BUILDING&MANAGEMENT N. 13 Ott - Dic 2018

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Grazie agli oltre quattordicimila lettori, questa rivista raccoglie saggi, pareri e relazioni legali, tecnici e fiscali curati dal nostro Centro Studi lecchese e da professionisti e docenti esperti in materia condominiale Marco Bandini Presidente di ANACI LECCO

SOMMARIO IL PARERE LEGALE

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Il procedimento per ATP e rapporto con azione successiva

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Obblighi del proprietario nella manutenzione sistema anticaduta

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Determinare la competenza per valore nelle impugnazioni

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Arresto cardiaco e defibrillatore in condominio

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Contratto di appalto, vendita e d’opera (non intelletuale): differenze

Dott. Ersilio Secchi

Avv. Alberto Sangregorio

Avv. Davide Longhi

IL PARERE TECNICO

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Geom. Simona Frigerio

Dott.ssa Vanda Basile

IL PARERE FISCALE

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Verifica fatture elettroniche passive e bonus fiscali 2019 Dott.ssa Raffaella Figini

Stazione di ricarica: come installarla in garage e incentivi Prof. Arch. Annalisa Galante

Hanno collaborato a questo numero: Vanda Basile, Raffaella Figini, Simona Frigerio, Davide Longhi, Alberto Sangregorio, Ersilio Secchi Anno 3 | n.13 | Ottobre - Dicembre 2018

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Dott. Ersilio Secchi

IL PARERE LEGALE

Presidente del Tribunale di Lecco

Il procedimento per ATP e rapporto con azione successiva Per svolgere il tema oggetto dell’intervento occorre fornire qualche elemento utile a inquadrare l’istituto. Gli artt. 696 e segg. c.p.c. sono collocati nel capo dedicato ai procedimenti cautelari. La sezione IV di questo capo è dedicata ai procedimenti di istruzione preventiva che annoverano l’assunzione di testimoni e la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite oltre all’istituto di cui ci occupiamo che è regolato nello stesso art. 696 unitamente alla ispezione giudiziale. In concreto l’accertamento tecnico preventivo (a.t.p.) mutua la funzione della consulenza tecnica d’ufficio trasferendola nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva. Ne sono elementi costituitivi: a) l’urgenza di verificare lo stato dei luoghi o la condizione di cose in tempi normalmente non compatibili con la previa instaurazione di un giudizio di merito. Si pensi alla descrizione delle condizioni di un manufatto in tempi contenuti in modo da acquisire una “fotografia” di dette condizioni prima dell’esecuzione dei lavori di ripristino indifferibili e necessari per consentire il godimento del bene; b) la provvisorietà dell’accertamento, nel senso che l’esito del mezzo istruttorio non pregiudica le questioni relative alla sua ammissibilità e rilevanza né impedisce la sua rinnovazione nel giudizio di merito (cfr. art. 698 c. II c.p.c.). Si tratta insomma di una forma di difesa avanzata consentita dall’Ordinamento il cui risultato, se favorevole al ricorrente, dovrà trovare conferma nel futuro giudizio; c) la strumentalità del rimedio rispetto al giudizio di merito che la parte interessata dovrà coltivare se vorrà consolidarne il risultato. Se dunque la funzione dell’a.t.p. – come degli altri procedimenti di istruzione preventiva - è di essere preordinato a consentire, prima e fuori dal giudizio di cognizione la raccolta e la conservazione della prova di fatti rilevanti ai fini della domanda od eccezione da pronunciarsi nel futuro giudizio (cfr. art. 693 c. III e Cass. n. 12829/1999), d’altronde il giudizio di merito è un approdo imprescindibile, fatta la riserva che si rende necessaria per quanto riguarda la c.t.p. ex art. 696 bis c.p.c..

L’accertamento tecnico preventivo mutua la funzione della consulenza tecnica d’ufficio trasferendola nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva

Sotto questo profilo l’a.t.p. si inserisce nella più ampia categoria dei procedimenti cautelari ai quali appartiene, secondo la siste-

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matica del codice di procedura civile che abbiamo verificato in apertura. Da questi però si differenzia perché il risultato acquisito, ovverossia la raccolta della prova, per essere conservato non richiede che alla conclusione del procedimento segua entro uno spazio di tempo determinato a pena di inefficacia (cfr. rispettivamente art. 669 octies, quanto al termine perentorio non superiore a sessanta giorni, e novies c.p.c.) l’instaurazione del giudizio di cognizione per far valere il diritto di cui si è chiesta e ottenuta la cautela.

Condominio come parte ricorrente Vengo ora a formulare alcune considerazioni con specifico riferimento alla identificazione nel Condominio della parte ricorrente. Sia consentito premettere alcuni dati statistici riguardanti il Tribunale di Lecco. Nel periodo tra l’ 1/1/2018 e il 31/10/2018 sono sopravvenuti complessivamente 75 nuovi ricorsi riconducibili agli artt. 696 e 696 bis c.p.c., di cui 20 indicati come a.t.p., 30 come c.t.p. e 25 in via alternativa/cumulativa come a.t.p. e c.t.p. Considerato il totale delle sopravvenienze relativo agli affari civili ordinari (esclusi ricorsi per d.i. e cause di lavoro) l’incidenza percentuale dei ricorsi in parola è intorno al 6,5%. 10 sono i procedimenti (a.t.p., c.t.p. e misti) che hanno avuto come parte un Condominio, diviso in parte uguali nelle vesti di ricorrente e resistente. Non sembra dubbio che, essendo connotato dall’urgenza, l’a.t.p. promosso dal Condominio possa annoverarsi tra gli “atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio” (art. 1130 c. I n. 4 c.c.). In materia richiamo la recente Cass. n.

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2436/2018 secondo la quale "l’art. 1130 n. 4 c.c. deve interpretarsi estensivamente, nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune , l’amm.re ha il potere dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato; rientra nel novero degli atti conservativi l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione , nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in un’ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amm.re del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto". Altre ipotesi di legittimazione dell’amm.re al compimento di atti conservativi ( tra questi un a.t.p.) sono state individuate nella denuncia da parte di un condomino dell’abusiva costruzione da parte del costruttore di una porzione di area (in uso) condominiale mediante la costruzione di un manufatto di proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 16230/2011), con successiva azione per il ripristino dei luoghi e il risarcimento del danno. E ancora, il giudizio (preceduto in ipotesi da a.t.p.) per la demolizione della sopraelevazione dell’ultimo piano dell’edificio, costruita dal condomino alterandone l’estetica della facciata (cfr. Cass. n. 18207/2017). In tutte le ipotesi considerate, l’amm.re del condominio è legittimato ad agire, nei confronti dei singoli condomini e dei terzi, senza necessità di una specifica deliberazione assembleare. Si tenga presente che la giurisprudenza è prevalentemente orientata a ritenere la norma sulle attribuzioni dell’amm.re di natura sup-

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pletiva e non imperativa, con la conseguenza che il regolamento condominiale (quale che ne sia l’origine) può legittimamente sottrarre all’amm.re il potere del compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni per conferirlo esclusivamente all’assemblea (cfr. Cass. n. 8719/1997).

Condominio in veste di resistente Quando il ricorso per a.t.p. veda il Condominio in veste di resistente, trova applicazione l’art. 1131 c. II c.c., con la conseguenza che il contraddittorio sarà validamente instaurato allorché il ricorso venga notificato all’amministratore e questi si costituisca conferendo la procura alle liti al difensore. Secondo giurisprudenza di merito (Trib. Monza 25/10/2011) rientra nei poteri lato sensu conservativi dell’amm.re in carica la resistenza in giudizio del condominio convenuto nella persona di questi per il pagamento delle spettanze del precedente amm.re (riferimento al tema nel caso di instaurazione di un a.t.p. per la redazione di una ctu contabile ricostruttiva dei rapporti di dare-avere tra ex amm.re e Condominio). Costituiranno motivi di urgenza la necessità di compiere lavori indifferibili di ripristino di parti comuni condominiali per consentirne il godimento ai condomini, ovvero influenzati da contingenze stagionali (si pensi a lavori afferenti gli impianti di riscaldamento o di condizionamento o di eliminazione di infiltrazione di acque meteoriche). Occorre considerare che il requisito dell’urgenza è apprezzato con una certa larghezza (in tal senso è la mia personale giurispruden-

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za) avuto riguardo alla funzione indirettamente deflattiva del contenzioso derivante dall’instaurazione di un procedimento di a.t.p. che offre a parti non pregiudizialmente litigiose la possibilità di addivenire a una composizione transattiva della vertenza con i buoni uffici del CTU i cui poteri conciliativi sono ordinariamente richiamati nella formulazione del quesito al medesimo. Il richiamo agli artt. 191 e segg. c.p.c. che si rinviene nel primo comma dell’art. 698 vale anche per l’applicabilità alla procedura di a.t.p. dell’art. 199 c.p.c. (processo verbale di conciliazione) che consente di munire il detto verbale di efficacia di titolo esecutivo, attribuita con decreto dal giudice. È raccomandabile che, nel caso di esito conciliativo della lite (con o senza redazione di verbale di conciliazione) il CTU informi il magistrato dando atto che per tale ragione egli non provvederà a depositare la relazione. Diversamente non potrà essere disposta l’archiviazione del fascicolo e il CTU si

