Fondamentale giugno 2018

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Numero 3 - giugno 2018 - Anno XLVI - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

Numero 3 - giugno 2018

HPV

EPIC Il più grande studio sugli stili di vita compie 25 anni

Non più soltanto cancro della cervice ma causa di molti tumori UMANIZZAZIONE

Per curare bene non bastano i farmaci serve un medico empatico

Michele Maio, pioniere dell’immunoterapia

VIAGGIATORE CONTRO IL CANCRO


SOMMARIO

FONDAMENTALE giugno 2018

In questo numero: 04 VITA DA RICERCATORE 07 TESTIMONIANZA 08 EPIDEMIOLOGIA 12 NOTIZIE FLASH 14 INFEZIONI E CANCRO 17 RECENSIONI 18 PREVENZIONE 20 MEDICINA PRATICA 23 IFOM 24 RICORDO 25 BILANCIO SOCIALE 28 RACCOLTA FONDI 30 IL MICROSCOPIO

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Un napoletano a Siena per amore dell’immunologia La sperimentazione che ti salva la vita

Il virus HPV è ormai identificato in tumori diversi, a riprova dell’importanza della vaccinazione

Un quarto di secolo alla ricerca della dieta corretta

Dal mondo

18

Per prevenire i danni da sole è meglio intervenire fin dall’infanzia con protezioni adeguate

HPV e cancro, un problema non solo femminile Bersaglio mobile, il cancro alla luce della modernità Il sole fa bene solo con moderazione

Comunicare non è informare ma condividere le emozioni

Piccoli messaggeri del danno cellulare

20.000 volontari 562.285 piantine

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FONDAMENTALE

Anno XLVI - Numero 3 Giugno 2018 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Rotolito S.p.A. DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

4.454.098

copie di Fondamentale spedite

di euro destinati alla ricerca

650 progetti

e nuovi programmi di ricerca

5.000 ricercatori

140 lasciti

accettati dalla Fondazione

Un anno insieme per rendere il cancro sempre più curabile

La biopsia liquida: fatti e sogni

17 comitati regionali

118 milioni

Il commosso saluto a un amico della ricerca

Azalea della Ricerca e Partita del Cuore

25

di Azalea distribuite

4.500.000 sostenitori

Bilancio di esercizio e di missione: per sapere tutto su AIRC Oltre 8,7milioni

di visitatori unici del sito airc.it

Un medico più umano cura meglio il suo paziente

CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Alessandro Boggiani, Anna Franzetti REDAZIONE Alessandro Boggiani PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Carlotta Jarach, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Elena Riboldi, Fabio Turone FOTOGRAFIE Beniamino Barrese, Claudio Bonoldi, Maurizio D’Avanzo, Alberto Gottardo, Giulio Lapone, Silvia Sironi

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.


EDITORIALE

Pier Giuseppe Torrani

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Al centro della ricerca, le persone

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al 1965 AIRC sostiene con continuità il progresso della ricerca per la cura del cancro e diffonde una corretta informazione sui risultati ottenuti, sulla prevenzione e sulle prospettive terapeutiche. Tutto questo non sarebbe possibile senza un’incessante attività di raccolta fondi composta da centinaia di azioni diffuse che coinvolgono tutte le aree della collettività. In 53 anni AIRC è cresciuta fino a diventare un’organizzazione non profit di notevole dimensioni e qualità professionale, che si è confrontata non solo con il sistema della ricerca scientifica in Italia, contribuendo con finanziamenti annuali ricorrenti alla formazione della scuola italiana di oncologia, oggi costituita da circa 5.000 scienziati e ricercatori, ma anche con il sistema sanitario italiano, perché molti dei ricercatori finanziati da AIRC sono anche medici. La scuola italiana di oncologia è quindi diventata un pilastro per la cura dei pazienti presso il sistema sanitario: la ricerca si arricchisce nella contatto con il malato e con le famiglie di chi è stato attaccato dal cancro e quindi nella condivisione del dramma della malattia senza la quale la cura fine a se stessa non è mai sufficiente. A pagina 20 di questo numero di Fondamentale troverete un interessante articolo di approfondimento sull’importanza del rapporto medico-paziente, componente imprescindibile del percorso di guarigione del malato. Sempre più importante diventa quindi il nostro compito di divulgazione dei risultati della ricerca, della comprensione della malattia e degli sforzi corali che vanno attivati per creare attorno alla scuola oncologica un consenso partecipativo sempre più avanzato. AIRC è diventata un centro nevralgico di informazione sulla malattia e di formazione della società italiana per quanto riguarda l’attenzione al valore della ricerca scientifica. Tutti i nostri sforzi non avrebbero potuto raggiungere alcun risultato senza il sostegno e la partecipazione di 4,5 milioni di sostenitori e di 20.000 volontari: ecco perché sentiamo il peso delle nostre responsabilità, non solo nella ricerca di una cura del cancro e nel sostegno agli ammalati, ma anche nel garantire ai nostri sostenitori che le loro donazioni e la loro fiducia non sono state mal riposte. Il nostro Bilancio d’esercizio e il nostro Bilancio sociale sono disponibili sul sito internet airc.it per assicurare sempre la massima trasparenza possibile di tutte le iniziative che intraprendiamo, perché il giudizio dei nostri sostenitori costituisce la base per assicurare nel tempo il perseguimento continuo dei nostri obiettivi.

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VITA DA RICERCATORE Michele Maio

Un napoletano a Siena per amore dell’immunologia Dopo una lunga carriera nomade, Michele Maio approda nella città toscana per dirigere il primo centro italiano esclusivamente dedicato all’immunoterapia dei tumori. Qui oggi si sperimentano tutte le terapie innovative basate sul sistema immunitario, alcune per la prima volta al mondo

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a cura di FABIO TURONE ulla porta dello studio da cui Michele Maio dirige il Centro di immunoterapia oncologica al Policlinico Santa Maria alle Scotte a Siena, un breve testo in napoletano accoglie il visitatore. È il famoso “facite ammuina”: l’ordine per i marinai di fare una gran confusione per dare l’impressione di essere occupati in mansioni importanti, che secondo un’autoironica tradizione partenopea sarebbe “da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno”. Se oggi Maio si sente molto “newyorkese, friulano e senese”, il marcato accento mette in chiaro che il legame con Napoli, dove è nato e cresciuto, non si è mai interrotto: in un certo senso, lui che da Napoli è partito, Napoli l’ha trovata anche in America, dove è sbarcato a 24 anni e mezzo con una borsa semestrale di AIRC, subito dopo la laurea con 110 e lode conseguita a tempo di record. “Durante l’Università avevo legato


In questo articolo: immunoterapia Michele Maio borse AIRC

con un gruppo di compagni molto determinati, e a un certo punto un paio di loro avevano ottenuto l’assegnazione della sede notarile, dopo gli studi in Legge, mentre io avevo la sensazione di essere in ritardo, anche se mi sono laureato in 5 anni e una sessione” racconta, appoggiato alla scrivania ingombra di instabili pile di fascicoli, su cui spicca il fonendoscopio, come a segnalare il forte legame tra ricerca di laboratorio e cura del malato, che ha rappresentato una costante nella sua vita, insieme alla voglia di girare il mondo.

