Fondamentale giugno 2012

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INIZIATIVE GREEN ONCOLOGY

Quando l’oncologo pensa all’ambiente fa bene anche al paziente

Una Metafora per la Ricerca, concorso per le scuole promosso da AIRC, ha raccolto centinaia di elaborati

Numero 3 - 1 giugno 2012 - Anno XL - AIRC Editore - ISSN 2035-4479

NUOVO IMAGING

Non solo diagnostica con le nuove tecniche per visualizzare i tessuti sani e malati

Silvia Piconese, dal Salento alla Capitale

LA RICERCA DI UNA DIFESA PERFETTA


SOMMARIO

FONDAMENTALE giugno 2012

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In questo numero: 04 07 10 11 12 14 16 18 20 22 24

VITA DI RICERCATORE Silvia Piconese, una protagonista nel canto e nella ricerca PREVENZIONE Lo screening non serve ma l’esame sì RECENSIONE I segreti della genetica e le sfide per la società VIVERE SANO Alimenti: lo zenzero COME CURARE Cure più efficaci per il tumore da amianto ATTUALITÀ La green oncology pesa meno su ambiente e pazienti BILANCIO 2011 L’attività in cifre DIAGNOSTICA Immagini intelligenti per orientare le scelte del medico CONSIGLI PRATICI Denti e gengive vanno protetti durante le terapie oncologiche INTERNET Un mondo di condivisione ma anche di trappole MEDICINA PALLIATIVA Non è la terapia per la fine, ma è parte della cura

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Per battere il mesotelioma è attiva una rete mondiale

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26 IFOM Se la cellula viaggia insegnamolo ai ragazzi PER LA SCUOLA 28 AIRC La seconda edizione di Una metafora per la ricerca FONDI 30 RACCOLTA L’Azalea, un fiore che diventa forza Quattro donne per la ricerca

FONDAMENTALE

Anno XL - Numero 3 1 giugno 2012 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro via Corridoni, 7 - 20122 Milano - tel. 02 7797.1 www.airc.it - redazione@airc.it - Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Roto 2000 Casarile (Milano) DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe)

COORDINAMENTO REDAZIONALE Giulia Cauda REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli PRODUZIONE Patrizia Brovelli RESPONSABILE EDITORIALE Emanuela Properzj TESTI Giulia Cauda, Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Martina Perotti, Fabio Turone

Silvia Piconese studia i linfociti T reg per riportarli sulla retta via

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Quando serve il dentista prima di iniziare la chemio

Facebook, Twitter e i social media possono essere una risorsa informativa e un sostegno psicologico ma occhio alla privacy

FOTOGRAFIE Armando Rotoletti (copertina e servizio a p. 4), Contrasto, Corbis, Istockphoto

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.


EDITORIALE

Piero Sierra Presidente AIRC

TANTI MODI PER AIUTARE LA RICERCA. • con conto corrente postale n. 307272; • con carta di credito, telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito www.airc.it; • con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, www.fondazionefirc.it oppure tel. 02 794 707; • in banca: Intesa Sanpaolo IBAN IT14 H030 6909 4001 0000 0103 528; Banca Monte dei Paschi di Siena IBAN IT 87 E 01030 01656 000001030151; Unicredit PB SPA IBAN IT96 P020 0809 4230 0000 4349 176; • con un ordine di addebito automatico in banca o su carta di credito (informazioni al numero verde 800 350 350)

L’Istituto italiano della donazione certifica con un marchio di eccellenza le organizzazioni non profit che forniscono elementi di garanzia sull’assoluta trasparenza ed efficacia nella gestione dei fondi raccolti.

Una donazione piena di giustizia sociale

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onare è un atto complesso e profondo. Può originarsi dall’impulso di aiutare un preciso individuo in un luogo e momento preciso e può giungere fino al desiderio di aiutare l’umanità nel suo insieme in un futuro non ancora delineato. Nel mezzo ci sono infinite varianti.

Molte persone donano spesso in modi diversi, con motivazioni ogni volta variabili e personali. La motivazione di chi sostiene la ricerca oncologica, e in particolare AIRC, è molto articolata perché comporta un processo intellettuale avanzato: vi è la consapevolezza della gravità di un problema che tocca un numero elevato di persone e del fatto che la ricerca è sempre più complessa perché abbiamo a disposizione sempre più informazioni. D’altra parte oggi è possibile conoscere le probabilità di successo di certi investimenti, gli ingenti mezzi coinvolti e anche l’affidabilità degli enti finanziatori. AIRC si adopera per comunicare gli avanzamenti raggiunti e le modalità di distribuzione dei fondi raccolti (vedi bilancio a pagina 16) rafforzando quindi nella gente la fiducia nella potenzialità della scienza. Infine, occorre rendersi conto che i risultati della ricerca andranno a vantaggio di tutti e quindi rappresentano una scelta di donazione socialmente equa perché salveranno ciecamente e indistintamente persone sconosciute. Per queste ragioni, voglio qui riconoscere ai nostri soci e volontari tutto il rispetto che meritano per aver effettuato una scelta consapevole – donando direttamente o firmando il 5 per mille a favore di AIRC – e direi addirittura un investimento. I nostri ricercatori e noi di AIRC facciamo di tutto affinché possano dire di avere avuto ragione.

UN SERVIZIO PER I SOCI Per segnalare corrispondenza doppia, aggiornare i vostri dati o conoscere la vostra storia contributiva, potete contattarci, 7 giorni su 7, chiamando il nostro numero verde 800 350 350 GIUGNO 2012 | FONDAMENTALE | 3


VITA DI RICERCATORE Immunologia dei tumori

In questo articolo: giovani ricercatori immunologia dei tumori linfociti T reg

Silvia Piconese, una protagonista nel canto e nella ricerca Partita dalla Puglia per fare l’università a Milano, la giovane ricercatrice è ora a Roma, dove sta terminando i suoi studi sulle cellule immunitarie coinvolte nella difesa antitumorale

a cura di FABIO TURONE al Salento a Roma, passando per le nebbie di Milano: la ragazza che da piccola frequentava la scuola dalle suore e alla domenica cantava come soprano solista nel coro della Cattedrale della natìa Otranto non si accontenta di essere diventata una ricercatrice di punta dell’AIRC. Adesso conta di rafforzare il legame con il fidanzato cardiochirurgo – conosciuto sui banchi del liceo – trasformandolo anche in un sodalizio scientifico: “Finalmente negli ultimi tempi facciamo vita di coppia, anche se stiamo insieme da dodici anni” racconta Silvia Piconese. “Spesso alla sera ci raccontiamo che cosa abbiamo fatto nella giornata. Cristian, che dopo la laurea in medicina porta avanti la specializzazione in cardiochirurgia, e io, che faccio esperimenti in laboratorio sull’immunologia dei tumori, scopriamo che il punto di vista dell’altro può alle volte fornire una chiave di interpretazione nuova”.

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La giovane scienziata segue AIRC in tutte le sue iniziative

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Non a caso le vengono subito in mente i nomi di Laurence Zitvogel e Guido Kroemer, una coppia di scienziati francesi di spicco, marito e moglie, che hanno contribuito a scrivere la storia dell’immunologia dei tumori, cioè proprio l’ambito di ricerca in cui Silvia si è cimentata con grande successo.

Dalla genetica all’immunologia “La mia tesi per la laurea magistrale in biotecnologie mediche, presa nel 2004 all’Università di Milano, ha analizzato la suscettibilità genetica al tumore del polmone. Studiavo all’Istituto nazionale tumori (INT) con Tommaso Dragani e Giacomo Manenti, e furono alcune affascinanti lezioni di Antonio Siccardi, immunologo molecolare, a far scoppiare in me un profondo interesse per l’immunologia, e poi per l’immunoterapia dei tumori”. Una passione che è stata coltivata grazie all’incontro con la figura che la giovane scienziata salentina cita in continuazione con riconoscenza: “Devo moltissimo a Mario Paolo Colombo, con il quale, all’INT prima, e poi nella struttura di-

staccata chiamata Amadeo Lab, ho studiato per il dottorato di ricerca. Il laboratorio di Colombo è probabilmente il migliore per lo studio dell’immunologia su modelli sperimentali” spiega con trasporto. “Non solo ho potuto imparare moltissimo, ma grazie alla sua generosità ho anche avuto occasione di firmare insieme a lui articoli su riviste molto importanti, come Nature Reviews Cancer, Blood, Immunity e altre, in cui il mio nome è pubblicato col massimo risalto. Il finanziamento My first AIRC grant l’ho ottenuto mentre lavoravo con lui”.

Pendolare per studio L’oggetto principale della sua ricerca sono particolari cellule del sistema immunitario, coinvolte nei processi grazie ai quali il tumore riesce a eludere la sorveglianza dei sistemi di difesa e ad attecchire nell’organismo. “In particolare mi sono occupata di caratterizzare i meccanismi attraverso cui il tumore induce la crescita delle cellule T regolatorie (T reg), un tipo di linfociti T in grado di sopprimere la risposta immunitaria antitumorale” spiega. “Ho indagato il meccanismo d’azione di un anticorpo che stimola un recettore importante collegato all’azione delle cellule T reg osservando, in un modello sperimentale, come questo anticorpo induce il rigetto del tumore”. Il grant AIRC le ha permesso di approfondire queste ricerche, obbligandola però a rinviare il trasferimento a Roma e la convivenza con il fidanzato: “Cristian e io ci conoscevamo dai tempi del liceo scientifico, che ho frequentato a Maglie, a 16 chilometri da Otranto. Ogni mattina prendevo il treno – con carrozze vecchissime, su una linea ferroviaria i cui binari passavano in mezzo agli uliveti – insieme a mia sorella Marina, più piccola di due anni, che andava al classico”. Per i genitori, entrambi di origine contadina ma convinti sostenitori delle ambizioni delle figlie, lo studio era la priorità, accompagnata però dalla massima libertà nella scelta dell’indirizzo: “Sono sempre stata la prima della classe, non solo nelle


materie scientifiche” confessa con un sorriso, quasi prendendosi in giro da sola. “Anche l’esperienza dalle suore, dell’Ordine delle maestre pie Filippini, la ricordo con serenità, sebbene mi sia capitato di riparlarne a distanza di anni con compagni di classe che ancora ricordavano con terrore i ceffoni ricevuti!”

Formazione on stage Lo studio assiduo e il pendolarismo non le impedivano di frequentare il coro della Cattedrale, in cui cantava come soprano eseguendo anche dei brani da solista: “Credo che per la mia formazione siano stati molto importanti sia i concerti in pubblico sia le recite organizzate dalle suore, e poi l’esperienza di laboratorio teatrale portata avanti negli ultimi due anni del liceo: mi hanno dato molta sicurezza quando mi sono trovata ai congressi scientifici a dover descrivere i miei primi lavori” racconta. L’estate era dedicata all’azienda di famiglia, che il papà Mario aveva riconvertito in parte in agriturismo: “Io e mia sorella aiutavamo lui e mia madre Maddalena a gestire l’attività, e questo ci ha permesso di mantenerci e pagare gli studi a Milano, soprattutto da quando mio papà è mancato, nel 2001”. Alla fine del liceo, infatti, Silvia sente il bisogno di esplorare nuovi orizzonti: “Dopo la maturità, il 90 per cento dei miei compagni ha lasciato il paese, perché noi leccesi siamo gente che ha voglia di conoscere il mondo”. L’arrivo nel capoluogo lombardo non è stato dei più semplici: “Milano non l’ho amata tanto” racconta con una punta di rammarico. “È una città difficile, in cui ho trovato freddezza e persino atteggiamenti un po’ razzisti”. Il passaggio dalla vita in famiglia alla camera in condivisione con studenti conosciuti attraverso un annuncio fu traumatico: “È stato un vero shock, anche perché avevo sottovalutato l’idea di andar via da casa, ma alla fine è stato molto importante per me”. Andava in università, alla Bicocca, in bicicletta, e spesso restava più del necessario in laboratorio, anche perché a casa non c’era nessuno ad aspettarla: “Certe sere, dopo il laboratorio, si andava a prendere l’aperitivo o la pizza tutti insieme”. Ogni tanto – ogni volta che era pos-

Silvia Piconese studia un sottotipo di cellule immunitarie, i linfociti T regolatori, che in caso di tumore bloccano gli attacchi da parte di altri elementi del nostro sistema di difesa. Quando un tumore attacca un tessuto, infatti, produce un ambiente favorevole alla propria crescita attraverso l’invio di segnali, sotto forma di sostanze mediatrici, alle cellule immunitarie per volgere la loro azione a proprio favore. Analizzando i geni coinvolti in questo processo, Piconese ha scoperto quelli che, se manipolati attraverso farmaci biologici come anticorpi mirati o attraverso altre terapie, possono cambiare l’atteggiamento dei linfociti T regolatori nei confronti della malattia.

Come fanno le cellule tumorali a ingannare le difese?

