Vinoedintorni 09

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Campania

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ISSN 2240-4589

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Anno III numero 9 – € 4,90

è mille culure

Cotarella: ecco i vini naturali caffè meletti, ritrovo d’èlite

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L’odio al vino, Cinque Stelle di incoerenza

David Taddei

All’ultimo Vinitaly avevo scovato con curiosità un Franciacorta targato Movimento 5 Stelle. Così parlando con il produttore avevo scoperto che, per brindare alla fine del tour che ha riempito le piazze di tutto il Paese, nell’ultima campagna elettorale, i grillini di Brescia avevano realizzato delle bottiglie di Franciacorta brut in edizione limitata, in collaborazione con la nota cantina di Capriano del Colle. Bottiglie fatte vestire, per l’occasione, con una speciale decorazione azzurra dedicata a Tsunami tour e siglata con lo slogan «Attenzione! Onda in MoVimento!». La vendita delle bottiglie, insieme a tutti gli altri gadget a cinque stelle, contribuiva a coprire i costi della campagna elettorale di M5S. Pensavo fra me e me, un po’ stupito, che scelta strana. Un movimento di base che vuole essere popolare va a scegliere come

gadget la bollicina più costosa d’Italia (la mia preferita, tra l’altro). Di solito per questi gadget si scelgono prodotti di fascia bassa, qualche spumante anonimo, giusto per il gusto di far saltare il tappo. Invece no, top di gamma per prezzo e qualità. Sono andato a cercare qualche info sul web per vedere se Beppe Grillo fosse, come noi, un appassionato di vino e mi sono imbattuto in un vecchio post del suo blog che mi ha lasciato di stucco. Si intitola: L’odio al vino. Dice testualmente. «Odio il vino, quello “buono”. Il vino barricato con retrogusto di muschio, il vino degustato non bevuto, il vino tenuto in bocca, il vino fatto respirare. Questo vino lo odio con tutte le mie forze. Odio il vino prodotto dai Panerai, Rotschild, con le cantine fatte dai grandi architetti Botta, Weber, Yokonimo, Rikowski. Cantine arredate, attrezzate a sala congressi, con sopra un Relais Chateaux con 50 camere lusso. Odio le vigne

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perfettamente allineate, senza un filo d’erba superfluo. Odio lo spreco delle bottiglie di vetro, belle, straordinarie, e buttate vie dopo l’uso. Odio il tappo di silicone. Odio i grandi intenditori. Odio tutto ciò che gravita intorno al vino: le riviste, le trasmissioni televisive, i sommelier, gli accessori. Il vino buono è un’altra cosa. Stanno arrivando i vini a ustr a liani, cileni, californiani, ottimi ed economici. Il vino dai 20 euro in su va odiato. Quando andate al ristorate portatevelo da casa, la legge lo consente. Mi raccomando solo di non farvelo stappare, altrimenti vi applicano un servizio stappo che vi rovina». Caro Grillo noi odiamo gli ipocriti, la prossima volta brindate con la Coca Cola.



Sommario

Agenda

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News

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Fiere A Tuttofood le eccellenze con sempre più sapore La town del vino è Firenze Maremma Wine Food Shire 2013 Cibo, libri e… arriva a Genova “Sapori da sfogliare” Donne, vino, social network. Una relazione speciale Vini naturali e senza solfiti aggiunti Protagonisti Podere Paganico. Rosso raffinato ed elegante Caffè Meletti, il luogo di ritrovo per eccellenza

Occasioni golose Il Montepulciano d’Abruzzo Il territorio La Campania è mille culure Secoli di storia per bianchi e rossi unici Abbiamo assaggiato Benvenuti in Campania, sapori, colori e tradizioni O’ babà è ‘na cosa seria, cò babà nun se pazzea

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L’intervento 20

22 24 Viaggi 26 28 30 32 34 40 40

L’oro di Cetara 44 45 Sule a Napule ‘a sanne fa’ Enza Coccia, l’“integralista” della pizza 46 Campania Felix 48 È una vera “Bufala” Dop 52 È di Mustilli la prima Falanghina della storia 54 Arte e vino nell’estro di Mastroberardino 56 Wine valley per otto Comuni 58 La Costiera Amalfitana 60 Miti ed eroi per i sogni di oggi 64 Il Comandante del Romeo Hotel. La nuova stella del firmamento partenopeo 66 Ciak, sotto il Vesuvio 70 Rubriche Macch[in]azione – “Naturali” e “industriali”: se almeno di parlassero 73 I consigli del gusturista – Cucine di strada tra Montefeltro e Monti Piceni 74 Innovazione – Ponente. L’accessorio fa la differenza 75 Oltre confine – Oggi anche chi soffre di emicrania da istamine può bere vino 76 Arte di… vino – La Campania… Vino e arte 78 Personal Wine Shopper – Il vino si vive, non si impara 79


Agenda

China International Food Industry Trade Fair (FADS) Pechino 6 –8 giugno

L’evento cinese dedicato al mondo del food e del vino si terrà a Pechino, presso il China International Exhibition Center, con lo scopo di promuovere la Cina come piattaforma commerciale ed offrire l’opportunità di promuovere e mettere in mostra i prodotti e trovare distributori, oltre a incontrare potenziali clienti.

Festival Gourmet International

Festival Internacional de Vinos y Quesos Santa Cruz de la Sierra 17–20 luglio

Produttori e distributori di formaggi, insaccati e vini boliviani si riuniscono per presentare le ultime novità gastronomiche agli operatori del settore ed agli amanti del buon mangiare. Oltre che una vasta offerta alimentare nazionale, l’edizione numero 13 del salone propone anche degustazioni e spettacoli musicali.

Caracas 19 –21 luglio È questa la terza edizione del Festival, che prevede quest’anno una nuova sede: il Tamanaco Intercontinental Hotel. All’evento venezuelano, atteso da tutti gli amanti della buona cucina, saranno presenti decine di aziende, per un festival che ha in calendario conferenze, dimostrazioni e degustazioni per tutti.

SIAL Brasil

San Paolo 25 –28 giugno

Foire aux Vins d’Alsace

Con lo scopo di emulare il SIAL di Parigi, il più grande salone alimentare e delle bevande mondiale, l’edizione brasiliana riunirà tutti i segmenti di questo mercato, con la presenza di aziende nazionali e internazionali, mostrando le innovazioni e le tendenze del settore e offrendo un mix di prodotti e soluzioni.

Colmar 9 –18 agosto

Sc Gourmet

Blumenau 17 –20 luglio

ExpotChe

Brasilia 5 –14 luglio La manifestazione investe i settori della cultura, del turismo e della gastronomia brasiliana, mirando a promuovere la cultura gaucho e a farla conoscere oltre i confini statali. Moda, caffè, vino, pane, turismo saranno alcuni dei prodotti e dei servizi che saranno presenti in questo evento.

Dopo il successo delle prime due edizioni (2011 e 2012), con un pubblico di circa 26mila persone, torna l’evento di Blumenau, nota cittadina del Brasile. L’evento presenterà una selezione di vini, spumanti e formaggi nazionali differenziati, liquori speciali, birre, cibi gourmet, accessori e regali. L’idea è di presentare il nuovo mercato per gli imprenditori, professionisti e studenti nei settori del cibo e bevande e anche al consumatore finale. Oltre alla mostra, l’evento vedrà conferenze, workshop e cene di abbinamento di vini, guidate da chef e sommelier di fama internazionale. 8

L’evento francese è un appuntamento per il pubblico e per i professionisti del settore, oltre che essere una vetrina d’eccezione per i vini d’Alsazia. Esperti e novizi potranno degustare più di 1.500 campioni dei migliori vini d’Alsazia. Inoltre conferenze e tavole rotonde sul tema della viticoltura.

Expo Comida Latina California

Los Angeles 18 –20 agosto È un evento commerciale del Nord America, dedicato alle specialità gastronomiche e ai prodotti tradizionali provenienti da tutto il mondo. Saranno presenti alimenti, bevande e servizi pronti per soddisfare le esigenze dei consumatori e aggiornarli sulle tendenze del settore retail e della ristorazione di oggi.



News A cura di Luca Casamonti

Artenoica: Arianna Greci per le sue opere rivoluziona il modo di dipingere usando il vino al posto dei colori tradizionali

Barolo, Nero di Troia, Primitivo di Altamura. Se per tutti sono solo vini da degustare, per Arianna Greci si tratta di veri e propri strumenti di lavoro e materie prime per la realizzazione dei suoi quadri. L’intuizione per questa sua nuova forma d’arte arriva nel febbraio 2012, quando sperimenta e inventa l’arte enoica, ovvero l’arte di dipingere utilizzando il vino. Il suo lavoro è apprezzato e in pochissimo tempo si susseguono mostre personali, riconoscimenti, eventi, inviti e prestigiosi incarichi dalla Puglia e non solo. Dopo il Vinitaly di questa primavera (dove ha presentato un’opera dipinta mediante vino e birra), una delle ultime sue creazioni è stata ospite di “Federicus”, la festa che riporta la città di

Altamura a respirare l’atmosfera medievale. L’ultima imponente opera della celebre “Artista del Vino”, salentina di nascita e altamurana d’adozione, ha come oggetto il volto di Federico II, dipinto mediante l’utilizzo del vino, un Primitivo di Gioia del Colle, prodotto da un altamurano e per tale motivo chiamato “Almura”. Sempre nel 2013, Arianna realizzerà l’etichetta che contrassegnerà tutti i vini in degustazione a “Rombi Divini 2013”, manifestazione di Orvieto dedicata ad auto d’epoca e vini. Inoltre, sempre quest’anno ha realizzato l’etichetta il “Moscato di Trani” dal nome “Daidalos” imbottigliato nel maggio 2013 e dovrà realizzare il primo premio del I Trofeo Nazionale Miglior Sommelier Ambasciatore dei Vini di Puglia.

Nel numero 7 di “Vino e dintorni” di febbraio 2013, nella sezione dedicata alle degustazioni, abbiamo erroneamente inserito la bottiglia non corretta dell’azienda Fattoi. Di seguito riportiamo per intero la degustazione, con l’immagine del campione della bottiglia.

Errata corrige

Voto: 5,5 Azienda: Fattoi Vino: Brunello di Montalcino Annata: 2008 Gradazione: 14% Giudizio: vino ancora inespresso al naso e piuttosto scomposto. Aspettate qualche anno prima di berlo.

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Grazie a WineAmore i ristoranti possono presentare la loro carta dei vini direttamente su iPad con una semplice applicazione

La carta dei vini con un click. WineAmore è un’applicazione per iPad che guida i clienti di un ristorante a scegliere il vino in maniera nuova ed interattiva, con precise informazioni per una scelta consapevole sul vino da bere. L’applicazione, progettata in più lingue, permette anche a clienti stranieri di scegliere facilmente, senza creare problemi di imbarazzanti traduzioni dei camerieri. È un prodotto tecnologico di grande effetto per i clienti dei ristoranti, semplice da usare, intuitivo e divertente. Inoltre per ogni ristorante è possibile la personalizzazione dell’App, con il logo e i colori del ristorante, oltre alla lista completa dei vini, aggiornata in tempo reale.

A giugno torna Radici del Sud, il festival dedicato ai vitigni autoctoni del Mezzogiorno che attira appassionati e addetti ai lavori

Dal 5 al 10 giugno a Carovigno (Brindisi) centinaia di appassionati, produttori, wine buyer, giornalisti e consumatori, provenienti da ogni dove, celebreranno l’eccellenza del sud Italia con etichette della Puglia, Basilicata, Campania, Calabria, in occasione dell’ottava edizione di Radici del Sud. Il 9 giugno poi sarà riservato al confronto diretto tra produttori, operatori di settore e pubblico di enoappassionati. Inoltre numerose saranno le attività collaterali, organizzate per far acquisire maggiore familiarità

con le realtà territoriali enogastronomiche dove nascono i particolari vini che partecipano a Radici del Sud, per poterne comprendere meglio carattere ed essenza ed evidenziarne il profilo storico/culturale di grande impatto. Grande attesa per la giornata conclusiva, con banchi di assaggio aperti al pubblico e una cena affidata alle esperte mani di cinque signori chef stellati che avranno il compito di esaltare con le loro creazioni i vini più apprezzati dalle due giurie nel corso del wine-tasting.

Vino è Musica “Il cammino dell’arte, l’incontro dei sapori” torna ad agosto con attenzione sull’enogastronomia locale

Vino è Musica “Il cammino dell’arte, l’incontro dei sapori”, l’appuntamento per assaporare i vini pugliesi tra installazioni di arte e percorsi enoculturali, torna il 3 e 4 agosto. Il suggestivo quartiere delle Ceramiche di Grottaglie (TA), è pronto ad attendere migliaia di turisti, appassionati e curiosi, che potranno gustare, tra itinerari inediti e diversificati, i migliori vini abbinati ai sapori made in Puglia. Tante le novità per questa quarta edizione. Sarà infatti possibile conoscere da vicino il mondo del vino con dei mini corsi creati ad hoc. Inoltre è stato istituito il I Premio Vino è Musica legato alle migliori eccellenze presentate durante la manifestazione.

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Fiere

A Tuttofood le eccellenze con sempre più sapore tuttofood ha messo in mostra le offerte di oltre 2.000 aziende provenienti dall’italia e dall’estero in rappresentanza dei sette comparti in cui è stato organizzato l’evento

In tempi di crisi cambia la dispensa degli italiani – volumi in flessione (-0,3%) – e ad essere premiato è il rapporto qualità-prezzo in favore della convenienza, con un boom nei prodotti Bio (+5,6%). I nuovi trend di consumo sono stati l’argomento forte di Tuttofood 2013, il salone dell’agroalimentare che si è tenuto a Fieramilano. La tendenza nel settore degli alimentari confezionati è stata rilevata da una ricerca di SymphonyIRI per Tuttofood. Quello che emerge è che nel 2012, il food confezionato ha registrato per la prima volta una flessione media in termini di volume rispetto al 2011. Tengono i trend a valore, soprattutto per il contributo dell’inflazione immessa nel comparto. A fronte di una generica stabilità in termini di volumi dei settori lattiero caseario (-0,4% in termini di volume, +1,3% in termini di valore) e dei surgelati (-0,7%), la “dieta” si fa maggiormente sentire nell’ambito del dolciario (quasi un punto percentuale in meno), nei salumi (-1,1% in termini di volume, +2,4% in termini di valore) e nel comparto della carne (-2,1% in termini di volume, contro un +2,4% di valore). Tuttavia colpisce in questo contesto il piccolo “boom” del biologico, che vede i volumi di vendita crescere del 5,6%, a fronte di una crescita di valore del 7,5%.

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Cambiano inoltre le abitudini di acquisto quotidiano: così, per esempio, è possibile notare come sembra perdere forza quella del gelato confezionato (la cui vendita scende del 3,5% nel 2012 rispetto all’anno precedente), mentre guadagnano accoliti gli “spalmabili dolci”, nel campo del dolciario (+7,5% il volume venduto nel 2012 rispetto al 2011). «Il 2012 – ha commentato Marco Limonta, business insights director di SymphonyIRI – si è chiuso con flessioni inedite per il comparto degli Alimentari in Italia. I primi mesi del 2013 evidenziano un ulteriore peggioramento dello scenario. In questo quadro, sicuramente non positivo, è comunque possibile individuare segmenti di mercato molto performanti. Come il caffè in cialde/capsule, che nel 2012 ha accresciuto i propri volumi del 25,1%. Gli elementi caratterizzanti i segmenti trendsetter sono la convenienza, le componenti salutistiche/di benessere, la caratteristica di essere “light” o comunque utilizzabile nelle diete a basso regime calorico, infine i prodotti con contenuto di servizio». Dalle proposte delle aziende, come dalle tendenze di consumo, emerge così una nuova figura di consumatore: meno massificato e più critico, più attento al risparmio,


ma sempre disposto a investire nel prezzo della qualità. Perché la crisi si batte rinunciando alla quantità, ma scegliendo sempre il meglio. Per Enrico Pazzali, ad di Fiera Milano, «L’edizione 2013 di Tuttofood è un traguardo, ma è anche un punto di partenza. È un traguardo perché con essa abbiamo messo a punto una manifestazione fortemente italiana, ma anche pienamente integrata nel tessuto del mercato internazionale. È, però, anche un punto di partenza, perché ci consentirà, grazie alle forti alleanze con le associazioni e la fondamentale collaborazione con Expo 2015, di arricchire ulteriormente il sistema di valori e l’identità stessa che ispirano Tuttofood fino dalla prima edizione».

anche Gluten Free, e senza additivi o grassi aggiunti, oltre a una forte tendenza a cercare forme e sapori “di una volta”, ponendo l’accento sulla qualità degli ingredienti e delle preparazioni. Il piatto forte di Tuttofood è stato il business e la possibilità offerta alle aziende di avere visibilità internazionale. La manifestazione ha accolto buyer delle più importanti catene della GDO internazionale e nazionale, grossisti, importatori, esercenti, ristoratori e tutti gli operatori in cerca di un’opportunità di crescita per la propria attività.

Tuttofood ha messo in mostra le offerte di oltre 2.000 aziende provenienti dall’Italia e dall’estero in rappresentanza dei sette comparti in cui è stata organizzata la manifestazione – Carni e Salumi, Lattiero Caseario, Surgelati, Ho.Re.Ca., Dolciario, Biologico, Multiprodotto. Tra le produzioni si è avuta la conferma di una più forte attenzione delle aziende ai temi del prodotto “salutistico”, con il forte aumento di proposte “bio”, ma

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Fiere

La town del vino è Firenze

Martina Cenni

Bellezza, eccellenza, gusto. Sono gli ingredienti giusti. Parliamo della quarta edizione di Wine Town Firenze, una delle manifestazioni più belle ed eleganti del mondo enologico, o forse enogastronomico, del nostro Paese. Elegante, ma non banale, né tantomeno noiosa, attenta all’etichetta insomma. Wine Town è invece una grande festa in giro per la meravigliosa Firenze. Basta passeggiare per il centro storico per incontrare banchi di degustazione, spettacoli dal vino, jazzisti, musicisti, palazzi storici aperti e che invitano ad entrare. Un intreccio inusuale di degustazioni di vino di qualità, concerti e spettacoli. Ci sono i migliori vini toscani e una selezione gustosa del cibo da strada italiano e internazionale, i cortili e i giardini di dodici grandi dimore storiche di Firenze e oltre 100 eventi cui assistere gratuitamente. Due giorni che hanno inebriato di gusto, profumi e musica il cuore di Firenze, tra Palazzo Pitti, Bargello e Loggia del Grano o nei palazzi che si snodano tra via Tornabuoni, via del Proconsolo e l’Oltrarno. «Tra non pochi appuntamenti di settore

ci sono i migliori vini toscani e una selezione gustosa del cibo da strada

– racconta l’ideatore della manifestazione Francesco Spanò – non era scontato, seppur nella cornice di Firenze, riuscire a progettarne uno che, puntando tutto sulla qualità, riuscisse a coinvolgere un grande pubblico. Torniamo quindi a scommette-

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re sull’eccellenza, con la scelta di un programma che cerca una sempre maggiore integrazione con la città». Da Palazzo Davanzati alla Sala d’Arme di Palazzo Vecchio e da Palazzo Pazzi Quaratesi a Palazzo Capponi delle Rovinate, spostandosi a piedi o magari su risciò a pedali (prenotandosi su www.winetown. it), fiorentini e turisti hanno potuto conoscere, anche in questa edizione, i vini di etichette note del nostro territorio. Grandi nomi come Antinori, Mazzei, Borro di Ferragamo, il Consorzio del Chianti Classico, Rocca delle Macie e Ruffino sono così entrati in contatto, anche grazie all’intuizione di Davide Bonucci dell’Enoclub Siena, con una selezione di piccole aziende che rappresentano il Sangiovese. «Allo storico vitigno – spiega Bonucci – dedichiamo il progetto Sangiovese Purosangue proponendo anche due seminari al Palagio di Parte Guelfa». Uguale agli anni passati la modalità di partecipazione alla manifestazione. «Grazie alla WineCard – tessera prepagata (costo 15 euro) e ricaricabile – si ha diritto a un calice, alla degustazione dei vini e, nei giorni dell’evento, alla sosta gratuita nei parcheggi di Firenze Parcheggi».


