. Bisognerebbe stabilire se la macro e microstruttura siano o no conformi a quelle di proget46


to o abbiano subito significative alterazioni. Bisogna porre domande per verificare quali siano la temperatura e la pressione d’esercizio e annotare le condizioni al contorno che potevano esistere al tempo dell’incidente. Bisogna stabilire se siano intervenute condizioni anomale durante l’esercizio. Se possibile, è molto utile l’esame di altre unità o particolari simili nuovi, o che abbiano lavorato ma non siano danneggiati. È necessario osservare attentamente le strutture o i particolari accoppiati con quello danneggiato per verificare se mostrino segni d’interazione.

Esame della frattura in sito Dopo l’esame generale, quello della frattura è il più significativo. Spesso è eseguito in laboratorio dove si possono sfruttare tutti gli strumenti più idonei, tuttavia alcuni analisti ritengono che si possa e si debba eseguire in campo. In ogni caso bisognerebbe porre la massima attenzione per individuare l’origine o le origini della frattura. Se la frattura è grande, si dovrebbero prelevare campioni da inviare al laboratorio che ne contengono l’origine. Esiste un’interessante tecnica di mappatura della frattura che può essere usata sui particolari o strutture di grandi dimensioni, rotti e severamente deformati. Essa consiste nel ritagliare grossi fogli di carta fissati ai frammenti del particolare, lungo il profilo delle fratture e di disegnare con pennarello ogni caratteristica particolare come le saldature o le incisioni. Ogni mappa di carta così ottenuta è poi posizionata su un particolare sano di analoghe dimensioni e forma di quello rotto. Questa composizione permetterà di mostrare tutto il profilo della frattura, delle saldature e delle incisioni come si sono evolute per deformazione con riferimento alla forma del prodotto originale. Il tutto può essere schematizzato, fotografato e trasferito su un modello in scala (figura 1.116).

Come procedere nella diagnosi di difetto La diagnosi di difetto incomincia con l’esame visivo, che non è solo la prima fase, ma è anche la più importante. Si devono esaminare visivamente tutte le superfici dei particolari oggetto della diagnosi. Iniziare con l’esame a occhio nudo e poi aumentare l’ingrandimento usando lenti o visori. Se necessario aumentare ancora l’ingrandimento, dapprima con lo stereomicroscopio e poi col microscopio elettronico a scansione. Bisogna trovare un logico motivo per ogni anomalia osservata, quali incisioni, deformazioni, abrasioni e colorazioni. Osservare, fotografare e/o annotare ogni marchio d’identificazione o targhette col nome del fabbricante e il modo con cui sono state realizzate (pitturazione, punzonatura, stampaggio o colata). Tali indicazioni possono essere un simbolo, come il marchio di fabbrica o i numeri di colata che identificano un particolare lotto di metallo. Si dovrebbero leggere le istruzioni d’uso delle macchine, attrezzature o impianti di cui fanno parte i componenti danneggiati, e porre particolare attenzione agli avvertimenti e alle limitazioni, che se disattesi possono essere la prima causa del danneggiamento. Bisogna cercare le evidenze di un eventuale uso scorretto e cercare di stabilire se sia avvenuto prima o dopo il danneggiamento. Immedesimatevi nel particolare e immaginate come possa aver agito o reagito. Si è deformato, indicando un sovraccarico, o si è rotto? Quale tipo di carico può aver generato la deformazione? La frattura è duttile o fragile? La fragilità dipende dalle caratteristiche del materiale, dalle condizioni di carico triassiale o d’impulso o dalla geometria che concentra gli sforzi? Esiste qualche evidenza di corrosione, ossidazione o colorazione? La temperatura, alta o bassa, può aver giocato un ruolo importante sul danneggiamento del particolare? La temperatura raggiunta in esercizio può essere stimata tramite le caratteristiche della scaglia d’ossido o dalla colorazione della superficie (colori di rinvenimento)? Con una piccola lima dolce piatta prelevata da un set di varia durezza, si può misurare con accuratezza la durezza della superficie dei pezzi nei punti caratteristici. La lima più dure prende, mentre quella più tenera scivola. Se è presente corrosione, bisogna stabilire se sia generale o localizzata, uniforme o selettiva, circoscritta in un’area di contatto con altri metalli o possieda particolari caratteristiche che indichino lo scorrimento di un fluido ad alta velocità di flusso (erosione, cavitazione), o se abbia lasciato prodotti di corrosione caratteristici o di strano aspetto. In tal caso è una buona idea prelevare i prodotti di corrosione da un’area specifica e conservarli per le successive analisi di laboratorio, evitando di mescolare i prelievi eseguiti in aree esterne e interne, come nelle tubazioni corrose da entrambi i lati e soprattutto non contaminarli con particelle di sporco, grassi, pitture, materiali di rivestimento e frammenti di scaglia.

Figura 1.116. Particolari di una tubazione rotta (a), mappati con fogli di carta (b) e trasferiti su un modello di tubo in cartone (c).

L’attenta osservazione della superficie di frattura consente di leggerne la storia cioè se si sia generata in una singola fase o in fasi multiple e successive, se l’aspetto è di un solo tipo o cambia caratteristiche con la propagazione, se il punto o i punti d’origine rivelino la causa dell’innesco e la direzione delle forze che l’hanno generata. Spesso una frattura inizia con un meccanismo e si propaga con un’altro. L’area d’innesco può essere larga abbastanza da essere facilmente osservata ad occhio nudo, o straordinariamente piccola, tanto da sfuggire a qualsiasi osservazione, per quanto accurata. Di solito è più importante conoscere il meccanismo d’innesco che quello di propagazione della frattura, sebbene siano entrambi importanti. Alcune fratture evidenziano linee di propagazione a forma di freccia (chevron) che indicano il punto o i punti d’origine (figura 1.117).

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scenza dei processi metallurgici, poiché la macrostruttura dipende dalla solidificazione, dalle procedure di formatura a caldo o a freddo subite dal prodotto e dalle tecniche di saldatura, se impiegate. Possono esistere pronunciate differenze nella macrostruttura per fattori quali i metodi di colata, la forma e dimensioni del lingotto e la composizione chimica del metallo, che possono alterare significativamente il processo di solidificazione. Inoltre, le tecniche di fabbricazione dei lingotti diverse dalle tradizionali, come la colata continua, la colata per centrifugazione, la rifusione sotto elettroscoria, o la pressatura isostatica, producono importanti differenze nei lingotti allo stato grezzo di colata. Esistono anche molte lavorazioni meccaniche cui possono essere sottoposti i prodotti metallici e ognuna esercita un diverso effetto sul materiale lavorato. Tutto quanto sopra influenza l’interpretazione dei risultati delle prove. Nessun metallo può essere considerato completamente omogeneo, dal punto di vista macro e microscopico. Il grado d’eterogeneità può variare molto in funzione della natura del metallo, dei processi di fabbricazione e del costo concesso per la produzione di un determinato oggetto. Fortunatamente, il normale grado d’eterogeneità non è un serio problema nell’uso dei materiali commerciali, se la loro intensità è contenuta entro limiti ragionevoli o delle tolleranze prescritte. Alcuni difetti, come i residui dei coni di ritiro e i fiocchi da idrogeno, sono generalmente considerati gravi. Altre imperfezioni, come le porosità, le segregazioni e le inclusioni, possono o no essere difetti secondo l’impatto che hanno sulle successive lavorazioni e la natura e applicazione del prodotto metallico che le contiene. L’esame macrografico con attacco di una superficie o sezione appositamente preparata è probabilmente la prova che dà il maggior numero di informazioni ed è validamente usato per il controllo qualità, la diagnosi di difetti e la ricerca. Le caratteristiche osservate con l’esame dopo attacco macrografico sono talvolta fraintese per l’uso di definizioni improprie e del gergo, proliferati da quando la macrografia è stata introdotta in moltissimi laboratori metallografici ed è diventata una delle prove più diffuse del controllo qualità metallurgico. In seguito si descriverà in dettaglio l’esame macrografico dopo attacco e saranno illustrati numerosi esempi delle caratteristiche rilevabili soprattutto sui prodotti siderurgici (leghe ferrose), ma anche di alcuni metalli diversi.

MACROGRAFIA Come si è detto in premessa, la macrografia o la macroscopia s’occupa delle osservazioni a ingrandimenti inferiori a 30 x o a riduzioni (minori di 1 x), mediante l’uso di lenti binoculari, lenti normali o auto illuminanti e anche di fotoriproduzioni con appositi sistemi fotografici. Essa si prefigge di rilevare le caratteristiche generali degli oggetti osservati (saggi o provette), quali l’aspetto superficiale, l’eventuale presenza di macro difetti, la fibratura, l’omogeneità ed eterogeneità, la grossezza della grana o del grano, il dendritismo, la morfologia generale delle superfici di frattura, ecc. e s’avvale di tutte le tecniche d’esame visivo, anche se non disdegna l’uso di strumenti tipicamente micrografici, come il microscopio stereoscopico e il microscopio elettronico a scansione. Le tecniche d’esame macroscopico sono frequentemente impiegate nei controlli qualità routinari, nella diagnosi di difetto e nella ricerca. Queste tecniche generalmente precedono gli esami microscopici; comunque, nei controlli qualità sono spesso usate come uniche prove per l’accettazione o il rifiuto. Per i controlli qualità sono spesso usate le prove non distruttive di cui è disponibile una grande varietà. La principale procedura coinvolge il semplice esame visivo che, come s’è detto in premessa, può essere considerato a tutti gli effetti una tecnica d’esame macrografico, soprattutto quando mira a rilevare le caratteristiche superficiali e i difetti delle strutture o dei componenti metallici e l’aspetto delle superfici di fratture avvenute spontaneamente o generate intenzionalmente per lo studio delle caratteristiche cristalline e/o del comportamento del metallo. Sono anche usate prove distruttive di ogni genere e tipo, dalle prove meccaniche, incluse le prove di fatica e usura, alla metallografia, che include la micro e la macrografia propriamente detta. Quest’ultima include le procedure di prova distruttive quali: • l’attacco macrografico; • l’impronta per contatto; • la frattura intenzionale; • il trasudamento di piombo. L’uso appropriato di queste procedure è molto utile per il controllo e per il miglioramento dei processi di fabbricazione dei metalli, delle strutture e componenti metallici. La loro produzione è normalmente condotta in accordo con norme o specificazioni che definiscono anche i metodi per il controllo della conformità, fra i quali gli esami macroscopici o macrografici sono spesso usati per evidenziare eventuali non conformità (imperfezioni e/o difetti). Nella diagnosi dei difetti, spesso non si conoscono le procedure di fabbricazione e l’analista usa tutte le tecniche disponibili per la diagnosi (vedi capitolo primo del quarto volume) per giudicare la qualità dei prodotti esaminati, per definire le problematiche che necessitano di ulteriori studi e, in alcuni casi, per definire come il prodotto fu fabbricato. Nella ricerca, le fasi dei processi sotto studio sono frequentemente cambiate e l’esame macrografico è spesso usato per mostrare le differenze ottenute. Così, per ogni tipo di studio, gli specifici dettagli dell’esame macroscopico possono variare secondo necessità e l’operatore deve avere una completa conoscenza del metodo di prova, delle sue applicazioni e dell’interpretazione dei risultati. L’interpretazione dei risultati degli esami macrografici richiede buone basi metallurgiche e un’approfondita cono-

VISUALIZZAZIONE E VALUTAZIONE DI MACROSTRUTTURE TRAMITE ATTACCO Tutte le ispezioni e valutazioni della qualità dei prodotti metallici dovrebbero incominciare in scala macroscopica, usando prove progettate per osservare tutto o la maggior parte dell’oggetto sotto ispezione, in modo semplice e affidabile. Dopo la valutazione macroscopica, possono essere valutate anche le caratteristiche microscopiche. Le imperfezioni dei metalli possono essere studiate macroscopicamente sulla superficie di frattura o in provette opportunamente prelevate, lavorate, levigate e attaccate macrograficamente. L’attacco macrografico delle superfici di provette orientate trasversalmente o longitudinalmente rispetto alla direzione della stiratura avvenuta durante la formatura a caldo dei prodotti primari (laminati, fucinati e stampati), permette al metallurgista esperto di valutare ra53


pidamente ed efficacemente la qualità di un’area anche molto grande. I primi attacchi macrografici risalgono al diciottesimo secolo ed erano effettuati con soluzioni acide piuttosto deboli a temperatura ambiente. Reaumur (1683÷1757) usò attacchi macrografici per distinguere i tipi d’acciaio e nel proprio lavoro schematizzò l’aspetto dei pezzi d’acciaio attaccati macrograficamente. Rinmann incoraggiò questa tecnica nel proprio libro “On the Etching of Iron and Steel”, scritto intorno al 1700. Sorby, nel suo classico lavoro pubblicato nel 1887: “On the Microscopical Struttura of Iron and Steel”, mostrò le “impronte naturali”, che otteneva dalla stampa per contatto diretto tra carta e provette d’acciaio inchiostrate dopo debole attacco in soluzioni acquose concentrate d’acido nitrico. Le prime ricette delle soluzioni d’attacco furono riassunte da Berglund in un testo ormai classico.

Tabella 1.07. Reattivi d’attacco macrografico degli acciai e delle ghise. Composizione Materiale Note

Attacco macrografico con soluzioni acide La prima procedura d’attacco profondo di superfici levigate di provette d’acciaio fu sviluppata da Waring e Hofamman, che usarono una soluzione formata da nove parti d’acido cloridrico, tre parti d’acido solforico e una parte d’acqua. Questo lavoro suscitò moltissime critiche da parte dei metallurgisti del tempo, ostili all’uso di acidi forti per la valutazione della qualità dei componenti altamente sollecitati descritti dagli autori. Tuttavia numerosi studi successivi rivelarono il grande valore di questi tipi d’attacco. Dopo il lavoro di Waring e Hofamman, furono eseguiti molti studi su miscele acide forti per l’attacco profondo degli acciai. Fu stabilito che il più valido reagente per l’attacco profondo era una soluzione d’acido cloridrico concentrato (HCl 36,5÷38,0 %) diluito 1:1 con acqua e riscaldata a 70÷80°C, nella quale s’immergevano i campioni per 15÷45 minuti. L’attacco si poteva condurre su una superficie allo stato grezzo di taglio con una sega, ma la migliore risoluzione si otteneva dalla superfici rettificate o levigate. Gill e Johnstin scoprirono che l’attacco con acido cloridrico era più selettivo di quello condotto con soluzioni diluite 1:1 d’acido nitrico o d’acido solforico. Un’importante caratteristica di questo reagente è che non modifica sensibilmente la sua composizione per l’evaporazione durante l’uso e quindi garantisce una discreta ripetibilità e riproducibilità. Per la messa a punto di un reattivo d’attacco macrografico bisognerebbe tener presente che il reattivo d’attacco dovrebbe: • produrre buoni risultati generali, dovrebbe essere applicabile alla maggioranza dei materiali e dovrebbe rivelare una grande varietà di caratteristiche strutturali e imperfezioni o difetti; • possedere una composizione semplice, economica e facilmente preparabile; • essere stabile nel tempo, per un corretto immagazzinamento e per evitare singolarità durante l’uso; • garantire un’adeguata sicurezza durante l’uso e non produrre odori fastidiosi o vapori pericolosi.