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VITA DI RICERCATORE

UNA TECNICA MULTICOLOR

a tecnica su cui Silvia Piconese fa più affidamento per le sue ricerche si chiama citofluorimetria: permette di studiare le cellule estratte dai tessuti – nel suo caso dai tessuti di fegato malato provenienti dai pazienti cui è stato appena trapiantato un fegato sano – per verificare la presenza e l’attività di specifici marcatori, che potrebbero essere associati al tumore. “La tecnica fornisce dati sia qualitativi sia quantitativi” spiega “e richiede macchinari sofisticati e un notevole addestramento di chi esegue gli esperimenti”. Con l’uso di sostanze fluorescenti diverse è possibile scoprire se sono presenti, e in che misura sono attivi, diversi marcatori potenzialmente utili nella terapia. I campioni che arrivano dai chirurghi epatici del Policlinico di Roma vengono prima preparati nella cappa sterile – in modo da estrarre i tessuti più ricchi di cellule T reg – e poi analizzati al citofluorimetro, dove la competenza acquisita da Silvia Piconese le permette di studiare contemporaneamente ben 11 “colori”, ovvero parametri biologici di rilievo. L’applicazione alle cellule umane delle scoperte effettuate sul modello sperimentale ha riservato alcune sorprese, che sono ora la base per continuare a studiare le cellule T reg e per riuscire a programmarle in modo da reclutarle nella battaglia dall’interno contro il tumore.

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Silvia Piconese sibile – passava il con Vincenzo Barnaba week-end con Crie colleghi stian, divenuto nel frattempo il suo fidanzato, che frequentava l’Accademia Militare a Modena dove studiava medicina. Per vedersi più regolarmente dovranno però aspettare il suo trasferimento in una base NATO vicino a Varese. Silvia, che nel frattempo sta facendo il dottorato di ricerca nel laboratorio di Mario Colombo, riesce a vederlo più spesso. Il ricongiungimento vero e proprio avverrà però solo qualche anno più tardi, e a quel punto sarà proprio la ricerca finanziata da AIRC ad avere la precedenza: “La ricerca è partita nel 2009, e proprio la volontà di non rallentare la delicata fase iniziale mi ha spinto a rinviare al 2011 la decisione di trasferirmi a Roma, dove Cristian aveva iniziato la scuola di specialità in cardiochirurgia”.

oggi consiglio a tutti gli specializzandi. Avevo preso contatti con un gruppo di Harvard, negli Stati Uniti, ma poi ho scelto di restare a Milano perché in quel momento sentivo che la ricerca stava funzionando talmente bene che non volevo rischiare di inceppare qualcosa. Non escludo però di passare prima o poi un periodo di sei mesi in qualche laboratorio di punta straniero”. Nel frattempo il laboratorio diretto da Vincenzo Barnaba nel Dipartimento di medicina interna della Facoltà di medicina dell’Università di Roma le offre il contesto ideale per condurre i suoi esperimenti su cellule umane provenienti dal fegato di malati che subiscono un trapianto d’organo. Per il futuro sogna dei figli e magari di tornare a Otranto per portare lì la sua competenza e le sue ricerche di punta: “È un sogno, ma in tante – tra cui l’amica Malù Coluccia, ricercatrice AIRC con cui ho studiato a Milano e che oggi lavora proprio a Lecce, all’Istituto per le nanotecnologie – mi hanno incoraggiato a pensare che non è impossibile.

Faccia a faccia con le persone Nel tempo lasciato libero dal laboratorio e dalla citofluorimetria a 11 colori (vedi box) si dedica alla lettura di libri e alle passioni condivise con Cristian, il cinema e il teatro. E più volte l’anno torna a Otranto, dove in tanti oggi riconoscono la piccola corista nella giovane donna che sul camice bianco espone con fierezza la targhetta di “ricercatrice AIRC” ai banchetti delle azalee: “Uscire dal laboratorio e incontrare la gente è stata per me un’esperienza molto forte, e molto importante”. Le domande che arrivano sono spesso difficili, e per una come lei da sempre abituata a essere la prima della classe significano rinnovare l’impegno per trovare al più presto la migliore risposta. Con un pensiero che l’accompagna: “Ripenso a Mario Colombo, che mi ha insegnato come fare ricerca senza girare in tondo ma andando dal punto A al punto B. Un passo alla volta, ma sempre in avanti”.

Sogna di tornare a Otranto dove vive la sua famiglia

Un giorno andrò all’estero L’approdo nella capitale arriva dopo aver vagliato anche l’opzione di espatriare: “Nel mio curriculum manca un’esperienza all’estero, che io


PREVENZIONE Test del PSA

Lo screening non serve ma l’esame sì La recente pubblicazione della Task Force USA per la prevenzione che nega l’utilità dello screening per il cancro prostatico ha fatto discutere, ma in gioco c’è l’esame a tappeto, non quello effettuato per la presenza di disturbi specifici o per rischio familiare a cura di AGNESE CODIGNOLA uando, pochi mesi fa, la United States Preventive Services Task Force si è espressa in maniera netta contro lo screening del tumore della prostata basato sul dosaggio dell’antigene prostatico specifico, il famoso PSA, sulla popolazione sana maschile – sconsigliandolo apertamente in assenza di sintomi o motivi fondati (cioè di fattori di rischio specifici) – una buona parte della comunità scientifica ha reagito invitando i propri pazienti a non tenere conto di quello che la Task Force – organismo attendibile, indipendente e serio che si occupa di salute pubblica – aveva concluso.

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Pur ammettendo i limiti del test del PSA, infatti, molte società scientifiche e singoli autorevoli personaggi si sono affrettati a spiegare che il PSA ha salvato molte vite e che, in assenza di alternative affidabili, va comunque consigliato. Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, sembra dare forza all’indicazione contraria al test a tappeto, perché esso non inciderebbe sul numero di coloro che muoiono a causa di un cancro della prostata. L’esame manterrebbe la sua validità, invece, in condizioni specifiche, cioè a livello individuale.

Si cerca di controllare ogni aspetto della vita

EFFETTI CONTROVERSI Lo studio, effettuato da urologi ed epidemiologi del National Cancer Institute di

Bethesda (Maryland) ha valutato quanto è accaduto a 77.000 uomini con più di 50 anni che, tra il 1993 e il 2001, erano stati suddivisi in due gruppi, uno dei quali sottoposto a un esame del PSA annuale e a un’esplorazione rettale ogni quattro, l’altro lasciato libero di effettuare i test che voleva. Tredici anni dopo, il tumore era stato diagnosticato a 4.250 di coloro che avevano compiuto controlli regolari e a 3.815 uomini del gruppo di controllo; il dosaggio del PSA aveva quindi consentito di individuare più tumori. Tuttavia, andando a verificare i decessi, non era emersa alcuna differenza tra i due tipi di strategia: c’erano stati 158 decessi nel primo gruppo, 145 nel secondo. Il dato sembrerebbe quindi dare ragione a chi, come la US Preventive Services Task Force, ritiene che non ci siano i presupposti per consi-

gliare il PSA a tutti coloro che hanno compiuto i 50 anni e che sia giunto il momento di vedere l’esame come un test utile solo in certi casi. Tuttavia, nel medesimo periodo è stato pubblicato anche lo studio Europeo ERSPC (European Randomized Study of Ottavio S c r e e n i n g DeCobelli, for Prostate urologo Cancer), che dell’IEO ha interesdi Milano sato 182.000 uomini di sette Paesi europei a partire dal 1992. Anche qui gli uomini sono stati suddivisi in due gruppi: uno sottoposto a dosaggi del PSA programmati nel tempo e a un’eventuale biopsia prosta-

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PREVENZIONE Test del PSA NON ESISTE SOLO L’ESAME STANDARD MA ANCHE FORME PIÙ SOFISTICATE E AFFIDABILI

SI FA PRESTO A DIRE PSA... limiti e le ambiguità della misurazione del PSA sono noti da anni, e per questo la ricerca di alternative più affidabili non conosce sosta. Ecco alcuni dei principali parametri misurati in alternativa al semplice PSA nel sangue.

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PSA velocity: misura la velocità alla quale il PSA cambia nel tempo; se si nota un significativo aumento in un arco temporale limitato si può ragionevolmente pensare di approfondire la situazione, perché il sospetto che ci sia un tumore può essere fondato. Il parametro è diventato popolare da quando, nel 2006, uno studio ha mostrato che gli uomini che hanno un valore di PSA velocity superiore a 0,35 ng/mL l’anno (nei quali cioè il PSA aumenta più di 0,35 ng/mL in 12 mesi) hanno un rischio di morte superiore a quello di coloro che, pur partendo da valori di base simili, hanno una velocità di crescita inferiore. PSA density: poiché la quantità di PSA circolante dipende anche dalle dimensioni della prostata, si è pensato che tenerne conto potesse aiutare ad avere una stima più personalizzata della situazione. In questo caso, quindi, il valore di PSA viene corretto in base al volume della prostata. Rapporto tra PSA libero e PSA legato: il PSA circola nel sangue in due forme distinte: libero oppure attaccato a una proteina; il primo è quello dosato normalmente e si alza di più in presenza di una malattia non tumorale, mentre quello legato cresce in maniera più consistente quando è presente un tumore. Valutare entrambe le forme può quindi essere utile per capire, prima di sottoporsi a esami più invasivi, in che tipo di situazione ci si può trovare. Valori-soglia: fin dai primi anni si è deciso che il valore oltre al quale bisognava iniziare a preoccuparsi era 4 ng/mL. Tuttavia, negli ultimi anni diversi ricercatori hanno proposto di abbassare tale valore a 2,5 o 3, nella speranza di individuare un eventuale tumore ancora più precocemente. Questo approccio può però aggravare i limiti del test, e cioè aumentare il numero di falsi positivi o di diagnosi di cancro per formazioni piccole e non pericolose.

In questo articolo: PSA prevenzione screening

tica se il PSA risultava superiore a 3ng/mL e un secondo gruppo di controllo. In questo caso la conclusione è stata opposta, in quanto nella fascia di età compresa tra 55-69 anni il gruppo di pazienti sottoposti a screening presentava una minore mortalità per neoplasia prostatica, sia pure di modesta entità. Quindi, nei giovani uomini lo screening potrebbe salvare la vita.

sun grande Paese ha mai sponsorizzato campagne di massa; piuttosto, singoli centri hanno talvolta promosso il test su popolazioni comunque più circoscritte”. Lo screening vero e proprio è dunque qualcosa che attiene alla sanità pubblica e a ciò che essa è tenuta a fare per salvaguardare la salute dei cittadini. “Diverso è invece il discorso quando si scende a livello individuale. La stessa Task Force, nel documento pubblicato, non a caso non ha emesso indicazioni riguardo a uomini con sintomi urinari o con familiarità positiva per neoplasia prostatica, mantenendo l’indicazione a recarsi dal proprio medico. Stessa indicazione da parte della American Cancer Society, che suggerisce un incontro con il proprio curante dall’età di 50 anni e incoraggia l’esecuzione del PSA in uomini con parenti che hanno avuto un cancro prostatico. È chiaro infatti che, in questi casi, il PSA mantiene una sua significativa importanza” spiega ancora De Cobelli.

La scelta di eseguire il test viene presa caso per caso

SI DECIDE DI VOLTA IN VOLTA Spiega Ottavio De Cobelli, professore associato dell’Università di Milano e direttore della Divisione di urologia dell’Istituto europeo di oncologia: "Bisogna fare molta attenzione a non confondere i programmi di screening con gli esami per la diagnosi precoce su cui essi sono basati. Quando si parla di screening, infatti, si intende una campagna finanziata in genere con denaro pubblico rivolta a tutta la popolazione sana. Naturalmente lo sforzo è sempre notevole, e per questo si ritiene che un’iniziativa del genere sia giustificata soltanto quando i risultati (diminuzione di mortalità, metastasi, costo di terapie) che si possono ottenere controbilanciano e anzi sono superiori rispetto ai mezzi impiegati (denari pubblici, ma anche tempo e personale dedicato). Poiché l’esame del PSA presenta dei limiti se applicato in modo indiscriminato su una popolazione sana, nes-

UN MARCATORE DELLA GHIANDOLA Il PSA, glicoproteina prodotta dalle cellule prostatiche (e quindi un marcatore della ghiandola prostatica e non tumorale in senso stretto), si può alzare per diversi motivi, che talvolta non hanno nulla a che vedere con un tumore. Tuttavia il riscontro di un PSA superiore


Anche se si scopre il tumore non sempre è pericoloso

a 4 (nanogrammi per millilitro di sangue), soprattutto se cresciuto rapidamente nell’arco del tempo, può far sospettare un tumore e quindi spingere ad approfondire la situazione con una biopsia prostatica che, se positiva, può portare a interventi chirurgici che possono compor-

tare effetti collaterali quali l’impotenza e l’incontinenza, oggi comunque molto contenuti con l’impiego della chirurgia laparoscopica robotica. Va comunque sottolineato che anche quando si scopre un tumore, non sempre si tratta di situazioni pericolose, perché alcuni tumori

prostatici hanno una crescita così lenta che chi ne è colpito potrebbe morire prima per altre malattie, ed è per questo che va sempre considerata la possibilità di invitare il paziente a eseguire un programma chiamato di sorveglianza attiva, che rientra nelle linee guida delle più autorevoli società di urologia mondiali e che consiste nel seguire il paziente nel tempo per capire con che tipo di tumore si ha a che fare e se sia il caso o meno di intervenire chirurgicamente.

PSA

Tutto ciò va chiarito in maniera molto esplicita a chi vuole sottoporsi al test, in modo che possa prendere la decisione più indicata per la sua specifica situazione. “Quindi” conclude De Cobelli “il consiglio è quello di analizzare con il medico i fattori di rischio personali, i possibili benefici, le conseguenze anche psicologiche e di decidere insieme che cosa fare. In caso si esegua il test, bisogna affrontare il responso con serenità e discutendo di tutte le opzioni ”.