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troverà esposto a rilievi anche di possibile contenuto disciplinare per non avere evaso l’incarico nel termine a tal fine assegnatogli. Ancora, la proposizione di un a.t.p. avrà l’effetto di interrompere la prescrizione. Trattasi di giurisprudenza costante, con la precisazione che il detto effetto interruttivo perdura fino al deposito della relazione del consulente tecnico. Si ha conferma, anche a tale riguardo, che, a differenza degli altri procedimenti cautelari, l’instaurazione del giudizio di merito non dovrà essere immediata, essendo sufficiente, a impedire la prescrizione del diritto, che il secondo atto interruttivo rappresentato dalla citazione in giudizio segua prima che sia cessata l’efficacia del primo (che inizia dalla notifica del ricorso per a.t.p.). Ha chiarito però la Cassazione (sent. n. 696/1997) che affinchè un a.t.p. possa essere sussunto nell’ambito dei giudizi conservativi di cui al primo comma dell’art. 2943 c.c., occorre che esso si strutturi come atto strumentale all’esercizio del diritto in prescrizione. Tale ipotesi si verifica quando l’ a.t.p. sia introdotto dal titolare del diritto in funzione della successiva instaurazione del procedimento di cognizione finalizzato al suo accertamento e alla sua tutela. Tale finalità è invece da escludersi quando il ricorso sia proposto nei confronti di chi si asserisce titolare del diritto, in funzione della successiva introduzione di un giudizio di cognizione di accertamento negativo. In tal caso, il ricorso per a.t.p. non estrinseca la volontà del titolare del diritto di farlo accertare e riconoscere e, dunque, non presenta quell’elemento che costituisce il presupposto essenziale per la sussistenza di una delle ipotesi di cui ai primi due commi dell’art. 2943 c.c.. ANACI LECCO n.13 | Ott-Dic 2018

Strumentalità a.t.p. Qualche considerazione merita il requisito della strumentalità dell’a.t.p. rispetto al giudizio di merito. A tale proposito l’orientamento prevalente della giurisprudenza non ritiene necessaria la formale prospettazione di un’azione nei confronti del destinatario perché la strumentalità del procedimento di istruzione preventiva è riferibile alla sola ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova nell’eventuale successivo giudizio di merito , sicché è sufficiente la rappresentazione della domanda di merito nel suo contenuto essenziale, sì da consentire una valutazione di funzionalità del mezzo istruttorio preventivamente richiesto (Cass. n. 18521/2016). Cionondimeno, ritengo che il ricorso per a.t.p. non possa mancare di alcun riferimento all’azione che il ricorrente ha in animo di intraprendere, riferimento senza il quale il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In presenza di una eccezione in tal senso sollevata dal resistente ritengo ancora che il Difensore del ricorrente possa fornire chiarimenti in udienza, in contraddittorio con le altre parti integrando le indicazioni contenute nel ricorso. Quanto alla competenza, l’art. 696 c. III la pone in capo al presidente del Tribunale cui appartiene il giudice che sarebbe competente per la causa di merito. La giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 12681/1991) ha ritenuto che essa non possa trovare deroga in relazione alla pendenza davanti ad altro tribunale di una causa connessa, atteso che il rapporto di connessione assume rilevanza, ai fini della competenza, solo rispetto a controversie parimenti pendenti. È stato invece ritenuto (sia pure da una pronuncia assai risalente, ma mai contraddetta, Cass. n. 486/1972) che la deroga alla competenza del giudice che sarebbe competente per la causa di merito, nelle ipotesi di eccezionale urgenza non sia limitata alla sola assunzione di testimoni a futura memoria, ma si estenda anche all’a.t.p.. Mutando un orientamento consolidato, la giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass. S.U. n. 7129/1998 e altre successive conformi) ha escluso che avverso i provvedimenti che ammettono l’a.t.p. sia ammissibile il regolamento di competenza anche nell’ipotesi in cui sia ravvisabile una pronuncia sulla competenza del giudice che li adotta. Le ragioni di tale conclusione negativa sono di carattere sistematico e si rinvengono nel principio secondo cui tutti i procedimenti di istruzione preventiva non sono soggetti al ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. Siffatta conclusione è a sua volta derivata dall’orientamento della Corte Suprema che, mutando il precedente indirizzo, ha escluso l’assoggettabilità dei provvedimenti emessi in materia cautelare al regolamento preventivo di giurisdizione (per i provvedimenti

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di istruzione tecnica preventiva cfr. Cass. n. 11133/1997) in quanto inidonei ad acquistare forza di giudicato e quindi ad essere soggetti al ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. Quanto al provvedimento con il quale il giudice adito con istanza di a.t.p. dichiari la propria incompetenza esso è definitivo e consente di individuare nell’istante la parte soccombente, con la necessità che il giudice statuisca sulle spese ex artt. 91 e 92 c.p.c..

Finalità del ricorso Venendo ora a parlare delle finalità del ricorso per a.t.p. , la prima è desumibile dal dettato normativo , come si è detto in apertura nel citare il primo comma dell’art. 696 c.p.c. Essa consiste nella possibilità di fare verificare lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose quando non è ancora pendente un giudizio di cognizione. In tale prospettiva il procedimento di a.t.p. non solo viene incontro all’urgenza del ricorrente, ma consente a questi di rendere opponibile alle parti resistenti i risultati dell’accertamento tecnico nel futuro giudizio di merito. Ciò si verifica in quanto i convenuti hanno la possibilità di contraddire interloquendo attraverso la partecipazione alle operazioni di ctu anche attraverso la nomina di propri esperti. È noto che, a seguito di due successive pronunce di illegittimità costituzionale nel corso degli anni ’90, il legislatore è intervenuto integrando il primo comma dell’art. 696 che ne era stato oggetto e aggiungendo l’attuale secondo comma, che estende l’accertamento tecnico sino a comprendere anche valutazioni in ordine

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alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica. Con riguardo ai rapporti tra a.t.p. e consulenza tecnica d’ufficio vale il richiamo, contenuto nell’art. 698 c.p.c., agli artt. 191 e segg. c.p.c. applicabili in quanto possibile. Il CTU nominato dovrà dunque operare nel rispetto del contraddittorio tra le parti, con la semplificazione costituita dal fatto che, in sede di a.t.p. , la data di inizio delle operazioni di consulenza è direttamente fissata dal magistrato in occasione del giuramento del CTU alla presenza delle parti costituite. Una risalente ma mai smentita pronuncia (Cass. n. 1692/1967) ritiene non applicabile la disposizione dell’art. 51 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 63 dello stesso codice all’ipotesi di rinnovazione in sede di giudizio di merito della consulenza tecnica espletata ai sensi dell’art. 698, con la conseguenza che può essere nominato consulente lo stesso tecnico che come consulente abbia prestato assistenza nell’istruzione preventiva.

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Anche in sede di a.t.p. vale la regola della natura relativa delle nullità consumate nel corso del detto procedimento, con la conseguenza che è onere della parte interessata di eccepirle nella prima istanza o difesa successiva al loro insorgere a pena della sanatoria secondo la regola generale stabilita dall’art. 157 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15436/2006). Il principio giurisprudenziale riferito deve essere coordinato con la natura del procedimento di a.t.p., il quale si esaurisce, di norma, nella sola udienza di giuramento del CTU e di approntamento del quesito. La formulazione di questo sulla falsariga dell’art. 195 c.p.c. rende alquanto difficile la consumazione di nullità riguardanti la violazione del principio del contraddittorio. Si è già detto che del giorno di inizio delle operazioni le parti vengono informate direttamente in udienza e nel contraddittorio tra loro.

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In casi di successiva violazione del contraddittorio (ad esempio perché il CTU muta la data fissata a verbale in occasione del giuramento sostituendola con un’altra del quale non dà comunicazione a tutte le parti costituite, ovvero non trasmette alle parti la bozza di relazione nel termine assegnatogli o ignora in sede di deposito della relazione definitiva le osservazioni delle parti stesse) il Difensore dovrà dunque provvedere a denunciare la condotta attiva o omissiva dell’Ausiliario con istanza al magistrato, eventualmente servendosi della facoltà concessagli dall’art. 92 c. I disp. att. c.p.c.. In nessun caso potranno essere rivolte al presidente istanze di rinnovazione della consulenza motivate con dissensi di merito rispetto alle conclusioni cui è pervenuto il CTU o con addotte necessità di ulteriori indagini.