1 parte HCl +1 parte H2O

Fe Maggior parte degli acciai

38 ml HCl + 12 ml H2SO4 + 50 ml H2O

Fe Maggior parte degli acciai

9 parti HCl + 3 parti H2SO4 + 1 parte H2O

Fe Maggior parte degli acciai

1 parti HCl + 3 parti H2SO4 + 6 parti H2O

Fe Maggior parte degli acciai

1 parte H2SO4 + 6 parti HCl + 2 parti H2O

Fe Maggior parte degli acciai

1 parte HCl + 2 parti H2SO4 + 3 parti H2O

Fe Maggior parte degli acciai

500 ml HCl + 70 ml H2SO4 + 180 ml H2O

Fe Maggior parte degli acciai

10 g iodio + 20 g KI + 100 Fe Maggior parte ml H2O degli acciai 10 ml soluzione 10 N ioFe dio + 100 ml etanolo Maggior parte degli acciai 25 ml HNO3 + 75 ml H2O Fe Maggior parte degli acciai

10÷15 ml HNO3 + 85÷90 ml H2O o etanolo

Fe Maggior parte degli acciai

10 g ammonio persolfato + Fe Maggior parte 90 ml H2O degli acciai

La grande popolarità dell’acido cloridrico diluito 1:1 con acqua è dovuta al fatto che soddisfa tutti questi requisiti meglio di altri reattivi d’attacco, per esempio quelli elencati nella tabella 1.07, usati per l’attacco macrografico degli acciai e delle ghise.

50 ml HCl + 25 ml HNO3 + 25 ml H2O

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Acciai legati

Reattivo sviluppato da Uddeholm. Si usa a 70÷80 °C. Immergere la provetta per 10÷60 minuti. Reattivo d’uso generale per superfici finite di taglio o levigate. È il reattivo più usato per l’attacco macrografico profondo. Attacco del Watertown Arsenal. Si usa a 70÷80 °C. Immergere la provetta per 10÷60 minuti. Dà un buon contrasto. Si può usare anche per gli acciai inossidabili. Si usa su superfici finite di taglio o levigate. Reattivo di Waring e Hofamman. Si usa a 70÷75 °C per 2 h. Si usa su superfici finite di taglio o levigate. Reattivo di Sauver. Si usa a 70÷75 °C per 30 minuti o più. Si usa su superfici finite di taglio o levigate. Miscela solfo-cloridrica. Si usa a 80 °C immergendo le provette per il tempo necessario a sviluppare l’immagine. Miscela solfo-cloridrica. Si usa a 70÷75 °C per 30 minuti o più. Si usa su superfici finite di taglio o levigate. Rettivo di Keshian. Si usa a 70÷75 °C per 1÷2 h. Si usa su superfici finite di taglio o levigate. Reattivo di Reinhardt. Usato negli studi preliminari della macrostruttura. Reattivo di Osmond. Usato negli studi preliminari della macrostruttura. Reattivo di Sauver. Si usa a temperatura ambiente. Buono per le grandi sezioni che non possono essere immerse. Usare su superfici rettificate o levigate. Acido nitrico. Si usa a temperatura ambiente. Reattivo di carattere generale. Usare su superfici rettificate o levigate. Reattivo di Rawdon. Si usa a temperatura ambiente per immersione o strofinando la superficie polimentata della provetta Buon reattivo di carattere generale. Acqua regia diluita. Immergere la provetta per


i.

j.

k.

l.

m.

n.

drizzatura o la piega delle billette se il centro della sezione è ancora liquido o a temperatura superiore a 1340 °C. Cricche da presa (pinch-roll cracks): cricche che si possono formare per eccessiva pressione dei cilindri che fanno scorrere il lingotto, quando il suo centro è ancora liquido o si trova a temperatura superiore a 1340 °C. Cricche longitudinali al centro delle facce (lungitudinal midface cracks): cricche superficiali che si osservano sulle superfici degli slebi. Cricche longitudinali di spigolo (lungitudinal corner cracks): cricche longitudinali presso gli spigoli di billette e blumi dovute alla composizione o alle procedure di colata. Cricche trasversali al centro delle facce o di spigolo (midface and corner cracks): cricche superficiali e trasversali all’asse del lingotto, che si formano alla base delle linee d’oscillazione. Dipendono soprattutto dalla composizione dell’acciaio. Cricche a stella superficiali (surface star cracks): cricche superficiali raggruppate a forma di stella. Sono generalmente poco profonde e dovute a segregazione di rame proveniente dalle pareti della lingottiera. Cricche a stella centrali (central star cracks): cricche centrali raggruppate a forma di stella. Sono generalmente collegate alla porosità centrale del lingotto.

Figura 1.126. Sezione trasversale di un piccolo lingotto d’acciaio, attaccata a freddo con una soluzione d’acido nitrico 10 %.

In superficie c’è un sottile strato di struttura a grani estremamente fini ed equiassici. Da questo guscio esterno si sviluppano lunghi grani colonnari che si protendono verso il centro, dove ancora si evidenzia una regione con grano equiassico. La figura 1.127 mostra la macrostruttura di un lingotto centrifugato d’alluminio 99,8 % dopo una leggera riduzione. C’è una sottile banda di grano fine lungo il bordo, considerevolmente più spessa sul lato destro della fotografia. Poi si osservano grani grossolani colonnari che dalla corteccia arrivano fino al centro della sezione.

Caratteristiche macroscopiche di acciai rifusi sotto elettroscoria (ESR) a. Lentiggini (freckles): macchie d’attacco circolari o quasi circolari, di colore scuro dovute a segregazione locale di carburi o di elementi carburigeni. b. Segregazione radiale (radial segregation): macchie d’attacco scure, allungate, orientate radialmente o spiraliformi, generalmente localizzate a metà raggio. Queste aree sono generalmente ricche di carburi. c. Impronte anulari (ring pattern): anelli concentrici (uno o più) che si attaccano in modo diverso rispetto alla matrice per minor concentrazione degli elementi di lega. d. Macchie chiare (white spots): macchie globulari chiare dovute a carenza di carburi o di elementi carburigeni. APPLICAZIONI DELL’ATTACCO MACROGRAFICO Le varie imperfezioni o difetti sopra descritti possono essere rivelati dall’attacco macrografico acido a caldo. Poiché la sezione trasversale dà generalmente più informazioni di quella longitudinale, la procedura generale prevede il taglio di un disco trasversale, cioè perpendicolare all’asse del lingotto o della direzione di massima stiratura dei prodotti formati a caldo. Per mantenere il peso entro limiti ragionevoli e facilitare la manipolazione, lo spessore del disco non dovrebbe superare i 25 mm. La sezione longitudinale è usata per studiare l’orientamento della cristallizzazione nei lingotti e la fibratura, la segregazione e lo stato inclusionale nei prodotti formati a caldo.

Figura 1.127. Macrostruttura di un lingotto d’alluminio 99,8 % centrifugato e sottoposto a leggera deformazione plastica (Attacco nitrico, cloridrico, fluoridrico diluito. 3 x circa.)

Strutture di solidificazione La struttura che deriva dalla solidificazione può essere chiaramente evidenziata dall’attacco macrografico. La figura 1.126 mostra la macrostruttura della sezione trasversale di un piccolo lingotto d’acciaio da laboratorio, attaccata con acido nitrico 10 %.

Una struttura con grano colonnare grosso può impartire utili proprietà al materiale che è destinato a operare ad alta temperatura. Considerevoli sforzi sono stati fatti per far crescere grani colonnari nelle leghe resistenti ad alta temperatura usate nelle turbine. La figura 1.128 mostra la macrostruttura di una lega eutettica di nichel solidificata direzionalmente in vari prodotti. 62


Figura 1.128. Macrostruttura di una lega eutettica di nichel solidificata direzionalmente in vari prodotti. Attacco acido cloridrico concentrato + 1 % acqua ossigenata. 0,4 x circa.

Macrostruttura di billette e blumi Generalmente le acciaierie eseguono attacchi macrografici a caldo in acido su sezioni trasversali localizzate all’inizio, fine e talvolta anche al centro di billette o blumi laminati da lingotti opportunamente scelti dalla colata e corrispondenti al primo, medio e ultimo. Se anche una sola provetta rivela una struttura inaccettabile, la billetta o il blumo è segregato finché la non conformità non è rimossa. La figura 1.129 mostra spigoli difettosi, una ripiegatura, molte piccole paglie e segregazione a lentiggine in una provetta d’acciaio per cuscinetti attaccata macrograficamente in acido caldo. I difetti degli spigoli furono identificati come segregazioni di inclusioni di silicati di Mn, Fe e Al.

Figura 1.130. Macrostruttura di una provetta prelevata da billetta laminata d’acciaio 42CrMo4. Segregazione centrale che mantiene l’impronta del lingotto originale. Presenza di alcune cavità (punti scuri) dovute all’asportazione delle inclusioni. Attacco HCl 1:1 caldo. 0,4 x circa.

L’attacco acido a caldo della provetta d’acciaio 42CrMo4 prelevata da billetta laminata (figura 1.131) ha evidenziato la presenza di numerose soffiature e una marcata segregazione centrale che mantiene l’impronta del lingotto originale.

Figura 1.129. Macrostruttura di una provetta d’acciaio per cuscinetti attaccata macrograficamente in acido caldo. Si osservano difetti presso gli spigoli, una ripiegatura (in alto a destra), molte piccole paglie lungo le facce e una segregazione a lentiggine diffusa. Attacco HCl 1:1 caldo. 0,4 x circa.

Figura 1.131. Macrostruttura di una provetta prelevata da billetta laminata d’acciaio 42CrMo4. Porosità e marcata segregazione centrale con impronta del lingotto originale. Attacco HCl 1:1 caldo. 0,4 x circa.

La figura 1.130 mostra l’impronta del lingotto e alcune cavità dovute all’asportazione di inclusioni in una provetta prelevata da una billetta laminata d’acciaio legato.

La figura 1.132 mostra la microstruttura vicino al centro della provetta di figura 1.131 (sezione longitudinale simmetrica). Il centro della provetta è grossolano ed evidenzia un cono di ritiro secondario associato alla segregazione.

63


l’impronta di destra appare molto più chiara perché i solfuri contengono molto cromo.

minuti in una soluzione acquosa 5 % di potassio ferricianuro e poi asciugata con carta assorbente appoggiata sulla faccia fotosensibile. Infine, la carta fotografica era appoggiata per circa un minuto sulla superficie della provetta d’acciaio rivestita con i prodotti del precedente attacco. Infine la carta fotografica era staccata, lavata, fissata, rilavata e asciugata. Le aree segregate si sarebbero viste di colore blu. Canfield dichiarò che la segregazione era probabilmente dovuta al fosforo, sebbene non l’abbia mai provato. Un altro metodo d’impronta del fosforo fu sviluppato da Niessner e fu descritto da Feigl, Enos e Kehl. In questo caso si usavano due soluzioni, una d’imbibizione e l’altra di sviluppo. Niessner e Feigl proposero che la carta da filtro fosse imbevuta con una soluzione di ammonio molibdato e acido nitrico, senza peraltro definire le concentrazioni. Enos, riferendosi al lavoro di Niessner e Feigl, dichiarò che questa soluzione doveva contenere 5 g d’ammonio molibdato sciolti in 100 ml d’acqua fredda e 35 ml d’acido nitrico. L’eccesso di soluzione era asportata e la carta era appoggiata sulla superficie della provetta polimentata. Dopo un tempo di contatto di 3÷5 minuti, in funzione del contenuto di fosforo, la carta era rimossa e immersa in una soluzione di sviluppo. Secondo Niessner e Feigl, questa soluzione era preparata con 50 ml di soluzione satura di cloruro stannoso, SnC12, 50 ml d’acido cloridrico concentrato e 100 ml d’acqua. Enos e Kehl proposero una soluzione formata da 5 g di cloruro stannoso sciolti in 50 ml d’acido cloridrico concentrato e diluita con 100 ml d’acqua. La carta era immersa in questa soluzione per 3÷4 minuti per sciogliere ogni sale di ferro e tutti gli ossidi ridotti di molibdeno che erano stati assorbiti dalla carta. Inizialmente, l’impronta avrebbe dovuto apparire gialla e dopo circa 45 secondi si sarebbe colorata di blu dovunque fosse presente il fosforo. Poiché la carta da filtro è attaccata dalla soluzione di SnCl2 fortemente acida, un pizzico di allume (solfato d’alluminio) era aggiunto alla soluzione di sviluppo per indurire la carta. Dopo lo sviluppo, la carta era lavata in acqua corrente per rimuovere l’eccesso d’acido e infine essiccata. G.F. Vander Voort ha recentemente provato questo metodo, usando tutte le miscele possibili ma non è riuscito ad ottenere alcuna impronta. Con la procedura descritta da Enos e Kehl, ottenne un colore giallo, ma non blu come dichiarato dagli autori. Aumentando il contenuto di SnCl2 otteneva un forte colore blu, ma l’impronta era piena di macchie e priva d’ogni informazione utile. Anche il metodo di Canfield è stato recentemente provato, ma ancora senza alcun risultato utile. L’impronta del fosforo è raramente efficacie soprattutto se eseguita oggi, tanto che ci si pone l’interrogativo se la distribuzione del fosforo possa realmente essere evidenziata dai metodi per impronta. Poiché generalmente lo zolfo e il fosforo segregano nello stesso modo, la segregazione può essere chiaramente evidenziata dalla semplice ed efficace impronta dello zolfo. In acciai con bassissimo contenuto di zolfo, un’impronta del fosforo potrebbe essere utile.