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RECENSIONE Dilemmi bioetici

I segreti della genetica e le sfide per la società In un saggio illuminante e preciso due esperti mettono in luce tutte le questioni controverse sollevate dallo sviluppo della genetica e della biologia molecolare a cura di DANIELA OVADIA oche scoperte scientifiche hanno scenari ambivalenti come la decodifica del genoma umano. Da quando la “rivoluzione genetica” è in atto, la bioetica, ovvero la disciplina che si interroga sulle ricadute sociali delle scoperte della scienza, ha avuto un rapido sviluppo. Che cosa significa poter guardare dentro i propri geni? Quali sono le sfide che la società intera si trova ad affrontare e come è cambiato il rapporto tra scienza e società a causa di queste scoperte? Di questo si occupa Geni a nudo, il libro di Helga Nowotny e Giuseppe Testa edito da Codice edizioni. È un testo davvero interdisciplinare. Helga Nowotny è il presidente del

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Helga Nowotny e Giuseppe Testa Geni a nudo Codice edizioni, 15 euro, 170 pagine

UN’AFFAIRE GENETICA

I due autori raccontano, nel libro, anche la storia della scoperta dei geni BRCA1 e 2, legati a forme di cancro del seno ereditarie e precoci. La scoperta iniziale si deve alla scienziata Mary-Claire King che identificò negli anni Ottanta un marcatore legato a forme familiari di cancro del seno. Nel frattempo gli scienziati dell’Università dello Utah fondarono una società biotech, la Myriad Genetics, e catalogarono gli alberi genealogici delle famiglie di mormoni, tra le quali il cancro del seno è molto diffuso: arrivarono così per primi al sequenziamento del gene, nel 1995. La Myriad ha in esclusiva i diritti di commercializzazione dei test diagnostici basati sulla sequenza dei geni BRCA e da allora esercita un monopolio di fatto in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti. Altri, come il Canada, hanno deciso di non rispettare il brevetto perché, raccogliendo i dati genetici di tutte le donne che si sottopongono al test, l’azienda privata potrebbe costruire il più grande database di informazioni genetiche sul cancro del seno. E se da un lato questo tipo di strumento può facilitare la scoperta di nuove cure e nuovi test diagnostici e prognostici, dall’altro costituisce un precedente pericoloso in termini di proprietà delle informazioni genetiche.

In questo articolo: genetica bioetica scienza e società

Consiglio europeo della ricerca (ERC). Testa dirige il laboratorio di epigenetica delle cellule staminali presso l’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, ma è anche uno dei fondatori del dottorato di ricerca in Fondamenti ed etica delle scienze della vita dell’Università di Milano. “Quali effetti ha la nuova visibilità della vita?” si chiedono gli autori pensando alla possibilità che abbiamo attualmente di guardare dentro i nostri geni. “Lo sguardo molecolare non semplifica, ma complica le cose e porta a controversie perché rende possibile intervenire sulla vita in modi e misure in precedenza impossibili. (…) Oggi sempre di più capire la vita significa modificarla” concludono. Nel corso della trattazione non mancano gli esempi pratici: dalla possibilità di conoscere in anticipo le predisposizioni genetiche di un nascituro, alla clonazione, fino a questioni prettamente legali come i diritti di proprietà sulle informazioni che riguardano il DNA di ciascun individuo. Secondo Testa e Nowotny, nessuno può esimersi dal comprendere qual è la posta in gioco: il potenziamento dell’essere umano (attraverso la manipolazione dei geni), così come la possibilità di produrre sinteticamente DNA o di conoscere in anticipo le malattie da cui rischiamo di essere affetti sono aspetti che trascendono la scienza per “invadere” il nostro quotidiano. La domanda di fondo di tutto il libro è: come possiamo godere dei benefici delle scoperte genetiche senza perdere la nostra libertà e senza modificare nel profondo la natura umana? Quali sono i limiti di intervento della legge nella scienza? È necessario bloccare le derive commerciali di alcune scoperte ma qualsiasi forma di controllo esterno sulla scienza ha provocato, in passato, solo l’effetto di rallentare anche le innovazioni utili all’uomo.


VIVERE SANO

Alimenti: lo zenzero a cura della REDAZIONE l suo nome indiano significa “grande medicina”. Difficile trovare una presentazione migliore per questo alimento che occupa un ruolo di primo piano nell’insaporire le pietanze e nel garantire salute e benessere.

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Cos’è Lo zenzero è una pianta che appartiene alla famiglia delle Zingiberacee, della quale fa parte anche la curcuma, ed è originario del Sud-est asiatico, in particolare India e Cina, dove da millenni viene utilizzato per scopi alimentari e medici. Nei Paesi occidentali lo Zingiber officinalis – questo il nome scientifico dello zenzero – è arrivato già nel Medioevo, ma fino a qualche tempo fa era presente quasi esclusivamente come polvere ottenuta dalla radice essiccata e poi tritata finemente. Oggi viene coltivato anche in altre zone del mondo e lo si trova facilmente nei nostri supermercati anche come radice fresca.

LA CURIOSITÀ Negli studi clinici che valutano l’effetto di una sostanza sull’organismo si utilizza in genere la singola molecola, per esempio il gingerolo, estratta dalla pianta, ma in cucina ciò non è possibile: lo zenzero che noi consumiamo contiene infatti un mix di molecole attive che interagiscono tra loro. La composizione di questa miscela dipende da diversi fattori (origine geografica della pianta, maturazione, lavorazione eccetera) e può spiegare in molti casi le differenze che si osservano negli effetti del consumo della radice.

Le proprietà Nell’antichità i marinai cinesi utilizzavano questa preziosa radice come rimedio contro il mal di mare, i greci la strofinavano su un pezzo di pane per rimettersi in sesto dopo una notte di bisboccia e per gli indiani rappresentava una sorta di “rimedio universale” contro i più svariati disturbi, dalla febbre al mal di testa. Guardando oltre le tradizioni popolari e i “rimedi della nonna”, i ricercatori sono riusciti a capire cosa rende lo zenzero utile per la salute, identificando le molecole in esso contenute e il loro effetto su cellule e tessuti. Una delle più importanti è senza dubbio il gingerolo, responsabile del potere antinfiammatorio della radice e dei suoi estratti: in laboratorio è stato infatti dimostrato che questa sostanza blocca la produzione di Cox2, il principale enzima alla base dell’infiammazione. Ecco perché consumare regolarmente zenzero potrebbe dare una mano anche alla prevenzione del cancro, una malattia che viene sostenuta proprio dall’infiammazione. Il gingerolo ha anche la capacità, in vitro e a elevate concentrazioni, di spingere le cellule tumorali a suicidarsi innescando il fenomeno che i ricercatori chiamano apoptosi e di bloccare la crescita del tumore e l’angiogenesi, formazione di nuovi vasi sanguigni di cui il tumore ha bisogno per procurarsi ossigeno e nutrienti. Alcuni studi hanno infine dimostrato che un pizzico di zenzero aiuta a combattere la nausea causata dalla chemioterapia.

Attenzione, però. Lo zenzero modifica i tempi di coagulazione rendendo il sangue più fluido: in chemioterapia o in caso di problemi di coagulazione è sempre meglio chiedere al proprio medico se è possibile consumarlo.

LA RICETTA RISOTTO ALLO ZENZERO Ingredienti (per 4 persone) 400 g di riso, 1 radice di zenzero fresco (o 4 cucchiai di zenzero in polvere), 1 limone, 1 cipolla, brodo quanto basta, 1 bicchiere di vino bianco. Preparazione Pelate lo zenzero che poi andrete a grattugiare. Pelate il limone eliminando la parte bianca e tagliate la buccia a julienne. Dopo averla sbucciata e tritata finemente, fate dorare la cipolla in due cucchiai di olio in un tegame, aggiungete il riso e fatelo tostare per un paio di minuti. Sfumate il riso con il vino, lasciate evaporare qualche minuto, aggiungete il brodo e portate a termine la cottura. A fine cottura aggiungete lo zenzero e il limone, mescolate e servite subito.


COME CURARE Novità per il mesotelioma

Cure più efficaci per il tumore da amianto Del mesotelioma si parla soprattutto per vicende di cronaca, ma la ricerca va avanti e si profilano all’orizzonte terapie innovative che dovrebbero arginare gli effetti dell’atteso incremento dei casi

a cura di DANIELA OVADIA è un tumore che più di altri è finito sui giornali, e non per via dei successi ottenuti nella cura: è il mesotelioma, un cancro della pleura (la “pellicola” che ricopre i polmoni) provocato soprattutto dall’esposizione lavorativa o ambientale all’amianto. Con le recenti sentenze che hanno condannato la ditta Eternit, uno dei maggiori produttori mondiali di amianto, a risarcire gli operai esposti alle pericolose fibre

’ C

Lastre di Eternit, un materiale che contiene amianto

minerali, l’attenzione si è focalizzata soprattutto sulle cause e sui rischi. È però importante ricordare che anche sul piano delle cure si registrano interessanti passi avanti, che offrono qualche speranza in più per chi è malato. “È importante proseguire nella ricerca di una cura efficace perché questo tumore, che ha un tempo di latenza che può arrivare anche a decine di anni, è destinato a crescere in futuro, specie nelle aree dove la produzione di amianto è andata avanti fino a non molti anni fa, e nei Paesi dove ancora si estrae e si lavora l’asbesto, il minerale da cui si ottiene la fibra di amianto” spiega Benedetto Terracini, uno dei padri dell’epidemiologia italiana che da decenni segue con

12 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2012

particolare attenzione l’evoluzione di questo tumore, specie nella regione Piemonte, una delle più colpite perché sede di alcuni stabilimenti di produzione. DI RECENTE NOTEVOLI PROGRESSI NELLA CURA “Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella diagnosi e nella cura del mesotelioma” spiega Giovanni Ceresoli, oncologo dell’Istituto Humanitas di Rozzano che, con l’équipe guidata da Armando Santoro, ha fatto parte in anni recenti di una sperimentazione per una nuova combinazione di chemioterapici. “In Italia siamo tra i massimi esperti al mondo in questa malattia”. Tra gli studi che hanno portato a nuovi protocolli terapeutici, anche quello che combina sostanze come il

In questo articolo: mesotelioma amianto terapie innovative

carboplatino e il pemetrexed: la sperimentazione ha mostrato che si tratta di una cura altrettanto efficace di quelle più vecchie, ma con meno effetti collaterali. Un vantaggio terapeutico dovrebbe invece venir fuori da un’altra molecola frutto di oltre 25 anni di studi presso l’Istituto Mario Negri di Milano. “La trabectedina è una sostanza estratta dalle profondità marine” spiega Maurizio D’Incalci, capo del Dipartimento di oncologia del noto centro di ricerca farmacologica. “Dopo aver dimostrato la sua efficacia nei sarcomi e in altri tumori dei tessuti molli, oggi è in sperimentazione anche sul mesotelioma. Ovviamente ora viene riprodotta in laboratorio e non è più necessario estrarla da fonti naturali”. La trabectedina, la cui sperimentazione è condotta insieme all’ospedale San Gerardo di

La ricerca sul mesotelioma è molto sviluppata in Italia


Monza e vede coinvolti diversi centri in Lombardia e Piemonte, promette di aggredire il tumore in un modo nuovo. “La forza di questa molecola sta nella sua capacità di modificare il microambiente che circonda le cellule, come ha dimostrato uno studio in collaborazione con i laboratori dell’Istituto Humanitas”. BIOTECH E MORBILLO C’è anche chi sta percorrendo la via delle biotecnologie. È il caso di una società privata, la MolMed, nata nel 1996 come spin-off (cioè come una sorta di “costola distaccata”) dell’Istituto San Raffaele di Milano. Nei loro laboratori (e negli ospedali di tutto il mondo coinvolti nella sperimentazione di fase III, cioè la più estesa prima della messa in commercio di un nuovo farmaco) è stato sintetizzato un fattore di necrosi tumorale (l’NgrhTnf) in grado di interferire con la crescita dei vasi sanguigni che portano nutrimento alle cellule tumorali del mesotelioma pleurico. Si tratta in sostanza di un farmaco antiangiogenetico che ha una bassissima tossicità per il paziente proprio perché tende a legarsi selettivamente ai vasi sanguigni tumorali per distruggerli. Ora si attendono i risultati dell’ultima sperimentazione prima di fornire la sostanza a tutti i centri specializzati. Vi è anche chi tenta un approccio non prettamente farmacologico. È il caso di una sperimentazione che ha fatto molto discutere per i suoi aspetti innovativi, portata avanti dalla Mayo Clinic (uno dei più grandi ospedali statunitensi) insieme al National

Cancer Institute e diretta dallo pneumologo Tobias Peikert. “Esistono dei virus, come quello del morbillo, che sono in grado di distruggere le cellule che infettano”spiega Peikert. “La nostra ipotesi è che un virus del morbillo opportunamente modificato possa infettare le cellule tumorali del mesotelioma pleurico e distruggerle”. Per ottenere ciò, i medici statunitensi stanno portando avanti una sperimentazione che prevede la somministrazione direttamente nella pleura di una sospensione di virus del morbillo in malati in fase avanzata. “Attend i a m o buoni risultati da questo studio” spiega Peikert. “Non ci sono al momento terapie davvero risolutive per questo tumore in rapida crescita in tutto il mondo e quindi dobbiamo aguzzare l’ingegno. Qualsiasi strategia alternativa a quelle classiche potrebbe essere il ‘cavallo di Troia’ che consente di debellare davvero la malattia”.

