L'INDIPENDENTE - Anno I, Numero 2 (luglio 2021)

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Anno I • Num. 2 • Luglio 2021

Il ponte sullo stretto: tra sprechi e scelte politiche, ma sono ancora tante le carenze infrastrutturali... 312 milioni di euro. Ad oggi le attività progettuali relative al Ponte sullo Stretto di Messina sono costate tanto. Il dato è riscontrabile sui documenti della Corte dei Conti che, annualmente, ricorda come la Società concessionaria per la progettazione e la costruzione dell’infrastruttura sia in liquidazione dal 2013. D’altronde la Stretto di Messina Spa, benché in liquidazione ormai da otto anni, continua a costare alle casse pubbliche 1500 euro al giorno. Per avere un’idea certa degli sprechi generati dal progetto, a questi conti, andrebbero aggiunte le somme spese prima del 1981, data di costituzione della Società. Inoltre, in seguito alla caducazione del Ponte (interruzione dell’iter ndr), sono pendenti i ricorsi di Eurolink Spa, la cordata d’imprese con a capo Impregilo (oggi Salini) General Contractor. Eurolink ha chiesto ben 700 milioni di euro di risarcimento. Infrastrutture: guardiamoci intorno. Lo sperpero di risorse pubbliche è, insomma, palese, ma risulta ancora più scandaloso visto e considerato lo stato di salute cui versano le infrastrutture stradali e ferroviarie dell’isola, il progressivo smantellamento del trasporto ferroviario a lunga percorrenza e il dissesto idro-

I limoni producono nanovescicole dagli effetti terapeutici: la scoperta di un gruppo di ricercatori palermitani

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geologico cui è sottoposto il territorio siciliano. Criticità queste, cui, se ci si mettesse mano, permetterebbero di impiegare, con maggiore utilità e occupazione per i siciliani, risorse fino ad oggi assegnate ad un’opera sulla quale rimangono non pochi dubbi insoluti sulla sua realizzabilità. Il Ponte sullo Stretto viene raccontato come il tratto mancante per fare giungere l’Alta Velocità in Sicilia. Ma è solo uno specchietto per le allodole poiché la rete ferroviaria siciliana non sarebbe in grado di supportare i treni ad Alta Velocità e gli investimenti previsti per almeno i prossimi 10 anni si riferiscono ad un ammodernamento delle linee che non ha nulla a che vedere con quella ti-

pologia di convogli. D’altronde, basta consultare il sito di Trenitalia per verificare che da Messina a Trapani (350 chilometri) ci si mette non meno di 8 ore e percorrere l’autostrada Messina-Catania per rendersi conto che lunghi tratti sono ancora ad un’unica corsia. A che punto siamo? Di recente, la Commissione istituita dal Governo Conte bis per portare a verifica la fattibilità e i vantaggi delle varie modalità di attraversamento dello Stretto di Messina (ponte sospeso, tunnel, potenziamento della flotta) ha pubblicato la propria Relazione conclusiva, consegnata al Parlamento della Repubblica. Nel confermare la scelta dell’attraversamento sta-

bile appare evidente come il passaggio successivo sia la ripresa della progettazione. Viene però bocciato il Ponte a campata unica su cui è stata basata la narrazione politica dei pontisti negli ultimi 20 anni, a favore di un’infrastruttura a più campate. Un salto ingegneristico anomalo. Nei fatti la Commissione ha messo nero su bianco l’evidenza che tra i ponti sospesi attualmente costruiti la campata unica più lunga (Ponte di Akashi in Giappone) è di 2 Km e si tratta di un ponte stradale, mentre tra quelli anche ferroviari la campata più lunga (Yavuz Sultan Selim in Turchia) è di appena 1,4 Km. [ ... ] ...continua a pag.3

icco di vitamina C e potente antiossidante, contiene nel suo succo vescicole microscopiche in grado di proteggere cuore e arterie. Il limone e i suoi piccolissimi sacchetti, di dimensione compresa fra i 50 e 70 nm, utilizzati dalle cellule per comunicare tra loro, cariche di acidi nucleici, proteine, elementi biologici, sono i protagonisti della scoperta dei ricercatori palermitani di Navhetec. A raccontarci la scoperta delle nanovescicole, Alice Conigliaro, co-fondatrice della startup: «Studiando queste vescicole nel campo dell’oncologia sperimentale, ad un certo punto notiamo che la produzione di vescicole avviene anche nel regno vegetale». L’interesse per gli agrumi spinge il gruppo di ricercatori, uno Spinoff del Dipartimento di Biomedicina dell’Università di Palermo, a verificare se queste vescicole potessero essere contenute anche nel succo di limone. «Siamo stati fortunati – racconta la ricercatrice Utilizzando il nostro know how per le vescicole in ambito animale siamo riusciti facilmente a identificarle». [ ... ] ...continua a pag. 3



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Il ponte sullo stretto: tra sprechi I limoni producono nanovescicole dagli effetti terapeutici: e scelte politiche, ma sono ancora la scoperta di un gruppo di ricercatori palermitani tante le carenze infrastrutturali... [ ... ] Una volta identificate, nel 2015, la ma anche su animali, hanno dimostrato del colesterolo nei soggetti sani e una ri[ ... ] Come non dubitare del “salto” ingegneristico con quello che dovrebbe attraversare lo Stretto di Messina (3,3 Km)? D’altronde la soluzione proposta dalla Commissione (ponte a 3 campate) presenta tutte le incognite di piloni posti a 150 metri di profondità, in un tratto di mare con correnti fortissime, sulle faglie sismiche dello Stretto. Resta il forte dubbio, in molti siciliani, che questo ponte più che una grande opera sia un dispositivo politico e finanziario teso a trasferire risorse dal pubblico alle tasche di pochi grandi contractor. Un forte No al ponte proviene oltretutto da numerose associazioni ambientaliste.