Limiti di utilizzabilità È risultata alquanto dibattuta e si connette con le considerazioni appena formulate la questione dei limiti di utilizzabilità nell’ambito del giudizio di cognizione delle indagini espletate in sede di a.t.p. Ciò, nonostante il disposto dell’art. 698, il cui secondo comma prevede che l’assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel processo di merito. L’atteggiamento di favore in ordine alla utilizzabilità nel processo di

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merito dell’attività istruttoria espletata in sede di a.t.p. ha trovato riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità sino dal lontano precedente di Cass. n. 1002/1967. A tenore di questa le prove acquisite negli a.t. compiuti nei procedimenti di istruzione preventiva, una volta dichiarate ammissibili nel giudizio di merito, hanno la stessa efficacia di quelle assunte nel processo, sì che il giudice non è tenuto ad ammettere c.t. ad integrazione o a rettifica dell’ a.t.p. che si appalesi di per sé sufficiente ai fini del decidere. Nella stessa linea di spiccato pragmatismo si muovono le pronunce più recenti della Corte Suprema, sintetizzate da Cass. n. 19563/2009. Secondo detta pronuncia [...] l’ambito dell’a.t.p. comprende e include tutti gli elementi conoscitivi considerati necessari per le valutazioni che dovranno essere effettuate nel giudizio di merito [...] purché dette indagini risultino compatibili con le finalità cautelari del provvedimento. Lo sconfinamento dai limiti dell’a.t.p. cionondimeno eventualmente rilevabile dà peraltro luogo a una inutilizzabilità soltanto relativa dell’accertamento; ne deriva che, ove non sia concretamente configurabile alcuna violazione del principio del contraddittorio per avere le parti [...] effettivamente partecipato all’a.t.p. anche nei punti esorbitanti dall’incarico ovvero allorché la relazione del consulente sia stata ritualmente acquisita agli atti senza opposizione delle parti stesse, si realizza la sanatoria di tale esorbitanza con conseguente utilizzabilità dell’accertamento. Vi è poi una seconda finalità per così dire non dichiarata nel ricorso alla procedura di a.t.p. consistente nel favorire la composizione della lite insorgenda a beneficio sia delle parti sia dell’Ordinamento, che si avvantaggia dell’indiretto effetto deflattivo sul contenzioso. A essa ho già accennato sopra a proposito dei poteri conciliativi di cui gode il CTU alla stregua dell’art. 199 c.p.c. come richiamato dall’art. 698 comma secondo c.p.c.. Detta finalità risulta notevolmente rafforzata con l’introduzione, (con la L. n. 80/2005) dell’art. 696 bis c.p.c. Non intendo andare fuori tema trattando di tale istituto che richiederebbe un incontro di studi ad esso dedicato. Qui intendo accennare soltanto alla tendenza, ormai molto diffusa, di proporre in chiave alternativa/cumulativa con un unico ricorso sia l’a.t.p. sia la c.t.p. ex art. 696 bis. Richiamo in proposito il dato statistico che, per il Tribunale di Lecco, vede ben 25 proposizioni cumulative, a fronte di 20 ATP “puri” e di 30 CTP e sottolineo che si tratta di tendenza generalmente diffusa. È noto che si fronteggiano due indirizzi giurisprudenziali . Secondo il primo, più restrittivo e aderente alla lettera della norma, l’impossibilità di demandare al CTU la soluzione di questioni giuridiche complesse o l’accertamento di fatti esulanti dall’ambito

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delle indagini di natura tecnica indurrebbe, quale conseguenza, la deducibilità in sede di ctp delle sole controversie in ordine alla quantificazione del credito, incontestato quanto a sussistenza e a fatto generatore dello stesso. Altrimenti detto il procedimento ex art. 696 bis non sarebbe attivabile in presenza di contestazione della responsabilità, avendo esso finalità essenzialmente dirette ad accertare in via preventiva il quantum debeatur. Numerose sono le pronunce in tal senso di giudici di merito. Il secondo orientamento caldeggia invece un’interpretazione estensiva del dettato normativo, alla stregua di un approccio di carattere sistematico che valorizza la finalità deflattiva del contenzioso perseguita dal Legislatore. Conforterebbe tale prospettiva l’argomento testuale che affianca alla determinazione l’accertamento dei crediti deducibili in sede di ctp. Non sarebbe dunque inibito avvalersi di tale norma anche nel caso dell’esistenza di contestazioni in ordine alla responsabilità del preteso obbligato. La preferenza per una soluzione “aperta” e “pragmatica” riscontrata nella pratica forense che tende, come visto, a cumulare i due istituti, è costituita anche dall’indirizzo che non richiede per il ricorso alla ctp il requisito dell’urgenza richiesto invece dall’art. 696 ( cfr. art. 696 bis: "L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 …” ). Con la conseguenza che la proponibilità con un unico ricorso dell’uno e dell’altro dei rimedi offrirebbe una accettabile via di uscita alla declaratoria di inammissibilità dell’a.t.p. per mancanza di uno o più dei requisiti costitutivi (oltre all’urgenza, la strumentalità rispetto al giudizio di merito. ANACI LECCO n.13 | Ott-Dic 2018


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Avv. Alberto Sangregorio

IL PARERE LEGALE

Membro del Centro Studi di ANACI Lecco

Determinare la competenza per valore nelle impugnazioni Con una recente pronuncia (Cass. Civ. n. 21227 del 28.08.2018), la Suprema Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento stante il quale, per determinare la competenza per valore in caso di impugnazione di delibera assembleare avente ad oggetto la ripartizione di spesa, occorre guardare al thema decidendum e non al quid disputandum. Come noto, l’individuazione della competenza per valore è presupposto fondamentale onde instaurare correttamente il giudizio, dal momento che solo il giudice competente può legittimamente statuire sulla vertenza insorta. In ambito condominiale la competenza per valore è ripartita tra il Giudice di Pace e il Tribunale: il primo, secondo quanto stabilito dall’art. 7 c.p.c., è competente a decidere le cause relative a beni mobili di valore non superiore a Euro 5.000; il secondo, invece, per tutte quelle controversie di valore superiore, nonché per i beni immobili indipendentemente dal valore, ex art. 9 c.p.c. Salvo ipotesi particolari, quali – ad esempio – il caso di una delibera assembleare che concerna la misura e la modalità d’uso dei servizi di condominio (che ai sensi del sopra richiamato art. 7 c.p.c. appartiene al Giudice di Pace), dunque, il valore della controversia è il criterio necessario per la corretta individuazione del giudice competente. Ebbene, è oramai principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il valore della controversia va determinato con riguardo alla singola parte della delibera che si impugna, senza considerare altre questioni coinvolte nella delibera stessa e non impugnate dal condomino che agisce in giudizio. Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità di cui alla sopra richiamata sentenza, l’oggetto della domanda principale proposta dal condomino era diretta a far accertare l’insussistenza del proprio debito nei confronti del supercondominio in relazione alla quota di spesa come ripartita, e non anche l’accertamento della validità della delibera che tale spesa aveva approvato, accertamento che il giudice competente per valore può effettuare in via incidentale, senza che tale esame sia suscettibile di investire la validità della delibera nel suo complesso, ma solo ai fini di verificare se l’addebito della quota al singolo condomino sia o meno legittima. Va dunque fatto riferimento al thema decidendum per determinare il valore della controversia ed individuare il giudice competente per valore: per far ciò occorre partire dall’interesse ad agire, ossia dalla

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Come determinare la competenza per valore nelle cause d’impugnazione delle delibere assembleari con riguardo alla ripartizione delle spese

ANACI LECCO n.13 | Ott-Dic 2018


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ragione giuridica che fonda la pretesa di chi intraprende un’azione giudiziaria. Come noto, l’interesse a agire è una condizione dell’azione e sussiste ogni qualvolta un soggetto chieda l’intervento dell’autorità giudiziaria, affinché si accerti una situazione da cui discendano effetti favorevoli e giuridicamente apprezzabile per il soggetto stesso. L’interesse ad agire, dunque, deve essere attuale e concreto, non trovando spazio nel nostro ordinamento istanze processuali generiche e teoriche, in quanto il giudice non è chiamato a risolvere questioni puramente astratte ed accademiche, ma a dirimere situazioni concrete per le quali il soggetto che agisce ha un interesse attuale e concreto e non un mero interesse teorico alla soluzione di una questione di diritto. Il merito della causa è proprio la definizione della pretesa in concreto fatta valere dal condomino - attore. Nelle azioni di accertamento dell’invalidità della delibera condominiale regolarmente assunta,

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che tendono a eliminare una situazione di incertezza obiettiva e pregiudizievole, inerente all’esistenza di un rapporto giuridico o all’esatta portata di una serie di diritti ed obblighi, l’interesse ad agire acquista significato di vero proprio limite di ammissibilità, poiché in tale ambito è necessario che la situazione di incertezza relativa al rapporto giuridico determini il pericolo attuale di una lesione del diritto di colui che invoca tutela. Invece, nelle azioni costitutive, finalizzate ad ottenere dall’autorità giudiziaria la pronuncia di una sentenza che costituisca, modifichi o estingua rapporti giuridici, l’interesse ad agire è già valutato e ritenuto sussistere dal legislatore. Dunque, si può affermare che l’interesse ad agire è l’utilità concreta che la decisione giurisdizionale favorevole a chi ha intrapreso il giudizio è idonea ad apportare alla posizione giuridica soggettiva di cui egli è titolare: l’impugnazione della delibera assembleare che approva una spesa comune e pone a carico del singolo una determinata quota ha lo scopo di accertare l’inesistenza del preteso credito condominiale e del debito del singolo condomino. In sostanza, nel caso in cui il singolo condomino censura la legittimità della ripartizione delle spese, il suo interesse ad agire per far accertare l’eventuale illegittimità della ripartizione è correlato all’importo che lo stesso sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della ripartizione indebita. Di conseguenza, quando tale importo sia inferiore a Euro 5.000, competente a decidere la sua impugnazione è il Giudice di Pace non il Tribunale.