Farmaci biotech puntano a bloccare l’angiogenesi

IL VACCINO A CELLULE DENDRITICHE Sulla base di un presupposto altrettanto innovativo è stato sviluppato in Olanda un vaccino contro il mesotelioma. Come la maggior parte dei vaccini anticancro, viene somministrato solo quando la malattia è già presente. Si tratta infatti di cellule dendritiche (cioè di cellule del sistema immunitario) provenienti dal paziente stesso e portatrici di un antigene tumorale che a sua volta attiva le naturali difese dell’organismo contro le cellule maligne. “Il mesotelioma ha purtroppo la capacità di deprimere la risposta immunitaria dell’orga-

EPIDEMIOLOGIA DEL MESOTELIOMA

CIFRE ALLARMANTI l mesotelioma colpisce in Italia 19 persone per milione. Non si tratta di un tasso particolarmente elevato, poiché in Europa si registra una media che va da 15 a 33 casi per milione di abitanti. Una revisione del New England Journal of Medicine pubblicata già nel 2005 prevedeva, per i successivi 40 anni, circa 250.000 decessi per mesotelioma in Europa, 72.000 negli Stati Uniti, 103.000 in Giappone (Paese dove l’amianto è stato utilizzato a piene mani nella costruzioni del secondo dopoguerra) e 30.000 in Australia, e il trend sembra confermato. In alcuni Paesi in via di sviluppo, come l’India, l’estrazione e la lavorazione dell’asbesto, il minerale dal quale si ricava l’amianto, sono ancora molto diffuse e la malattia è quindi ben lontana dallo scomparire. Nel nostro Paese l’uso dell’amianto è stato vietato con la legge 257 del 1992 ma la latenza tra l’esposizione e la comparsa della malattia può arrivare anche a 30 anni.

I

nismo” spiega Joachim Aerts dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam che conduce la sperimentazione. “Per questo stiamo lavorando a migliorare l’efficacia del vaccino, nella speranza che possa essere una strategia alternativa ai farmaci quando questi perdono di efficacia”. Ora l’attenzione dei medici è puntata anche sulla diagnosi precoce, perché se si identifica il tumore nelle fasi iniziali è più facile aggredirlo: alcuni marcatori tumorali studiati in anni recenti, come l’osteopontina, si sono rivelati deludenti, poiché sono presenti anche in caso di infiammazione generica e quindi

danno troppi risultati falsamenti positivi. L’osteopontina viene comunque utilizzata con successo per valutare l’efficacia delle cure e le eventuali ricadute. Ora un gruppo di genetisti statunitensi pensa di aver identificato una mutazione che spiegherebbe perché, a parità di esposizione all’amianto, alcune persone si ammalano (per fortuna la minoranza) e altre no. Si tratta di un gene, chiamato BAP1, che facilita la comparsa del cancro ed è presente anche in famiglie in cui vi è più di un componente colpito. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature Genetics.

GIUGNO 2012 | FONDAMENTALE | 13


ATTUALITÀ Ecologia della salute

La green oncology pesa meno su ambiente e pazienti Gli oncologi si preoccupano dell’impatto delle cure e della ricerca. Un approccio rispettoso dell’ambiente è anche più rispettoso delle esigenze del malato a cura di AGNESE CODIGNOLA nche l’oncologia può essere verde. Verde nelle scelte relative alle cure, ma anche nella sua routine quotidiana e, soprattutto, nel suo approccio al paziente. Perché un medico sente su di sé la responsabilità che tutti hanno di pensare al bene comune e alla tutela dell’ambiente, ma percepisce questo impegno in modo ancora più accentuato rispetto ai suoi concittadini, perché sa che cosa significa trascurare questi aspetti. Tra i medici, poi, gli oncologi sono forse ancora più inseriti in una realtà che fa i conti con queste tema-

A

tiche e da sempre sono particolarmente sensibili alla qualità della loro prestazione, come dimostra il fatto che per primi hanno ideato percorsi di qualità all’interno dei reparti. Anche per questo sono stati gli oncologi che, per primi, hanno elaborato un vero e proprio Manifesto della green oncology, una dichiarazione di intenti che il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (CIPOMO) ha voluto lanciare per aiutare chi ha ruoli dirigenziali e gestionali ad agire sempre all’insegna della sostenibilità, nel pieno rispetto delle esigenze di cura, che vengono prima di tutto.

Un manifesto per promuovere la consapevolezza degli operatori

Responsabilità sociale Spiega Gianfranco Porcile, coordinatore del Gruppo di lavoro per la green oncology del CIPOMO e tra gli estensori del documento: "Gli oncologi hanno iniziato a confrontarsi già da tempo con la sostenibilità economica delle loro scelte, perché i nuovi farmaci biologici sono costosi e hanno costretto tutti a ripensamenti e a decisioni talvolta dolorose. Questo esercizio, però, viene in loro soccorso adesso: in un momento di crisi economica e ambientale, è importante capire che la tutela dell’ambiente dipende dalle scelte che ognuno di noi fa tutti i giorni. Non solo: avere un approccio verde significa anche

11 PUNTI PER UN’ONCOLOGIA PIÙ VERDE

L’approccio green può coinvolgere ogni aspetto dell’oncologia, come emerge con chiarezza dai punti individuati nel Manifesto. Un atteggiamento più sostenibile dovrebbe riflettersi: 1. Sul contesto economico: per esempio, applicando le opportunità di rimborso dalle aziende farmaceutiche quando la cura non funziona come

dovrebbe, o attuando la lotta agli scarti con terapie monodose. 2. Sul contesto tecnologico: per esempio, consigliando follow-up solo quando previsto dalle linee guida internazionali, e ricorrendo alle tecnologie radiologiche in modo mirato, per ridurre l’inquinamento ambientale da radiazioni. 3. Sul contesto strategico, favorendo la

prevenzione primaria e secondaria, l’attenta sorveglianza delle neoplasie a predisposizione ereditaria e la promozione della salute. 4. Sul contesto clinico, privilegiando – quando possibile – l’uso di terapie orali per ridurre la necessità degli spostamenti con diminuzione del consumo di energia, minori rischi di incidenti da trasporto, e diminuzione


In questo articolo: green oncology ecologia cure sostenibili

mettere il malato al centro dell’azione, cercando di trovare la cura più efficace ma anche la più rispettosa della persona, della sua situazione, del suo stato psicologico e fisico". In effetti, a leggere gli 11 punti nei quali i primari oncologi hanno deciso di articolare il Manifesto, ben si comprende come l’approccio verde non investa soltanto gli aspetti più facilmente intuibili quali, per esempio, l’uso razionale dei materiali usa e getta. Al primo posto si nota infatti l’eco delle questioni economiche che influenzano ormai tutte le scelte terapeutiche. Gli oncologi sfruttano le opportunità offerte dalle aziende, che propongono vari strumenti di condivisione dei costi e, secondo il Manifesto, devono proseguire su questa strada. Devono anche cercare di ottenere farmaci confezionati in base all’uso, per esempio in dosi da assumere ogni giorno, per evitare gli sprechi. La sostenibilità si deve poi applicare ai programmi di follow-up: spesso si consigliano molti esami inutili a pazienti che potrebbero essere controllati con minore frequenza. Esami che sovente richiedono l’uso di traccianti radioattivi, elettricità, oppure spostamenti: tutto ciò va riconsiderato e valutato di caso in caso. Si devono privilegiare, quando possibile, le terapie orali, che possono essere assunte anche a casa, evitando o riducendo gli spostamenti e l’impiego di materiali e personale, così come le cure domiciliari e le comunicazioni via email e via web, sempre allo

di ore di lavoro da parte dei familiari. 5. Sul contesto organizzativo: per esempio, favorendo le cure a domicilio nonché l’uso di comunicazioni telefoniche, email e la telemedicina. 6. Sul contesto socio-sanitario, con un approccio biopsicosociale, con particolare riferimento a bambini e anziani. 7. Sulla biosfera, cioè prestando attenzione al ciclo vitale dei farmaci oncologici in ogni fase: preparazione, somministrazione e smaltimento.

scopo di minimizzare i disagi per i pazienti e chi li assiste. Questo approccio, chiamato biopsicosociale perché considera sia gli aspetti biologici sia quelli del benessere psicologico dell’individuo e dell’intera società, dovrebbe essere applicato con scrupolo particolare in caso di bambini e anziani, che richiedono un’attenzione specifica.

Niente sprechi e cicli puliti

priorità è il bene del paziente: si deve fare tutto il possibile valutando sempre quanto si spera di ottenere, che cosa ha un’efficacia dimostrata e cosa il paziente ritiene opportuno affrontare". Di green oncology si sentirà ancora parlare, perché il concetto sta penetrando nella routine quotidiana dei reparti. Una prova è il congresso dei primari oncologi ospedalieri, che si è svolto a maggio a Cosenza ed è stato in gran parte incentrato proprio sui temi della sostenibilità in oncologia.

Essere sostenibili, quando si maneggiano farmaci delicati come i chemioterapici, significa fare molta attenzione a tutto il ciclo di vita delle sostanze usate: preparazione, utilizzo e smaltimento, con più rispetto per l’ambiente e contenimento dei costi. Naturalmente un approccio sostenibile non può trascurare la routine della pratica clinica: ecco allora i consigli sui gesti quotidiani per avere un “ambulatorio verde” che comprendono, per esempio, il fatto di stampare il meno possibile, riciclare ciò che si può, usare detergenti poco tossici per l’ambiente, favorire l’informatizzazione delle cartelle cliniche, organizzando in maniera efficiente il lavoro ed evitando doppioni e pratiche inutili e dispendiose. Infine, massima attenzione alla prevenzione e a tutte le possibili forme di eccesso di terapie. "Naturalmente" commenta Porcile "tutto ciò non cambia il fatto che la

8. Sperimentando nuove forme di aggiornamento a basso consumo energetico come video-conferenze, scambi tramite la rete e così via; contemplando sempre la possibilità che, in situazioni specifiche, anche i pazienti o i loro rappresentanti possano partecipare alla discussione dei casi. 9. Creando l’ambulatorio verde con un uso oculato delle risorse: laddove possibile riciclando i materiali compatibilmente con le esigenze

igieniche; impiegando detersivi non tossici e non inquinanti per la pulizia dei locali. 10. Facendo attenzione a forme di chemioprevenzione (cioè di prevenzione con farmaci non tossici). 11. Facendo attenzione a tutti i casi di eccesso di terapie che, oltre che un danno per il paziente, rappresentano anche uno sperpero di risorse inutile e dannoso.


STATO PATRIMONIALE (valori in euro)

BILANCIO 2011

ATTIVO

A

31/12/2010

737.546 156.300 (14.067) 142.233 879.779

778.646 156.300 (9.378) 146.922 925.568

4.292.810 101.483.173 20.631.457 126.407.440

6.819.201 43.738.758 87.175.186 137.733.145

D) RATEI E RISCONTI

2.695.846

1.720.416

TOTALE ATTIVO

129.983.065

140.379.129

PASSIVO

31/12/2011

31/12/2010

53.595.259

68.239.631

4.305.582 68.448.037 72.753.619

62.950.706 5.497.331 68.448.037

TOTALE PATRIMONIO NETTO

126.348.878

136.687.668

B) FONDI PER RISCHI E ONERI

-

-

816.989

826.150

1.997.736 164.570 246.326 408.566 2.817.198

2.032.600 173.964 225.373 433.374 2.865.311

-

-

129.983.065

140.379.129

149.615.273

145.066.644

B) II 1) 2) 2)

L’attività in cifre nche nel 2011 l’attività dei soci, dei volontari e dei nostri sostenitori è risultata fondamentale per sostenere il cammino della ricerca oncologica italiana. Grazie a voi soci – che siete il nostro vero patrimonio e la base dell’impegno economico della nostra Associazione –, ai tanti volontari, che mettono a disposizione gratuitamente il proprio tempo e il proprio lavoro, ai contribuenti italiani – che dal 2006 in centinaia di migliaia hanno dato il proprio sostegno mettendo la propria firma sui moduli della dichiarazione dei redditi –, AIRC ha potuto destinare 84 milioni di euro a progetti di ricerca. Questi sono stati selezionati con un metodo rigoroso e meritocratico, un processo di peer review che dura nove mesi e coinvolge oltre 400 scienziati di tutto il mondo. La complessa valutazione garantisce che i finanziamenti vadano solo alla migliore ricerca oncologica, quella che porterà i risultati di laboratorio a diventare cure concrete. È doveroso specificare che i risultati dell’esercizio sono influenzati dall’andamento irregolare e non prevedibile delle entrate derivanti dal contributo del 5 per mille, che creano delle oscillazioni significative

31/12/2011

IMMOBILIZZAZIONI Immobilizzazioni materiali Immobili civili acquisiti per successione e donazione Immobili strumentali Fondo ammortamento beni immobili strumentali Totale immobilizzazioni

C) II III IV

anche nelle voci di bilancio. A oggi, grazie ai fondi provenienti dal 5 per mille sono attivi il Programma speciale di oncologia clinica molecolare e il Programma diagnosi precoce e analisi del rischio di sviluppare un tumore. Insieme, i due programmi affrontano il problema cancro a tutto tondo, con 14 progettualità di ampio respiro che vedono all’opera centinaia di ricercatori su tutto il territorio nazionale. Dai risultati ci aspettiamo nuove terapie molecolari al servizio dei pazienti, e più efficaci metodi per la diagnosi, la prevenzione e la prognosi del cancro. In questi anni, inoltre, una parte della raccolta proveniente dal 5 per mille ha integrato i fondi destinati ai progetti di ricerca ordinari. AIRC ha così potuto valorizzare l’eccellenza della ricerca italiana e i giovani talenti e dare il giusto sostegno a tutte le proposte meritevoli. In particolare nel 2011 le risorse dedicate al finanziamento dei progetti scientifici sono aumentate del 9 per cento rispetto all’anno precedente. Il numero di progetti approvati, invece, è sovrapponibile a quello del 2010, ma i punteggi con cui sono stati valutati dai revisori sono stati mediamente superiori. Ciò significa che è aumentata la qualità dei progetti finanziati.

