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associazione nazionale alpini - sezione di como

Como - Anno XXIX - n° 3 - Luglio/Settembre 2003

Sped. in abbon. post. - Art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Como

Con l’annuale pellegrinaggio nel teatro della Guerra Bianca e l’iniziativa per il rifugio Lobbia Alta

Adamello: santuario dell’alpino Q

uest’anno il gruppo alpini di Canzo, dopo la partecipazione negli anni precedenti, ai raduni del Contrin e dell’Ortigara, ha potuto coronare un desiderio manifestato da tutti e da tanto tempo. Siamo partiti per Temù venerdì 25 luglio con tanta gioia nel cuore ma anche con la consapevolezza che stavamo recandoci in luoghi che furono teatro di aspri scontri, con numerose perdite umane. Per meglio immedesimarci nello spirito che ci spingeva a recarci a questo raduno, abbiamo visitato il museo della Guerra Bianca, dove sono conservati i cimeli ritrovati su quelle gloriose montagne, rimanendo soprattutto colpiti e affascinati dalla rassegna fotografica allestita per l’occasione. Dopo aver visto “come” avevano dovuto combattere i nostri soldati, abbiamo loro reso omaggio recandoci al sacrario dei Caduti, al Passo del Tonale. Già questa prima giornata ci aveva portato a riflettere sugli eventi accaduti in anni così lontani da noi, ma non per questo dimenticati; tuttavia vi era un’attesa trepidante per la giornata successiva: il raduno al

Il pianoro nella valle del Venerocolo, durante la cerimonia al Garibaldi celebrata dal cardinale Giovanni Battista Re. rifugio Garibaldi! Sabato 26 luglio, alle ore 7.30, partenza da Malga Caldea. Il sentiero comincia a iner-

C’era una volta la civiltà montanara di Icaro Nelle mie camminate nella bella montagna comasca che ogni tanto mi concedo per ricordarmi che una volta sono stato alpino anch’io, mi capita di imbattermi nei segni tipici della civiltà montanara: nevere, piccoli agglomerati di case abbarbicati sui ripidi fianchi dei monti, mulattiere fatte secoli fa a regola d’arte, cascinali nel bel mezzo di riposanti pascoli o ai margini di folte macchie boschive. La descrizione sembrerebbe idilliaca, ma non è così: ciò che appare a distanza come monumento dell’ingegnosità dei nostri antenati in effetti è solo un miraggio; le nevere sono cadenti, i borghi in rovina, le mulattiere in degrado, i cascinali sfondati. Non tutti, perché laddove esiste ancora qualche tenace gruppo familiare, queste testimonianze sussistono ancora e in buone condizioni. Tutto ciò è la più palese dimostrazione del cambiamento, in peggio, che ha subito il mondo, tutto teso oggi alla vita comoda e allo scansare della fatica: e così le nevere sono state soppiantate dall’industria del freddo, borghi e cascinali non hanno più ragione d’essere perché l’alpeggio lo si raggiunge con i fuori strada, molte mulattiere sono state asfaltate cancellando l’opera di alta

ingegneria stradale posta in essere dai montanari di un tempo. La montagna si è spopolata, i giovani sono scesi a valle. Aggiungiamo che anche i reparti alpini si sono allontanati dalle “balze (più o meno) vertiginose” per cui è venuta meno anche la sorveglianza del territorio loro affidato; da decenni è sparita la pulizia boschi, quell’attività che seguiva i campi estivi e che si svolgeva in agosto in preparazione delle attività autunnali. La diminuzione degli abitanti e l’assenza degli alpini hanno fatto sì che i boschi restino sporchi aumentando, con buona pace degli ecologisti duri e puri, il pericolo degli incendi, mentre il mancato sfalcio dell’erba ad alta quota o il pascolare di mucche, prepara il terreno a valanghe di proporzioni ben maggiori di quelle del passato. Bene dunque fa l’ANA a continuare a conferire il premio “Fedeltà alla Montagna” a quegli alpini in congedo che non cedono e continuano nella loro opera di salvaguardia della montagna in mezzo a difficoltà e indifferenza. Un premio ben più produttivo dell’Anno Internazionale delle Montagne indetto l’anno scorso dalle Nazioni Unite e che più che conferenze e pranzi di gala non ha saputo offrire.

