Alberto Abruzzese - Su Piranesi [da La Grande Scimmia]

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seconda

18-07-2005 8:47

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Piranesi

Guardare il quadro sino a dipingerlo «una seconda volta», seguendo le linee mobili dell’anima. Un tema – quello del rapporto tra pittura-autore e fruitore – che può essere sviluppato seguendo una molteplicità di riferimenti. Soffermiamoci prima di tutto – quasi l’attrazione dello sguardo sull’immagine possa rispecchiare il rapporto con la parola, il suo acquisto, la sua ricerca – su alcune implicazioni dell’illustrazione settecentesca e ottocentesca. Non solo Dorè, ma, in primo luogo, i «siparietti» che illustrano teatralmente il racconto inglese, interpretati alla luce di un caso eccezionale: Piranesi. Piranesi è un momento fondamentale della cultura visiva; momento in cui l’immagine disgrega la scrittura come discorso storicistico, logico, classico. Rappresenta la fase culminante di una civiltà artigianale: il prestigioso intreccio cosmopolita della cultura illuminista e l’archetipo per i successivi modi e tecniche di rappresentazione del paesaggio urbano da parte della civiltà industriale. Non è un caso che dal più solitario viaggiatore inglese, collezionista di belle vedute, al conformismo piccolo borghese di innumerevoli ambienti domestici novecenteschi, l’arredo immancabile fu sempre qualche stampa romana del Piranesi. Nella sua monumentale monografia, Henri Focillon, collocando Piranesi nel suo habitat simbolico, parte naturalmente dalla Roma settecentesca, mèta sublime dei viaggiatori, cioè forme particolarissime di «intellettuali» – per la loro disponibilità al massimo di «tempo libero» – che andavano allora formando, con il


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