Maremma Wine Food Shire 2013

Martina Cenni

«È un Rinascimento». Così Giovanni Lamioni, presidente della Camera di commercio di Grosseto, ha definito Maremma Wine Food Shire, la manifestazione enogastronomica che per tre giorni, 17, 18 e 19 maggio scorsi, ha cambiato volto al centro storico di Grosseto. E, ad ascoltare le molte e differenti lingue parlate in centro, dai buyers accorsi da tutto il mondo, non c’è da dargli torto. Lamioni dissimula a fatica l’evidente soddisfazione. «Sono stati giorni fantastici – afferma – giorni di rinascimento. Grosseto sembrava Madrid, con la movida sino a tarda sera. I buyers sono rimasti folgorati dalla città, ma anche dalla cura con cui è stata allestita la manifestaziuone: giochi di luci sui monumenti storici, stand di altissima qualità. Nulla è stato lasciato al caso. Tutte le piazze hanno avuto un sottofondo musicale, con artisti maremmani». Non solo enogastronomia, quindi, ma la Maremma nel suo complesso, le molte eccellenze del territorio: l’artigianato, la gastronomia, il gusto, la musica e la professionalità di tutta una terra che ha lavorato in sinergia e alacremente alla buona riuscita di un evento che cresce di anno in anno». Una bella manifestazione che non finisce di partorire idee, alcune per il prossimo anno già svelate dallo stesso Lamioni, che tra le altre propone un Wine Food Shire itinerante: «Non è scontato che venga fatta sempre nella stessa sede. Ovvio Grosseto è il capoluogo, ma la Maremma è ricca di posti bellissimi, e nulla vieta che divenga itinerante e che il Wine Food Shire vada a chi si impegnerà di più per averla, a chi si pro-

digherà per renderla sempre più bella. Perché questa non è una semplice fiera». Maremma Wine Food Shire nasce all’interno di un ampio intervento di marketing territoriale avviato dalla Camera di commercio di Grosseto con il salone dei Vini della Maremma toscana “Maremma Wine Shire”, nel maggio del 2010. L’intero progetto è guidato dalla ferma convinzione che il brand Maremma offra grandi possibilità di crescita al sistema delle imprese ed al territorio maremmano, ed ha l’obiettivo di essere un importante contenitore di eventi ed iniziative promozionali, un veicolo di marketing integrato potente ed articolato, in grado di convogliare l’azione di istituzioni, partner ed operatori del territorio. La promozione dei prodotti di eccellenza del territorio, come quelli del settore agroalimentare e della vitivinicoltura, è il cuore dell’evento. Dopo la prima edizione del Salone del Vino a Braccagni nel 2010, è iniziato dunque un percorso di numerose iniziative coronate da ampia visibilità ed apprezzamento da parte degli operatori che è arrivato fino alla partecipazione a Vinitaly, nel 2012 con l’evento “Wine&Food”, momento clou della Festa della Maremma. Vino e cibo, rigorosamente maremmani, sono così per la prima volta insieme protagonisti dell’appuntamento della Camera di commercio di Grosseto. Questo è “Maremma Wine Food Shire”.

una bella manifestazione che non finisce di partorire idee anche per il prossimo anno


Fiere

Cibo, libri e…, arriva a Genova “Sapori da sfogliare”

Luca Casamonti

Dal 21 al 23 giugno 2013 debutterà a Genova il Salone del Libro e delle Eccellenze Enogastronomiche dal titolo “Sapori da Sfogliare”: una tre giorni a ingresso gratuito, interamente dedicata al gusto, dall’accattivante sottotitolo “Cibo, libri e…”, che vedrà protagonisti i prodotti agroalimentari di eccellenza, l’editoria enogastronomica e un vasto pubblico di consumatori sempre più attenti alla qualità. L’evento, patrocinato dalla regione Liguria, dal comune di Genova e da Unioncamere Piemonte, si svolgerà presso la Fiera di Genova, in uno splendido Padiglione affacciato sul mare; avrà come protagonisti i piccoli produttori del settore agroalimentare di alto livello qualitativo, piccole eccellenze che fanno grande l’Italia, suddivise per categorie merceologiche (pasta, pane, carne e salumi, olio, aceti, ortofrutta, formaggi, vini, dolci, riso, prodotti ittici, latte e acque minerali) e gli editori del settore enogastronomico-turistico (con una vasta selezione di libri, pubblicazioni e guide dedicati alla cucina, al cibo, al vino, ai territori e agli itinerari enogastronomici) provenienti da tutta Italia e non solo. “Sapori da Sfogliare” si propone al pubblico come un’esperienza da vivere e da assaporare, destinata a diventare un importante appuntamento europeo, rivolto alla cultura materiale. Ogni anno, infatti, verrà ospitato un diverso Paese europeo per mettere a confronto e far conoscere le tradizioni alimentari dei vari territori dell’Europa: ospite d’onore della prima edizione è la Spagna, alla quale verrà dedicato un ampio spazio espositivo dove potrà presentare il meglio dell’enogastronomia delle sue regio-

“sapori da sfogliare” si propone come un’esperienza da vivere e da assaporare, destinata a diventare un importante appuntamento europeo

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Il porto di Genova

ni. La Spagna da sempre rappresenta l’alimentazione mediterranea, ma anche quella atlantica, e sarà al centro del tema portante del Salone: “Cucina e dieta mediterranea e atlantica a confronto”. Lo spazio messo a disposizione della Spagna si presta anche per accogliere eventi collaterali, degustazioni, esibizioni culinarie, folcloristiche o culturali che possano rendere ancora più accattivante la sua presenza al Salone. I tre giorni della manifestazione saranno accompagnati da un programma ricco di degustazioni di prodotti tipici, assaggi di pesce freschissimo cucinato a vista nelle aree esterne al padiglione, cene letterarie, aperitivi finger-food, assaggi di street food, eventi dimostrativi, show cooking, lezioni di cucina, incontri a tema, presentazioni di libri e momenti di conoscenza delle tradizioni alimentari dei vari territori che animeranno i tre giorni della manifestazione. Le cene letterarie Le cene letterarie si collocano nell’ambito della promozione della cosiddetta “cultura materiale ed enogastronomica”. Le cene letterarie vengono costruite attorno a ricette tratte da un libro o segnalate da uno scrittore (possono essere considerate anche opere monografiche su uno specifico prodotto). Individuato lo scrittore e un suo libro, che abbia implicazioni riguardanti l’enogastronomia, si identificano i prodotti necessari per la realizzazione delle ricette attinte dall’opera e, di conse-

guenza, si selezionano i relativi produttori interessati al progetto. Le ricette verranno interpretate da cuochi d’eccezione messi a disposizione dall’organizzazione e, in un’elegante area del Salone, addobbata con suggestivi allestimenti ispirati ai temi del libro, avrà luogo la cena. Gli aperitivi finger food Con finger-food, dall’inglese “mangiare con le dita”, si intende l’insieme di quei cibi che è possibile mangiare con le mani in quanto serviti in dimensioni che si possano prelevare con due dita e che si ingeriscono in un boccone, massimo due. Il cibo viene posto su piatti e vassoi seguendo spesso un ordine; vengono poi aggiunte decorazioni in modo da renderlo più appetitoso

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e ottenere anche un godimento visivo delle pietanze. Gli aperitivi finger-food si svolgeranno a partire dalle ore 19.00 nelle serate di venerdì 21 e sabato 22, e nell’orario di pranzo di domenica 23 giugno. Un’area del padiglione espositivo verrà allestita con pannelli scenografici di grande impatto visivo, con un bancone ricoperto dai vassoi con i finger-food e con un altro riservato a vini e aperitivi. Gli assaggi di street food È sbarcata anche in Italia la moda dello street food, il cibo da strada che fa tendenza. Recuperando il piacere di fare un break gastronomico e gustare passeggiando le più golose e sfiziose delizie regionali d’asporto, lo street food può diventare la vera alternativa al fast food e a prodotti global. “Sapori da Sfogliare” si propone di salvaguardare questo patrimonio di storia e sapori, promuovendo la conoscenza di piatti storici del cibo di strada che in Italia vanta radici storiche. Sulla banchina antistante il padiglione espositivo, si potrà vivere l’esperienza del cibo di strada assaggiando, tra un banchetto e l’altro, i sapori e le suggestioni alla scoperta del territorio italiano. Attraverso lo street food si potrà fare una panoramica di alcune delle mete più interessanti della penisola, concedendosi l’occasione di “mangiare il territorio”. Pesce a metro zero Ogni giorno, alle ore 13, direttamente dai pescherecci, il pesce verrà scaricato sulla banchina, cucinato a vista e servito. Il libro di Fabio Picchi Soffriggo per te, pubblicato da Rai ERI, ispirerà la paranza in collaborazione con Lega Pesca Italia e Lega Pesca.


Fiere

Donne, vino, social network. Una relazione speciale

Stefano Malagoli Giulia Valentini

se è vero che in italia oltre un terzo di chi lavora nel vino è donna, allora il social media manager è, in questo caso, un lavoro da donna

Le donne stanno al vino come il vino sta ai social? E se fosse vera tale equazione, si può parlare di un rapporto speciale tra le donne del vino e la comunicazione 2.0? Se è vero che in Italia oltre un terzo di chi lavora nel vino è donna, il quesito diventa ancora più intrigante: il social media manager nelle aziende vitivinicole è “un lavoro da donne”? Sono quesiti che nascono a margine del convegno Vino e Social Media. La netnografia per una approccio strategico al nuovo marketing del vino organizzato dall’Associazione Nazionale “Le Donne del Vino”, nell’ambito delle attività previste in occasione del venticinquesimo anniversario della associazione. Elena Martuscello, la presidentessa, recentemente riconfermata nella sua carica, ha scelto il Vinitaly 2013 per presentare le evidenze della ricerca del Centro Studi Etnografia Digitale. La ricerca illustrata a Verona ha investigato su come il vino sia presente in rete, quanto se ne parli, chi e con quale autorevolezza. Secondo Alex Giordano, curatore del monitoraggio, il vino viene percepito come prodotto culturale di consumo quotidiano, prima di essere letto, cercato, discusso come brand e azienda. A convivialità e quotidianità, si affianca un approccio completamente diverso, più attento e competente, all’interno del quale si citano brand e tecniche di degustazione. La conversazione è il terreno dei “winelovers”. Alcuni lo sono grazie alla propria professione: Chiara Giovoni, meglio nota come kia-

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inga, ad esempio è winelover, ma ancor prima sommelier, blogger, giornalista e scrittrice. Tra gli altri che hanno iniziato per gioco e passione, diventando veri e propri influenzatori, la ricerca menziona Federico Malagarini, del blog The Old Now, Luigi Fracchia del blog gliamicidelbar e Vittorio Rusinà, in arte Tirebouchon. Tanti altri winelover, invece, scrivono di vino e risultano influenti senza raggiungere i livelli di professionisti e semiprofessionisti: la ricerca li ha fotografati in quattro “tipi culturali”: enjoyer (vivono il vino “come mezzo per raggiungere la felicità”), prophet (il vino per loro non è un mezzo, ma un culto), winevictim (vino come cura, bevono “per dimenticare”), wannabe (vorrebbero, ma causa dieta o inesperienza, non riescono a raggiungere il livello dei precedenti). Il loro habitat naturale è il mondo dei social network, in particolare Twitter, Blog e Instagram, dove creano una vera e propria community. Scomponendo il network semantico è stato possibile individuare tre principali cluster tematici che gravitano attorno al concetto di vino e winelovers: territorio, prodotti&aziende, food. Un altro risultato interessante della ricerca riguarda appunto la presenza delle aziende in rete e la loro reputazione. In base al sentiment, numero di like su Facebook, di follower su Twitter e alla loro capacità di ingaggiare il pubblico, l’analisi netnografica ha eletto i seguenti 12 protagonisti dei social media: Fontana Candida, Mezzacorona,


Cantele, il Palazzone, Feudi di San Gregorio, Planeta, Castello Banfi, Forti del Vento, Santa Margherita, il Mosnel, il Consorzio del Brunello e Frescobaldi. La classifica, elaborata in base al social network analizzato, vede Santa Margherita, Frescobaldi, Mezzacorona come primi 3 brand per numero di fan Facebook. I primi tre brand per numero di follower su Twitter sono invece: Fontana Candida, Mezzacorona, Cantele. I tre brand più citati sui blog, invece, risultano Consorzio del Brunello, Castello Banfi, Frescobaldi. Il Consorzio del Brunello di Montalcino e Frescobaldi risultano anche nell’elenco dei tre brand per engagement, o coinvolgimento, questa volta assieme Planeta. La relazione stretta che lega vino e social non è stata dimostrata solamente da questa analisi netnografica, perché già in passato vi erano stati casi che avevano attirato l’attenzione sul rapporto tra vino e social media. Si può dire che Stormhoek è l’esempio storicamente più noto, anche al di fuori del settore. Già nel 2005, questa azienda sudafricana ha deciso di aprire un blog per instaurare un rapporto nuovo con i propri clienti, diretto e personale, inviando campioni ai blogger più significativi tra Stati Uniti e Europa e ottenendo entusiastici riscontri che le hanno consentito di diventare un caso di successo noto in tutto il mondo, diventando in poco tempo il vino più popolare in Microsoft di tutta la Silicon Valley.

L’arrivo di Facebook non ha fatto altro che amplificare i risultati dell’attività ben avviata di blog marketing, contribuendo alla crescita del fatturato della cantina da 1 a 10 milioni di dollari in appena 6 anni. Di fatto una conferma della teoria della “coda lunga” di Chris Anderson che, già nel 2004, aveva previsto che la rete avrebbe dato spazio anche ai più piccoli produttori, se avessero approfittato delle opportunità offerte da internet. Appurato, quindi, che la relazione tra vino e social esiste, sono davvero le aziende emerse dalla ricerca netnografica quelle più “social”? Se ne è dibattuto in rete in più occasioni, perché esistono altre stime al riguardo: secondo Winenews del 12 febbraio, infatti, è il Chianti Classico a ricoprire il primo posto nella classifica dei vini italiani più apprezzati su Facebook, con 56mila “mi piace”. Al secondo posto

troviamo il Brunello di Montalcino, con oltre 24 mila “like” e al terzo il Barbera d’Asti (16mila). Un ulteriore conferma per la Toscana, oltre al Chianti Classico, è data dal quarto e quinto posto, ricoperti rispettivamente dal Chianti Colli Fiorentini (oltre 5mila “mi piace”) e dal Chianti Colli Senesi (più di 3.700). Qualcuno ha sollevato qualche perplessità circa i risultati della ricerca: Intravino ricorda che su questi temi c’era stato ampio dibattito e si è interrogato sulle effettive novità emerse. Altri che il campione della recente ricerca sia esiguo e l’arco temporale troppo limitato. In ogni caso all’Associazione Nazionale “Le Donne del Vino” bisogna riconoscere il merito di aver riaperto un discorso, che al Vinitaly era iniziato anni fa, sul ruolo della rete per la conoscenza e la vendita del vino e di averlo attualizzato e rivitalizzato.

Le donne del vino

Al centro Elena Martusciello, presidente “Le Donne del Vino”

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L’Associazione Nazionale Le Donne del Vino nasce nel 1988 e, giunta al traguardo del venticinquesimo anno di età, conta oggi oltre settecento iscritte attive in prima persona nelle diverse categorie che compongono la filiera vitivinicola. Elena Martusciello, recentemente riconfermata presidente, è affiancata da Cristina Ascheri e Donatella Cinelli Colombini in qualità di vice presidenti nazionali. Netnografia è un neologismo che nasce dalle parole internet e etnografia e indica un metodo di ricerca qualitativa che ha come oggetto il comportamento dei consumatori nella rete.


L’intervento

Vini naturali e senza solfiti aggiunti

Andrea Settefonti

Riccardo Cotarella

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Nascono i vini “naturali”, in particolare senza solfiti aggiunti. È il progetto, Wine Research Team, messo a punto da Ricccardo Cotarella, enologo, presidente di Assoenologi, con gli studenti dell’Università della Tuscia di Viterbo dove Cotarella tiene corsi. Si tratta di un progetto supportato da otto anni di ricerca, coordinato da Riccardo Cotarella, e che ha visto la collaborazione di Fabio Mencarelli, tecnico dell’alimentazione, Riccardo Valentini, climatologo, tutti e tre del Dipartimento per l’innovazione dei sistemi biologici, agroalimentari e forestali dell’Università della Tuscia, e di Cesare Catelli, biologo. «Abbiamo lavorato sul processo di produzione del vino per far sì che qualunque intervento sia minimale, contenuto ma efficace» spiega Cotarella a Vino e dintorni. «Una volta in assenza dell’enologo, o dell’enologo cosciente, si faceva di tutto per far reggere il vino, per evitare l’ossidazione e mantenere la limpidezza. Gli davano di tutto e di più, il vino reggeva ma forse non chi lo beveva». Lo studio ha preso corpo tra i banchi dell’Università deIla Tuscia dove Cotarella insegna. «Prima l’idea era di fare vini senza solfiti, poi il progetto si è ampliato ad un metodo scientifico che niente ha da accostare alle più o meno veritiere teorie sui vini biologici o biodinamici. La filosofia di fondo è racchiusa in una frase, se non vogliamo rovinare alterare o danneggiare il corpo umano, questo deve essere conosciuto in tutti i suoi aspetti». Insomma quelli prodotti saranno vini più naturali possibili. «Non c’è soltanto il problema della solforosa. È un aspetto del processo del vino, non saremmo stati i primi. Quello che andiamo a produrre con il


nostro metodo sono vini migliori, se non uguali a quelli prodotti con l’uso della solforosa, che come spesso sostenuto, è un male necessario, come la potatura nelle vigne. Noi abbiamo però la quasi certezza che i nostri vini siamo migliori anche nella fase evolutiva». Il processo messo a punto dal gruppo di Cotarella è andato a incidere sul processo di fermentazione. «Nella formentazione si assiste alla competizione tra lieviti e batteri che disturbano l’attività dei primi. Un meccanismo con il quale la qualità finale ne risente. Noi abbiamo lavorato sui batteri, sull’uso di lieviti naturali, quelli dell’uva, in modo che potessero lavorare tranquillamente». Per il momento sono 25 le aziende che hanno preso parte a Wine Research Team tutte quante seguite da Cotarella come enologo. I vini, alcuni saranno già in commercio a partire dal prossimo anno, di tutte le aziende coinvolte nel progetto, porteranno nelle retroetichette l’indicazione del procedimento seguito da tale metodo, «un processo naturale e complesso al tempo stesso, dove la solforosa non viene sostituita con nessun altra altra sostanza. Sono solfiti naturali quelli presenti nei nostri vini, con valori molto più bassi anche di quelli previ-

la filosofia di fondo è racchiusa in una frase, “se non vogliamo rovinare alterare o danneggiare il corpo umano questo deve essere conosciuto in tutti i suoi aspetti

sti per legge che sono già molto più restrittivi di quanto accade nel resto dell’Europa». Il processo si ritrova poi nel bicchiere. «La cosa che maggiormente mi ha meravigliato rispetto alle convinzioni e ai dogmi che uno si forma è che i vini ottenuti sono ricchi di frutto, sembra di mangiare l’uva. In assenza di solforosa, i rossi presentano un equilibrio tannico sorprendente». Per questo progetto Cotarella vuole ringraziare i suoi allievi. «Sono stati importanti i ragazzi, gli studenti, per l’entusiasmo che mi hanno iniettano e per il lavoro che hanno svolto». Dunque, si potrebbe dire che i vini senza solfiti aggiunti messi a punto dal Wine Research Team raprpesentano una

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risposta alla richiesta del mercato di prodotti a basso impatto ambientale, frutto di un processo assolutamente scientifico attraverso il quale si sono volute individuare tutte quelle procedure, da attuare nel vigneto e in cantina, finalizzate ad ottenere la migliore qualità del vino. Le aziende che partecipano al progetto: Allegrini; Castello di Cigognola; Carvinea; Còlpetrone; Coppo; Di Majo Norante; Falesco; Fattoria del Cerro; Fattorie Greco; La Guardiense; La Madeleine; La Murola; La Poderina; Leone De Castris; Poggio Le Volpi; San Patrignano; San Salvatore; Tenuta dell’Arbiola; Tenuta di Frassineto; Tenuta San Polo; Terre Cortesi Moncaro; Terre de la Custodia; Trequanda; Villa Matilde; Villa Medoro; Domaine du Comte de Thun.


Protagonisti in cantina

Podere Paganico

Brunello raffinato ed elegante Personalmente preferisco il Rosso, al Brunello di Montalcino. È più immediato, più sincero. E soprattutto meno impegnativo. Si può bere un buon bicchiere di Rosso in compagnia di amici, con pane e salame o con pecorino di Pienza (anche se di Pienza molti hanno soltanto il nome, così come buona parte dei pecorini toscani dop) e baccelli. Il Rosso è un vino che fa convivialità e che sta bene anche con piatti più impegnativi a base di carne, penso a qualche umido come la scottiglia o il peposo, o con primi conditi con il sugo di carne. Perfetto esempio di vino genuino e sanguigno è il Ros-

so di Montalcino dell’azienda agricola Podere Paganico. Un vino che sposa l’idea di un vino che ha un forte legame con il territorio dove nasce. Il Sangiovese esprime una bella potenza senza che qualcuno abbia sentito la necessità di ammorbidirne la portata per renderlo più ruffiano. È un vino schietto, pulito, con ottimi profumi e con una beva piacevole. È un vino come la titolare, Anna Maria Buzdon. Un vino dove si sente la personalità di una donna, schietto, gradevole, sincero, senza compromes-

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si. Come racconta la stessa Anna Maria Buzdon, i vigneti dell’azienda «occupano una superficie di poco più di tre ettari e sono posti ad una altitudine che varia da 240 a 270 metri di altezza per l’Orcia “Abelardo” e da 260 a 300 metri sia per il Brunello che per il Rosso, orientati da est verso ovest in modo da ricevere il massimo dell’irradiamento solare». Anna Maria pensa personalmente a sovrintendere ed effettuare tutte le operazioni, dalla vigna alla cantina. «Tutte le operazioni di


coltura sulla pianta sono effettuate manualmente da manodopera specializzata ed in gran parte da noi, dalla nostra famiglia, mio marito, i miei tre figli. Non vengono usati fertilizzanti chimici, ma si fa il sovescio, una tecnica che prevede l’arricchimento del terreno con un metodo naturale e che consiste nel seminare nell’interfilare piante di leguminose (favino) che vengono reinterrate con una lavorazione superficiale al momento della fioritura».

Oltre alla produzione di vino, podere Paganico, che si trova all’interno del Parco naturale della Valdorcia, è anche un agriturismo in un contesto geografico ideale, molto tranquillo, ogni comfort, arredamento curato con mobili d’epoca, grande giardino con terrazze solarium di 200 metri quadrati e piscina privata disponibile da maggio ad uso esclusivo degli ospiti, possibilità di seguire le fasi di produzione dei vini in quanto azienda vinicola.

