TB Magazine Marzo 2011

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LA MIA

POVERTÁ Dopo aver letto il nostro articolo sui brindisini costretti a rivolgersi alla Caritas, un lettore ha preso carta e penna per raccontarci la sua odissea. Il risultato? Un racconto struggente e commovente. Una storia amara, ma anche una lezione per tutti. Ve la proponiamo, perché possa dare la forza di reagire a chi oggi si trova nelle stesse condizioni in cui si è trovato il nostro lettore.

BASKET E POLITICA? MEGLIO IL VINO! Angelo Maci, presidente delle Cantine Due Palme, smentisce le voci che lo davano come futuro vicepresidente dell’Enel Basket o candidato al Parlamento: «Amo troppo il mio lavoro, e voglio difendere i nostri terreni dal fotovoltaico».

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TB EDITORIALE

N O N R E S TAT E A GUARDARE

Un giornale nuovo, e un giornale che cambia LA NOSTRA AZIENDA HA PUBBLICATO PUGLIA-MAGAZINE, UN PERIODICO CHE INTENDE ESSERE UN MANIFESTO PER LA PUGLIA MIGLIORE. MA CI SONO NOVITÁ IMPORTANTI ANCHE PER TB. DAL PROSSIMO MESE.

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i consiglio di non perdere il prossimo numero di TuttoBrindisi. E state tranquilli che sarà ancora più facile trovarlo in giro, visto che passeremo dalle attuali 5000 a ben 12.000 copie. Quello di aprile sarà un numero speciale non solo perché la tiratura sarà più che raddoppiata, ma anche per il nuovo formato del giornale (leggermente più piccolo), per la grafica (ancora più moderna) ed i contenuti (sempre più ricchi). Il TB del prossimo mese, inoltre, guarderà e parlerà all’intera provincia, perché sarà distribuito anche a Mesagne, Francavilla, Ostuni, San Pietro Vernotico, Fasano. Insomma, continuiamo la fase di crescita, investendo in tempi di crisi, come consigliano di fare i grandi esperti di economia e marketing. A tal proposito, permetteteci di dedicare due righe alla nostra nuova creatura editoriale, PugliaMagazine, in distribuzione da qualche settimana

negli aeroporti di Puglia, negli hotel (a quattro e cinque stelle) della regione, e negli eventi fieristici più importanti che si tengono in Italia e all’estero, a cominciare dalla Bit e dal Vinitaly. PugliaMagazine è un periodico (che nasce come semestrale ma punta ad essere qualcosa in più...) che intende promuovere la Puglia migliore: le aziende, gli uomini, le città, gli eventi, i luoghi. È scritto in italiano e inglese perché vuole raccontare la nostra realtà ai turisti, sempre più numerosi, che arrivano da queste parti. E a quelli che arriveranno. È uno strumento di promozione del territorio. Di tutto il nostro territorio, da Lesina a Leuca, senza distinzioni di sorta. Perché un territorio è grande, o lo diventa, quando il suo popolo marcia unito. Altro che Regione Salento. Per il lettore di TB sarà difficile trovare una copia di PM. Ma se volete, potete sfogliare il magazine sul nostro sito: www.fabiomollica.com. info@fabiomollica.com

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LA MIA

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ica è facile. Da dove deve iniziare uno che vuole raccontare di quando è stato povero? I ricordi di quel momento della mia vita vogliono uscire dalla mia mente in maniera disordinata, sgomitano fra di loro, s’accavallano, non riesco a dare la precedenza all’uno o all’altro, sono tutti importanti e fanno tutti male. Mi è stato gentilmente chiesto di raccontarli nella speranza che qualcuno possa trarne un vantaggio, un misero aiuto morale. Dovendo raccontare di un pezzo alquanto triste della mia vita, non riesco a scegliere belle parole per colpire l’attenzione, non riesco a formulare dei concetti grammaticalmente perfetti, perché al momento non ho voglia di spacciarmi per un novello scrittore. Ho solo voglia di far sfogare la mia anima più volte calpestata e derisa. Per tale motivo vi

POVERTÁ Questo è uno dei testi più belli ed emozionanti mai pubblicati da TB. Ce lo ha inviato un nostro lettore, dopo aver letto il numero di febbraio, che ospitava un reportage sui “poveri fantasma”, dei quali spesso non ci accorgiamo, ma che i volontari della Caritas di Brindisi ogni giorno aiutano. Leggetelo tutto. Perché è utile a tutti.

prego di non darmi colpe ove risultasse una forma di scritto povero: preferisco lasciare l’eleganza al sarto. Non ho più niente di cui vergognarmi, mi hanno spogliato di tutto, nel vero senso della parola, l‘unica cosa che la povertà non mi ha tolto è la dignità. È pazzesco il solo pensare d’essere poveri e rimanere a testa alta perché la gente, anche quella “buona”, te la piega, la testa. Quando sei povero, sembra che non ti è dato avere dignità, sei solo “colpevole” di quanto ti succede, è solo colpa tua, non sono ammesse scuse, attenuanti: se ti togli di mezzo è meglio per tutti. Questo è il pensiero della maggior parte delle persone quando vedono un povero, di qualsiasi “livello” o razza. Lo si aggira, il povero, non gli si va incontro. Lo si ghettizza, il povero, perché è “sporco”. Sembra di rivedere l’uso da parte degli antichi di abbandonare i lebbrosi a se stessi. Come se la povertà

«Non ho più niente di cui vergognarmi. Mi hanno spogliato di tutto, nel vero senso della parola. Ma non mi hanno tolto la dignità». portasse contagio. Sbagliato, la povertà può colpire chiunque, la povertà è cieca, come la fortuna. Non distingue, non scende a compromessi, è ladra perché arriva a toglierti anche quel

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STORIE

poco che hai. Quando s’incomincia a credere che stai per diventare povero in realtà già lo sei, quindi la povertà non conosce il tempo. Non ti dà il tempo. La povertà non si può immaginare, quindi tutti quelli che asseriscono che riescono a capire chi soffre in povertà sono in errore, perché solo chi è povero (o lo è stato) può capire un altro povero. Gli altri no, non possono nemmeno lontanamente immaginare cosa voglia dire essere povero,

agli assistenti sociali (utili nel ben parlare ma limitati, purtroppo), alla chiesa (ma non potevano nulla contro la legge). Infaticabile la povertà, quando mi portò via la mia modestissima auto (sequestrata dai carabinieri perché sprovvista d’assicurazione). Nonostante tutto

stato ancora più tragico perché abbiamo perso l’identità. Non sapevamo più cosa eravamo, senza un lavoro, senza una casa. Ma l’uomo, anche quando è al tappeto, se ha volontà di non “morire”, risorge, in tutti gli aspetti della parola.

«La povertà toglie il fiato ed il sonno, ma anche l’appetito. Bizzarro vero? Un povero dovrebbe avere fame. Ma l’indifferenza sazia. Credetemi». farebbero migliore figura a rimanere zitti. Estremo rispetto per i volontari della Caritas, che magari poveri non sono, però la povertà la vivono concretamente donandosi agli altri. La povertà toglie il fiato ed anche il sonno. In alcuni casi toglie anche l’appetito (che già di per sè è il suo intimo amico) creando bizzarri paradossi. E si, è strano vedere un povero che non prova fame, quando in realtà dovrebbe averne. Ma l’indifferenza sazia, credetemi. Quando per mangiare hai bisogno degli altri, ti passa ogni voglia, ogni fantasia, basta la tua miserabilità a sostenerti. Basta vedere come gli altri ti guardano che ti passa l’appetito. Come si può constatare, i pensieri vengono giù a valanga, travolgono, non si possono ordinare, mi è impossibile contenerli. È passato qualche anno da quando ero povero (intendiamoci, adesso sono solo meno povero, non sono ricco, adesso non mi distinguo dalla massa che “s’atteggia” ma in realtà è ad un baratro, basta poco, un niente e vai giù), ma il pensiero che la mia famiglia si ritrovi a passare quanto da me sopra elencato, mi uccide, un po’ alla volta ma mi uccide. Dove sono finiti la mia spensieratezza ed il mio ottimismo?! La povertà mi ha lasciato un bel regalo: oltre i ricordi anche la paura. Avevo tanta speranza quando con mia moglie, dopo vari lavori e vicissitudini, mettemmo su un piccolo negozio. Già dall’inizio faticammo non poco ad avviarlo: tenerlo ci costò il primo sfratto di casa (si, ho detto bene, il primo di una lunga serie). Andammo a vivere in un casolare di campagna (freddo, maleddettamente freddo) con il nostro cucciolo (nostra figlia). Era il periodo di Natale, gli altri s’ingozzavano, festeggiavano goliardicamente, a noi rimanevano solo i caldi abbracci (insostituibili, inalienabili, invidiabili, unici, immensamente felici perché ci davano consapevolezza del nostro amore, della nostra forza, inattacabile, inscalfibile) con i quali sussurandoci dolci promesse ci riscaldavamo nel lettone, specialmente quando c’erano i temporali, che in campagna sono terribilmente amplificati. Indimenticabili le sere quando per via del maltempo andava via la luce. Ti ritrovavi a vivere come nell’ottocento, con la compagnia di una flebile luce di candela. Poi arrivava il giorno, e con lui la speranza che le cose si sarebbero aggiustate. Ingannatrice povertà, meschinamente hai perseverato, e noi insieme a te. Il risultato è stato dei peggiori. Sfratti (prendevamo una nuova casa, animati da una falsa prospettiva di un futuro migliore), sfratti, sfratti. Mi ricordo ancora la rabbia dei proprietari davanti al giudice (durante l’udienze di convalida), ricordo pure come io mi sentivo solo in mezzo ai lupi, ricordo ancora come questa gente non voleva credere alla mia povertà, ricordo ancora come mi perseguitavano, mi offendevano ed io che invocavo aiuto, al sindaco (nisba), al prefetto (esiste?),

questo, avevo sempre accanto la mia stella, la mia buona stella: mia moglie. Infaticabile (in apparenza, ma la cosa ha moralmente distrutto anche lei) a confortarmi. Avevo ancora come oggi il suono melodioso della risata di mia figlia, il mio orgoglio, la mia speranza. Maledetta la povertà che ci portò via anche la fede in Dio, noi che eravamo credenti e praticanti. Noi che quando stavamo “meglio” eravamo l’esempio della parrocchia,

Iniziammo a lavorare come lavapiatti, e questo bastava, anche se in maniera misera, a restituirci un’identità. Poi un’inserzione su un noto giornale di città, alla quale io non volevo dar retta. Solo grazie all’insistenza ed alla caparbietà di mia moglie decidemmo di rispondere all’annuncio. Un miracolo, un vero miracolo: ci prendono a lavoro entrambi (nel campo delle pulizie). Miracolo, l’ennesimo: abbiamo una casa, piccola, ma accogliente.

«Perdemmo la fede in Dio. Noi che eravamo l’esempio della parrocchia. Noi che avevano offerto ai poveri, ci ritrovammo a chiedere insieme ai poveri». in “prima linea”. Noi che abbiamo “offerto” ai poveri, ci ritrovammo a chiedere insieme ai poveri. Dove erano i nostri amici, dove stavano i nostri parenti? Abbiamo provato metaforicamente che cosa si prova a vivere nel deserto. La povertà genera il vuoto intorno. E purtroppo in questa condizione si è portati a pensare che gli altri hanno l’obbligo di aiutarti, ma in realtà non è così. Si ha il dovere morale di aiutare il prossimo, ma tra dovere e obbligo ce ne passa. L’indifferenza di quelli che prima ci esortavano a dare l’esempio, l’indifferenza di coloro che ci prendevano come esempio, ci allontanò prima dalla chiesa (sbagliando, sia chiaro), in ultimo da Dio. Che non “rispondeva” ai nostri lamenti (sbagliando ancora di più). Infida la povertà, perché non contenta, alla fine, come un cancro, si portò via anche il nostro negozio. Il dopo è

Dio non ci ha dimenticati. Con sacrifici, oggi abbiamo una macchina: rimane alto l’onere di doverla assicurare, ma ora possiamo, giostrando attraverso i debiti. È mio dovere ringraziare quanti (pochissimi in verità) ci sono stati vicini ed hanno creduto in noi. Un ringraziamento col cuore in mano, con l’anima inginocchiata, va all’istituto delle suore vicenziane, che hanno saputo asciugare le copiose lacrime della mia adorata moglie. Un ringraziamento speciale va a Fabio (direttore di TB), che ha ascoltato il mio dolore. Grazie a tutti, ma in maggior misura, pero’, a Dio, che non toglie la gioia ai suoi figli, se non per donargliene una ancora più grande. Lino R.

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SERVIZI AL CITTADINO

LA SANITÁ CHE VORREMMO SEMPRE A colloquio con gli utenti del NIAT, il centro di Neuropsichiatria infantile, dove si curano disturbi del linguaggio, della psicomotricità e di altro tipo. Un posto in cui non si compiono miracoli, ma...