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Avv. Davide Longhi

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Formatore di ANACI Lecco e Centro Studi Regione Lombardia

Contratto di appalto, vendita e d’opera (non intelletuale): differenze Nell’ambito della vita condominiale l’amministratore è chiamato a sottoscrivere varie tipologie di contratto tra le quali rientrano: il contratto di vendita, il contratto d’appalto ed il contratto di prestazioni d’opera. Stante il costante insegnamento dottrinario e giurisprudenziale secondo il quale, poichè il condominio è privo di personalità giuridica, l’amministratore è il rappresentante dei condòmini, diventa importante per quest’ultimo capire quali siano i contratti e le correlate regole di riferimento per l’affidamento dei lavori di manutenzione. L’articolo in commento, nell’individuare le differenze tra le dette tipologie di contratto, si pone l’intento di fornire all’amministratore un supporto tecnico-giuridico per lo svolgimento del proprio mandato gestorio dando maggiore approfondimento al contratto di appalto.

Contratto di vendita Si parte dal contratto di vendita il quale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1470 e ss c.c., ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa (bene materiale/immateriale o altro diritto) verso il corrispettivo di un prezzo, in sintesi si tratta di “bene contro prezzo”. Per contro la sostituzione del prezzo con altro bene o diritto porterebbe il contratto dalla c.d. vendita alla c.d. permuta (art. 1552 c.c.), quest’ultima caratterizzata dal “bene contro bene” pur rimanendo invariato il profilo causale in concreto del contratto cioè la giustificazione posta alla base del contratto che, secondo il Ferri, deve essere colta nella concreta e specifica finalità di scambio che le parti intendono realizzare caratterizzata da due obbligazioni corrispettive (La vendita in generale, in Tratt. di dir. priv. diretto da Rescigno, vol.XI, Torino, 1984, p.201). L'una sarebbe causa dell'altra: cioè l’obbligazione di trasferire la proprietà di un bene che giustificherebbe l’obbligazione di pagarne il correlativo corrispettivo economico (Giorgianni, voce Causa, in Enc.dir., p.566 e Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. IV, Milano, 1954, p.51), anche se l'aspetto essenziale della vicenda contrattuale, immancabile, è infatti costituito dal trasferimento del diritto, non già dalla corresponsione di un prezzo in denaro (Rubino, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu-Messineo e continuato da Mengoni, vol.XVI, Milano, 1971, p.2). L'attenzione del legislatore all'effetto contrattuale che si verifica nei confronti del venditore, si nota anche nella scelta del termine "vendita", poiché più corretto e completo sarebbe definire

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L’articolo si pone l’intento di fornire all’amministratore un supporto tecnico-giuridico per lo svolgimento del proprio mandato gestorio dando maggiore approfondimento al contratto di appalto

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il contratto in esame "compravendita", con un termine, cioè, che consenta di considerare il fenomeno anche dal punto di vista dell'acquirente. Il contratto di compravendita è senza dubbio il più importante dei contratti tipici (cioè previsti e disciplinati dal codice civile), è costituito e costituisce ancora oggi lo strumento di circolazione della ricchezza e ha trovato le sue origini nel baratto. Il codice civile, a partire dall’art.1470 c.c., offre una corposa disciplina e regolamentazione del contratto e della sue sottospecie. Il lettore deve fare attenzione in quanto lo schema del contratto di compravendita non può essere utilizzato per il trasferimento del possesso, inteso come quel potere di fatto che si estrinseca in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 comma 1 c.c.). Appare chiaro, pertanto, come il possesso non possa essere suscettibile di trasferimento in quanto tale, vale a dire in via autonoma, non correlata al diritto reale (di proprietà) del quale costituisce la manifestazione (Cass. Civ. Sez. II, 9884/96). La compravendita viene definita come: a) contratto consensuale in quanto ai fini del suo perfezionamento è sufficiente che le parti abbiano raggiunto il consenso, in particolare non occorre la consegna della cosa (che rientra tra le obbligazioni derivanti dal contratto), circostanza che invece contraddistingue i contratti "reali" come il mutuo, il deposito, il comodato; b) con effetti reali, poiché produce l'effetto immediato, diretto e principale che è quello di trasferire un diritto/bene; c) un contratto con attribuzioni corrispettive: sono infatti ravvisabili due diverse prestazioni bene contro il prezzo; ANACI LECCO n.13 | Ott-Dic 2018

d) è un contratto a due parti: a un venditore si contrappone un acquirente anche nell'eventualità in cui una o anche entrambe le parti fossero composte da più soggetti, da più persone. Come appare evidente, stante la struttura e la causa del contratto, i centri di interesse, infatti, non possono non essere due; e) un contratto di straordinaria amministrazione. Non si vede, pertanto, come si possa prescindere dalla considerazione dell'incidenza economica dell'atto anche in relazione alle sostanze delle parti. Si può dire soltanto, in via di approssimazione, che si tratti di un contratto, normalmente, di straordinaria amministrazione. Essa, infatti, spesso incide sulla sostanza del patrimonio e non soltanto sul reddito. A riprova di ciò il codice civile detta numerose disposizioni che richiedono, a tutela dell'incapace, l'autorizzazione del giudice (cfr. artt. 320-374375-424-404 c.c.). È importante, per quanto affrontato nel presente articolo, analizzare anche il contratto di vendita di cosa futura che, secondo l'opinione prevalente in dottrina (Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm. cod. civ., vol.IV, Torino, 1991, pp.22) ed in giurisprudenza (Cass. Sez. II, 4047/78 ; Cass. Civ. Sez. II, 8863/87) si perfezionerebbe, come nella vendita avente ad oggetto una cosa attualmente esistente, nel momento in cui si possa dire raggiunto il consenso tra le parti. Non si tratterebbe dunque di una fattispecie a formazione progressiva, idonea a sortire effetti meramente preliminari ma di un contratto che si può considerare in tutto e per tutto concluso, senza che vi sia alcuna possibilità per le parti di revocare l'assenso già espresso. È l'effetto del trasferimento della proprietà del bene oggetto della vendita che viene posticipato nel tempo, ovvero a quando il bene sia venuto ad esistenza; f) per quanto riguarda la forma è, di regola, libera, nel senso che può anche manifestarsi oralmente o per comportamenti concludenti. In alcune ipotesi, tuttavia, riferite alla natura dell'oggetto di scambio, la legge impone la forma scritta ad substantiam, a pena di nullità (atto pubblico, scrittura privata autenticata, ecc.): è il caso, ad esempio, del trasferimento della proprietà di cose immobili (art. 1350 c.c.).