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«È un soggiorno ideale per gli appassionati di vino e della Toscana, in posizione strategica per visitare le città d’arte o per riposare nella quiete della campagna. Offriamo degustazione omaggio dei vini prodotti in azienda». «La nostra azienda – conclude Anna Maria – fa della qualità un punto assoluto e irrinunciabile, piccolissima nelle dimensioni ma grande nella ricerca di un risultato che sia ai vertici delle tre etichette di vino prodotte»


Protagonisti in cucina

Caffè Meletti, il luogo di ritrovo per eccellenza

Francesca Lupone

Non c’è altro posto in tutta Italia dove sia possibile percepire la piazza come luogo sociale e, nello stesso tempo, architettonico come la Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno. Questa è – come si dice – il cuore della città… Se è bella stagione, approfittate dei bar con i tavolini all’aperto per godervi il vento fresco del tramonto, quando la piazza finisce in ombra, ma la luce ancora illumina i palazzetti rinascimentali, con il tipico portico sottostante, anzi fa risaltare come in pieno giorno non avviene mai…

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Scrive così Mario Tozzi nel suo Viaggio in Italia, 100+9 emozioni da provare almeno una volta, prima che finisca il mondo a proposito del capoluogo marchigiano e della splendida piazza rinascimentale, intorno alla quale si snoda un centro storico, ricco di palazzi e di cortili, di chiese e di chiostri, di teatri e delle tante torri che svettano qua e là. E se piazza del Popolo è il fulcro della vita cittadina, il Caffè Meletti ne rappresenta uno dei luoghi di ritrovo per eccellenza, animato da una socialità semplice ed elegante, permeata di una cultura solida e fortemente radicata nelle abitudini e nelle tradizioni, ma pronta a mostrarsi all’altezza dei tempi. Il “Meletti”, uno dei 150 locali storici d’Italia e tra gli edifici più visitati della città, conserva il nome della famiglia produttrice della famosa Anisetta – il liquore a base di anice che rappresenta ancora oggi uno dei prodotti-simbolo dell’intera regione – il cui capostipite acquistò il locale per destinarlo nel 1905 a quella funzione sociale che oggi conserva, grazie all’opera meritoria della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno che nel 1996 ne ha acquistato la proprietà, scongiurando il rischio della scomparsa di questo gioiello in stile liberty che affascina a prima vista. Entrando si apprezzano gli arredi in legno e i caratteristici tavolini in ferro e marmo, i soffitti affrescati all’interno e sotto il piccolo portico esterno, dove è piacevole trattenersi con la bella stagione per un caffè, per l’aperitivo, per un cocktail, ma anche per un gelato artigianale e per la piccola pasticceria. Ma la novità di quest’anno è la riapertura del ristorante del Caffè Meletti che consente di gustare al meglio la cucina tradizionale picena anche con alcune interessanti rivisitazioni che il direttore Tarcisio Mazzitti e lo chef Roberto Di Sante propongono nel rispetto delle stagioni: a pranzo c’è un servizio più informale nella sala al piano terra, ma su richiesta si può scegliere un tavolo nella nuova piccola sala al piano superiore dove, a cena, si possono apprezzare i piatti del menu completo, accompagnandoli alle migliori etichette marchigiane. Caffè Meletti Piazza del Popolo 2 – 63100 Ascoli Piceno Tel. + 39 0736 255559 info@caffemeletti.it www.caffemeletti.it Chiuso il lunedì 25


Viaggi

Claudio Zeni

Occasioni golose festival di naadam in mongolia Appuntamento a Ulaanbaatar, capitale della Mongolia, per il Festival di Naadam, la più imponente e suggestiva manifestazione folcloristica in programma dall’11 al 13 luglio, in occasione della rivoluzione mongola del 1921. Il viaggio proposto da Porta d’Oriente (Tel. 011 9642331 www.portadoriente.it) prevede di scoprire anche la sterminata distesa di sabbia del deserto di Gobi, le “Scogliere infuocate”, le “Dune che cantano” e le rovine dell’antica città di Karakorum, capitale dell’impero mongolo. Costo del pacchetto di 11 giorni/9 notti è di 2.750 euro: volo da Milano, trasferimenti pernottamenti in hotel e nelle tipiche tende mongole a forma circolare, pensione completa. Partenza: 10 luglio.

a buenos aires la città di papa francesco Tempo di Argentina alla scoperta dei due angoli più interessanti e suggestivi del paese di Jorge Bergoglio, Papa Francesco. Tappa principale Buenos Aires per conoscere e visitare i luoghi più cari al nuovo Papa, come per esempio la Cattedrale Metropolitana, dove l’ex arcivescovo celebrava messa e dove ogni giorno si raccolgono i fedeli. Poi in volo a El Calafate, sul lago Argentino, per raggiungere il Parco dei Ghiacciai e ammirare il Perito Moreno, il famoso e spettacolare ghiacciaio. Costo del pacchetto predisposto da Tour 2000 (Tel. 011 5172748 www.tour2000.it) è di 1.520 euro per 8 giorni/5 notti: volo da Milano-Roma, trasferimenti, hotel e prima colazione fino al 27 giugno (poi supplemento di 80 euro fino al 21 luglio). Partenze giornaliere.

bali l’isola degli dei Tempo di Bali, l’Isola degli Dei. La più conosciuta delle isole indonesiane offre al visitatore più di diecimila templi sparsi un po’ ovunque e feste religiose in ogni stagione. In più, stupende spiagge, una cucina con varietà di piatti e spettacolari danze folcloristiche. Dimensione Turismo (Tel. 0422 211400 www.dimensioneturismo.it) propone combinazioni di 9 giorni/7 notti a partire da 990 euro fino a giugno. Volo ogni martedì da Milano Malpensa (e Venezia) con Qatar, trasferimenti e sistemazione in hotel (Sanur Beach quattro stelle) con prima colazione.

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Massimo di Cintio

Il Montepulciano d’Abruzzo

L’Abruzzo mostra finalmente una nuova immagine di sé, più pimpante e moderna e meno legata agli stereotipi ormai superati degli anni ’80 che la collocavano tra le regioni di vino buono e di grandi numeri. Il merito va sicuramente al lavoro, a volte difficile, ma tenacemente svolto in dieci anni di attività, dal Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, che è riuscito nell’unica strada possibile: di dare alla vitivinicoltura regionale una visione d’insieme, con strategie comuni e scelte coraggiose in grado di portare risultati tangibili a medio e lungo termine. Un lavoro (oggi promosso anche attraverso un’importante campagna di comunicazione di respiro internazionale)

che intelligentemente ha puntato a dare un quadro più articolato della sua produzione enologica, facendo leva solo sulle proprie risorse, senza concessioni. L’Abruzzo ha così riscoperto e ampliato il proprio patrimonio ampelografico attraverso progetti di ricerca e di sperimentazione sui bianchi Trebbiano, Pecorino, Passerina, Cococciola, Moscatello e Montonico; di valorizzare maggiormente il Cerasuolo d’Abruzzo uno dei vini rosati italiani più interessanti e più premiati; e infine di dare pregio al Montepulciano d’Abruzzo, il suo vino più importante, mettendo in risalto non solo il suo valore intrinseco, ma anche la sua diversa espressività dei territori a più alta 28

vocazione, fino a qualche anno fa rimasti in posizione defilata rispetto alla forza del vitigno. Il Montepulciano, d’altronde, oggi occupa ben 19 dei circa 33 mila ettari di vigneto coltivati sulle colline litoranee e pedemontane racchiuse nei quasi 130 km tra i fiumi Trigno e Tronto (che segnano rispettivamente i confini con il Molise a sud e con le Marche a nord) e nei circa 40 km verso l’interno, tra il mare Adriatico e le zone pedemontane della Maiella e del Gran Sasso d’Italia. Questa condizione ha indubbiamente permesso al mondo produttivo di concentrare gran parte delle risorse per studiare e individuare le tecniche agronomiche ed enologiche più adatte


e di avviare dagli inizi degli anni ’90, quel “new deal” qualitativo che ha portato il Montepulciano d’Abruzzo Doc ad affermarsi rapidamente come un vino non solo in grado di vantare un virtuoso rapporto qualità-prezzo, ma soprattutto capace di confermarsi nelle scelte del consumatore (come risulta in una recente indagine realizzata da Renato Mannheimer) sia nelle versioni più giovani, quando regala immediata piacevolezza in una fascia di prezzo da vino “quotidiano”, sia nelle selezioni quando mostra tutta la sua complessa longevità. Dunque non è un caso che il rosso abruzzese, forte di un potenziale di oltre 100 milioni di bottiglie, sia da anni ai primi tre posti tra i vini più venduti nella Gdo italiana e registri uno straordinario successo all’estero che cresce ininterrottamente, nonostante la crisi, grazie a mercati consolidati come Germania (22%), Stati Uniti (21%) e Canada (14%), e quelli di nuovo interesse come i paesi del nord Europa (complessivamente circa al 20%) e quelli asiatici. Questi numeri, corroborati

anche dai numerosi riconoscimenti della critica, non hanno impedito ai produttori abruzzesi di potenziare e di segmentare la propria offerta enologica in virtù di un felice quanto affermato binomio vitignoterritorio. «Il successo del nostro vino – spiega il presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo Tonino Verna – ci ha spinto a dare una svolta alla nostra geografia produttiva, seguendo le istanze provenienti dalle aziende desiderose di affrontare una ulteriore sfida qualitativa attraverso l’individuazione di alcune aree più ristrette nelle quali sviluppare un percorso più puntuale di ricerca». Ci sono riuscite per prime le aziende della provincia di Teramo con il riconoscimento prima della sottozona e poi nel 2003 della Docg per il Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane. «Il nostro territorio è sempre stato una sorta di avamposto del vino abruzzese – racconta Alessandro Nicodemi, presidente del consorzio teramano – grazie alla presenza di numerose aziende di famiglie storiche, alcune addirittura centenarie, accanto alle 29

quali sono cresciuti giovani vignaioli di prima o di seconda generazione, tutti insieme capaci di guardare con lungimiranza alla necessità di identificare e promuovere la diversità del territorio a nord della regione». Un cambiamento che, a catena, ha visto approvare disciplinari più restrittivi anche in provincia di Pescara con le sottozone di “Casauria” e “Terre dei Vestini”, in quella di L’Aquila con “Alto Tirino” e “Terre dei Peligni”, e poi con “Teate” che copre oltre un terzo nell’intera provincia di Chieti, ma anche nuove Doc come Tullum, Abruzzo e Villamagna, i cui rossi prevedono comunque il Montepulciano come principale vitigno. E se dunque alla denominazione principale spetterà il compito di mantenere alta la bandiera per presidiare i mercati, ai differenti territori spetterà non solo il compito di rappresentare nuove frecce nell’arco della produzione abruzzese, ma anche di contribuire ad ampliare la fascia a maggior valore nella quale già campeggiano numerose etichette “top” di Montepulciano d’Abruzzo.


Il territorio

La Campania è mille culure Martina Cenni

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In verità era Napoli quella cantata da Pino Daniele, ma sono certa mi permetterà questo prestito senza licenza. Vorrei trascriverla tutta perché ho in mente nu sole amaro quando penso alla Campania. Sento addore ‘e mare e le voce de’ criature che saglie chianu chianu. Penso ai suoi mille colori, alle luci di notte del Golfo di Napoli, al mare azzurro dei Faraglioni di Capri visti dal Belvedere di Punta Tragara. E penso, per un’affinità personale con la natura del bosco, alle foreste vigorose dell’Irpinia che ti scortano potenti fino al confine con la Puglia. Sto cercando forse di mettere in luce solo il buono di questo territorio? Bèh certo, come per tutte le altre regioni, che non crediate abbiano niente da invidiare a questa in quanto a mancanze e malaffare. La Campania è na’ carta sporca e

nisciuno se ne importa, continua la canzone. Ma non userei questa espressione per descriverla. Non molti sanno che la Campania è al secondo posto tra le regioni d’Italia per popolazione e al primo per densità. È la regione con il maggior numero di beni inclusi in un solo sito UNESCO, ben 14 a Pompei, ed assieme alla Toscana e dopo la Lombardia, è la regione con il maggior numero di beni Patrimonio dell’Umanità. Il capoluogo di regione, Napoli, detiene inoltre il primato di città con il centro storico più vasto del vecchio continente. La sua storia, scritta nelle mura dei maestosi palazzi di Napoli, in quelle del centro medievale di Salerno, su quelle bianco abbagliante di Amalfi e della Costiera è antica, sfarzosa, epica. Questa regione era infatti abitata nell’entroterra già nel III millennio a.C. da popolazioni Sannite, Osche e Volsche. Tra l’VIII ed il VII secolo a.C., genti di civiltà greca giunsero in Campania nell’ambito di un flusso migratorio originato da singole città della Grecia, fondando le prime colonie sulle coste,

come Kyme (Cuma), Parthenope, poi Neapolis (Napoli) e Poseidonia (Paestum), e dando vita alla cosiddetta Magna Grecia. Successivamente la regione vide il susseguirsi di diverse culture e dominazioni straniere: dai romani, che la chiamarono Campania Felix, ai longobardi, dagli angioini agli aragonesi fino ad arrivare al periodo borbonico con il quale la regione, e più in generale tutto il meridione, diventano uno dei principali poli culturali, artistici ed economici d’Europa, ospitando quella che all’epoca era la capitale di uno dei regni più ricchi ed importanti del mondo: Napoli. Qui, in epoca Borbonica, si concentrano qualcosa come 443 milioni di lire-oro dei 668 sparsi in tutti gli stati italiani messi insieme. Poi, come sempre nella storia, arrivò il declino. Ma la Campania è ancora un territorio ricchissimo di bellezze paesaggistiche, storiche, culturali, produttive e soprattutto enogastronomiche, ma di questo scriveremo e vi racconteremo più avanti. Ciò che di importante c’era da dire è che questa è davvero una regione da rivalutare e scoprire. Dai pendii del Vesuvio e del suo Parco Nazionale ai monti dell’Irpinia, dai fasti della Reggia di Caserta a quelli più sobri di Nola, dai profumi e i colori della costiera Sorrentina e Amalfitana, alle colline del Sannioe del Cilento, dai templi di Paestum al Castello di Menfi, tutto è meraviglia per gli occhi. Perché la Campania è tutto ‘nu suonno… un sogno.

Scorcio dell’Irpinia

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Il territorio

Secoli di storia per bianchi e rossi unici Andrea Settefonti

Terra di grandi bianchi, ma anche di ottimi rossi. La Campania del vino è una regione che ha un fascino particolare. Dentro ogni bicchiere si possono ritrovare secoli di una storia enologica che recentemente ha visto una vera rinascita. In Campania, oggi, i vini a Denominazione di Origine Controllata (Doc) sono 15, più 4 a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Docg). A questi si aggiungono 10 vini ad Indicazione Geografica Tipica (Igt). La Campania con i suoi 23.281 ettari di vigna e circa 1.700.000 ettolitri di vino all’anno, si colloca all’ottavo posto della graduatoria delle regioni italiane produttrici di vino. Le superfici vitate sono localizzate nelle province in quote diverse, Benevento il 45% del totale regionale, Avellino il 25%, Salerno il 14%, Napoli il 7% e Caserta il 9%. La regione ha un peso del 4% sul totale della produzione nazionale e di circa il 2% sulla produzione delle Doc sempre nazionale. I vini a denominazione d’origine costituiscono circa

il 1 6 , 5 % della produzione enologica regionale, per una offerta qualitativa e certificata di tutto rispetto che ha alla base un grande patrimonio varietale autoctono unico al mondo. La Campania è stata senza dubbio uno dei primi e più importanti “centri” di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo. Non a caso i migliori vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiniano, il Caleno erano prodotti in Campania. L’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera e gli altri vitigni autoctoni coltivati in Campania costituiscono, quindi, la naturale discendenza di questi antichi vitigni denominati 32

come Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le Uve Alopeci, l’Aminea Lanata o Minuscola. Questo grandissimo patrimonio rappresenta la vera ricchezza della viticoltura campana, che diviene custode e valorizzatrice della tradizione vitivinicola italiana, da alcuni anni esposta, in molte zone d’Italia, al rischio di una ingiustificata esterofilia. Nei suoi duemila anni di storia la viticoltura campana ha vissuto momenti


di eccellenza, ma anche periodi di difficoltà. Oggi, dopo una fase di incertezza, la Campania si ripropone all’attenzione del mercato e dei consumatori più attenti e qualificati, andando a rioccupare quella posizione di preminenza che le compete. Come sottolinea Daniela Nugnes, neo assessore all’Agricoltura della Regione Campania: «Tra una Falanghina e un Falerno abbiamo riscoperto cultura di mercato e voglia d’impresa, il raggiungimento di livelli qualitativi che ci pon-

gono in condizione di poter competere a livello internazionale. E, paradossalmente, proprio in questa globalizzazione i nostri vini riescono a trovare il loro spazio di mercato, un mercato il cui target è costituito da consumatori che ricercano prodotti che raccontano interi territori, le genti e la loro storia, le tradizioni». La storia della viticoltura in Campania ha ha origini e tradizioni antichissime. Quello che si trova oggi in una bottiglia di vino è la naturale selezione di varietà di viti che sono diventare

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l’espressione stessa del territorio dove si sono sviluppate. «L’enologia campana si connatura come filiera a forte valenza di tipicità autoctone, espressioni secolari di territori e di cultura contadina tramandata sino ad oggi. Ogni provincia campana si caratterizza per le sue produzioni enologiche autoctone: il territorio stesso diventa, quindi, elemento fondante di questa tipicità attribuendo al prodotto un valore di differenziazione collegato alla qualità e all’origine», conclude Daniela Nugnes.


Abbiamo assaggiato 34


VOTO

VOTO

Ischia Doc 2012

65, Fiano di Avellino Docg 2012

Casa d’Ambra - Tenuta Frassitelli

Colle di San Domenico

Tipologia: Bianco Gradazione: 12,5 Uve: Biancolella Commento: Tranquilli! La vostra

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano Commento: Non si sa se sul colle

porzione di coniglio all’ischitana potrà essere accompagnata da un buon Biancolella 2012. Come sempre sapido, equilibrato nonostante l’annata non certo felicissima.

di San Domenico ci fossero le pere, ma il profumo di questo frutto e di altri frutti a bacca bianca è netto fin da subito. In bocca mostra buona sapidità e buona lunghezza.

6

VOTO

VOTO

65,

Quartara Campania Igt 2010

Sannio Falanghina Doc 2012

Lunarossa - Giffoni Valle Piana

Castello Ducale

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano Commento: Anche se confessano

Tipologia: Bianco Gradazione: 13,5 Uve: Falanghina Commento: La Falanghina giovane

di utilizzare un contenitore “vivo”, in bocca non mostra una grande vivacità mentre al naso è interessante e complesso.

è di solito profumata e questo vino non nega l’assioma anche se i profumi non sono quelli classici. In bocca è dotato di bella freschezza ancora da domare.

7

VOTO

VOTO

8 Caucino Sannio Doc 2011

Settepietre Greco di Tufo Doc 2011

Tipologia: Bianco Gradazione: 13,5 Uve: Greco Commento: Ne vorremmo

Tipologia: Bianco Gradazione: 13,5 Uve: Greco Commento: Non sappiamo se

parecchi di questi piccoli “calci” o caucini, sia perché al naso ha belle note ampie e fruttate, sia perché in bocca ha tutta la calda potenza del Greco maturo ben vinificato.

la bella mineralità di questo vino sia dovuta alle Settepietre, o anche ad altre, certo è che il naso è davvero interessante. Un po’ meno allineata la bocca, anche se sapida e fresca.

Oppida Aminea

Le Masciare

35

Il territorio

8


VOTO

VOTO

7

Dioniso Greco di Tufo Docg 2012

Ischia Doc 2012

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Greco Commento: Nonostante il nome

Tipologia: Bianco Gradazione: 12 Uve: Biancolella Commento: Sull’antipasto e sul

non possiamo dire che questo Greco sia “divino”. Mostra comunque un naso pulito e netto e una sufficiente profondità in bocca.

primo, questo Biancolella si sposa alla perfezione grazie al naso con belle note floreali e minerali e una accentuata freschezza in bocca.

La Molara

Casa d’Ambra

65,

VOTO

VOTO

6

Kràtos Paestum Igt 2012

Fiano di Avellino Docg 2011

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano Commento: Un Kràtos che deve

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano Commento: Un vino pulito ben

Luigi Maffini

Terranera

aprirsi ancora un po’ al naso, ma già mostra quella grassezza in bocca che ne è sempre stata la caratteristica principale.

fatto senza grandi impeti, dal bel paglierino dorato.

7

7

VOTO

VOTO

Il territorio

6

Pietraincatenata Cilento Doc 2011

Fiano di Baal Colli di Salerno Igt 2010

Tipologia: Bianco Gradazione: 13,5 Uve: Fiano Commento: Una

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano Commento: Naso molto

“pietraincatenata” a del buon legno e a delle belle note fruttate calde. In bocca una buona ampiezza e giusta sapidità.

particolare per questo Fiano dove si trovano note floreali, vegetali e fruttate; in bocca spunta una nota leggermente torbata insieme a equilibrata grassezza e profondità.

Luigi Maffini

Casa di Baal

36


VOTO

VOTO

55,

65,

Nativ Irpinia Falanghina Doc 2012

Greco di Tufo Docg 2011

Tipologia: Bianco Gradazione: 13,5 Uve: Falanghina Commento: Un naso non certo

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Greco Commento: Naso molto classico

complesso, ma pulito, è seguito da una bocca che manca di freschezza e con grammi di zucchero residuo, che potrebbe piacere a molti, che si sentono piuttosto bene.

e ben fatto introduce a un palato dotato di buona sapidità e lunghezza.

Nativ

Donnachiara Montefalcone

75,

VOTO

VOTO

75,

Verginiano Primi Filari – Terre del Volturno Igt 2011

Calpazio Paestum Igt 2012 San Salvatore

Il Verro

Tipologia: Bianco Gradazione: 14 Uve: Pallagrello bianco Commento: Una buona

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Greco Commento: Se vedere i bufali tra

interpretazione del Pallagrello. Ben definito e fresco al naso e soprattutto stuzzicante e quasi croccante in bocca. Mettiamoci anche una buona lunghezza e il gioco è fatto.

le vigne porta a questi risultati, ben vengano i bufali. Naso ampio con belle note fruttate e floreali, bella bocca pulita, ma soprattutto molto sapida e lunga nel finale.