16 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2012

A) II 1) III 1) 2)

ATTIVO CIRCOLANTE Crediti diversi Titoli e fondi comuni d’investimento Disponibilità liquide Totale attivo circolante

PATRIMONIO NETTO Patrimonio vincolato Patrimonio vincolato per decisione degli organi istituzionali Patrimonio libero Risultato gestionale dell’esercizio in corso Risultato gestionale da esercizi precedenti Totale patrimonio libero da destinare agli scopi istituzionali

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO D) 4) 5) 6) 7)

DEBITI ESIGIBILI ENTRO L’ESERCIZIO SUCCESSIVO Debiti verso fornitori Debiti tributari Debiti verso enti previdenziali Debiti diversi TOTALE DEBITI

E) RATEI E RISCONTI PASSIVI TOTALE PASSIVO F) CONTI D’ORDINE Progetti di ricerca approvati dagli organi scientifici, le cui assegnazioni sono ancora da deliberare dagli organi istituzionali Contributo del 5 per mille da incassare: anno 2009 (redditi 2008) anno 2010 (redditi 2009) *) anno 2011 (redditi 2010) *) Beni mobili disponibili in attesa di realizzo Beni mobili da successioni accettati non pervenuti *) Importi non ancora comunicati, al 18.4.2012, dagli Organi competenti. Milano, 18 aprile 2012

60.453.943 18.800 707.107

26.200 -


RENDICONTO GESTIONALE A PROVENTI E ONERI AL 31 DICEMBRE 2011 (valori in euro)

PROVENTI

ONERI

NETTO

PROVENTI

2011

ONERI

NETTO

2010

1

ATTIVITÀ ISTITUZIONALE DI RACCOLTA FONDI

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10

Quote associative e contributi liberali Arance della Salute® Azalea della Ricerca® Giornata Nazionale® Auguri di Natale Attività dei Comitati regionali Altre iniziative Beni mobili e immobili ricevuti per successione e donazione Contributi una tantum Comunicazione e sensibilizzazione

23.916.652 3.996.430 10.154.502 4.491.667 1.293.404 3.983.496 1.432.017 364.070 2.872.975

(5.681.629) (1.519.138) (4.312.134) (507.523) (462.534) (700.091) (293.959) (11.423) (1.595.472)

18.235.023 2.477.292 5.842.368 3.984.144 830.870 3.283.405 1.138.058 352.647 2.872.975 (1.595.472)

26.159.361 4.070.236 10.136.234 5.804.720 1.504.124 4.907.754 1.285.521 858.356 3.242.159

(5.428.947) (1.772.032) (4.713.902) (703.742) (483.429) (917.091) (353.319) (11.646) (1.928.124)

20.730.414 2.298.204 5.422.332 5.100.978 1.020.695 3.990.663 932.202 846.710 3.242.159 (1.928.124)

Totale parziale

52.505.213

(15.083.903)

37.421.310

57.968.465

(16.312.232)

41.656.233

60.453.943

-

60.453.943

107.378.132

-

107.378.132

112.959.156

(15.083.903)

97.875.253

165.346.597

(16.312.232)

149.034.365

1.11 Proventi da contributo 5 per mille TOTALE 2

ONERI DI SUPPORTO GENERALE

2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6

Oneri per il personale Oneri per la gestione soci Spese generali Godimento di beni di terzi Acquisto di beni durevoli Oneri per la gestione dei Comitati regionali

(5.188.644) (315.071) (682.193) (104.700) (327.106) (367.711)

(5.188.644) (315.071) (682.193) (104.700) (327.106) (367.711)

(4.790.253) (155.112) (624.894) (54.878) (352.986) (381.158)

(4.790.253) (155.112) (624.894) (54.878) (352.986) (381.158)

TOTALE

(6.985.425)

(6.985.425)

(6.359.281)

(6.359.281)

3

PROVENTI FINANZIARI E PATRIMONIALI

298.099

-

298.099

26.733

-

26.733

4 4.1 4.2

PROVENTI E ONERI STRAORDINARI Variazioni di vincolo per rinunzie di borse di studio e ridestinazioni Altri proventi e oneri straordinari

370.176 21.182

(18.789)

370.176 2.393

54.337 37.488

(7.287)

54.337 30.201

5 6

TOTALE TOTALE MEZZI DISPONIBILI DELL’ESERCIZIO ATTIVITÀ ISTITUZIONALE DI SVILUPPO DELLA RICERCA ONCOLOGICA E INFORMAZIONE SCIENTIFICA

391.358 113.648.613

(18.789) (22.088.117)

372.569 91.560.496

91.825 165.465.155

(7.287) (22.678.800)

84.538 142.786.355

Assegnazioni deliberate dagli organi istituzionali per progetti di ricerca, borse di studio e interventi vari Informazione scientifica "Fondamentale" e sito internet

(84.002.049) (2.542.375)

(84.002.049) (2.542.375)

(77.026.201) (2.216.540)

(77.026.201) (2.216.540)

Altri oneri per attività istituzionali TOTALE

(710.490) (87.254.914)

(710.490) (87.254.914)

(592.908) (79.835.649)

(592.908) (79.835.649)

(109.343.031)

4.305.582

(102.514.449)

62.950.706

6.1 6.2 6.3

RISULTATO GESTIONALE DELL’ESERCIZIO Milano, 18 aprile 2012

113.648.613

165.465.155

La versione integrale del bilancio è disponibile presso la sede di AIRC e sul sito www.airc.it


DIAGNOSTICA Verso la cura

In questo articolo: imaging PET marcatori tumorali

Immagini intelligenti per orientare le scelte del medico Molto più che semplici fotografie dell’organo malato, le nuove tecniche di diagnostica per immagine possono dare un contributo fondamentale alla lotta contro il cancro, verso una terapia sempre più precisa e personalizzata

a cura di CRISTINA FERRARIO erano una volta la radiografia, la TC, l’ecografia. Queste e altre tradizionali tecniche di imaging – si chiamano così tutti quegli esami che forniscono un risultato sotto forma di immagine – non sono certo andate in pensione e in molti casi restano fondamentali per diagnosticare la malattia, ma sono sempre più spesso accompagnate da nuove tecniche che forniscono informazioni importanti non solo per la diagnosi, ma anche per la scelta della terapia e per capire se le cure stanno davvero funzionando.

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I MILLE VOLTI DELL’IMAGING “Con il termine imaging si fa riferimento a moltissime tecniche, anche estremamente diverse tra loro, che stanno assumendo un ruolo sempre

più importante nella lotta contro il cancro” afferma Maria Picchio del Dipartimento di medicina nucleare e Centro PET dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Come spiega la ricercatrice, un tempo si parlava solo di “imaging morfologico”, con il quale si ottiene una sorta di fotografia statica dell’organo, che ne mette in luce la forma e in alcuni casi la struttura, mentre oggi si utilizza anche il cosiddetto ‘imaging funzionale’ o ‘molecolare’ che permette di studiare i processi biologici all’interno della cellula. “La PET (tomografia a emissione di positroni) è uno degli esempi più noti di imaging funzionale” chiarisce Picchio. Questo esame permette di studiare il metabolismo delle cellule dell’organismo con una strategia molto interessante che parte in genere con la somministrazione per via endovenosa di una parti-

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colare molecola di zucchero (il desossi-glucosio) alla quale è unito un isotopo di fluoro radioattivo (fluoro18). La cellula per vivere utilizza glucosio e, nel caso della PET, utilizzerà quindi il glucosio radioattivo capace di emettere un segnale che può essere “letto” dalla macchina: più la cellula incorpora glucosio radioattivo, più luminoso sarà il

segnale rilevato. “Le cellule tumorali hanno un metabolismo più veloce di quelle sane e consumano più glucosio” chiarisce Picchio. “Di conseguenza nell’immagine finale della PET risultano più luminose delle altre: in termini tecnici si definiscono ipercaptanti”. E con l’imaging funzionale si possono evidenziare anche masse di cellule tumorali in-


visibili con le tecniche morfologiche che vedono solo cambiamenti della forma, della dimensione e della struttura degli organi. “Uno degli aspetti più interessanti è che utilizzando le giuste molecole (ne esistono numerose altre oltre allo zucchero con fluoro radioattivo) si possono studiare, almeno in linea teorica, tutti i processi biologici delle cellule e non solo il metabolismo del glucosio” spiega la ricercatrice. “Tutto ciò ha importanti risvolti per la diagnosi e per la cura delle malattie”.

quello specifico tumore” continua Maria Picchio. Un esempio concreto di terapia personalizzata riguarda il tumore della prostata: a volte dopo un trattamento radicale di questo tumore si assiste a quella che i medici chiamano “ripresa biochimica della malattia”, cioè un aumento dei valori di PSA (antigene prostatico specifico) che indica un risveglio del tumore, magari sotto forma di metastasi. In questo caso con un unico esame – la PET – e usando come tracciante la colina marcata, si ottengono informazioni precise e dettagliate sulla presenza e sul punto nel quale c’è ripresa della malattia e si può tracciare la strada da seguire: se, per esempio, ci sono metastasi ai linfonodi si può procedere con un trattamento mirato (chirurgico o radioterapico), senza ricorrere a terapie più generiche o più o aggressive, che rischiano di provocare danni anche agli organi sani. Scegliere la molecola da utilizzare per la PET non è impresa di poco conto. Nel caso del tumore della prostata, per esempio, l’utilizzo del glucosio marcato con fluoro radioattivo non è ideale. “Que-

Con la molecola adatta si comprendono i meccanismi

OLTRE LA DIAGNOSI Una delle operazioni più importanti, ma anche più complesse al momento della diagnosi, è la stadiazione del tumore, cioè assegnare una sorta di livello alla malattia e stabilire quanto questa è diffusa. Di certo l’imaging molecolare ha reso tutto più semplice, ma il vantaggio di questo nuovo modo di guardare l’organismo va ben oltre la diagnosi e la stadiazione. “Il nuovo imaging è utilissimo anche per capire come la malattia ha risposto alle cure, per definire la prognosi e per scegliere la terapia più adatta per

sta molecola viene eliminata attraverso le urine e quindi si vedrebbe un segnale nell’area vicina alla prostata (vie urinarie e vescica) anche se in realtà lì non c’è nessun tumore” spiega Maria Picchio. “Inoltre le cellule del tumore prostatico sono più ‘lente’ e quindi il loro consumo di glucosio non è pari a quello delle altre cellule tumorali. In questo caso c’è il rischio di non notare la malattia”. Ecco perché i ricercatori hanno studiato una nuova molecola – la colina marcata con fluoro o carbonio – che risolve la maggior parte di questi problemi e permette di ottenere informazioni più precise in caso di tumore prostatico. UNA GUIDA ALLA PROGNOSI Con l’imaging funzionale è possibile capire se le cellule tumorali hanno imparato a vivere senza ossigeno (ipossia), una caratteristica tipica dei tumori più aggressivi, che hanno in genere una prognosi peggiore e che rispondono meno alle terapie. “In questo caso l’immagine della PET ha un valore prognostico, cioè ci dà un’idea di quello che sarà il decorso della malattia, ma permette anche di personalizzare al massimo la cura, in particolare nel trattamento radioterapico” dice Picchio. Una volta

PER MIGLIORARE LA RISOLUZIONE SERVE ANCHE LA RICERCA

UNO SGUARDO ALL’INTERNO DEL TESSUTO ltre che nella clinica, le nuove tecniche di imaging si stanno facendo strada anche nei laboratori di ricerca dove si utilizzano modelli sperimentali per studiare i meccanismi alla base del tumore. La microscopia a due fotoni, per esempio, permette di guardare un po’ più a fondo i tessuti. “Con questa tecnica è possibile osservare ciò che accade alle cellule all’interno del tessuto” spiega Marinos Kallikourdis, che all’Istituto Humanitas, alle porte di Milano, si occupa proprio di questa nuova tecnica. “Si riesce a ricreare una situazione un po’ meno artificiale di quella tipica della microscopia classica, per ottenere un vero e proprio quadro in 3D dei rapporti tra le cellule”. Grazie alla microscopia a due fotoni, Kallikourdis e i colleghi studiano il sistema immunitario con lo scopo di comprendere a fondo i meccanismi cellulari della malattia. “Possiamo ‘colorare’ in modo diverso le diverse cellule del sangue e poi osservare come si muovono nel loro ambiente” spiega il ricercatore “e capire, per esempio, che ruolo ha ciascuno di questi attori nelle reazioni di resistenza dopo le terapie oncologiche, un ostacolo ancora presente sulla strada che porta alla cura di molti tumori”.