Impronta degli ossidi Una tecnica per rilevare la distribuzione delle inclusioni di ossidi contenenti ferro fu sviluppata da Niessner. Nella sua memoria egli affermò che un valore minimo di ferro deve essere presente negli ossidi per ottenere un risultato, ma la quantità soglia non fu determinata. Il metodo originale era il seguente: una carta preparata con un sottile strato di gelatina era immersa per circa cinque minuti in una soluzione d’acido cloridrico. La parte fotosensibile era grossolanamente asciugata e compressa sulla superficie polimentata della provetta d’acciaio per circa 5 secondi. Poi la carta era rimossa e immersa in una soluzione acquosa di potassio ferrocianuro (20 g/l di K4Fe(CN)6), che sviluppa l’immagine. Si può usare anche il potassio ferricianuro, ma l’immagine che si ottiene è decisamente meno intensa. L’impronta col potassio ferrocianuro evidenzia un colore blu chiaro in tutta l’area di contatto. Punti blu scuro sono presenti nelle posizioni dove esistevano ossidi che contengono ferro. Dienbauer modificò il metodo aggiungendo 15 g di sodio cloruro da sciogliere nella soluzione d’acido cloridrico e usando una carta fotografica al posto della carta con gelatina. Questi cambiamenti danno generalmente immagini più nitide. È stato dimostrato che i solfuri e gli ossidi che contengono ferro sono evidenziati sull’impronta ottenuta con questa procedura. Grubitsch modificò il metodo dell’impronta agli ossidi di Niessner usando un film di cellophane al posto della carta alla gelatina. Secondo quanto affermava l’autore, questo permetteva d’eliminare completamente il problema delle bolle d’aria, migliorando la nitidezza dell’immagine, e permettendo di rilevare anche le inclusioni più piccole. Il metodo di Grubitsch prevede d’immergere per pochi minuti in acqua un film di cellophane spesso 0,025 mm. Poi essiccare il film e infine distribuire sulla sua superficie alcune gocce di soluzione acquosa 20 % di etilchinolina. Dopo circa un minuto, la soluzione è asportata tramite leggera strofinatura. Il film così preparato è appoggiato sulla superficie polimentata della provetta e poi trattato con una soluzione costituita da volumi uguali di soluzioni acquose di potassio ferrocianuro 1,2 % e acido cloridrico 0,25 %. Dopo 2÷2½ minuti, la soluzione d’attacco è risciacquata e il film rimosso e sviluppato in una soluzione acquosa di potassio ferrocianuro 2,5 % e infine l’immagine sul film è ossidata in una soluzione d’acqua ossigenata 3 % e asciugata. Impronta del fosforo Oltre ai reattivi d’attacco specifici per rivelare la segregazione del fosforo, sono stati sviluppati numerosi metodi d’impronta del fosforo. Canfield sviluppò il primo metodo d’impronta per evidenziare la segregazione del fosforo. Secondo la sua procedura, una provetta con superficie rettificata era immersa in una soluzione di 5 g di nichel nitrato, Ni(NO3)2, più 1,5 g cloruro rameico, CuCl2, sciolti in 12 ml d’acqua calda, 6 g di cloruro ferrico, FeCl3, e 150 ml metanolo. Potevano essere aggiunti anche alcuni ml d’acido nitrico. Dopo 1,5÷3 minuti incominciava a formarsi uno strato superficiale colorato. Il colore poteva variare in un ampio spettro, dal bruno pallido a rosso porpora. La segregazione appariva come linee o punti chiari. Questo risultato poteva essere trasferito su carta fotografica, preventivamente immersa per molti

Impronta del piombo e prova d’essudazione Il piombo, che si aggiunge agli acciai per migliorarne la lavorabilità, richiede una particolare attenzione durante la fabbricazione dell’acciaio per garantirne una distribuzione uniforme. Data l’elevata tendenza alla segregazione e sedimentazione del piombo, perché è praticamente insolubile nel ferro e possiede un peso specifico quasi doppio, l’esame macroscopico è fondamentale per il controllo qualità. Tre tecniche sono disponibili per evidenziare la distribuzione 78


del piombo: l’attacco macrografico, l’impronta del piombo e la prova d’essudazione. Quest’ultima tecnica è frequentemente definita anche prova di traspirazione del piombo ed è la più usata per la sua semplicità. Bardgett e Lismer svilupparono un attacco elettrolitico che rivelava la segregazione del piombo. Secondo questo metodo, la provetta è pulita e attaccata elettroliticamente in una soluzione d’ammonio acetato, che si può preparare con una delle seguenti ricette: • soluzione A: sciogliere 50 g d’ammonio acetato in acqua distillata; • soluzione B: diluire 75 ml d’acido acetico glaciale in 900 ml d’acqua e aggiungere ammoniaca finché la soluzione diventa alcalina. Una delle due soluzioni era versata in un recipiente d’acciaio inossidabile collegato al polo positivo di un generatore di corrente continua 6 Volt. La sezione trasversale della billetta era piazzata sul fondo del recipiente con la superficie rettificata verso l’alto. Un filo di platino avvolto ad anello era sospeso a circa ¼ dell’altezza del recipiente, affacciato alla superficie della provetta e collegato al polo negativo del generatore di corrente. L’anello di filo di platino era mosso in tondo sopra la superficie per 30÷60 secondi. La posizione delle segregazioni di piombo era evidenziata da macchie brune dai contorni aguzzi. Anche i metodi d’impronta del piombo possono essere usati per rivelare la distribuzione del piombo, sebbene talvolta non diano l’esito desiderato. Volk usò carta con film di gelatina immersa in acido acetico concentrato e poi compressa sulla superficie rettificata della provetta per circa 1 minuto. Poi rimoveva la carta e l’immergeva in acqua saturata con acido solfidrico per circa 2÷3 minuti. La posizione del piombo era identificata da punti bruni di piombo solfuro. Northcott e McLean usarono un metodo d’impronta del piombo sviluppato dalla società Ledloy Ltd, che prevedeva l’uso di tre soluzioni: • soluzione per l’impronta: 25 g d’acido tartarico + 100 g d’ammonio acetato in 250 ml acqua; saturazione della soluzione con acido solfidrico; • soluzione di sviluppo: acqua saturata con acido solfidrico; • soluzione sbiancante: soluzione acquosa d’ammonio persolfato 10 %, o soluzione satura d’acido tartarico, saturata con acido solfidrico. La superficie della provetta era dapprima attaccata con una soluzione d’acido nitrico diluito 1:1, lavata ed essiccata. Poi la carta con gelatina era immersa nella soluzione per l’impronta e allora posta sulla superficie della provetta con la gelatina a contatto. Il dorso della carta era tenuto umido con la soluzione per l’impronta. Dopo 2÷3 minuti, la carta era rimossa e immersa nella soluzione di sviluppo. Si osservava così una superficie macchiata di nero per la presenza di solfuri di ferro e di piombo. Immergendo la carta nella soluzione sbiancante buona parte delle macchie scure erano rimosse. Il tempo d’immersione dipendeva dal grado d’attenuazione gradito. Successivamente l’impronta era lavata nella soluzione di sviluppo per contrastare l’evanescenza. L’impronta era infine lavata in acqua, risciacquata in acqua corrente ed essiccata. Bardgett e Lismer svilupparono un metodo elettrografico d’impronta del piombo usando soda caustica come soluzione per l’impronta e una soluzione di sodio solfuro come sviluppo. Tuttavia, più tardi trovarono che era migliore un

metodo suggerito loro da Wragge, che usava una carta con gelatina imbevuta di una soluzione 10 % d’ammonio acetato. L’eccesso di soluzione era sgocciolato e la carta era posata, gelatina verso l’alto, sopra due strati di carta assorbente preventivamente imbevuti nella stessa soluzione e con interposto un sottile foglio d’alluminio collegato al polo negativo di un generatore di corrente continua. La superficie della provetta era collegata al polo positivo del generatore e compressa contro la superficie con la gelatina. Si poteva impiegare una provetta con superficie rettificata grossolanamente, ma i risultati erano migliori se la provetta era polimentata. Si applicava una tensione di 0,3 V/cm2 per circa 2 minuti. Interrotta la corrente, si rimuoveva la carta e la si immergeva in una soluzione acquosa d’ammonio acetato 5 % per 30 secondi. Una piccola quantità d’acqua satura d’acido tartarico era aggiunta alla soluzione d’ammonio acetato. Infine, la carta era lavata e immersa in una soluzione debole d’acido solfidrico, finché i dettagli dell’impronta erano evidenziati adeguatamente. La soluzione d’acido solfidrico doveva essere conservata abbastanza lontano da quella d’ammonio acetato per evitarne la contaminazione. Il problema delle macchie dovute al ferro usando soluzioni d’ammonio acetato poteva essere eliminato usando soluzioni acide diluite, come suggerito da Wragge. In questo metodo si faceva uso di una carta appositamente progettata e costituita da carta da filtro a grana fine indurita, o una carta bianca con superficie rugosa su cui si stendeva le gelatina. Con il metodo di Wragge attuale si può rilevare la distribuzione del piombo nei materiali ferrosi e non ferrosi. Per entrambi i metalli, la superficie dovrebbe essere rettificata e macro attaccata. La carta per l’impronta è immersa in una soluzione acquosa NaOH 5 % per circa 2 minuti, poi leggermente asciugata tra carte assorbenti e infine posata sulla superficie della provetta. Le bolle d’aria devono essere completamente rimosse. Un tempo di contatto di circa 2 minuti è adeguato per i metalli ferrosi e non ferrosi. La carta è poi rimossa e sviluppata per pochi secondi in una soluzione acquosa di sodio solfuro 5 %, preparata di recente. Le impronte ottenute da provette d’acciaio dovrebbero essere lavate per 10÷15 minuti prima dell’essicazione. Per le leghe di rame, si possono rimuovere le deboli macchie bruno scuro dall’impronta dopo lo sviluppo, immergendo la carta con l’impronta per circa 15 secondi in una soluzione acquosa di potassio cianuro 10 %. Infine l’impronta può essere lavata ed essiccata. La figura 1.169 mostra un esempio di distribuzione del piombo (punti scuri) in un acciaio automatico legato al piombo, evidenziata usando il metodo dell’impronta di Wragge. La distribuzione eterogenea di numerosi punti scuri dimostra che il piombo non è distribuito omogeneamente.

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metallografico è necessario centrare correttamente il fascio di luce, tramite regolazione della lampada. A tal scopo si consiglia la seguente procedura. Usare l’obiettivo 200 x e proiettare il raggio luminoso su un cartoncino bianco. Allontanare il tavolino su cui è posto il cartoncino e regolare il diaframma di campo e il diaframma d’apertura (detto anche condensatore) fino ad ottenere un cerchio illuminato di circa 1÷1,5 cm. Oscurare l’ambiente per poter osservare bene il cerchio illuminato. Agire sulle viti di regolazione della posizione della lampada fino a ottenere un campo uniformemente illuminato.

Per ottenere i migliori risultati ed eliminare il più possibile l’influenza delle vibrazioni, che possono dare un’immagine mossa (inconveniente che si accentua soprattutto ad alti ingrandimenti), è opportuno non superare tempi d’esposizione superiori a ½ secondo, cosa sempre possibile regolando l’intensità luminosa della lampada. Analisi d’immagine per la metallografia quantitativa L’avvento di telecamere ad alta risoluzione e di computer sempre più potenti e ad elevatissima memoria ha consentito una straordinaria evoluzione dell’analisi d’immagine (figura 1.198), che unita a programmi d’uso assai semplice e molto affidabili ha permesso l’automazione di alcuni esami metallografici routinari, quali: • la determinazione della profondità di decarburazione totale e parziale, con memorizzazione della posizione nella provetta conformemente alla norma ASTM E1077; • la determinazione dell’area e forma (rotondità) di ciascun nodulo di grafite presente nel campo visivo e confronto con immagini standard memorizzate (ASTM A247) o con soglie definite dall’operatore anche a livello statistico. La presenza del tavolino motorizzato consente di esplorare tutti i campi fino all’esaurimento dell’intera area della provetta; • la determinazione dello spessore di strati superficiali (secondo ASTM E487), come rivestimenti galvanici, spessori d’ossido, strati di vernice, ecc., eseguita automaticamente in più posizioni della superficie della provetta, con risultati forniti in tabulati; • la determinazione della percentuale delle fasi presenti (secondo ASTM E562) che sono riconosciute come aree di contrasto uniforme. I risultati, accumulati dall’osservazione di diversi campi visivi, sono indicati tramite sovrapposizioni colorate che possono essere visualizzate simultaneamente per mostrare più fasi nello stesso campo visivo. La memorizzazione dei risultati dell’analisi microstrutturale di ciascun campo consente anche un’analisi rapida dell’anisotropia, delle intercette e del conteggio degli elementi strutturali d’interesse; • la determinazione della grossezza del grano tramite analisi automatica, obiettiva e ripetibile dell’area media, dell’intercetta, secondo le norme e le tecniche d’analisi selezionate (per esempio ASTM E930, ASTM E112, ASTM E1382 e ASTM E1181). È possibile ottenere la media di più campi visivi; • la determinazione del grado inclusionale tramite confronto tra i valori ottenuti nel singolo campo visivo o tra la media di più campi e una galleria di immagini tipo (per esempio UNI 3542-80 metodo K).