Animo di viaggiatore Già prima di laurearsi, Maio aveva trascorso lunghi periodi all’estero, all’inizio degli anni ottanta: un mese a studiare genetica umana a Leida, in Olanda, poi ematologia a Cambridge, in Inghilterra, e immunologia a Monaco, in Germania. “Il mio professore all’Università di Napoli, l’immunologo Serafino Zappacosta, diceva: bisogna andare lì a imparare la tal cosa. E io ero sempre il primo ad alzare la mano” ricorda. Non aveva ancora del tutto chiaro che cosa avrebbe fatto dopo la laurea, ma nel dubbio la mano l’alzava. Anche prima di optare per Medicina, sul finire del liceo classico aveva accarezzato per qualche tempo l’idea di iscriversi a Economia e commercio: “Alla fine prevalse l’immagine del medico di famiglia che, fin da quando ero ragazzino, veniva a casa e dopo essersi occupato di chi stava male restava a scambiare due chiacchiere davanti a un caffè”. Il papà Antonio, ingegnere, stava lontano per lunghi periodi, in altre parti d’Italia ma anche in Sudamerica, e alle volte la mamma Crisanta partiva con lui: “Con le mie sorelle Giusi e Chiara abbiamo passato qualche periodo con la zia”.

La Grande Mela L’idea di allontanarsi da casa, insomma, faceva parte della normalità che Maio respirava fin da piccolo.

Quando nel 1983, subito dopo la laurea, si presenta l’opportunità di andare al New York Medical College, diretto da uno scienziato che ha conosciuto in occasione di un seminario a Napoli, il passo è breve: “Sono stato fortunato perché all’arrivo ho subito legato con un gruppo di coetanei”. Con alcuni compagni di laboratorio stabilisce presto la consuetudine di ospitarli a cena nel piccolo appartamento nel seminterrato di una villa, a due passi dal campus di Valhalla, poco a nord di New York, in cui vive da solo: “Io ho sempre amato cucinare, ma detesto lavare i piatti, che toccavano a loro”. La laurea italiana non gli consente di esercitare negli Stati Uniti, ma la competenza acquisita nell’uso di una tecnica di laboratorio gli permette di volare a Los Angeles – attraversando il continente – per sostenere un esame in un’agenzia federale. Ottiene così l’abilitazione a firmare referti per la valutazione della compatibilità dei pazienti destinati al trapianto di rene e midollo osseo. Assunto al Medical College, divide le sue giornate tra Valhalla e l’Istituto oncologico Sloan Kettering, dove ferve la ricerca sui linfociti T, negli stessi anni al centro della ricerca sulla nuova e temibile epidemia di AIDS. “La borsa di AIRC è stato un viatico importantissimo, anche se nei primi tempi a New York ho vissuto con ben pochi mezzi” ricorda sorridendo. “In quegli anni ho fatto molto laboratorio ma anche molta ricerca clinica, in particolare sui tumori solidi come il melanoma. Lì ho cominciato a studiare l’immunoterapia, anche grazie al fatto che il New York Medical College era uno dei soli sette centri negli Stati Uniti autorizzati dalla Food and Drug Administration a studiare l’interleuchina 2, un mediatore cellulare prodotto dai linfociti T e che ha la funzione di regolare l’attività del sistema immunitario.”

La ricerca e la clinica Al rientro in Italia è ancora AIRC che gli assegna il suo primo finanziamento per un progetto di ricerca, nel 1989. Ha già pubblicato su riviste di primissimo piano, da Lancet all’International Journal of Cancer, e alla prima specializzazione in ematologia alla Cattolica di Roma ha deciso di affiancare quella in oncologia, alla Federico II di Napoli: “L’ematologia era la specialità clinica più vicina agli studi di immunologia, e mi aveva appassionato fin dal secondo anno di Medicina, quando avevo cominciato a frequentare il reparto diretto da Felicetto Ferrara al Cardarelli”. Il suo primo laboratorio italiano non è però a Napoli, ma ottocento chilometri più a nord, al Centro di riferimento oncologico di Aviano, in provincia di Pordenone: “È stato un periodo molto interessante della mia vita, in cui ho mantenuto i contatti con gli Stati Uniti” ricorda. Proprio durante una visita a Valhalla per tenere un seminario, conosce Maresa Altomonte, una giovane nefrologa, anche lei napoletana. Quella che a prima vista poteva essere scambiata per “ammuina” (“Tutti quelli che stanno a prua vadano a poppa, e quelli a poppa vadano a prua; quelli a dritta vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a dritta” e così via) si fa sempre più chiara: un colpo di fulmine tra di loro ma anche tra loro due e l’immunoterapia dei tumori, su cui cominciano a fare ricerca insieme, dapprima lavorando a distanza e poi, dopo due anni, entrambi ad Aviano. In Friuli nasce la figlia Giulia, che ha cinque anni quando a Maio viene offerta la direzione di un nuovo reparto di oncologia medica a Siena: “Il direttore generale mi chiese di quanti posti letto avessi bisogno e io, per mettere subito in chiaro le mie priorità, risposi che avevo bisogno del laboratorio, che per la mia attività era, è e sempre sarà cruciale, e

Medico e ricercatore dal laboratorio alla corsia

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VITA DA RICERCATORE Michele Maio

che occorreMichele Maio (a sinistra) con il suo gruppo di medici va cambiare la logica ricercatori dell’ospedale che vedeva Le Scotte di Siena la ricerca come un accessorio” ricorda ora, seduto davanti alla finestra che offre una veduta dall’alto del centro storico, e della Torre del Mangia su Piazza del Campo. Alle pareti, le colorate immagini gioiose dell’artista americano Keith Haring, che ornano anche quelle del day hospital: “In America mi ero innamorato dei suoi calendari, che ho deciso di incorniciare per decorare questi ambienti”.