picarsi per portarci al laghetto d’Avio e, via via, a quelli successivi, ma il nostro pensiero è orientato al momento in cui inizieremo a posare i nostri piedi su quel tratto, denominato “Calvario”, del quale abbiamo sentito tanto parlare e che ci incute molto rispetto. E finalmente, superata Malga Lavedole… eccolo. Ci accorgiamo subito che è piuttosto impegnativo, ma la maestosità dei monti che ci circonda e il ricordo di coloro che hanno camminato su queste rocce trainando affusti di cannone e quant’altro necessario per la difesa dei confini della nostra Patria, ci danno la carica per continuare, con maggior slancio, la salita intrapresa. Quello che potevamo vedere era uno spettacolo eccezionale: decine, centinaia di persone, formavano una colonna umana che, sotto il sole implacabile, avanzava verso il rifugio Garibaldi: sembravamo tante formiche che, con il carico degli zaini sulle spalle, si dirigevano verso la casa comune, il rifugio, aiutando coloro che, per varie ragioni, potevano avere difficoltà nel cammino: esempio mirabile di solidarietà e amicizia. Come per incanto, dopo tanta attesa, eccoci arrivati: gioia e felicità per essere riusciti nell’impresa, rispetto dei luoghi, stupore per tanta bellezza che ci circondava e per la grande moltitudine di penne nere (e non). Il nostro capogruppo ha subito dato indicazioni per predisporre sia il vessillo sezionale sia il nostro gagliardetto, affidandoli a due nostri giovani alpini, molto emozionati ma consci di quanto importante fosse l’occasione. La santa Messa concelebrata, la fanfara e il coro, hanno reso la cerimonia uno splendore di unione umana; un tocco ulteriore di inten-

sità emotiva è stato quando, sulla vetta dell’Adamello, sono stati accesi dei fumogeni e abbiamo visto i

colori della nostra bandiera fluttuare nel cielo: vi assicuriamo che l’emozione era palpabile e ci è pure scappata qualche lacrima. Ma, come ha detto poi nel suo intervento il nostro presidente Parazzini, gli alpini, oltre a essere forti e duri, sanno anche emozionarsi, senza vergognarsi, perché nel loro cuore alberga la purezza dello spirito di sacrificio e di abnegazione verso i più deboli e bisognosi, ma soprattutto sono «uomini con le loro giuste debolezze». Come sempre il suo è stato un intervento deciso e significativo, con l’esortazione a non perdere mai di vista i valori alpini e a non farci mai prendere dallo scoramento; con questo spirito, e dopo numerose interruzioni causate dagli applausi dei presenti, ha salutato e rinviato tutti all’anno prossimo. A quel punto, giustamente e meritatamente, ci siamo rifocillati e riposati; prima di riprendere la discesa a valle, abbiamo intonato alcune canzoni alpine subito accompagnati da coloro che ci stavano vicino o che ci passavano accanto. Il nostro capogruppo era molto feliContinua a pagina 5

La chiesetta del Morbegno: un voto fatto alla Madonna

Al Pian delle Betulle nel ricordo di Fioroni «Siamo qui a testimoniare insieme ai reduci il voto fatto alla Madonna. – ha detto Luca Ripamonti, presidente della sezione ANA di Lecco – Ricordiamo le nostre penne mozze, uomini che con il loro sacrificio ci hanno regalato sessant’anni di benessere, chiedendo solo rispetto e il piccolo ricordo di una “marmetta”». Per questa cerimonia un discreto numero di alpini bellagini si è unito alle centinaia di persone e di gagliardetti che affollavano i verdi prati del Pian delle Betulle dove sorge la chiesetta del battaglione Morbegno, ex voto dedicato alla Madonna, per ricordare il 44° anniversario dell’inaugurazione della “Tenda dell’anima”. La santa Messa celebrata dal vicario episcopale monsignor Giuseppe Merisi, dal cappellano militare padre Domenico Casiraghi, accompagnata dal coro alpino, è stata motivo per ricordare con toccanti parole l’eroismo delle penne nere in guerra e la ben nota generosità e disponibilità della protezione civile in tempo di pace. Con la preghiera dell’Alpino termina la funzione religiosa. Su invito del presidente Ripamonti, tutti, monsignor Merisi compreso, hanno

cantato l’inno di Mameli, mentre il Tricolore saliva sull’alto pennone con gli onori di un picchetto di alpini di leva. I vessilli delle sezioni di Lecco e di Como, scortati dal presidente Ripamonti e da alcuni reduci dei fronti greco e russo sono entrati nella chiesetta per la benedizione delle “marmette” in ricordo dei reduci deceduti nel 2003. Più di una lacrima e occhi umidi, ascoltando “Sul ponte di Perati” cantata dal coro Grigna. Lettura dei nomi e benedizione delle marmette: Pietro Belli, Mario Galluzzi, Pietro Bergamini, Pietro Redaelli e Antonio Fioroni. Antonio Fioroni, il nostro capogruppo per oltre vent’anni, che sul Guri I Topit era stato decorato con medaglia di bronzo “sul campo”, era uscito dalla tragica battaglia di Nikolajewka e la notte del 22 gennaio riuscì a salvarsi, mentre il battaglione Morbegno venne pressoché distrutto a Warwarowka dai carri armati russi che lo attaccarono di sorpresa. Fioroni al Pian delle Betulle ritrovava un sacco di amici: el tenent Adolfo Marsiglia (ora generale), el Pio Beri, el nono Vittorio Cattaneo, Continua a pagina 5


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