Contratto di prestazione d'opera Si continua con il contratto di prestazione d'opera, che, ai sensi dell’art. 2222 c.c. si ha quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Per quanto attiene al contratto d'opera, la prestazione si sostanzia nell'esecuzione di un'opera che presenti caratteristiche squisitamente tecniche consistenti in prestazioni materiali o intellettuali (la redazione di un pro-

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getto di un impianto, l'elaborazione contabile, la consulenza giuridica, etc.) (Cass.Civ., Sez. II, 2965/1987). Solo nel caso di contratto di prestazione d’opera non intellettuale, l'obbligazione assunta dal prestatore (al pari di quella dell'appaltatore) nei confronti del committente non è una semplice obbligazione di mezzi, ma un'obbligazione di risultato. La difficoltà è quella di discernere, in alcuni casi, l'eventuale attività sostitutiva svolta per conto del soggetto che ha conferito l'incarico. Tipico è l'esempio della prestazione del procuratore e dell'avvocato, che si concreta anche nella condotta giuridicamente rilevante per conto del cliente. Caratteristica del contratto d’opera è l’autonomia. I criteri per distinguere l’autonomia dalla dipendenza, e quindi il contratto d’opera dal contratto di lavoro subordinato, sono molteplici. Il dipendente ha il dovere di osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro per la disciplina e l’esecuzione della prestazione, è inserito nell’organizzazione produttiva del datore stesso e presta le proprie energie lavorative. Per contro con il contratto d’opera non intellettuale il soggetto si obbliga a pervenire ad un certo risultato (art. 2225 c.c.). Infine il rischio dell’attività produttiva è tipico del contratto d’opera mentre è ignoto al contratto di lavoro dipendente. La disciplina del contratto d’opera non intellettuale per larga parte è identica a quella dell’appalto, così per quanto riguarda: il potere di verifica in corso d’opera da parte del committente e il relativo diritto di recedere se il prestatore d’opera non si conforma alle condizioni contrattuali (art. 2224 c.c.); le difformità ed i vizi dell’opera non intellettuale (peraltro con il termine di denuncia di otto giorni anziché di sessanta e la

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prescrizione dell’azione annuale anziché biennale) (art. 2226 c.c.); il recesso unilaterale da parte del committente (art. 2227 c.c.); l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera (art. 2228 c.c.). Una diversità si ravvisa anche nei criteri dettati per la fissazione del corrispettivo: in tal caso si procede, gerarchicamente, avuto riguardo innanzitutto: a) alla pattuizione, b) alle tariffe, c) agli usi, d) ed infine alla determinazione del giudice, il quale, ed ecco la peculiarità, deciderà con riferimento al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo (art. 2225 c.c.). E' previsto che per la realizzazione dell'opera il committente disponga una serie di direttive, alle quali il prestatore deve attenersi, senza però che queste siano tali da inficiare l'autonomia del prestatore nello svolgimento della sua attività.

Contratto di appalto Passando ora al contratto di appalto il quale ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1655 c.c. è il contratto con il quale una parte (appaltatore) assume il compimento di un'opera o di un servizio su incarico di un committente e verso un corrispettivo in danaro, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio (art. 1655 c.c. autonomia dell'appaltatore Cass. 18745/2010 e Cass. 22344/2009). L'obbligazione assunta dall'appaltatore nei confronti del committente non è una semplice obbligazione di mezzi ma un'obbligazione di risultato. L'appaltatore, infatti, non è tenuto solo a svolgere una determinata attività, ma anche a realizzare l'opera o eseguire il servizio, ovverosia a procurare il risultato pattuito con il committente. L'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio,

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se non è stato espressamente autorizzato dal committente. Il contratto di appalto è molto in uso nella costruzione di beni immobili o mobili, e nella fornitura di servizi di assistenza, consulenza, vigilanza. Affinchè un contratto che ha per oggetto il compimento di un'opera o di un servizio dia origine al contratto di appalto, è necessario che l'attività svolta dall'appaltante sia un'attività rivolta all'organizzazione dei mezzi e alla gestione a proprio rischio, si deve trattare di un'attività organizzata in forma di impresa, e l'appaltatore deve essere un imprenditore. Il contratto di appalto è un contratto bilaterale, obbligatorio, consensuale, a esecuzione prolungata ma non di durata, e a titolo oneroso. I contratti di durata (o anche contratti ad esecuzione continuata) sono quei contratti che hanno per oggetto una certa quantità di lavoro diluito nel tempo (si pensi al contratto di lavoro subordinato), in tali contratti l'interesse dell'altro contraente è soddisfatto momento per momento (si pensi ancora alla somministrazione); per contro i contratti ad esecuzione prolungata (appalto), sono quelli che hanno ad oggetto il prodotto di un determinato lavoro che richiede del tempo per essere eseguito, e in cui l'interesse finale dell'altro contraente viene soddisfatto in una volta sola e nel momento dell'esecuzione della prestazione. Questa distinzione ha rilievo principalmente per l'applicabilità delle norme sulla retroattività della risoluzione, del recesso e della condizione che si applicano solo ai contratti ad esecuzione prolungata e non a quelli di durata. Sotto il profilo della causa, la stessa consiste nell'esecuzione di una prestazione, variamente consistente nella realizzazioANACI LECCO n.13 | Ott-Dic 2018

ne di un'opera ovvero nello svolgimento di un servizio, contro un corrispettivo in denaro. Il corrispettivo previsto nello schema tipico è una somma di denaro: qualora esso consistesse in una prestazione di natura differente (ad esempio di dare una cosa determinata, di facere) si avrà non più appalto bensì contratto misto, con tutto ciò che segue con riferimento alla normativa applicabile. In particolare, qualora si aderisca alla teoria dell'assorbimento, si farà applicazione delle norme relative al contratto il cui elemento causale è ritenuto prevalente (Mirabelli, Dei singoli contratti, Milano, 1988, p.401). Talvolta possono esservi serie difficoltà nel qualificare gli accordi intercorsi tra le parti in chiave di appalto ovvero di vendita, mutando la modalità di deduzione della cosa che ne è l'oggetto finale. Infatti nel primo caso essa viene in considerazione quale risultato di un facere, nel secondo come semplice oggetto del contratto (Cass. 15368/09). Va precisato come debba intendersi contratto di vendita, e non di appalto, quello concernente la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera, qualora l'assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo che le clausole contrattuali obblighino l'assuntore a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva. In questo caso dovrebbe ritenersi prevalente l'obbligazione di fare, in quanto si configurano elementi peculiari del contratto d'appalto e, precisamente, l'intuitus personae e l'assunzione del rischio economico da parte dell'appaltatore. Qualora, invece, l'assuntore dei lavori non sia né il fabbricate né il rivenditore del bene da installare o da mettere in opera, l'attività di

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installazione di un bene svolta dal prestatore, risultando autonoma rispetto a quella di produzione e di vendita, identifica o rinvia ad un contratto di appalto, dato che la materia viene in considerazione quale strumento per la realizzazione di un'opera o per la prestazione di un servizio (Cass. 872/2014). Per quanto riguarda la forma del contratto, la stessa è a forma libera (fanno eccezione gli appalti di navi o aeromobili di una certa stazza art. 237 e 852 c. nav.; gli appalti pubblici e quelli aventi a oggetto la costruzione di immobili sul suolo dell'appaltatore). Dalla regola della libertà di forma del contratto di appalto, scaturisce come conseguenza che il contratto potrà concludersi o verbalmente o anche per facta concludentia; ulteriore conseguenza è che il contratto potrà essere provato per testimoni (Cass. 22216/2009). La forma scritta ad probationem è prescritta dalla legge per le modifiche al progetto (art. 1659 comma 2 c.c.). Passando ora ad analizzare le differenze tra le tipologie sopra indicate, si evidenziano gli elementi caratterizzanti e discriminanti: • Appalto e vendita (di cosa futura) a) prevalenza del “dare” (compravendita), oppure del “facere” (appalto): valutazione se la prestazione dedotta in contratto è quella di fornire merce, oppure di svolgere un’attività diretta alla realizzazione di un’opera (Cass. 15368/2009; Cass. 20391/2008; Cass. 2161/1987); b) criterio sussidiario: valutazione della reale volontà espressa dalle parti (Cass. 11602/2002; Cass. 8445/2000); c) produzione “di serie” con normali e limitati adattamenti alle esigenze del cliente (Cass. 1726/2007; Cass. 6925/2001). In merito risulta interessante analizzare la sentenza n. 1103/2015 con cui la Suprema Corte ha affermato che si ha contratto di appalto e non contratto di vendita, quando, secondo la volontà dei contraenti, la prestazione della materia è un semplice mezzo per la produzione dell’opera, e il lavoro è prevalente rispetto alla materia. In altri termini: nel qualificare il contratto, è stato applicato correttamente il principio secondo il quale l’obbligazione di facere, che contraddistingue il contratto di appalto, assume rilevanza prevalente e decisiva rispetto a quella di dare che è tipica della compravendita. • Appalto e prestazione d’opera Per l’amministratore di condominio è frequente la stipulazione di contratti di appalto e contratti d’opera, quindi, per saper distinguere tra i due contratti è fondamentale cogliere le differenze. Infatti, entrambi i contratti possono avere per oggetto l'esecuzione di opere o servizi, tuttavia le maggiori