Messa a fuoco Questa operazione è importante soprattutto quando si desidera osservare e fotografare immagini ad alto ingrandimenti, perché è scarsissima la profondità di campo ed è più difficile una perfetta messa a fuoco di tutta l’immagine ripresa nella fotografia. Tutti i microscopi metallografici moderni dispongono ormai di visione binoculare. Pertanto la prima operazione da fare è la regolazione degli oculari per la messa a fuoco dell’immagine su entrambi gli occhi. A tal scopo si consiglia di: 1. inserire il filtro verde per migliorare la sensibilità visiva; 2. inserire una provetta sul tavolino senza focalizzare, ma per ottenere una debole risposta luminosa; 3. mettere a fuoco il reticolo grafico o luminoso dell’oculare che lo contiene, agendo sulla ghiera che regola la focale dell’oculare. Questa operazione è ottimizzata con luce debole. Nel caso il sistema contenga un esposimetro automatico che proietta il reticolo luminoso su entrambi gli oculari, è possibile regolarli entrambi secondo le proprie ametropie oculari, ruotando le ghiere di focalizzazione di entrambi gli oculari. In tal caso l’operazione di regolazione degli oculari finisce qui. Se il microscopio non dispone di tale sistema, allora è necessario proseguire come segue: 4. aprire al massimo il diaframma d’apertura; 5. regolare il diaframma di campo fino al limite del reticolo dell’inquadratura. Ciò elimina ogni luce parassita; 6. mettere a fuoco il campo d’osservazione della provetta guardando nel solo oculare già regolato. Questa operazione è buona con luce d’intensità normale ed è necessaria quando il reticolo esiste in un solo oculare; 7. osservare con l’altro occhio attraverso il secondo oculare e regolarlo fino ad avere una perfetta focalizzazione dell’immagine. Terminata la regolazione degli oculari è possibile incominciare l’osservazione dei preparati e fotografare. A tal scopo si prosegue come segue: 8. osservando con entrambi gli occhi mettere perfettamente a fuoco l’immagine, regolando l’altezza del tavolino; 9. chiudere quanto basta il diaframma d’apertura (condensatore) per migliorare il contrasto e la profondità di campo; 10. focalizzare l’immagine sullo schermo del computer e memorizzare le immagini. Esposizione Dopo la corretta messa a fuoco e regolazione dei diaframmi del microscopio si scatta la fotografia con un tempo d’esposizione ormai regolato automaticamente dagli esposimetri ad alta sensibilità incorporati nella fotocamera del sistema fotografico. 93


Didatticamente questo strumento è molto utile poiché, se applicato al microscopio corredato con sistema a telecamera, consente agli allievi di vedere in diretta, o in un film precedentemente memorizzato, e all’insegnante di commentare un intero processo durante la sua evoluzione. Dopo opportuna preparazione consente di vedere dal vivo le trasformazioni di una lega alle temperature d’equilibrio, cioè di dimostrare praticamente il suo diagramma di stato, con ovvie approssimazioni sulla temperatura, oppure di studiare le trasformazioni in condizioni di non equilibrio, relative ai diagrammi TTT o CCT, quali la tempra bainitica o la tempra martensitica negli acciai. Il tavolino riscaldante permette soltanto osservazioni in luce riflessa e può essere montato soltanto su microscopi dritti, con tavolino girevole. La camera che contiene la provetta può essere collegata a un sistema a vuoto o a flusso di gas e si trova alloggiata s’una calotta sferica ancorata con magneti permanenti. Con questo sistema la superficie della provetta nel tavolino riscaldante può essere orientata rapidamente e facilmente in modo ortogonale all’asse ottico. La provetta metallografica è generalmente un cilindretto Ø 6 mm con foro assiale di Ø un poco più grande di quello della ceramica della termocoppia su cui va montata (3 mm circa). Ciò permette il costante contatto tra provetta e giunto caldo della termocoppia e una corretta misura della temperatura. Le lamine riscaldanti (generalmente di tantalio o di altro metallo refrattario) che circondano la provetta dovrebbero essere tagliate più larghe possibile, in funzione della temperatura da raggiungere, compatibilmente con la potenza dell’alimentatore, per consentirne una ragionevole durata.

Figura 1.198. Esempio di sistema per l’analisi d’immagine: applicativo Leica Q550MW.

Il tavolino riscaldante per esami microstrutturali a caldo Osservando a temperatura ambiente le superfici delle provette metallografiche opportunamente preparate si raccolgono preziose informazioni sul materiale e sullo stato metallurgico dell’oggetto in esame, ma soltanto indizi sulla sua storia termica o sul processo di fabbricazione (solidificazione, deformazioni plastiche, trasformazioni in fase solida, sinterizzazione e coalescenza, ricristallizzazione, ecc.). Infatti, a molte domande il metallografo può generalmente rispondere con ipotesi di probabili meccanismi che possono aver condotto alle strutture osservate, senza averne mai la certezza, salvo quando riesce a riprodurli in laboratorio. Ciò richiede generalmente un gran numero di prove sistematiche, programmate per valutare l’influenza dei numerosi parametri in gioco. Per questa ragione la microscopia ad alta temperatura diventa un validissimo e ulteriore strumento d’indagine. Con il tavolino riscaldante (figura 1.199), che può portare la provetta fino alla temperatura di 1400 °C senza ossidarla, perché protetta da una corrente d’argon o dal vuoto, è possibile seguirne l’evoluzione metallografica al riscaldamento e al raffreddamento; per esempio si può osservare la ricristallizzazione di un metallo, oppure valutarne la temperatura di fusione od osservare l’evolvere della fusione di un filo incandescente; fondere sottovuoto opportuni campioni in crogioli inerti o reattivi, sinterizzare le polveri in atmosfera neutra o reattiva, cioè in corrente di opportuni gas o miscele di gas tecnici, sempre osservando il processo al microscopio durante tutta la sua evoluzione.

TECNICHE DI PREPARAZIONE MICROGRAFICA Preparazione meccanica delle provette Le osservazioni e interpretazioni metallografiche possono essere considerate attendibili solamente se precedute da una corretta e accurata preparazione delle provette. Esistono molte analogie tra le procedure di preparazione delle provette di leghe ferrose e non ferrose, oppure di leghe o metalli compatti e di componenti sinterizzati, notoriamente porosi. Tuttavia alcune sono specifiche delle leghe ferrose, altre di quelle non ferrose e altre ancora della metallurgia delle polveri (materiali sinterizzati). Le maggiori difficoltà s’incontrano quando si preparano provette di leghe a bassa durezza, oppure di particolari sinterizzati, generalmente caratterizzati da elevata porosità, che possono trattenere umidità o sporcizia, difficilmente eliminabili. Esse possono spurgare durante l’attacco metallografico generando reazioni anomale, tendenzialmente coloranti, che talvolta mascherano la reale microstruttura della provetta. Selezione dei saggi Per ottenere informazioni utili è indispensabile che i saggi da cui si ricavano le provette destinate agli esami metallografici rappresentino adeguatamente il materiale che si desidera studiare. Per l’esame di un pezzo che si ruppe o non funzionò secondo le previsioni, si dovranno preparare una o più provette, accortamente prelevate nei dintorni della zona difettosa. Per l’esame di un pezzo sottoposto a trattamento termico in atmosfera controllata, si osserverà generalmente un’intera sezione o più provette ricavate presso la superficie, a metà spessore e a cuore, per verificare quale effetto

Figura 1.199. Tavolino riscaldante per osservazioni microscopiche a caldo fino a 1400 °C, Ultra High Temperature XY System – TS1400XY Lincam Scientific Instruments. www.linkam.co.uk.

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abbia avuto l’atmosfera sulle superfici e il trattamento in generale sulle trasformazioni strutturali da superficie a cuore. Se un pezzo presenta anomalie superficiali dopo il trattamento termico, si esaminerà una sezione che tagli ortogonalmente almeno una superficie. Taglio dei saggi Scelto il saggio rappresentativo, lo si deve tagliare con cura per ottenere la sezione che s’intende esaminare. Frequentemente si tratta di sezioni ortogonali alle superfici significative, trasversali o longitudinali rispetto all’asse del pezzo. Il taglio del saggio ha spesso lo scopo di ridurne le dimensioni per poterlo agevolmente manipolare e lavorare. Secondo la durezza, i saggi possono essere tagliati con un seghetto a mano, con una segatrice a nastro (figura 1.200) o con una troncatrice che monta un adatto disco abrasivo da taglio metallografico (figura 1.201). Se il materiale è tenero, come l’acciaio dolce, le leghe d’alluminio, il bronzo o l’ottone, il seghetto è normalmente sufficiente e preferibile, perché non surriscalda il materiale e non ne può alterare significativamente la microstruttura. Se il materiale è più duro, come gli acciai legati e temprati, si devono usare la sega a nastro (eventualmente con lama diamantata) o troncatrici con dischi abrasivi specifici, adatti al tipo di materiale da tagliare.

Figura 1.201. Esempio di troncatrice a glifo oscillante per taglio metallografico di materiali duri.

Quando si tagliano i saggi con troncatrici o con segatrici è indispensabile irrorare il pezzo con liquidi lubrorefrigeranti per evitarne il surriscaldamento, che potrebbe alterare irrimediabilmente la microstruttura, portando a grossolani errori interpretativi. Lavaggio delle provette Le provette ottenute dalla sezione dei saggi e destinate alle successive lavorazioni devono essere lavate con cura per rimuovere ogni particella o sostanza estranea eventualmente accumulata nei pori. A tal scopo possono essere usate, talvolta in successione, due apparecchiature: l’estrattore e/o la vasca ad ultrasuoni. L’estrattore è il più efficiente e meno costoso strumento per il lavaggio e sgrassaggio delle provette, soprattutto se di materiale sinterizzato. Fra i vari estrattori, il più diffuso è quello di Soxlet (figura 1.202), composto da un recipiente che contiene il solvente d’estrazione, dal sifone o coppa d’estrazione in cui sono poste le provette da lavare e dal refrigeratore posizionato sopra la coppa d’estrazione, per la condensazione dei vapori di solvente, che cadono nella coppa, rinnovando il liquido periodicamente.

Figura 1.200. Esempio di segatrice a nastro.

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La replica, esaminata al microscopio metallografico in luce riflessa, fornisce un’immagine speculare della superficie originaria. Per migliorare la luminosità delle repliche ottenute con vernici o con film senza supporto è possibile adagiare il vetrino su uno specchio, oppure metallizzare la replica sotto vuoto. Nessun trattamento è necessario per le repliche con supporto metallico. Le repliche ottenute con vernici o con film senza supporto possono essere osservate al microscopio in luce trasmessa. La figura 1.240 illustra il risultato di un esame micrografico con replica, confrontato con un esame tradizionale della stessa provetta.

appena eseguita per verificare se sia soddisfacente o da ripetere.

Figura 1.240. Microstruttura di una provetta d’acciaio C45 grezzo di laminazione, ottenuta tradizionalmente (A) confrontata con quella ottenuta per replica con film di vernice su supporto metallico (B). Attacco nital 2 %. 500 x.

Oggi sono disponibili kit completi per la preparazione metallografica delle repliche e per la loro catalogazione e conservazione (figura 1.241).

Figura 1.242. Microscopio portatile Struers PSM-2.

L’ATTACCO MICROGRAFICO L’attacco della superficie della provetta, dopo la polimentazione finale, ne rivela la microstruttura attraverso una duplice azione: • il corrugamento della superficie per dissoluzione selettiva delle diverse fasi presenti, oppure per dissoluzione anisotropa dei singoli grani di un’unica fase, diversamente orientati rispetto alla superficie della sezione (figura 1.243); • la formazione di ossidi epitassici che colorano diversamente le singole fasi, o i cristalli di un’unica fase, secondo lo spessore e il loro orientamento rispetto all’asse ottico (figura 1.244). Questa seconda e importante azione è spesso sfruttata per la micrografia a colori, tramite attacco ossidativo controllato ad alta temperatura. Prima dell’attacco Figura 1.241. Kit per la preparazione di repliche. 1) Piastrine metalliche ricoperte con vernice. 2) Solvente per ammorbidire la vernice. 3) Pipetta. 4) Vetrini per montare le piastrine (repliche) per l’osservazione.

La microstruttura dell’area polimentata con metodi non distruttivi può essere osservata, dopo attacco micrografico, anche col microscopio portatile, talvolta corredato di base magnetica per bloccarlo alla superficie metallica ferromagnetica. Esistono microscopi portatili appositamente per esaminare e fotografare la replica in loco, in modo da poterla ripetere se non soddisfacente, come il microscopio PMS-2 Struers (figura 1.242). È un piccolo microscopio portatile PSM-2 da usare il campo. È alimentato con batterie e può essere attrezzato con ottica da 100, 200 e 400 ingrandimenti. È trasportabile tramite valigetta che contiene le batterie e tutti gli accessori utili. È particolarmente adatto per l’esame preliminare della superficie preparata e della replica non

Superficie liscia

Dopo l’attacco Grigio

Bianco Superficie corrugata

Figura 1.243. Schema della corrugazione della superficie di una provetta micrografica dovuta all’attacco metallografico.

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Luce monocromatica

Ossido epitassico

Superficie polimentata

attacco corretto permette una buona visione e interpretazione della microstruttura. Dunque si consiglia d’attaccare sempre in difetto ed eventualmente ripetere l’attacco fino ad ottenere il corretto contrasto strutturale. In tal modo si eviterà di dover rilucidare la provetta troppo attaccata. Le figure 1.245, 1.246 e 1.247 si riferiscono a una provetta d’acciaio al carbonio sinterizzato, attaccata insufficientemente, correttamente ed eccessivamente. È chiaro come soltanto l’attacco intermedio permette la corretta valutazione della morfologia della perlite.

Luce bianca o Superficie dopo attacc

Grano

Figura 1.244. Schema della formazione di un ossido epitassico dovuta all’attacco micrografico e colorazione monocromatica del raggio diffratto.

Nella micrografia tradizionale si usano normali reagenti chimici (soluzioni) applicati alla superficie per deposito di qualche goccia sulla provetta o per immersione dell’intera provetta nella soluzione d’attacco. Contrariamente a quanto qualcuno talvolta suggerisce, la superficie della provetta micrografica non deve essere toccata, né strofinata per nessuna ragione durante o dopo l’attacco chimico. In caso contrario la microstruttura osservata sarà alterata per l’anomala formazione degli ossidi epitassici e per probabile incrudimento del primo sottilissimo strato, già sufficiente per ridurre la risoluzione se non addirittura annebbiare l’immagine. Alcuni reattivi micrografici sono stabili e durano a lungo dopo la preparazione; altri sono labili e la loro efficacia si perde nel tempo. Perciò devono essere usati subito dopo la preparazione e talvolta non oltre una trentina di minuti. La scelta del reattivo dipende dalla composizione del metallo o lega della provetta, dal suo stato metallurgico (trattamento termico) e dallo scopo dell’esame micrografico. Esistono reattivi generici, che danno informazioni di base (contorni del grano, microstruttura in generale) e altri specifici, utili per riconoscere alcune fasi presenti non classificabili univocamente dopo l’attacco generico. I reattivi micrografici sono generalmente soluzioni molto diluite, alcoliche o acquose, di acidi o di basi inorganici e talvolta soluzioni di composti organici, che hanno lo scopo d’attaccare selettivamente e/o di colorare in modo preferenziale le singole fasi. Per leghe ferrose, i reattivi d’uso generale, cioè quelli che evidenziano globalmente la microstruttura, sono sempre soluzioni acide diluite (per esempio il nital 2 % o il picral 4 %, cioè soluzioni alcoliche d’acido nitrico o picrico), mentre quelle usate per le leghe di rame o d’alluminio sono per lo più soluzioni basiche (per esempio soda caustica al 10 % in acqua distillata). Tuttavia non mancano reattivi generici o specifici basici per leghe ferrose e acidi per le leghe di rame e d’alluminio. La scelta del corretto reattivo d’attacco metallografico richiede a priori la conoscenza del tipo di lega che si deve attaccare, ma anche delle fasi della microstruttura che si desiderano evidenziare e riconoscere. Di seguito sono descritti alcuni dei reattivi utili per la micrografia delle leghe ferrose, di rame e d’alluminio. Si rimanda alla letteratura assai ricca sull’argomento chi volesse sperimentare reattivi d’attacco diversi da quelli descritti. La durata e l’aggressività dell’attacco micrografico deve essere ben dosata per evitarne il difetto o l’eccesso; infatti, se l’attacco è insufficiente o eccessivo alcune fasi potrebbero sfuggire all’esame microstrutturale perché non adeguatamente evidenziate, oppure troppo aggredite. Soltanto un

Figura 1.245. Provetta d’acciaio al carbonio sinterizzato insufficientemente attaccata. La perlite non è evidente. Attacco nital 2 %. 300 x.