Un approccio dibattuto

A Siena, Michele Maio è arrivato nel 2004, con la figlia ma senza Maresa, che per circa un anno rimane, in attesa del trasferimento, ad Aviano, dove lui continuerà a coordinare l’attività fino al 2012: “Andando via ho concordato di mantenere una collaborazione assidua per aiutare il gruppo di ricerca a raggiungere la piena autonomia” spiega. Alcuni di quei ricercatori lo avevano infatti seguito a Siena: “Senza le persone giuste non vai da nessuna parte, e qui occorreva avviare tutto da zero” sotto6 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2018

linea. Inizialmente, nella città del Palio non riceve un’accoglienza calorosa ma la prospettiva di potersi focalizzare sullo sviluppo clinico dell’immunoterapia oncologica nel primo centro italiano dedicato specificamente a questo promettente approccio gli permette di superare tutto: “Era una scommessa assoluta, perché all’inizio la storia dell’immunoterapia dei tumori è stata costellata di insuccessi e molti ne contestavano addirittura la validità, ma io amo essere sotto pressione” spiega con un sorriso. “All’epoca, il 99 per cento dei casi era trattato con la chemioterapia, e appena l’1 per cento con l’immunoterapia.”

ficano nuove potenziali terapie su soggetti malati”. Questo significa che nel centro di Siena molti malati che con le terapie standard avrebbero prospettive di sopravvivenza molto modeste possono talvolta trovare un protocollo adatto alla loro situazione: “In alcuni casi la sopravvivenza è passata dal 5 al 30 per cento, anche se è chiaro che non si può generalizzare” sottolinea Maio. “Anche per questo, il numero delle prime visite è cresciuto vertiginosamente, dalle 900 del 2015 alle 1.200 del 2016 fino alle 2.500 del 2017, per oltre due terzi da fuori regione. Alcuni pazienti vengono spontaneamente, altri sono indirizzati qui dal loro medico”. Ogni giorno, Maio risponde personalmente a decine di e-mail, spiegando che non è possibile fornire consulenza a distanza, e ogni giorno segue l’attività clinica facendo avanti e indietro dal day hospital, discutendo tutti i casi con i suoi collaboratori, e spesso visitando i pazienti insieme a loro: “Vedere il paziente può essere fondamentale, ma altrettanto importante è sapere che chi segue l’attività clinica è perfettamente in grado di lavorare in maniera affidabile, e di condividere con il team le informazioni più importanti.” Per mantenere un clima cordiale di collaborazione con tutto il gruppo di lavoro, composto da una cinquantina di persone, ogni anno organizza una grigliata nel giardino di casa, nella campagna senese. Forse è per questo che pur vivendo a Siena da molti anni, non è legato a nessuna contrada del Palio. Anzi, la domanda gli fa tornare in mente un episodio: “Ricordo che ci rimasi male quando arrivarono gli arredi per la sala d’attesa, ordinati da un mobilificio friulano che mi aveva fatto un ottimo prezzo per dei mobili di gran qualità, e due pazienti espressero il loro disappunto: il divano era bello e comodo, certo, ma i colori ricordavano quelli di non so che contrada rivale!”

L’immunoterapia non è per tutti ma crescono le indicazioni

First in human Ora la scommessa ha cominciato a dare i suoi frutti: “Oggi il nostro è un gruppo di ricerca importante in termini di numeri, e molto competitivo a livello internazionale. Abbiamo una quarantina di trial clinici attivi in contemporanea, dalla fase 1 alla fase 3, e siamo ora attrezzati anche per gli studi detti ‘first in human’, che per la prima volta veri-


TESTIMONIANZA Susanna Baldetti

La sperimentazione che ti salva la vita Nonostante i puntuali controlli, il melanoma di Susanna viene identificato tardi, già in fase metastatica. La chemioterapia e l’interferone si rivelano poco efficaci. Dopo l’ennesimo nodulo asportato, l’incontro con Michele Maio e l’immunoterapia, che si rivela la strada giusta

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a cura della REDAZIONE opo una mononucleosi anomala, Susanna Baldetti nota un nodulo sotto un neo sulla schiena e prenota una visita dermatologica. Il medico la tranquillizza: non è nulla, può rimandare l’asportazione anche a dopo l’estate, stagione sconsigliata per effettuare interventi alla pelle. Ma compare presto un altro nodulo e, per non perdere ulteriore tempo, Susanna si rivolge a uno dei chirurghi dell’Ospedale di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, dove lavora come infermiera. La biopsia rivela una metastasi da melanoma maligno. È il 2006 e Susanna ha 34 anni.

Michele Maio, presso l’Azienda ospedaliera universitaria senese. Dopo l’asportazione di una metastasi cerebrale, Maio le suggerisce un farmaco immunoterapico sperimentale, l’ipilimumab. Susanna accetta. “Nel 2008 era una novità assoluta, in Italia lo usava solo lui. Effetti collaterali me ne ha dati, ma li ho sempre ben tollerati.” La terapia funziona: fa regredire i noduli polmonari, sebbene a livello sottocutaneo continuino a comparire dei noduli in diverse sedi che vengono asportati di volta in volta. Solo nel 2012 una nuova metastasi alla gamba, sottovalutata, provoca una setticemia. “Ma dopo quell’episodio e da quando ho sospeso l’immunoterapia non ci sono state altre ‘brutte’ manifestazioni.”

La malattia cambia tutti, è complicato fronteggiarla

Una scelta fortunata Si sottopone quindi a un ciclo di chemioterapia che, purtroppo, non dà buon esito. Le metastasi polmonari progrediscono e i medici le propongono una terapia con interferone, farmaco di vecchia generazione. Susanna rifiuta, e, su consiglio del proprio primario, consulta

Dodici anni dopo Susanna oggi ha 46 anni, effettua periodicamente gli esami di controllo necessari, continua a lavorare come infermiera e a seguire i suoi due figli, di 16 e 19 anni, dopo essersi lasciata al-

le spalle un divorzio. “Penso che la malattia cambi tutti, ed è accaduto anche a me. È stata impattante, anche sulla mia vita privata. Può capitare, perché quando stai male tutto diventa più complicato, faticoso e doloroso. Tuttavia ho continuato a lottare per i miei figli, con la forza che mi ha sempre contraddistinto in ogni evento e decisione importante della mia vita. Anche la voglia di lottare per qualcuno a cui tieni è fondamentale per affrontare la malattia, ti dà forza.” Susanna è consapevole che senza la ricerca il suo percorso di cura non sarebbe stato possibile: “Penso che si debbano incentivare quanto più possibile studi e progetti di ricerca innovativi, come quelli che puntano a sviluppare terapie che interagiscono con il sistema immunitario e si stanno rivelando efficaci per diversi tipi di tumori”. GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 7


EPIDEMIOLOGIA Studio EPIC

In questo articolo:

EPIC alimentazione e cancro prevenzione primaria

Un quarto di secolo alla ricerca della dieta corretta EPIC, il grande studio europeo nato per comprendere il legame tra alimentazione e cancro, ha appena compiuto 25 anni e promette di regalare ancora tante informazioni utili per la salute a cura di CRISTINA FERRARIO ltre mezzo milione di persone coinvolte, dieci Paesi europei e più di due decenni di ricerche che hanno già portato risultati