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differenze sono: a) atteggiamento mentale del committente: nell'appalto il committente ricerca la capacità organizzativa di un'azienda, in grado di svolgere opere con efficienza, velocità, tecnologia ed attrezzature adeguate. Trattandosi di opere di una certa dimensione, occorre anche considerare la necessità del committente di non caricarsi del rischio di cattiva esecuzione dell'opera anche da un punto di vista finanziario. Nel contratto d'opera, invece, spesso la materia è fornita direttamente dal committente, il quale ricerca nell'esecutore la sua maestria tecnica e la sua esperienza personale, spesso richiedendo che sia proprio "quella persona" ad eseguire l'opera. In pratica, generalmente, nell'appalto si guarda alla capacità di assunzione del rischio da parte di un'azienda, alla sua tecnologia e capacità esecutiva; nell'opera si cerca "il lavoro personale" di un determinato professionista o imprenditore; b) materia e opera: nell'appalto sono a carico dell'appaltatore mentre nell'opera la materia viene spesso fornita dal committente; quando la fornisce il prestatore, per aversi "opera" e non "appalto" occorre che il fare sia prevalente sul dare (cioè sul valore e sull'importanza della materia fornita); c) corrispettivo: nell'appalto, il corrispettivo da versare all'appaltatore viene spesso (prevalentemente) determinato "a corpo", in modo assolutamente indipendente dal tempo impiega-

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to dall'impresa appaltatrice, che resta quindi a suo rischio, mentre nell’opera, il compenso all'esecutore è spesso determinato proprio in funzione del tempo che ha impiegato; d) struttura del contratto parzialmente sovrapponibile; si tratta sempre di realizzare in autonomia e a proprio rischio un’opera o prestare un servizio verso un corrispettivo (Cass. 7606 /1999), la discriminante è data dall’organizzazione d’impresa e dalle sue dimensioni (Cass. 30407/2008; Cass. 10362/2005; Cass. 5451/1999; Cass. 9237/1997). e) esecuzione della prestazione si differenziano poiché nell’appalto l’attività si esplica con l’impiego di lavoro subordinato; nell’opera l’attività viene esercitata artigianalmente con il lavoro prevalente dello stesso prestatore d’opera (Cass. 19014/2010; Cass. 7307/ 2001; Trib. Modena 1250/2012).

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Un’altra sentenza della Suprema Corte (Cass. 15368/2009) ha indicato i criteri ermeneutici di distinzione fra compravendita e appalto o contratto d'opera non intelletuale. È stato stabilito (si veda sopra criterio sussidiario) che ai fini della differenziazione tra vendita e appalto o contratto d’opera non intelletuale, quando alla prestazione di fare, tipica dell’una, si affianchi quella di dare - caratterizzante gli altri - deve aversi riguardo alla prevalenza o meno dell’attività sulla materia, da considerare non in senso oggettivo, ma con riguardo alla volontà dei contraenti. Così nei singoli casi occorre accertare: se la fornitura della materia sia un semplice elemento concorrente nel complesso della realizzazione dell’opera, se tutte le attività a tale fine intese siano l’oggetto effettivo e prevalente dell’obbligazione assunta dal produttore- venditore, come nelle ipotesi di realizzazione di un opus unicum o anche di un opus derivato dalla serie ma oggetto di sostanziali adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario: nel qual caso si é in presenza di un contratto di appalto o d’opera. Oppure, se dette attività costituiscano solo l’ordinario ciclo produttivo del bene, che può anche concludersi con l’assemblaggio delle sue componenti presso il destinatario, onde è la sola consegna del bene stesso l’effettiva obbligazione del produttore-venditore, e in tale caso si è in presenza di un contratto di compravendita. Questa decisione è importante perché evidenzia la distinzione tra vendita ed appalto sulla scorta del criterio soggettivo, vale a dire della considerazione della volontà delle parti. Detta volontà può infatti avere ad oggetto il risultato del facere. L'aspetto oggettivo, dunque, non è ininfluente, dovendo tuttavia essere mediato dal predetto aspetto volontaristico (inteso come volontà delle parti).

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Prof. Arch. Annalisa Galante

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Membro del Centro Studi e Consulente Tecnico ANACI Lecco

Stazione di ricarica: come installarla in garage e incentivi Uno dei casi più frequenti in condominio è quello che riguarda l’installazione di una wall box (una stazione di ricarica per veicoli elettrici a muro) nel proprio garage privato che, però, ha l’allaccio per l’energia elettrica collegato a un contatore condominiale. Come fare in questi casi? Innanzitutto rivolgersi a una società specializzata nella progettazione e installazione di stazioni di ricarica che dovrà fornire una consulenza progettuale specifica a seconda del caso, nonché dichiarare la conformità dell’impianto e verificare le “portate” massime del contatore condominiale, nonché la necessità di aggiornamento del Certificato di Prevenzione Incendi (se l’autorimessa è soggetta alla redazione di tale documento) e ogni altro intervento che possa essere richiesto ai fini della sicurezza per i VVFF, anche secondo quanto previsto dalle recenti Linee Guida emesse dal Ministero dell’Interno(1). Il condòmino che intende installare una wall box nel garage di proprietà privata, ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi (comunque a sue spese) visto che si rendono necessarie eventuali modificazioni – anche se non rilevanti - delle parti comuni (corsello box, passerelle portacavi metalliche appese, contatore, ecc.). L'assemblea può prescrivere, con la maggioranza di cui al quinto comma dell’art. 1136, adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell'edificio. L'assemblea, con la medesima maggioranza, può subordinare l'esecuzione alla prestazione, da parte dell'interessato, di idonea garanzia per i danni eventuali arrecati alle parti comuni. Per quanto riguarda la potenza (normalmente 3,6 o 7 kW) e le spese di prelievo dell’energia per la ricarica, nella pratica, il contatore condominiale negli edifici costruiti prima degli anni ’80, spesso, veniva sovradimensionato rispetto alla copertura delle sole potenze dell’illuminazione dei garage, in questo caso risulta così possibile installare un contabilizzatore a monte dell’impianto del garage del condòmino che deve ricaricare per determinare e imputare le spese di energia elettrica relative. Nel caso in cui il contatore condominiale non sia dimensionato per supportare le potenze utili per la ricarica, sarà premura del condòmino interessato far installare, sempre a sue spese, un contatore dedicato.

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Bonus fiscali anche per le stazioni di ricarica condominiali con una detrazione del 50% fino a una spesa di 3.000 euro: ecco la novità della Finanziaria e alcune indicazioni su come installarla in garage

NOTE (1) Il Ministero dell’Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, ha pubblicato le Linee guida per l’installazione di infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici per: fornire indicazioni chiare a tutti i professionisti che si occupano della progettazione delle infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici, stabilire linee procedurali e di indirizzo comuni ai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco in tutta Italia, consentire lo sviluppo in sicurezza del mercato delle colonnine di ricarica. Le linee guida hanno effetto retroattivo e, quindi, anche le infrastrutture esistenti dovranno essere adeguate alle nuove prescrizioni. Si precisa che le infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici non rientrano fra le attività soggette ai controlli di prevenzione Incendi, ma ci ricadono qualora l'installazione di della colonnina avvenga in una attività soggetta al controllo.

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Incentivi fiscali Per l’installazione di stazioni di ricarica a uso privato, sono previsti sgravi fiscali del 50% fino a una spesa massima di Euro 3.000, è quanto prevede la Legge di Bilancio 2019 - Legge 30 dicembre 2018, n. 145 recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2018 e in vigore dal 1° gennaio 2019. Il comma 1039 inserisce, dopo l’articolo 16-bis del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, l'articolo 16-ter: «1. Ai contribuenti è riconosciuta una detrazione dall’imposta lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, per le spese documentate sostenute dal 1° marzo 2019 al 31 dicembre 2021 rela-

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tive all’acquisto e alla posa in opera di infrastrutture di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, ivi inclusi i costi iniziali per la richiesta di potenza addizionale fino ad un massimo di 7 kW. La detrazione di cui al presente comma, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, spetta nella misura del 50% delle spese sostenute ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a Euro 3.000. 2. Le infrastrutture di ricarica di cui al comma 1 devono essere dotate di uno o più punti di ricarica di potenza standard non accessibili al pubblico ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettere d) e h), del decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257. 3. La detrazione si applica anche alle spese documentate rimaste a carico del contribuente, per l’acquisto e la posa in opera di infrastrutture di ricarica di cui al comma 1 sulle parti comuni degli edifici condominiali di cui agli articoli 1117 e 1117-bis del codice civile». Quindi attenzione: salvo il caso del garage privato, nel caso si volesse accedere all'incentivo per installare una stazione di ricarica condominiale su parti comuni, questa deve essere posizionata all'interno degli spazi di proprietà del condominio e utlizzata esclusivamente dai condomini, ovvero non possono essere configurate per un uso pubblico.