STORIE DI CITTÁ di Iole La Rosa

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enza il NIAT tutto sarebbe stato più difficile, più lento. L’intervento degli splendidi operatori « incontrati, ha rafforzato il carattere di Davide, infondendo sicurezza a lui e a me». Sono le parole di una mamma, Fabiola, che come centinaia di altre mamme non smette di decantare la professionalità, la competenza e l’umanità degli operatori del NIAT acronimo di Neuropsichiatria Infanzia Adolescenza Territoriale, una struttura pubblica presente sul nostro territorio che ha come obiettivo lo stato di benessere psicofisico dell’infanzia e dell’adolescenza, con azioni volte a migliorare le condizioni di salute dei nostri piccoli da 0 a 18 anni e contribuire a garantire loro una migliore qualità di vita. Oggi Davide ha 6 anni e mezzo ed è un bambino con un carattere fortissimo, molto socievole e… una superpagella! «Se solo ripenso a quattro anni fa…», sospira Fabiola, con un sorriso che le illumina il viso e lo sguardo commosso. «All’età di due anni il mio bimbo non pronunciava alcuna parola. Durante un controllo il pediatra ci ha indirizzato al NIAT per un consulto». Si può immaginare lo stato psicologico di due genitori che prendono contezza che il proprio figlio può avere un problema! «Decisi ad affrontare la realtà, ci siamo recati al Centro Aperto convinti che Davide avesse bisogno di un supporto logopedistico». Dopo una valutazione complessiva, vista anche l’età del bambino (appena tre anni), un’équipe di esperti ritiene di avviare un percorso di psicomotricità, riuscendo in tal modo, attraverso il gioco e il movimento, a comprendere il bimbo sia sotto l’aspetto emotivo che affettivo. Nel frattempo Davide inizia a frequentare la scuola materna. «Il primo anno è stato un vero disastro, il bambino non comunicava, non socializzava, viveva in un mondo che pian piano diveniva

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solo suo» racconta ancora Fabiola: «Lo accompagnavo con assiduità al NIAT e lì, con la sua terapista in psicomotricità, Antonella Di Lorenzo, cominciava a fare i primi piccoli progressi. Anche le verifiche trimestrali e semestrali confermavano il nostro ottimismo». Al secondo anno di scuola materna a Davide viene assegnata un’insegnante di sostegno che lo aiuta nella relazione con i compagni, nella socializzazione con il gruppo, nel recupero della grafica: «Siamo stati fortunatissimi anche con l’insegnante di sostegno. Prima del suo intervento il mio bambino non riusciva a calcare la penna o la matita sul foglio!». Intorno ai 5 anni Davide avvia, in aggiunta alla psicomotricità, il trattamento logopedistico. In compagnia di Flavia Iurlaro, una delle bravissime logopediste del centro, trascorre circa un anno, mentre a scuola continua a ricevere il sostegno. Al terzo anno di scuola materna Davide è l’unico bambino della classe a saper leggere e scrivere. «Ricordo ancora il momento in cui lesse una letterina, in classe, davanti a tutti. Ho ancora le lacrime agli occhi al solo pensiero», racconta commossa Fabiola. Prima dell’inserimento presso la scuola elementare, Davide è affiancato da un’assistente, ma non si ritiene di dover procedere oltre. Oggi il rapporto si è interrotto, perché il piccolo non ha più bisogno di assistenza, ma ha una grande nostalgia del suo angelo, Antonella. «Il supporto che Davide e tutti noi della famiglia abbiamo ricevuto all’interno del Centro Aperto è stato straordinario. Gli operatori mi hanno appoggiato in tutto, sono stati la mia ancora di salvezza, mi hanno sempre guidato ed accompagnato lungo il percorso intrapreso», conclude la mamma. TUTTO PER I BAMBINI Qui l’attenzione di tutta la struttura è diretta al bambino, alle sue esigenze e necessità. «Ogni azione ed ogni intervento sono infatti diretti ad ottenere il miglior risultato sia per l’integrazione scolastica che per la clinica e la riabilitazione», spiega la dottoressa Graziella Di Bella, direttore del NIAT, nonché direttore del più ampio Dipartimento di salute mentale

(Dsm). È proprio grazie alla sua tenacia che nel 1996 il NIAT è sorto e si è strutturato. Sono stati creati i singoli centri aperti, selezionato il personale, è stato

A sinistra la signora Clotilde con il figlio Tiziano. Qui sopra alcuni operatori e assistenti del NIAT. A destra, invece, la direttrice Graziella Di Bella.

avviato un forte coordinamento con i comuni: «È stata una sfida, fortunatamente vinta! È così che è nata una storia comune, un progetto comune, grazie ad un lavoro costante, silenzioso e di abnegazione che coinvolge tutti, indistintamente», dice con orgoglio. Oggi il NIAT ha una direzione, un ufficio di coordinamento provinciale e centri aperti, unità di psicologia clinica e pedagogica, qualità e integrazione in rete, a Brindisi, Fasano, Francavilla Fontana, Carovigno, Latiano, Cellino San Marco. Abbiamo chiesto alla Di Bella quali sono le competenze specialistiche necessarie affinché un servizio pubblico abbia questa efficienza. «Il benessere, la salute mentale, la riabilitazione dell’età evolutiva richiedono una specifica competenza

specialistica, un elevato livello d’integrazione con altre strutture, un’articolazione di servizi che preveda unità operative e competenze estese territorialmente». I risultati si ottengono grazie alla sintesi diagnostica, alla collaborazione in équipe multidisciplinare composta dalle numerose figure professionali esperte nel campo dell’età evolutiva: neuropsichiatri infantili, psicologi clinici, fisioterapisti della neuropsicomotricità, logopedisti, un fisiatra, assistenti sociali, un educatore professionale, pedagogisti, supportati da assistenti di integrazione scolastica per l’autonomia, assistenti al centro, assistenti all’integrazione scolastica, autisti ed accompagnatori. Il bambino è esaminato da angolazioni diverse, professionalità in grado di esprimersi al meglio. La procedura prevede la valutazione, la diagnosi, la presa in carico, che sfocia in un progetto terapeutico per i casi di autismo, balbuzie, tic, fobie, ansie, somatizzazioni, disturbi del linguaggio, dell’attenzione». Il NIAT della provincia di Brindisi è un fiore all’occhiello in Puglia. È l’unica unità operativa della regione che fornisce un servizio di neuropsichiatria infantile e dispone di una rete capillare d’intervento


informati continuamente. La struttura ha un’organizzazione capillare. Nulla è lasciato al caso! Spesso sono gli stessi operatori a contattarci ed aggiornarci”, esordisce Clotilde, mamma di Tiziano, un adorabile bambino di 9 anni, in trattamento per la correttiva posturale: «Mi descrivono gli esercizi che il bambino esegue durante gli incontri e la signora Mirella Maglio, con tanta pazienza, mi indica come eseguirli a casa. Ciò che da subito mi ha impressionato positivamente

che prevede la presa in carico del bambino sulla base dei tre punti essenziali: integrazione scolastica, clinica, riabilitazione. Nel 2006 il NIAT è stato inserito nel dipartimento di salute mentale (Dsm): «Auspichiamo un dipartimento di neuropsichiatria infantile che possa fornire maggiori servizi, compresi quelli ospedaliero e residenziale». Purtroppo però bisogna sempre confrontarsi con la scarsa disponibilità di risorse economiche e i bambini, in tale suddivisione, sono penalizzati. «Il bambino non è pericoloso… però non si considera che un bambino cresciuto male può diventarlo! I bambini non possono chiedere a gran voce ciò di cui hanno bisogno, perchè non hanno voce per gridare!». TRASPARENZA E COINVOLGIMENTO Un altro aspetto importante è la trasparenza del contratto terapeutico che mette i genitori a conoscenza del percorso intrapreso con il bambino, con un coinvolgimento totale degli stessi. «Siamo stati resi partecipi, coinvolti e

è stato il serio approccio con il quale è affrontato il singolo caso, il valido lavoro in équipe e l’umanità degli operatori nello svolgimento degli interventi. Percepisco che tutti qui hanno preso a cuore il mio Tiziano, così come avviene con tanti altri bambini, e sento che il nostro problema è diventato il loro!». «Mirella mi fa sentire forte!», dice intimidito Tiziano, guardandoci con i suoi occhioni chiari, «pretende molto impegno da parte mia, e io le voglio tanto bene». Tiziano ha trovato in Mirella il suo angelo. «Il rapporto tra i due è basato sul dialogo e sull’amore che la signora Maglio riversa sui bambini e sul proprio lavoro, arricchito da un costante approfondimento di tecniche innovative!”, conclude l’attivissima Clotilde.

La dottoressa Anna Rita Greco, responsabile dell’unità operativa di psicologia clinica e pedagogica, sottolinea che la diagnosi precoce e la cura attraverso la psicoterapia in età evolutiva, preservano il futuro di adulto, garantendo un valido servizio, non solo per il singolo ma, per l’intero territorio. «L’esperienza, sperimentata da 15 anni, ci permette di riscontrare che nella quasi totalità dei casi i bambini seguiti dal NIAT non hanno presentato ulteriori patologie in età adulta. «Spesso per le famiglie», continua la Greco, «si tratta di intraprendere iniziative difficili, faticose psicologicamente e costose. Il nostro è un servizio gratuito, esente da ticket, che va valorizzato e promosso». Il lavoro svolto dalla struttura è rivolto ai bambini ed ai genitori, costantemente aggiornati e supportati. Il mercoledì mattina, ad esempio, si svolge una terapia di gruppo di mamme, che hanno così l’opportunità di confrontarsi, esternare le proprie sensazioni ed emozioni, individuare dei punti di riferimento che, nella maggior parte dei casi, sono fondamentali per il benessere dell’intero nucleo familiare. Maria e Francesco, i genitori della dolce Francesca Maria Stella, affetta da una sindrome purtroppo ancora sconosciuta, raccontano: «Siamo arrivati al NIAT grazie al passaparola tra le famiglie. Abbiamo ricevuto un importante, insostituibile supporto psicologico. Nessuno può immaginare quanto queste persone possano fare per una famiglia! Quando abbiamo raggiunto il centro aperto di Brindisi ci trovavamo in uno stato psicologico molto labile, volevamo risposte, desideravamo che qualcuno ci ascoltasse, che potesse essere accondiscendente rispetto a ciò che ci passava per la mente, le nostre insicurezze e convinzioni. Abbiamo ricevuto tutto ciò di cui avevamo bisogno, sapevamo di poter contare su qualcuno, e questo ha contribuito ad aiutare la nostra famiglia a mantenere un equilibrio al suo interno». Francesca Maria Stella da 14 anni è seguita dalla fisioterapista, Patrizia D’Astore, che ha con la ragazza un rapporto d’affetto e grande empatia. «Latiano è il nostro centro di riferimento. Ci sono ottimi collaboratori, ma non riusciamo a staccarci dalle persone del centro di Brindisi - racconta Francesco -. È un rapporto umano, prima che professionale. Grazie a loro la mia famiglia ha potuto dare un senso, farsi una ragione della disabilità di mia figlia. È un servizio pubblico che funziona, forse non sufficientemente pubblicizzato!» NUOVI PROGETTI IN ARRIVO

Dal primo febbraio scorso il team del NIAT si è arricchito di una nuova figura, un fisiatra, competente nella riabilitazione neuromotoria infantile. È il dottor Francesco Cavallo. «Il NIAT rappresenta in Italia l’unico servizio di psichiatria infantile certificato”, spiega la dottoressa Maria Teresa Corrado, responsabile del sistema qualità. «A far data dal 2001, abbiamo raggiunto un sistema qualità che scaturisce dalla stessa attività svolta dagli operatori, i quali, di volta in volta, contribuiscono a perfezionare le procedure». Il NIAT sviluppa anche progetti ed iniziative per la prevenzione dei disturbi dell’età evolutiva. Il progetto Lalla 1, per esempio, indirizzato ai bambini in età prescolare, 4-5 anni, ha l’obiettivo di aiutare i bimbi che presentano problemi nello sviluppo del linguaggio e che, se presi in tempo, possono prevenire disagi nella scuola elementare. Il progetto Lalla 2, invece, non ancora avviato, è destinato a bambini che manifestano disturbi come la balbuzie e altre disfluenze verbali. Il progetto Carezza, avviato già dal novembre 2008, prevede un servizio di Massaggio Neonatale rivolto a tutti i neogenitori di bambini di età compresa fra zero e otto mesi. L’obiettivo del massaggio infantile è quello di favorire un armonico processo d’attaccamento tra genitori e bambino, facilitando la comunicazione e la relazione reciproca. Sempre nell’ambito delle iniziative di prevenzione, è importante menzionare il “Progetto sulla depressione infantile”, in applicazione delle linee guida dell’Associazione Nazionale di Neuropsichiatria Infantile. L’iniziativa coinvolge le scuole elementari e medie, al fine di fornire a genitori ed insegnanti le informazioni utili a riconoscere precocemente i primi segnali o sintomi depressivi, e consentire agli operatori e servizi specializzati, un approfondimento diagnostico ed un’eventuale presa in carico precoce. Finalità diversa ha il “Progetto sulla dislessia”, che nasce dalla collaborazione tra i pedagogisti e l’Associazione Italiana Dislessia (AID). Sulla base di linee guida internazionali, si è proceduto a codificare metodi e sistemi compensativi e dispensativi, illustrati da esperti pedagogisti, presso le scuole, per garantire la buona fruizione del servizio scolastico ai bambini affetti da dislessia. Dal mese di novembre 2010 il NIAT ha sede presso l’ex Ospedale Di Summa. Al momento le condizioni strutturali sono precarie, con uffici e locali dislocati in padiglioni e piani differenti. Speriamo che il disagio sarà presto superato e che verrà riconosciuta l’adeguata dignità ad un servizio pubblico prezioso, fornendo a quanti vi operano, gli strumenti perché possano offrire le ali ai nostri figli, per permettere loro di spiccare il volo al di sopra di qualsiasi difficoltà o ostacolo. E contribuire a migliorareTBla qualità della vita dell’intera società.

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ECONOMIA CITTADINA

I COMMERCIANTI SI LAMENTANO. MA ANCHE NOI CONSUMATORI... «Non tutti i negozianti svolgono al meglio il loro lavoro», dice Emanuele Corvetto, che se la prende con chi non apre la domenica, con quanti sanno solo piangersi addosso, o non riesce a soddisfare i clienti. Che se ne vanno altrove.

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icuramente vi sarà successo di dover comprare qualcosa, di dover fare un regalo, di recarvi in centro con la speranza di poter spendere un po’ di soldi e rincasare con quanto desiderato. È cosa comune concludere un’affannosa ricerca con un buco nell’acqua, desiderare ardentemente qualcosa e ritrovarsi solo con un mucchio di sogni infranti. È su questo tipo di principi che si basa lo shopping e tutto l’ambito dell’advertising, del commercial, il consumismo in genere. Devi desiderare le cose, devi volerle con tutto te stesso, devi reputarle indispensabili in modo che poi tu possa uscire di casa, entrare in un negozio e comprarle! Ecco, è proprio qui che noi abbiamo un problema. Se cerchi di comprare qualcosa ti accorgi sempre che non è così facile come credevi, ti rendi conto che il più non è convincerti che la vuoi, racimolare la grana ed uscire di casa, anzi, è proprio lì che iniziano le fatiche. Brindisi presenta molte attività commerciali serie ma a mio avviso, in generale, l’offerta che presenta al compratore è abbastanza scarna ed imprecisa. La prima sensazione che ti dà è che tutti vendano più o meno la stessa roba. La seconda

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sensazione, invece, è di essere sempre in ritardo o in anticipo, comunque inadatto. Inoltre, il cliente tipo può spesso avere la sensazione che vengano adottati due pesi e due misure. Vi è mai capitato di entrare in un negozio un giorno prima dei saldi e di chiedere lo sconto su una merce che andrà in saldo il giorno dopo e rimanere delusi? Vi è mai capitato di chiedere uno sconto su una cifra sostanziosa e di ricevere come risposta picche? E di entrare in più negozi e non trovare mai la taglia od avere l’impressione di cercare qualcosa che parrebbe vi siate inventati? Ovviamente non parlo dell’avvenimento casuale, mi riferisco ad un qualcosa di ripetitivo e continuo. Ripetitivo e continuo potrebbe essere entrare in un negozio in franchising e trovare un allestimento scarno, sempre, sapendo che quella linea offre molto di più, oppure trovare ogni volta tre XS e due XXL quando cercate una maglia… ad esempio. Si cade nel ripetitivo e continuo quando cerchi una taglia e non trovandola ricevi sempre le stesse risposte che, buttandola a caso, potrebbero essere: “Mi

spiace, l’abbiamo finito, anzi, era finito, l’abbiamo riordinato ed è terminato ancora!”; oppure ”Eh, queste cose se ne vanno via subito”. Ma come? Ma non si lamentano sempre tutti perché da noi non si vende nulla? Diciamo che qualche problema con gli affari ce l’abbiamo. Si sente spesso che da noi è tutto fermo, la gente non esce, la gente non compra, la gente non spende, la gente non ha iniziativa. Eppure mi sembra che più di qualcuno tiri bene a campare. Certo, a farne le spese tra i commercianti sono spesso gli ultimi arrivati, che aprono e chiudono a tempo record, ma