75,

VOTO

VOTO

7 Costacielo Campania Igt 2011

Picoli Greco di Tufo Docg 2011

Tipologia: Bianco Gradazione: 13 Uve: Fiano e Falanghina Commento: In questo uvaggio il

Tipologia: Bianco Gradazione: 14,5 Uve: Greco Commento: Solita bella frutta

Fiano è predominante: al naso dove note di frutta matura si sposano con sentori torbati e in bocca dove la stessa sensazione si sposa a struttura piuttosto grassa e armonica.

dove l’alcol gioca un ruolo importante, mentre in bocca siamo di fronte ad un vino di bella struttura ancora scomposto e giovane.

Lunarossa

Bambinuto

37


VOTO

VOTO

75,

Piedirosso dei Campi Flegrei Doc 2012

Jungano Paestum Aglianico Igt 2011

Tipologia: Rosso Gradazione: 13 Uve: Piedirosso Commento: Un bel naso con

Tipologia: Rosso Gradazione: 14,5 Uve: Aglianico Commento: E se l’Aglianico

note vinose e di frutta rossa, che purtroppo non è accompagnato da altrettanta piacevolezza al palato.

fosse proprio così piacevole, immediato e rotondo? Se desse il meglio di sé in vini giovani, ma ben strutturati? Forse no, però questo Jungano è proprio buono.

Grotta del Sole

San Salvatore

5

VOTO

VOTO

55,

Piedirosso Sannio Doc 2010

Martummè Sannio Aglianico Doc 2010

Tipologia: Rosso Gradazione: 13 Uve: Piedirosso Commento: Un naso ancora molto

Tipologia: Rosso Gradazione: 13,5 Uve: Aglianico Commento: Naso non molto pulito

Terra di Briganti

Terra di Briganti

chiuso introduce ad un palato con tannini ruvidi e scomposti.

che deve ancora esprimersi e bocca di buona potenza, ma scomposta. Un vino che ha bisogno di aria e tempo, di essere aperto molto prima del consumo.

65,

5

VOTO

VOTO

Il territorio

6

Vigne Guadagno

Montegauro Riserva Piedirosso dei Campi Flegrei Doc 2009

Tipologia: Rosso Gradazione: 13 Uve: Aglianico Commento: Un vino dai bei

Tipologia: Rosso Gradazione: 13,5 Uve: Piedirosso Commento: Un vino piuttosto

profumi fruttati con lievi sentori di pasticceria. In bocca leggermente asciutto, ma comunque di buon corpo.

evoluto sia al naso sia in bocca dove i tannini sono ancora molto verdi, coriacei e scomposti.

Irpinia Aglianico Doc 2011

Grotta del Sole

38


VOTO

VOTO

6

7

Taurasi Docg 2008

Taurasi Riserva Taurasi Docg 2006

Tipologia: Rosso Gradazione: 14,5 Uve: Aglianico Commento: Un Taurasi ancora

Tipologia: Rosso Gradazione: 14 Uve: Aglianico Commento: Un naso

molto giovane con un naso che dovrà aprirsi. E un palato dove ancora una importante acidità e una altrettanto importante tannicità dovranno mettersi d’accordo.

indubbiamente ampio e ben delineato introduce a una tannicità ancora, nonostante i sette anni dalla vendemmia, leggermente ruvida e asciutta.

Antico Castello

Colle di San Domenico

75,

VOTO

VOTO

5

Primum Taurasi Docg 2004

Poema Riserva Taurasi Doc 2007

Tipologia: Rosso Gradazione: 14 Uve: Aglianico Commento: Naso maturo, ma ben

Tipologia: Rosso Gradazione: 15 Uve: Aglianico Commento: A parte la bottiglia

Guastaferro

Manimurci

amalgamato, tra sentori leggermente fruttati e terziari, porta ad una bocca con tannini rotondi e piacevoli accanto a una equilibrata freschezza e una dolce chiusura.

che potrebbe contenere la bomba di Hiroshima, il vino ha un naso dove l’alcol è predominante e la stessa alcolicità asciuga in bocca e rende il vino poco elegante e squilibrato.

75,

VOTO

VOTO

75,

Tremisse Aglianico del Taburno Doc 2007

Contessa Ferrara Aglianico Terre del Volturno Igt 2007

I Colli del Sannio

Castello Ducale

Tipologia: Rosso Gradazione: 16 Uve: Aglianico Commento: 16 gradi non

Tipologia: Rosso Gradazione: 14 Uve: Aglianico Commento: Pastoso e piacevole

sono pochi sia al naso, con note di cioccolato e liquirizia, e sia in bocca, dove la tannicità è dolce e profonda. Rendono poi questo vino impegnativo, ma di buona soddisfazione.

allo stesso tempo, con un naso ben giocato sui terziari. Piacevole soprattutto la tannicità, dolce e fitta, che permetterà al vino di avere ancora un’evoluzione futura.

39


Il territorio Fusilli fatti a mano con il tradizionale ferro

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benvenuti in CAMPANIA

sapori, colori e tradizioni Nicola Natili

Ogni volta che ci apprestiamo a parlare della gastronomia di una regione, o di un territorio, ci rendiamo conto di quanto sia stato profondamente errato il tentativo di unificare le varie arti culinarie regionali per dare vita ad un’improbabile cucina nazionale. Non è pensabile unificare le tradizioni gastronomiche italiane, vorrebbe dire cancellare tante memorie strettamente legate alla storia, alla cultura che ne deriva e alla morfologia, profondamente diversa del territorio nazionale. Da sempre, da quando per pura passione abbiamo iniziato a interessarci di enogastronomia, abbiamo cercato di conoscere la vera tradizione culinaria legata al territorio di riferimento, scoprendo ogni volta tanti tesori nascosti, ricchi di storia e di gusto, ricette, consigli e trucchi che vengono tramandati di generazione in generazione. Non fa eccezione, e non potrebbe essere altrimenti, questo nostro rapido viaggio nella gastronomia della Campania, una delle più ricche del Paese che con i suoi spaghetti al pomodoro e la pizza si può considerare, a ragione, l’ambasciatore del made in Italy culinario. Alla base della gastronomia campana ci sono due condizioni non riproducibili altrove: un territorio ricco e variegato e il lavoro dell’uomo che ha saputo sfruttare abilmente le risorse naturali, ricavandone il meglio in termini di qualità. Questi fattori favorevoli, strettamente legati tra sé, consentono una straordinaria diversificazione del lavoro umano, che trova ampia e qualificata applicazione nelle produzioni ortofrutticole e negli allevamenti di animali da latte, destinati quest’ultimi, a fornire la materia prima per il saporito provolone, la scamorza, il caciocavallo, la ricotta, ingrediente insostituibile di tanti dolci, e quel trionfo di gusto che è la mozzarella di bufala. La parmigiana di melanzane e i peperoni imbottiti sono piccoli capolavori della gastronomia campana, due piatti in cui il sapore si sposa perfettamente con il colore. Quest’armonia tra sapore e colore, la troviamo spesso nei piatti campani, a dimostrazione che alla qualità dei prodotti e all’abilità dell’uomo sempre si affianca quell’abbondante corredo di fantasia che è caratteristica peculiare dei napoletani e di tutti i campani. Fin dai tempi dell’antica Roma, passando attraverso gli spagnoli e i francesi, tutti hanno tentato di modificare le abitudini gastronomiche campane, cercando di introdurre alcuni elementi di una cucina più opulenta o raffinata, ma nessuno ci è riuscito, anzi spesso è accaduto il contrario. Uno dei simboli della gastronomia campana è la pasta in tutte le sue varietà, fresca o essiccata, accompagnata con condimenti per lo più a base di pomodoro, dalla semplice, ma eccellente, pummarola, al complesso e maestoso ragù alla napoletana, il rraù, immancabile nelle giornate di festa. Tra le tante espressioni della cucina napoletana e campana, rimanendo tra i primi piatti, non possiamo dimenticare il sartù, un piatto unico a base di riso, carne, mozzarella e verdure, il timballo di maccheroni, gli scialatielli ai frutti di mare, i vermicelli con le vongole veraci o con le cozze, gli gnocchi al pomodoro, i paccheri al ragù, i fusilli e i maccheroni, nel cui condimento spesso trovano degna collocazione legumi e ortaggi. 41


Il territorio

Molto varia e interessante, anche l’offerta dei piatti di mezzo, equamente suddivisi tra carni e prodotti ittici. Tra i primi segnaliamo il coniglio all’ischitana con pomodoro e rosmarino, la braciola al ragù, il ricco polpettone, le salsicce con i friarelli, le scaloppine con pomodoro e mozzarella e il fritto misto, una vera e propria esaltazione di sapori grazie alle tantissime varietà utilizzate. Dal mare tanti i prodotti e le ricette tradizionali. Ricordiamo i calamaretti alla napoletana con pinoli e olive, il polpo cotto con aglio, prezzemolo, peperoncino e pomodoro detto alla Luciana, le grigliate di pesce, i calamari all’amalfitana, la zuppa di vongole, i cecenielli, piccoli pesci fritti nella pastella, il baccalà e la zuppa di pesce. Altre glorie dell’arte culinaria campana sono i dolci, strettamente legati ad antiche ricette e radicate tradizioni e che vedono nella pastiera, nei babà e nelle sfogliatelle l’espressione più rappresentativa e conosciuta, ma non la sola.

Pastiera

alla base della gastronomia campana ci sono due condizioni non riproducibili altrove: un territorio ricco e variegato e il lavoro dell’uomo

Maccheroni

Polpo alla Luciana

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O’ babà è ‘na cosa seria, cò babà nun se pazzea

Il Babà è un dolce a base di farina di grano tenero, uova, burro, sale, zucchero e lievito di birra. La pasta va fatta lievitare due volte prima di cuocerla e dopo la cottura, negli appositi stampini, il tocco finale: l’aggiunta della bagna, una soluzione di acqua e zucchero, aromatizzata al limone e corretta al rhum. Questo dolce è uno dei simboli, se non il simbolo per eccellenza, della pasticceria napoletana, ma le sue origini si perdono in tempi e luoghi molto lontani. Storia e leggenda accompagnano l’arrivo di questo delicato dolce all’ombra del Vesuvio, la cui invenzione è avvolta da un fumoso velo di mistero che, probabilmente, ha contribuito a farne il mito che è. Il babà non è solo un dolce, è eleganza, equilibrio e sapore. L’impatto con il palato è dirompente, quasi emozionante, una sublimazione completa e prolungata di gusto e sapori. Le origini sono franco-polacche, ma si deve all’abilità dei pasticceri napoletani, che hanno saputo affinare e ben coniugare tra sé gli ingredienti e il procedimento di realizzazione, se oggi possiamo gustare questo piccolo grande capolavoro di arte

pasticcera. La storia, o la leggenda, vuole che il babà sia nato in Francia nel 1700, alla corte del polacco Stanislao Leszczynski, re di Polonia dal 1704 al 1735, anno in cui fu detronizzato da Pietro il Grande Zar di tutte le Russie. Per la sua stretta parentela con Luigi XV – la figlia Maria aveva sposato il Re di Francia – gli fu assegnato il Ducato di Lorena dove andò a vivere. Particolarmente ghiotto di dolci costringeva i suoi pasticceri ad inventarne sempre di nuovi, ma con risultati talmente scarsi che quotidianamente gli veniva servito il “kugelhupf”, un dolce tipico di quel territorio, a base di farina, burro, zucchero, uova, zafferano e uva sultanina. Insopportabile per un re triste e un giorno, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, allontanò con violenza il piatto con l’ennesimo kugelhupf, mandandolo a sbattere contro una bottiglia di rum 43

giamaicano posizionata poco distante. Il liquido irrorò il dolce e l’aspetto assunto solleticò la curiosità di Stanislao che lo volle assaggiare. Ne rimase entusiasta e lo battezzò immediatamente Ali Babà, un riferimento evidente al personaggio de Le Mille e una Notte, un libro molto amato dal sovrano. Ben presto il babà di Stanislao arrivò a Parigi e fu il famoso pasticcere Sthorer a perfezionarne la ricetta e a proporlo ai parigini nella sua pasticceria di Rue Montorgueil. Per anni il babà mantiene gli stessi ingredienti, ma la sua storia si arricchisce di un ulteriore capitolo quando Auguste Julien, rinomato pasticcere francese, alla fine del XIX secolo, apporta delle modifiche sostanziali grazie alle quali spariscono dalla ricetta l’uvetta e lo zafferano, viene raddoppiata la quantità di burro utilizzato e gli viene assegnata una forma a ciambella. Anche il nome cambia, non più Alì Babà, ma Babà o Savarin. A Napoli arriva agli inizi del ‘800 e a portarlo furono gli chef francesi al servizio delle famiglie nobili napoletane. Ben presto il babà si affermò in città e furono i cuochi napoletani a perfezionarne la ricetta, ad affinarne la qualità e ad assegnargli quella caratteristica forma a fungo giunta fino ai giorni nostri.


Il territorio

L’oro di Cetara Sembra ormai certo che l’origine della colatura di alici si debba far risalire ai greci che utilizzavano sulle proprie tavole un condimento a base di pesce e interiora di pesce lasciati fermentare nel sale insieme a delle spezie, il Garon. Questa salsa, utilizzata per insaporire le carni, raggiunse le tavole dei Romani durante le guerre puniche, riscuotendo immediatamente il massimo gradimento e affermandosi sempre di più. Pian piano il Garum, come veniva chiamato a Roma, diventò un ingrediente molto utilizzato al punto che iniziò una produzione molto fiorente soprattutto a Cartagine, Pompei e Antibes. Una qualità molto apprezzata veniva prodotta anche in Sicilia, tant’è che in una zona archeologica vicino a San Vito lo Capo è ancora possibile vedere i resti di grandi vasche dove veniva preparato il Garum che poi, inserito all’interno di anfore, veniva portato a Roma. L’aspetto e l’odore non era certo invitante, ma è probabile che venisse utilizzato per coprire l’odore della carne che, quando veniva cucinata spesso, era già in avanzato stato di putrefazione. Dal Garum alla colatura di alici il passo è lungo e si deve ai monaci di un convento vicino ad Amalfi che, nella seconda metà del XIII secolo, iniziarono a raccogliere il profumatissimo liquido che fuoriusciva dal fondo dei barili dove erano stato poste a maturare le alici. La colatura di alici è un condimento che viene prodotto a Cetara, un bellissimo borgo marinaro dedito alla pesca di questo pesce azzurro dalle eccellenti qualità organolettiche. La produzione di questo prezioso liquido ambrato segue rigidamente l’antico procedimento tramandato di padre in figlio e inizia con la pesca delle acciughe, utilizzando la tecnica che prevede l’uso della lampara. Le alici vengono decapitate, eviscerate e sistemate in un barile di legno, il terzigno, alternandole con strati di sale. A riempimento ultimato sul contenitore viene posto un disco di legno, il tompagno, e sopra una pesante pietra che permetta un’adeguata pressatura del contenuto. Si sistema il terzigno in un locale alle giuste condizioni di temperature e umidità e si lascia riposare fino al termine della maturazione, circa quattro-cinque mesi. Il liquido prodotto dal sale e dalle alici affiora sopra il tompagno e per raccoglierlo si pratica un foro sul fondo del terzigno collocando sotto di esso un adatto contenitore che permetta la raccolta della colatura di alici che fuoriesce lentamente dal foro. La colatura raccolta viene filtrata attraverso teli di lino fino a raggiungere una totale trasparenza e un inconfondibile colore ambrato ed è pronta per essere utilizzata nella preparazione della ricetta più classica: gli spaghetti o le linguine alla colatura di alici, un piatto ricco di sapore che viene consumato tutto l’anno, ma che non può mancare nel cenone della vigilia di Natale. 44


Sule a Napule ‘a sanne fa’ La pizza napoletana è un alimento tipico e tradizionale che non conosce confini e, se mai si decidesse di identificare un piatto apprezzato e noto in tutto il mondo, il titolo sarebbe assegnato, senza alcuna competizione, a questo splendido prodotto frutto della fantasia e dell’ingegno culinario partenopeo. In tutto il mondo si fanno pizze partendo, più o meno fedelmente, dagli ingredienti di base ben conosciuti; quello che cambia e che allontana ancora di più il prodotto finale dalla classica pizza napoletana è il condimento, le varianti applicate per integrare al massimo i gusti e la tradizione gastronomica del luogo. Ci è capitato di mangiare una pizza negli USA, in Messico o in Canada e vi garantiamo, ma è facilmente intuibile, che non aveva niente a che vedere con quella che viene preparata a Napoli. Hanno ragione i napoletani, non è sciovinismo quando affermano: ‘a pizza, sule a Napule ‘a sanne fa’. Provare per credere. La storia della pizza, come tanti altri prodotti tipici di questa terra, è affascinante e contribuisce ad esaltare ancora di più questo piatto semplice che richiede, però, una serie di pic-

cole attenzioni che se trascurate potrebbero compromettere il risultato finale. Tralasciando tutti gli antenati della pizza, di cui si trova ampia documentazione storica, fu l’introduzione del pomodoro sul territorio napoletano a far scattare l’idea di aggiungerlo su quella schiacciata cotta nel forno a legna con un po’ d’olio, di aglio e sale, al più con qualche fettina di caciocavallo. Eravamo nel 1600 e furono gli spagnoli, che allora governavano a Napoli, ad introdurre questo prezioso ortaggio che avrebbe assunto un ruolo insostituibile nella gastronomia partenopea. Il primo passo verso la pizza che tutti conosciamo era stato compiuto e fino alla fine del’800, grazie alla semplicità di preparazione e la facilità di reperimento degli ingredienti, diventò il cibo più consumato dal popolo napoletano. Insieme al pomodoro si iniziò ad utilizzare i formaggi, la mozzarella, le alici e l’origano dando così vita alle prime varietà di pizza che incontrarono immediatamente un crescente interesse da parte dei napoletani. Ormai a Napoli tutti parlavano della pizza, ma al difuori del territorio il gustoso alimento era poco conosciuto. L’occasione per varcare i 45

confini territoriali arrivò il 10 giugno 1889, con la visita a Napoli del Re Umberto I e della consorte Margherita. La regina, che aveva sentito parlare della pizza, chiese di assaggiarla e il compito di affrontare il giudizio regale toccò a Raffaele Esposito con forno in Salita di Sant’Anna di Palazzo, a pochi passi dal Palazzo Reale. L’Esposito presentò tre pizze e la Regina Margherita scelse quella che riprendeva i colori della bandiera, grazie alla presenza del pomodoro, della mozzarella e del basilico. Quando al pizzaiolo fu chiesto il nome di quella pizza che tanto era piaciuta, la risposta fu immediata: ”Pizza Margherita, in onore di sua maestà”. La fama della pizza si diffuse rapidamente in tutto il paese varcando ben presto anche i confini nazionali, grazie al forte movimento emigratorio di quegli anni. Oggi, in tutto il mondo, la pizza napoletana è considerata l’ambasciatore più accreditato della gastronomia italiana ed è facile imbattersi in una pizzeria anche nei posti più sperduti, ma se vogliamo gustare la vera pizza napoletana, non abbiamo alternative, dobbiamo recarci a Napoli perché la vera pizza napoletana, sule a Napule ‘a sanne fa’.


Il territorio

Enzo Coccia l’“integralista” della pizza Laura Gambacorta Da circa un paio di anni, nel mondo dell’enogastronomia, si parla sempre più di pizza, forse troppo, e spesso senza alcuna competenza. Non c’è pizzaiolo ormai che non si vanti di impiegare prodotti di alta qualità. Talvolta corrisponde al vero, più spesso si tratta solo di abili strategie di marketing. Ancora troppe, purtroppo, le maturazioni frettolose degli impasti, accompagnate dall’uso frequente di ingredienti di provenienza “poco chiara”. Persino a Napoli, patria indiscussa del famoso disco di pasta, non è facile trovare una pizza indimenticabile. Chi, invece, ha sempre puntato sulla ricerca

maniacale di prodotti di eccellenza, anche molto prima che divenisse mediaticamente trendy, è il maestro Enzo Coccia, patron di due “pizzArie” omonime in terra partenopea e primo pizzaiolo in assoluto a fare il suo ingresso nella prestigiosa guida Michelin. “La Notizia”, questo l’insolito nome di entrambi i locali situati sulla medesima strada, via Michelangelo da Caravaggio, nella parte alta della città. Due locali sulla stessa strada? Una sfida impossibile per chiunque altro, non certo per Coccia che registra ogni sera lunghe code all’esterno dei suoi locali. «Da tempo – racconta il

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maestro Coccia – desideravo affiancare alla mia pizzeria “storica” in cui privilegio la tradizione, un altro locale dove poter dare libero sfogo alla creatività e offrire un maggiore comfort ai clienti, anche attraverso una ricca proposta di vini, bollicine e birre artigianali. La pizza, secondo me, ha la stessa dignità di un piatto di alta cucina, purché sia realizzata a regola d’arte». Comune denominatore l’estrema leggerezza dell’impasto, frutto di una sapiente gestione di lieviti e tempi di maturazione. Pomodori San Marzano, pomodorini del piennolo del Vesuvio e mozzarella di bufala campana, proveniente da due dei migliori caseifici campani, rendono speciali le pizze classiche, mentre salumi di bufalo e di maiale nero casertano, alici di Cetara e provolone del monaco caratterizzano alcune delle pizze creative. Coccia, vero “integralista” della pizza, ama definirsi un artigian o


erede di una tradizione plurisecolare a cui aggiunge la personale sperimentazione e ricerca. La sua fama, ormai internazionale, gli ha regalato molte soddisfazioni tra le quali la consulenza di qualche anno fa per un’importante pizzeria di Manhattan, l’arrivo nel suo locale di corsisti provenienti persino dall’Australia e dal Giappone, e l’opportunità unica, in occasione di una missione italiana per la pace nel Medio Oriente, di preparare le sue pizze nei campi profughi palestinesi di Nablus alla presenza della moglie di Arafat e il giorno dopo anche davanti alla grotta di Betlemme.