Figura 1.246. Provetta d’acciaio al carbonio sinterizzato correttamente attaccata. La perlite è chiaramente definita. Attacco nital 2 %. 300 x.

L’attacco micrografico può essere seguito al microscopio a basso ingrandimento (massimo 100 x) quando si disponga di un obiettivo a lunga focale. In tal caso si pone qualche goccia di reattivo sulla provetta posizionata per l’osservazione, si focalizza e si osserva il progredire dell’attacco. Trascorso il tempo ideale, che dà una visione perfetta della struttura, l’attacco è subito arrestato con lavaggio della superficie della provetta mediante alcool etilico distillato e immediata asciugatura con aria calda del phön. Si consiglia di tenere inclinata la provetta durante l’asciugatura in modo che l’ultima goccia che evapora finisca in una zona di scarsa rilevanza per l’osservazione. In tal modo gli inevitabili aloni, che si concentrano nell’ultima zona asciugata, finiranno fuori dal campo d’osservazione.

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La norma UNI 3137 descrive sinteticamente le regole per il prelievo, preparazione e attacco delle provette per l’esame microscopico dei materiali ferrosi. Cita la composizione, le modalità d’uso e le informazioni ottenibili di otto reattivi chimici, tutti compresi fra quelli citati nel testo e l’acido ossalico per l’attacco elettrolitico.

Figura 1.247. Provetta d’acciaio al carbonio sinterizzato eccessivamente attaccata. La perlite è confusa e tutte le fasi tendenzialmente sfuocate. Attacco nital 2 %. 300 x.

Reattivi d’attacco micrografico per leghe ferrose Reattivo: Nital 2 % Composizione: 2 ml d’acido nitrico concentrato (65 %) in 100 ml d’alcool etilico al 95 %. Impiego: durata attacco da 10 secondi a 1 minuto. Per acciai rapidi temprati fino a 10 minuti. Caratteristiche: evidenzia i contorni dei grani e la struttura degli acciai al carbonio e degli acciai speciali, variamente trattati. È un reattivo fondamentale d’uso generale. Reattivo: Nital 5 % Composizione: 5 ml d’acido nitrico concentrato (65 %) in 100 ml d’alcool etilico al 95 %. Impiego: durata attacco da 2 a 30 secondi. Per evitare l’annerimento dei campioni, dopo l’attacco devono essere lavati in alcool e quindi prontamente asciugati con aria calda (phön). Caratteristiche: evidenzia la perlite, la sorbite e i margini dei grani negli acciai e nelle ghise. Non attacca la cementite libera e i carburi, ma evidenzia i loro contorni. Si preferisce al precedente, per le strutture più facilmente risolvibili, perché più rapido. Reattivo: Picral 4 % Composizione: 4 g d’acido picrico sospensione acquosa al 50 % in 100 ml d’alcool etilico al 95 %. Impiego: si usa freddo nelle stesse condizioni dei reattivi nital. La durata dell’attacco è generalmente doppia rispetto al nital 2 %. Caratteristiche: negli acciai dolci evidenzia i carburi. Risolve bene le strutture più fini e confuse. Negli acciai temprati colora in bruno la martensite. Raccomandato per acciai speciali. Non evidenzia il contorno dei grani. Reattivo: Picral saturo Composizione: soluzione satura d’acido picrico sospensione acquosa al 50 % in alcool etilico al 95 %. Impiego: è migliore del nital per risolvere le strutture perlitiche fini. A volte si usa dopo l’attacco nital per evidenziare

alcune strutture irrisolte. Caratteristiche: colora la perlite e la sorbite; impartisce colorazioni diverse alla martensite tetragonale o cubica, mentre annerisce la troostite. Reattivo: Picrina Composizione: 2 g d’acido picrico sospensione acquosa al 50 % + 5 ml d’acido cloridrico in 100 ml d’alcool etilico al 95 %. Impiego: si usa a freddo da 10 a 30 secondi. È molto attivo e migliore del nital per risolvere le strutture perlitiche fini. A volte si usa dopo l’attacco nital per evidenziare alcune strutture irrisolte. Caratteristiche: è un reattivo generale, molto utile per gli acciai da utensili. È consigliato per evidenziare il grano austenitico dopo ossidazione controllata (metodo Khön UNI 3245). Reattivo: Picrato sodico alcalino Composizione: 2 g d’acido picrico sospensione acquosa al 50 % + 25 g d’idrato sodico + 100 ml d’acqua distillata. Impiego: la soluzione deve essere sempre alcalina. Si usa bollente. Durata d’attacco da 5 a 10 minuti. Caratteristiche: annerisce la cementite e i carburi. Non attacca i composti intermetallici, tipo Fe2W, e la cementite degli acciai al tungsteno. Evidenzia la struttura dendritica dei getti d’acciaio al 12 % Mn. Reattivo: Picrato sodico neutro Composizione: soluzione satura di picrato sodico in acqua distillata. Impiego: lavare bene il sale con acqua distillata prima dell’uso, per eliminare l’eccesso d’acido picrico o di soda caustica. S’usa bollente per 2÷3 minuti. Caratteristiche: attacca il fosfuro di ferro (steadite) e lascia inalterata la cementite. Reattivo: Ferricianuro potassico Composizione: 1÷4 g di potassio ferricianuro in 100 ml d’acqua distillata. Impiego: si usa appena preparato e a caldo. Caratteristiche: annerisce la cementite; colora in bruno la perlite e la ferrite negli acciai inossidabili bifasici; lascia inalterati i nitruri di grosse dimensioni e l’austenite negli acciai inossidabili bifasici. Reattivo: Benedicks Composizione: 5 g d’acido metanitrobenzolsolfonico in 100 ml d’alcool etilico 95 %. Impiego: si usa a freddo per 15 secondi. Si comporta come il picral 4 %. Caratteristiche: risolve i costituenti fini come la martensite, che si colora in bruno. Reattivo: Kurbatoff Composizione: soluzione A: 4 ml d’acido nitrico concentrato in 100 ml d’anidride acetica; Soluzione B: miscela in parti eguali d’alcool etilico, metilico e isoamilico. Impiego: unire una parte di soluzione A e tre parti di B al momento dell’uso. Caratteristiche: distingue la troostite dagli altri costituenti strutturali dopo un attacco lentissimo e regolare. Reattivo: Bolton Composizione: 6 g d’acido picrico + 78 ml d’alcool etilico 95 % + 2 ml d’acido nitrico concentrato + 20 ml d’acqua distillata.

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da = C (Δk ) m (1), dN dove: • a è la lunghezza dell’avanzamento della cricca di fatica; • N è il numero di cicli applicato per ottenere un avanzamento a; • m e C sono constanti; • ΔK = Kmax - Kmin è la differenza tra il massimo e minimo fattore d’intensificazione di sforzo per ogni ciclo di carico, detto anche intervallo d’intensità della sollecitazione. Il fattore d’intensificazione di sforzo, K, è un parametro della meccanica della frattura che esprime la condizione di sollecitazione nel materiale adiacente all’apice di una cricca ed è una funzione del carico applicato e del fattore di forma della cricca, che, per una data larghezza, dipende dalla profondità e lunghezza della cricca. Un valore elevato di K rappresenta un severo stato di sollecitazione e viceversa. Nel fenomeno di fatica, ΔK rappresenta la variazione del fattore d’intensificazione di sforzo ciclico. Quando una striatura di fatica è generata ad ogni ciclo di carico, da/dN rappresenta la spaziatura delle striature. La relazione (1) non descrive adeguatamente la velocità di crescita della cricca di fatica nel primo e terzo stadio; tende a sovrastimare la velocità di propagazione nel primo e spesso a sottostimare quella del terzo stadio. Il terzo stadio corrisponde alla fase finale della propagazione della frattura di fatica in cui il meccanismo di formazione delle striature è progressivamente sostituito dai meccanismi di frattura statica, come la coalescenza dei microvuoti o il clivaggio. La velocità di crescita della cricca aumenta durante il terzo stadio finché la cricca di fatica diventa instabile e le due parti del pezzo si separano di schianto. Poiché la propagazione della cricca è progressivamente dominata da meccanismi di frattura statica, il terzo stadio della fatica è sensibile alla microstruttura e all’intensità della sollecitazione media. Caratteristiche delle fratture con striature di fatica Durante il secondo stadio della fatica, la cricca spesso si propaga su molti altopiani che si trovano a diversa altezza relativa (figura 1.282).

Figura 1.282. Schema delle striature sugli altopiani della frattura di fatica.

Un altopiano che possiede una superficie curva concava ha come riscontro un contorno convesso sulla faccia speculare della frattura. Gli altopiani sono uniti da crinali o pareti di lacerazione che contengono striature di fatica (figure 1.275 e 1.276). Le striature di fatica spesso s’inarcano nella direzione di propagazione della cricca e generalmente tendono

ad allinearsi perpendicolarmente alla direzione principale di propagazione o direzione macroscopica della cricca. Tuttavia, le variazioni locali delle sollecitazioni e della microstruttura possono cambiare l’orientamento del piano di frattura e alterare la direzione d’allineamento delle striature (figura 1.283).

Figura 1.283. Superficie di frattura di una provetta in lega d’alluminio 6061-T6. Fronti indipendenti della cricca di fatica con striature che s’incrociano. Le frecce indicano la direzione locale di propagazione della cricca. Replica TEM p-c, 3300 x circa.

In una lega, le grosse particelle di seconde fasi e le inclusioni non metalliche possono far cambiare la velocità locale di propagazione della cricca e modificare la spaziatura delle striature. Quando una cricca di fatica s’avvicina a una di queste particelle è leggermente ritardata se la particella resta intatta, o è accelerata se la particella si rompe per clivaggio (figura 1.273b). In entrambi i casi, comunque, la velocità di propagazione della cricca cambia solo nell’immediata vicinanza della particella e non influenza significativamente la velocità totale di propagazione. Tuttavia, per la fatica oligociclica ad alta intensità di sollecitazione, la zona elasticizzata all’apice della cricca relativamente estesa può generare clivaggio della particella e/o la separazione della matrice dalla particella quando la cricca è ancora significativamente lontana. Il clivaggio o la separazione della particella dalla matrice si comporta come una cricca, o vuoto, che promuove una lacerazione o frattura di taglio tra la particella e la cricca, tale da favorire l’avanzamento del fronte della cricca. Le particelle isolate e relativamente piccole non hanno significativa influenza sulla spaziatura delle striature (figura 1.273b). Alcuni chiari, periodici e caratteristici segni, talvolta osservati sulle superfici di frattura a fatica, sono definiti impronte di pneumatico, perché sembrano proprio le impronte di un pneumatico su terreno plasmabile (figura 1.284).

Figura 1.284. Impronte di pneumatico sulla superficie di frattura di fatica di una provetta d’acciaio 40CrMo4 bonificato sottoposta a prova di fatica in condizioni di trazione e compressione assiale. Replica TEM. 1800 x circa.

Questi segni formati da linee parallele sono il risultato della compressione ripetuta di una particella o di una protuberanza di una superficie della frattura di fatica sull’altra

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superficie accoppiata, durante la fase di chiusura della cricca del ciclo di fatica. Le impronte di pneumatico sono più frequenti nelle fratture di fatica in condizioni di carico tensione – compressione, che nella trazione pulsante. La direzione delle impronte di pneumatico e il cambiamento della spaziatura delle incisioni possono indicare il tipo di spostamento che avviene durante la frattura, come il movimento laterale sotto carichi di taglio o torsionali. La presenza di tracce di pneumatico su una superficie di frattura che non evidenza alcuna striatura può indicare che la frattura di fatica avvenne sotto sollecitazione d’elevata intensità e dopo un modesto numero di cicli. Frattura intergranulare o decoesiva Una frattura decoesiva non mostra alcuna deformazione plastica, o scarsissima deformazione, e non avviene per coalescenza di microvuoti, clivaggio o fatica. Questo tipo di frattura è generalmente il risultato dell’effetto di un ambiente aggressivo o della presenza di una particolare microstruttura e si manifesta quasi esclusivamente per separazione dei grani (frattura intergranulare). In una lega, ai bordi del grano segregano i costituenti con più basso punto di fusione. Il bordo dei grani è anche il più facile accesso per la diffusione e segregazione di elementi infragilenti quali l’idrogeno, lo zolfo, il fosforo, l’antimonio, l’arsenico e il carbonio, degli ioni alogenuri, come i cloruri, e di altri elementi metallici a basso punto di fusione, come il gallio, il mercurio, il cadmio e lo stagno. La presenza di questi costituenti ai bordi dei grani può ridurre significativamente la resistenza coesiva dei grani del pezzo metallico e favorire la frattura decoesiva (figura 1.285).

Figura 1.285. Schemi che illustrano la frattura decoesiva lungo i bordi dei grani. (a) Decoesione di grani equiassici. (b) Decoesione attraverso una fase debole ai bordi dei grani. (c) Decoesione di grani allungati dalla deformazione plastica a freddo.

La frattura decoesiva non è il risultato di un unico processo, ma può derivare da diversi meccanismi. I processi decoesivi coinvolgono la scarsa resistenza dei legami atomici, la riduzione dell’energia superficiale richiesta per la deformazione localizzata, la pressione di gas disciolti, la rottura di film protettivi e la dissoluzione anodica in siti attivi, che spesso sono associati all’infragilimento da idrogeno e alla tensocorrosione (SCC). La frattura decoesiva che deriva dallo scorrimento viscoso a caldo è un altro tipo di meccanismo, che sarà descritto più avanti. Le seguenti circostanze possono produrre una frattura decoesiva: • strati deboli al bordo del grano (come quelli che derivano dalla diffusione di metalli basso fondenti al bordo del grano); • costituenti fusi e risolidificati a bordo grano (come nelle leghe d’alluminio o negli acciai rapidi surriscaldati); • la presenza di liquido ai bordi dei grani durante la solidificazione (come nel caso della zona fusa delle saldature, dove si possono formare le così dette cricche a caldo. Vedi capitolo nono del quarto volume). Le figure 1.286, 1.287 e 1.288 mostrano alcuni esempi

di frattura decoesiva e in particolare: una frattura decoesiva da infragilimento da idrogeno, una da tensocorrosione e una da diffusione di mercurio liquido.

Figura 1.286. Frattura decoesiva in un dado d’acciaio bonificato 40NiCrMo2, rotto per infragilimento da idrogeno. Il danneggiamento avvenne per inadeguata deidrogenazione in forno dopo la cadmiatura elettrolitica. (a) Macrografia della superficie di frattura. 2,5 x circa. (b) Vista ad alto ingrandimento dell’area circoscritta nel quadrato in a), che mostra la tipica frattura intergranulare. SEM 3300 x circa.