Fare il commerciante vuol dire curare i propri interessi e quelli del luogo. Sono legati a doppio filo ci sono attività più che longeve che non fanno assolutamente la fame, alcune perché sanno lavorare bene, altre perché sanno come battere la cassa e non hanno voglia di fare qualcosa in più che possa migliorare la loro condizione e quella della città. Diciamo le cose chiaramente: molti commercianti non vorrebbero altro che un pullman di clienti ricchi e spendac-


cioni venisse parcheggiato davanti al loro negozio ogni giorno... senza guadagnarselo. Un profitto frutto del niente. Perché a questo punto non pretendere direttamente i soldi anche a bottega chiusa? Sono spesso le stesse persone che si lamentano dei centri commerciali, che piangono continuamente miseria, quelle stesse persone che al mattino non aprono prima di una certa ora, che fanno gli orari che fa più comodo a loro infischiandosene di come si muove il resto della gente (degli uffici ad esempio), che non sono mai aperti la domenica,

che aprono tardi e chiudono presto perché tanto non ci sono clienti, che ordinano un pezzo per taglia o un solo modello perché tanto poi non vende, che ha “prezzi fissi” nonostante in tutta la provincia si possano acquistare le stesse cose a prezzi molto variabili, che l’estate chiude per due settimane anche se avrebbe personale per tenere aperta l’attività sempre riferendosi al fatto che tanto non si vende, che quando entri nel negozio cinque minuti prima della chiusura ti guarda con aria seccata e ti serve con sufficienza… Non direste anche voi che è la solita

storia del cane che si morde la coda? Le attività commerciali sono una parte fondamentale della vita di una città ed abbiamo bisogno di una sveglia anche in questo. Sento molte lamentele fondate e motivate in giro e vedo e conosco molti titolari di attività commerciali che aprono presto e chiudono tardi, che curano i dettagli ed i servizi, che trattano il cliente ma, d’altro canto, noto una grossa porzione di gestori pigri ed irrazionali che tirano in basso la barca del nostro giro di affari. Dal mio punto di vista, approdare in una cittadina il cui corso è una sfilata di serrande chiuse negli orari o nei giorni in cui la gente non lavora non è un dato da poco. Entrare in negozi in cui la merce o è terminata o ha un prezzo assolutamente invariabile non è un qualcosa da sottovalutare. L’immagine del posto ne risente, la vita del luogo ne risente, il benessere con i servizi vanno a farsi benedire. Sono tra quelli che reputano il condurre un’attività commerciale più un’arte che un lavoro, credo ci voglia estro, personalità, lungimiranza, carattere, fiuto, maniere, precisione. Bisogna sapersi presentare e saper fare la giusta impressione, saper creare un’atmosfera, ma vedo davvero pochi “artisti” in giro oggigiorno. La mia opinione è che la nostra città ha bisogno di un rilancio e questo deve prevedere obbligatoriamente la risoluzione dei problemi: “Brindisi = mortorio”, “Mi devo comprare una cosa, andiamo a Lecce”... Questa città ha bisogno dell’esperienza e delle capacità di chi sa fare il commerciante, il che comprende curare i propri interessi e quelli del luogo, giacché si è naturalmente legati assieme a doppio filo. Emanuele Corvetto

+SEXY +TB DA APRILE

TUTTOBRINDISI NUMERO 29 - MARZO 2011 TIRATURA 5000 COPIE Autorizzazione Tribunale di Brindisi n. 4 del 13/10/1995 Direttore Responsabile FABIO MOLLICA info@fabiomollica.com Grafica SALVATORE ANTONACI Stampa TIPOGRAFIA MARTANO (Lecce) Numero chiuso in redazione il 28 Febbraio Il prossimo sarà in distribuzione lunedì 11 aprile 2011.

www.fabiomollica.com Edizioni Effe Srl Prolungamento Viale Arno, sn 72100 Brindisi - Tel/Fax 0831550246 Le altre nostre pubblicazioni

PUGLIA MAGAZINE Uomini, imprese, eventi, luoghi, città. È distribuito negli hotel pugliesi, negli aeroporti di Puglia e nelle fiere internazionali in Italia e all’estero.

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ECONOMIA

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a nostra città è come un’adolescente alla ricerca « di una identità. È auspicabile che la trovi. Ma sono un po’ pessimista». Parole di Domenico Casale, preside della scuola media Marzabotto-Giulio Cesare, quella con più iscritti in tutta la provincia: 855. Parole amare, ma vengono da un uomo che da anni, con tutto il suo corpo docente e non docente, si sforza di dare una identità alla sua stessa scuola ed ai ragazzi che la frequentano, aprendosi al quartiere ed alla città. Lo scorso anno la Marzabotto-Giulio Cesare ha festeggiato i 50 anni di vita, e lo ha fatto chiedendo la collaborazione di brindisini illustri come il professor Massimo Guastella, il sociologo Emanuele Amoruso e don Peppino Apruzzi, parroco della chiesa del quartiere Commenda. Quest’anno invece l’attenzione è tutta puntata sui festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Un occhio alla storia ed uno al presente. Un presente che riconosce a questa scuola una ottima qualità del sistema formativo: «Alle prove Invalsi di quest’anno abbiamo ottenuto risultati di un certo prestigio, specie per le terze classi, che parteciperanno alle prove internazionali Iea. Siamo infatti uno dei 30 istituti italiani che sono stati selezionati per parteciparvi», racconta con una comprensibile punta d’orgoglio il preside. Del resto i risultati parlano chiaro: in italiano le

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LA SCUOLA CHE FUNZIONA

La media Giulio Cesare-Marzabotto primeggia nelle prove Invalsi e viene ammessa nella lista dei 30 istituti italiani che prenderanno parte alle prova internazionali Iea. La soddisfazione del preside, Domenico Casale.

prime classi hanno ottenuto punteggi superiori alla media nazionale e a quella delle scuole del Sud Italia. Le terze classi hanno superato medie nazionali, e medie territoriali (Sud e Nord Italia) sia in italiano che in matematica. Ottimi giudizi giungono anche dagli esami di certificazione europea Ket (inglese) e Delf A1 (francese). Ma il presente putroppo è fatto anche di difficoltà economiche e di idee da farsi venire per far quadrare i conti. Lo Stato taglia i fondi, e l’unico modo per andare avanti sono i corsi Pon. È grazie a questi corsi che negli utlimi anni sono nati l’aula informatica, il laboratorio linguistico e quello musicale, e sono state acquistate le lavagne interattive. «Senza i Pon non riusciremo a pagare neanche gli straordinari ai docenti». E invece la scuola deve continuare a perseguire i suoi obiettivi: «Quelli di educare alla socialità e alla convivenza civile, di istruire ai saperi fondamentali e alle conoscenze irrinunciabili, di incentivare allo studio delle lingue, e di avviare i ragazzi al linguaggio informatico e multimediale». Lo si fa attraverso le normali lezioni e con i progetti Pon. Ma anche, per esempio, facendo partecipare i ragazzi alla redazione del giornalino della scuola, L’Armilla, un periodico che racconta cosa avviene nell’istituto e nella propria città. Perché, come recita lo slogan riportato su un depliant di presentazione, la Marzabotto-Giulio Cesare è «Cultura, innovazione, convivenza civile. È fare, sapere, essere».


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GUIDO GIAMPIETRO storie nostre

LA SINDROME DELL’APPARIRE

Speravo che nessun brindisino finesse al Grande Fratello. Invece...

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’era una volta il comune senso del pudore… Quella integerrima legge morale che avevamo dentro e che ci guidava anche in assenza delle regole e di tutti i solerti responsabili della loro applicazione. Il pudore: la più naturale guardia del corpo della nostra interiorità. Il semaforo personalizzato che, dopo un preavviso di giallo, s’illuminava di rosso senza bisogno dell’intervento castigante di censori alla Marco Porcio Catone. C’era una volta… appunto! Perché oggi, invece, viviamo in quella che è definita “l’era dell’indiscrezione”, dove si mostra e si guarda tutto senza provare più alcuna vergogna. Il comune sentimento del pudore è oramai qualcosa che si può trovare solo tra le bancarelle dei mercatini d’antan. E se non fosse che è ancora sanzionato dagli articoli 527 e seguenti del codice penale potremmo dire che sia già andato in pensione. Anzitempo e con buona pace di tutti. C’era una volta anche il rossore… Quello sul quale il filosofo e teologo danese Kierkegaard aveva discettato nel Diario del seduttore fino a formularne una dettagliata classificazione. Scriveva, infatti: «C’è il rossore grossolano, di fiamma, che i romanzieri attribuiscono alle loro eroine in gran quantità. C’è il rossore delicato, l’aurora dello spirito, stupendo in una ragazza. C’è poi il rossore momentaneo che accompagna un pensiero felice, bello nell’uomo, ancor più bello nell’adolescente, incantevole nella donna. È un lampo, uno sfavillio dello spirito: bellissimo nel ragazzo, ma incantevole addirittura nella ragazza, perché in esso si rivela la sua verginità, e con la verginità il pudore della sorpresa…». Purtroppo c’è da constatare come anche il rossore, a parte quello innocente dei fanciulli, sia andato in pensione. A questo punto si sarà affacciata più di qualche (legittima) domanda nel lettore: è per caso cambiata la linea editoriale di TB? Da quando, su queste pagine, si tengono lezioni di morale o, peggio ancora, si vuol fare del moralismo? Ma, soprattutto, che attinenza può avere un tale argomento con l’indirizzo accentuatamente territoriale scolpito - al pari di lettere su una lastra di marmo - nel Dna della rivista? Si tranquillizzi il lettore: è tutto regolare perché questo articolo prende le mosse da un episodio reale avvenuto, se non proprio in Brindisi-città, nel

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suo hinterland. Mi riferisco alla notizia, riportata largamente dagli organi di stampa locale, della partecipazione d’un giovane della provincia (oltre che unico pugliese) al reality show Grande Fratello 11 (come passa il tempo!), in onda su Canale 5, l’ammiraglia di Mediaset. E al successivo colpo di scena col quale il medesimo è stato inaspettatamente escluso dal casting e, con ciò, dall’oramai vicinissimo ingresso in quella che viene considerata “la casa più invidiata d’Italia”! Tanto premesso e, appurato perciò che ho pieno titolo a parlare d’un fenomeno dilagante come quello dell’«apparire», di questa ossessione orwelliana di mostrarsi in pubblico 24 ore su 24, dico subito che la notizia anche per me, oltre che per il giovanotto in questione e i suoi fans, è stata un autentico fulmine a ciel sereno. Perché era da un po’ che mi stavo compiacendo – in qualità di pugliese, salentino e brindisino – del fatto che nessuno si fosse ancora esibito su quel palcoscenico del GF, non proprio esaltante dal punto di vista del bon ton. Mi illudevo che ci fosse una Brindisi felix, un’isola felice nel mare tempestoso del chiasso mediatico e del gossip gratuito. Insomma, ero contento che nessun figlio di questa terra si fosse proposto per recitare in un teatrino dove è quasi sempre di scena la superficialità, la banalità e una genericità incolore, insapore, inodore. In definitiva, per usare un’espressione presa in prestito dal cardinale Ravasi, un luogo pieno di quella “nebbia culturale che oggi domina”. “Noi” siamo diversi, avevo pensato fino a quel momento. Evidentemente i nostri figli si differenziano dal campione medio della gioventù - non solo italiana, ma europea - visto che quel format dilaga da anni con eguale preoccupante successo in tanti altri Paesi. I ragazzi di qui, mi illudevo, hanno una certa ritrosia - un pudore, per l’appunto - a lasciarsi ritrarre in certi atteggiamenti e a usare un frasario che talvolta scivola nella blasfemia (con conseguenti, puritani allontanamenti dallo spettacolo, ma anche contraddittori ripescaggi). I ragazzi di qui, fantasticavo, non soffrono d’un narcisismo basato sul successo e sul consenso. Essi pensano sì a divertirsi - ci mancherebbe! -, ma lontano da queste finzioni. Pensano, soprattutto, a realizzare i loro progetti di vita, le loro sacrosante

IL COMUNE SENTIMENTO DEL PUDORE È ORMAI RINTRACCIABILE SOLO ALLE BANCARELLE DEI MERCATINI D’ANTAN

aspirazioni. Purtroppo anche a costo del sacrificio d’allontanarsi dalla loro terra. A questo punto mi si potrebbe tacciare d’un moralismo fuori tempo - peggio ancora, di bacchettoneria - e obiettare che alla fine, con un semplice telecomando, si può sempre evitare di visionare programmi di cui non si condividono i contenuti. E io rispondo che purtroppo questo è del tutto inutile visto che strisce di quelle puntate (in genere quelle che più suscitano pruriginosi interessi) vengono riproposte in fasce orarie e contesti “normali” quali possono essere i programmi d’approfondimento e gli stessi telegiornali. Insomma - chiederete - che cosa si rappresenta poi di così grave nel GF? Vi rispondo: si vedono giovani annoiati, senza scopi, senza ragioni per combattere e costruire una proposta di qualsiasi tipo. Ecco quello che si rappresenta! S’intravede il demone del vuoto... E si comprende come l’Italia sia un Paese culturalmente allo sbando, dove (specialmente) i giovani pensano solo ad apparire e dove l’apparenza finisce per contare più dell’intelligenza. Si vede, in questo spettacolo, tanta mediocrità e stupidità, due parole accentate che, a dire del giornalista Torno, ogni mattina ci aspettano fuori della porta di casa per augurarci “buona giornata”. Si sente un linguaggio povero, oltre che di contenuti, di vocaboli; e stazzonato nelle più elementari regole grammaticali e di sintassi. Un linguaggio capace di trasformare i contrasti d’opinione in alterchi, con buona pace del confronto delle idee. Un linguaggio in cui la fa da padrone il turpiloquio, molto meno disapprovato della diffusione degli anglismi che, in compenso, almeno non feriscono il buon gusto. Ma c’è veramente tutta questa negatività - continuate a chiedermi, come se voi non aveste occhi per appurarlo da soli - in una trasmissione come il Grande Fratello? Non tutta, non sempre, ma ce n’è a sufficienza per doverci preoccupare. Anche se di programmi che fanno male ce ne sono tanti altri, e non solo nella televisione commerciale, ma anche in quella del servizio pubblico. Cosa mi sento di consigliare a quel giovane che ha subito “il torto” di non essere accettato nelle battute finali del casting e agli altri che mordono il freno per fare questa esperienza? Dico loro che partecipare a quel teatrino (e a tutti gli altri di eguale fattura) equivale a entrare nel baraccone degli specchi deformanti d’una giostra. Si può anche trovare lo specchio che ci fa diventare più alti o magri o grassi e, in quel momento, sentirsi soddisfatti del nuovo look che ci siamo dati e dell’interesse che possiamo aver suscitato negli “altri”. Ma ci sfugge un particolare importante: si tratta pur sempre e solo d’apparenza, d’una immagine fittizia, d’una maschera. La realtà, invece, va in scena nuda sul palcoscenico della vita. Lì si recita solo con la propria faccia.