Enzo Coccia

chi, invece, ha sempre puntato sulla ricerca maniacale di prodotti di eccellenza è il maestro enzo coccia, patron di due “pizzarie” omonime in terra partenopea e primo pizzaiolo a fare il suo ingresso nella guida michelin

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Pizzaria La Notizia “storica” via Michelangelo da Caravaggio, 53/55 Napoli Tel. +39 081 7142155 Aperta solo la sera Chiusura: lunedì Pizzeria La Notizia “per gourmet” via Michelangelo da Caravaggio 94/A Napoli Tel. +39 081 19531937 Aperta solo la sera Chiusura: domenica www.enzococcia.it – www.pizzaconsulting.it


Il territorio

Campania felix Nicola Natili

In una terra tanto fertile, quanto morfologicamente diversa, com’è la Campania sono attive, e con prodotti di grande qualità, tutte le principali specializzazioni agricole, dalla viticoltura all’olivicoltura, dall’ortofrutta agli allevamenti animali, fino all’antica tradizione lattiero casearia, ovunque apprezzata. Il grande patrimonio di storia e cultura non è

andato disperso ed è alla base della grande e differenziata offerta di eccellenti produzioni tipiche. Lo sforzo che viene compiuto in questo momento dai produttori e dagli organi amministrativi regionali è la ricerca di una maggiore affermazione sul mercato interno e nell’export, cercando di battere con la qualità e la rintracciabilità, gli effetti negativi legati alle conseguenze di un allargamento dell’Unione Europea e di una sempre maggiore

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presenza di prodotti provenienti dai paesi nord africani. Non sarà facile, ma la strada intrapresa, quella votata al mantenimento della biodiversità, ovvero al recupero delle produzioni tipiche e di gran pregio, in parte abbandonate per lasciare il posto a ibridi che garantiscono una maggiore resa produttiva, ma minori qualità organolettiche, potrebbe rappresentare la carta vincente. Il mercato ha recepito il messaggio, iniziando a proporre quei prodotti che presen-


tano particolari caratteristiche di qualità e peculiarità e i segnali che arrivano dal variegato mondo dei consumatori sono sicuramente incoraggianti. A favorire le produzioni agroalimentari della Campania contribuiscono le caratteristiche morfologiche dell’intero territorio il cui paesaggio presenta, armonicamente disposte, vaste pianure, dolci colline e aspri monti, scenari ideali per produrre e sviluppare specificità uniche, partendo da un enorme patrimonio di antiche biodiversità conservato e tramandato fino ai giorni nostri.

Nelle pianure, il cui terreno è di origine vulcanica e quindi particolarmente fertile, viene praticata con grande resa in termini di qualità l’orticoltura, la frutticoltura e l’allevamento del bestiame, il cui latte viene utilizzato nella produzione dei maestosi formaggi tipici della zona. È qui che nasce il provolone, il caciocavallo o la mozzarella di bufala, un prodotto unico ottenuto grazie alla qualità dei pascoli e alle antiche tecniche di lavorazione. Salendo, ma non troppo, cambia l’offerta agroalimentare, ma non la qualità. Nelle colline dell’entroterra, ma un po’

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in tutto il territorio, l’olivo ha trovato il suo ambiente ideale e riesce ad offrire il meglio a chi, con grande saggezza, ha saputo conservare un patrimonio varietale ricco e diversificato, grazie anche ad antiche tecniche di lavorazione. Importante e di grande pregio anche la viticoltura, con i vini campani che si stano affermando sempre di più. La Campania ha visto riconosciuti dalla Unione Europea ben 21 prodotti: 13 con il marchio DOP e 8 con l’IGP, un numero importante destinato a crescere rapidamente nei prossimi mesi.


Il territorio Caciocavallo Silano DOP È un formaggio semiduro a pasta filata, di forma ovale o troco-conica, prodotto con latte vaccino. Ha una crosta sottile, una pasta omogenea bianca tendente al giallo paglierino con lievi occhiature e un sapore dolce che tende a diventare piccante con l’avanzare della stagionatura. Ottimo come formaggio da tavola e come ingrediente in tante ricette.

Cipollotto Nocerino DOP Il Cipollotto Nocerino viene prodotto nell’agro nocerino da più di duemila anni. Fanno parte della denominazione i bulbi di Allium Cepa ottenuti da diversi ecotipi storicamente coltivati in zona. Il bulbo è di colore bianco e presenta una polpa compatta e succulenta con un gradevole sapore dolce e non aggressivo. Viene messo in commercio privato di foglie e radici e utilizzato in insalate.

Fico bianco del Cilento DOP La DOP è stata assegnato al prodotto essiccato ottenuto dal cultivar Bianco del Cilento, da millenni presente in questo territorio in provincia di Salerno. Dopo l’essiccazione la buccia assume un colore giallo tendente al nocciola, la polpa è dolce e molto pastosa. Viene consumato tal quale, ma anche farcito con noci, mandorle, nocciole, o scorze di agrumi.

Olio extravergine di oliva Cilento DOP L’olio E.V.O. Cilento DOP si ottiene dalla spremitura di olive delle varietà Pisciottana, Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella e Leccino per almeno l’ 85%. L’olio ha un colore giallo paglierino, un leggero sentore fruttato e un gusto delicato con leggere note amare e piccanti. Particolarmente indicato per condire insalate, grigliate di pesce, verdure bollite e legumi.

Olio extravergine di oliva Colline Salernitane DOP Di colore giallo tendente al verde, viene ottenuto dalla spremitura di olive della varietà Rotondella, Frantoio, Carpellese o Nostrale per almeno il 65%; Ogliarola e Leccino in misura non superiore al 35 %. Presenta un leggero sentore erbaceo, sapore deciso leggermente amaro. Viene utilizzato soprattutto per condire legumi, insalate e nella cottura delle salse.

Olio extravergine di oliva Irpinia Colline dell’Ufita DOP Olio di grande pregio si ottiene, per non meno del 60% dalla varietà Ravece, per la restante parte da altre varietà locali, quali l’Ogliarola, la Marinese, l’Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte. È di colore verde tendente al giallo e al gusto presenta un leggero sapore erbaceo e piccante. Se ne consiglia l’uso in zuppe a base di legumi, bruschette e grigliate di carne.

Olio extravergine di oliva Penisola Sorrentina DOP Si presenta di colore giallo con evidenti riflessi verdi, un odore che ricorda il rosmarino e un sapore delicato pur con leggere note amare e piccanti. Ottimo nelle insalate di limone sorrentino e nelle preparazioni a base di pomodoro. Le olive utilizzate sono di varietà Ogliarola per il 65%; Rotondella, Frantoio o Leccino per il restante 35% e devono essere raccolte entro e non oltre il 31 dicembre.

Olio extravergine di oliva Terre Aurunche DOP È ottenuto dalla molitura di olive di varietà Sessana per almeno il 65% e Corniola, Itrana e Tonacella per la restante percentuale. Presenta un colore giallo tendente al verde e un gusto delicato con leggere venature di amaro e piccante. Viene utilizzato con pietanze dal sapore deciso come carni o sughi a base di carne.

Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP È uno dei più antichi prodotti orticoli della regione e raccoglie varie cultivar selezionate negli anni dagli agricoltori locali. Ha un aspetto tondeggiante, buccia spessa di colore rosso vivo, polpa consistente e sapore dolce tendente all’aspro. Può essere conservato al “piennolo” per qualche mese ed è un componente insostituibile della cucina campana, dal sugo per gli spaghetti alle vongole alla pizza napoletana.

Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-nocerino DOP È utilizzato prevalentemente nell’industria conserviera e la denominazione DOP designa il prodotto inscatolato, sia intero che a filetti. Il pomodoro San Marzano presenta un sapore dolciastro, forma allungata con degli avvallamenti longitudinali, colore rosso vivo, pochi semi ed elevata pelabilità.

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Provolone del Monaco DOP È un formaggio semiduro a pasta filata ottenuto dalla lavorazione a crudo del latte vaccino di vacca Agerolese. La forma è di un melone, crosta liscia e sottile di color giallo, pasta color crema, compatta e occhiellata, un sapore dolce ma anche piccante. Viene stagionato per almeno 6 mesi. Si utilizza per insaporire pietanze ma anche come eccellente fine pasto.

Ricotta di Bufala Campana DOP Dal siero della lavorazione della Mozzarella di Bufala viene ricavata la ricotta che può essere consumata fresca o secca. All’origine è di colore latteo, ha una consistenza tenera e un sapore molto delicato. La ricotta essiccata si ottiene dopo un procedimento di stagionatura di almeno 70 giorni, prima in essiccatoio e poi in apposite celle.

Carciofo di Paestum IGP Il Carciofo di Paestum è un ecotipo locale, il Tondo di Paestum, ascrivibile alla varietà di tipo Romanesco. Di precoce maturazione, ha un aspetto tondeggiante, assenza di spine nelle brattee ed è molto compatto. È molto apprezzato in cucina e viene utilizzato in preparazioni come la crema o lo sformato di carciofi.

Castagna di Montella IGP La “Castagna di Montella” è riferita alle castagne prodotte per il 90% dalla varietà Palummina e per il 10% dalla varietà Verdole. Di pezzatura medio-piccola, ha forma rotondeggiante, polpa bianca dolce e croccante, e buccia sottile di color marrone. Viene consumata arrosto o lessa ma è molto richiesta dall’industria dolciaria per la preparazione dei marron glaces.

Limone Costa d’Amalfi IGP È il frutto della varietà Sfusato Amalfitano e ha una caratteristica forma affusolata. Dalle caratteristiche molto pregiate presenta una buccia di medio spessore, di colore giallo, un profumo ed un aroma intensi e una polpa succosa, moderatamente acida e quasi del tutto priva di semi. Viene utilizzato fresco o per la preparazione del Limoncello.

Limone di Sorrento IGP Si ottiene dal cultivar Limone di Massa o Ovale di Sorrento, esclusivamente nella penisola sorrentina. È un limone di grandi dimensioni, di forma ellittica con polpa gialla e molto succosa e buccia molto profumata. Viene utilizzato al naturale o per aromatizzare bevande, marmellate, sorbetti, piatti a base di pesce e per il famosissimo Limoncello.

Marrone di Roccadaspide IGP È il frutto di un ecotipo derivante dalla varietà Marrone di Avellino. Di media pezzatura, ha una buccia sottile, color marrone tendente al rossastro, polpa bianca, consistente e un alto contenuto zuccherino. Si consuma allo stato fresco in varie preparazioni o viene utilizzato per la produzione di farine, marmellate e marron glaces.

Melannurca Campana IGP Si ottiene da una delle varietà di mele più apprezzate, l’Annurca. Frutto tondeggiante dal finissimo aroma, ha una polpa croccante, bianca, succosa e molto saporita. La caratteristica della Mela Annurca è che viene colta dalla pianta ancora verde e lasciata arrossare a terra in un letto di paglia. È indicata per i bambini, gli anziani e per chi soffre di disturbi metabolici.

Nocciola di Giffoni IGP La Nocciola di Giffoni è ottenuta dalla varietà Tonda di Giffoni. Il seme interno è tondo, con un perisperma sottile e facilemnte asportabile e una polpa bianca molto aromatica. Viene consumata fresca o come ingrediente in tante preparazioni casalinghe come torte, gelati e creme, ma una parte consistente viene avviata all’industria alimentare.

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP Questa denominazione comprende bovini di ambo i sessi, di razza Chianina, Marchigiana e Romagnola, di età compresa tra i 12 e 24 mesi di età. L’area di produzione del “Vitellone bianco dell’Appennino centrale” IGP comprende le aree interne collinari e montane degli Appennini centrali, fino alla Campania, in cui sono comprese le province di Benevento ed Avellino.

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Il territorio

È una vera “Bufala” Dop

Andrea Settefonti

Ha corso il rischio di non poter essere più prodotta a causa di un adeguamento di legge. Ma il pericolo è stato scampato e la mozzarella di bufala campana Dop potrà continuare ad essere gustata e apprezzata. È stato infatti deciso che per tutti coloro che fanno parte del sistema Dop sarà infatti possibile continuare a produrre nello stesso stabilimento mozzarella Dop e altre tipologie (ricotte e mozzarelle non Dop), ma, come richiesto dal Consorzio di Tutela già 18 mesi fa, si obbligano i produttori ad acquistare esclusivamente latte di bufala proveniente dall’area Dop, per qualunque prodotto intendano realizzare. Sul mercato i consumatori avranno un quadro più semplice e chiaro, potranno scegliere solo tra tre tipi di prodotto: la Mozzarella di Bufala Campana Dop; la mozzarella di bufala non Dop ma realizzata comunque con latte di area Dop (Campania, Basso

Lazio, Molise e Foggiano) dai produttori aderenti al Consorzio. E infine il prodotto non certificato, realizzato da tutti gli altri con latte e semilavorati bufalini qualsiasi, proveniente da ogni dove. Le nuove norme sono anche il frutto della mobilitazione lanciata dal Consorzio, dal titolo «Salviamo la Mozzarella di Bufala Campana Dop», che ha coinvolto chef, giornalisti, foodies e cittadini, uniti dalla passione per questo prodotto unico. Il problema era sorto perché la Mozzarella campana è l’unico grande formaggio Dop italiano a prevedere nel proprio disciplinare un vincolo stringente, ovvero la denominazione è riservata al solo prodotto ottenuto esclusivamente da latte fresco di bufala entro e non oltre la

sessantesima ora dalla prima mungitura. Ciò comporta che, tutte i giorni che il latte disponibile è superiore alle richieste del mercato il caseificio è costretto a congelare il latte in esubero per produrre in seguito mozzarella non-Dop. Il mercato della Mozzarella Dop vale oltre 500 milioni di euro annui, il 25% dei quali esportati. Soprattutto in Francia, Usa, Germania, Regno Unito, Svizzera, Austria, Spagna, Giappone.

Mozzarella di Bufala Campana DOP Prodotto apprezzatissimo è un formaggio fresco a pasta filata ottenuto da latte di bufala, lavorato a mano. Presenta una buccia sottilissima color porcellana, una pasta leggermente elastica tendente al fondente e un sapore dolce e inconfondibile Può essere preparata in varie pezzature e viene consumata come formaggio da tavola o come ingrediente in tante ricette.

Rottura e maturazione della cagliata

Il latte Il latte di bufala, ha una composizione diversa da quella di altre specie animali utilizzate per la produzione di formaggio, rispetto a quello di vacca e pecora ad esempio, è più ricco di proteine, grassi e soprattutto calcio totale. Queste caratteristiche chimiche permettono a chi lo trasforma di ottenere delle rese di caseificazione pari al doppio di quelle che in genere si ottengono con il latte di mucca.

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Dopo alcuni minuti che il latte è rappreso per l’intervento del caglio, si procede alla rottura degli stessi grumi caseosi con un attrezzo denominato “spino” che li riduce fino ad una grandezza di poco più di una noce.

Il saggio di filatura Una prova empirica, ma assolutamente attendibile nelle mani esperte di un mastro casaro, consiste nell’aggiungere acqua bollente a circa mezzo chilogrammo di cagliata sminuzzata che, amalgamata fino a farla fondere, viene tesa con le mani e un bastoncino di legno.


Nutrizione Per chi è attento alla dieta, con circa 250 Kcal per ogni 100g di prodotto mangiato, la Mozzarella di Bufala Campana è molto più dietetica di molti altri derivati lattiero caseari. Consumare Mozzarella di Bufala Campana significa fornire energia per la crescita dei giovani e per il recupero degli sportivi.

La filatura La cagliata al giusto grado di maturazione viene posta su tavoli dove avviene lo spurgo di tutto il siero residuo, successivamente viene tagliata a listarelle e riposta in contenitori di legno, i “mastelli”, dove viene aggiunta acqua bollente. Il contatto tra acqua bollente e cagliata provoca la fusione della massa che viene di continuo sollevata e tirata fino ad ottenere un unico corpo omogeneo.

Caserta o Battipaglia La Mozzarella del Casertano ha una più marcata tendenza alla sapidità, dovuta al metodo di conservazione, mentre quella prodotta nella piana del Sele, tra Battipaglia e Paestum (in provincia di Salerno) spicca per una intensa e avvolgente dolcezza.

Conservazione Mai mettere la mozzarella in frigorifero. Da mangiarsi entro poche ore dalla produzione, meglio se entro il giorno successivo, la mozzarella si conserva a temperatura ambiente immersa nel suo siero.

Digeribilità È un formaggio facilmente digeribile, con un ridotto contenuto di lattosio e di colesterolo, è un’ ottima fonte di proteine ad elevato valore biologico, a cui si accompagna un moderato apporto di grassi. Inoltre, il formaggio fornisce elevate quantità di Calcio e Fosforo, di vitamine idrosolubili quali la B1, B2, B6 e Niacina; è infine, una buona fonte anche di vitamina E e Zinco, sostanze che contribuiscono a contrastare l’azione negativa dei radicali liberi.

Dalle ciliegine alle trecce Buona parte della produzione avviene a mano anche se si può ricorrere all’uso di macchine formatrici che producono pezzature a peso predeterminato. Una volta prodotta, la mozzarella viene da prima lasciata in vasche contenenti acqua fredda per garantire un primo importante rassodamento, che si completa in altre vasche contenenti anche soluzione saline che conferiscono al prodotto il giusto grado finale di sapidità. 53

Tenuta Vannulo,

quando è il brand a garantire Il brand come garanzia di qualità, il marchio Tenuta Vannulo come must per la mozzarella di bufala. Dal 1988 Antonio Palmieri, titolare del caseificio che prende il nome dalla località dove si estendono i 200 ettari dell’azienda agricola fondata all’inizio del secolo nel Comune di Paestum (Sa), ha deciso di investire sull’innovazione della filiera di produzione della mozzarella. Azienda biologica, tutto prodotto in “casa”, dai foraggi, al latte di bufala alla mozzarella, per arrivare agli yogurt e al gelato, una trentina di dipendenti tutti italiani con età media attorno ai 30 anni. La tenuta è una sorta di fattoria-modello. La mungitura avviene attraverso un robot che, dalla lettura di un microchip, riconosce tutte e 450 le bufale, lava le mammelle e le munge in automatico. Un metodo che consente di abbassare la carica batterica a 130 Ufc/mL quando la legge prevede che sia come minimo a 500Ufc/mL. Il robot, primo caso applicato a bufale, oltre a misurare la quantità prodotta da ciascun capo di bestiame, valuta anche la qualità del latte e la presenza di malattie come la mastite. Nella stalla il letame viene portato via da un sistema di acqua corrente e le bufale, che si grattano su speciali rulli, non vivono nel fango e dormono su materassini di gomma. «Le bufale sono libere di gestirsi la loro giornata. Anche di scegliere quando mungersi», spiega il titolare Antonio Palmieri. «Ho dovuto abbattere molti luoghi comuni come il fatto che le bufale stavano solo nel fango, oppure la mozzarella non poteva essere fatta con solo latte di bufala, ma andava mischiato con quello di mucca. Ho imposto le mie idee e altre conto di realizzare. Come un sistema nuovo di bollitura del latte a bagnomaria per provocare forti shock termici. Io credo che si debba pensare di poter fare sempre meglio». Oggi tra gli estimatori della mozzarella della tenuta Vannulo ci sono Carlo d’Inghilterra e Silvio Berlusconi, il cardinale Ratzinger prima di essere eletto Papa Benedetto XVI, e Luca Cordero di Montezemolo. Sono diventati un piccolo must dei prodotti di qualità visto anche che tutta la produzione viene venduta soltanto sul posto. Non è possibile trovarla al supermercato e neppure in alcun negozio. «È una scelta che ho fatto volutamente, come ho scelto di non far parte della Dop, ho puntato tutto sulla qualità. È “Vannulo” che dà la garanzia», continua Palmieri. Il Caseificio Vannulo lavora esclusivamente il latte prodotto dall’azienda e questo spiega la produzione limitata, basata sul ciclo naturale del latte. Il latte non viene pastorizzato prima della trasformazione poiché l’allevamento è sotto controllo sanitario e indenne da tubercolosi e brucellosi, mantenendo così inalterate tutte le sue proprietà.