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1. Ritiro regolare della corrispondenza presso il tuo studio + un numero di telefono a te dedicato per le urgenze a qualsiasi ora! (Tu e la tua segretaria non dovrete più perder temSR LQ ¿OD DOOD SRVWD 1RQ q ULFKLHVWD QHVVXQD TXDQWLWj PLQLPD 2. Servizio di Stampa e Imbustamento con pieno controllo sulle spedizioni (al contrario dei VRIWZDUH FKH WURYL VXL JHVWLRQDOL 3. Compilazione di TUTTA la modulistica, velina di partenza e ricevute di ritorno con la massima cura e precisione proprio come lo faresti TU! 4. Le raccomandate prevedono sempre DUE tentativi di consegna (se il destinatario fa ¿QWD GL QRQ DYHU YLVWR O¶DYYLVR GL JLDFHQ]D DQFKH WUH /H JLDFHQ]H YHQJRQR ULFRQVHJQDWH DO GHVWLQDWDULR VX DSSXQWDPHQWR FRQFRUGDWR VHYL]LR PROWR DSSUH]]DWR GD FKL ULFHYH OD UDFFRPDQGDWD 5. Le ricevute di ritorno sono nelle tue mani in 1 massimo 2 giorni successivi alla consegna! ( OD FRUULVSRQGHQ]D LPSRVVLELOH GD FRQVHJQDUH WL YLHQH UHVWLWXLWD FRQ OH PRWLYD]LRQL 5($/, FKH GHWHUPLQDQR O¶LPSRVVLELOLWj GL FRQVHJQDUH 6. Fatturazione D ¿QH PHVH GLYLVD SHU FRQGRPLQL 7. Hai ben 2 referenti dedicati: 1 per la tua corrispondenza, 1 per tutte le esigenze commerFLDOL H DPPLQLVWUDWLYH EDVWD FDOO FHQWHU FKH WL IDQQR SHUGHUH WHPSR


Geom. Simona Frigerio

IL PARERE TECNICO

Formatore di ANACI Lecco Esperta di Linee vita

Obblighi del proprietario nella manutenzione sistema anticaduta

La realizzazione di sistemi anticaduta in copertura nel rispetto nelle norme specifiche non mette al riparo il proprietario/conduttore dell’immobile da future responsabilità in caso di incidente e infortunio

La realizzazione di sistemi anticaduta in copertura nel rispetto nelle normative specifiche non mette al riparo il proprietario/ conduttore dell’immobile da future responsabilità in caso di incidente e infortunio, ma durante la gestione temporale del fabbricato, è il primo di molti step che coinvolge direttamente o indirettamente quest’ultimo. La normativa a riguardo si diversifica nelle varie regioni italiane, avendo alcune di esse specificatamente legiferato in materia, mentre per le rimanenti rimangono valide le norme di settore nazionali. Andiamo a sintetizzare di ciò che concerne la manutenzione sistema anticaduta in condizioni di utilizzo ottimale e in sicurez-

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za e quali sono quindi i soggetti coinvolti. Il proprietario/conduttore dell’immobile è il responsabile della gestione del sistema la cui documentazione sarà stata consegnata dal progettista (Coordinatore se nominato o Direttore dei Lavori) secondo quanto prevede la norma geografica di riferimento, unitamente all’allegato libretto di uso e manutenzione rilasciato dall’installatore e cioè dal soggetto (qualificato) che ha eseguito materialmente la posa in opera del sistema anticaduta. All’interno del libretto saranno altresì indicate tempistiche e metodologie per la verifica la manutenzione e la cronologia di queste operazioni, che rimarranno poi annotate ufficialmente dal manutentore intervenuto. Anch’egli dovrà dimostrare al proprietario/conduttore i requisiti specifici di qualifica all’intervento (oltre a quanto previsto dalla normativa in merito all’idoneità tecnico professionale). La buona cura e il rispetto di quanto sopra descritto garantirà quindi all’operatore di intervenire in condizioni di sicurezza sulla copertura dell’edificio. Va premesso che i sistemi anticaduta per i lavori in copertura devono essere utilizzati nei cosiddetti lavori di breve periodo e, comunque, nell’ottica delle manutenzioni ordinarie fisiologiche per il corretto mantenimento delle condizioni di sicurezza della copertura e/o per interventi per esempio su: • verifica delle tegole e dei relativi canali di gronda; • riparazioni necessarie a garantire la perfetta integrità dei manti di copertura e delle strutture portanti; • pulizia delle coperture a tetto piano e delle relative griglie di raccolta acque piovane; • verifica e riparazione dello strato di copertura e del manto impermeabilizzazione; • impianto antenna televisione/condizionamento. I sistemi anticaduta non possono essere utilizzati per interventi sostanziali di manutenzione straordinaria della struttura per i quali, trattandosi di interventi in quota maggiore di 2 m dal piano di calpestio, il proprietario/ conduttore dovrà tener presente come la normativa e la consolidata giurisprudenza indicano l’obbligo di installazione di Dispositivi di Protezione Collettiva (es. ponteggi) a esclusione dei casi in cui sia dimostrabile, tramite una specifica valutazione dei rischi, che possono essere utilizzati anche sistemi anticaduta (composti da un insieme di Dispositivi di Protezione Individuale). L’intervento spot o di breve durata per la manutenzione ordinaria in copertura risulta essere ovviamente uno dei più comuni lungo tutta la vita della struttura.

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Dott.ssa Vanda Basile

IL PARERE TECNICO

Tecnica esperta di defibrillatori

Arresto cardiaco e defibrillatore in condominio

La realizzazione di sistemi anticaduta in copertura nel rispetto nelle norme specifiche non mette al riparo il proprietario/conduttore dell’immobile da future responsabilità in caso di incidente e infortunio

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L’arresto cardiaco è una situazione clinica improvvisa caratterizzata dall’assenza o dall’inefficacia dell’attività cardiaca. In Italia ogni anno ci sono circa 70.000 decessi causati dall’arresto cardiaco; i fattori di rischio sono di diversa natura, il fumo, l’obesità e la predisposizione genetica sono i principali tuttavia oltre il 50% delle vittime non aveva sintomi precedenti di malattia coronarica. Oltre alle difficoltà a prevenire questa patologia un altro problema riguarda la difficoltà nell’intervento in quanto i tempi utili sono molto ristretti, infatti un intervento entro 5 min può infatti aumentare il tasso di sopravvivenza fino al 75%, ogni minuto che passa i tassi di sopravvivenza diminuiscono del 10-12% e aumentano i rischi di danni neurologici dovuti dall’assenza di ossigeno al cervello. Alla luce di questi dati si capisce che aspettare l’intervento del 118 non è sufficiente per salvare la vita a una persona colpita da arresto cardiaco, ma bisogna intervenire il prima possibile per cercare di ripristinare un corretto ritmo cardiaco. La maggior parte dei ritmi cardiaci di arresto cardiaco improvviso sono dovuti alla fibrillazione ventricolare e l’unico strumento in grado di ripristinare un ritmo cardiaco efficace è il defibrillatore. Negli ultimi decenni i defibrillatori hanno avuto uno

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IL PARERE TECNICO

sviluppo incredibile passando da essere delle macchine molto complicate destinate a uso esclusivamente medico a macchine sofisticate, ma molto semplici il cui utilizzo è alla portata di tutti. Gli attuali defibrillatori automatici di ultima generazione sono, infatti, in grado eseguire una diagnosi estremamente accurata del paziente verificando la necessità di effettuare la defibrillazione e di calcolare l’intensità della scossa in base alla persona che si trovano di fronte. Grazie alla loro semplicità di utilizzo i defibrillatori stanno trovando sempre più spazio all’interno delle nostre città; oltre a essere obbligatori in tutti i luoghi dove viene praticata attività fisica anche a livello amatoriale (Decreto Balduzzi del 20 luglio 2013), li troviamo sempre più spesso anche in luoghi di aggregazioni come stazioni o piazze. Il luogo dove però si concentra la maggior parte dei casi di arresto cardiaco è il condominio con una percentuale del 70%: avere un defibrillatore in condominio può fare la differenza tra la vita e la morte. I condomini molto spesso sono a conoscenza dell’importanza del defibrillatore tuttavia sono spaventati (ingiustamente) dal contesto normativo, cerchiamo di fare chiarezza su alcuni punti: • l’uso del defibrillatore per il personale non medico è un atto volontario; • l’unico obbligo per un soccorritore è quello di chiamare il 118. La diagnosi circa la necessità o meno di effettuare la defibrillazione è effettuata dalla macchina, quindi il

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soccorritore laico non corre alcun rischio circa la possibilità che gli venga attribuito l’esercizio abusivo della professione medica (art. 348 c.p.). Le ultime innovazioni nei prodotti in commercio - che devono essere garantiti - consentono di avere sistemi con la scarica personalizzata a energia incrementale, che garantisce la massima efficacia della scarica in base al caso e secondo i parametri della persona colta da malore, inoltre alcune sofisticate tecnologie sono in grado di guidare tanto un soccorritore esperto quanto un soccorritore senza esperienza: le istruzioni, vocali e scritte, si adattano in tempo reale alla velocità dell’intervento in corso. I nuovi elettrodi guidano il soccorritore alla migliore Rianimazione Cardio Polmonare: la tecnologia dei sensori di movimento permette ai soccorritori di ricevere istruzioni vocali immediate qualora la velocità e la profondità delle compressioni RCP praticate non rientrino nei parametri accettabili stabiliti da ERC/AHA nel 2015.