caratterizzazione proteomica in laboratorio. «Abbiamo anche fatto degli studi funzionali – spiega Conigliaro - abbiamo cioè visto quali erano gli effetti di queste vescicole. Siamo rimasti colpiti dai risultati ottenuti in laboratorio. Gli esperimenti in vitro - su colture cellulari ndr -

LUIGI STURNIOLO

come queste vescicole abbiano un effetto di inibizione della crescita specifico e selettivo per le cellule tumorali». Da lì l’idea di creare una startup e il brevetto di un nutraceutico, utile per prevenire patologie come diabete e ipercolesterolemia, in collaborazione con l’azienda palermitana Agrumaria Corleone. Intanto i trials sono andati avanti coinvolgendo anche un gruppo di pazienti «abbiamo fatto un primo studio clinico su soggetti con rischio cardiocircolatorio, e un gruppo con pazienti sani». Da quest’ultimo gruppo è venuto fuori il primo risultato sull’uomo: una riduzione

duzione della circonferenza del giro vita. «Per quanto riguarda il rischio cardiocircolatorio siamo ancora in fase di analisi, – spiega la ricercatrice palermitana - il quadro è un po’ più complesso. Purtroppo, con il covid abbiamo avuto un rallentamento nella consegna dei risultati. Il nostro obiettivo adesso è quello di testare gli effetti delle nanovescicole su diverse tipologie di infiammazione cronica». Potrebbero quindi nascere degli integratori, non sostitutivi, ma a supporto delle terapie convenzionali. MARIA VERA GENCHI

Perché la Sicilia dovrebbe curare le proprie relazioni commerciali estere C’

era una volta, in Italia, il “Ministero per il Commercio Estero”, poi dissolto nel Ministero per lo Sviluppo Economico. Perché gli Stati talvolta sentono il bisogno di costruire una propria struttura amministrativa specificamente dedicata a questo settore? Il punto è che la “Ricchezza delle Nazioni” è fondamentalmente influenzata dai rapporti di scambio di beni e servizi che il sistema economico ha nei confronti dell’esterno, in breve dalla bilancia commerciale e, più in generale, dalla bilancia dei pagamenti. Gli scambi esterni, in linea di principio, sono fondamentali per lo sviluppo economico, perché ingenerano innovazione, aprono mercati di sbocco più ampi, e consentono anche di acquistare a più buon mercato beni e servizi la cui produzione “in patria” non è molto economica. Ma gli scambi non sono tutti sempre vantaggiosi, o egualmente vantaggiosi. Accanto a quelli propulsivi, ci sono quelli sbilanciati o coloniali, in cui il paese subalterno svende le proprie migliori risorse e importa, a caro prezzo, tutto dal paese colonizzatore, il quale tra l’altro impedisce la crescita dell’impresa locale. Per questa ragione gli stati intervengono, per cercare di favorire le migliori condizioni di rapporti commerciali con l’estero. E, per farlo, non possono bene avvalersi né delle strutture preposte al governo delle attività economiche interne, né alla diplomazia propriamente detta. L’Italia, man mano che è stata “conquistata” dall’Unione Europea, ha affidato gli aspetti istituzionali (dogane, cooperazione, legislazione), al livello europeo, ma non per questo ha cessato di svolgere una politica commerciale propria. Perché? Perché comunque, al di là delle leggi e dei

trattati, gli accordi commerciali sono frutto di negoziazioni di diritto privato e della presenza di struttura di interfaccia nelle trattative commerciali, in cui ogni stato non può che difendere i propri interessi. Non stiamo qui a dire se l’Italia governi bene oggi questo ambito. Ciò di cui siamo, invece, sicuri è che l’Italia non considera il “prodotto siciliano” come strategico per la politica commerciale internazionale. Da sempre, infatti, il “Mezzogiorno”, nel quale la Sicilia è inserita, è considerato un affare di pura politica economica interna. All’estero ci devono pensare “gli altri”, la “parte avanzata del Paese”, come ipocritamente si suole sempre dire. In una parola… lo Stato non rappresenta e non difende il prodotto siciliano. Da qui la necessità della Sicilia, sia pure in un quadro istituzionale che non può cambiare nel breve termine, di pensare a sé stessa. La Regione ha il dovere di mettere, strategicamente ed operativamente, la politica commerciale all’interno della propria agenda politica. Con quali funzioni? Ad avviso di chi scrive, tre: promozione del “brand” Sicilia nei mercati esteri, soprat-

tutto nei beni/servizi per i quali i siciliani sono particolarmente vocati, intermediazione diretta o facilitazione di incontri tra grandi operatori commerciali esteri e operatori economici siciliani, per mezzo di una vera e propria “diplomazia economica” specializzata allo scopo, creazione o promozione di “consorzi” tra piccoli e medi produttori, che parlino a una voce sola nel grande mercato internazionale, aumentando così il potere contrattuale. Non si può certo creare un Ministero/Assessorato regionale se neanche lo Stato italiano ce l’ha. Ma senz’altro investire di questa responsabilità un Dipartimento di “Relazioni Esterne”, direttamente sotto la Presidenza della Regione. Ci provò Cuffaro, in verità, con le “Case Sicilia”. Operazione gestita clientelarmente, ma non errata in principio. Le “Relazioni esterne” possono benissimo occuparsi tanto di relazioni politiche e culturali, quanto economiche e commerciali, in stretta cooperazione con il servizio di UnionCamere Sicilia, già sotto il controllo della Regione. E, per non pesare troppo sul bilancio regionale, si può avere un sistema di controllo in cui si pongano a confronto i benefici sul PIL regionale della loro attività con il loro costo e se ne ponga la gestione e il finanziamento in parte a carico delle stesse realtà consortili che beneficerebbero della loro azione. La Sicilia ha tanti giovani preparati che potrebbero essere fiore all’occhiello di questa diplomazia commerciale. E se non se ne occupano i siciliani di loro stessi, chi lo farà mai? Il Governo della Repubblica? Campa cavallo… MASSIMO COSTA