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importanti e ancora ne porteranno nei prossimi anni: sono questi i numeri di EPIC, acronimo di European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (http://epic.iarc.fr), uno studio prospettico che si pone l’obiettivo ambizioso di

STILI DI VITA

PIÙ PREVENZIONE PRIMARIA

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oca carne rossa e tante fibre per proteggere il colon, stop all’alcol per ridurre il rischio di tumore del fegato e del seno, peso nella norma e attività fisica: queste e molte altre forme di prevenzione oncologica legate allo stile di vita devono la propria credibilità scientifica a studi come EPIC. Le agenzie internazionali come la IARC forniscono spesso indicazioni di prevenzione primaria e proprio questo in effetti è lo scopo dei grandi studi epidemiologici: aggiungere alla diagnosi precoce indicazioni utili per evitare che la malattia possa nascere e svilupparsi. I risultati di uno studio italiano pubblicato sulla rivista Breast Cancer Research and Treatment nel 2017 da Giovanna Masala e colleghi dimostrano, per esempio, che con peso nella norma, attività fisica e ridotto consumo di alcol si potrebbero evitare circa un terzo dei casi di tumore al seno nelle donne in menopausa.

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svelare il legame tra alimentazione e tumori. “Il sospetto che ci fosse un legame forte tra alimentazione e rischio di ammalarsi di tumore era presente tra gli esperti già negli anni ottanta del secolo scorso: uno dei lavori più importanti sull’argomento fu pubblicato nel 1981 dagli epidemiologi Doll e Peto e stimava che un terzo circa dei tumori potesse essere legato a ciò che mangiamo” spiega Paolo Vineis, epidemiologo che lavora all’Imperial College di Londra e all’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM) di Torino. “Quando si parla di scienza e di salute, però, il sospetto non basta, servono dati ragionevolmente certi” aggiunge. “Fino al 1990, i dati relativi al legame tra cibo e cancro arrivavano soprattutto da piccoli studi detti caso-controllo, nei quali si raccolgono i dati in modo retrospettivo: significa che le informazioni sulla dieta si raccolgono dopo

che l’evento (il tumore) si è già verificato. In uno studio prospettico, invece, tutti i dati sono raccolti all’inizio dello studio e poi le persone coinvolte vengono seguite nel tempo (con uno studio detto longitudinale) in attesa che si verifichi l’evento (che potrebbe anche non verificarsi mai). Così possiamo valutare se e come abitudini alimentari o marcatori biologici che possono influenzare il rischio sono presenti già prima che la malattia dia segno di sé.” 25 ANNI IN PRIMA LINEA Era l’inizio degli anni novanta quando Spagna, Italia, Francia e Regno Unito cominciarono ad “arruolare” i primi partecipanti allo studio EPIC e a raccogliere informazioni sulle loro abitudini alimentari e sul loro stile di vita attraverso specifici questionari. Inoltre ai partecipanti fu prelevato un campione di sangue, poi conservato in speciali biobanche.


Tra il 1994 e il 1998 la famiglia EPIC si allargò includendo altri sei Paesi (Grecia, Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Norvegia), per un gruppo finale di 10 nazioni, sostenute in parte anche dalla Commissione Europea nell’ambito del progetto Europe against Cancer. “Questo enorme sforzo in termini di ricerca fu fortemente voluto dagli epidemiologi, in particolare dagli italiani Rodolfo Saracci ed Elio Riboli (coordinatore di EPIC), e trovò la sua sede nell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) di Lione, in Francia” ricorda Vineis, precisando che nel corso degli anni le linee di ricerca all’interno dello studio si sono modificate adattandosi alle esigenze della scienza, alle nuove tecnologie e anche alle “tendenze” scientifiche del momento. “Le prime fasi di EPIC hanno valutato il legame tra alimentazione e cancro attraverso le stime dell’assunzione dei diversi alimenti. Quindi si è passati a una seconda fase, non ancora terminata, nella quale si è puntato su singole molecole e sul loro ruolo come biomarcatori. Infine, oggi siamo giunti a una fase nella quale si applicano all’epidemiologia tecniche di laboratorio ad ampio spettro, come la genetica o le cosiddette ‘omiche’, in particolare la metabolomica, che studia l’insieme dei prodotti del metabolismo (metaboliti) presenti nell’organismo” spiega.

quello internazionale”, precisa Domenico Palli, dell’Istituto di prevenzione e ricerca oncologica di Firenze e coordinatore per EPIC del centro toscano. I 23 centri che partecipano al progetto hanno infatti anche la possibilità di

Centinaia di studi, decine di Paesi

UN UNICO STUDIO, TANTI LIVELLI “Parlare di EPIC significa raccontare centinaia di studi che vengono svolti a diversi livelli, da quello più locale a GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 9


EPIDEMIOLOGIA Studio EPIC

svolgere studi a livello locale su specifiche tematiche e popolazioni. “Dipende ovviamente dal numero di persone che ciascun centro è riuscito ad arruolare. In Italia, dove non si erano mai svolti studi della portata di EPIC, ciò è più difficile, ma in centri del Nord Europa questa è una realtà” spiega il ricercatore, ricordando che, a livello nazionale, l’Italia è piuttosto attiva e ha prodotto diverse pubblicazioni. “Infine c’è il livello internazionale, dato dalla collaborazione fruttuosa dei Paesi che partecipano a EPIC, ma che spesso si estende anche oltre, grazie a collaborazioni con studi prospettici simili in corso in altri continenti” aggiunge. E la complessità

di EPIC non finisce qui. Sono molte le tecniche per studiare la relazione tra alimentazione e tumori: si può valutare l’impatto a livello molecolare (antiossidanti, vitamine, grassi saturi), del singolo alimento o di un gruppo di alimenti (carne rossa, pomodoro, verdura), ma anche della dieta in generale (mediterranea, vegetariana, occidentale). E se a questi fattori se ne aggiungono altri legati allo stile di vita, come attività fisica o fumo, lo scenario si complica ulteriormente.

Ora è tempo di studiare il livello molecolare

NON FACCIAMOCI CONFONDERE Come è possibile essere certi che il risultato che emerge da uno studio basato sull’osservazione come EPIC sia davvero attendibile? Chi ci assicura che sia davvero quell’alimento ad aumen-

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tare (o diminuire) il rischio di quel tumore (quindi che tra un cibo specifico e un cancro specifico esista un reale rapporto causa-effetto)? Sono alcune delle domande che i critici dell’epidemiologia pongono, sottolineando come il risultato finale di questi studi possa essere “confuso” (come dicono i ricercatori) da molti fattori. Inoltre, mettere insieme dati che provengono da contesti così diversi come quelli inclusi nello studio EPIC, significa avere a che fare con differenze in termini di abitudini alimentari, stile di vita e anche geni. “Non è semplice analizzare questo tipo di dati e arrivare a conclusioni certe, ma la statistica e le tecniche di genetica ci danno una mano” dice Vineis. Innanzitutto, avere a disposizione dati che derivano da contesti diversi è un valore aggiunto, non uno svantaggio: se un’associazione si ripete nonostante le differenze di contesto, la probabilità che il nesso di causa-effetto esista aumenta notevolmente. Inoltre oggi le associazioni vengono analizzate anche osservando le varianti geniche, non influenzate da fattori esterni.