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identificata l’area di ipossia all’interno del tumore, infatti, è possibile indirizzare solo lì una dose molto più alta di radiazione, mentre sul resto del tumore si può pensare di usare dosi più basse per minimizzare gli effetti collaterali. Per il tumore del seno, invece, è possibile utilizzare una molecola di estradiolo resa radioattiva che si va a legare ai recettori degli estrogeni presenti spesso, ma non sempre, sulla superficie della cellula tumorale. Dal momento che alcuni farmaci funzionano solo in presenza di questo recettore, capire se i recettori sono presenti permette al medico di decidere quale terapia utilizzare. “È comunque importante ricordare che tutti i progressi tecnologici non servirebbero a nulla senza la stretta collaborazione con i medici che ogni giorno lavorano a contatto coi pazienti” conclude Picchio. “Proprio questo confronto continuo ci permette di aggiustare il tiro e di sfruttare al massimo le potenzialità delle nuove immagini”.


CONSIGLI PRATICI Denti e chemioterapie

Denti e gengive vanno protetti durante le terapie oncologiche Molti chemioterapici e anche la radioterapia del distretto testa-collo possono danneggiare l’apparato masticatorio. La maggior parte delle complicanze può essere prevenuta con alcuni accorgimenti pratici e con visite programmate

a cura della REDAZIONE resi dall’ansia della diagnosi di tumore, con la testa ingombra di preoccupazioni legate agli interventi, alla radio e alla chemioterapia, al dentista proprio non si pensa. Eppure alcune semplici cure preventive e un controllo periodico possono essere di grande utilità per proteggere bocca e denti, dalla cui efficienza dipende la salute dell’intero organismo, da alcuni effetti negativi delle terapie oncologiche. “Le chemioterapie – e soprattutto le radioterapie che interessano la regione del collo e della testa – possono in effetti danneggiare i denti e le gengive, oltre a creare fasti-

P

diosi disturbi delle mucose della bocca che si riflettono sulla funzionalità dell’intero apparato masticatorio” spiega Gianfranco Prada, presidente dell’Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI). “Bisognerebbe avvertire tutti i pazienti oncologici dell’utilità di una visita dal dentista prima dell’inizio delle cure”. Uno dei grandi problemi della sanità italiana è la pressoché totale assenza di strutture odontoiatriche pubbliche, per cui l’aspetto economico incide non poco sulla scelta dei pazienti di farsi curare i denti prima di intraprendere una chemioterapia. “Come ANDI siamo consapevoli delle difficoltà, accentuate dall’attuale crisi economica. Per questo abbiamo lanciato una campagna di

Una visita dal dentista prima dell’inizio della terapia

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odontoiatria sociale, con l’appoggio del Ministero della salute. Molti dentisti privati offrono cinque prestazioni a prezzi calmierati, tra le quali la visita e pulizia dei denti e la sigillatura dello smalto, che possono essere molto utili anche ai pazienti oncologici” spiega Prada. DISTURBI FREQUENTI Il calo di difese immunitarie provocato dalla chemioterapia e soprattutto l’effetto delle radiazioni dirette contro la bocca provocano quasi sempre disturbi che sono di pertinenza del dentista. Le linee guida internazionali promosse dalle associazioni di odontoiatri consigliano quindi di recarsi dal dentista, quando è possibile, almeno un paio di settimane prima dell’inizio della terapia oncologica, per fare un controllo generale e per curare preventivamente eventuali carie o

ascessi. “Qualsiasi focolaio infettivo nella bocca può, per via delle cure, espandersi e dare luogo a complicanze” spiega Prada. Le linee guida richiedono anche la presenza costante del dentista durante tutta la terapia, cosa che in Italia non è purtroppo possibile proprio per la mancanza di figure specializzate nel sistema sanitario pubblico. Per questa ragione è comunque bene identificare un professionista di fiducia al quale rivolgersi prontamente in caso di disturbi. La comparsa di carie è tra gli eventi più comuni a cui vanno incontro i malati in chemioterapia: la malattia è infatti favorita sia dalla riduzione delle difese immunitarie sia dalla scarsa salivazione, uno degli effetti collaterali più comuni dei farmaci oncologici. La saliva contiene infatti molti enzimi battericidi che aiutano a mantenere


In questo articolo: denti chemioterapie prevenzione

sano il cavo orale; inoltre la chemioterapia può modificare il pH salivare, rendendo i denti più fragili. La carie più frequente in corso di chemioterapia è quella che colpisce il colletto dei denti, ovvero la parte di congiunzione tra il dente e la gengiva. Ciò è dovuto a una retrazione dei tessuti gengivali, causata da infiammazione, che lascia scoperta questa zona particolarmente vulnerabile. Non solo: anche quando non c’è una vera è propria carie, il malato può soffrire di ipersensibilità al caldo e al freddo. Non è un sintomo pericoloso, ma può diventare molto fastidioso e può essere trattato con successo dal dentista con apposite terapie desensibilizzanti. Nell’intento di ridurre i problemi allo smalto, il dentista può procedere con bagni di fluoro o con la sigillatura dei denti, una tecnica che li rende impermeabili ai batteri che provocano la carie. È bene però ricordare che la sigillatura non è sempre efficace nelle carie dei colletti dentari, proprio perché questi si scoprono solo dopo le terapie antineoplastiche, quando il trattamento preventivo è già stato effettuato

del chirurgo maxillofacciale, perché si procede all’asportazione dei tessuti necrotici e alla rimozione di qualsiasi focolaio infettivo” spiega Prada. Attenzione ai sintomi, però: all’inizio la necrosi ossea può manifestarsi semplicemente con un dolore ai denti, specie durante la masticazione. “In generale, a meno che non vi siano situazioni davvero urgenti, si evita di intervenire chirurgicamente sui denti per circa sei mesi dopo una chemio o una radioterapia. I tempi di recupero dei tessuti possono infatti essere molto lunghi, e quindi è preferibile un trattamento conservativo piuttosto che un’estrazione” spiega Prada. Un discorso a parte merita invece la cosiddetta mucosite, o infiammazione delle mucose della bocca. Come tutti i tessuti a rapido rinnovamento, anche la mucosa soffre degli effetti collaterali dei chemioterapici. Si tratta di un sintomo che può essere molto intenso e compromettere l’alimentazione. La soluzione per facilitare il consumo di alimenti può essere l’uso di sciroppi o risciacqui a base di antistaminici (che hanno un effetto localmente analgesico) o contenenti magnesio e alluminio (che formano sulle lesioni una pellicola coprente). Anche i colluttori antinfiammatori sono utili sia per limitare la mucosite sia per tenere a bada eventuali infiammazioni gengivali. Se oltre alla mucosite si instaura una sovrainfezione da parte di batteri o funghi, è necessario curarla seguendo le terapie consigliate caso per caso dal proprio medico o dal proprio dentista.

La sigillatura previene la comparsa della carie

INTERVENIRE PRONTAMENTE Tra gli effetti più temuti della radioterapia praticata sul collo e sulla testa vi è l’osteoradionecrosi, ovvero il danno al tessuto osseo della mandibola e della mascella. “In questi casi, la cura, più che del dentista, è di pertinenza

TUTTE LE MOSSE DA FARE PRIMA, DURANTE E DOPO LA CURA

ALCUNI CONSIGLI PRATICI Prima di iniziare la chemioterapia • Programmare una consulenza odontoiatrica • Trattare tutti i denti e le zone a rischio di infezione o con infezioni attive, per evitare che compaiano complicanze durante la chemioterapia • Eseguire gli interventi dal dentista almeno tre giorni prima della chemioterapia • Puntare alla massima igiene orale, prendendo fin da subito l’abitudine di pulire i denti accuratamente ma con delicatezza • Far aggiustare eventuali protesi fastidiose (capsule, dentiere) affinché non provochino lesioni dei tessuti durante l’utilizzo Durante la chemioterapia • Trattare con appositi colluttori antisettici o analgesici eventuali sintomi come mucositi e lesioni della bocca • Rimandare interventi non indispensabili sui denti preferendo quando possibile la terapia farmacologica (analgesici, antibiotici, colluttori) • Se è necessario ricorrere a trattamenti dentistici, informare sempre della chemioterapia in atto e valutare con i medici l’opportunità di assumere antibiotici a scopo preventivo di eventuali infezioni • Lavare i denti con attenzione utilizzando però uno spazzolino morbido e un getto d’acqua all’intensità più bassa Dopo la chemioterapia • Controllare con il dentista la scomparsa degli effetti collaterali della terapia (dopo 2-3 settimane) • Programmare visite periodiche per controllo e igiene orale • Evitare interventi importanti sui denti per i sei mesi succcessivi a una radioterapia che ha interessato il distretto testa-collo


INTERNET Social network

In questo articolo: social network facebook privacy

Un mondo di condivisione ma anche di trappole I social network come Facebook possono essere una valvola di sfogo, un luogo di incontri con altri malati e di raccolta di informazioni ma anche una fonte di futuri imbarazzi e di rischi per i pazienti più sprovveduti

a cura di FABIO TURONE arlare della propria malattia fa bene, e il web è un luogo ideale per trovare ascolto e comprensione da parte di chi è particolarmente empatico, o anche solo per sfogarsi, prendendo il cancro a male parole. Ma le stesse ragioni per cui i più sofisticati social network sono tanto utili, sono anche un buon motivo per adottare alcune cautele. Occorre infatti prevenire il rischio che una volta controllata o sconfitta la malattia ci siano da affrontare inattesi “effetti collaterali” di carattere telematico, perché tutto quello che si scrive sulla rete potrebbe restare a tormentarci all’infinito.

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work molto particolare che sta avendo un notevole successo non solo negli Stati Uniti, e ha raccolto oltre 5.000 iscritti di 63 Paesi. È una comunità virtuale in cui malati ed ex malati (che in inglese amano chiamare se stessi survivor, sopravvissuti), ma anche parenti e amici che si identificano nella definizione di supporter (sostenitori) possono scambiarsi esperienze, consigli ed emozioni, stabilendo e gestendo nuove relazioni con il ritmo che ciascuno ritiene più appropriato. Tutto ciò avviene in parte pubblicamente e in parte con messaggi riservati. Il contatto che si stabilisce è inizialmente minimo, ma è favorito con molto tatto e discrezione dagli automatismi del computer: il sistema permette di sapere che cosa dicono di sé e cosa scrivono nel proprio profilo le persone con analoga malattia, giacché al momento della registrazione ciascuno dichiara appunto se è malato, sopravvissuto o supporter di qualcuno alle prese con uno specifico tumore. Spesso sui profili – che in alcuni casi sono abbelliti dalla fotografia e in altri illustrati da una sagoma di uomo o di

Bisogna fare attenzione ai venditori di false speranze

Un Facebook per chi lotta L’idea di scrivere una lettera aperta – o anche solo pensieri sparsi – relativi alla propria malattia, è venuta all’ideatrice di un social net-

donna, proprio come su Facebook – si legge la frase standard: “Questa persona non ha ancora condiviso la propria storia, per favore abbi pazienza. Nel frattempo se vuoi sapere qualcosa di più di lui puoi inviargli un messaggio privato o seguire le discussioni che si svolgono nelle aree pubbliche del sito”.

Chi partecipa e chi guarda C’è sempre qualcuno che ha più voglia di altri di mettersi in gioco pubblicamente e che fa il primo passo, poi sta a ciascuno restare in disparte a guardare e a leggere le storie altrui, così simili alla propria, o partecipare attivamente. Per esempio c’è chi scrive nello spazio pubblico chiamato “Dear Cancer”, in cui ovviamente di “caro” c’è solo la formula di rito, e dove ricorrono gli sfoghi o le dichiarazioni soddisfatte di vittoria, scritte anche per dare coraggio a chi è ancora nel pieno della lotta. Per molti utenti è infatti più che naturale condividere con tutti ogni novità significativa, ogni piccolo passo avanti, e ancor più un referto che dichiara sconfitto il male. Secondo gli esperti del sito americano Cancer and Careers – dedicato interamente a fornire consigli e riflessioni in tema di ricadute professionali di una diagnosi di tumore – è però bene tener sempre presente la propria immagine pubblica. In particolare è utile

... l’articolo continua su: www.airc.it/social


IL MEDICO È IL PRIMO INTERLOCUTORE

Amici o contatti? interrogarsi sui riflessi che su di essa potrebbero avere gli sfoghi di un momento, o anche solo – in alcuni casi specifici e in ambienti professionali molto ompetitivi – la conoscenza della condizione di vulnerabilità. Sempre più spesso, infatti, quando si tratta di assumere qualcuno le imprese fanno anche una rapida indagine con Google, per cui chi non vuole che i potenziali datori di lavoro sappiano della malattia farebbe bene a scegliersi uno pseudonimo con il quale interagire pubblicamente online: gli amici e i conoscenti sapranno tutto, ma chi in futuro chiederà alla memoria da elefante del web di raccontare dettagli su una certa persona, non avrà modo di collegare nome e pseudonimo.

