Enzo Papetti Ripensare la televisione. Pratiche dello sguardo tra sistemi di rappresentazione e verità Liguori, Napoli, 2012
Presentazione di Alberto Abruzzese
Un saggio – questo di Enzo Papetti – davvero sorprendente. Voglio dire che siamo di fronte a una autentica sorpresa, a qualcosa di davvero inatteso. Ragione per cui troverà sicuramente impreparati i suoi lettori. Il professionista televisivo così come il docente e lo studente di comunicazione. L’autore ci chiede massima attenzione, una concentrazione mentale senza la quale la pagina si fa difficile. Sono sempre stato convinto dell’utilità pratica di una scrittura non facile (anche quando non volontaria), quindi non posso che apprezzare lo sforzo che l’autore ci invita a compiere, il retroterra di letture che ci costringe a ricostruire o a ricercare: a mio avviso questo invito a un impegno necessario ha – o quantomeno ha sino a ieri avuto – un alto valore formativo nei confronti di chi legge. Lo mette alla prova. Papetti ha una lunga esperienza di autore radiofonico, di regista cinematografico e televisivo, organizzatore di eventi e mostre, docente di comunicazione (alla Università Sapienza di Roma e ora alla IULM di Milano). Dispone di una notevole vena creativa (personalmente lo ritengo un artista – dalla pittura tradizionale alla computer art – interessante per quanto volontariamente “segreto”, dedito al suo privato dispendio di invenzioni figurative, geloso di essere tra quanti fanno arte soltanto per diletto e ironia). Questo, a parte alcuni interventi scritti in campo cinematografico, è il suo primo saggio di mediologia: quasi che in lui la possibilità di pensare la televisione abbia potuto farsi strada solo dopo un notevole accumulo di esperienze, non solo quelle di programmista televisivo (ha diretto una emittente TV nell’epoca pioneristica delle reti private), e non solo quelle, oggi sempre più difficili, di docente, ma anche e forse soprattutto quelle di consumatore mediale (essendo Papetti un accanito spettatore audiovisivo: quel genere inconfondibile – ma ormai in estinzione – di memoria vivente che è stato il “cinefile”). Un saggio, dunque, che ci sorprende. Si tratta, infatti, di un lavoro che è insieme una novità e una eccezione. E’ nuovo perché è diverso dalla più parte dei testi sino ad oggi dedicati alla televisione: direi che, per trovare un analogo impegno intellettuale, una stessa profonda interrogazione sul senso del piccolo schermo, bisogna risalire alle prime riflessioni compiute da chi in Italia, come ad esempio Umberto Apollonio, si pose per primo la domanda su quale fossero gli orizzonti espressivi che l’avvento della televisione stava aprendo al di là dell’arte, del teatro e del cinema. E in questo senso si potrebbe dire, paradossalmente, che il lavoro di Papetti ha una patina di