Figura 1.287. Forcella di torsione di un carrello d’atterraggio d’acciaio inossidabile 17-4 PH che si ruppe per tensocorrosione intergranulare. (a) Macrografia della superficie di frattura. 5 x circa. (b) Vista ingrandita dell’area circoscritta nel quadrato in a), che mostra l’area con attacco intergranulare. SEM 60 x circa.

Figura 1.288. Superficie di frattura di una provetta di Monel che si ruppe per infragilimento da contatto con mercurio liquido. La frattura è principalmente intergranulare con alcune parti di transgranulare. SEM 150 x circa.

Maggiori informazioni sull’infragilimento da idrogeno, da tensocorrosione e da contatto con metallo liquido si possono trovare nel capitolo quinto del quarto volume della collana “I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili” e nel capitolo quinto della parte seconda di questo volume, nella sezione dedicata all’effetto dell’ambiente sulla frattografia. Quando una frattura decoesiva avviene lungo grani appiattiti e allungati che formano piani quasi ininterrotti attraverso il materiale, come nella maggior parte delle leghe estruse, e lungo le linee di bava di alcuni stampati, si ottiene una superficie relativamente liscia e priva di caratteristiche frattografiche (figura 1.289).

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Figura 1.289. Frattura di tensocorrosione avvenuta per decoesione lungo il piano di separazione di uno stampato in lega d’alluminio. Replica TEM, 1300 x circa.

Frattura da scorrimento viscoso a caldo (creep) La frattura per scorrimento viscoso è un danneggiamento dipendente dal tempo, che avviene quando un metallo è soggetto a sollecitazione tendenzialmente costante per un lungo periodo ad elevata temperatura, in un intervallo compreso tra il 40 e 70 % della temperatura assoluta di fusione del metallo. Con poche eccezioni, la frattura per creep è di tipo intergranulare. Le rare fratture transgranulari da creep, che si manifestano sotto sollecitazioni d’elevata intensità e con elevata velocità di deformazione, avvengono con un meccanismo di coalescenza di microvuoti. Poiché le fratture transgranulari da creep non mostrano caratteristiche decoesive, non saranno oggetto di ulteriore discussione. Quando il metallo è sottoposto a modeste sollecitazioni (spesso ben inferiori al limite di snervamento) e si deforma assai lentamente, le fratture per scorrimento viscoso sono sempre intergranulari e sono di tipo decoesivo. Il processo di scorrimento viscoso può essere diviso in tre principali stadi: primario, secondario e terziario. La frattura inizia durante il primo stadio, si propaga nel secondo (stadio stazionario) e diventa instabile e degrada in danneggiamento catastrofico durante il terzo stadio (creep terminale). Da un punto di vista pratico, i primi due stadi (innesco e propagazione della frattura per creep) sono di primaria importanza per la durata in servizio di una struttura. Per questo motivo la maggior parte degli studi mirarono a comprendere i meccanismi della frattura coinvolti in questi due stadi del creep. Come schematizzato in figura 1.290, la frattura intergranulare da creep avviene secondo due meccanismi: • rottura al punto triplo (dove s’incontrano tre grani), detta anche frattura a cuneo; • rottura per cavitazione del bordo grano. σ

(a)

σ

(b) σ

σ

Figura 1.290. Schema di cricca nel punto triplo (a) e cavitazione (b) in una frattura intergranulare da creep. Le frecce più piccole indicano lo scorrimento a bordo grano.

La velocità di deformazione e la temperatura determinano il meccanismo di frattura dominante. Velocità di deformazione relativamente alte e temperature intermedie promuovono la formazione di cricche a cuneo (figura

1.290a). Lo scorrimento del bordo del grano sotto sollecitazioni di trazione può generare una concentrazione di sforzo nel punto triplo sufficiente per innescare e far propagare le cricche a cuneo. Le cricche si possono anche nucleare al bordo del grano in zone diverse dal punto triplo per interazione di stadi di scorrimento primari e secondari con uno slittamento finale del bordo grano. Ogni ambiente che abbassa la coesione del bordo grano favorisce la frattura decoesiva. Come lo slittamento procede, le cricche a bordo grano si propagano e congiungono, fino a formare una frattura intergranulare decoesiva (figure 1.290a e 1.290b).

Figura 1.291. Esempi di frattura intergranulari da creep. (a) Cricca a cuneo in una provetta d’Inconel 625. SEM 150 x circa. (b) Cricca a cuneo in una provetta d’Incoloy 800. SEM 300 x circa. (c) Frattura intergranulare da creep risultante da cavitazione a bordo grano in una provetta di lega di magnesio. SEM 3000 x circa.

Ad alta temperatura e bassa velocità di deformazione, lo scorrimento al bordo del grano favorisce la formazione di cavità (figura 1.290b). Le cavità a bordo grano che si formano col creep non dovrebbero essere confuse con i microvuoti formati con i meccanismi della frattura duttile, che danno origine a cupole. I due tipi sono fondamentalmente diversi. Le cavità sono principalmente il risultato di un processo controllato dalla diffusione, mentre i microvuoti sono il risultato di complessi scorrimenti. Anche a bassa velocità di deformazione, uno slittamento del bordo grano può nucleare cavità preso le irregolarità, come le particelle di seconde fasi o inclusioni. Si ritiene che la nucleazione sia un processo controllato dalla deformazione, mentre l’accrescimento delle cavità sia controllato dalla diffusione. Come la deformazione continua, senza il rispetto del modello d’accrescimento, le cavità si congiungono per dare una frattura intergranulare. Sebbene la frattura che si forma per cavitazione dello scorrimento viscoso evidenzi faccette intergranulari meno acute (figura 1.291c), si deve considerare una frattura decoesiva. Invece di propagarsi da una cricca o da un processo che genera cavità, la frattura da scorrimento viscoso sembra essere una combinazione di entrambi i meccanismi. Non dovrebbe esistere chiara distinzione tra le cricche a cuneo e quelle da cavitazione. Le cricche a cuneo potrebbero derivare dalla congiunzione di cavità ai punti tripli. I vari modelli proposti per descrivere il processo di scorrimento viscoso sono matematicamente complesse e non saranno discussi, rimandando alla letteratura il lettore interessato (vedi anche il capitolo secondo del secondo volume, parte seconda). Fratture singolari Alcune fratture, come quelle di quasi-clivaggio o a pieghettatura, evidenziano aspetti singolari che non possono essere classificati compiutamente in nessuno dei principali tipi di frattura descritti. Esse si possono manifestare nelle comuni leghe metalliche ingegneristiche.

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Micrometri per esterni I micrometri per esterni sono costituiti da un supporto ad arco, provvisto di un’incudine e di un gambo cilindrico, filettato internamente (figura 2.59). Una vite micrometrica di alta precisione, solidale con una bussola esterna, imbocca nella filettatura del gambo e si prolunga in un’asta cilindrica detta asta mobile di misura. La bussola termina con un lembo tronco conico graduato e con un tamburo zigrinato. Sul lembo tronco conico sono incide 50 o 100 tacchette equamente spaziate. Sulla superficie esterna del gambo è incisa la linea di fede della scala fissa, suddivisa in mezzi millimetri. Per facilitare la lettura, i trattini sono alternativamente rivolti sopra e sotto la linea di fede.

Figura 2.57. Casi possibili di lettura di una lunghezza col calibro a corsoio con nonio decimale.

Micrometri I micrometri a vite permettono di eseguire misurazioni di lunghezza con una precisione migliore di quelle dei calibri. Secondo il tipo di misurazione e il sistema di lettura (figura 2.58), i micrometri si possono classificare in: • micrometri per esterni; • micrometri per interni; • micrometri di profondità; • micrometri analogici; • micrometri digitali.

Figura 2.59. Schema costruttivo di un micrometro analogico per esterni.

Le parti del micrometro sono d’acciaio bonificato. In certi casi per aumentare la resistenza all’usura, l’estremità dell’asta mobile e l’incudine sono costruite con placchette di metallo duro (carburo di tungsteno sinterizzato). Per ragioni di precisione, la lunghezza della vite non supera 25 mm; perciò i micrometri sono costruiti con aperture massime variabili di 25 in 25 mm; per esempio: 0÷25, 25÷50, 50÷75, 75÷100, 100÷125, 125÷150 e così via, fino a 500 mm e più in casi eccezionali.

Figura 2.58. Tipi di micrometri.

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La vite micrometrica, che è la parte più delicata, è costruita con acciaio legato, bonificato e disteso. La filettatura è rettificata con alta precisione. La misurazione si effettua agendo sul tamburo zigrinato, facendolo ruotare per l’avanzamento dell’asta mobile. Poco prima del serraggio del pezzo da misurare tra estremità dell’asta mobile e incudine, si agisce solo sul bottone zigrinato, che trasmette lo sforzo al tamburo attraverso un cricchetto. Questo scatta a vuoto quando la pressione esercitata dall’asta mobile sul pezzo supera 1 kg. Perciò si mantiene costante la pressione indipendentemente da chi e come è esercitata. Per impedire che la vite micrometrica subisca movimenti durante la lettura, i micrometri possiedono un dispositivo di bloccaggio, costituito da un disco forato eccentricamente, inserito sull’asta mobile. Ruotando il disco tramite la levetta la vite è bloccata. A questo punto si può eseguire la lettura del valore della misura (figura 2.60).

Micrometri per interni a contatti espandibili I micrometri per interni a contatti espandibili sono formati da un corpo cilindrico coassiale alla bussola del dispositivo di lettura. La parte terminale contiene cilindretti metallici (contatti) che escono radialmente e permettono la misura della cavità o dei diametri interni. Questi micrometri possono essere a due o a tre contatti (figura 2.62). I primi sono adatti per misurare le cavità o i fori non cilindrici o piani paralleli; i secondi, dotati di tre contatti a 120° sono adatti a misurare cavità cilindriche.

Figura 2.60. Parti essenziali per le misurazioni con micrometro per esterni.

Micrometri per interni I micrometri per interni possiedono il dispositivo di lettura uguale a quello dei micrometri per esterni, ma un diverso sistema di rilevamento delle quote. Si dividono in due tipi (figura 2.61): • micrometri a contatti espandibili; • micrometri ad aste combinabili.

Figura 2.62. Micrometri per interni a due o tre contatti.

La superficie dei contatti può avere varie forme, secondo la particolarità della superficie da misurare (figura 2.63).

Figura 2.63. Tipi di contatti di micrometri per interni.

Facendo ruotare la bussola, il cono guidato dalla filettatura avanza assialmente e spinge verso l’esterno i contatti finché sfiorano la superficie della cavità da misurare (figura 2.64). Si gira il nottolino finché scatta il cricchetto e allora si effettua la lettura sulla scala fissa e sul lembo graduato, con le stesse modalità dei micrometri per esterni.

Figura 2.61. Tipi di micrometri per interni.

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Il loro principio di funzionamento e le modalità di lettura sono identiche a quelle dei micrometri per esterni.

Figura 2.66. Micrometro per interni ad aste combinabili con due prolunghe.

Micrometri di profondità I micrometri di profondità possiedono il dispositivo di misurazione identico a quello dei micrometri per esterni, sono privi dell’arco e incudine, ma dispongono di una superficie di battuta perpendicolare all’asse dell’asta, che si appoggia al bordo della cava di cui si deve misurare la profondità. Possono essere dotati di aste di prolunga per aumentare il loro campo di misura (figura 2.67). Figura 2.64. Schema di funzionamento dei micrometri per interni a contatti espandibili.

I campo di misura di questi micrometri è generalmente molto piccolo (generalmente 0÷10 mm) e non esistono strumenti che misurino interni più piccoli di 6 e più grandi di 300 mm. La taratura e regolazione di questi strumenti si fa tramite anelli tarati. I micrometri a tre contatti sono particolarmente adatti per misurare l’alesaggio dei cilindri di motori endotermici. Micrometri per interni ad aste combinabili I micrometri per interni ad aste combinabili (figura 2.65) contengono una vite micrometrica coassiale col corpo cilindrico su cui è incisa la scala fissa longitudinale, graduata ogni mezzo mm. La vite possiede l’estremità esterna a testa sferica ed è solidale con la bussola provvista di un lembo troco conico graduato in 0,01 mm. All’altra estremità c’è una seconda testa sferica solidale al corpo cilindrico. Un nottolino di bloccaggio impedisce la rotazione della vite micrometrica quando si estrae il micrometro dalla cavità per eseguire la misurazione.

Figura 2.67. Micrometro di profondità con asta di prolunga.

Micrometri analogici Nei micrometri analogici lo spostamento dell’asta di misurazione è rilevato sulla linea di fede e sulla ghiera conica graduata del tamburo, come sopra descritto per i vari tipi di micrometri.

Figura 2.65. Micrometri per interni ad aste combinabili.

Micrometri digitali Nei micrometri digitali lo spostamento dell’asta di misurazione è rilevato da un dispositivo elettronico che visualizza il valore della misura su un display digitale alimentato da comuni batterie. I display possiedono una risoluzione di 0,001 mm. Il dispositivo elettronico consente di: • azzerare la lettura in qualsiasi punto della scala per permettere misurazioni differenziali; • di impostare le quote di tolleranza e segnalare i valori fuori tolleranza delle misurazioni; • di convertire le unità di misura da mm a pollici e viceversa. I modelli più evoluti sono predisposti per la connessione a computer per il trasferimento e l’elaborazione statistica dei dati.

Questi micrometri possono essere usati per misurare qualche decina di mm. Quando si deve misurare una maggiore ampiezza, si avvita al corpo una prolunga e poi una seconda (figura 2.66) e così via fino a raggiungere il campo di misura desiderato.

Impiego dei micrometri Per un corretto impiego dei micrometri è necessario mettere in atto alcune precauzioni, come l’azzeramento del micrometro, la taratura e regolazione, l’uso corretto dei micrometri per esterni e per interni e l’uso delle basi per mi-

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rante il montaggio delle travature. La saldature degli inserti, eseguite in modo assai poco accurato, presentavano rotture estese a quasi tutto il perimetro dell’inserto (Fig. 44), con rischi di future che potevano propagarsi anche alle lamiere adiacenti; • le rotture di giunti saldati longitudinali della piastra ortotropa, in corrispondenza delle zone di connessione dei piattini di sostegno. Anche in questi casi, le anomalie risalivano alla costruzione, come testimoniava la presenza d’asfalto solidificato, ma è ipotizzabile che le dimensioni raggiunte al momento dell’ispezione fossero aggravate dalla propagazione durante il successivo esercizio; • le rotture su riporti di saldatura eseguiti per tappare i fori su lamiere per le quali era stato previsto inizialmente il collegamento con giunti imbullonati; • le rotture sui profilati d’irrigidimento dell’impalcato (figura 2.185).