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ECONOMIA

Aziende

ENEL PROVA A BRINDISI LA TECNOLOGIA “PULISCI CARBONE” Si chiama Ccs (Carbon capture and storage). La sperimentazione ha avuto inizio nei giorni scorsi. Investimento da 20 milioni di euro: ma il 70% della somma la paga l’Unione Europea.

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i chiama Carbon capture and storage ed è un sistema all’avanguardia con cui Enel eliminerà l’anidride carbonica immessa nell’atmosfera da impianti di produzione di energia alimentati a carbone. La sperimentazione è partita nell’area adiacente la centrale Federico II di Cerano: è il primo impianto pilota in Italia, il secondo in Europa. L’obiettivo è quello di realizzare le centrali del futuro, a basso impatto ambientale e con scarsissime emissioni di Co2 (quelle che provocano l’effetto serra). La nuova tecnologia, elaborata dall’Institut Francais du petrole, prevede la cattura dell’anidride carbonica dai fumi della centrale, la compressione, il trasporto e lo stoccaggio della stessa in appositi siti localizzati sotto terra o nel fondale marino (vecchi siti di estrazione di idrocarburi). La tecnologia elaborata dai francesi, meglio conosciuta come “geosequestro di Co2 “, si basa sull’utilizzo di solventi chimici attraverso cui lavare i residui gassosi liberati durante il processo di combustione. Tali solventi, peraltro, verrebbero prodotti a costi contenuti attraverso un risparmio calcolato nell’utilizzo di energia. Il progetto prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro, ma la quota a carico di Enel è solo del 30%. La parte restante, la più cospicua, la metterà l’Unione europea. Secondo stime aziendali il nuovo impianto dovrebbe rimuovere e liquefare 2,5 tonnellate di Co2 l’ora (20mila tonnellate l’anno). Lo stoccaggio avverrà nel giacimento esaurito Stogit-Eni di Cortemaggiore (Piacenza). I risultati del primo test, di durata biennale, serviranno ad Enel per progettare un impianto più grande, che sarà costruito a Porto Tolle (Veneto) capace di catturare circa un milione di tonnellate l’anno di anidride carbonica. Si tratta di un esperimento importante, che però non convince pienamente geologi e ambientalisti. Mario Tozzi (foto), noto divulgatore scientifico televisivo (La Gaia Scienza), ha del Ccs questa opinione: «È una tecnica che riflette una scelta culturale che definirei perdente, nel senso che parte dall’arrendersi a produrre energia senza emettere anidride carbonica. Partendo da questo punto, certo che catturare il carbonio è in qualche modo una soluzione, ma vuol dire, lo ripeto, arrendersi alle cause che generano la Co2, ma in definitiva anche ai suoi effetti». Quanto invece ai depositi che conserveranno l’anidride carbonica: «Anche se teoricamente le tecniche sono affidabili, la loro tenuta dovrà essere verificata sul campo e nel tempo. Certo, i bacini che saranno utilizzati hanno contenuto per milioni di anni gas idrocarburi».

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L’associazione Malattia di Wilson compie un anno di vita Ha compiuto un anno di vita l’associazione Malattia di Wilson, nata nel febbraio 2010 con l’intento di informare le famiglie e supportare, ove possibile, anche professionisti o enti, che si confrontano con questa rara malattia genetica. L’obiettivo primario è quello di creare un collegamento tra chi è costretto a vivere con la Malattia di Wilson e chi se ne occupa professionalmente (medici, ricercatori, enti pubblici, ecc.) creando così una rete di contatti utile a monitorare la malattia, e cercando di mettere in contatto le famiglie. Si mira inoltre a formare una banca dati virtuale, utile ai tanti operatori sanitari e ricercatori, enti ed istituzioni pubbliche e private attenti a tale problematica. L’associazione, ed il suo sito web, danno voce a chi già da tempo vive con la malattia, ma per anni ha cercato invano una fonte di sfogo, un “contenitore” dove raccontare la propria esperienza e dipanare i propri dubbi e, perché no, dar coraggio ai nuovi arrivati. Ad un anno di vita l’associazione ha già al suo attivo tre incontri (Cagliari, Manduria, Milano) e la vittoria contro lo stop della produzione della d-pennicillamina, farmaco salvavita per molti casi di Wilson. Chiunque avesse bisogno di ulteriori informazioni, la sede dell’ANMW (Associazione Nazionale Malattia di Wilson) è in Viale Medaglie D’oro, 18/A a Manduria (Ta). www.malattiadiwilson.it - info@malattiadiwilson.it - tel. 331.3711254.


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STEFANO vampiri LA MONICA di mattina

IL MONDO È STRANO, MA NON COSÍ BRUTTO

E per dimostrarvelo vi racconterò una storia abbastanza singolare

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empo fa ho incrociato un triste figuro, uno di quelli che regalano giudizi sulla vita; che vedono un giovane con gli auricolari e riconoscono solo un adolescente ansioso, chiuso in se stesso, incapace di rapportarsi col mondo; che credono la tecnologia ci abbia chiusi in casa per filtrare noi stessi attraverso la tastiera di un computer lanciato in Internet; che leggono di escort invitate al ballo di un potente e inorridiscono per questo laido mestiere, propinato agli uomini come una tentazione mortale e indignitosa. Forse perché non sanno cosa siano la domanda e l’offerta, o perché con una puttana non ci sono andati mai. E non sanno che sul comodino anche ragazze così possono avere dei libri. Ragazzini con gli auricolari non ne vedemmo passare, altrimenti gli avremmo chiesto conto di quegli auricolari perennemente infilati nelle orecchie. Ma avrebbero risposto che amavano così tanto la musica da volerla sempre con sé. Però per dirgli di Internet e di puttane c’erano già parole scritte tempo addietro, parole venute fuori per tutt’altro scopo ma perfette per colorare il mondo che quell’uomo invece dipingeva grigio come il suo orribile vestito con la cravatta. Eravamo in chat. E lei subito mi ricordò che era in attesa di un sogno, di un racconto, di parole scritte tanto tempo fa al mio risveglio, fissate su carta durante il loro stesso dissolversi. Allora le presi e gliele incollai sullo schermo, ché se le gustasse con calma. Gli attimi importanti della vita l’avevano colpita più di tutto il resto. E tra questi, l’istante in cui capisci di amare davvero una persona. Così riponi in un cassetto la compagna di liceo, e ringrazi la sua pelle sconosciuta e sincera… La Signora di Spoon River ebbe un tuffo al cuore. Poi arrivarono tutti gli altri attimi. Il piede che tocca terra discendendo da un altare. Una voce preannuncia che presto quella pancia si gonfierà. Un’infermiera che ti porge un fagotto. Il tuo. I giorni veramente belli nella vita sono soltanto 4 o 5, tutti gli altri fanno volume. Così per gli attimi. E ce ne sono alcuni che ti devastano e ti cambiano al punto che avresti bisogno di un nome nuovo. “Non ci siamo mai detti i nostri veri nomi.” “Conta poco. Sei la Signora di Spoon River… logico che incontrassi il Suonatore Jones.” Poi le diedi da leggere l’ultima parte del mio sogno, ma volli farlo parola per parola. Una alla volta.

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Il divenire… Le scrissi di me seduto in bagno, i peli irti e sudati, l’occhio acquoso e l’espressione blanda, e il sangue che ancora non era defluito via del tutto. Giocavo a seguirlo da soprapelle, e la mia virilità tornò subito visibile, poi l’afferrai con entrambe le mani e cercai la fantasia sufficiente per rivivere l’amore appena consumato con la ragazza che restava a dormire nella stanza accanto. Poi lei mi scrisse soltanto: “Quella ragazza è poi diventata tua moglie?” Per un attimo dimenticai di avere davanti soltanto lo schermo di un computer e annuì come se lei potesse vedermi. Ma forse mi vide davvero, perché scrisse con le lettere maiuscole che “ALLORA NON ABBIAMO PIU’ NULLA DA DIRCI…”. Poi mi spense lo schermo addosso senza che io potessi scrivere nient’altro. Nemmeno un altro bip ad augurarle la buonanotte. E ora una stupenda meretrice… “Se non è un addio al celibato, perché questo cristiano non è venuto qui da solo?” “Perché da fuori sembra che qui si paghi solamente per far l’amore.” “Raramente è successo qualcosa di diverso.” “Questa volta dovrai solo procurarti un amico. Io ti pagherò per ogni sera che starai con lui. E se succederà altro… non è importante.” “Mi pare ovvio. È il mio tempo che stai comprando.” “Bene… vi incontrerete in una libreria, lui ci va spesso e si siede davanti ad un libro e a un caffè. Oppure si immerge nel suo computer. Io ti darò un libro da tenere in mano. E tu dovrai sventolarlo.” “Come una bandiera?” “Sì.” “Qualcos’altro?” “Puoi indossare qualcosa che metta in mostra la tua splendida figura, ma non esagerare.” “Ti ringrazio.” “Per cosa?” “Per aver detto che ho una splendida figura.” “È la verità, porca miseria.” “Vuoi dare una sbirciatina?” finse di slacciare l’accappatoio che aveva indosso. “Ho già dato un’occhiata in quello specchio quando ti sei spogliata.”

Mi sorrise. “Mi piacciono i tuoi modi, e le cose che dici. Ma questa è solo la scorza. Io voglio sapere quello che c’è sotto. Se non mi sveli il tuo segreto questa cosa non si può fare.” “Non hai detto che bastavano i soldi?” “Anche gli psicopatici sono pieni di soldi.” “Non sono uno psicopatico. E non lo è neanche…” Mi bloccai. Lei mi fissò negli occhi. Poi sorrise. “Non c’è bisogno di continuare.” “Non credo tu possa aver capito.” “Invece sì. Ho capito molto di più di quanto immagini.” “Vediamo!” le lanciai la sfida. “Al telefono hai scherzato sulle mie tariffe e su quelle degli avvocati. Sembravi conoscerle. E hai detto qualcosa a proposito di un’avvocato stanco. Se c’è l’apostrofo vuol dire che è una donna. Probabilmente tua madre. E allora il Peter Pan che ha bisogno di me dev’essere tuo padre. Ora dimmi di quel libro.” Rimasi di sasso. Non c’erano repliche da fare, né menzogne: “Poi ti spiegherò di che si tratta.” “Perché non farlo adesso?” “Perché non l’ho portato con me. E vorrei fartelo vedere. È una lettura un po’ particolare.” “Credi io non sia all’altezza di letture particolari?” “Certo che no!” “Allora… mi dici o no di ‘sto cazzo di libro?” “Le Città Invisibili. Di Italo Calvino.” “Le Città Invisibili… tu ne hai vista mai qualcuna?” “Ho letto il libro, se è questo che intendi.” “E qual è la tua preferita?” La guardai sbigottito. “Forse Diomira, da raggiungere con tre giornate verso levante? Oppure Armilla, senza più pareti, disegnata soltanto da interminabili tubature dell’acqua? Magari sei affascinato dal lugubre spettacolo di Laudomia, divisa in tre città uguali: una per i vivi, un’altra per i morti e l’ultima per quelli non nati.” “Adesso mi sento un idiota.” “E perché mai? Solo perché anch’io ho letto Le Città Invisibili? Non dovrebbe esserci connessione tra le mie letture e l’ampiezza della tua anima, non credi?” “Non infierire, ti prego. Giuro che non cercherò più di insegnarti qualcosa. E lascerò che tu possa improvvisare liberamente.” “Allora improvviserò. Deciderò da sola se andarci a letto.” “Allora siamo d’accordo?” “Domani sera sarò libera per un paio d’ore, passa a trovarmi e porta il tuo libro. Aprirò una bottiglia di vino e ci faremo due chiacchiere attorno. E ti dirò se accetto di fare ciò che mi chiedi.” “Ci vediamo domani sera.” “Sii puntuale. Non vorrei ti trovassi nel via vai.” “Non ho problemi a stare qui anche se hai un cliente.” “Lo dici perché non l’hai mai fatto…” Il mondo è sicuramente un posto strano. Ma è meno brutto di quanto sembri a prima vista.

«NON HO PROBLEMI A STARE QUI ANCHE SE HAI UN CLIENTE». «LO DICI PERCHÈ NON LO HAI MAI FATTO».


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SATIRA?

SPAM CAMPIONATI INTER-ISTITUZIONALI: CRESCE L’ATTESA

SCINTILLE TRA

FERRARESE E MENNITTI

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i è svolta ieri sera la cerimonia per la scelta della sede dei prossimi campionati inter-istituzionali, caduta sulla sede dell’amministrazione provinciale e sul suo salone di rappresentanza. Il presidente Ferrarese, visibilmente commosso, parla di “giusto e sacrosanto riconoscimento per i suoi dipendenti” non lesinando una frecciata al concorrente di sempre: “Ho sempre avuto rispetto per tutti i lavoratori, ma credo che sul piano del valore assoluto i dipendenti del comune di Brindisi non possano reggere il passo dei miei”. “Sono parole da allenatore e non da presidente”, replica un Mennitti infuriato e visibilmente deluso, e poi, ancora: “Palazzo Granafei Nervegna è stato ristrutturato proprio per questi appuntamenti: un grande palazzo per un grande evento”, e aggiunge: “E comunque, visto che siamo oramai al tifo da stadio, lasciatemi fare un pronostico: considero i dipendenti comunali insuperabili, lo tasto tutti i giorni e, a quanto mi dicono, alcuni sfiorano la genialità”. Deluso anche Vendola, che parla di “un colpo alle visfcere, al fangue e al fentimento dei tanti dipendenti regionali”. Polemiche a parte, l’attesa per l’evento è spasmodica. I campionati inter-istituzionali inizieranno lunedì 14 marzo, si svolgeranno rigorosamente in orari d’ufficio e non saranno ammessi risultati ottenuti al di fuori delle sedi deputate e competenti. Ecco le istituzioni partecipanti. Per la categoria “Spider”, livello “medio”, 2 semi, concorreranno: l’amministrazione provinciale, il comune di Brindisi, la Regione Puglia, l’Inail, e, a sorpresa, il palazzo di giustizia, vincitore delle semifinali sull’Inps e sul Catasto. Per la categoria “solitario” (opzione scopri tre carte, punteggio vegas”) concorreranno oltre alle suddette anche il comune di Carovigno, primo assoluto alle semifinali provinciali, e la Polizia di Stato, per la quale ammissione pende un ricorso promosso dagli uffici del ministero del tesoro. Nel regolamento è previsto che ogni istituzione debba, nei giorni dal 10 al 13 marzo, selezionare i propri rappresentanti attraverso

tornei interni controllati da un esperto. Saranno ritenuti validi esclusivamente quei punteggi raggiunti in orario d’ufficio, con una maggiorazione del 10% per i punteggi ottenuti in orari di apertura al pubblico. Il vincitore del torneo dovrà vedersela, per la coppa provinciale, con la rappresentativa della Asl la quale come si sa, detiene ferramente il primato da oramai dieci anni. L’imbattibilità dei dipendenti Asl potrebbe però final-

mente decadere: sembra infatti che a causa di una lunga e generalizzata assenza dai luoghi di lavoro, i giocatori abbiano perso la verve che avevano un tempo. Ma un dipendente regionale, che desidera mantenere l’anonimato, denuncia: “L’Asl è un campione truccato… è chiaro che i dipendenti della sanità sono imbattibili a spider come a solitario, fanno turni pomeridiani che noi ci sogniamo. Se stai tre-quattro ore in ufficio al pomeriggio, è chiaro che hai una marcia in più: una cosa è giocare nel chiuso di un ufficio, altro è allenarsi a casa propria dove la concentrazione viene a mancare?”. Peccato che quest’anno non ci sia il torneo di burraco online: Brunetta ha censurato alcuni siti (social network e giochi). E senza allenamento durante l’orario di lavoro (così come previsto da contratto sindacale) i dipendenti pubblici non se la sono sentita di organizzare la gara. Potete seguire tutte le sfide su www.fancazzismo.it.