“Quando si valutano gli stili di vita che possono influenzare l’insorgenza del tumore, si ragiona spesso in termini di profilo generale di rischio e non di singolo fattore di rischio” precisa Carlotta Sacerdote del CPO-Piemonte e dell’IIGM di Torino, coordinatrice del ramo torinese di EPIC. Chi segue un’alimentazione scorretta, in genere ha anche altre abitudini “rischiose” per la salute come la sedentarietà o il fumo, e di tutto questo si tiene conto per elaborare il profilo di rischio. Resta il problema della memoria individuale nella ricostruzione delle abitudini passate: come evitare gli errori, anche involontari, che si possono commettere quando si compilano questionari su quello che si è mangiato anche molto tempo fa? “Ci sono accorgimenti che vengono presi quando si somministrano i questionari, ma ancora una volta si può ricorrere alla tecnologia, che permette di risalire a ciò che si è mangiato analizzando le molecole presenti nel sangue o nelle urine” aggiunge Vineis. I RISULTATI DELL’EUROPA Non è possibile riassumere il lavoro di oltre 20 anni in poche righe, ma vale la pena di


accendere i riflettori su alcuni dei traguardi raggiunti grazie alle collaborazioni tra i diversi Paesi partecipanti a EPIC. Questi studi hanno dimostrato, per esempio, che la dieta mediterranea è alleata della salute: seguendola si riduce il rischio di mortalità generale ma anche di malattie cardiovascolari e tumori. Anche la vitamina D sembra avere un ruolo protettivo nei confronti di alcuni tumori e in particolare per quello del colon-retto. L’obesità addominale aumenta il rischio di mortalità, ma anche l’alcol ha un ruolo di primo piano: secondo i dati di EPIC, è responsabile in generale del 10 per cento dei tumori negli uomini e del 3 per cento nelle donne. Entrando nel dettaglio, le percentuali aumentano: 44 per cento per gli uomini e 25 per cento per le donne nel caso di tumori del tratto aerodigestivo superiore, 33 per cento e 18 per cento per il fegato, 17 per cento e 4 per cento per il

colon-retto e 5 per cento per la mammella. Il risultato ottenuto sul tumore dell’orofaringe legato alla presenza del papilloma virus (HPV) è diverso ma ugualmente importante: grazie all’analisi dei campioni di sangue prelevati prima della diagnosi di tumore, si è visto che gli anticorpi contro la proteina E6 di HPV sono presenti già prima dello sviluppo della malattia e possono predirne l’insorgenza con una grande precisione. NOTIZIE DALL’ITALIA “Con le sue peculiarità e la sua grande tradizione alimentare, l’Italia ha già dato un grande contributo alla ricerca nello studio EPIC” afferma Sacerdote. “Grazie all’impegno di tutti, EPIC Italia è riuscita a coinvolgere oltre 47.000 persone – 32.000 donne e 15.000 uomini – nei cinque centri coinvolti e che coprono l’intero territorio nazionale: Varese, Torino, Firenze, Napoli e Ragusa” le fa

SECONDA FASE

NUOVE IDEE PER IL FUTURO

L’

enorme mole di dati ottenuti non è un traguardo, ma l’inizio di un percorso ancora lungo e senza dubbio ricco di scoperte. Di seguito tre esempi di possibili direzioni future dello studio.

1

Inclusione di nuove tecnologie, in particolare quella epigenetica e quella metabolomica, che potranno dare ulteriore forza alle associazioni osservate sul campo. Per esempio, Augustin Scalbert, dello IARC di Lione, è in grado di identificare cosa abbiamo mangiato dai metaboliti presenti nelle urine e nel sangue, per superare il limite della memoria umana.

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Ampliamento a malattie diverse dal cancro. Sono già disponibili molti dati su malattie cardiovascolari e diabete, ma si vogliono studiare anche malattie neurologiche come Parkinson e Alzheimer.

eco Palli, ricordando l’importanza del sostegno di AIRC, che ha finanziato parte delle ricerche. Tra i tumori maggiormente studiati nel contesto italiano spiccano quelli della mammella (1.400 casi) e del colon-retto (circa 600 casi), come riportato in una sintesi dei risultati pubblicata sulla rivista Epidemiologia e Prevenzione. Per quanto riguarda il tumore mammario si è scoperto per esempio che la verdura ha un ruolo protettivo, mentre la frutta non influenza il rischio (malgrado alcuni ipotizzassero un effetto negativo degli zuccheri). Il rischio di tumore del colon-retto si riduce in modo significativo (del 40% circa) grazie al consumo di yogurt. “Un risultato osservato per la prima volta in uno studio prospettico, proprio per la peculiarità dello yogurt italiano che contiene, a differenza

di quelli prodotti, per esempio, in Nord America, alte concentrazioni di batteri lattici” spiega Sacerdote. “L’altro elemento che emerge con forza dal lavoro italiano è il ruolo dell’indice glicemico in questi due tumori” aggiunge Palli, ricordando che i carboidrati ad alto indice glicemico, cioè che innalzano più velocemente il livello di zucchero nel sangue, sono legati a un aumento del rischio di tumore al seno e al colon, seppur con diverse sfumature connesse alla dieta generale e al tipo di tumore. Un dato che in Italia, dove la pasta e i carboidrati sono signori della tavola, è molto significativo come è significativa la relazione tra modello “olio di oliva e insalata” – dieta ricca in olio di oliva, verdura cruda, zuppe e carne bianca – e una riduzione della mortalità negli anziani.

L’Italia ha validato la dieta mediterranea

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Ricerca di nuovi marcatori predittivi, partendo dal patrimonio inestimabile rappresentato dai campioni di sangue raccolti anche decine di anni prima dell’insorgenza della malattia.

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NOTIZIE FLASH

Dal Mondo Paure più grandi del reale Negli ultimi 20 anni la radioterapia ha fatto passi da gigante. Lo dimostra un sondaggio che ha coinvolto più di 300 donne californiane che si sono sottoposte a radioterapia dopo l’intervento per un tumore al seno. Quasi 7 su 10 hanno rivelato che, prima di iniziare la radioterapia, non sapevano nulla sul trattamento e 5 su 10 avevano sentito storie spaventose a riguardo. Più di 8 donne su 10 hanno però concluso che gli effetti di cui avevano timore (dolore, ripercussioni sul lavoro e sulla famiglia) sono stati inferiori a quanto atteso. La stragrande maggioranza delle pazienti è d’accordo con l’affermazione “se le future pazienti conoscessero la verità sulla radioterapia sarebbero meno spaventate dal trattamento”.