Figura 2.185. Rotture su profilati d’irrigidimento dell’impalcato

Tra le anomalie di chiara origine costruttiva più frequentemente individuate, ma fortunatamente di minor criticità, sono da segnalare: • la frequente presenza sulle pareti dei cassoni di residui di squadrette di montaggio usate per la costruzione e diventate la principale causa di corrosione e cricche; • mancanza della verniciatura di alcuni elementi strutturali. ESAME VISIVO NELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA I settori d’impiego dell’esame visivo nell’industria automobilistica sono: • la diagnosi dei difetti; • l’ispezione dei getti; • l’ispezione delle saldature; • la valutazione estetica. I supporti all’esame visivo sono l’endoscopia e l’analisi d’immagine con metodo neuronale. Diagnosi dei difetti Per condurre correttamente una diagnosi di difetto (failure analysis) bisogna seguire una procedura di carattere generale che permetta di raggiungere gli obiettivi (scoperta delle cause che hanno generato il difetto, danneggiamento o avaria) e mettere in atto i giusti provvedimenti. Sebbene la procedura operativa sia soggetta a notevoli variazioni dipendenti dalla natura specifica del danneggiamento/rottura, le fasi di una diagnosi completa sono: 1. raccolta delle informazioni sulla vita del componente e di quelli con cui ha interagito, del suo fornitore e selezione delle parti (saggi) da esaminare; 2. esame visivo dei particolari danneggiati o rotti con relativa documentazione fotografica (aspetto dei componen-245-

ti, superfici di frattura, colori, danneggiamenti o cricche secondarie, ecc.); 3. esecuzione di altri esami non distruttivi (soprattutto liquidi penetranti - PT, particelle magnetiche - MT, ultrasuoni - UT e radiografia RT); 4. controlli dimensionali; 5. analisi chimica e prove meccaniche (durezza, trazione, resilienza. Eventuali altre, se ritenute necessarie, come resistenza a fatica a flessione rotante, determinazione dell’integrale J, resistenza all’usura, ecc.); 6. esami macrografici e micrografici (compresa la micrografia elettronica a scansione e microanalisi elettronica); 7. prove di simulazione delle condizioni d’esercizio, con eventuali sovraccarichi, mirate a riprodurre il danneggiamento/rottura in laboratorio; 8. esame critico dei risultati, stesura del rapporto di diagnosi di difetto con formulazione dell’ipotesi di danneggiamento più probabile, suggerimenti per azione correttiva più idonea, sua attuazione e verifica dell’efficacia dell’intervento. L’esame visivo delle fratture è fondamentale per la diagnosi di difetto, e deve essere condotto in modo diretto e con l’ausilio di sistemi d’ingrandimento per evidenziare ogni caratteristica utile per definire il o i punti d’innesco, le modalità di propagazione, e le condizioni di carico del particolare o struttura rotti. Le parti rotte e ogni frammento devono essere attentamente esaminati prima di procedere a qualsiasi pulizia o manipolazione che possa danneggiare le fratture o altre caratteristiche importanti delle superfici limitrofe. Infatti, la presenza di sfridi o corpi estranei sulla superficie di frattura è spesso utile per stabilire quando avvenne la rottura. L’esame della superficie di frattura è generalmente condotto anche con mezzi d’ingrandimento, dalla comune lente ai microscopi a basso ingrandimento, fino al microscopio elettronico a scansione, o mediante repliche da esaminare al microscopio elettronico a trasmissione. In questo modo si possono ricavare informazioni straordinariamente utili per ricostruire l’intera storia del danneggiamento, perché quasi tutte le prove sono scritte nella morfologia delle superfici di frattura e, se non distrutte da danneggiamento successivo, basta leggerle per ottenere un quadro sufficientemente esaustivo. Le informazioni che si ricavano dall’esame della frattura sono moltissime. Esse consentono di risalire anche alle sollecitazioni che hanno generato la frattura tramite lo studio della morfologia e del modo in cui la frattura s’è propagata (duttile, fragile, direzione e velocità). Non è scopo di questo capitolo dare ulteriori informazioni sulla diagnosi di difetto; pertanto s’invita il lettore a consultare il quarto volume della collana “I criteri di scelta degli acciai da costruzione e da utensili”, interamente dedicato alla diagnosi dei difetti metallurgici. Ispezione dei getti Con l’esame visivo è possibile eseguire molte verifiche o controlli dei singoli getti (figura 2.186) per l’accettazione dei lotti. Per esempio: • controllo che la materozza, i montanti e i canali di colata siano stati asportati correttamente dal getto; • controllo della corretta sbavatura e pulitura del getto dopo la colata; • verifica delle superfici, che devono essere omogenee, esenti da rotture, screpolature, ritiri, porosità, riprese o


da qualsiasi imperfezione o difetto che possa compromettere l’affidabilità del componente in esercizio; • verifica dell’eventuale presenza di riparazioni con saldatura, sigillatura o impregnazione, e che siano state eseguite correttamente, quando ammesso contrattualmente; • controllo della totale asportazione dei difetti superficiali mediante lavorazioni meccaniche, quando ammesso contrattualmente, e che non siano rimasti spigoli vivi, intagli o coniature indesiderate che possano favorire l’innesco di fratture di fatica.

Figura 2.187. Esempi di saldature accettabile (in alto) e non accettabile (in basso).

Figura 2.186. Pistone e biella di un motore d’autovettura: tipici esempi di getti in lega d’alluminio con ampie superfici allo stato grezzo di colata.

Ispezione delle saldature Il controllo visivo delle saldature nel settore automotive è generalmente disciplinato da una norma o specifica tecnica del metodo di saldatura; perciò possono esistere varianti, secondo la procedura di saldatura usata. Tuttavia i punti comuni, che descrivono la metodologia di controllo sono: • l’esame visivo deve essere svolto in condizioni d’adeguata illuminazione, possibilmente non inferiore a 100 lux; • le superfici della saldatura devono essere omogenee, esenti da spruzzi, bave o altre disomogeneità; • non sono ammesse bruciature passanti, cavità, concentrazioni di porosità o altri difetti che possano compromettere l’affidabilità del giunto; • le incisioni marginali, dimensioni del corsone, eccesso o incompleta penetrazione, sono accettabili o no, secondo il metodo di saldatura; • disponibilità di documentazione fotografica dei tipi di difetti che indica i loro limiti d’accettabilità (figura 2.187). Valutazione estetica L’analisi estetica di un autoveicolo inizia suddividendo le sua varie parti, poi da analizzare singolarmente attribuendo un punteggio di merito secondo i tipi di difetti evidenziati e la loro posizione. Le imperfezioni o difetti si suddividono generalmente in tre classi: • anomalia estetica gravissima; • anomalia estetica grave; • anomalia estetica significativa.

Anomalia estetica gravissima Si tratta di un difetto su parti esterne o interne, sicuramente visibile in normali condizioni di luce, girando normalmente intorno al veicolo, entrando e uscendo, stazionando all’interno dell’abitacolo o aprendo e chiudendo porte, cofano e baule e visionando anche l’interno del vano motore o del baule. È un difetto sicuramente oggetto di rifiuto da parte del cliente medio. Esempi di anomalie estetiche gravissime sono: • screpolature o rigature che evidenziano la lamiera od ossidazione; • sigillature con debordazione vistosa sulle superfici esterne; • impurità vistose visibili in ogni condizione di luce o posizione su zone esterne del veicolo, soprattutto su parti piane o sopra il filo paraurti; • rilevante alterazione della tinta o macchie di diverso colore o natura su superfici esterne o interne; • ammaccatura o bollo di rilevante entità con o senza screpolatura della vernice (difetti di cataforesi - figura 2.188); • deformazioni od ondulazioni rilevanti che eccedono lo standard d’accettabilità tecnologico; • montaggi o accoppiamenti di lamiere che presentano fessurazioni tali da causare infiltrazioni d’acqua o non garantiscono la resistenza strutturale del veicolo; • deformazione di visibile entità che richiede la sostituzione del particolare; • rottura, distacco, sfilamento o montaggio male eseguito di un particolare; • mancato montaggio di partricolar8i estetici, compresi tappi di fissaggio insonorizzanti su cofano motore e fissaggi rivestimenti del baule. Difetti di cataforesi La cataforesi è un trattamento superficiale di particolari d’acciaio, molto diffuso nel settore automotive, che conferisce una notevole resistenza alla corrosione. Alcuni difetti tipici della cataforesi (figura 2.188) sono:

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punti rotondi con linea sottile sulla calotta; particelle appiccicose tra cataforesi e fondo; puntinatura a bolle di colore diverso; aumento di spessore dovuto a inclusioni di vernice di natura diversa.

• tratti o punti di saldatura mancanti o mancanza di più punti consecutivi che possono pregiudicare la sicurezza, la tenuta o il buon funzionamento del particolare; • spruzzi o sfridi in zone accessibili e non, che possono provocare ferite o causare ossidazione; • impronte di punti di saldatura esterne o punti marcati con deformazione della lamiera in zone facilmente visibili anche dall’interno del veicolo, come ossature, vani, telaini delle porte e passa ruote. Anomalia estetica significativa Trattasi di un’imperfezione di lieve entità localizzata in zona facilmente accessibile, oppure d’entità maggiore ma posta in zona saltuariamente accessibile e che, pertanto, necessita di ricerche approfondite per ubicazione e per le condizioni d’illuminazione. Generalmente influisce sull’immagine del prodotto e lascia il cliente medio lievemente insoddisfatto. Esempi d’anomalie estetiche significative sono: • lieve alterazione di colore visibile solo in particolari condizioni di luce al confronto con zone adiacenti; • colatura ubicata in zona poco visibile, con fronte di scorrimento o goccia dal rilievo poco accentuato; • ritocco a pennello in zone poco visibili, quali vano motore, baule o portellone; • ammaccatura o bollo di piccola dimensione rilevabili solo con un esame approfondito; • impronte di punti di saldatura marcati in zone interne del veicolo, ma senza deformazione della lamiera; • grumi o fori o sfridi di piccole dimensioni, tali da non generare ossidazione o infiltrazioni d’acqua, ubicati in zone visibili.

Figura 2.188. Difetti tipici della cataforesi. a) Punti rotondi con linea sottile sulla calotta; b) vista in sezione del difetto a; c) particelle appiccicose tra cataforesi e fondo (vista in sezione); d) puntinatura a bolle di colore diverso; e) aumento di spessore dovuto a inclusioni di vernice di natura diversa (vista in sezione).

Anomalia estetica grave È un difetto visibile senza scrupolosa ricerca nel corso del controllo di un veicolo, girandogli attorno, entrando e uscendo, stazionando all’interno dell’abitacolo o aprendo e chiudendo il cofano o il baule. Denota insufficiente cura del costruttore e genera presumibilmente insoddisfazione del cliente medio. Esempi di anomalie estetiche gravi sono: • differenza di tonalità del colore di un componente visibile da più punti d’osservazione (di solito testimone di qualche riparazione); • colatura ubicata in zona visibile senza particolare ricerca, dovuta al fronte di scorrimento o a goccia; • ritocco con evidenti segni dell’intervento di riparazione (fumi, opacità, sfogliatura) o con particolari adiacenti imbrattati (guarnizioni, pannelli di rivestimento, ecc.); • ritocco a pennello in zone molto visibili con cambio di tonalità di colore (bordi, fiancate o vani porte); • vistose sbavature di sovrapposizione della vernice nel perimetro di zone di diverso colore (paraurti, colore vernice su fascia nera, longheroni sotto porta, fascia nera su colore della vettura, ecc.); • ammaccatura o bollo senza screpolatura della vernice visibile senza particolare ricerca;

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Fasi e conclusione del controllo visivo Le fasi del controllo estetico di un veicolo sono: • preparazione del veicolo e cioè: individuazione e prelievo del veicolo, pulizia e sua sistemazione complessiva, registrazione dei dati del veicolo; • controllo visivo effettuando un giro completo del veicolo; • controllo visivo del vano motore e del baule o del vano di carico; • controllo visivo dell’interno del veicolo. La conclusione dell’esame visivo avviene con la stesura del rapporto d’esame, sul quale si devono registrare tutte le anomalie o demeriti rilevati sul veicolo. Sulla base del rapporto d’esame visivo si procede alle riparazioni e se ne controlla l’efficacia con un accurato e ulteriore esame visivo delle riparazioni eseguite, verificando soprattutto che non abbiano generato altri inconvenienti. Endoscopia Nel settore automotive l’endoscopio è uno strumento indispensabile di controllo, in particolare per l’esame di: • cilindri e camere di combustione; • scarichi e sistemi catalitici; • scocche, chassis, telai e pezzi che agiscono sull’aerodinamica; • cambi, scatole guida, trasmissioni; • serbatoi, tubazioni, filtri; • testate, monoblocchi, basamenti, alberi motore, ecc.; • dispositivi d’alimentazione e distribuzione; • sistemi di frenatura, raffreddamento e climatizzazione.


In figura 2.189 sono dati alcune immagini che si ottengono con l’endoscopia nel settore automotive.

Figura 2.189. esempi di immagini endoscopiche nel settore automotive. 1) Valvola; 2) scarico; 3) distribuzione; 4) parete cilindro; 5 particolare testata; 6) telaio; 7) ingranaggio; 8) catalizzatore ceramico; 9) sede di stelo di una valvola.

Analisi d’immagine con metodo neuronale L’analisi d’immagine con metodo neurale cerca di riprodurre il modo giudicare del cervello umano e la sua adattabilità al mutare del fenomeno da giudicare. Esprime un giudizio complessivo su un fenomeno senza apparentemente ricorrere a numeri, ma usando criteri di giudizio appresi progressivamente (esperienza). Il metodo non costringe l’utente a impostare soglie numeriche e a scrivere nuovi software o a modificare l’esistente al variare del fenomeno osservato, viceversa è un interprete intelligente che tramite la ripetizione di una fase d’apprendimento o il suo miglioramento può adattarsi alla nuova situazione. Nell’esempio di figura 2.190, il sistema neuronale è in grado di riconoscere che le due forme d’onda sono diverse e appartengono a classi distinte. Se le due forme d’onda sono la rappresentazione ottenuta con opportune elaborazioni di altrettante immagini di oggetti, questi ultimi possono essere classificati, per esempio, come buono (classe 1) e scarto (classe 2).

Figura 2.190. Analisi d’immagine neuronale per riconoscimenti di difetti di saldobrasatura. Classe 1: cordone saldobrasato corretto; Classe 2: cordone saldobrasato scarto per la presenza di un foro centrale di Ø < 0,3 mm.