La rivoluzione parta dalla domanda: «A cu’ apparteni?» N ell’attesa che le cose cambino, i siciliani di ogni dove, sono già investiti del potere di cambiare le cose. Come? Facendo la spesa. Modificando un piccolo, grande gesto quotidiano e rendendolo rivoluzionario. In altre parole: consumando con metodo. Molto spesso diffidenti verso gli ultimi arrivati, seduti di fronte ai portoni, gli anziani dell’isola chiedono ai volti poco noti: «A cu’ apparteni?» per capire se fidarsi, aprirsi, oppure no. Questa domanda andrebbe posta non soltanto alle persone ma anche e soprattutto ai prodotti e servizi che vengono acquistati. Non sempre è necessario domandare ad alta voce. Molto spesso basta chiedere in silenzio

all’etichetta del prodotto che si sta stringendo fra le mani: «da dove vieni? A cu’ apparteni?» L’esercizio che qui si consiglia non è fine a sé stesso: la Sicilia ha parecchi problemi, uno fra questi il basso reddito pro-capite e la mancanza di opportunità lavorative. Consumare prodotti e servizi siciliani consente di far rimanere reddito e lavoro nell’isola. E se rimangono questi due, anche un terzo elemento, ovvero le persone hanno più opportunità di rimanere o ritornare. Comprare siciliano è facile: durante la pandemia sono nati diversi siti di e-commerce specializzati esclusivamente nel Made in Sicily, forti di communities da migliaia di followers su Facebook. Al supermercato

basterebbe leggere l’etichetta e al bar, al «che birra avete?» aggiungere l’aggettivo “siciliana”. E così via con latte e mozzarelle del ragusano e catanese, col tonno del trapanese e siracusano, le acciughe di Sciacca ed Aspra, il vino (anche con bollicine) di tutte le cantine siciliane, i capperi di Pantelleria e le Eolie, la pasta di Mazara del Vallo, il pomodoro e la passata del sud-est. Questo gesto, oltre ad essere di per sé positivo per l’economia locale, sarebbe anche di buon esempio per altri siciliani e amanti della Sicilia che potrebbero a loro volta metterlo in atto, dando luogo a un circolo virtuoso. E così se un’azienda siciliana aumenta le vendite, crescono a loro volta: i ricavi,

gli stipendi, i dipendenti. Aumentano i fornitori e i clienti. Cresce la domanda di servizi, manutenzione, certificazioni, progetti. E via via finché queste persone, che diventano più ricche e sempre più numerose, decidono più spesso di: alloggiare presso un hotel sulla costa di un’altra località siciliana, andare al ristorante, comprare per negozi. Sempre, si capisce, porgendo(si) la solita domanda: «A cu’ apparteni?» DARIO ANTONIO VETRANO

Arancino vs Arancina. L’Accademia della Lingua Siciliana: «Un’inutile diatriba» D

a tempo sui social si discute se sia più corretto dire “arancino” (arancinu in siciliano) o “arancina”. Sulla questione sono intervenuti anche degli esperti linguisti e persino l’Accademia della Crusca; ma, secondo noi, hanno creato più confusione che altro. Vediamo di fare chiarezza su una diatriba che, a nostro parere, è posta male e, in fin dei conti, non ha alcun motivo di esistere. Se proprio si deve indagare per verificare se sia più corretto il termine al maschile o quello al femminile, bisogna prima capire in quale idioma tale termine è nato. Se il nome di questa prelibatezza è stato coniato originariamente in lingua italiana e significa "piccola arancia", allora in italiano sarebbe più corretto dire "arancina". Infatti in italiano il frutto dell'arancia è femminile. Se, invece, il nome originariamente è nato in lingua siciliana, allora non vuol dire piccola arancia perché in siciliano piccola arancia non si dice arancinu né arancina ma piuttosto aranciteddu. In siciliano il termine arancinu esiste ed

è un aggettivo che vuol dire "dorato". Sarebbe, dunque, un aggettivo sostantivato, appioppato alla prelibatezza in questione in virtù della doratura della sua parte esterna, ottenuta col processo di frittura. In questo caso, entrambe le versioni possono considerarsi corrette, essendosi originate quella al femminile dall'accostamento

a un nome femminile (probabilmente badda, badda arancina = palla dorata) e quella maschile dall'accostamento a un nome maschile; entrambi i nomi, per abbreviare, sono poi scomparsi ed è rimasto l'aggettivo usato come sostantivo. Però, dato che questa pietanza è stata inventata probabilmente nel secolo XIX (non esiste alcuna attestazione scritta precedente al 1800), non è da escludere l'origine italiana del termine. Ma anche fosse così, di fronte ad un uso oramai diffuso e consolidato dei due termini nelle diverse aree, perché si dovrebbe pretendere di giudicare corretto l’uno e scorretto l’altro? Probabilmente è la stupida rivalità campanilistica tra Palermo e Catania ad aver acceso il dibattito e a pretendere la supremazia dell’una o dell’altra versione. Impariamo, invece, ad aprirci e ad accettarle entrambe come corrette, così come facciamo, ad esempio, con orecchio e orecchia. FONSO GENCHI (PRESIDENTE DELL’ACCADEMIA DELLA LINGUA SICILIANA)


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Disoccupazione giovanile in Sicilia: da cosa dipende questo valore? Quali le possibili cause? ::::::::::::::::::::::::::::::::: LA PAROLA ALL’ESPERTO: ECONOMISTA VINCENZO PROVENZANO