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Dott.ssa Raffaella Figini

IL PARERE FISCALE

Dottore Commercialista e Consulente fiscale del Centro Studi diANACI Lecco

Verifica fatture elettroniche passive e bonus fiscali 2019 Preliminarmente non è ancora chiara la posizione dell’Agenzia delle Entrate. Se da un lato equipara il condominio al soggetto privato, come consumatore, dall’altro lato la stessa Agenzia delle Entrate ha dichiarato che da febbraio sarà implementato il portale dell'Agenzia delle Entrate per garantire l'accesso a ciascuna utenza di lavoro tramite le credenziali di accesso Fisconline dell'amministratore. Recentemente l'Agenzia delle Entrate ha comunicato che non è possibile accedere alle utenze di lavoro dei singoli condomini attraverso le credenziali dell'amministratore di condominio. Una delle tante conseguenze dell’introduzione delle fatture elettroniche a carico degli amministratori di condominio è il cambiamento delle modalità di verifica delle fatture da ciclo passivo a carico dei condomini. Partiamo dalla situazione ante Fattura elettronica. L’amministratore ha sempre verificato le fatture ricevute fossero corrette, prima di procederne al pagamento e alla successiva archiviazione. L'amministratore, in qualità di committente, provvedeva a verificare la regolarità formale delle fatture, ex art. 21, c. 2 DPR n. 633/72 con riferimento agli elementi fondamentali delle fatture ricevute, ed in caso di difformità, l’amministratore ha sempre provveduto ad inviare contestazioni ai fornitori, anche perché la correttezza dei documenti giustificativi rientrano nei “criteri di buona amministrazione”. A parere di chi scrive, l’avvio della fattura elettronica non cambia questo ruolo dell’amministratore, che pertanto non può limitarsi a ricevere la copia analogica della fattura elettronica trasmessa dal fornitore. Il controllo della fattura deve basarsi anche sulla regolarità formale della fattura ricevuta. Al privato viene inviata copia analogica della fattura, ma l’unico documento fiscalmente valido resta la fattura elettronica in formato digitale. La copia analogica non consente di verificare se la fattura elettronica è stata regolarmente trasmessa allo SDI da parte del fornitore, ne che sia l’esatta copia della fattura elettronica effettivamente trasmessa. La verifica della sola fattura analogica comporta di incorrere in eventuali responsabilità connesse all'emissione di una fattura irregolare. Pensiamo al caso in cui la copia analogica è diversa da quella inviata al sistema di interscambio (è sufficiente che venga trasmessa prima o contestualmente all’invio allo SDI, salvo poi rettificarla in caso di errori o addirittura essere respinta dallo SDI). L’amministratore si troverebbe ad aver effettuato un pagamento in assenza di fattura.L’unica fattura fiscalmente rilevante è quella elettronica. La questione non è banale, se si pensa magari al caso che la fattura “inesistente” o “inesatta” può essere relativa ai lavori di ristrutturazione per i quali l’amministratore è tenuto a rilascia-

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Una delle conseguenze delle fatture elettroniche a carico degli amministratori di condominio è il cambiamento delle modalità di verifica delle fatture da ciclo passivo

re apposite certificazioni. L'amministratore si troverebbe costretto a rendicontare una spesa in assenza di fattura; in caso di controllo automatizzato, in presenza di detrazione di tale spesa da parte del condomino, comporterebbe una responsabilità in capo all’amministratore per scostamento dei dati dichiarati. Di conseguenza, l’amministratore non può che verificare la regolarità della fattura elettronica inviata dal fornitore allo SDI. Occorre pertanto verificare che la copia analogica della fattura sia identica a quella inviata, in formato xml allo SDI dal fornitore. Come fare? Diverse sono le scelte che può compiere l’amministratore in merito alla modalità di ricezione delle fatture. a) comportarsi da privato, e quindi non comunicare nulla all’Agenzia delle entrate.

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IL PARERE FISCALE

Il fornitore indicherà “0000000” come codice destinatario e la fattura finisce nel cassetto fiscale del condominio, visualizzabile nel cassetto fiscale. In tal caso occorre munirsi di pin personale Fisconline in qualità di rappresentante legale, da richiedere all’Agenzia delle Entrate (scaricabile dal sito); solo gli amministratori che rientrano nelle figure elencate nell'art. 15 decreto 31 luglio 1998, possono usufruire del canale Entratel. Le prime quattro cifre del pin vengono comunicate subito, le altre quattro arrivano all’indirizzo indicato nella delega. Nell'ipotesi di cambio dell'amministratore sarà cura del subentrate rifare la procedure per disabilitare il precedente pin e richiedere l'emissione del suo nuovo pin personale. b) comunicare il codice SDI del gestionale in questo caso, tutte le fatture vengono riportate nel gestionale. In caso di subentro, occorre disattivare tale codice. c) comunica l'indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), la fattura sarà inviata tramite sistema di interscambio direttamente all'indirizzo di posta certificata, in formato xml, dopo essere stata verificata dal Sistema, nei cinque giorni successivi alla trasmissione. Essendo lo SDI che trasmette la fattura, la stessa è già stata controllata. Dal punto di vista pratico: lo studio organizzato, con molti condomini, nella più parte dei casi si affiderà ad un gestionale (a pagamento). Lo studio in fase di crescita, onde evitare di sostenere costi aggiuntivi, può tranquillamente dotarsi di pec. Ricordiamoci sempre il problema è la conservazione delle fatture elettroniche (da non confondersi con la conservazione del documento analogico). Ai sensi dell'art. 1130 bis c.c., devono essere custoditi, per dieci anni dalla data della registrazione. I documenti devono inoltre essere consultabili da parte dei condomini. Il metodo migliore è

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utilizzare il servizio gratuito "Fatture e corrispettivi" dell'Agenzia delle Entrate, previa adesione all’accordo, direttamente dal sito dell’Agenzia delle Entrate. In alternativa è possibile utilizzare le piattaforme (a pagamento) messe a disposizione delle varie software house, normalmente messe a disposizione dai vari gestionali. In ogni caso i file xml riferiti alle fatture elettroniche possono essere esibiti e trasmessi dall'amministratore ai condòmini in via telematica, o stampati dietro loro richiesta, in ottemperanza agli obblighi di legge. Visto che l’intento del legislatore è di eliminare la carta e digitalizzare tutto, l’amministratore non può che adeguarsi dotandosi di PC collegato a internet e/o di posta certificata.

Detrazioni fiscali La legge di Bilancio fresca di approvazione ha prorogato per un altro i bonus in scadenza lo scorso 31 dicembre, confermando in pieno tutte le regole e le percentuali di detrazione della precedente manovra. A conti fatti, tali detrazioni sono “piaciute” agli italiani che hanno attivato investimenti per quasi 300 miliardi di euro dal 1998 a oggi. Rivediamo i punti principali: • bonus sul recupero edilizio: inalterata la detrazione del 50% su una spesa massima di 96mila euro per unità immobiliare. I lavori agevolati (se iniziati non prima del 2018) consentono di usufruire anche del bonus mobili, che consente la detrazione del 50% sull’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici efficienti destinati all’immobile ristrutturato (spesa massima euro 10.000 su ciascun intervento). L’Agenzia è precisato che è rinnovabile a patto che si proceda con ulteriori lavori, ma gli stessi devono almeno essere di natura straordinaria; il bonus arredi non spetta se abbinato all’ecobonus; • ecobonus prevede una detrazione (Irpef o Ires) del 65%, con massimali variabili in base al tipo di lavoro green che può salire al 70 o 75% per le coibentazioni nei condomìni; • bonus verde, con la detrazione Irpef del 36% sulle spese sostenute per la «sistemazione a verde» di aree scoperte private quali balconi, cortili e giardini, su un massimo di spesa di 5 mila euro, compresi i costi di progettazione e manutenzione; Per i contribuenti irpef, vale il principio di cassa, ovvero il momento del pagamento (effettuato prevalentemente con bonifico bancario). Non è importante ne la data dei lavori ne la data della fattura. Di conseguenza (salvo ulteriori proroghe) i lavori devono essere pagati entro il 31.12.19. Unica eccezione sono gli interventi di riqualificazione energetica sulle parti condominiali e il sismabonus che prevede un termine più lungo (ovvero la fine del 2021). Si ricorda infine che è possibile cedere la detrazione Irpef, sotto forma di credito d’imposta, alle imprese esecutrici o a soggetti privati (escluse banche e intermediari finanziari). Anche se tale soluzione non ha trovato molto successo.

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