I difetti che si volevano rilevare nell’esempio citato erano irregolarità nel cordone di saldobrasatura, quali soffiature, distacchi del cordone, mancanze di materiale, che possono creare anomalie estetiche e funzionali durante la verniciatura. Il sistema d’analisi d’immagine neuronale usato era composto da una telecamera in posizione verticale rispetto al cordone di saldobrasatura e un emettitore laser posto a 45°, tale da proiettare una lama di luce di larghezza sufficiente per illuminare il cordone e parte della lamiera. Le immagini ottenute erano analizzate da un SW con algoritmo neuronale, con la fase d’apprendimento e quella fase di produzione. Durante la prima fase furono mostrate al sistema alcune immagini buone (per esempio la classe 1 di figura 2.190) e altre di scarto (per esempio la classe 2 di figura 2.190), in modo che potesse estrarre le informazioni necessarie per distinguere i due casi. Nella fase di produzione il sistema fu in grado di descrivere i vari difetti presenti sui cordoni saldobrasati. I tempi di risposta per l’acquisizione elaborazione e decisione del sistema erano di circa 60 immagini al secondo. BIBLIOGRAFIA • Anderson R.C. Inspection of Metals, Vol. I: Visual Examination. ASM American Society for metals, Metal Park, Ohio, USA, 1983. • AWS committee. Guide for the visual inspection of welds. ANSI/AWS B1.11-88 ANS. American Welding Society.1988. • Bertorelle E. Trattato di galvanotecnica, Vol. 1° e Vol. 2°. Hoepli Editore, Milano, 1974. • Bresciani F. e Peri F. Esperienze d’esame visivo sui serbatoi di stoccaggio per prodotti petroliferi. Atti del Convegno “Esame Visivo nei Controlli in servizio”, Milano, 6 dicembre 2000. • Cibaldi C. e Ghidini A. I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili. Volume terzo. Acciai da utensili. Edizione AQM Srl, Provaglio d’Iseo (BS), 2009. • Cibaldi C. I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili. Volume primo. Metallurgia di base. Edizione AQM Srl, Provaglio d’Iseo (BS), 2006. • Cibaldi C. I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili. Volume secondo, parte prima. Acciai speciali da costruzione. Edizione AQM Srl, Provaglio d’Iseo (BS), 2007. • Cibaldi C. I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili. Volume secondo, parte seconda. Acciai speciali da costruzione. Edizione AQM Srl, Provaglio d’Iseo (BS), 2008. • Cibaldi C. I criteri di scelta e di trattamento degli acciai da costruzione e da utensili. Volume quarto. Diagnosi dei difetti metallurgici. Edizione AQM Srl, Provaglio d’Iseo (BS), 2010. • CSWIP. Certification scheme for weldment inspection personnel. Document n°: CSWIP-DIV-7-83 (UT, VT, PT). CSWIP,1983. • IIS. Prove non distruttive. Esame visivo (VT). Edito a

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rano sotto sforzi ciclici, come le rotaie, gli alberi di cinematismi meccanici, travi per ponti, ecc., perché non si osservano finché la struttura o il pezzo non cede di schianto dopo la loro propagazione progressiva (fatica). Poiché la parte superiore dei lingotti è generalmente più propensa ad accogliere coni di ritiro primari e segregazioni importanti, i pezzi costruiti con l’acciaio proveniente da questa zona sono statisticamente più soggetti a guasti e ad avarie da fatica. Segregazioni L’acciaio è una lega ferro-carbonio che contiene normalmente varie impurezze di altri metalli e metalloidi, oltre ad eventuali elementi di lega. Quando l’acciaio è liquido, tutti gli elementi di lega e le impurezze sono sciolti e distribuiti omogeneamente. Tuttavia, quando l’acciaio solidifica tende a generare cristalli meno ricchi di elementi di lega, perciò questi ultimi s’accumulano negli spazi interdendritici e anche nel liquido residuo. Inoltre la solubilità delle impurezze, specialmente quella del fosforo e dello zolfo, diminuisce bruscamente nel solido; quindi le impurezze s’accumulano nel liquido residuo, man mano procede la solidificazione. Poiché la solidificazione incomincia dalla periferia e prosegue verso il centro, in questa regione si accumulano le impurezze. La parte centrale o il baricentro termico dei lingotti e dei getti è l’ultima a solidificare, perché lì il raffreddamento è più lento, ma anche perché le impurezze (specialmente il fosforo) abbassano la temperatura di solidificazione del metallo. L’accumulo di impurezze nella parte centrale o nel baricentro termico dei lingotti e di alcuni getti d’acciaio si definisce macrosegregazione. La composizione chimica dell’acciaio del lingotto o del getto può, pertanto, evidenziare significative variazioni da zona a zona, essendo l’acciaio più puro in periferia e al piede e più impuro al centro, soprattutto presso il cono di ritiro (zona materozza). La differenza della composizione percentuale relativa non è particolarmente elevata per il silicio e il manganese, è media per il carbonio e molto alta per il fosforo e lo zolfo. La macrosegregazione non sarebbe importante se la variazione di composizione chimica non determinasse le proprietà meccaniche delle leghe. Come noto, le regioni che contengono zolfo, fosforo o entrambi oltre certi limiti, possiedono caratteristiche meccaniche inferiori e talvolta scadenti. L’acciaio diventa più duro e fragile, meno duttile e contiene bande deboli favorevoli alla propagazione delle cricche. Per questo motivo, negli ordini dei prodotti d’acciaio, è giusto fissare con un certo rigore i limiti massimi tollerati per la concentrazione di alcuni elementi, considerati impurezze. La loro verifica è condotta con l’analisi chimica di un campione prelevato in modo da rappresentare la composizione media del materiale. È necessario sottolineare che l’analista deve porre molta attenzione durante il prelievo del campione destinato all’analisi. Se un campione è prelevato con una punta da trapano, nel caso penetri poco (come in figura 3.54 posizione A), otterrebbe una composizione più pura della media del pezzo. Il contrario otterrebbe se la punta da trapano penetrasse come nella posizione B. Solo il campione prelevato come in C è quello che più s’avvicina alla composizione media.

A B C

Figura 3.54. Schema della sezione di un prodotto laminato con segregazione centrale, che rappresenta tre diversi modi di prelevare trucioli per l’analisi chimica. Il modo C approssima di più la composizione media del prodotto.

Il campione che realmente rappresenta il valore medio è quello ricavato con la piallatrice o fresatrice da tutta la sezione trasversale del pezzo, soprattutto se si tratta di un prodotto laminato. Se questo metodo di prelievo non è possibile, è consigliabile forare con una punta da trapano tutta la superficie della sezione trasversale, evitando di avvicinarsi troppo ai bordi del pezzo. Tali metodi costituiscono la forma più corretta per ottenere un campione di composizione media. Poiché le impurezze, principalmente il fosforo e lo zolfo, diffondono con grande difficoltà, la segregazione permane nel prodotto finito, dove può essere evidenziata, come schematizzato in figura 3.55. Spesso mantiene traccia della sua forma originale nonostante le pesanti lavorazioni di formatura a caldo e i trattamenti termici eseguiti.

Figura 3.55. Schemi della disposizione della segregazione che frequentemente s’incontra nelle sezioni di prodotti laminati, fucinati o stampati.

Durante la laminazione e fucinatura o stampaggio dell’acciaio, la zona segregata si deforma meno della zona periferica, per la sua maggiore durezza e posizione centrale. Per questo, osservando la sezione trasversale di certi profilati, si vedono talvolta tracce nitide, che ricordano la forma della segregazione nella sezione trasversale del lingotto di partenza e quindi del lingotto stesso (figure 3.56, 3.57, 3.58, 3.59). Nei grandi lingotti, il raffreddamento è più lento e favorisce una segregazione più intensa, perché c’è più tempo per gli strati che solidificano progressivamente di respingere le impurezze nel liquido residuo. Di solito, nei lingotti più piccoli la segregazione è meno accentuata. Lo stesso vale per i getti. Le segregazioni molto accentuate si trovano negli acciai comuni fabbricati con meno cura e più impuri. Negli acciai di migliore qualità, più puri, e negli acciai speciali, la macrosegregazione, se esiste, è poco evidente. Di qualsiasi forma sia, la segregazione è sempre un’imperfezione e si dovrebbe prudentemente evitare soprattutto nei pezzi di sicurezza destinati ad urti, sollecitazioni dinamiche, alternate e/o cicliche. Ciò vale quanto più è accentuata la segregazione.

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Figura 3.59. Sezione trasversale di un tubo d’acciaio fabbricato con processo Mannesmann. Segregazione centrale tendenzialmente quadrata come la forma iniziale nel lingotto di partenza. Attacco persolfato ammonico. 1,5 x circa. Figura 3.56. Sezione trasversale di una barra tonda d’acciaio con segregazione centrale quadrata, che mantiene la forma che aveva nel lingotto di partenza. Attacco iodico. 1 x circa.

Figura 3.57. Sezione trasversale di una barra rettangolare d’acciaio con segregazione centrale pure rettangolare deformata dalla laminazione, che mantiene approssimativamente la forma che aveva nella bramma di partenza. Attacco iodico. 0,8 x circa.

Figura 3.58. Sezione trasversale di una barra tonda d’acciaio con segregazione centrale alquanto deformata, definita da una linea continua scura quadrangoloide, che ricorda la forma quadrata della segregazione iniziale nel lingotto di partenza. Attacco iodico. 2 x circa.

Struttura dendritica I metalli solidificano sempre in forma cristallina, che inizia con la formazione di piccoli nuclei in tutti i punti dove il metallo fuso raggiunge un sufficiente sottoraffredamento rispetto alla temperatura di solidificazione. Questi piccoli cristalli così formati e chiamati nuclei o centri di cristallizzazione s’accrescono per solidificazione progressiva di altro metallo, che si deposita in direzioni preferenziali, definite assi di cristallizzazione, dando luogo a forme arborescenti. Nelle leghe ferro-carbonio, come in molti altri metalli che cristallizzano nel sistema cubico, gli assi di cristallizzazione sono tre e ortogonali fra loro. Ciascun asse s’accresce in modo diverso e ne emette altri progressivamente finché tutta la massa si solidifica. La figura 3.60 illustra schematicamente come si forma un cristallo.

Figura 3.60. Accrescimento di una dendrite equiassica.

All’insieme di ciascun asse principale con i suoi assi secondari si dà il nome di dendrite, dovuto alla somiglianza con la ramificazione arborescente, che in greco si dice dendron. L’accrescimento della dendrite è limitato dall’incontro dei suoi assi con quelli delle dendriti circostanti e, terminata la solidificazione, ciascuna dendrite costituisce un cristallo dai contorni irregolari. La dendrite è anche un grano primario (si forma dal liquido) in formazione. Per il meccanismo esposto, poco dopo la loro completa solidificazione, tutti i metalli, sono costituiti da numerosissimi grani saldamente uniti, ciascuno con un orientamento cristallografico indipendente da quelli vicini. Così come la parte centrale di un lingotto possiede un tenore più elevato di impurezze, dovuto al fenomeno della segregazione, per lo stesso motivo anche la parte che solidifica per ultima tra i rami delle dendriti e nello spazio tra dendriti contigue, possiede una maggiore concentrazione di impurezze rispetto agli assi che sono solidificati per primi. Sebbene la segregazione interdendritica, o microsegregazione, sia meno intensa della macrosegregazione, esercita una notevole influenza sul metallo, spesso negativa.

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Quando l’acciaio è sottoposto a deformazione plastica con la fucinatura, laminazione o stampaggio, le dendriti e la microsegregazione si allungano nella direzione di stiratura, generando la struttura a bande o fibratura, poco percettibile nella sezione trasversale, ma assai evidente in quella longitudinale (figura 3.61).

trale con grani sostanzialmente equiassici, una fascia esterna di grani allungati e normali alla superficie (cristallizzazione colonnare) e un sottile strato con grani finissimi a cristallizzazione equiassica che si sono formati per primi a contatto con la superficie della lingottiera, per elevato sottoraffredamento.

Figura 3.61. Schema della deformazione progressiva della struttura dendritica e formazione della struttura a bande di un acciaio, tramite laminazione o fucinatura.

Quando le dendriti s’accrescono nel liquido, lontano dalle pareti dello stampo o della lingottiera, l’accrescimento senza ostacoli dà origine a grani equiassici, cioè senza orientamento preferenziale. Statisticamente si può contare lo stesso numero di grani orientati in ogni direzione. Inoltre, l’accrescimento degli assi dendritici nelle tre direzioni è praticamente identico, per cui ogni grano assume una forma pressappoco ottaedrica. Invece, vicino alle pareti della lingottiera o della forma, gli assi delle dendriti ortogonali alla superficie si sviluppano molto più degli altri, perché quelli laterali interagiscono con quelli dei nuclei vicini e consentono al ramo principale di svilupparsi liberamente in direzione opposta al flusso di calore, cioè ortogonalmente alla superficie. Per questo i grani sono lunghi e perpendicolari alle pareti della lingottiera o dello stampo (figura 3.62).

Figura 3.62. Accrescimento delle dendriti vicino alle pareti degli stampi o delle lingottiere.

Esaminando sezioni di lingotti o getti, preparate convenzionalmente, si osservano frequentemente macrostrutture come quelle schematizzata in figura 3.63: una zona cen-

Figura 3.63. Schema della cristallizzazione spesso incontrata nelle sezioni trasversali dei lingotti.

Le dendriti di grandi dimensioni danno origine a grani grossi e a maggiore concentrazione di impurezze nelle zone interdendritiche rispetto a quanto accadrebbe nel caso di dendriti e grani più piccoli. Perciò gli acciai grezzi di colata con grana grossolana sono generalmente più fragili di quelli a grana più fine. Nel caso particolare delle dendriti colonnari, le impurezze disposte ai bordi costituiscono linee su piani più fragili, dovuti alla minor duttilità e resistenza per la maggiore densità di impurezze. Tensioni interne elevate o brusche deformazioni possono innescare e favorire la propagazione di fratture lungo questi piani. La situazione è simile a quella di un foglio di carta con numerosissimi piccoli fori: se i fori sono allineati a partire dalla periferia, sarà molto più facile strappare il foglio lungo gli allineamenti, rispetto al caso di fori distribuiti casualmente, in modo omogeneo e non allineati, come illustrato in figura 3.64.

Figura 3.64. Schemi della distribuzione delle impurezze, uniforme o allineata con segregazione centrale, paragonabili a fogli di carta bucati con piccoli forellini. La distribuzione omogenea dei forellini è assai meno negativa sulla resistenza meccanica del foglio.

Quando un getto presenta spigoli vivi, ad angolo retto per esempio, la linea d’incontro delle dendriti colonnari che s’accrescono sulle due facce adiacenti è quasi la bisettrice dell’angolo. L’aderenza dei grani che s’incontrano lungo

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