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ra le venti province d’Italia con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, ben 8 sono siciliane. Questi i risultati dell’ultimo report sulla qualità della vita nel 2020, pubblicato dal Sole 24 ore: il secondo posto spetta ad Agrigento, seguita da Siracusa e Messina, rispettivamente terza e quarta provincia in Italia con più giovani disoccupati. E ancora: Enna, al sesto posto, Trapani nona, Palermo tredicesima, Catania quindicesima e Ragusa diciannovesima. Ma da cosa dipende questo valore? In Sicilia è veramente più difficile trovare un’occupazione? Perché? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Provenzano, docente all’Università degli studi di Palermo ed esperto di economia regionale. Chi ben definisce è a meta’ dell’opera. Cosa si intende per disoccupato? Proviamo a definire alcuni termini chiave per osservare con più consapevolezza il fenomeno. Innanzitutto, nel linguaggio economico, la popolazione si distingue in forza lavoro e popolazione inattiva. La prima è data dalla somma degli occupati (chi ha un impiego) e dei disoccupati (chi un impiego lo cerca). Per popolazione inattiva si intendono invece tutti coloro che non lavorano perché un lavoro non lo stanno nemmeno cercando. In questa categoria rientrano: studenti a tempo pieno, casalinghe, pensionati e lavoratori scoraggiati. «Il così detto lavoratore

scoraggiato, - spiega Provenzano – è colui il quale, uscito dal mercato del lavoro, non riesce più a rientrare. È una condizione tipica di chi ha dai 50 anni in su e, non trovando più lavoro, si scoraggia – letteralmente ndr – tanto da rispondere negativamente quando gli si domanda se stia o meno cercando lavoro». Non basta dunque non lavorare per essere definiti disoccupati: gran parte dei “non lavoratori” in realtà, più che rientrare nella definizione di disoccupato, rientra in quella di soggetto inattivo, o non forza lavoro. Il solo parametro della disoccupazione non basta a restituire un quadro della situazione. Si spiega quindi il perché di alcune apparenti anomalie nei dati. «Nell’ultimo anno – afferma l’economista - il tasso di disoccupazione in Sicilia è diminuito, il che sembra un paradosso. Ma se guardiamo bene il numero dei soggetti inattivi, scopriamo che è aumentato: molte persone sono uscite dalla forza lavoro. Quindi paradossalmente il dato porta alla diminuzione del tasso di disoccupazione quando

di fatto non è così». È importante attenzionare anche il tasso di attività. Secondo quanto riportato dal report della Banca d’Italia sulle economie regionali, la Sicilia ha un tasso di attività (nella popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni) tra i più bassi rispetto alle altre regioni italiane. Solo la metà dei siciliani, il 50,1%, lavora o vuole lavorare. «Ciò significa che l’isola parte già svantaggiata, con un numero più basso di potenziali lavoratori – spiega Provenzano - Questo dato riguarda soprattutto la popolazione di sesso femminile, complice un certo retaggio culturale che considera la donna più casalinga che lavoratrice». C’è dunque un problema di offerta, ma anche di domanda. Un altro dato importante da considerare, quando si guarda al fenomeno della disoccupazione, è il PIL pro-capite (prodotto interno lordo della regione rispetto alla popolazione). «Il PIL pro-capite della Sicilia – spiega l’economista - è sempre stato basso, intorno al 66, 65, 68%. Nel passato una grande valvola di impiego,

in tutta Italia non solo in Sicilia, era il settore pubblico. Oggi il settore pubblico non può più coprire tutta l’offerta, mancano opportunità perché mancano le attività economiche che creano domanda. C’è carenza di realtà imprenditoriali». Come siamo messi invece a competenze? Osserviamo il così detto capitale umano: «il numero di laureati nel mezzogiorno e in Sicilia è basso. – sottolinea Provenzano Inoltre, le imprese, non sempre assumono in base allo stato di conoscenza dei laureati. Per formare persone che abbiano certe capacità oggi, bisogna formarle due tre anni prima. Manca anche una certa lungimiranza imprenditoriale». Poi c’è la delocalizzazione. A causa di norme e incentivi più appetibili, le grandi aziende tendono a spostare la manodopera, la produzione e non solo, in altri Paesi. «Produrre o assemblare in Sicilia, - spiega l’economista - necessita di spostamenti che prevedono costi non indifferenti. Una soluzione potrebbe essere mantenere il know how, mantenere il marchio, creare dei centri direzionali che mantengano il processo creativo, il valore aggiunto in loco». Per prevenire la delocalizzazione, sono stati avviati diversi incentivi fiscali. Un esempio recente riguarda le ZES (le zone economiche speciali): luoghi all’interno delle quali le imprese già operative o di nuovo insediamento possono beneficiare di

::::::::::::::::::::::::::::::::: agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative. Ognuno deve fare la sua parte. In definitiva il fenomeno è molto più complesso e articolato di come sembra. «Il settore pubblico può aiutare, può incentivare, – continua Provenzano evitando un certo formalismo burocratico che rallenta e complica le procedure. Serve un personale preparato che abbia dimestichezza con le nuove tecnologie, ma allo stesso tempo le imprese devono essere in grado di portare avanti i loro progetti, avere il coraggio di investire». Non bisogna dimenticare infine il problema della criminalità organizzata. «È chiaro che la mafia scoraggia la nascita di attività economiche – spiega l’economista – se al rischio di impresa, un imprenditore deve anche considerare che dopo cinque minuti dall’avvio verrà a bussare il mafioso del quartiere per chiedere il pizzo, è un problema». La posizione geografica della Sicilia, piuttosto che penalizzare, dovrebbe invece favorire l’isola nell’agevolare la crescita del settore turistico. «Ci siamo creati la sindrome della gallina nera – conclude Provenzano - Sta a noi creare il nostro futuro. A chi aspettiamo? Le cose si conquistano, siamo noi siciliani gli unici nelle possibilità di garantirci un futuro, nessun altro lo farà al posto nostro». MARIA VERA GENCHI