Gli strumenti della privacy È anche importante dedicare un po’ di tempo a studiare gli strumenti per la tutela della privacy se si usano social network come Facebook, e verificare regolarmente che solo i nostri veri amici leggano ciò che vogliamo resti privato. “È sempre più cruciale, anche considerando che i social network incoraggiano sempre a condividere tutte le informazioni personali” si legge nel sito Cancer and Careers. “Per questo occorre pensare bene a quali informazioni vogliamo condividere, pensando agli effetti a breve termine ma anche a quelli a lungo termine, ricordando che una volta che l’informazione è ‘là fuori’ potrebbe restarci per sempre”. Anche sul versante medico si sta acquisendo consapevolezza dei rischi associati alle grandi opportunità offerte dai social media: l’American Society of Clinical Oncology ha pubblicato di recente un rapporto, curato da David Graham,

Per quanto possano essere utili per affrontare la malattia e le fatiche delle terapie, i social network non devono mai proporsi come un’alternativa al medico. Qualsiasi informazione reperita in rete è ad alto rischio di fraintendimento, e potrebbe nascondere una bufala diffusa in buona fede o anche una truffa. Accanto a tante brave persone spinte dall’altruismo, in rete prosperano anche molti venditori di terapie inefficaci e pericolose che approfittano dell’estrema vulnerabilità di chi deve affrontare una lotta molto impegnativa e magari sa di avere prospettive di guarigione poco incoraggianti. Queste persone approfittano della buona fede dei malati e dei loro familiari, che hanno una sola difesa efficace: raccogliere tutte le informazioni che a prima vista paiono credibili e poi vagliarle in modo approfondito con l’aiuto del medico, che dispone degli strumenti professionali per distinguere chi si comporta in modo serio ed etico e chi, più o meno in malafede, lucra sulle sofferenze altrui.

del Carle Physician Group di Urbana, in Illinois, in cui segnala con preoccupazione il rischio che i medici stessi possano inavvertitamente violare la privacy dei loro pazienti, raccontando online dettagli che permettono di identificarli. La raccomandazione generale – condivisa anche da un decalogo pubblicato dall’American Medical Association – è quella di tenere il più possibile la vita professionale separata dalla vita privata, anche online. Le relazioni tra medici e pazienti devono appartenere solo alla sfera professionale: un medico che voglia mantenere i contatti con i propri assistiti, per esempio, potrà farlo solo attraverso un profilo dedicato e schermato agli sguardi indiscreti.


MEDICINA PALLIATIVA Clinica e ricerca

Non è la terapia per la fine, ma è parte della cura Le cure palliative, complice un nome che le relega alle fasi terminali della malattia, sono oggi sempre più parte integrante della cura fin dagli inizi del percorso. In tal modo rendono le terapie più sopportabili e permettono ai clinici di agire con maggiore incisività anche nei casi più gravi

a cura di DANIELA OVADIA e cure palliative sono vittime di un pregiudizio che danneggia in primo luogo i pazienti: non sono infatti per le fasi terminali della vita ma sempre più accompagnano la terapia di tutti i malati di cancro per renderla più sopportabile e per consentire ai medici di agire con più forza contro la malattia. Così affermano diverse società scientifiche internazionali, dal National Institute of Clinical Excellence (NICE, che con-

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Farmaci per il dolore consentono maggiore incisività

trolla la qualità delle cure per conto del Sistema sanitario britannico) all’ASCO, che raggruppa gli oncologi clinici statunitensi. È di questa opinione anche Adriana Turriziani, presidente della Società italiana di cure palliative, che riunisce gli specialisti del settore. “Nel 2010 è stata promulgata in Italia una legge molto innovativa, la 38, voluta anche dalle associazioni di pazienti, che prevede un’incremento dei centri di terapia palliativa e del dolore e un progressivo affiancamento del palliativologo agli altri medici durante tutte le fasi di cura di malattie come il cancro. È ora di far uscire le cure palliative dall’ombra della morte: non sono le cure dei malati terminali, anche se possono aiutare le fasi finali dell’esistenza delle persone, ma sono le cure che rendono sopportabili le altre terapie e la malattia stessa”.

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UN NOME DA CAMBIARE Il problema, affermano gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), sta tutto nel nome: palliativo è un aggettivo che definisce ciò che si fa in assenza di una vera soluzione. Lo diciamo anche nel linguaggio corrente: “Non è la soluzione, è solo un palliativo”. E mentre molti esperti preferiscono usare altre espressioni, come “terapie di supporto”, l’OMS ha cercato di ampliarne la definizione: “È una cura palliativa qualsiasi approccio che migliori la qualità della vita dei pazienti o dei loro familiari di fronte a malattie potenzialmente pericolose per la vita”. Ancora una volta, anche l’OMS non centra il bersaglio, poiché oggi le terapie palliative si usano

in molte malattie dolorose ma che non mettono necessariamente a rischio l’esistenza della persona. “Il medico specializzato in cure palliative fa invece parte del gruppo che tratta il paziente già nella fase acuta della malattia, contribuisce alla definizione dei sui bisogni, compresi quelli psicologici e spirituali” afferma Stein Kaasa, responsabile della Cancer Clinic dell’ospedale di Trondheim, in Norvegia, sulle pagine della rivista Cancer World. Kaasa, che è anche consulente dell’OMS per la ridefinizione delle linee guida in materia, è convinto dell’utilità di queste terapie fin dalle fasi più precoci. “Oggi, anche quando non si può parlare di guarigione de-

Il termine palliazione dà un’impressione sbagliata


In questo articolo: medicina palliativa terapia del dolore

finitiva, si possono curare i pazienti dando loro una speranza di vita anche di anni. Si tratta di persone che vivranno una condizione di malato cronico nella quale il ricorso alle terapie di supporto è vitale per consentire la sopravvivenza stessa e talvolta la somministrazione di

alcuni trattamenti” continua l’esperto norvegese. PIÙ RICERCA SULL’EFFICACIA Gli sforzi della comunità scientifica sono quindi rivolti verso l’integrazione dell’oncologia con la medicina palliativa. Le competenze del medico palliativologo possono infatti aiutare i clinici a prendere decisioni in alcune situazioni complesse, come per esempio la malattia avanzata. Sono i palliativologi, infatti, i massimi esperti nella valutazione della prognosi di una malattia metastatica. Sono inoltre gli unici a poter affrontare con armi davvero efficaci due sintomi indotti sia dalla malattia stessa sia dalle terapie, ovvero il dolore da cancro e la cachessia, cioè la perdita progressiva di massa muscolare e di forze legata ai cambiamenti metabolici. “Negli ultimi anni è migliorata anche la qualità della ricerca in medicina palliativa” spiega Adriana Turriziani. “Ora gruppi sempre più numerosi pubblicano studi comparativi tra diversi trattamenti in alcune situazioni delicate e forniscono dati a supporto di un loro intervento già nella

PREVENIRE LA STANCHEZZA

UNA RICERCA DA PALLIATIVOLOGO a cachessia, ovvero la perdita di massa muscolare accompagnata a grande stanchezza, è in genere un sintomo associato alle forme terminali di cancro. Ora uno studio condotto da Stein Kaasa e collaboratori e recepito dalle ultime linee guida europee in materia di cure palliative, dimostra che questo non è vero. Molti malati ne soffrono già durante le fasi iniziali. Si tratta di una situazione complessa da gestire, in cui si mescolano gli effetti della malattia sul metabolismo e quelli dei farmaci usati per la cura. L’infiammazione e lo spostamento dei processi metabolici verso il catabolismo (cioè la distruzione dei tessuti invece che la costruzione degli stessi) può essere contrastata se il medico palliativologo viene fatto intervenire fin dagli esordi del disturbo. Le armi per combatterla? Essenzialmente farmaci antinfiammatori e programmi nutrizionali speciali.

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fase di cura iniziale”. Il cancro non è ovviamente l’unico ambito di intervento della medicina palliativa, ma è certamente uno dei principali. A riprova di ciò, la Comunità europea ha messo in piedi una linea di finanziamento alla ricerca dedicata proprio alla medicina palliativa nel cancro, che ha portato in anni recenti alla messa a punto di linee guida europee per la gestione combinata della cachessia e della depressione nel paziente oncologico. Si tratta di un risultato importante, che dimostra la validità dell’approccio integrato tipico della medicina palliativa, che considera corpo e psiche un tutt’uno e che riconosce anche l’importanza delle reciproche influenze. La depressione del malato oncologico può avere anche delle motivazioni biologiche, legate a fattori metabolici, mentre un corpo stanco e che non risponde è a sua volta una buona ragione per sentirsi depressi. Curare un aspetto tralasciando l’altro è quindi limitativo e non sortisce i risultati attesi.

MENO RICOVERI, MENO FARMACI “Diversi studi, tra cui uno uscito alcuni anni fa sulla rivista The Lancet, hanno dimostrato che i malati di cancro trattati sia dall’oncologo clinico sia dal palliativologo hanno bisogno di meno ricoveri” spiega Kaasa. Vi sono poi dati che dovrebbero fare riflettere, come uno studio pubblicato nel 2010 sul New England Journal of Medicine che ha coinvolto alcuni malati con forme avanzate di cancro polmonare. Lo studio dimostra che chi è stato assistito solo con l’aiuto di cure palliative ha vissuto più a lungo di chi è stato trattato con chirurgia o chemioterapia e ha mostrato meno sintomi di depressione. In sostanza, le cure che dovrebbero intervenire quando non c’è altro da fare si dimostrano invece utili a prolungare la vita e a calibrare alcuni eccessi terapeutici, evitando il ricorso a terapie o interventi inutili grazie alla possibilità che offrono di condurre una vita serena e priva di sofferenza.

A volte gli antidolorifici prolungano la vita


IFOM - ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Didattica

Se la cellula viaggia insegnamolo ai ragazzi Uno dei direttori di ricerca presso IFOM, Giorgio Scita, dedica il suo tempo allo studio dei meccanismi di motilità cellulare, ma anche alle numerose iniziative didattiche portate avanti presso l’Istituto FIRC di oncologia molecolare

a cura della REDAZIONE iorgio Scita è uno scienziato particolare, non fosse altro perché parte del suo tempo (tolto per lo più alle attività extralavorative) lo dedica alla didattica della scienza, a cui IFOM, sin dalla sua nascita, ha prestato attenzione e dedicato energie. Una vocazione, quella per la didattica, che nasce parallelamente alla laurea in biologia, con specialità in chimica, conseguita all’Università di Parma. “Poco dopo la specialità sono partito per gli Stati Uniti. Ho passato quattro anni a Berkeley, in California, e poi altri due al National Cancer Institute di Bethesda, nel Maryland” spiega Scita, che racconta anche del ritorno in Italia (“in realtà un arrivo” specifica, “perché non ero mai stato a Milano”). È all’Istituto europeo di

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oncologia che inizia la sua carriera di ricercatore con una borsa dedicata, fino a diventare, oggi, uno dei direttori di ricerca di IFOM e responsabile scientifico del programma YouScientist, un progetto di divulgazione scientifica rivolto alle scuole che negli ultimi anni si sta allargando anche verso altri target. BLOCCARE LA MIGRAZIONE “La mia principale occupazione rimane comunque la ricerca nel mio laboratorio. Mi occupo di dinamica delle membrane e dell’actina nel controllo della migrazione cellulare” spiega ancora. Dietro un titolo così complesso si cela in realtà un concetto molto semplice e soprattutto davvero importante per la ricerca sul cancro. Molte cellule del-

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l’organismo non sono statiche, bensì migrano da un punto all’altro dello stesso tessuto e talvolta anche a distanza. Per fare ciò cambiano forma, si intrufolano negli spazi lasciati vuoti dalle altre cellule, riattivano geni che di norma sono silenti, producono enzimi per farsi strada. “Ovviamente non tutte le cellule sono mobili ma possono diventarlo quando subiscono trasformazioni maligne. È per via di questa proprietà che il cancro metastatizza e si riforma anche a notevole distanza dalla sede primigenia”. Conoscere i meccanismi mediante i quali ciò accade nella cellula sana permette di intervenire anche

su quella cancerosa. L’obiettivo è quello di riuscire a fermare il processo di metastatizzazione con farmaci appositi. “È certamente un filone di indagine importante, anche se col tempo abbiamo imparato che le cellule tumorali sono più furbe di quanto pensassimo. Un primo farmaco che avrebbe dovuto bloccare il processo di migrazione, quando è stato sperimentato non ha funzionato: si è poi scoperto che se si blocca un sistema di movimento, la cellula cancerosa ne attiva uno diverso e raggiunge comunque il suo scopo” spiega Scita. “Quindi l’unica possibilità è quella di bloccare la cellula su più fronti”.

... per saperne di più: www.ifom-firc.it/scienzasocieta.php


DALLA BIOETICA AL TRIBUNALE

In questo articolo: YouScientist didattica metastasi UNO SCHELETRO FLESSIBILE L’actina, per esempio, è una proteina filamentosa che consente alla cellula di cambiare forma e che costituisce una sorta di scheletro in grado di mantenerla nella struttura corretta. “Spesso l’actina si modifica per consentire alla cellula di staccarsi dalle altre, nei tessuti solidi, e per muoversi con quel che viene chiamato movimento ameboide, cioè simile a quello delle amebe”. Il modo con cui l’actina interagisce con la membrana è stato l’oggetto di diverse pubblicazioni del gruppo di Scita. “Recentemente abbiamo pubblicato in collaborazione con Maria Rescigno dell’IEO, sulla prestigiosa rivista Immunity, uno studio sulla motilità delle cellule dendritiche, che sono cellule del sistema immunitario, identificando in una proteina prodotta dal gene Eps8 il meccanismo chiave che consente loro di spostarsi per attivare le risposte immunitarie dell’organismo. Non solo: è anche un elemento importante per spiegare come fanno le cellule dendritiche (e forse anche le cellule tumorali) ad adattarsi così rapidamente all’ambiente che devono attraversare e che cambia continuamente, di tessuto in tessuto”.