SEX IN BRINDISI CITY

L’amore: l’unica griffe che non passerà mai di moda

di Lady Violet

A volte penso alle mie storie passate e a come sarebbero andate se in alcune avessi creduto di più o se in altre fin dal primo momento, capendo che l’uomo in questione sarebbe stato solo un “gran casino”, rinunciarci a priori. Secondo me gli uomini dovrebbero camminare come scatole di Prozac, con in tasca oltre alla carta d’identità, il portafogli e le chiavi di casa, il foglietto delle istruzioni, con su indicato il dosaggio, i modi ed i tempi di somministrazione, i loro benefici, le controindicazioni ma soprattutto la data di scadenza, perché anche gli uomini come gli yogurt scadono! Ci sono alcune situazioni che ti ostini a voler capire ma che in realtà non vanno interpretate, se non c’è feeling fin dal primo bacio è inutile perseverare! Oppure, com’è accaduto al mio amico Dany, se l’attrazione non è corrisposta non impuntiamoci a voler fare accadere ciò che in realtà dall’altra parte non è corrisposto. So che è più facile a dirsi che a farsi, ma passati i 30 dovremmo almeno avere l’esperienza per riuscirci, tagliando fuori le emozioni e cacciando la vera determinazione! Perché quello che a volte dimentichiamo di fare è che prima di pensare ad amare qualcuno dovremmo amare noi stessi! Un po’ di narcisismo non guasta mai: eviterà varie complicazioni, mettendosi al riparo da sofferenze! Imparare a vivere un amore non corrisposto senza fuggire è un apprendimento duro ma non impossibile. Ah l’amore, che sentimento difficile da interpretare… sono ancora dell’idea che esiste, ma sempre di più credo che stia diventando davvero raro trovarlo! Non sono scettica, perché prima o poi la freccia dell’amore colpirà anche me. Ultimamente mi sono arrivati dei fiori da uno sconosciuto e continuo a domandarmi perché lo pseudo spasimante non si faccia avanti, quale sarà il problema del suo anonimato: sposato? Timido? Non lo so, e il mistero di tutto ciò non mi emoziona affatto: l’anonimato, il non svelarsi non porta certo a giocare a carte scoperte. Quindi, se come Cenerentola bisogna sgobbare prima di essere trovate dal proprio principe e partecipare al gran ballo di corte, continuiamo a provare gli abiti e a partecipare al ballo. Prima o poi l’abito giusto lo troveremo, perché come dice la nostra cara amica Carrie Bradshaw: “L’amore è l’unica griffe che non passerà mai di moda”.

+PROVINCIALE +TB DA APRILE 18

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TEMPO LIBERO

LA DOLCE VITA MUSICA

CINEMA

GIANLUIGI COSI CANTA L’AMORE

FEDERICO INGANNI NEL CAST DI “IMMATURI”

Nel nuovo cd sette brani inediti e quattro cover di Endrigo, Fortis, Vecchioni e Bryan Ferry.

Si intitola “Cantare fa bene all’amore” ed è il nuovo lavoro del brindisino Gianluigi Cosi. La canzone che dà titolo all’album si può ascoltre su YouTube. Il cd è composto da undici tracce, sette delle quali sono inedite e quattro sono cover che rendono omaggio ad artisti come Sergio Endrigo, Alberto Fortis, Roberto Vecchioni e Bryan Ferry. Quello di Cosi è un album giovane, dedicato all’amore in tutte le sue sfaccettature, che si lascia ascoltare piacevolmente. Il cd è stato registrato a Brindisi, presso il Box recording studio di Marco Sciarra, che è anche arrangiatore dei brani. La copertina è stata realizzata da Alessio Allegretti. Il lavoro ospita due musicisti che vivono con Gianluigi l’avventura dei Rinoplastici (coverband di Rino Gaetano): Giancarlo Pagliara (fisarmonica) in “Aldiquà del mare” e “Te lo leggo negli occhi” e Manu Pedote (chitarra elettrica) in “Cantare fa bene all’amore”. L’album è in vendita presso l’edicola Brunda Paper di via Lata. Per altre informazioni visitate il profilo di Cosi su MySpace: www.myspace. com/gianluigicosi.

Il brindisino ha soltanto 12 anni, ma vanta già un curriculum di tutto rispetto

C’è anche un brindisino nel cast del film “Immaturi”, che annovera attori del calibro di Raoul Bova, Ricky Memphis, Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Maurizio Mattioli, Barbara Bobulova, Ambra Angiolini, Giulia Michelini e Anita Caprioli. Si tratta di Federico Inganni, piccolo attore prodigio nato per caso a Roma nel 1998, pur avendo madre, nonni e zii tutti brindisini. Federico è stato scelto per interpretare il ruolo di Matteo. La pellicola, che ha riscosso un buon successo al botteghino, narra delle peripezie di un gruppo di quarantenni costretti a sostenere nuovamente l’esame di maturità. Nonostante la giovane età, a soli 12 anni Federico vanta già un importante curriculum artistico, avendo mostrato doti innate alla tenera età di otto anni, quando ha cominciato a scrivere dei piccoli monologhi divertenti che poi recitava davanti agli amici o nei villaggi di vacanza. Il suo eclettismo lo ha portato quindi a frequentare la scuola professionale di recitazione “Fonderia delle arti” di Roma, diretta da Giampiero Ingrassia, che ha dato il via alla sua carriera di attore. Iniziano così le partecipazioni ad importanti

produzioni e il lavoro al fianco di grandi nomi dello spettacolo come Citto Maselli (Film “Il fuoco e la cenere”) e Rossella Izzo (Fiction “Fratelli Detective”). Recita anche in cortometraggi e film in concorso nei più prestigiosi Festival (“La sella del vento” di Andrea Sbarretti, “I pesci Rossi” di Renato Muro, “La solita Minestra” di Nicola Perrucci, “Niente” di Mauro Mandolini). Nel 2008 Federico passa il provino per interpretare il ruolo del protagonista Marcellino nel musical “Il miracolo di Marcellino”, tratto dalla celebre storia di Marcellino Pane e vino, andato poi in scena da gennaio a marzo 2009 al teatro Sistina di Roma ed in tournee nei più prestigiosi teatri italiani, riscuotendo grandi successi di pubblico (oltre 10.000 spettatori con spettacoli sempre sold out). Federico è ora impegnato nelle prove del musical “Grease”, con la compagnia di Stefania Pacifico, che debutterà a Roma a giugno e poi sarà in tournee in estate. Intanto trova il tempo di studiare canto, danza e recitazione con grandi personaggi del musical italiano. Nel 2010 gli organizzatori del “Mediterraneo Art Festival”, riconoscendogli il merito di brindisino distintosi a livello nazionale, gli hanno conferito il premio “La Vela Latina” come rivelazione dell’anno.

LIBRI

Le poesie di Silvano Di Campi È da qualche settimana in libreria il secondo libro di Silvano Di Campi, brindisino, autore nel 2009 di Volevo solo abbaiare un po’. L’ultima fatica si intitola A stomaco vuoto (non tutte le poesie escono col buco), un titolo ed un libro che lo scrittore presenta così: «A stomaco vuoto si ragiona male e si scrive peggio, dunque non tutte le poesie escono col buco. Ma se la poesia è davvero morta, allora finirà per rivoltarsi nella tomba dinanzi a queste pagine che, in maniera viscerale, caustica, irriverente, politicamente scorretta e talvolta blasfema, partoriscono schegge impazzite alternate a passeggiate di salute». Tra le “vittime” degli scritti di Di Campi figurano Federico Moccia, Berlusconi, Bossi, Facebook. Il libro è edito da Cicorivolta Temalibero e costa 12 €.

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STORIA

CARMINE CROCCO E L’EPOPEA DEI BRIGANTI 150 Anni dall’Unità d’Italia: la storia vista dagli sconfitti. Testi e selezione doto a cura di Roberto Romeo Ai primi raggi del sole nascente luccicavano le armi e le uniformi degli ufficiali; questi erano tutti montati chi su mule, chi su cavalli; avevano la sciarpa azzurra a tracolla, la pistola al fianco e qualcuno il fucile alla spalla. Mentre le colonne avanzavano silenziose, io pensavo a quel comandante piemontese e ai suoi ufficiali che avevano di noi meridionali un concetto così basso, che ci credevano tutti vili e come tali trattavano le popolazioni che davano loro ospitalità. «Vedrete, vedrete cosa sapranno fare questi miei pastorelli», mormoravo tra me e me. «Qui tra noi non troverete il lusso di fucili rigati, ma vecchi archibugi, non sciabole affilate e acuminate, ma scuri taglienti, pistole a pietra focaia, lunghi pugnali, coltelli catalani. Senza il lusso di ricche uniformi, anzi laceri e scoperti, scalzi o con scarpe di tela, cappellaccio alla calabrese, cartucciera alla cintola, noi di pastorelli abbiamo solo le sembianze ma siamo pronti a ricevervi da pari a pari». Carmine Crocco È LA NOTTE DEL 19 LUGLIO 1856. CARMINE È ALLA testa di dieci galeotti, ferrati in coppia, che provano a scampare a quel “luogo immondo”. La luna quasi piena batte sull’ultimo uscio del bagno penale di Brindisi. E li aspetta. Sono stesi sul pavimento, avvolti nelle coperte, assicurati a un’unica catena inchiodata alle pareti del camerone. Con loro topi e insetti che segnano il tempo girando per tratti sui bordi dei buglioli senza coperchio. Usano uno scalpello - lungo un palmo - per sferrarsi, poi scavano nel pavimento fino a calarsi nelle “segrete generali”. Ma da qui il portale è sbarrato da un “bastante catenaccio”. Il forte chiavistello, malgrado le “violenze subite” resiste all’assalto tanto da costringere i malfattori a desistere dall’evasione e riparare nel dormitorio dal quale erano partiti. Il tentativo di fuga costerà a Carmine Crocco, “dei briganti il generale”, un aggravio di pena di diciotto mesi e quarantacinque giorni di “doppia catena”. Ma Carminuccio ha fretta di diventare il generale della rivolta contadina, la leggenda, la speranza e il terrore del Mezzogiorno dell’Italia postunitaria. La condanna a diciannove anni di “ferri in qualità di servo di pena di terzo grado”, pronunciata per l’espiazione dell’assassinio di un tale don Peppino, colpevole di aver svergognato la giovane sorella, non mette pace all’irrequieto pastore di Rionero in Vulture. Che la notte di santa Lucia, il 13 dicembre 1859, prova a ridarsi alla fuga e stavolta il piano gli torna meno accidentato. L’ordine di riempire due otri alla fontana fa subito breccia nell’ultimo confine del Forte di Terra della nostra città e lo rimette sui poderali in cammino verso la macchia. Nulla di rocambolesco. Un salto oltre la cortina di guardia nella promessa di unirsi, un giorno, alle bande brigantesche del sergente Romano e del Laveneziana di Carovigno e assaltare quel maledetto sordido reclusorio. Ma quella libertà non sarà mai ricambiata. La vita di Carmine Crocco sembra ricalcare la versione biografica dell’outlaw, del fuorilegge costretto al delitto dall’ingiustizia e dai soprusi caricati sulle spalle già curve dei contadini del Sud. I boschi di Monticchio diventano

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il suo impero e fino alla repressione del brigantaggio la “rivolta proletaria” mossa da Crocco è la sponda perfetta per i Borbone che dall’esilio romano meditano la controreazione. Ma Crocco non è Garibaldi alla rovescia: il suo esercito straccione, fatto di contadini e di cafoni, a cui la storia assegna da sempre il ruolo di sconfitti, marcia solo all’apparenza dietro le insegne “legittimiste” di Francesco II, l’erede dei Borbone cacciato da Garibaldi che Crocco considerava un nobile idiota. A muovere davvero i briganti è un sogno atavico fatto di terra e di libertà, quel sogno di una terra da togliere ai baroni e dare ai contadini che l’impresa garibaldina aveva tradito. Per la loro repubblica, strappata agli ex regnanti e ora agli invasori piemontesi, avevano immaginato una bandiera bianca con sottili strisce azzurre, come i fiumi che rigano i paesaggi delle terre meridionali. È il 25 aprile 1861. L’Unità Italiana, giornale mazziniano di Milano, riporta in prima pagina una notizia sensazionale proveniente da Sud: giorni prima, a Melfi, si era costituito un “governo provvisorio” per iniziativa di “un tale Crocco, ufficiale borbonico”, il quale “avea assoldato un migliaio di uomini per la concertata reazione” e assalito alcuni comuni del circondario, tra cui il capoluogo Melfi, proclamandovi “il paterno governo di Francesco II di Borbone”. Carmine Crocco, a capo di oltre duemila uomini, conquista le terre attorno al Vulture, il maestoso vulcano spento della Lucania nord-occidentale, ed entra da trionfatore a Melfi la sera del 15 aprile 1861, acclamato dal popolo e dai notabili del posto. La “primavera brigantesca” segna l’inizio di un lungo periodo di sollevazioni popolari contro il nuovo governo in molte province meridionali, una guerra civile che tributa altro sangue, e spalanca le porte al cosiddetto “grande brigantaggio” che sarebbe durato fino al 1865. I briganti, in bande armate organizzate, sono