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La Sicilia centro del Mediterraneo o periferia del mondo? :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::: DI 360 ECONEWS

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l PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede che nella Missione “Alta Velocità ferroviaria e manutenzione stradale 4.0” siano destinati 28,3 miliardi di euro. I predetti miliardi verranno spesi per i seguenti interventi infrastrutturali e tecnologici che consistono nel: • Puntare all’alta velocità e alla velocizzazione della rete per passeggeri e merci • Completare i corridoi ferroviari TEN-T • Completare le tratte di valico • Potenziare i nodi e le direttrici ferroviarie • Colmare il gap infrastrutturale Nord SUD per le regioni del Sud. Ma come saranno destinate queste risorse in riferimento alla distribuzione territoriale? Dal PNRR, che si limita a contenere sintetiche indicazioni programmatiche, è impossibile desumerlo. Ci si limita ad indicare che sono previsti interventi di velocizzazione delle principali linee passeggeri e di incremento della capacità dei trasporti ferroviari per merci, lungo gli assi prioritari del Paese Nord-Sud ed Est-

Ovest, per favorire la connettività del territorio ed il passaggio del traffico da gomma a ferro sulle lunghe percorrenze. In particolare, nel Nord del Paese si potenzieranno le tratte ferroviarie Milano-Venezia, Verona-Brennero e Liguria-Alpi, migliorando i collegamenti delle aree a nord delle Alpi con i porti di Genova e Trieste per servire i traffici oceanici; nel Centro del paese si rafforzeranno due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e Orte-Falconara) riducendo significativamente i tempi di percorrenza ed aumentando le capacità ; verrà potenziata altresì la velocizzazione della linea tirrenica e adriatica da nord a sud, secondo il principio più elettronica e meno cemento. Si estenderà l’Alta Velocità al Sud, lungo la direttrice Napoli-Bari che verrà conclusa, e con la massima velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria, ottimizzando gli interventi. Infine si velocizzerà anche il collegamento diagonale da Salerno a Taranto e la linea Palermo-Catania-Messina. È innegabile,

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dunque, che la stragrande maggioranza dei 28,3 miliardi sarà destinata ai corridoi ferroviari TEN-T e alle tratte di valico. I corridoi ferroviari TEN-T consistono nelle reti trans-europee di trasporto. Quattro dei nove TEN-T europei interessano l’Italia settentrionale, congiungendola da est a ovest da Torino a Venezia (corridoio Mediterraneo), congiungendo i valichi alpini al porto di Genova (corridoio Reno-Alpi), congiungendo i Paesi dell’est europeo ai porti di Trieste e Venezia (corridoio Bal-

tico). E nell’Isola? Arriveranno le briciole per la costruzione di un’ultima tratta che dovrebbe potenziare il collegamento ferroviario tra Messina e Palermo. I grandi investimenti ancora una volta sfioreranno la Sicilia. Del resto dentro questa Italia e dentro questa Europa la Sicilia non è il “centro del Mediterraneo”, ma la periferia della periferia. È questione di visione e di prospettive. Nonostante, dunque, la notevole quantità di risorse in arrivo per infrastrutture e servizi connessi, la Sicilia resterà abbandonata a se stessa, con la sua autostrada ferma ormai da vent’anni a Rosolini, con la sua vetusta e abbandonata rete ferroviaria a binario unico e con i suoi stradoni polverosi, accidentati, pieni di buche e di impedimenti di ogni genere, che ostruiscono lo sviluppo economico dell’isola che una volta era considerata il centro del mondo. Ma tutto questo fino a quando? MICHELE DI PASQUALI

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Annunci rivolti ad entrambi i sessi, ai sensi delle leggi 903/77 e 125/91, e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità, ai sensi dei decreti legislativi 215/03 e 216/03.


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Alle origini dell’autocoscienza: la Lega Sicula del mitico condottiero Ducezio :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::: PILLOLE DI STORIA SICILIANA A CURA DI MASSIMO COSTA :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

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na Nazione nasce non solo quando c’è una Terra con confini ben definiti. E nemmeno quando su quella Terra c’è un Popolo dalle caratteristiche abbastanza omogenee. Perché ci sia una Nazione è necessario un altro ingrediente, indispensabile: l’autocoscienza di Popolo. La presa di consapevolezza di appartenere ad una comune casa, con un comune destino, distinto da quello di tutti gli altri. E di avere diritto a che i propri interessi non siano subordinati a quelli di nessun altro. È sorprendente notare come la Sicilia ed i Siciliani hanno nel tempo sempre considerato questa casa comune la Sicilia, e nessun’altra forma-

zione politica più ampia nella quale magari si fossero trovati inseriti. Ma quando cominciano i Siciliani a riconoscersi come popolo a sé? Come nasce in altre parole l’autocoscienza? Il cosiddetto “Sicilianismo Politico”? Nel 1700, nel 1600, nell’Alto Medioevo, questa costante la troviamo invariata…. Andando ancora più indietro, nell’Antichità, scopriamo che il Sicilianismo politico trova la sua origine in dei momenti ben precisi. In una sorta di punto di fusione, che vede protagonisti Ducezio ed Ermocrate. Chi erano costoro? Ducezio era un indigeno, un capo siculo. Ma non era per questo un … selvaggio. Era stato educato in un am-

Immagine idealizzata di Ducezio, in un'antica stampa

biente greco, e aveva capito che la massiccia colonizzazione greca rischiava di fare scomparire o di sottomettere del tutto la popolazione originaria, come oggi potremmo dire sia successo con i Pellerossa del Nord America. Già i Siculi a Siracusa occupavano da sempre la scala più bassa della società: erano i kyllirioi, senza diritti politici e quasi in condizione servile. I tiranni venuti da Gela a Siracusa (i Dinomenìdi) si erano appoggiati ai nobili, che non riuscivano più a detenere il potere, per tenerli sempre in posizione subalterna. Sia la tirannìa dei Dinomenìdi, sia la repubblica che era seguita (la “Politeia”) si espandevano ora in con-