INVESTIMENTO PER IL FUTURO Quando lascia il suo laboratorio, Scita si dedica ad un’altra non facile sfida, quella della divulgazione scientifica, coordinando l’esperto team YouScientist di IFOM. “YouScientist è il programma divulgativo di IFOM, che da oltre 10 anni propone al pubblico iniziative ad hoc come laboratori didattici, visite guidate e conferenze. IFOM ha deciso di aprire le porte dei suoi laboratori ai cittadini curiosi di scienza, invitandoli a esplorare direttamente sul bancone il complesso mondo della biologia molecolare, a toccare con mano gli strumenti che usa la ricerca sul cancro e capire cosa ci possiamo realisticamente aspettare dai suoi risultati. Abbiamo attivi due laboratori didattici, uno accanto a quelli dove facciamo ricerca tutti giorni e un altro in una scuola a Palermo che è diventata primo Polo Didattico di IFOM. Infatti particolare attenzione è dedicata al mondo della scuola, per il quale IFOM YouScientist ha sviluppato diverse iniziative didattiche rivolte agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado e ai docenti, individuati come il principale partner attivo per un dialogo fra il mondo della ricerca e i giovani”. “Il mio compito – prosegue Scita – è a dir la verità molto semplice a causa dell’incredibile professionalità del team Youscientist e si limita a stimo-

ANCHE I GIUDICI IN LABORATORIO razie alla presenza di un dottorato di ricerca in bioetica all’interno della sua struttura, IFOM è spesso sede di corsi di aggiornamento per figure professionali anche distanti dal mondo della scienza. Anche per loro il progetto YouScientist ha aperto le porte dei laboratori. È accaduto, per esempio, con un gruppo di giuristi che avevano l’interesse professionale e deontologico di capire in prima persona il percorso sperimentale per identificare e analizzare i campioni di DNA utilizzati durante le indagini.

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lare nuovi progetti divulgativi e nuovi spunti per trasferire i contenuti della scienza al grande pubblico”. YouScientist è un progetto di grande successo che, insieme all’attività di ricerca sul cancro, è sostenuto da FIRC, principale finanziatore dell’Istituto. “A n c h e quando faccio lezione in università cerco di rendere le lezioni passive più interattive possibili, con l’aiuto di nuovi mezzi come i video e la rete. Insegnare ai ragazzi l’im-

portanza della ricerca scientifica e soprattutto permettere loro di accedere a un vero laboratorio è un investimento per il futuro. La speranza è di orientarli efficacemente verso le carriere scientifiche e far comprendere loro l’importanza di sostenere la ricerca, senza la quale non solo non avremo una cura per gravi malattie come il cancro, ma ci troveremmo in un Paese fermo, senza alcuna prospettiva di sviluppo”.

Fermare le metastasi, un obiettivo ambizioso

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare della FIRC, la Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, svolge attività scientifica d’avanguardia per la cura della malattia grazie a quanti sostengono concretamente la Fondazione. Dai anche tu il tuo contributo e senza versare denaro! Come? Aggiungi un piccolo lascito nel tuo testamento, è facilissimo: visita il sito www.fondazionefirc.it o telefona allo 02 79 47 07. Grazie

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AIRC PER LA SCUOLA Un premio alla creatività

La seconda edizione di Una metafora per la ricerca Premiati a Milano i vincitori del concorso organizzato da AIRC che ha visto la partecipazione di oltre 275 giovani creativi e 35.000 votanti via web a cura della REDAZIONE na giornata di inizio primavera carica di emozione e di entusiasmo per le quattro ragazze che sono state premiate dalla giuria di esperti del concorso Una metafora per la ricerca, alla sua seconda edizione. Lo scorso 30 marzo, infatti, le studentesse hanno trascorso un’intera giornata all’IFOM di Milano, un centro di ricerca oncologica che non ha niente da invidiare ai grandi istituti europei e mondiali, accompagnate dalle loro professoresse, per poter “toccare con mano” cosa significa fare ricerca e per ritirare il premio di un concorso che rappresenta una tappa importante dell’attività che AIRC rivolge alle scuole. Proprio le scuole sono infatti il luogo privilegiato per poter coinvolgere tutti, e soprattutto i giovani, particolarmente interessati ai meccanismi della lotta contro il cancro. In una sala conferenze gremita, ha preso il via in tarda mattinata la cerimonia di premiazione del concorso,

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che ha fatto registrare un vero record di partecipazione: oltre 275 i lavori inviati e suddivisi in tre categorie (fotografia, disegno e testo) che hanno complicato non poco il compito della giuria di esperti costretta a decretare “solo” un vincitore per ciascuna categoria in gara. In realtà i giurati sono stati oltre 35.000: tante sono state infatti le persone che hanno votato via Internet i lavori in gara. E solo dopo il voto popolare che ha stabilito i primi 15 classificati è entrata in scena la giuria di esperti composta dal regista Ferzan Ozpetek (in qualità di presidente), dallo scrittore Giorgio Faletti, dallo scienziato Giorgio Scita (vedi anche intervista a pagina 26), dalla star di YouTube Daniele Selvitella – noto con il nickname di Daniele Doesn’t Matter – e dal creativo Paolo Gorini, che da anni firma molte camI giurati (da sinistra): Giorgio Scita, Giorgio Faletti, Paolo Gorini, Ferzan Ozpetek e Daniele Selvitella (aka Daniele Doesn’t Matter) con le vincitrici del concorso.

pagne di comunicazione di AIRC. “È come stare in stazione senza avere l’orario dei treni: sei lì che aspetti ma non sai quando il treno arriverà – magari presto, magari invece devi aspettare molto tempo – ma una cosa è certa: se non sei in stazione, il treno non lo prendi”. Così Giorgio Faletti vede la ricerca, un lavoro fatto di tanto impegno e di attese a volte lunghe e snervanti, ma se il risultato arriva, il viaggio può davvero prendere il via.

Menzioni speciali “Come rappresentante dei ricercatori che lavorano in IFOM posso dire di essere orgoglioso di ospitare questo evento che avvicina i giovani alla ricerca e voglio ringraziare personalmente AIRC, senza la quale la ricerca oncologica in Italia sarebbe quasi impossibile” ha affermato, nel suo discorso di apertura della cerimonia di premiazione, Giorgio Scita, scienziato di IFOM, da anni impegnato nella ricerca contro il cancro. E dopo un breve intervento

... per saperne di più: www.scuola.airc.it/metafora


In questo articolo: concorso metafora per la ricerca scuola

da parte dei singoli giurati che hanno spiegato i criteri alla base delle loro scelte, ciascuna delle vincitrici – in questa edizione hanno trionfato le donne – ha ritirato il proprio premio spiegando come è nata l’idea vincente. “Ciascuno di noi ha messo un po’ di se stesso, della propria sensibilità e delle proprie emozioni nell’assegnare i premi” ha spiegato Ozpetek, “ma tutti eravamo animati dalla convinzione che la ricerca è la chiave per arrivare alla soluzione”. E la scelta è stata decisamente ardua, dato soprattutto l’alto numero dei partecipanti e la qualità dei lavori, tanto che si è deciso di assegnare anche 15 menzioni speciali (5 per ciascuna categoria): una delle vincitrici di questo riconoscimento, Andrea Sole Brovelli, ha preso parte alla cerimonia di premiazione in rappresentanza di tutti i suoi “colleghi”.

La comunicazione si evolve, anche quella sul cancro Nella giornata che AIRC ha voluto dedicare ai ragazzi non potevano certo mancare i nuovi mezzi di comunicazione tanto amati e utilizzati dagli under 18. “Parlare di cancro non è un’impresa facile” ha affermato Maria Volpe, giornalista del Corriere della Sera e moderatrice del dibattito che ha avuto luogo subito dopo la premiazione, “e l’arrivo dei nuovi mezzi di comunicazione, dai siti Internet, alle chat, ai social network ha modificato notevolmente il panorama”. I membri della giuria hanno espresso le loro opinioni su questi nuovi strumenti ed è apparso chiaro che essi aprono prospettive prima d’ora impensabili. “Con l’avvento dei nuovi mezzi, la comunicazione non è morta, piuttosto si è evoluta” ha detto Salvitella. “Anche per loro ci sono tre gradi di giudizio: la critica, la gente e il tempo” ha concluso Faletti. “E sono certo che proprio il tempo farà di Internet uno strumento meraviglioso”.

VINCE LA PASSIONE

“Mi ha colpita moltissimo la passione che mettete in quello che fate, la voglia di fare, di mettersi in gioco, di andare avanti nonostante le delusioni. Conservate quest’energia, perché quello che state facendo è veramente meraviglioso”. Sono le parole che Giada Toso, vincitrice del Gran premio della giuria, scrive ad AIRC dopo la giornata trascorsa in IFOM e che meglio di ogni racconto descrivono i sentimenti e le emozioni di tanti ragazzi nei confronti della ricerca e della lotta a una malattia vista come un nemico sempre meno invincibile. Un grande segnale di speranza che premia il lavoro di AIRC e dei suoi ricercatori che ogni giorno nei laboratori di tutta Italia investono tempo ed energia nella lotta contro il cancro.

FOTOGRAFIA – Arianna D’Amico, Liceo classico G.B. Impallomeni, Milazzo (Messina). Per il forte contenuto simbolico della fotografia proposta che ritrae una giovane donna che tiene tra le dita una stella e con la speranza di poter guardare il cielo con serenità.

DISEGNO – Antonia Mele, Liceo classico Umberto I, Napoli. Per la semplicità della rappresentazione della ricerca vista come un microscopio dal quale nasce e si alimenta un fiore con colori carichi di significato simbolico: il verde che richiama la speranza e il giallo che ha tutta la forza del sole.

L’indifferenza non appartiene a chi crede nellA rIceRCa GRAN PREMIO DELLA GIURIA – Giada Toso, Istituto Ettore Sanfelice, Viadana (Mantova). Perché ha proposto un messaggio dal forte impatto visivo ed emotivo che non lascia spazio ad equivoci.

TESTO – Michela De Diego, I.T.I.S. Guido Donegani, Crotone. Perché il gioco di parole scelto sottolinea l’importanza di AIRC nella lotta contro il cancro e fa capire in modo leggero quanto il coinvolgimento di tutti sia fondamentale per raggiungere l’obiettivo finale: la cura del cancro.


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RACCOLTA FONDI Tumori femminili e pediatrici

L’Azalea, un fiore che diventa forza

Quattro donne per la ricerca a cura della REDAZIONE er il terzo anno consecutivo Diva Universal conferma la sua partnership con AIRC in occasione della Festa della mamma, offrendo due brevi filmati di taglio cinematografico per raccontare al pubblico le storie di due ricercatrici, Irma Airoldi e Ines Barone. I video raccontano le storie di una ricercatrice AIRC e di una pioniera della scienza del passato, legate da un comune interesse scientifico: testimonianze esemplari di donne-dive della ricerca e dell’impegno quotidiano nelle tematiche sensibili al mondo femminile. I due contenuti sono stati programmati sul canale Diva Universal per tutto il mese di maggio, insieme allo spot Azalea (in onda anche su Studio Universal, Mediaset Premium) con il duplice obiettivo di far conoscere le nostre ricercatrici, le loro storie, i loro progressi e insieme invitare il pubblico a partecipare all’iniziativa sulle piazze. I video con le loro testimonianze sono disponibili su www.lafestadellamamma.it e sul canale AIRC di YouTube.

P a cura della REDAZIONE untuale come sempre al suo appuntamento con la Festa della mamma, l’Azalea della Ricerca ha raggiunto le piazze italiane domenica 13 maggio. Il tenero fiore di azalea si è trasformato in una grande forza: all’evento hanno partecipato circa 25.000 volontari organizzati in 3.593 punti di distribuzione. Nonostante il maltempo nel Nord e Centro Italia, il loro prezioso impegno e la loro tenacia hanno permesso di raccogliere circa 9,5 milioni di euro, indispensabili per garantire continuità a quei progetti di ricerca sui tumori femminili che promettono risultati concreti nella clinica. Un segnale chiaro di come la ricerca sul cancro sia considerata prioritaria dagli italiani, anche in un periodo di crisi economica.

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I volontari sono sempre più numerosi anche in forza del protocollo d’intesa che AIRC ha siglato con due importanti realtà associative: FederDonne, Federazione sindacale nazionale e apartitica che coinvolge quasi 45.000 associate in Italia, e ARCA Enel, associazione ricreativa per i dipendenti del Gruppo Enel e delle aziende associate. A partire da questa edizione dell’Azalea della Ricerca e per tutto il prossimo anno queste realtà collaboreranno a promuovere tra i propri soci iniziative di informazione sulla ricerca oncologica e di raccolta fondi per AIRC. Per maggiori informazioni contattare il Comitato regionale AIRC più vicino. www.federdonne.it www.arca-enel.it

Mediafriends per AIRC La campagna Mediafriends per AIRC a sostegno delle ricerche sui tumori pediatrici promossa sulle reti Mediaset è giunta quest’anno alla sua decima edizione. Dieci anni di ricerca durante i quali sono stati raggiunti importanti risultati. Ma molto ancora resta da fare. È per questo che Federica Panicucci, madrina dell’iniziativa, insieme a Gerry Scotti, Rita Dalla Chiesa, Mino Taveri e Susanna Petrone, Sandro Provvisionato, Ficarra e Picone, Luca e Paolo, Alessio Vinci, ha invitato il pubblico a sostenere i progetti di ricerca AIRC raggiungendo (al momento della stampa di questo numero di Fondamentale) il risultato di 250.000 euro, risorse preziose per i ricercatori impegnati a rendere i tumori dei bambini sempre più curabili.

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