Abbasso la nicotina La Food and Drug Administration (FDA), l’ente americano che si occupa di farmaci e alimenti, sta pensando di obbligare per legge le aziende produttici a ridurre il contenuto massimo di nicotina nelle sigarette. La nicotina, infatti, è una sostanza che crea dipendenza e rende difficile ai fumatori smettere. Con questo nuovo provvedimento, non solo chi già fuma farebbe meno fatica ad abbandonare questa cattiva abitudine, ma i ragazzi che sperimentano il fumo non svilupperebbero dipendenza fisica e rischierebbero meno di diventare fumatori assidui. Secondo le stime dell’FDA, un’iniziativa di questo tipo salverebbe la vita a più di 8 milioni di fumatori americani entro il 2100.

Tumori all’intestino: mortalità in calo La diminuzione nella mortalità per il tumore del colon-retto attesa in Europa per il 2018 è uno dei maggiori successi dell’oncologia. Uno studio epidemiologico internazionale guidato dall’Università di Milano e pubblicato su Annals of Oncology prevede che durante l’anno in corso le morti dovute a questo tumore dimiuiranno del 7 per cento rispetto al 2012. Questa riduzione non dipende da una scoperta in particolare, ma da un miglioramento nella diagnosi e nella gestione della malattia. Una buona notizia, purtroppo offuscata dalla previsione che riguarda il tumore al polmone: mentre tra gli uomini la mortalità sta diminuendo, tra le donne aumenta del 6%. Per le donne aumenta del 3% anche la mortalità dovuta al tumore del pancreas. Questi due tipi di tumore hanno una causa comune: il fumo.

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Una nuova vita dopo la malattia

Dalla Carolina del Nord arriva una buona notizia: i bambini che nascono da donne sopravvissute al tumore al seno hanno la stessa probabilità di nascere prematuri, sottopeso o tramite taglio cesareo dei figli di donne della stessa età che non si sono mai ammalate. Lo afferma una ricerca pubblicata sull’International Journal of Cancer in cui si segnala anche come la percentuale di donne che hanno un figlio nei 10 anni successivi alla diagnosi di tumore sia la metà della percentuale delle coetanee che diventano madri nello stesso periodo. Per questo è importante che le giovani donne, al momento della diagnosi e prima di iniziare i trattamenti, vengano informate del rischio di infertilità associato ad alcune terapie e siano consigliate sull’utilizzo delle tecniche per preservare la fertilità.

Una rete di sicurezza

Frutti rossi in laboratorio

Gli adolescenti e i giovani adulti sopravvissuti a un tumore hanno in genere relazioni sociali migliori dei coetanei che non hanno vissuto quest’esperienza. È la conclusione di uno studio condotto negli Stati Uniti dalla rete dei reparti di oncologia pediatrica affiliati al St. Jude Children’s Research Hospital e pubblicato sulla rivista Cancer. Le relazioni con parenti e amici di chi ha avuto un tumore tra i 15 e i 30 anni sono risultate più intense, in particolare nel caso di chi ha sconfitto un linfoma o una leucemia. Rispetto ai coetanei, i giovani sopravvissuti a un tumore possono contare su un maggiore sostegno emotivo e pratico oltre che su un supporto più solido per applicare stili di vita corretti. Le buone relazioni sociali hanno anche un altro effetto a lungo termine: favoriscono la capacità di reazione e la volontà di fare piani per il futuro.

I benefici dei frutti di bosco sono oggetto di ricerca da anni. Un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo di Nature, ha analizzato i loro pigmenti, gli antociani, in particolare la cianidina. Abbondantemente presente nei mirtilli selvatici e nel ribes nero, sembrerebbe aumentare i livelli di SIRT6, un enzima regolatore dell’espressione di vari geni, tra cui quelli coinvolti nella riparazione del DNA. Non solo: diminuirebbe l’espressione di alcuni geni associati al cancro e aumenterebbe quella di FoXO3, un gene che blocca lo sviluppo della malattia. Lo studio della cianidina può avere quindi ripercussioni interessanti sulla ricerca oncologica, sulla produzione di nuovi farmaci (la concentrazione presente nella frutta non è sufficiente a ottenere i risultati visti in laboratorio) e sullo sviluppo di nuove strategie antitumorali.

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INFEZIONI E CANCRO Papilloma virus

HPV e cancro, un problema non solo femminile L’infezione da papilloma virus umano è molto comune e, secondo i dati più recenti, è alla base dell’insorgenza di numerosi tumori oltre a quello della cervice uterina a cura di CRISTINA FERRARIO n Italia l’8,5 per cento di tutti i tumori è legato alla presenza di virus che, utilizzando meccanismi e strategie differenti, riescono a infettare le cellule sane e a dare il via ai processi di formazione del cancro. Tra i virus più noti per il loro legame con il cancro c’è il pa-

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pilloma virus umano (HPV), responsabile di circa il 20 per cento dei 31.000 casi di tumore causati da virus che si verificano ogni anno. Se fino a qualche anno fa la ricerca si è concentrata solo sul rapporto tra HPV e tumore della cervice uterina, sono sempre più numerose le prove che dimostrano come il papilloma virus abbia un ruolo anche in altri tipi

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di cancro, non solo femminili e non solo dell’area genitale. UNA FAMIGLIA NUMEROSA HPV non è un unico virus, ma una grande famiglia costituita da oltre 120 diverse tipologie (sierotipi o ceppi), alcune delle quali considerate a “basso rischio” poiché non si associano in genere allo sviluppo di un tumore, e altre de-

finite “ad alto rischio” poiché potenziali fattori di insorgenza del cancro. Entrando più nel dettaglio, le varianti HPV 6 e HPV 11 sono due delle più note tipologie a basso rischio, responsabili della formazione di verruche e condilomi genitali, mentre HPV 16 e HPV 18 rappresentano i più comuni ceppi ad alto rischio, causando circa il 70 per cento dei tumori della cervice uterina e la maggior parte degli altri tumori legati all’infezione. I membri della famiglia del papilloma sono non solo molto numerosi, ma anche estremamente diffusi, tanto che, si stima, circa 8 persone su 10 nel corso della vita entrano in contatto con uno di questi virus, che si trasmettono soprattutto per via sessuale. La buona notizia è che nella maggior parte dei


In questo articolo:

HPV tumori testa-collo tumore della cervice uterina

casi il sistema immunitario è in grado di riconoscere il “nemico” e di eliminare l’infezione nel giro di un paio d’anni circa, senza conseguenze per la salute né sintomi. Bisogna ricordare che ciò vale anche per i sierotipi ad alto rischio, i quali, pur essendo legati allo sviluppo tumorale, non necessariamente daranno origine al cancro. DONNE IN PRIMA LINEA Il papilloma virus è presente praticamente nel 100 per cento dei tumori della cervice uterina, un cancro che colpisce in Italia 2.300

persone ogni anno e rappresenta il 2 per cento di tutti i nuovi tumori nelle donne. E se nei Paesi occidentali il rischio di ammalarsi e di morire a causa di questo tumore si sta riducendo progressivamente grazie a programmi di prevenzione e di diagnosi precoce, nei Paesi a basso e medio reddito il peso della malattia si fa sentire con tutta la sua forza: secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, il 90 per cento dei 270.000 decessi per tumore cervicale del 2015 ha interessato proprio queste zone del pianeta. Indipenden-

temente dall’area geografica in cui si vive, evitare l’infezione da HPV è importante per prevenire il cancro della cervice uterina, che è più frequente tra le persone più giovani e meno in quelle di età superiore a 50 anni. Questa differenza dipende dal fatto che la trasmissione dell’HPV, condizione necessaria perché si sviluppi il tumore, è più comune tra i giovani. Il cancro si manifesta dopo un percorso che dura diversi anni, caratterizzato dalla formazione di lesioni precancerose facilmente riconoscibili e curabili dallo specialista. Un numero elevato di partner sessuali, la giovane età all’inizio dell’attività sessuale, lo scarso accesso alla prevenzione, ma anche la presenza di altre infezioni concomitanti, il fumo e l’assunzione di contraccettivi ormonali possono favorire la persistenza dell’infezione e in seguito anche lo sviluppo del tumore.

AREA GENITALE A RISCHIO La presenza di HPV si riscontra anche in altri tumori dell’apparato genitale, senza distinzioni di genere. Il virus è presente nell’88 per cento dei tumori dell’ano, soprattutto nella variante HPV 16 (73 per cento dei casi) e in quella HPV 18 (5 per cento). Gli uomini omosessuali con infezione da HIV rappresentano la categoria più a rischio di contagio da HPV e di sviluppo del tumore dell’ano, ma anche tra gli uomini eterosessuali e le donne si riscontra l’infezione associata a questa neoplasia. HPV 16 e HPV 18 hanno un ruolo importante anche in un altro tumore maschile, quello del pene, per il quale si registrano in Italia circa 500 casi all’anno, la metà associati alla presenza del virus. Ancora una volta la presenza contemporanea dell’infezione da HIV si associa a una maggiore incidenza del tumore (circa 4-8

Il virus è presente in molti tumori

EPIDEMIOLOGIA

VACCINAZIONE NON SIGNIFICA SESSO A RISCHIO

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a la vaccinazione non è un invito per i ragazzi e le ragazze ad abbandonare il sesso sicuro. Il timore di questo risvolto negativo della vaccinazione anti-HPV è alla base dei dubbi di molti genitori e di alcuni medici sull’opportunità di vaccinare gli adolescenti. A chiarire la situazione ha pensato uno studio statunitense recentemente pubblicato sulla rivista Vaccines nel quale sono stati analizzati i comportamenti sessuali in un gruppo di ragazze di età compresa tra 13 e 21 anni. “Dopo la vaccinazione le ragazze hanno comunque continuato a fare sesso sicuro, consapevoli del rischio di trasmissione di altre malattie oltre a quelle legate all’HPV” spiegano gli autori, ricordando che la vaccinazione può rappresentare un importante momento di dialogo e di educazione sessuale. GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 15


INFEZIONI E CANCRO Papilloma virus

LA LEGGE

IL VACCINO IN ITALIA

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a vaccinazione gratuita contro l’HPV è stata introdotta in Italia nel 2008, con una proposta originale che prevedeva l’offerta attiva a tutte le ragazze nel loro 12° anno di età e che negli anni si è estesa a fasce di età differenti, secondo decisioni regionali. Con il Piano nazionale vaccini 2017-2019 la vaccinazione è stata estesa anche ai maschi e sono stati stabiliti gli obiettivi di copertura vaccinale, oggi ferma sotto il 77 per cento: il traguardo è rappresentato da una percentuale almeno pari al 95 per cento di persone vaccinate sia tra i maschi sia tra le femmine entro il 2019. I vaccini disponibili in Italia sono tre: uno bivalente (contro HPV 16 e 18), uno quadrivalente (HPV 6, 11, 16 e 18) e uno nonavalente (HPV 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52, 58). Tutti sicuri e con effetti collaterali minimi, da somministrare in due o tre dosi a seconda dell’età.

volte superiore). Il papilloma virus non fa distinzioni di genere: i tumori di vagina (200 nuovi casi all’anno) e vulva (1.200 casi) sono spesso legati alla presenza dell’infezione. In particolare, in oltre la metà dei tumori della vagina si riscontra la presenza di HPV 16

e 18, mentre l’infezione si associa solo ad alcuni tipi di tumore della vulva. BERSAGLIO TESTA E COLLO I tumori della testa e del collo, e in particolare quelli che colpiscono la cavità ora-

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le (lingua, bocca, tonsille) e l’orofaringe, stanno attirando sempre di più l’attenzione di chi si occupa di neoplasie legate all’HPV. Secondo i dati del Registro nazionale tumori (AIRTUM), circa il 10 per cento dei 4.600 tumori che ogni anno colpiscono il cavo orale è associato all’HPV, così come il 2,4 per cento di quelli della laringe e il 31 per cento di quelli dell’orofaringe. Proprio l’orofaringe rappresenta per gli uomini la sede nella quale si sviluppa il maggior numero di tumori HPV-correlati (500 casi l’anno, il 40 per cento di tutti i tumori legati al virus negli uomini). Tra i fattori di rischio per questo tumore emergono il sesso orale con un numero elevato di partner e l’abitudine al fumo. “Fin dai primi anni duemila assistiamo a un aumento dei casi di tumore dell’orofaringe negli uomini” spiega Lisa Licitra, che dirige la Struttura complessa oncologia medica 3 – Tumori testa-collo all’Istituto nazionale tumori di Milano. “Il ruolo del sesso orale è piuttosto scontato, con il passaggio diretto del virus dalla sua sede genitale al cavo orale, mentre per il fumo di sigaretta restano ancora punti da chiarire” prosegue l’esperta ricordando che la sigaretta aumenta il rischio anche di diversi tumori delle vie aeree. “Si può pensare che il fumo aumenti lo stato di infiammazione, facilitando lo sviluppo del tumore, oppure che agisca riducendo l’efficacia del sistema immunitario nel contrastare l’infezione” conclude.