I laghetti degli Dei Palìci in un quadro di Houël

tinuazione verso l’interno. Ducezio, quindi, conoscendo bene l’organizzazione sociale e militare dei Greci, organizza i suoi, gli fa giurare fedeltà presso i laghetti di Naftìa, sacri agli dei Palìci, protettori dei Siculi e figli del Dio Adrano, e tiene in scacco per molti anni la Repubblica Siceliota che fa capo a Siracusa, mettendosi a capo di un’alleanza etnica chiamata “Lega Sicula”. Alla fine i Greci, in superiorità numerica, economica e tecnologica, riescono a prevalere, ma il sacrificio non è vano. I Siculi conquistano parità di diritti politici con i “Sicelioti” (cioè i Greci di Sicilia), a Enna i greci inviano pacificamente una colonia che si insedia nel territorio siculo in armonica fusione. Lo stesso Ducezio, dopo un esilio in Grecia, fonda una città mista, siculo-siceliota, sulla costa tirrenica ancora poco urbanizzata: Kale Akte. Di Siculi si parla così sempre meno, ma non perché da ora in poi fossero spariti, ma perché la distinzione tra loro e i Sicelioti è ormai solo una distinzione linguistica senza più alcun peso politico. A quel punto mancava solo un passo perché i due popoli si considerassero fusi in uno solo, e questo passo avvenne molto presto, a Gela, nel 424 a.C. ad opera di Ermocrate. Ma di questo ne parleremo la prossima volta…

Alle origini del Vespro :::::::::::::::::::::::::::: RUBRICA A CURA DELL’ACCADEMIA DELLA LINGUA SICILIANA

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l 30 marzo del 1282 a Palermo prese il via la ribellione contro l’occupante angioino che nei giorni seguenti si estese in tutta la Sicilia, con esito positivo: i francesi furono massacrati ed estromessi dal governo dell’Isola. Tra storia e leggenda si narra che la scintilla scoppiò quando un soldato francese di nome Drouet, con la scusa di perquisirla, mise le mani addosso a una nobildonna palermitana che passeggiava in compagnia del marito presso la chiesa di Santo Spirito, dove i palermitani si erano recati numerosi per trascorrere il lunedì di Pasqua. Ma perché tale sollevazione popolare viene universalmente ricordata

come la ribellione del Vespro o, più semplicemente, “il Vespro”? Ciò è dovuto al momento in cui si scatenò la ribellione: la scintilla scoppiò poco dopo il tramonto del sole e tale momento della

giornata in quell’epoca veniva detto in siciliano vèspiri o vèsperi, entrambi sostantivi maschili singolari (toscano del XIII secolo: vespro). A quei tempi, quando non esisteva l’energia

elettrica, il tramonto del sole era un evento molto più importante di quanto non lo sia oggi perché incideva non poco nella vita delle persone. Addirittura, il giorno lo si faceva finire proprio al calar del sole per cui dopo il tramonto si entrava nel nuovo giorno; e proprio questa abitudine ha indotto in errore alcuni storici, che hanno creduto di dover datare lo scoppio della rivolta al 31 marzo. Nella liturgia delle ore delle Chiesa Cattolica, a quel tempo detta “Ufficio Divino”, una delle ore maggiori è proprio quella che si celebra all’imbrunire e per ciò detta dei Vespri; l’ora dei Vespri veniva annunciata col suono delle campane. Secondo alcuni, la ribel-

:::::::::::::::::::::::::::: lione iniziò proprio quando le campane cominciarono a suonare. Il termine siciliano véspiri/vèsperi deriva dal latino vesper, vesperis (III declinazione; accusativo: vesperem), col medesimo significato di crepuscolo. È anche attestato nella variante vèsperu, dal latino vesper, vesperi (II declinazione; accusativo: vesperum) o, più semplicemente per adeguarsi alla desinenza maschile prevalente, in U. Le prime attestazioni scritte in lingua siciliana di tali termini risalgono al XIV secolo. Sono del XV secolo, invece, le prime attestazioni della variante vespri. Oggi in siciliano si scrive vèspiru o vespru.


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RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO /////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// In questo spazio ogni mese pubblicheremo le lettere, le denunce e le segnalazioni inviate dai nostri lettori e una foto di un luogo affascinante e poco conosciuto della nostra Isola. Per inviare i contributi, scrivere a: lindipendente@gemmacomunicazione.com A George Floyd e tutte quelle persone che subiscono ogni giorno violenze e discriminazioni NON POSSO RESPIRARE “Se non c’è giustizia non c’è pace,

mi senti sussurrare: ‘Non posso respirare’. Ho le mani legate, un ginocchio pressa il mio collo e non posso respirare: steso a terra ho le mani legate, sento il cuore chiedere aiuto,

la mia mente non trova nessun modo. ‘Non posso respirare’ l’ho ripetuto più volte, ma la luce si è spenta e mi han condannato a morte.” Giorgia Saladino (8 anni)

La foto del mese... DI FILIPPO

BARBARIA

“Tra acqua e terra” la foto ha ricevuto una menzione speciale al Concorso Fotografico “Obiettivo terra” di Lonely magazine Italia

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Riserva Naturale Laghetti di Marinello i piedi del promontorio che ospita il famoso Santuario della Madonna di Tindari, nel territorio di Patti in provincia di Mes-

sina, si trova la caratteristica laguna dei “Laghetti di Marinello“, che costituisce uno degli ultimi esempi di ambiente salmastro costiero presente

nella Sicilia nord orientale. La Riserva è stata istituita nel 1998 ed è gestita dalla Provincia Regionale di Messina.