“Carminuccio ha fretta di diventare il generale della rivolta contadina, la leggenda” ammirati dal popolo che spesso li fiancheggia, li sostiene, procura loro viveri e riparo. Contadini che non hanno niente se non se stessi e un pezzo di pane, e per i quali il brigante diventa sempre più l’unica giustizia possibile, dopo Francesco II. E sopra ogni pagina della storia bandita postunitaria torna sempre un nome: Carmine Crocco, il generale dei briganti che scorrazza con il cappello piumato armato fino ai denti, il solo che può permettersi di entrare in chiesa a cavallo, il primo a sposare la tecnica della guerriglia e contare alla fine 67 omicidi, 20 estorsioni, 15 incendi di case e 1.200.000 lire di danni bellici. Ai soldati catturati i briganti mozzano le teste e le espongono sui tetti dei municipi conquistati con i testicoli in bocca. Non tocca sorte migliore ai briganti caduti nelle mani dell’esercito. Anche Brindisi si fa teatro di scontri cruenti. Il 23 ottobre 1862 la masnada del brigante Valente di Carovigno,

tra i pochi a non essere analfabeta, apre il fuoco sul presidio militare tra le masserie Angelini e Santa Teresa ferendo gravemente a un braccio il carabiniere Giovanni Arissi. Lo stesso giorno la banda sorprende le Guardie Nazionali di Cellino San Marco e di San Pietro Vernotico prima di catturare e uccidere tre militi “perché portanti pizzo all’italiana” e di graziarne un quarto solo per la mancata esplosione dell’arma. Altri nove, sfregiati secondo il costume brigantesco dell’asportazione di un lembo dell’orecchio “per essere così pecore segnate”, vengono risparmiati. Un mese più tardi, a notte avanzata del 21 novembre, una parte della stessa banda prende d’assalto la Guardia Nazionale di Carovigno e ferisce un milite costringendo gli altri alla fuga. I banditi mandano in frantumi lo stemma reale e un quadro di Vittorio Emanuele e requisiscono quattordici fucili. Quindi saccheggiano case fino all’alba al grido di “Viva la religione, viva Francesco II” intimando di esporre i lumi alle finestre, come racconta il cronista dell’epoca del “Cittadino leccese”, con la “compiacenza e l’aiuto della plebaglia, rimasta in piedi tutta la notte per fare gli onori di casa”. Completato il sacco, all’alba i briganti abbandonano il paese e si mettono in cammino verso la Madonna del Belvedere per farvi celebrare una messa di ringraziamento. Ma la Guardia Nazionale di Ostuni li distoglie dal proposito costringendoli a piegare verso San Vito. Giunti alla masseria Badessa, i banditi ingaggiano l’ennesimo scontro con la Guardia Nazionale e i carabinieri, e nel conflitto viene catturato e ucciso il milite Michele Catamerò. Dai primi mesi del 1863 della banda si perdono le tracce. Il 21 dicembre Valente, il brigante che sognava di unirsi alle forze di Carmine Crocco, è catturato nei pressi di Porta Napoli a Lecce e consegnato alla Guardia Nazionale. Alcuni suoi compagni si costituiscono alla giustizia, altri, come Vitantonio Cinieri di Ceglie, cadono nelle mani della forza pubblica. La sentenza, pronunciata nel maggio 1866, condanna diciassette imputati su venticinque, tra cui


poveracci e briganti, tra cui Michele Pezza, il celebre frà Diavolo. Tuttavia, come scrive Marx, se un fatto storico può ripetersi, la prima volta è tragedia, la seconda sempre commedia. E la commedia stavolta incrocia i destini di Carmine Crocco e di José Borges, l’ufficiale catalano con un passato da cabecilla nella guerra civile spagnola divenuto icona del romanticismo donchisciottesco, mandato nel Sud dai Borbone per organizzare la reazione. Ma Borges e Crocco appartengono a due mondi diversi, hanno due modi diversi di vedere e valutare le cose. Il generale dei briganti non accetta di essere subalterno a nessuno e un giorno, all’improvviso, abbandona lo spagnolo al suo destino: dopo aver attraversato la Calabria, le fiumare e i boschi lucani, le montagne abruzzesi, il “don Chisciotte di una causa perduta e screditata” è catturato da un distaccamento di bersaglieri che lo fucila a Tagliacozzo insieme con i suoi ventidue uomini. Prima di morire confida a un tenente italiano che lo scortava: «Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un sacripante». Una scarica di moschetto alle spalle interrompe l’ultimo cantico

La sua vita brigantesca finisce nel 1864. Tradito da uno dei suoi uomini più fidati, Giuseppe Caruso. alla Vergine intonato in spagnolo dall’eroe carlista e dai suoi compagni. Alla notizia dell’esecuzione, Victor Hugo, pur sostenitore della causa unitaria italiana, ne scrive l’epigrafe celebrando l’eroe vittima della mattanza italiana e affermando che «Il governo italiano fucila i realisti». Più tardi anche Gramsci avrebbe sottolineato la durezza di una repressione degna di quella dei tedeschi nell’ultima guerra mondiale. Nel 1863 entra in vigore la legge Pica, la prima legge sui pentiti che concedeva sconti di pena a chi si sarebbe consegnato, e il governo decide di imporre lo stato d’assedio con oltre centoventimila uomini, una buona metà delle forze armate nazionali, sparsi sulle aspre tracce delle bande.

A sinistra Carmine Crocco. Qui sopra: un disegno che ne rappresenta la fuga da Brindisi; una mappa del brigantaggio; briganti del Sud. A destra masseria Santa Teresa.

Valente e Laveneziana, alla pena dei lavori forzati a vita. Le rivendicazioni dei briganti nascono dalle condizioni di miseria del mondo contadino, caduto in disgrazia con il crollo dell’economia di sussistenza su cui si reggeva il Regno delle due Sicilie. Le insegne dei Borbone sono semplicemente il corrispettivo di un “biglietto d’ingaggio” e di una rendita di trenta denari al giorno. Nulla di più. I Borbone, esuli al sicuro tra le mura pontificie, credevano invece di poter riconquistare il Regno con le sole armi dell’odio di classe, nell’idea di ripetere l’impresa del cardinale Fabrizio Ruffo. Il quale, sessant’anni prima, aveva reclutato i soldati tra le masse contadine per respingere i Francesi, circondandosi qua e là di galeotti,

LA VITA BRIGANTESCA DI CARMINE CROCCO FINISCE nell’estate del 1864. Lo tradisce uno dei suoi uomini più fidati, Giuseppe Caruso, che lo vende per un posto da impiegato regio. Il bandito mandriano, il più famoso e temuto dei ribelli, quello che riuscì per più tempo a tenere sotto scacco i “Piemontesi” dell’Italia unita, è sorpreso sull’Ofanto e arrestato. Confida nell’aiuto del papa Pio IX che aveva sostenuto la causa legittimista, ma è disilluso. In carcere tiene una condotta irreprensibile nella speranza di poter rivedere un giorno la sua Rionero, ma è disilluso. Condannato ai lavori forzati a vita, morirà nel carcere di Ponteferraio nel 1905 dopo oltre quarant’anni di reclusione. Oggi il nome e la faccia di Crocco accampano nei boschi del Vulture, fanno capolino sulle insegne delle trattorie lucane, sulle etichette di vini e birre, e ancora su magliette, accendini, foulard, brocche in terracotta, in nome di un turismo del brigantaggio che prende sempre più campo. Massimo Lunardelli ne ha fatto un documentario. Pasquale Squitieri un film. Eugenio Bennato un libro. Vinicio Capossela una canzone. Fino a qualche decennio fa in molte case contadine della Lucania campeggiavano, accanto al crocifisso, l’immagine di Carmine Crocco e quella di Vittorio Emanuele II, un’iconografia che segna l’ambivalenza del popolo meridionale, da sempre diviso tra la sottomissione al potere costituito e il sogno di un possibile riscatto. A un generale che lo interrogava, il bandito Totano rispose: «Fummo calpestati, noi ci vendicammo, ecco tutto». Poco dopo fu infilzato con le baionette. In questa battuta laconica e amara è racchiuso, meglio che in corposi studi dedicati, tutto il significato di una guerra spietata che insanguinò l’alba meridiana dell’Italia unita.

Il fucile s’inceppa. Così si salvò Giuseppe Mauro Questo è il racconto di Vitantonio Donadeo, il milite che ebbe salva la vita per una pura casualità nell’aia della Masseria Santa Teresa il 23 ottobre 1862: Quando arrivammo vicino a Santa Teresa, svillaneggiati e battuti per strada, posero me con gli altri undici prigionieri ginocchioni a terra e in fila, e dissero a Giuseppe Mauro, che fu poscia fucilato: «Tu avevi quattro carlini al giorno come spia sotto Francesco, ed ora ne hai tre sotto Vittorio». E poi, rivolti al Pecoraro ed al Miglietta, pur fucilati, dissero: «Conosciamo che voi siete andati facendo la spia». Tenevano tutto segnato in un libro che portava il capitano, e dicevano: «I villani non hanno colpa; noi vogliamo i capi della guardia nazionale». Quindi uno dei briganti che era tornato ferito dal combattimento coi carabinieri, disponeva sulla sorte di noi altri, e tutto ad un tratto fu ordinata ed eseguita la fucilazione del Pecoraro, del Mauro e del Miglietta, i quali stavano inginocchiati i primi nella fila di noi altri; ed a misura che dovevano fucilare li facevano mettere faccia a terra, poggiando la bocca del fucile sul collo. Dopo i tre suddetti sventurati, dovea essere fucilato io, e mi ordinarono di mettermi con la faccia a terra, il che avendo io fatto, con lo squallore della morte, gridai: «Madonna del Carmine, aiutatemi!» ed intesi lo scatto del fucile che non dié fuoco. Allora un brigante disse: «Alzati che tu sei salvo, e devi essere veramente devoto alla Madonna del Carmine come lo sono io; le devi fare una gran festa». E dopo aver parlato un poco fra essi loro, fecero alzare da terra me e gli altri otto compagni, con la forbice mi mozzarono un pò l’orecchio sinistro come fecero ad altri sette; due, perché avevano ricevuto dei colpi in testa e la portavano fasciata, ad essi non furono mozzati gli orecchi. Dopo questa operazione, il Capitano si avvicinò a noi e ci disse di andarcene.

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CITTÁ

ZOOM AEROPORTO DEL SALENTO

EVENTI

A BRINDISI AD OTTOBRE L’ASSEMBLEA ANCI

Previste 5000 presenze in città. Ma si deve ultimare il capannone ex-Montecatini...

CON AIRBERLIN A ZURIGO Da aprile nuovo volo bisettimanale della compagnia tedesca che già collega la nostra città con Colonia e Norimberga. L’aeroporto di Brindisi continua a crescere: dopo aver comunicato alla stampa i dati record di gennaio, l’amministratore unico di Aeroporti di Puglia Domenico Di Paola ha annunciato nei giorni scorsi l’avvio di un nuovo collegamento. Si tratta del Brindisi-Zurigo, che la tedesca AirBerlin farà partire da aprile. Susanna Sciacovelli, direttore generale Italia della compagnia, nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo volo (che avrà cadenza bisettimanale) si è detta «molto contenta del programma voli offerto da e verso la Puglia, che attraverso gli hub tedeschi permette di raggiungere agevolmente Russia, Scandinavia e Austria». Zurigo offre circa 50 musei (i più importanti dei quali sono la galleria d’arte moderna Kunsthaus ed il museo nazionale Landesmuseum) ed una vivace vita notturna. AirBerlin collega già Brindisi con Colonia e Norimberga. I biglietti sono disponibili a partire da 44,99 euro e possono essere acquistati via internet al sito www.airberlin.com

C’è già un gran fermento in città per la decisione del Consiglio nazionale dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), presieduto dal Sindaco di Roma Gianni Alemanno, di svolgere la prossima assemblea congressuale a Brindisi, dal 5 all’8 ottobre 2011. In quella occasione sarà eletto il Presidente che succederà a quello attuale, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. La candidatura di Brindisi è stata proposta, sostenuta ed illustrata dal vicesindaco Mauro D’Attis, membro dell’Ufficio di presidenza dell’Anci. Durante i quattro giorni si registreranno non meno di cinquemila presenze tra sindaci, amministratori comunali e addetti ai lavori, oltre ad una rappresentanza del Governo ed agli inviati dei principali organi di informazione a livello nazionale. Non è da escludere, inoltre, la prestigiosa presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il programma sarà particolarmente ricco di appuntamenti, in quanto ai lavori della sessione plenaria si aggiungeranno una serie di importanti eventi collaterali su argomenti di scottante attualità e strettamente

collegati all’attività delle amministrazioni comunali. Per D’Attis si tratta di un innegabile successo e di una occasione importante che potrebbe lanciarlo politicamente a livelli nazionali. La conferenza si terrà nell’ex capannone Montecatini, augurandosi che per l’occasione la struttura sia resa pienamente agibile ed ospitale. A tutt’oggi infatti, malgrado i milioni di euro spesi per recuperare l’antico manufatto industriale, il capannone non è completamente chiuso e non è dotato di impianto elettrico. A cosa serva in queste condizioni non lo sa nessuno.

TRASFERTE

I consiglieri comunali alla Bit Dopo l’articolo di Senzacolonne e il commento critico su TB di febbraio, due dei quattro consiglieri comunali designati per andare a guardarsi la Borsa internazionale del turismo di Milano hanno rinunciato alla trasferta. Ne siamo lieti, anche se sarebbe stato meglio se avessero scelto di farlo prima dell’uscita degli articoli. La loro decisione è comunque un gesto apprezzabile. Il Comune dovrebbe aver risparmiato 3500 euro. Quanto ai due consiglieri che invece sono andati a Milano, siamo certi che di una cosa si saranno resi conto: e cioé del fatto che la presenza dei consiglieri comunali alla Bit è perfettamente inutile. Bastano e avanzano i sindaci, gli assessori ed i presidenti.

