Annuario 2010

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SANDRO CARPINETA (*)

DISAGIO PSICHICO La montagna come terreno per un possibile incontro (**)

Siamo sempre alla ricerca dell’essenza delle cose, vogliamo sempre capire il perché di tutto, il come mai accadono, cosa ci spinge in questa o quella direzione. E se questo è vero per ogni attività dell’uomo, è vero anche per l’andare per monti, indipendentemente dal livello, assiduità, modo con cui questa frequentazione avviene. Passeggiare, superare il limite, fotografare animali, difficili concatenamenti, notte sotto le stelle, gita sulla neve con le ciaspole….. ritroviamo sempre la stessa magia, o per meglio dire ognuno trova la “sua magia”, e questo indipendentemente (per parafrasare Terray) da quale “sua personale preziosa inutilità sta conquistando”.

dice di sì, ma è necessario capire il perché, esplorare e trovare una dimensione teorica che sostenga quest’affermazione. Il corpo, la mente, la relazione con l’altro, le emozioni; li conosciamo come principali fondamenti al nostro essere donne e uomini. Ma facendo un grande (è poi cosi grande?) salto in avanti possiamo anche dire che sono ampie cornici all’interno delle quali ipotizzare specifici interventi in persone con disagi psichici o vere e proprie patologie psichiatriche. Proviamo a cogliere alcuni aspetti. Un elemento centrale è rappresentato dal corpo, quel corpo spesso abbandonato o negato nella patologia psichiatrica qui viene riscoperto, riappropriato; questo accade nel movimento, attraverso la fatica, nel misurasi con gli elementi atmosferici, nel confronto con la verticalità, nel raggiungimento di una meta. Il tutto in un ambiente naturale, poco modificato dall’uomo e ricco di stimoli diversi ed essenziali; l’ambiente impone ritmi e limiti, la persona diventa parte di una realtà che scorre, che costringe ad acquisire conoscenze non meramente tecniche ma integranti, come l’orientamento, i nodi, la meteo, la flora, ecc.. L’ambiente porta, quasi obbliga con naturalezza, a riscoprire la manualità, l’uso di sé e dei propri sensi in maniera compiuta, i rapporti con chi è “lì ed in quel momento”.

Cosa è questo gioco, che parte di noi entra in gioco? Di certo la nostra dimensione fisica, la fatica, i sensi, il piacere del movimento, verticalità e vertigini, riposo e tramonto; ma anche il piacere della solitudine per ritrovare l’altro, le chiacchiere la sera al rifugio, la corda che lega in parete, la solidarietà. Tutto unito, indispensabilmente catalizzato, dalle emozioni, vero motore della nostra vita psichica. Quindi corpo e movimento, risonanza con l’ambiente e con l’altro, dimensione emotiva e psicologica. Come in qualsiasi altra attività umana (forse più che in altre!) questi tre elementi sono presenti; e questo indipendentemente se vengono agiti sul facile sentiero nel bosco vicino casa o in piena difficile parete himalayana.

E queste esperienze vengono vissute in gruppo, gruppo che diventa uno spazio dove è possibile sperimentare la solidarietà, la cooperazione, la relazione anche come aiuto; dove sono condivisibili le emozioni, e sostenibili le paure, dove assieme e senza competizione è possibile indagare il “fino a dove posso arrivare” ed essere sostenuti nell’accettare l’idea che “più di questo non posso fare, per lo meno oggi”. Ogni persona diventa un anello importante all’interno del gruppo, impara ad affidarsi agli altri ma anche ad essere lui in prima persona responsabile della sicurezza degli altri; ed a questo proposito quanto la corda e le manovre di assicurazione assumono una forte pregnanza simbolica!

Ed è altrettanto innegabile, senza scomodare complesse teorie mediche, che tutto ciò è sano, salutare (nel senso più nobile del termine latino salus che rimanda anche ai concetti di benessere, integrità, vita, salvezza, mantenimento dell’esistenza …); sano per il corpo, per la mente, per lo sviluppo dell’”uomo sociale e culturale”. E qui il passo è breve, ed obbligatorie sono alcune domande! Se la montagna può dare benessere, la stessa montagna può essere praticata per l’aiuto a persone con specifiche difficoltà? Ed in particolare la montagna ha un rapporto “privilegiato” con la dimensione psicologica dell’uomo? Può essere addirittura strumento di terapia e riabilitazione per persone che presentano un disagio psichico? L’esperienza di questi anni ci

Corpo, ambiente, gruppo. Tutto viene integrato dall’emozione, che permette un costante rimando alla dimensione del sé, alla propria percezione di “esserci”, alle parti dell’io che possono ricomporsi tra 17


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