Il territorio

È di Mustilli la prima Falanghina della storia

Luca Casamonti

La Falanghina oggi è probabilmente uno dei vini campani maggiormente apprezzati e conosciuti, ma molto merito della sua riscoperta va dato certamente ed alcuni viticoltori del Sannio Beneventano, che nei primi anni Settanta avviarono la riscoperta e rivalutazione, del vitigno. Tra questi il principale protagonista fu l’ingegner Leonardo Mustilli perché é stato il primo a riscoprirlo vinificando e imbottigliano in purezza la Falanghina negli anni ’70 nella sua azienda situata a Sant’Agata dei Goti. La storia La famiglia Mustilli giunse a Sant’Agata dei Goti all’inizio del ‘500: proveniva da Ravello, allora cittadina della gloriosa Repubblica d’Amalfi, e scelse il borgo sannita come nuova terra di lavoro. Negli anni ’70 Leonardo e Marili Mustilli decisero di rinnovare la tradizione familiare della coltivazione della vite, reimpiantando nelle colline di Sant’Agata dei Goti i vitigni autoctoni campani quali Falanghina, Greco, Aglianico e Piedirosso, all’epoca abbandonati o sostituiti da vitigni cosiddetti internazionali. Con la Falanghina Mustilli del 1979, è iniziata la grande avventura che ha portato l’azienda ad essere una delle principali realtà produttive del Sannio Beneventano. Nel 1993, viene istituita la DOC Sant’Agata dei Goti, una tra le più piccole e tipiche

denominazione di origine della Campania e Mustilli è l’unica azienda che imbottiglia i vini con questa denominazione. Fino al 2001 la vinificazione avveniva nelle antiche cantine del Palazzo Mustilli, scavate nella roccia tufacea di cui è costituito il sottosuolo di Sant’Agata dei Goti. Occupavano una superficie di oltre 300 mq suddivisa in diversi ambienti, raggiungendo la profondità massima di 15 metri al disotto del piano stradale. Oggi le Cantine Mustilli adempiono ancora al loro compito di conservazione ed invecchiamento, in botti di rovere del vino Aglianico, ottenuto dalle omonime uve coltivate nei vigneti di proprietà. Mentre, dall’anno 2002 tutti i processi di vinificazione ed imbottigliamento del vino sono stati trasferiti nelle cantine nuove, fuori dal centro storico di Sant’Agata dei Goti. Oggi ci sono 35 ettari vitati e la produzione si aggira intorno alle trecentomila bottiglie, dove spicca la Falanghina, con oltre 90 mila bottiglie, ottenuta dai due differenti biotipi Falanghina Beneventana e Falanghina Campi Flegrei. Al comando dell’azienda le figlie di Leonardo, Paola e Anna Chiara, che lavorano a tempo pieno, la prima gestendo l’aspetto commerciale e di comunicazione, mentre la seconda curando la conduzione dei vigneti e della cantina.

con la falanghina mustilli del 1979 è iniziata la grande avventura che ha portato l’azienda ad essere una delle principali realtà produttive del sannio benevento

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La famiglia Mustilli

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I prodotti La cultura del vino si intreccia da sempre con la storia familiare. Oggi Mustilli produce sia vini bianchi che rossi, oltre a grappe, passiti e spumanti. Andando nel dettaglio, per quanto riguarda i bianchi troviamo Falanghina, Fiano, Greco e Vigna Segreta, mentre tra i rossi ci sono Cesco, Aglianico e Piedirosso. Parlando di grappe sono 4 i tipi prodotti: di Falanghina, di Greco, di Piedirosso e di Aglianico. Infine a completare la produzione, si trova il Phileno, vino passito e lo Spumante Falanghina Brut. Oltre ai vini però l’azienda lavora per offrire prodotti naturali e salvaguardare la produzione tipica, cercando di diffondere la cultura del cibo verso una conoscenza delle cose buone della terra, alla ricerca di uno stile di vita sano. Tra questi troviamo l’olio extravergine di oliva, ottenuto direttamente dalle olive ed unicamente mediante processi meccanici. Inoltre l’azienda produce conserve sott’olio secondo le antiche ricette di famiglia, con verdure, ortaggi ed olio extravergine di oliva da coltivazione biologica, ottime da abbinare come contorni ai pasti e come stuzzichini. Ci sono poi le confetture ottenute da frutta coltivata nel comune di Sant’Agata e preparate con una cottura a fuoco lento e poco zucchero aggiunto. Ed infine, la novità del 2012, è la prima crema viso Linfa d’Uva della linea cosmetica MustilliMust-benessere dal vino, fatta con la stessa materia prima del vino. L’agritursimo Situato nella piazzetta nel centro storico di Sant’Agata dei Goti, a ridosso di un antico convento di clausura, l’agriturismo Mustilli, è dedicato a quei viaggiatori che amano i luoghi pregni di storia, e che prediligono l’ospitalità schietta di famiglia e i sapori forti della tradizione. Le stanze sono sei, al secondo piano del palazzo, con vista sui tetti del borgo, tutte diverse e arredate con cura, tra pezzi di famiglia e dettagli ricercati. Ma il fiore all’occhiello è la cucina, curata direttamente dalla signora Marilì, la quale reinterpreta i sapori genuini della tradizione Campana, preparando, ad esempio, la pasta fatta in casa con i sughi di stagione, i funghi e gli asparagi selvatici, le carni locali, i formaggi e le famose mele annurche di Sant’Agata dei Goti, da gustare fresche, al forno o impastate per dolci sopraffini.


Il territorio

Arte e vino nell’estro di Mastroberardino

Andrea Settefonti

Piero Mastroberardino

Quadri, ma anche due libri, l’ultimo un romanzo che sarà presto dato alle stampe. Il mondo del vino ha sfaccettature che si esprimono attraverso l’arte. Come i dipinti e gli scritti di Piero Mastroberardino. Una famiglia che è un must dei vini campani, nasconde un artista che si esprime non soltanto attraverso la produzione di bottiglie, ma anche attraverso nuove traiettorie di sviluppo del gruppo, ampliandone il raggio d’azione con attività di diversificazione nel campo dell’hospitality e dell’enoturismo, come con la realizzazione di Radici Resort, complesso ricettivo inaugurato nel 2008, che offre ristorazione da prodotti selezionati del territorio irpino, hotel, golf & spa. “Vino e dintorni” ha incontrato Piero Mastroberardino, presidente, per scoprire come sia possibile coniugare arte e produzione vinicola di pregio.

Quando nasce la passione per la pittura? È una passione che mi ha accompagnato fin da bambino. A cinque anni ho esposto i primi disegni in una mostra organizzata a scuola. Poi però è rimasta una cosa intima e personale, non più condivisa per molti anni, fino al periodo recente in cui, spinto da alcuni amici, ho acconsentito a organizzare una prima personale. In genere abbino a ciascun disegno una breve composizione in versi che fa da titolo all’opera e durante le esposizioni spesso vi sono momenti di reading e recitazione. Come si coniugano arte vino? Non è difficile: chi vuole realmente dare a un vino un’anima non può che interpretarlo – oltre gli aspetti tecnici – sotto il profilo emozionale. In questo il mondo del vino è davvero una grande fonte di ispirazione. Sono due ambiti che a me appaiono più vicini che mai. Forse per questo stanno avendo successo eventi combinati, in cui il ristoratore quando organizza una winemaker’s dinner sempre più spesso mi chiede di portare alcuni quadri con me. È una formula che mi diverte molto. Ne Molla la presa Tessuti si distendono Riprendono le forme coi volumi Affluenti si versano Nel solco col tempo inaridito E accorrono le tinte Dai loro nascondigli. (2013)

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ho organizzati diversi in questi ultimi mesi, sia in Italia che all’estero, ed altri eventi simili sono già in programmazione. Predilige colori caldi e sfumati, dove spesso prevale il giallo. Quale messaggio vuole trasmettere con le sue opere? Non c’è una prevalenza di colori, ci sono momenti diversi, stati d’animo e sensazioni istantanee. Non mancano, infatti, momenti intrisi di rappresentazioni fredde e cupe. Non credo di avere un messaggio chiaro da trasmettere duran-


attesa, che sono a mio avviso le più espressive ma anche le più difficili da catturare e rappresentare. Sono queste direttrici le più rilevanti fonti di ispirazione, forse perché le più sfidanti. I suoi dipinti potranno diventare delle etichette per le sue bottiglie? In qualche caso è avvenuto e non escludo che questi episodi si ripetano nel prossimo futuro… staremo a vedere.

Feconda solitudine… Regina delle ombre Scova un varco Nella fitta cortina luminosa. (2013) te la realizzazione, è con maggior probabilità collocato a livello di subconscio, e non mi sforzo di indagarlo neppure a posteriori, quasi per timore di contaminarlo. Ci sono molte donne, in posizioni sensuali nei suoi dipinti. Esiste un legame tra un corpo femminile e un bicchiere di vino? Esiste di certo un legame nel tema dell’edonismo, ma non credo sia in questo da ricercare la spiegazione. In passato mi sono dedicato tanto a paesaggi, edifici, nature morte e ogni genere di rappresentazione. Negli ultimi anni sono concentrato più sulla figura umana, e in particolare sulle sue espressioni più intense e coinvolgenti, spesso riconducibili a momenti di sublime piacere, o di somma sofferenza, o di contemplazione e

Piero Mastroberardino nasce ad Avellino nel 1966. Completati a 24 anni gli studi universitari in campo economico, si dedica alla carriera di ricerca, vincendo il concorso pubblico per professore associato in discipline manageriali nel 1998, e a seguire, nel 2003, quello per ordinario. Parallelamente entra nella gestione delle attività imprenditoriali di famiglia, aventi ad oggetto la produzione di vini di pregio. Nel 1993 accede al board direzionale, nel 1996 assume il ruolo di amministratore delegato e dal 2003 la presidenza. Nel 2000 fonda un centro culturale con il quale si impegna

nella promozione di incontri su temi letterari, figurativi e musicali. Si dedica negli anni ad attività professionali e di rappresentanza in varie organizzazioni pubbliche e private. Dal 1993 ad oggi ha pubblicato circa cento lavori scientifici su riviste e collane editoriali nazionali ed internazionali, nel campo delle discipline manageriali. La passione per il disegno e la pittura, coltivata fin da bambino in modo spontaneo, accompagna molti momenti della sua infanzia e adolescenza, per riemergere negli anni Novanta e poi ancora, prepotentemente, più di recente, insieme ad una seconda inclinazione per la narrativa e la poesia. Pubblica nel 2011 un romanzo dal titolo “Umano errare”, per i tipi del Gruppo Editoriale Albatros Il Filo. Dal 6 al 20 settembre 2012 esordisce con la prima mostra personale di arti figurative e composizioni in versi, dal titolo “Uno squarcio nell’anima, ti narra…”, presso il Caffè Letterario di Avellino. A seguire ha luogo una seconda personale nella Cappella Gentilizia del Chiostro del Palazzo Comunale di Atripalda. A dicembre 2012 inaugura la terza mostra di arti figurative e versi, dal titolo “La donna è mobile”, ancora nella sua città. Nel 2013 è nominato nel gruppo “Amici della domenica”, designato componente della giuria del Premio Letterario Strega.

negli ultimi anni mi sono concentrato più sulla figura umana, sulle sue espressioni più intese e coinvolgenti

Male Cresco dentro. Scavo cunicoli lunghi e attorcigliati, mentre traccio li inondo. Non reclamo ribalta per compiere il tragitto. Fino in fondo. (2013)

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Il territorio

Wine valley per otto Comuni Paolo Corbini La qualità del vino dipende anche dalla qualità ambientale del territorio: tanto più esso è tutelato e salvaguardato, tanto migliore è la viticoltura che può esprimere. Con questo spirito gli otto sindaci della Valle del Calore, in provincia di Benevento, nel cuore del Sannio, stanno progettando il loro futuro puntando su un territorio di qualità. Per far questo stanno mettendo mano ai loro PUC, piani urbanistici comunali, con l’intento di realizzare una programmazione condivisa che, coinvolgendo le otto comunità, consenta di realizzare una vera e propria “wine valley”. Sono i sindaci di Castelvenere, Solopaca, Paupisi, Torrecuso, Guardia Sanframondi, Ponte, San Lorenzo Maggiore e San Lupo; tutti si ispirano al Piano Regolatore delle Città del Vino, ovvero a quell’insieme di indicazioni che, redatte già nel

lontano 1998 dall’Associazione Nazionale Città del Vino, individuano quali sono le procedure migliori per realizzare piani urbanistici che tutelino il territorio e al tempo stesso favoriscano una viticoltura di qualità. Si tratta di uno strumento di lavoro che mette a confronto le esigenze dei produttori e quelle degli amministratori pubblici, preoccupati i primi di poter lavorare nelle migliori condizioni possibili e i secondi di salvaguardare beni collettivi quali l’ambiente e il paesaggio, che costituiscono la ricchezza più grande del territorio. In questi otto comuni si coltiva l’80% della viticoltura provinciale e ben il 50% di quella regionale; sono circa 4.000 le imprese agricole attive e ben 109 sono i produttori vitivinicoli che imbottigliano facendo di Benevento la

Guardia Sanframondi

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provincia del vino più importante della Campania. I piani urbanistici comunali dovranno essere pronti entro il maggio 2014, un anno di tempo per coordinare il lavoro attraverso studi e ricerche approfondite che consentano di individuare le aree enologiche più vocate per disegnare intorno ad esse gli strumenti più idonei di salvaguardia. Il Comune di Guardia Sanframondi sta realizzando il Puc insieme al Comune confinante di San Lorenzo Maggiore, mentre a Castelvenere si sta lavorando alla zonazione viticola, cioè alla definizione dei terreni più vocati tenendo conto dello stretto rapporto tra qualità del terreno, ambiente circostante e lavoro dell’uomo; a questo proposito è stato coinvolto uno dei pionieri della zonazione viticola, il professor René


Processione di San Lorenzo

San Lorenzo Maggiore

Morlat dell’Istituto Nazionale di Ricerca Agronomica (Inra) di Anger, Francia. La volontà politica degli otto comuni di programmare il loro sviluppo in modo coordinato è un esempio virtuoso per un territorio dalle straordinarie potenzialità che devono essere ancora del tutto espresse, sia dal punto di vista vitivinicolo (qui si coltiva, in particolar modo, uno dei vitigni autoctoni più importanti, l’Aglianico), ma anche dal punto di vista ambientale in funzione, ad esempio, della crescita del turismo enogastronomico, fonte di opportunità di sviluppo locale. Questi strumenti urbanistici di programmazione possono così trasformarsi in una grande operazione di marketing territoriale. Tutto questo grazie anche all’appartenenza all’Associazione Città del Vino, che ha facilitato non solo la volontà delle amministrazioni comunali di collaborare assieme, ma ha consentito anche la possibilità di mettere a confronto esperienze simili condotte in altre terre del vino italiane, dove sono stati elaborati analoghi piani regolatori del vino e specifici regolamenti comunali. Questo particolare passaggio progettuale sta provocando sul territorio un positivo fermento di idee e contributi: a Guardia Sanframondi, ad esempio, la piccola comunità di scozzesi e americani che vivono qui da ormai molti anni, ha avanzato al sindaco una serie di proposte operative a tutela del centro storico ma anche per la realizzazione di servizi e attività culturali. Dietro alle future scelte urbanistiche si svela dunque una nuova speranza di crescita sostenibile che può fare di questo territorio un modello virtuoso per una regione così bella, ma così difficile da gestire, come la Campania.

la volontà politica degli otto comuni di programmare il loro sviluppo in modo coordinato è un esempio virtuoso per un territorio dalle straordinarie potenzialità

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Il territorio

un’antica leggenda racconta che i due maestosi scogli sarebbero stati posti a largo della costa da poseidone a testimonianza di due fratelli pastori

Affacciata sul mare Tirreno, la Costiera Amalfitana, o Divina Costiera, è un libro di cultura e storia, meta fissa di turisti di tutto il mondo. Qui la strada corre tortuosa come un balcone sospeso tra il mare blu cobalto e le pendici dei monti Lattari, in un rincorrersi di vallate e promontori tra calette, spiagge e terrazze coltivate ad agrumi, viti e ulivi, in un ambiente unico, tutelato dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Il nostro viaggio inizia da Vietri sul Mare, la prima “gemma” che s’incontra dopo Salerno, lungo la via per la Costiera Amalfitana. Cinta alle spalle da una rigogliosa vegetazione, sospesa tra mare e cielo, Vietri è posta ai piedi del monte San Liberatore, in una posizione dominante la valle solcata dal fiume Bonea; da essa, grazie a due strade che costeggiano la parete rocciosa, si accede a Marina di Vietri un agglomerato di case bianche che si legano, da un lato, alla costa di Punta d’Albori e di Fuenti, e dall’altro terminano con la splendi-

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da spiaggia dove si ergono maestosi gli scogli “I due fratelli”, così detti per la loro conformazione reciprocamente molto somigliante. Un’antica leggenda racconta che i due maestosi scogli sarebbero stati posti a largo della costa da Poseidone, dio del mare, a testimonianze di due fratelli pastori che si immolarono per salvare una splendida fanciulla dalla furia della tempesta. Grazie al suo splendido mare, al suo ampio litorale sabbioso, alle sue strutture balneari e ricreative, al suo aspetto moderno e vivace e soprattutto all’ospitalità dei suoi cittadini, Vietri sul Mare è oggi una delle più note e frequentate stazioni climatiche della Costiera Amalfitana. Questo splendido paese è anche la culla della maiolica. Non a caso, la cupola della chiesa di San Giovanni Battista e la facciata dell’Arciconfraternita dell’Annunziata e del Rosario sono ricoperte da queste coloratissime ceramiche. Vantano la presenza di chiese dalle cupole rivestite di mattonelle maiolicate – rispettiva-


La Costiera Amalfitana

Claudio Zeni

mente San Pietro e Santa Maria a Mare – anche i borghi di pescatori di Cetara e Maiori, anch’essi tra i centri balneari più frequentati per la loro spiaggia di sabbia fine. Da Maiori si può optare per una deviazione verso l’interno per raggiungere Tramonti, terra di maestri pizzaioli, mentre proseguendo lungo la costa, ecco Minori, l’Eden della Costiera per il clima ventilato e fresco. Prossima tappa Ravello, universalmente riconosciuta come la città della musica. La sua ampia vista sul golfo, le sue bellezze naturali ed artistiche, la sua atmosfera così particolare fatta di solitudine e silenzio, unitamente alla visione smagliante dei suoi giardini e a quella quasi fiabesca dei suoi scorci panoramici, ne fanno un luogo di soggiorno indimenticabile, un’oasi di infinita tranquillità. Da questa spettacolare balconata da cui si gode uno scenario unico al mondo, trassero l’ispirazione per le proprie opere musicisti, artisti e scrittori, tra cui Ruskin, Mirò, Echer, Gide, Lawrence,

I faraglioni di Capri

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Il territorio

Turner. Qui, nel parco di Villa Rufolo, il musicista Wagner immaginò il giardino fatato di Klingsor del suo capolavoro Parsifal. Lasciata Ravello arriviamo nella piccola e deliziosa Atrani, il centro costiero che, con la sua struttura tipicamente medioevale, ha meglio conservato le sue antiche caratteristiche topografiche, del cui fascino è impossibile privilegiare un itinerario, data la compatta bellezza del suo tessuto urbano, dell’intrico di archi e vicoletti, del contrasto di luci e ombre, dei suoi caratteristici piazzali e degli orti ancora diffusi tra le case. Fondata assieme ad Amalfi da nuclei romani provenienti da Scala a Ravello, questo paese ha strettamente unito la sua storia a quella della Repubblica Marinara di Amalfi, assumendo il titolo di civitas. Frequentata ed abitata dalle famiglie più nobili della Repubblica Amalfitana, Atrani incoronò e seppellì i Dogi nella cappella Palatina presso la chiesa di San Salvatore di Birecto. Oggi, oltre ad essere un paese di produzione agricola (produce olive, limoni, uva e mandorle) Atrani è anche un apprezzato borgo turistico, che ha conservato gelosamente la sua riservatezza, un’“isola” a suo modo nel mare del turismo di massa. Unita ad Atrani è Amalfi, la cittadina che da il suo nome al tratto di costa che va da Vietri sul Mare a Punta Campanella. Il suo abitato, inconfondibile nell’aspetto e pittoresco per la dislocazione, si aggrappa agli sbalzi rocciosi dei monti Lattari inoltrandosi nell’angusta Valle dei Mulini con strade e scalinatelle che si dipanano dalla collina e si incuneano tra abitazioni e splendidi giardini terrazzati; ogni angolo, ogni viuzza e ogni piazzetta aprono prospettive inusitate e scorci silenziosi e pittoreschi: è questo lo scenario che ha incantato generazioni di viaggiatori, il paesaggio romantico per eccellenza, dove la dolcezza del clima e la bellezza di ville e case addossate una all’altra si coniugano con la natura aspra e apparentemente inospitale di montagne a picco sul mare. In questo scenario la storia e la leggenda si sovrappongono. La leggenda vuole che Ercole si innamori della ninfa Amalfi, che

morì prematuramente, e che Ercole volle seppellire nel posto più bello del mondo dove, per immortalarla, fondò una città alla quale volle dare appunto il nome di Amalfi, mentre la storia afferma che fu fondata nel IV secolo d.C., al tempo dell’imperatore Costantino da un gruppo di famiglie romane che, partite alla volta di Costantinopoli, furono sorprese da una violenta tempesta nel mar Ionio e costrette a rifugiarsi presso Ragusa in Dalmazia. Dopo una breve sosta ripresero la navigazione e tra Palinuro e Pisciotta fondarono un villaggio che, dal nome del fiume che scorreva in quel luogo, chiamarono Melfi. Minacciati dalle frequenti incursioni dei vandali, pensarono di riparare più a nord, nell’attuale costiera, ove scoprirono un luogo ben protetto e ricco d’acqua dove decisero di stabilirvisi definitivamente. Dopo un iniziale insediamento a Scala, fondarono due città nelle valli sottostanti cui diedero il nome di Amalphia in ricordo del paese lucano abbandonato e di Atranum (da “ater”=oscuro) a causa delle rocce che incombevano sulla stretta vallata. Tappa successiva, dopo aver attraversato Paiano, è Postano, meta finale del nostro viaggio e luogo di villeggiatura fin dall’epoca dell’Impero Romano, con le sue bianche case degradanti verso il mare, raccolte attorno alla chiesa di Santa Maria Assunta, anch’essa dalla cupola maiolicata. Tipici i suoi piccoli corsi ricchi di botteghe dove poter acquistare prodotti dell’artigianato locale e le tantissime “scalinate”, che dall’alto del paese giungono in basso, alla spiaggia. Dalla Costiera amalfitana sono facilmente raggiungibili le tre “perle” del Golfo di Napoli, le isole di Capri, Ischia e Procida, conosciute in tutto il mondo per le proprie bellezze, i panorami suggestivi e le caratteristiche naturalistiche e culturali uniche al mondo. Celeberrima l’isola di Capri, uno scoglio calcareo che si specchia nelle acque antistanti la Punta Campanella. Suddivisa nei due comuni di Capri e Anacapri, essa racchiude, nel suo pur limitato territorio, testimonianze della sua illustre storia. Tra le più visitate mete turisti-