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Cartellone EVENTI E PROTAGONISTI DEL MESE

23-24 Mercoledì e Giovedì

MARZO - ORE 20.30

NUOVO TEATRO VERDI

Brindisi

SHADOWLAND

Pilobolus Dance Theatre

I

Il Pilobolus Dance Theatre festeggia 40 anni di attività con questo spettacolo dedicato al regno del buio e delle ombre. Dieci danzatori ricreano sul palco l’avventura di una ragazza che cerca la via d’uscita da un universo sconosciuto, oscuro e ipnotizzante, in un’atmosfera onirica attraversata dal terrore e dalla curiosità per l’esotico. Come in un cartoon del primo Walt Disney, sul palcoscenico appaiono e si dissolvono ombre di animali, fiori esotici, giganti, bambine e oggetti favolosi, fotogrammi di una pellicola che restituisce allo spettatore un flusso ininterrotto di affascinanti immagini. Il lavoro della compagnia di atleti danzatori, creata nel 1971 da tre studenti universitari del Dartmouth College, Alison Chase, Jonathan Wolken e Moses Pendleton (fondatore dei Momix), ha avuto prestigiose vetrine in tutto il mondo, dalla cerimonia degli Oscar allo show di Oprah Winfrey. Shadowland è stato creato in collaborazione con l’americano Steven Banks, noto ideatore di cartoon. Shadowland è al tempo stesso danza, gioco con le ombre, circo e concerto. La sceneggiatura è di Neil Patel, i costumi e le luci li firmano rispettivamente Liz Prince e Neil Peter Jampolis. Tel: 0831.229230 - 0831.562554. www.fondazionenuovoteatroverdi.it

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CARTELLONE

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MARZO

18 Venerdì

MARZO

NUOVO TEATRO VERDI

25-27

Venerdì e Domenica

MARZO

NUOVO TEATRO VERDI

Il Cavaliere dimezzato

Jazz’n Soul Duet

Compagnia Teatro delle Pietre

SERGIO CAMMARIERE & FABRIZIO BOSSO

S

econdo appuntamento con la rassegna “Attimi di Scena”, iniziativa voluta dalla Fondazione Nuvo Teatro Verdi per dare spazio alle compagnie locali. Il Teatro Delle Pietre, compagnia nata a Brindisi nel 2008 da un’idea di Marcantonio Gallo (nella foto) e Fabrizio Cito, si propone al pubblico con “Il Cavaliere dimezzato”. Lo spettacolo è una corsa verbale, un’avventura, una passeggiata ironica dentro le debolezze umane, la paura e la solitudine dell’anima, un modo di rapportarsi con l’infelicità in maniera cinica e grottesca. In un mondo pieno di attrito, in cui non è raro imbattersi in persone a cui non corrisponde nulla di esistente, in un’epoca in cui la volontà e l’ostinazione di esserci e di marcare un’impronta ha preso il sopravvento su tutto, cancellando la persona umana dietro lo schermo delle sue funzioni sociali, il protagonista decide di abbandonare il mondo reale e di andare a vivere nel mondo virtuale di internet e dei social network. Partendo da una situazione dolorosa ci racconta le irrequietezze, le insicurezze sentimentali, le cattiverie e il bisogno d’amore che caratterizzano un uomo di oggi. Il suo è uno sguardo rivolto all’interno, ma allo stesso tempo, anche all’esterno. Parlando di sé, esamina il mondo che ha deciso di abbandonare e lo analizza nelle sue molteplici sfaccettature. Biglietto € 10. Tel: 0831.229230 - 0831.562554. www.fondazionenuovoteatroverdi.it

S

ergio Cammariere e Fabrizio Bosso si incontrano per rendere omaggio ai grandi della musica come Hoagy Carmichael, Harold Arlen, George Gershwin, A. Carlos Jobim,

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Venerdì

APRILE NUOVO TEATRO VERDI

SALVATORE ACCARDO e l’Orchestra Sinfonica Tito Schipa di Lecce Concerto per violino di Beethoven

Louis Armostrong. Un concerto unico per pianoforte e tromba dove il jazz incontra la canzone d’autore, lasciando spazio all’improvvisazione e alla magia che solo due grandi musicisti sanno creare. Uno scambio di emozioni, uno stupore che si rinnova, perché ogni concerto di Sergio Cammariere nasce dall’improvvisazione. Estro puro liberato per essere condiviso con il suo pubblico e con Fabrizio Bosso, uno dei piu’ grandi trombettisti della scena jazz italiana e internazionale. Dopo 10 anni di collaborazione, Sergio e Fabrizio saranno insieme sul palco per avventurarsi in percorsi musicali unici e irripetibili. Un omaggio ai grandi del Jazz e le canzoni di Sergio tanto amate dal pubblico. Tel: 0831.229230 0831.562554.

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ra i massimi interpreti dell’archetto nel panorama musicale internazionale, Salvatore Accardo incontra l’Orchestra «Tito Schipa» di Lecce non solo in veste di solista ma anche di direttore, per un concerto interamente dedicato a Beethoven, del quale vengono eseguiti il Concerto per violino e orchestra (l’unico scritto dal compositore di Bonn), la Quarta Sinfonia e l’ouverture Leonore n. 3 op. 72a. Il Concerto è una pagina del 1806 nella quale il pensiero sinfonico prevale su quello violinistico, con il solista incastrato in un ruolo di commento nell’introduzione del primo movimento («Allegro ma non troppo»). Più rarefatta è l’atmosfera del secondo movimento («Larghetto»), caratterizzato dal dialogo tra solista e orchestra. Solo nel terzo movimento («Rondò»), che segue senza interruzioni, il violino si prende finalmente la scena assumendo un ruolo da protagonista. Sempre del 1806 è la Quarta Sinfonia, che Schumann definì «una fanciulla greca tra due giganti nordici». Chiude il programma la terza ouverture Leonore: per intensità drammatica e respiro sinfonico è considerata la migliore delle quattro concepite dal compositore per l’opera Fidelio. www.fondazionenuovoteatroverdi.it

STUDIO D’ARCHITETTURA & DESIGN GUADALUPI/LANZILLOTTI

Mostra Fotografica UMA VIAGEM BRASILEIRA di Alessandro Cirillo

C

irillo, barese, vanta numerosi premi e riconoscimenti per la professione di fotografo free-lance, le sue immagini fanno parte di archivi privati e pubblici, in particolare della collezione del Museè dell’Eliseè di Losanna in Svizzera. Ha tenuto mostre in Italia e all’estero. Uma Viagem Brasileira” è il risultato di un’importante esperienza di viaggio in Brasile. www.alessandrocirillo.com

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APRILE

BASTIONE SAN GIACOMO

Mostra

L’avventura del Fumetto italiano WWW.FABIOMOLLICA.COM TB

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MARCANTONIO GALLO magazzini culturali

VEDERE, RACCONTARE, LEGGERE, SCOPRIRE... L

Il panorama culturale locale è in gran fermento. Merita una nuova rubrica

a cultura è tutto ciò che rimane all’uomo quando ha perduto tutto. Frase anonima e bellissima. Con cultura italiana ci si riferisce al patrimonio collettivo italiano di conoscenze. L’Italia è, fin dall’antichità, uno dei principali centri culturali d’Europa. Eppure nel nostro paese si continua a tagliare. Per tutto il settore che riguarda lo spettacolo, il famoso Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), lo stanziamento previsto per il 2011 è complessivamente di 258.610.000 euro, briciole rispetto a quello che viene erogato in altri paesi, considerato il fatto che l’ammontare complessivo dovrà essere suddiviso per i vari settori dello spettacolo (opera, teatro, danza, musica, cinema). Ma è proprio in momenti come questi che occorre un po’ di ottimismo. Aristotele diceva che gli uomini colti sono superiori agli uomini incolti nella misura in cui i vivi sono superiori ai morti; autopromuovendomi a persona viva inizio così questa rubrica mensile con la leggerezza che contraddistingue il mio approccio alle cose ma anche con la consapevolezza che il contenitore di cultura che vorrei diventasse questa pagina avrà il serio compito di informare su quanto di nuovo e bello accade in città e in provincia. Ringrazio chi, vivo tra i vivi, ha reso possibile la nascita di questa pagina, favorendo un incontro possibile tra chi la cultura vorrebbe farla e chi, in qualche modo, la sostiene. Dichiaro ufficialmente aperti i magazzini culturali: in questo mese di marzo vorrei partire tagliando un ideale nastro... rosa, dedicando questa pagina a tutte le donne che con il proprio lavoro e la propria passione e sensibilità lasciano una impronta nel mondo dell’arte e della creatività. VEDERE FSE: Lungo il binario del cambiamento è il titolo della mostra allestita sui vagoni delle Ferrovie Sud Est da Nancy Motta, fotografa di Brindisi. La mostra fotografica si compone di 48 immagini di grande formato ed è allestita in due vagoni passeggeri modificati che si sposteranno per le stazioni Sud Est. Il volume che ne è seguito, pubblicato da Locorotondo Editore (2010), accoglie i contributi critici del giornalista e saggista Raffaele Gorgoni e del professore Massimo Guastella, docente di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università del Salento. Include un dvd che, attraverso il montaggio di fotografie e suoni campionati lungo la rete, ripropone un viaggio immaginario della durata di 8 minuti. “Nel racconto per immagini ho voluto che ci fosse la percezione dei differenti caratteri di ciascuna stazione o paesaggio. Il percorso segue la tratta chilometrica, ripreso con uno sguardo dal treno e verso il treno, un dentro fuori che attra-

versa paesaggi, stazioni, personale, caselli e utenti…” dice Nancy Motta, ideatrice del progetto. Per informazioni sulle tappe della mostra: www.nancymotta.it. RACCONTARE “L’analisi dell’ambiente urbano mi porta inevitabilmente ad approfondire e rappresentare nelle sue numerose sfaccettature colui che lo abita, l’uomo. In questo scenario sempre più virtuale, fatto di reti e di un sistema comunicativo che ci permette di esserci… sempre, la sfida è quella di riuscire a creare nuovi equilibri tra un esasperato tecnologismo, che porta comunque all’isolamento, e le problematiche inerenti all’identità umana ed alla vivibilità dei luoghi. Spesso, giorno dopo giorno, costruiamo intorno al nostro essere una corazza che ci protegge ma allo stesso tempo ci isola, impedendo ad emozioni e sentimenti di manifestarsi. Ma come è possibile scardinare tutto questo? Come guerrieri metropolitani possiamo intraprendere un viaggio che ci riporti là dove eravamo partiti, avventura psichica in continuo divenire attraverso un processo rivolto alla scoperta della vera identità che si lasci alle spalle un involucro vuoto fatto di tante pelli stratificate, forme rugose, lacerate, ammaccate e sfaldate, tutti i segni delle tante battaglie che ci ha riservato la vita.” Carla Molina, artista, protagonista a Brindisi nei mesi scorsi con la mostra I Labirinti Urbani, torna da Milano con un nuovo progetto che prenderà ancora una volta il via proprio dalla nostra città, abbinato allo spettacolo teatrale Il Cavaliere Dimezzato, in scena il 18 di questo mese al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. “Il progetto intende coniugare opere d’arte sperimentali con il linguaggio teatrale. L’arte, in generale, è capace di interpretare i comportamenti umani e le attitudini comuni, diventando il collante tra l’uomo e ciò che lo circonda. Credo che input come movimento, verticalità e progettualità, che sono alla base dei miei lavori, possano essere un punto di partenza e stimolo per favorire l’interazione tra i vari linguaggi espressivi, che si contaminano e si influenzano a vicenda. Sperimentare nuovi accostamenti permette all’arte di reinventarsi.” Per saperne di più: www.carlamolina.com.

LEGGERE Il giusto nome di Alessandra Corso, Nuove Voci Edizioni Albatros Il Filo. Quando l’amica Silvie muore, lasciando a lei tutta la responsabilità di sistemare le sue proprietà, Silvia rimane piuttosto sconcertata. Quella donna eccentrica, morta in solitudine a chilometri di distanza, forse per un suo ultimo capriccio, l’ha coinvolta suo malgrado in un gioco di scatole cinesi che mette a dura prova i suoi nervi. Prima l’abitazione colma di oggetti da catalogare, poi alcune misteriose lettere d’amore, infine le ultime volontà circa la sorte delle sue ceneri. Silvia, già pericolosamente preda del fantasma della depressione, intraprende un viaggio che la porterà a interrogarsi sul significato sommario che diamo ai concetti di amicizia e amore, di diversità, giungendo alla conclusione che è impossibile costringere le persone dentro i recinti di una definizione. Con una prosa leggera e a tratti ironica, l’autrice racconta, mescolando passato e presente, di una amicizia improbabile che collega due esistenze diversissime, ma unite da una affinità che supera i confini della vita, conducendo il lettore attraverso i luoghi incantevoli ma anche claustrofobici dell’anima. Alessandra Corso vive e lavora tra Ostuni e Brindisi. Laureata in storia dell’arte, è oggi art-director, copywriter e graphic designer. Ha da poco aperto un’agenzia che porta il suo nome. L’amore per la scrittura e l’esperienza maturata nella stesura di testi pubblicitari e sceneggiature l’ha portata a scrivere Il giusto nome, suo primo romanzo, che mescola la storia vera di Silvie con esperienze autobiografiche. Il risultato è un romanzo dal ritmo serrato, scritto con profondità di sentimenti. SCOPRIRE In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Lab Creation organizza Fratelli d’Italia, un appuntamento settimanale che ogni giovedì, alle ore 18, vedrà l’alternarsi di storici, personalità politiche e culturali che, partendo da punti di vista differenti, analizzeranno gli effetti dell’unificazione del paese. Un appuntamento che vuole essere un’occasione per approfondire e riflettere sull’identità nazionale con l’avvicinarsi della giornata del 17 marzo, giorno in cui l’Italia festeggerà il suo tricolore. “Continuare ad essere uniti sotto un’unica bandiera è il solo modo che abbiamo per guardare al futuro del nostro paese con animo propositivo e ottimista” dice Stefania Molfetta. Gli incontri saranno moderati dal giornalista Tranquillino Cavallo. Sarà possibile seguire gli appuntamenti anche in streaming video su www.labcreation.it e www.ilgazzettinodibrindisi.it. Lab-Creation, è un’officina creativa che ha come obiettivo quello di supportare e diffondere l’espressione artistico-creativa dei giovani. Il laboratorio urbano, al cui interno trovano spazio un caffè letterario, una sala prove e uno studio di registrazione è gestito dall’Associazione MusicArte in collaborazione con Ciccio Riccio. Lab Creation è in via Lucantonio Resta a Mesagne.

Da sinistra: la locandina della mostra “FSE Lungo i binari del cambiamento”; Carla Molina; la copertina del libro “Il giusto Nome” ed il logo del Lab Creation

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LA SPA CHE NON TI ASPETTI IN CITTÁ Il Centro Estetico Ida è una splendida oasi del benessere a due passi dal centro. Offre servizi mirati per uomo e donna, in ambienti curati nel minimo dettaglio

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da Mastrorosa non è persona che ama apparire, ma il suo centro benessere è sicuramente un gioiello che non ci si aspetta di trovare in città: assomiglia più ad una spa di un hotel che ad uno di quei centri benessere troppo spesso freddi e inospitali. Il centro Estetica Ida invece è una vera e propria oasi di pace e relax per il fisico e per la mente, dove rigenerarsi per affrontare con energia ed entusiasmo la vita di tutti i giorni. Si trova in viale Belgio, al rione Bozzano, e da diversi anni è meta fissa di quei brindisini, donne ma anche uomini, che vogliono stare bene e rilassarsi, affidandosi a mani esperte. Ida Mastrorosa ha una esperienza ormai ventennale ed è in possesso di tutte le migliori specializzazioni nel campo estetico e nella cura della persona. Professionalità, esperienza, amore per il proprio lavoro, creano un ambiente

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raffinato ed accogliente in cui la cura del cliente è in ogni dettaglio. Si perché oggi la bellezza totale e una linea perfetta non sono più mete irraggiungibili, ma rappresentano una realtà a portata di tutti: basta affidare il proprio corpo a professionisti come quelli dell’equipe del centro. «ll ruolo dell’estetista - racconta Ida - è educare la persona a prendersi cura del proprio corpo. Il benessere fisico equivale al benessere psicologico, perché vedersi bene è sinonimo di sentirsi meglio. L’efficacia dei trattamenti, i macchinari tecnologicamente avanzati, prodotti di qualità, una qualificata formazione del personale, sono alla base del successo di “Estetica Ida”, che offre ai clienti una possibilità di scelta incredibile tra: eximia, radiofrequenza, massaggi, pressoterapia, ultrasuoni, manicure e pedicure, applicazione

pulsata. Il centro, inoltre, è dotato di macchinario Medi Jet, consigliato per sovraccarico e stress, dolori alla schiena, affaticamenti muscolari o mentali, stiramenti muscolari. Il centro estetico Ida è a Brindisi in viale Belgio 42, tel. 0831.548135 ww.esteticaida.net. Le foto sono di Luigia Scardicchio

ciglia, epiltron, elettrocoagulazione, ricostruzione unghie, trucco sposa, solarium, bagno turco, sala relax, piscina idro, sala ginnastica, acconciature, trattaìmenti corpo e viso personalizzati, luce


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A sinistra Mino Elia con Fabio Testi in occasione dell’evento “Le perle dell’arte”. Sopra: alcuni quadri esposti dall’azienda brindisina. Sotto soci e collaboratori della E.M.A.