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Frutta esotica siciliana: quando in agricoltura l’esotico diventa autoctono :::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::: RUBRICA A CURA DI SICULOMANIA

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n vero e proprio continente bioclimatico e di biodiversità. Posta al centro delle terre emerse, la Sicilia è caratterizzata da un clima unico nel suo genere e da una variabilità paesaggistica e naturalistica come poche terre. Nella storia diverse sono state le esperienze in campo agricolo e zootecnico che hanno visto l’introduzione di varietà animali e vegetali di altre aree geografiche che nell’isola hanno trovato le condizioni ideali per offrire nuovi prodotti, reinventati e riadattati al territorio e alle tradizioni delle maestranze locali. Oggi, nell’isola, si riscontra e si riconosce un nuovo modo di utilizzare i terreni agricoli impiantando prodotti che per definizione sono esotici, ma che in breve cominciano ad avere una nuova vita. Da colture alloctone si trasformano quindi ad “autoctone” con caratteristiche e

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peculiarità nuove rispetto alle caratteristiche delle colture originarie. Oggi, il settore in crescita assiste ad una vera e propria rivoluzione culturale e colturale: diverse aziende nel territorio siciliano hanno diversificato la loro produzione agricola puntando sui prodotti esotici. Possiamo quindi parlare di una “Frutta Esotica Siciliana”. I cambiamenti climatici e le diverse condizioni socioeconomiche hanno favorito il successo delle piantagioni tropicali. «Girando il territorio siciliano è facile incorrere – spiega Carlo Gam-

bino, agronomo, R&D manager per Mugavero Fertilizers -, nelle ville antiche di Palermo e di Catania o negli Orto botanici, in esemplari anche “di valore storico” di specie tropicali e/o subtropicali che sono di fatto testimonianza della ricchezza storica e culturale dell’isola. Il ficodindia è certamente una di queste specie come lo sono gli agrumi che certamente definiremmo oggi “autoctone” e che si identificano ancora oggi con l’immagine della Sicilia nel mondo. Altre colture di antica introduzione

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nel territorio siciliano come la canna da zucchero, il nespolo del Giappone, il cotone, nel corso dei secoli sono state abbandonate per motivi principalmente di mercato. Da un ventennio almeno anche specie arboree “esotiche” come avocado, mango, anona, banano sono state introdotte dal mondo della ricerca universitaria e da privati “pionieri” e coltivate nel territorio siciliano con lodevole successo». Il fico d’india, oltre che come frutto, viene spesso utilizzato nella realizzazione di prodotti cosmetici, farmaceutici e nell’industria della trasformazione sia come conserva che nella produzione di bevande liquorose. Innumerevoli risultano le imprese agricole di giovani imprenditori che hanno puntato su colture esotiche per l’utilizzo delle peculiarità climatiche e geologiche dei terreni siciliani. Aziende biologiche che

hanno puntato sulla frutta esotica ormai si trovano nel palermitano, nel messinese e nel ragusano. «L’agricoltura è e deve rimanere il fattore trainante dell’isola insieme al turismo – conclude Carlo Gambino, - Fare agricoltura significa oggi sapere “innovare” ricorrendo alle tecnologie per ottimizzare la risorsa idrica, ridurre i costi di produzione e adottando colture ad alta efficienza che richiedono ridotti input energetici. Il successo del comparto non può prescindere anche dagli indirizzi di mercato, ed è un dato di fatto che ci sia una forte domanda del frutto “esotico” made in Sicily: attrae per caratteristiche organolettiche, colore e peculiarità territoriali che gli consentono di essere sempre apprezzato e distinto dal prodotto proveniente dagli altri paesi del mediterraneo». MARCO LO DICO

Menfi, al via il concorso: un parco pubblico attrezzato per lo sport

l Comune di Menfi (AG) ha bandito un concorso di idee per raccogliere proposte progettuali di riqualificazione urbana per la realizzazione di un parco pubblico attrezzato con palestra all'aperto, con percorsi pedonali e ciclabili, spazi per l'incontro e la socialità, su una superficie di circa 10.000 mq. I progetti dovranno rimuovere qualsiasi tipo di barriera architettonica, creando un luogo di vitalità e un'occasione per attivare processi di rinascita, attraverso il decoro urbano e la localizzazione di servizi attrattori. L’obiettivo? Aumentare gli spazi verdi e le alberature valorizzando l'area con piantumazioni di specie autoctone caratteristiche del territorio e creando spazi che favoriscano la sosta, il passeggio, l'incontro. I progetti dovranno prevedere l'area da destinare a palestra con relativi servizi e zona per collocare gli attrezzi, un parco giochi con percorsi sensoriali, percorsi pedonali, ciclabili e un'area ristoro. Dovrà essere data particolare attenzione anche al progetto di illuminazione pubblica, a risparmio energetico, coerente con la specificità dei viali alberati e degli spazi riqualificati, da integrare in particolari occasioni e manifestazioni. Il concorso è aperto ad architetti, ingegneri e geometri iscritti ai relativi albi professionali. È possibile partecipare singolarmente o in gruppo. È inoltre possibile avvalersi di consulenti non in possesso dei requisiti sopra citati. Il termine ultimo di consegna

degli elaborati è fissato 80 giorni dalla pubblicazione del bando. Sono previsti i seguenti premi: 1° classificato: 2.500 euro, 2° classificato: 1.500 euro, 3° classificato: 500 euro. Criteri di valutazione: l'inserimento dell'area a parco, sportiva e ricreativa, in raccordo organico con il tessuto urbano [fino a 20 punti], definizione degli spazi e locali di servizio, del verde pubblico, area sportiva, servizi, viabilità veicolare e

pedonale [fino a 20 punti], proposta progettuale del parco pubblico, sistemazione del verde, piantumazione, attrezzature sportiva e da gioco, arredo, materiali utilizzati [fino a 20 punti], economicità delle realizzazioni [fino a 10 punti], originalità della proposta punteggio [fino a 10 punti], utilizzo di materiali ecocompatibili ed innovativi [fino a 15 punti], esecutività in lotti [fino a 5 punti]


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Flag football femminile: le Elephants Catania portano a casa lo scudetto

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e elefantesse rosa alzano la coppa di campionesse d’Italia per la quarta volta. La squadra catanese femminile di flag football si aggiudica lo scudetto contro le campionesse d’Italia uscenti, le Panthers Parma, per 24 a 19. Le ragazze, guidate dai coach Strano e Guglielmino, rimaste imbattute per tutto il campionato, coronano quest’anno una stagione di grandi successi.