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che dell’isola vi sono i Faraglioni e la Grotta Azzurra, l’Arco Naturale, la spiaggia di Marina Piccola e la trecentesca Certosa di San Giacomo. Ischia, invece, con i suoi sei comuni, è di gran lunga la più grande delle isole del golfo. Dell’antica origine vulcanica rimangono oggi tracce nelle numerose sorgenti termali e fumarole, presenti presso le coste e sul fondo marino. Proprio la forte presenza termale, insieme alla vocazione balneare, ne hanno favorito il forte sviluppo turistico, facendone una sorta di capitale del benessere del Mediterraneo. Infine, Procida la più selvaggia e la meno contaminata delle tre isole, nel cui passato vanno ricordate le frequenti invasioni saracene e, all’incirca dal 1000 d.C., la fioritura di insediamenti religiosi a seguito dell’avvento dei benedettini. Giungendo a Procida in traghetto o aliscafo, il primo impatto con l’isola è dato dalle caratteristiche case dei pescatori, variamente colorate per essere riconoscibili anche dal mare, mentre la zona del porto è densamente popolata e ricca di negozietti e trattorie, dove poter acquistare e degustare le tante specialità dell’enogastronomia campana. Dove dormire e mangiare Don Alfonso 1890 Corso Sant’Agata, 11 Sant’Agata Sui Due Golfi (Na) Tel. +39 081 8780026 Hotel Poseidon via Pasitea, 148 84017 Positano (Sa) Tel. +39 089 811111 Hotel Santa Caterina S.S. Amalfitana, 9 84011 Amalfi (Sa) Tel. +39 089 871012 Mezzatorre Resort & Spa via Mezzatorre, 23 80075 Forio d’Ischia (Na) Tel. +39 081 986111


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Il territorio

Miti ed eroi per i sogni di oggi Andrea Settefonti Arrivare a Paestum non è impresa semplice. Prima la Salerno-Reggio Calabria, poi, da Battipaglia, la provinciale, spesso intasata e piena di buche, ti fa pensare che ad Eboli non ci si sia fermato soltanto Cristo. Ma quando si arriva a quella che è la porta naturale di ingresso al Cilento si fa pace con il mondo. Dichiarato patrimonio dell’Unesco, vivere il Cilento e il Parco del Cilento e del Vallo di Diano è immergersi in un’atmosfera quasi magica, fuori dal tempo. A iniziare da Paestum, con i templi greci scoperti a inizi del Novecento proprio in qui terreni dove per secoli erano state lasciate pascolare le bufale. E il percorso nel Cilento non può non iniziare da Paestum con la visita all’area archeologica e, perché no, ai numerosi caseifici. Come Barlotti che ha fatto della qualità una bandiera. La sua “aversana”, tipica pezzatura da mezzo chilo per la mozzarella e indubbiamente la migliore per poterne apprezzare

il gusto, la consistenza e i profumi, si acquista a 15 euro al chilogrammo mentre i “cardinali” costano 16 euro al chilo. Oppure Rivabianca, cooperativa nata dall’iniziativa di alcuni agricoltori della Piana di Paestum, dove con il latte proveniente esclusivamente dalle stalle dei propri soci, produce anche un gelato pluripremiato e uno yogurt che ti lascia il palato stupefatto per cremosità e compattezza. Per dormire nella zona di Paestum da provare è l’agriturismo Corbella in località Viscigline a Cicerale (Sa). La pensione completa va da 45 a 65 euro al giorno per persona, a seconda del periodo. L’azienda produce anche i ceci e l’altro prodotto tipico di questa area, il fico bianco del Cilento. Se la mozzarella non è stata sufficiente a calmare l’appetito, vale la pena fare un salto al ristorante Brezza Marina a Laura di Paestum condotto da Dina e Ulderico Vignola. Assolutamente da provare sono “Spaghetti vongole e carciofi” e “Tagliatelle alla clorofilla

Capo Palinuro

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di basilico con ragù di gambero rosso cilentano”. Il prezzo, con antipasto, primo, una bottiglia di Fiano Pian di Stio dell’azienda agricola San Salvatore, non supera i 40 euro. Se ci si addentra verso il Parco, secondo parco in Italia per dimensioni, che si estende dalla costa tirrenica fino ai piedi dell’appennino campanolucano, comprendendo le cime degli Alburni, del Cervati e del Gelbison, nonché i contrafforti costieri del Monte Bulgheria e del Monte Stella, si incontrano paesi come Castellabate, teatro del film Benvenuti al Sud, Pollica, Acciaroli, Pioppi. È qui, proprio a Pioppi, che lo scienziato americano Ancel Keys visse per oltre 40 anni ed è qui che studiò e teorizzo i benefici della dieta mediterranea. Per dormire a Pioppi, l’agriturismo Le Lesche è situato su una collina da dove si domina il mare del golfo di Palinuro e dove si dorme con 275-500 euro a settimana per due persone, a seconda


del periodo. A qualche chilometro di distanza, ad Acciaroli dove Ernst Hemingway compose Il vecchio e il mare, il ristorante “Il rosso e il mare” offre la possibilità di provare la tipica cucina cilentana. Gestito da Antonio Vassallo, figlio di Angelo, sindaco di Pollica ucciso in un agguato di camorra, al ristorante si possono trovare le alici di Menaica, magre e delicate, dalla carne chiara tendente al rosa e dal profumo intenso e delicato, pescate da maggio a giugno con un’antica tecnica risalente alla Grecia classica. Oggi, tale tecnica sopravive solo in alcuni paesini, Acciaroli e Pisciotta, e prevede l’utilizzo di reti sottili, dette appunto Menaica, che lasciano sfuggire i pesci più piccoli. Proseguendo lungo la costa, la strada conduce lungo un percorso tra mitologia e storia della filosofia e dove il mare è incastonato tra piccole baie e porticcioli, insenature e spiaggette. Oltre a Pioppi, Ascea, Pisciotta, Palinuro e Marina di Camerota sono i nomi che con i resti delle colonie greche di Elea, o Velia per i romani, patria del filosofo Parmenide, si legano ai ricordi classici. Tra questi il richiamo della ninfa Leucosia, le spiagge dove Palinuro lasciò Enea, la splendida Certosa di Padula con la vicina Pertosa e le Grotte dell’Angelo la cui origine risale a 35 milioni di anni fa. Oppure lo scoglio dove Ulisse venne attratto dal canto delle sirene. Ma il Cilento è anche terra di tradizioni. A Casaletto Spartano, il

1 maggio giovani questuanti, vanno di casa in casa a chiedere legumi di ogni tipo che poi vengono cotti e mangiati in piazza, tutti insieme. Una usanza che si ritrova nella “cuccìa”, dal greco “kykeon” miscuglio a San Cristoforo, ma anche con piccole varianti a Cicerale dove si chiama “cecciata”, a Castel San Lorenzo e Stio a Pellare, Moio, Vallo della Lucania. E nell’interno del Cilento, l’agriturismo La Civitella a Moio si è specializzato in prodotti tipici della zona, spesso unici, come la soppressata di Gioi, un salume ottenuto con le parti nobili del maiale e una parte grassa perfettamente al centro. Ma si trovano anche artigiani del gusto che vogliono valorizzare il loro territorio. A Piaggine, Pietro Macellaro ha

e il percorso nel cilento non può non iniziare da paestum con la visita dell’area archeologica e, perché no, dei numerosi caseifici

fatto dell’azienda agricola di famiglia, il luogo di produzione della materia prima per la propria pasticceria. Nascono così dolci unici e sorprendenti, abbinamenti insoliti che hanno per base marmellate di fico bianco, agrumi, melanzane o pomodori. Sono, invece, due le espressioni migliori per la produzione di olio extravergine di oliva del Cilento. Sole di Cajani, azienda biologica dove è possibile trovare anche il carciofo bianco di Pertosa e Torretta di Maria Provenza dove la cura dei particolari diventa quasi maniacale. Il risultato sono oli unici. Come unici, per gusto, sapore e tipicità sono i fagioli di Controne valorizzati dall’azienda agricola Tancredi.

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Il territorio

Il Comandante del Romeo Hotel

La nuova stella del firmamento partenopeo

Claudio Zeni

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Un nuovo astro brilla nel firmamento dell’alta cucina italiana: il ristorante Il Comandante del Romeo Hotel di Napoli, insignito di una Stella dalla Michelin, la più prestigiosa guida gastronomica internazionale. L’importante riconoscimento, che premia le migliori tavole, è attribuito esclusivamente ai ristoranti giudicati meritevoli in base ad una somma di criteri di valutazione: la scelta dei prodotti, la personalità della cucina, la padronanza delle tecniche di cottura ed il rapporto qualità/prezzo. «Siamo onorati di ricevere questo riconoscimento – ha commentato il direttore del Romeo Hotel Stefano Petrucelli – che premia lo chef e tutto l’impegno profuso dalla nostra squadra fino ad oggi e che ci incoraggia a lavorare sempre meglio. La Stella Michelin è un ottimo punto di partenza per tutti i professionisti che lavorano ogni giorno nella nostra struttura e che contribuiscono a fare di questo albergo un esempio contemporaneo e dinamico di accoglienza di lusso internazionale». Il riconoscimento arriva al ristorante con l’insediamento dello chef executive Salvatore Bianco, giunto al Romeo Hotel nel febbraio 2012. Giovane, ma con alle spalle una forte esperienza nelle migliori cucine d’Italia, Bianco si esprime in cucina attraverso piatti di rara eleganza, costruiti con materie prime di grande qualità, lavorate al minimo per non alterare sapori e valori nutrizionali. Originario di Torre del Greco, Bianco è cresciuto alle falde del Vesuvio, ha studiato a Vico Equense e si è formato in cucine importanti da Capri a St. Moritz, passando per Sorrento, il Chianti senese, Porto Ercole, Milano e Roma. «La mia cucina fa perno su ingredienti di primissima qualità – ricorda Salvatore Bianco –. Tutto parte dalla selezione e dal rispetto delle materie prime, dalla ricerca di combinazioni inedite che non alterano sapori e suggestioni, dalla cura di ogni più piccolo dettaglio». Il risultato sono piatti equilibrati, curati ed eleganti nella presentazione, tipicamente mediterranei e italiani nei sapori proposti da un professionale servizio in sala, accompagnati da selezionate etichette fornite da una cantina a vista e in continuo aggiornamento. Al decimo piano dell’hotel cinque stelle più innovativo di Napoli, Il Comandante ha ampie Salvatore Bianco

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Il territorio

giovane, ma con alle spalle una forte esperienza nelle migliori cucine d’italia, bianco si esprime in cucina attraverso piatti di rara eleganza, costruiti con materie prime di grande qualità, lavorate al minimo per non alterare sapori e valori nutrizionali

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vetrate spalancate sul Golfo e contemporaneamente sulla città, con da una parte il mare con le isole e dall’altra la collina. Il ristorante incarna nel contempo le molteplici anime del capoluogo della Campania con un ambiente elegante in cui si mescolano gli stili, dove spiccano le opere d’arte contemporanea realizzate per il Romeo Hotel dall’artista Lello Esposito e i tavoli in acciaio “Frammenti di un naufragio” di Sergio Fermariello. La sala del ristorante può ospitare fino a cinquantadue posti con quattro tavoli a vista sulla cucina e una parete di vetro proiettata sulla città e la collina di San Martino, mentre gli altri guardano la baia e il porto di Napoli. In posizione centrale e privilegiata, con vista strepitosa sulla baia, c’è lo chef’s table, il tavolo curato direttamente dallo chef e impreziosito da un cannone di arte giapponese periodo Edo - XIX secolo e da pregiate porcellane e tovagliato Hermes, dove gli ospiti (massimo 10 persone) si lasciano guidare completamente dall’estro e dalla professionalità dello chef con il menu degustazione “a mano libera”. Se Il Comandante è un compendio di sapori volti a stimolare il palato, il Romeo Sushi Bar & Restaurant è il posto ideale per chi volesse provare il miglior sushi e sashimi di Napoli, grazie ad un ambiente esclusivo e raffinato, dove si può cenare al grande bancone in marmo arabescato attraversato da una singolare fontana, tra luci soffuse e giochi di colore. Al nono piano dell’hotel, poi, si trova l’elegante Beluga Sky Bar, che offre la possibilità di gustare cocktail ed aperitivi, insieme a colazione, pranzo e snack, il tutto servito di fronte ad una vista di impareggiabile bellezza. Le eccellenze culinarie del Romeo Hotel si inseriscono nell’eccellenza in tutte le forme della struttura, nata alla fine 2008 dal sapiente recupero e restauro del celebre palazzo Lauro di fronte al Porto di Napoli, su disegno del celebre architetto Kenzo Tange e Associati di Tokyo, sintesi perfetta di design, arte contemporanea, antiquariato e lussuoso “made in Italy”. Tre le tipologie di camere – Deluxe, Deluxe Bay View e Studio Corner – che rappresentano la sintesi perfetta tra semplicità ed eleganza, progettate a Napoli per Napoli, mentre per quanto riguarda le suite, l’hotel offre la Wellness Suites, le Romeo Bay View e la Japanese Garden Suite, che oltre a godere dei servizi delle


camere classiche si contraddistinguono per spazi più ampi, per una migliore qualità di comfort, armonia e design. I bagni sono arredati con marmo, metallo e ceramica perfettamente integrati tra loro e all’interno ogni prodotto è appositamente realizzato per l’hotel, il tutto creando una combinazione perfetta di eleganza e stile, di tecnologia e innovazione, che rende il Romeo Hotel una tra le strutture di lusso più importanti di Napoli. Altro fiore all’occhiello del Romeo Hotel è la Dogana del Sale, che si distingue nel panorama dei beauty&health center per la scelta di trattamenti all’avanguardia e per la vocazione all’Haloterapia, la terapia naturale che sfrutta le proprietà benefiche del cloruro di sodio allo stato puro, mentre il Salotto dei Giochi è il nuovo spazio all’interno della Lobby, una lounge dedicata alla lettura, al gioco e al divertimento, con raffinato tavolo da biliardo, calciobalilla di design, scacchiera di alabastro, slot machine e juke box vintage. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se il Romeo è tra gli hotel preferiti tra i clienti più esigenti, da celebrità della musica e dello spettacolo a stelle internazionali dello sport, da viaggiatori d’affari a semplici turisti alla ricerca di un trattamento cinque stelle. ROMEO Hotel via Cristoforo Colombo, 45 – Napoli. Tel. +39 081 0175001 www.romeohotel.it

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Il territorio

Ciak, sotto il Vesuvio

Jacopo Rossi

Il Vesuvio è un monte della Campania, non congiunto ad altro monte, abbondante in ogni parte di vigne e frutteti. Dal lato di Scirocco giace ai suoi piedi Pompei, e, quasi di Scirocco, Sarno, e, più lontana Benevento. Dal lato di Grecale giace Capua e da quello di Maestrale vi è Napoli dei Calcidensi, detta Partenope. Da mezzo questo, vicino la cima, usciva, con grandissima paura dei contadini, tanto fumo da ricoprire tutta la regione.

Così un giovane Giovanni Boccaccio, nella prima metà del Trecento, decantava il temibile vulcano che sorge a pochi chilometri da Napoli. La minaccia e la violenza del suo cratere hanno affascinato non solo gli studiosi, ma anche diversi cineasti. Primi fra tutti, ed è proprio il caso di dirlo, i fratelli Lumière. In una pellicola del 1898 immortalarono l’eruzione che, nel giro di quattro anni, formò con i suoi ejecta il Colle Umberto. Dal furore del vulcano alla vulcanica vis comica del Principe per definizione, il passo è meno lungo di quanto si pensi. Se la Campania al cinema è soprattutto (non solo) Napoli, Napoli su celluloide è Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, nato Antonio Vincenzo Stefano

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Clemente, noto come Totò. La sua produzione è pressoché sconfinata: nonostante Napoli però non si veda spesso, la città è sempre menzionata dall’attore, ora sceicco, ora turista, ora commissario o ladro goffo e scalcagnato. Napoli città preziosa, Napoli città d’oro, come nel noto film a episodi di Vittorio de Sica tratto dall’omonima serie di racconti di Giuseppe Marotta, che consacrò definitivamente Sophia Loren. L’allora signorina Scicolone sarebbe tornata poco dopo in città o poco distante, nei panni della “smargiassa” Sofia in Pane, amore e…, agli ordini di Dino Risi, o in quelli di Gemma, in Miseria e nobiltà, a fianco del solito Totò, maestro nell’arrangiarsi. Il Principe avrebbe dato poi splendida prova di questa


capacità anche nel successivo Signori si nasce. Arrangiarsi per vivere secondo furbizia, qualità che, scherzosamente o meno, secondo stereotipo o meno, viene riconosciuta ai napoletani anche dai loro modi di dire («accà nisciun è fess» e simili), qualità che traspare in Due soldi di speranza, ambientato nell’immaginario paesino dell’hinterland partenopeo di Cusano, in Cafè Express, dove Nino Manfredi lavora abusivamente sulla tratta Vallo della Lucania-Napoli, o nell’ancor più celebre e commovente Io speriamo che me la cavo. Ma c’è un’altra Campania e un’altra città rappresentate, che non fanno sconti e paga a cordite e tritolo, perché «Napoli è una città pericolosa, a non stare bene attenti!», come recitava l’avvertimento di O’ generale rivolto a Maurizio Merli, il commissario Betti di Napoli violenta. È lo scenario di Gomorra, è la patria dove pasce Il camorrista, che accoglie lo Yusuf di Là-bas - Educazione criminale, che uccide in Fortapàsc il coraggioso Giancarlo Siani, che stava investigando sulla criminalità coinvolta negli appalti

pubblici per la ricostruzione dell’Irpinia dopo il terremoto. Ma è anche una terra che sa far ridere, nonostante la violenza e all’ombra gigante del Principe, grazie ad un altro grande, scomparso troppo presto: Massimo Troisi. Più volte denunciò le problematiche che affliggevano la sua città, riuscendo a farlo con ironia: la disoccupazione, la scarsità d’acqua, la povertà e la mortalità infantile. Ma la regione, oltre che dai suoi “figli” artistici è stata scelta anche dalle produzioni straniere, che qua hanno ambientato le loro opere: Il talento di Mister Ripley, The Bourne Supremacy e Only You ne sono solo alcuni esempi.

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Macch[in]azione

“Naturali” e “industriali”: se almeno si parlassero

Carlo Macchi

Non ci voleva molto per capire che nel convegno “Bio e dintorni”, organizzato il 19 aprile a Roma da Fabrizio Russo di Athenaeum e dove intervenivano, oltre al sottoscritto, Luigi Moio, Paolo Zaccaria, Andrea Gabbrielli, Vittorio Fiore e Fabio Turchetti, la macrocategoria dei vini cosiddetti naturali (lasciando da parte i biologici) ne sarebbe uscita con le ossa rotte. Per vari motivi infatti non uno dei partecipanti si poteva dire fosse estimatore di vini biodinamici, naturali, veri, vivi etc. Facendo anch’io parte di questa categoria, il Mister Hyde che è sempre in me aveva cominciato da giorni a stuzzicarmi Certo sembrerete più un plotone d’esecuzione del vino naturale che un gruppo di esperti che dovrebbe presentarne pregi e difetti – continuando con – Ma non ti senti un po’ pecorone al seguito? Casa avrai da dire tu che gli altri relatori non abbiano già detto e magari detto anche meglio? Ho cercato di ribattere, ma alla fine ho pensato che sotto-sotto qualche ragione questa volta ce l’aveva e quindi, anche per cercare di dare pepe al dibattito, ma soprattutto per la voglia di provare a cercare una quadra tra due mondi (generalizzo in “industriali e naturali”) che quasi sempre non si ascoltano e ben poco si considerano, mi sono messo nei panni del consumatore medio (diciamo medio-alto, forse è più aderente al reale) e ho cercato di capire quali fossero le molle che possono spingerlo a prediligere i vini cosiddetti naturali, anche a prescindere dal valore organolettico di questi vini. Una prima molla grossa come una casa l’ho trovata nell’elenco dei prodotti e dei procedimenti autorizzati dall’OIV per produrre vino: una marea di sostanze e procedure che fanno sicuramente paura, non solo a chi è poco esperto. Quando nel mio intervento, durante il convegno, ho accennato a questo elenco, Luigi

Moio ha voluto precisare immediatamente (facendo lui parte del comitato scientifico IOIV) che quei prodotti e quelle pratiche sono frutto di un lavoro di anni e alla fine, nonostante siano ammesse, ne viene usato nemmeno il 10%. Allora, in risposta, mi sono chiesto perché questo non viene fatto sapere al consumatore e, a quel punto, mi sono reso conto che esiste un grande livello di incomunicabilità non solo tra i produttori “industriali” e i consumatori, ma anche tra i due schieramenti in campo. La principale causa di questo fenomeno credo sia una specie di ignoranza; i due contendenti ignorano, e vogliono giocoforza ignorare, quello che praticamente fanno gli altri, bollandolo da una parte come modi empirici e senza basi scientifiche e dall’altra come il demonio da tenere lontano. Una strana ripetizione del processo a Galileo dove però le due parti, la chiesa ottusamente arroccata su credenze medievali e la scienza altera, sicura di se stessa e poco incline alla comprensione del sovrannaturale, continuano a confrontarsi senza arrivare ad un punto di contatto. Ma che punto di contatto può esserci tra un elenco come quello dell’OIV e il manifesto di Vinnatur che testualmente recita «Produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina». Oppure tra le regole OIV e il regolamento di Vini Veri che esclude concimi chimici, diserbanti,

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e sistemici in vigna, mentre in cantina non autorizza lieviti selezionati, enzimi, batteri, ogni azione chiarificante o filtrante. Come possono provare a trovare un punto in comune le “chiese naturali” con il mondo Galileiano della scienza e, last but not least, cosa potrebbero dirsi e imparare l’uno dall’altro? Forse potrebbero incontrarsi su un tema che a tutti sta a cuore, quello della sostenibilità ambientale, di come riuscire a dare da mangiare (o da bere) a noi e ai nostri figli, senza per questo danneggiare o distruggere l’ambiente. Ma occorrerà farlo senza preclusioni di sorta perché se un vino bianco di color aranciato, torbido e con forti note ossidative, o magari con forti puzze, non può essere spacciato per naturale, dall’altra parte bisogna per forza capire che una diminuzione costante dell’uso di sostanze in vigna o in cantina è l’unica strada perseguibile per il futuro. Così le “chiese” potrebbero insegnare ai “galileiani” come si può fare anche senza molte sostante, mentre i secondi potrebbero far comprendere ai primi come la scienza e tecnica non siano sempre da demonizzare, ma possano aiutare a fare le cose meglio e addirittura con inquinamenti minori. La strada è lunga e in salita, ma se vogliamo che da una parte “le chiese naturali” escano dal ghetto della assoluta particolarità e singolarità enoica e i “Galileiani” trovino esempi concreti e positivi sulla strada del fare senza inquinare, non esiste altro modo che parlarsi, partendo magari dalla sostenibilità ambientale.