E.M.A. PREZIOSI D’ARTE QUANDO LA CULTURA DIVENTA PROFESSIONE DI SUCCESSO L’azienda brindisina, fondata da Mino Elia, Umberto Aprile e Vito Manca, da più di 10 anni opera nel settore culturale. Propone le opere di grandi maestri (Guttuso, Rotella, De Chirico, Sughi), ma anche di giovani emergenti.

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e di cultura si vive, quando la cultura diviene fonte di reddito, professione, parte integrante di un’esistenza, si ha la fortuna di raggiungere livelli umani e professionali di altissima qualità. Nell’ambito dell’approfondimento del tema culturale sul territorio brindisino, abbiamo intervistato Mino Elia, esperto consulente d’arte che, con i due soci Umberto Aprile e Vito Manca ha dato vita, da oltre un decennio, alla “E.M.A. Preziosi d’arte”, ditta riconosciuta tra le aziende leader in un settore che richiede elevata professionalità e stimata serietà. Quando ha inizio la vostra storia? La nostra esperienza si consolida grazie alla prolungata consulenza, avviata già dal 1992, prestata all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Acquisite competenze specifiche ed esperienza, un’accurata conoscenza del mercato e delle sue problematiche, abbiamo avviato la “E.M.A. Preziosi d’arte” entrando direttamente nel contesto artistico italiano e personalizzando la nostra attività. Negli ultimi anni l’azienda ha raggiunto livelli notevoli e conquistato una clientela ricercata ed esclusiva. Lavorate in sordina, ma con molto impegno e parsimonia. Di cosa vi occupate esattamente?

La E.M.A. si dedica alla consulenza d’arte, stime e perizie di collezioni private, alla vendita di opere di grandi autori, di gioielli da investimento con certificazione internazionale, pietre preziose, diamanti, orologi da polso a tiratura limitata, sculture con tecniche di fusione a cera persa. Arte allo stato puro, dunque. Quali sono le peculiarità dei vostri gioielli e dei quadri? Puntiamo da sempre su un binomio vincente: qualità e creatività. Per quanto concerne i gioielli, siamo convinti che un gioiello acquista la sua preziosità grazie ai materiali utilizzati, alle mani dei maestri che lo lavorano, all’esclusività ed unicità. Per tale motivo, ci avvaliamo di maestri orafi artigiani di Valenza che riescono a personalizzare, realizzare ogni desiderio del cliente, riuscendo ad armonizzare la bellezza delle creazioni con l’unicità delle stesse, creando pezzi unici di alta gioielleria. Nel settore della pittura la E.M.A. ha rapporti con le fondazioni e le famiglie dei più grandi maestri della pittura del novecento come Guttuso, De Chirico, Attardi, Sughi, Rotella. L’azienda svolge la propria attività d’esposizione presso la galleria Maccagnani di Lecce, si avvale di partner come la Galleria Spirale di Milano

e la Stefano Forni di Bologna, riuscendo a diffondere l’arte di altri grandi artisti come Bonalumi e Wharol. Sempre a Milano, ha organizzato recentemente una straordinaria mostra a Palazzo Reale, chiusasi il 15 febbraio, dove è stato proposto un percorso multimediale, un film, un racconto che abbraccia le figure della poetessa Alda Merini e del maestro Mimmo Rotella. “La poesia che dipinge il bello, la pittura che scrive il bello!”. Solo grandi maestri o anche giovani emergenti? Ciò che caratterizza le nostre mostre è l’interfacciare il grande artista con un emergente. Rappresentiamo giovani artisti come Biondi, Giovannini, Calabria e molti altri. Pensiamo che il giovane vada scoperto e valorizzato per permettergli, domani, di far parte dei grandi Maestri. Naturalmente il successo di un artista è decretato principalmente dal pubblico e, se riscontra il gusto popolare, sicuramente sarà un artista che, prima o poi, sarà possibile ritrovare negli annuari di arte. La vostra è come una vetrina itinerante, una realtà giovane e dinamica. Ciò si coglie dal modo di rapportarvi con i clienti, dall’utilizzo del sistema del direct marketing, dalle iniziative e dagli eventi organizzati. Contestualmente siete una

realtà ormai consolidata e strutturata. Come si coniugano dinamicità e inventiva con arte e cultura? L’arte è talmente integrata alla vita e alle attività giornaliere dell’uomo che risulta impossibile scinderla dallo stesso, dalle sue innovazioni, dal suo modo di rapportarsi con il mondo. Le nostre tecniche di vendita sono all’avanguardia e adeguate ai bisogni ed alle necessità del cliente, ricercato e selezionato, con il quale manteniamo un rapporto diretto e continuativo e, soprattutto, di estrema fiducia. L’amore per l’arte che sprigiona dalla sede e dalle parole dei tre soci è grande. Ancora più grande diviene un’azienda, dinamica e vivace, che riesce ad incardinarsi, con generosa intelligenza, nella società civile. Ci riferiamo, ad esempio, alla scelta di destinare all’ANT parte del ricavato della IV edizione de «Le perle dell’arte”, evento tenutosi a Castello Monaci. Per noi è un reale piacere e non un sacrificio! Vi rispondo con le parole utilizzate da Fabio Testi, testimonial dell’ultimo appuntamento: «Profondere forza ed energie per una nobile causa rientra nel nostro impegno civile; nel desiderio, insito in ognuno di noi, di contribuire a valorizzare il territorio sia in termini economici che sociali». (I.L.R.) Per informazioni: “EMA Preziosi d’Arte” Brindisi - Tel. 0831548208 emapreziosi@libero.it www.emapreziosi.com

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Emanuela Quarant a

WE LOVE CRICKET Sono una quindicina e vivono a Brindisi da 5 anni. Sono dipendenti della base Onu. E da cinque anni, ogni fine settimana, si ritrovano a giocare a cricket a due passi dal Fanuzzi, su uno sterrato che potrebbe essere conservato in uno stato sicuramente piĂš decoroso. Sono Arun Kumar, Rajesh Sharma, Bijender Singh, Sushil Bahuguna, Ajay Kumar, Mukesh Sharma, Susanta Guru, Kamal Mithal, Rajendra Singh Poona Rajendra Phalke, Ashwani Kumar, Nawal Kishore Joshi, Venkata Koduri, Sunil Gurram. Sono diventati amici di TB. Speriamo che diventino amici di tutta la cittĂ .

They are fifteen and they lives in Brindisi from about five years. Every saturday they play cricket around the soccer pitch Fanuzzi, in a place that could be more decent... Their names are Arun Kumar, Rajesh Sharma, Bijender Singh, Sushil Bahuguna, Ajay Kumar, Mukesh Sharma, Susanta Guru, Kamal Mithal, Rajendra Singh Poona, Rajendra Phalke, Ashwani Kumar, Nawal Kishore Joshi, Venkata Koduri, Sunil Gurram. We like to think that they are new friends of TB. But we hope that they will become friends of Brindisi.

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MARIO LIOCE turista per casa

COMMERCIO IN CENTRO ULTIMA CHIAMATA Vorrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che nella nostra città il coinvolgimento, la condivisione e la partecipazione siano concetti astratti e sconosciuti

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i sono volte in cui al termine di un articolo, nonostante l’impegno profuso nello scriverlo avverti un senso di incompiutezza, una sorta di disagio per i concetti espressi che avresti voluto fossero più efficaci e incisivi. Queste sono esattamente le sensazioni che ho accusato al termine del mio articolo di gennaio, in cui rappresentavo Brindisi come una città invisibile, un’incorporeità causata dalla mancanza di una visione prospettica e lungimirante. Nel rileggerlo la mia insoddisfazione era evidente e fastidiosa. Con estrema meraviglia, nei giorni successivi alla pubblicazione ho incominciato a ricevere telefonate, messaggi, email che hanno palesato in me la convinzione, indipendentemente dalla qualità delle argomentazioni usate, di avere toccato un nervo scoperto. L’elemento che accomunava ognuno di questi “contatti” era la richiesta di insistere sull’argomento, di non abbandonarlo, di proseguire nella provocazione. Bell’impresa. Per cercare di andare oltre le parole e - al di là dell’apparente ossimoro - continuare a “materializzare” la summenzionata invisibilità, ho provato a scorrere nella mia mente tutte le occasioni di dialogo in cui è capitato di avvertire nei miei interlocutori la mancanza di qualsiasi consapevolezza e cognizione in merito alla città di Brindisi. Nei miei tanti viaggi di lavoro ho avuto modo di percepire dolorosamente una sorta di assenza dalla carta geografica del Paese. Si andava da una palese difficoltà a memorizzare la città, confondendola alla prima occasione con Bari o con Lecce, alla rappresentazione di stereotipi che lasciavano trasparire una profonda ignoranza su tutto ciò che ci riguarda. E per quei pochi che riuscivano a realizzare e proporre un minimo di contestualizzazione, le osservazioni e le curiosità da soddisfare si esaurivano sterilmente nel domandarmi come mai un territorio povero fosse così riottoso verso le “ghiotte” opportunità proposte dalle aziende del comparto energia. L’avvilente logica, a noi ben conosciuta, del baratto di salute e dignità con un tozzo di pane. Sfido chiunque a provare ad articolare con efficacia, nei pochi istanti che vi separano dall’incominciare una riunione, una spiegazione che passi dal raccontare una politica industriale sciagurata passando per i tragici effetti che questa ha avuto sulla salute pubblica, le croni-

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che incapacità di una classe dirigente e una latente indifferenza della cittadinanza. A volte il tempo che manca diventa un alibi utile per non dover dare spiegazioni scomode. Ma qui siamo ancora nell’ambito di un’invisibilità rispetto all’esterno. La terribile sensazione che si avverte è la perdita di “sostanza” che si sta manifestando sotto i nostri stessi occhi senza che si faccia nulla per porvi rimedio. Parlo della crisi che sta attanagliando il commercio nella nostra città con la conseguente scomparsa di tanti negozi. Dà una tristezza infinita passeggiare lungo i corsi e trovare locali sfitti, vuoti, abbandonati, spesso lerci per l’incuria dovuta al tempo e all’inciviltà di molti passanti. Locali ubicati in zone centralissime che restano inutilizzati per mesi se non addirittura per anni sono la spia, il sintomo di un malessere grave, di un vuoto incolmabile; una sorta di buco nero che ingoia volti, sogni, ricordi, aspettative. La crisi esiste ed è violenta e pungente nel suo manifestarsi quotidiano. Ma siamo certi che gli effetti devastanti che sono sotto i nostri occhi siano stati tutti prodotti da una contrazione dei consumi che negli anni è involuta passando da stagnazione a vera e propria recessione? Sinceramente ne dubito. E questa mia sensazione

DICONO CHE IL FUTURO SARÁ TUTTO ROSE E FIORI DOBBIAMO SOLO SPERARE DI SOPRAVVIVERE AL PRESENTE

trova conferma quando vedo commercianti e politica rimpallare tra loro le responsabilità. Personalmente ho la convinzione che parte delle colpe derivino dall’incapacità da parte del dettaglio di comprendere appieno i mutamenti strutturali del mercato che la grande distribuzione ha provocato. Non è sicuramente una spiegazione esaustiva ma credo sia innegabile che, di fronte alle opportunità offerte dai centri commerciali, sarebbe stato necessario da parte degli esercizi della città rimodulare verso l’alto la propria offerta. Diversamente la competizione diviene insostenibile. Gli esperti dello shopping chiamano il nuovo consumatore consapevole “cherry picker”, raccoglitore di ciliegie, e cioè una persona che avendo l’esigenza di risparmiare va a caccia delle occasioni riuscendo a contenere l’inflazione percepita. Il centro commerciale soddisfa l’esigenza menzionata e consente il mantenimento di una “condizione sociale” soddisfacente, spesso rappresentata solo dal tentativo di uniformarsi a stili di vita superiori alle proprie possibilità economiche. A tutto ciò il commercio della città non riesce a rispondere efficacemente, trincerandosi spesso dietro il falso assioma che la crisi ha penalizzato la “roba di marca”. Marchi e beni di lusso hanno visto dappertutto un’erosione minore delle quote perché il loro carico di attrazione è rimasto intatto, ma questo non è comunque sufficiente per ripopolare un centro asfittico. Occorre definire un piano di valorizzazione dell’offerta e penso che l’unica soluzione valida è che siano le istituzioni ad assumere un ruolo guida in questo processo di creazione del valore, del quale beneficerebbe in primo luogo la città. A questo proposito è bene dire che per lunghi mesi ci siamo aggrovigliati intorno a discorsi sul turismo e sul marketing territoriale, scordando che forse occorreva creare prima i presupposti perché qualcuno volesse soffermarsi nella nostra città. Abbiamo trascurato di sostanziare, strutturare e comunicare un’offerta significativa, fatta di percorsi culturali, artistici, architettonici e dell’intrattenimento. O forse ci illudevamo che sarebbero stati sufficienti la Pizzica e i tarallini? Tornando al fulcro del discorso, occorre sottolineare con forza che abbiamo la fortuna di avere, tra le tante cose, un centro urbano in cui la maggior parte delle attività si dipana lungo corsi adiacenti che confluiscono in uno stupendo lungomare, anfiteatro naturale di rara bellezza. E invece la chiusura dei corsi al traffico degli autoveicoli, pur condividendola, è stata a mio avviso una decisione parziale, poiché doveva preludere la creazione di una sorta di “salotto”: negozi eleganti, bar e ristoranti con strutture e tavolini esterni, organizzazione continua di eventi, un nuovo lungomare completamente fruibile, un porticciolo turistico interno e mille altre iniziative possibili se solo si comprendesse la necessità di agire insieme per il bene comune. Spero di sbagliarmi ma ho sempre l’impressione che nella nostra città il coinvolgimento, la condivisione e la partecipazione siano concetti astratti e sconosciuti. Purtroppo le associazioni di categoria sembrano latitare e non in grado di proporsi come moto propulsivo nei confronti di una politica distratta e impegnata su altri fronti. E invece giorno dopo giorno continuiamo a perdere pezzi della nostra storia e del nostro futuro, alimentando le ragioni della nostra invisibilità a noi stessi e agli altri. Quante incorporeità dovremo ancora evidenziare e denunciare prima che si faccia qualcosa?


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