«Ci aspettavamo e speravamo una finale contro Parma – confessa l’head coach, Giuseppe Strano – c’è sempre stata una grande rivalità sportiva. Le nostre ragazze quest’anno hanno fatto valere la loro esperienza. Il livello si è alzato molto, c’è sempre meno distacco tra l’alta e la bassa classifica. Le partite sono state tutte molto tirate». Nate nel 2010 per gioco, tra un gruppo di amiche e

fidanzate dei giocatori della maschile, le Pink Elephants portano oggi la Sicilia nel podio del campionato F3. «Io e mia moglie, abbiamo deciso di formare questa squadra quasi per gioco. – ricorda Strano – Il secondo anno è stato un anno particolare perché quell’anno allenavo solo io e le finali sono state in un weekend in cui ero impegnato con la nazionale. Le ragazze sono andate da sole alle finali e hanno conquistato un terzo posto storico”. Il terzo anno, nel 2013, è arrivato invece il primo scudetto. Nel 2017 e nel 2018 altre due vittorie assolute. Poi una stagione meno brillante e lo stop dettato dall’emergenza sanitaria. «Ognuna ha cercato di darsi da fare a casa, di tenersi in forma – spiega Strano – e appena abbiamo avuto l’opportunità di allenarci in gruppo abbiamo subito ripreso gli allenamenti». Nato come sport propedeutico al football americano, il flag football è oggi una disciplina sportiva a tutto tondo. «Si chiama flag football perché a differenza del football, dove si placca l’avversario per fermarlo, - spiega Strano - il placcaggio viene sostituito dal defleg ovvero l’azione in cui viene staccata la bandierina». Presente in tutta la penisola con campionati nazionali

che abbracciano tutte le categorie, da junior a senior, sia maschile che femminile, il flag football sogna le olimpiadi. «Si inizia a parlare possa diventare disciplina olimpica da Los Angeles 2028 – afferma Strano – sarebbe un grande salto di novità». MARIA VERA GENCHI

Altea Cieno, da Marsala sul tetto del tennis italiano Under 10

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er la Federazione Italiana Tennis, è tra le atlete Under 10 più prolifiche in Italia con 23 partite vinte, una sconfitta, 165 punti FIT, 270 per la Promozione, il 95%

di vittorie vinte e una classifica simulata - per gli atleti più giovani - di 4.4. Lei è Altea Cieno, la giovanissima tennista marsalese, la cui storia è figlia delle braccia di un’isola tese all’altro, i colori del Mediterraneo e la tenacia di una vera piccola donna sicula. Tesserata con il Circolo Tennis Palermo, Altea ha iniziato a masticare il campo in terra battuta sin dai Salesiani, che hanno concesso alla famiglia Cieno di attrezzare un’area da tennis fruibile a tutti. Una famiglia che segue la figlia e le sue passioni, lo studio, il tennis, il pianoforte, con il papà Pierino che le insegna sin da piccola sempre qualche “dritta”. Già lo scorso anno Altea a Roma aveva sbaragliato la forte concorrenza al Master Nazionale Kinder Tennis Trophy e in finale Under 9 aveva battuto col punteggio di 40-41 una coetanea piemontese. Lo stop causato dalla pandemia non ha piegato la sua voglia di tornare in

campo racchetta alla mano, complice un gran carattere adatto alle migliori doti sportive. Lo scorso 6 aprile a Palermo, Altea si è aggiudicata la seconda tappa del circuito Junior Next Gen Italia – macroarea sud – nella categoria

Under 10 femminile e a Villafranca di Verona, il 27 giugno scorso, si è portata a casa anche il Junior Next Gen Italia 2021, macroarea Nord-Est. Sono stati 475 gli atleti provenienti da tutto il Nord Italia a sfidarsi e Altea è riuscita a sconfiggere tutte le papabili. Dopo la tappa di Verona non c’è stato tempo di riposarsi: alla volta di Messina, si è aggiudicata il titolo di campionessa siciliana Under 10 per la seconda volta consecutiva, primeggiando tra le migliori 15 atlete provenienti da tutta l’isola. «Dopo 20 giorni, tra le gare di Verona e quella di Messina, torniamo a casa – afferma Pierino Cieno, papà di Altea -. Siamo stanchi ma soddisfatti. Gli sforzi sono stati premiati». La bacheca di Altea si fa sempre più ricca di premi e coppe in vista dei prossimi importanti impegni nazionali ed internazionali. CLAUDIA MARCHETTI


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Iscritto al registro dei giornali e dei periodici presso il Tribunale di Marsala (TP) Nr 220 del 07-05-2021 Pubblicato da Gemma di Antonio F. Ingrassia Direttore Responsabile Maria Vera Genchi Stampa: Grafiche Napoli Srl - Via Selinunte 206. 91021 Campobello di Mazara (TP) Progettazione Grafica: Marcedac Graphic&Design - Marsala (TP) Tiratura 1.500 copie Mobile/Whatsapp: 3891103402 E.Mail: lindipendente@gemmacomunicazione.com www.gemmacomunicazione.com


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