I consigli del gusturista

Cucine di strada tra Montefeltro e Monti Piceni Massimiliano Ricciarini presidente di Streetfood È primavera, tempo di mare, di scampagnate e di motori rombanti... Sì, perché il viaggio che il Gusturista vi invita a fare è proprio tra i monti brulli del Montefeltro, patria dei signori di Albornoz, e i monti Piceni per degustare prelibatezze come la Crescia Sfogliata di Urbino (PU) e la frittura mista ascolana. Ad Urbino si arriva per vie tortuose e sinuose che si incuneano tra monti di pietrisco rosa e natura selvaggia, attraversati da fiumi che scavano rocce carsiche per tornare in superficie in un tratto suggestivo come la gola del Furlo. La Crescia Sfogliata di Urbino Giunti ad Urbino il Gusturista consiglia di fermarsi in piazzale Roma dove si innalza la statua del pittore Raffaello Sanzio. A due passi dal piazzale, in via Bruno Buozzi un chiosco di un ristorante del posto produce a iosa la Crescia Sfogliata di Urbino. A vederla sembra una piadina un po’ alta, ma il suo nome è dovuto a una lavorazione di impasti e rimpasti con ingredienti come farina, acqua, uovo e strutto. L’impasto viene ridotto a un cordoncino di pasta, arrotolato più volte sulla mano e steso nuovamente. In cottura su piastra o forno gli ingredienti, così energicamente lavorati, danno una consistenza appunto sfogliata, ovvero friabile. La versione più nota è con erba (spinaci o bietole) e salsiccia o prosciutto. Si tratta di uno dei cibi veloci e a buon prezzo retaggio di migliaia di studenti che ogni anno frequentano la nota Università Carlo Bò. Un buon vino in abbinamento con la Crescia Sfogliata è il Rosso Conero o rosso dei Colli Pesaresi. Le olive ripiene e la frittura ascolana

Ad Ascoli ogni giorno le rosticcerie, i ristoranti e le gastronomie producono olive all’ascolana e tutto il resto che compone la tipica frittura. In particolare l’oliva ascolana oggi è un prodotto trattato anche dall’in-

dustria alimentare surgelato e proposto in migliaia di pub, bar e servizi catering e non è facile per la massa comprendere il valore di questo prodotto. Ma addentando un’oliva ascolana come si deve è facile sentire la differenza gustativa. Vari tipi di carne (bovina e suina) sono tritate, rosolate e impastate con uovo, farina, pepe, sale e formaggio. L’oliva tenera ascolana tagliata a spirale lungo il nocciolo viene poi riempita con l’impasto e passata con l’aiuto di una forchetta nell’ordine: nella farina, nell’uovo sbattuto e nel pane grattugiato. Dopo aver scaldato tra i 60 e 80 °C l’olio extra vergine di oliva vi si immergono le olive farcite che con verdure pastellate, crema e spicchi di pecorino compongono la tipica frittura ascolana. A San Benedetto del Tronto (AP), sul mare, le carni di farcia sono sostituite per tradizione con polpa di pesce azzurro. Un buon vino in abbinamento con olive ripiene e frittura ascolana è il bianco frizzante Verdicchio di Matelica o il bianco fermo “Pecorino” o per chi preferisce il rosso si consiglia un vino con spiccata acidità, un rosso mosso come Vernaccia di Serrapetrona o fermo come il Rosso Piceno: base o superiore.

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Innovazione

Ponente L’accessorio fa la differenza Si può intuire la grandezza di un vino… ma solo il primo sorso è la verità, il colpo di fulmine. Un vino importante ha bisogno di attenzioni e di un aiuto speciale per prepararlo ad esprimere tutte le sue potenzialità. Dopo anni richiuso nel piccolo spazio delle barrique e delle bottiglie, dopo anni in cui lo conservate con mille attenzioni, aspettando l’occasione giusta, il momento arriva e l’ultimo tocco che manca è un semplice respiro. Si dice che il vino abbia bisogno di respirare, ad aiutarlo ora c’è il soffio di Ponente. Cos’è Ponente è un salvagoccia con funzione di aeratore che esalta l’esperienza della degustazione, favorendo lo sviluppo degli aromi del vino attraverso una delicata aerazione. Sottile, tascabile, riutilizzabile, è facile da usare: una volta stappata la bottiglia, Ponente viene arrotolato su se stesso e inserito nel collo della bottiglia. La freccia del logo darà subito la conferma del corretto utilizzo: indica infatti la direzione dell’uscita del vino. Esternamente si mantiene elegante e discreto: la sua innovazione è contenuta all’interno in cui un intreccio di lamelle rompe lo scorrere del flusso, crea un tumulto e aera il vino mentre viene versato nel bicchiere. Ponente è un brevetto realizzato da Antonio Pieriboni, imprenditore italiano con all’attivo già altri brevetti inter-

nazionali che, attraverso la sua azienda di consulenza Pieriboni Consulting, crea accessori per vino utili ed esclusivi per soddisfare il moderno bisogno di promozione del brand delle aziende vinicole. Ponente al Vinitaly Ancora prima del lancio ufficiale sul mercato, Ponente aveva ottenuto un’importante partnership con il Merano WineFestival 2012. Il successo poi si è ripetuto a Vinitaly 2013 dove, durante la serata inaugurale di Opera Wine, il galà di presentazione dei migliori 100 vini italiani scelti da Wine Spectator, Ponente, accessorio ufficiale dell’evento personalizzato con il logo “Vinitaly” è stato presente e in azione in tutti i banchi della degustazione. Vinitaly, attenta alla qualità del servizio e soprattutto ai trend di mercato, ha voluto attraverso questa scelta stupire la scena internazionale, puntando ad esaltare al massimo l’esperienza gustativa anche del pubblico straniero che già apprezza la qualità del nostro vino e che sta riconoscendo anche la geniale inventiva italiana considerando Ponente uno strumento innovativo, utile e di grande appeal. Il parere dell’Associazione Italiana Sommelier: Ponente diventa accessorio ufficiale per il servizio

500 Sommelier: questi sono stati i “giudici” del banco di prova voluto dall’Associazione Italiana Sommelier

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durante l o scorso Vinitaly per testare le potenzialità di Ponente nel servizio del vino. “Una delle nostre priorità è, da sempre, creare la massima esperienza qualitativa nell’assaggio del vino”. – spiega Antonello Maietta, Presidente dell’Associazione. “Utilizzare Ponente durante il Vinitaly è stato un momento concreto e importante per capire il suo funzionamento, la funzione che svolge e le varie possibilità di utilizzo. Ci ha affascinato la semplicità della sua forma: il dischetto salvagoccia é ormai una abitudine ma l’intreccio di lamelle che si trova all’interno di Ponente è indubbiamente una grossa innovazione. Questo incrocio infatti rallenta il flusso del vino e favorisce anche una delicata aerazione come abbiamo potuto constatare durante le nostre prove”. In omaggio all’Associazione Italiana Sommelier, Ponente si è dipinto di blu ed è stato personalizzato con il loro logo. I sommelier continueranno ad utilizzarlo nelle degustazioni e negli eventi nazionali e internazionali.


Oltre confine

Oggi anche chi soffre di emicrania da istamine può bere vino Sebastiano Ramello Tre anni fa, “Migraine Police”, con alle spalle un equipe di medici neurologi Norvegesi e un club internazionale di persone intolleranti alle Istamine, “NMF Migraine Association, dopo aver analizzato insieme il loro progetto, ha richiesto la mia consulenza dandomi il mandato di cercare per loro conto vini rossi a basso contenuto di istamine, sostanza che si trova principalmente all’interno dei vini rossi, in particolare barricati, che crea, a circa 3 persone su 10, mal di testa e forti emicranie. Analizzando vini provenienti da diverse aziende vinicole su tutto il territorio italiano, abbiamo scoperto un Barbera D’Alba doc della azienda vinicola Veglio Michelino & Figlio di Diano D’Alba Cuneo con livelli di istamine al di sotto delle percentuali richieste. Dopo aver analizzato la vendemmia 2011 e 2012 di questo straordinario Barbera D’Alba e averlo testato per un anno direttamente su persone intolleranti alle istamine, dando sempre risultato negativo, un mese fa, durante il Prowein di Dusseldorf, la “Migraine Police” ha così concesso la sua

prima certificazione, come primo vino rosso mondiale a basso contenuto di Istamine. Adatto quindi a circa il 10% della popolazione mondiale che fino a ieri non poteva degustare, senza l’ausilio preventivo di determinate pillole, il fantastico nettare rosso degli Dei. L’idea di base, come mi spiega il mio caro amico Geir Sivertzen, presidente della “Migrain Police” è quello di aiutare e guidare le persone che soffrono di emicrania e/o cefalea, ma che desiderano comunque godersi un bicchiere di vino. Come conseguenza i vini certificati da questo gruppo norvegese garantiscono che chi soffre di questo problema può da oggi bere, senza avere conseguenze o comunque limitandole. Come ho potuto provare durante la mia ricerca, confrontando vini diversi e uve differenti, ogni vino ha una variante di istamine differente, che può aumentare o diminuire in base al processo di produzione, determinato anche dall’utilizzo di fertilizzanti chimici o naturali e dall’uso di botti di legno o acciaio. Ie uve coltivate con fertilizzanti naturali, e i vini in botti d’acciaio hanno

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dato valori di istamine inferiori, tuttavia, ci sono altri fattori, che sono ugualmente importanti, come ad esempio i tanninni, in quanto i vini con alto contenuto di questi di conseguenza hanno valori più alti di istamine, questo anche il motivo per cui vini in legno hanno valori che superano di molto le percentuali di tolleranza. Insieme alla “Migraine Police” dopo aver con successo scoperto un primo vino in Piemonte, siamo intenzionati a continuare la nostra ricerca, certi che sicuramente altri vini di altre regioni Italiane possano avere tali requisiti e così essere certificati “Migraine Police”. Per maggiori informazioni potete contattarmi alla mia email piemontewine@ yahoo.it o al mio telefono +39 335 7028463.


Sullo scaffale

Il romanzo del Sangiovese non solo libro, ma progetto Il racconto di una vita, quella del Sangiovese. Un approccio inconsueto per un libro che intende raccontare la storia, i pregi e i difetti di questo grande vitigno, facendone il protagonista della trama di un romanzo. Il Sangiovese diventa persona, o meglio, lo scrittore Andrea Zanfi si cala nei panni del “personaggio” Sangiovese. Sarà lui, in prima persona, a raccontare la vita, i luoghi di nascita, gli incontri e i territori del suo peregrinare. Sarà lui a riportare aneddoti ed episodi accaduti con i tanti personaggi che hanno fatto dell’incontro con il Sangiovese la loro fortuna.

Il romanzo sarà quindi la storia di un “personaggio” che ripercorre le tappe della propria esistenza, in un viaggio attraverso i tanti luoghi che hanno conosciuto la coltivazione di questo vitigno, conteso e diviso tra Toscana ed Emilia Romagna. Si andrà dai territori straordinari della Maremma a quelli più aspri

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dell’entroterra, da Scansano a Massa Marittima, da Monteregio a Montalcino, da Montepulciano al Chianti fin’oltre l’Appennino, per giungere in Romagna, a Imola e Rimini. Un viaggio da costa a costa durante il quale il Sangiovese saprà raccontarsi ai lettori e svelarsi a se stesso. Un percorso introspettivo alla ricerca della vera anima del Sangiovese, ma non solo. Quello edito da Salvietti e Barabuffi Editori è infatti un progetto ampio, composito, multimediale. Un romanzo che costruisce la sua trama attraverso l’intreccio di immagini, interviste, riprese video ed emozioni. Il volume è infatti arricchito e completato dall’originalità del reportage fotografico di Francesco Orini, dal film documentario con la regia di Gianmarco Serra, le produzioni video della MoviementHd e la partecipazione straordinaria come voce fuori campo di Paolo Lombardi, gli spot girati alla scoperta delle 65 aziende vinicole di Toscana ed Emilia Romagna che hanno aderito al progetto e il sito internet www.leterredelsangiovese. it, un portale di curiosità, link utili, ricette, prodotti tipici, luoghi da visitare, vini da assaggiare, nelle terre che da sempre e per sempre saranno sue, del Sangiovese. Mezzi di comunicazione che interagiscono fra loro attraverso l’utilizzo dei Qr code. Il progetto de Il romanzo del Sangiovese sarà presentato a Roma il prossimo 4 giugno presso la sede dell’Associazione della Stampa Estera in Italia alla presenza dell’autore Andrea Zanfi, del sottosegretario al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Erasmo D’Angelis, del Presidente dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna Gian Alfonso Roda e del Presidente del Gruppo Gusto dell’Associazione Stampa Estera Alfredo Tesio.


Arte di...vino

La Campania… Vino e arte

a cura dell’Associazione Italiana Collezionisti Etichette Vino La Campania produce grandi vini, ma quella che vogliamo mostrare è quella dedicata alle sue etichette, in alcuni casi veri e propri gioielli artistici creati appositamente per alcune aziende vitivinicole. Iniziamo con la Cantina Sociale di Solopaca, che è una tra le più antiche della Campania. Con oltre 150 mila ettolitri di vino prodotti è ai primi posti nella produzione regionale. La storia del Solopaca non può essere disgiunta dalla storia della cittadina Solopaca, che si stende alle falde del Monte Taburno, in provincia di Benevento, che con le sue stupende colline da sempre è vocata all’agricoltura. Nasce qui il favoloso Solopaca Doc la cui storia si perde nella notte dei tempi. Persino Gioacchino Murat, generale francese e re di Napoli che, ad assaggiare il vino di Solopaca, si esaltò al punto di paragonare la stravolgente potenza del vino a quella del cognato Napoleone. E questa bella realtà Campana ha saputo impreziosire i suoi vini con le bellissime etichette create dal pittore Ro Marcenaro nato a Genova nel 1937, da annoverare tra i pionieri del cartone animato in pubblicità. Attivo anche nei a settori editoriale e televi-

sivo, nel 1980 fonda una fattoria elettronica multimediale nei pressi di Reggio Emilia, che conduce con la collaborazione dei figli. Proseguiamo con la Cantina Giardino, che si trova in provincia di Avellino, ad Ariano Irpino, ed ha un progetto molto particolare ed interessante che si propone di valorizzare i vitigni autoctoni irpini attraverso vini ottenuti da vigneti molto vecchi che hanno raggiunto oltre 30 anni. L’obiettivo è quello di salvaguardare, in questo modo, la originaria varietà biologica nel vigneto ed incentivare i vignaioli ad evitare gli espianti delle vecchie viti. Le etichette che li contraddistinguono sono veramente eccezionali e il frutto della collaborazione con artisti che sono quasi tutti amici e compaesani. Gli artisti storici della cantina sono Maurizio Nardiello e Angelo La Porta (rispettivamente per le etichette Le Fole e Drogone) che avevano pensato ambedue ad un Drago, ma, parlando per caso tra di loro di questo progetto, Maurizio Nardiello ha trasformato il suo drago in una vite surreale. Ultima, ma non certo per importanza, l’azienda Marisa Cuomo che è situata nel comune di Furore a 500 metri a picco sul mare. Il suolo è costituito da rocce dolomitiche calcaree, la vite è allevata prevalentemente a “pergolato” e spesso piantata sulle

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pareti rocciose verticali. In simbiosi tra natura e tecnologia, la vinificazione avviene secondo le più moderne tecniche. Mentre l’invecchiamento in barriques, custodite nell’antica cantina scavata direttamente nella roccia umida e fresca, è affidato unicamente al trascorrere del tempo. L’etichette dei vini di Marisa Cuomo sono state ideate, dal punto di vista grafico, dal prof. Luigi Moio, docente di enologia presso l’Università Federico II di Napoli e grande appassionato di disegno, pittura, arte. Le linee di base relative alla realizzazione di queste etichette sono la semplicità, la sobrietà e, fondamentalmente, l’intento di comunicare il territorio di origine del vino. Per questo motivo sono state utilizzate delle gouaches napoletane che riportano angoli della costiera amalfitana, dove sono sempre presenti le bellezze naturali dei questi meravigliosi luoghi, su tutte il mare. L’obiettivo principale è stato il seguente: comunicare in modo elegante e semplice il forte legame vino-territorio d’origine, aspetto basilare della produzione dei grandi vini.


Personal Wine Shopper

Paola Pavan

Il vino si vive, non si impara

In una degustazione si discuteva sul vino da cui iniziare. La soluzione della mia cliente americana fu «io assaggerei il più buono» spiegando che di solito, a casa sua, lei offre prima il vino migliore, così le persone si ubriacano e poi non capiscono che gli altri sono meno buoni. Il mio lavoro è una continua scoperta. Pensavo che avrei avuto a che fare con domande del tipo «Quale vino abbino al mio cibo preferito? Dove tengo i vini in casa?» e invece mi sono sentita chiedere «In che fase della produzione aggiungete il profumo di fragola?» Più strani sono i quesiti, più capisco che i consumatori sono ogni volta diversi e che la curiosità verso il nettare di Bacco è sincera e totale. Quando parlo con nuovi clienti, ho spesso l’impressione che per loro il vino sia una splendida alchimia, ma che mantenga sempre quell’alone di mistero quasi fosse una pozione magica. E questo perché manca chi glielo fa conoscere veramente. Dicono che mi sono inventata una nuo-

va professione. Sono una Personal Wine Shopper. Che cosa faccio? Supporto le persone nelle scelte di acquisto di vino e di esperienze tailormade cibo-vino, organizzo giornate nelle cantine vinicole, mi diverto a creare serate emozionali per far conoscere i vini, mi occupo di trovare le giuste selezioni per eventi e matrimoni.

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Me la sono inventata? Mah! Io direi che mi è venuta naturale… ha preso vita dalla passione (per il vino, per lo stare assieme), dalla mia personalità solare e dalla constatazione che ci sono solo due cose che non riesco a fare a meno di comperare: i libri e il vino. Ma questo progetto nasce soprattutto dalla volontà professionale di colmare una “mancanza nel sistema”. Quando ho iniziato a studiare marketing del vino a Firenze, mi sono imbattuta in un dilemma interessante: come fanno le aziende di vino a far marketing se non conoscono il loro cliente finale? Si rivolgono ad un intermediario che comprerà il prodotto per le proprie motivazioni e lo rivenderà con una propria comunicazione, non avendo la possibilità invece di interagire con chi effettivamente berrà il loro vino. Con il Personal Wine Shopper ho pensato di seguire l’approccio del consumatore, sempre più prosumer, sempre più attento ed esigente, una voce che poi riporto all’azienda che meglio può soddisfare le esigenze di quel cliente. A “Vino e dintorni” racconterò aneddoti, curiosità, luoghi, persone, esperienze… perché come dice il mio motto «Il vino si vive, non si impara». Venite a vivere con me questo meraviglioso mondo!


e dintorni

Anno III - Numero 9 Registrazione Tribunale di Siena numero 12 del 29/10/2011 www.vinoedintorni.org Direttore responsabile David Taddei Vicedirettore Andrea Settefonti In redazione Luca Casamonti, Martina Cenni Hanno collaborato a questo numero Paolo Corbini, Massimo Di Cintio, Laura Gambacorta, Carlo Macchi, Stefano Malagoli, Nicola Natili, Paola Pavan, Sebastiano Ramello, Massimiliano Ricciarini, Jacopo Rossi, Claudio Zeni Progetto grafico e impaginazione Claudia Gasparri

Ufficio commerciale e marketing Marilena Masia +39 0577 905316 masia@salviettiebarabuffieditori.com Stampa Modulgrafica Forlivese srl In copertina Positano Casa Editrice Salvietti & Barabuffi Editori Z.I. Belvedere, ingresso 2 53034 Colle Val d’Elsa (Si) www.salviettiebarabuffieditori.com Amministratore Unico Milena Galli Direttore Editoriale Leo Salvietti

Tutti i diritti sono riservati. Manoscrittti, dattiloscritti, articoli, fotografie, disegni non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’Editore, a eccezione di brevi passaggi per recensioni. Gli Autori e l’Editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. Prezzo di questo numero è € 4,90. L’Editore si riserva la facoltà di modificare il prezzo nel corso della pubblicazione, se costretto da mutate condizioni di mercato. Per questa pubblicazione l’IVA è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74 - 1° comma Lettera “c” del D.P.R. n. 633/72 e successive modificazioni.


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