LA PREVENZIONE OGGI È REALTÀ Le buone notizie in termini di prevenzione dei tumori legati all’HPV non mancano. Il primo passo è senza dubbio evitare comportamenti che aumentano le probabilità di contrarre un’infezione, come per esempio un numero elevato di partner sessuali, il sesso non protetto, ma anche il fumo di sigaretta o l’abuso di alcolici. I vaccini oggi disponibili contro diversi sierotipi di HPV rappresentano inoltre uno strumento di prevenzione estremamente sicuro ed efficace. Uno studio pubblicato nel 2017 sul Journal of Infectious Diseases ha mostrato che in 8 anni il vaccino quadrivalente ha ridotto la prevalenza delle infezioni dell’89 per cento tra le ragazze tra i 14 e i 24 anni di età. “E la riduzione delle infezioni anche tra le non vaccinate dimostra l’efficacia della cosiddetta protezione di gregge, in cui chi è vaccinato fa da muro contro la diffusione del virus tra la popolazione” osservano gli autori. Gli screening come il Paptest o il test per la ricerca del DNA di HPV fanno il resto, contribuendo alla diagnosi precoce del tumore della cervice, all’incremento delle possibilità di cura e all’aumento della sopravvivenza media. Per quanto riguarda gli altri tumori associati all’infezione da HPV, al momento non sono disponibili programmi di screening ad hoc, ma la vaccinazione resta uno strumento di prevenzione valido per tutti.

Negli uomini è frequente la forma orale


RECENSIONI Alberto Mantovani

Bersaglio mobile, il cancro alla luce della modernità Il nuovo libro dell’immunologo milanese fa il punto sulle terapie più innovative nella cura del cancro e illustra i filoni di ricerca più promettenti

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a cura della REDAZIONE ell’immaginario collettivo e nel vissuto di molti, il cancro continua a fare paura, nonostante i progressi della ricerca medica, grazie ai quali sta diventando sempre più curabile. Bastano pochi numeri a spiegare perché: solo in Italia, si contano 500 morti e 1.000 nuovi casi ogni giorno, più o meno equamente divisi tra uomini e donne. Degli attuali circa tre milioni di pazienti affetti da cancro, circa il 60 per cento sopravvive a cinque anni dalla diagnosi. Ma cos’è un tumore e come si forma? Perché ci ammaliamo? Soprattutto, quali sono le terapie più efficaci nella lotta contro questa malattia, estremamente difficile da contrastare perché si evolve e si trasforma per resistere ai trattamenti, proprio come un bersaglio mobile? Quali sono le nuove frontiere della ricerca oncologica?

Attraverso storie di vita ed esperienze di laboratorio, Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente della Humanitas University, racconta nel suo nuovo libro Bersaglio mobile. Il ruolo del sistema immunitario nella lotta al cancro il complesso mondo del cancro e le varie fasi della battaglia che la medicina conduce, ormai da secoli, per debellarlo. È una straordinaria avventura, fatta di alti e bassi, di successi e momenti bui, ma caratterizzata da costanti progressi nella conoscenza, nella diagnosi e nella terapia.

Titolo: Bersaglio mobile. Il ruolo del sistema immunitario nella lotta al cancro. Autore: Alberto Mantovani Editore: Mondadori Orizzonti, 2018 144 pagine, 15,30 euro

mo contare su nuove armi proprie del sistema immunitario (come gli anticorpi, i vaccini e le cellule immunitarie stesse) per combattere il cancro e persino per prevenirlo” spiega Mantovani. “L’immunoterapia sta cambiando l’approccio ai tumori e sempre più modificherà la storia naturale di molte forme di cancro.” In questo modo si realizzerà il sogno dei padri fondatori della medicina moderna dei primi del Novecento: sconfiggere il cancro usando le difese naturali dell’organismo. Mantovani condivide in questo libro le sue ampie conoscenze sull’argomento, ma il suo vero scopo è ancora più ambizioso: “Spero di essere capace di fornire al lettore gli strumenti per autoimmunizzarsi contro tutte le false notizie, le fake news, che riguardano sedicenti cure miracolose contro il cancro o altrettanto improbabili metodi di prevenzione, del tutto privi di validazione scientifica”.

Bisogna spiegare come avanza la ricerca

La novità che fa la differenza

In questo scenario, l’approccio di cura tradizionale (fatto di chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapie mirate) che ha portato a notevoli miglioramenti per i pazienti viene arricchito oggi anche dall’immunoterapia. “PossiaGIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 17


PREVENZIONE Sole e cancro

Il sole fa bene solo con moderazione Le linee guida non hanno esteso a tutti lo screening annuale per la diagnosi precoce del melanoma, perché non vi sono sufficienti prove della sua efficacia. È bene andare dal dermatologo solo quando compare qualcosa di diverso sulla pelle. La prevenzione più efficace si fa quando ci si espone al sole

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a cura della REDAZIONE l sole (o meglio i raggi ultravioletti UVA e UVB, principali responsabili dell’abbronzatura) è stato classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) tra i carcinogeni sicuri per l’uomo e contribuisce alla formazione dei tumori della pelle. Ciò significa che dovremmo preoccuparci dell’esposizione al sole tutto l’anno, e non soltanto quando arriva l’estate. Non a caso, il Codice europeo contro il cancro, promosso proprio da IARC, suggerisce l’uso di creme con filtro solare anche durante l’inverno e anche in città. L’estate è però il momento in cui, per l’estensione della superficie esposta e per i tempi di esposizione prolungati, il rischio per la salute aumenta. È bene chiarire innanzitutto che, come per molte delle sostanze carcinogene, è la dose a fare la

differenza. Un po’ di sole è infatti necessario per sintetizzare la vitamina D, senza la quale si possono sviluppare malattie. QUALI SONO I RISCHI? Esistono diversi tipi di cancro della pelle, perché questo tessuto è formato da diversi tipi cellulari: i melanociti, che producono il pigmento melanina, e i cheratinociti. Questi ultimi prendono il nome di cellule squamose nello strato più esterno dell’epidermide, e di cellule basali nello strato più profondo. Il melanoma si forma dalle cellule produttrici di pigmento e, sebbene sia il tumore della pelle meno comune, è il più aggressivo e pericoloso se diagnosticato tardivamente. Altri due tipi di tumore della pelle sono il carcinoma basocellulare o basalioma e il carcinoma spinocellulare. Il primo, il più diffuso a livello mondiale tra

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Non c’è solo il melanoma ma anche altre forme

IN PRATICA

I CONSIGLI PER STARE AL SOLE Evitare lampade e lettini abbronzanti; Utilizzare la giusta protezione solare, anche se già abbronzati, e spalmarla un quarto d’ora prima dell’esposizione al sole, meglio se con un fattore di protezione uguale o superiore a 15, e ripetere l’applicazione ogni due ore e ogni volta che si fa il bagno o si pratica sport. Inoltre, evitare di utilizzare la crema dell’anno precedente. Indossare vestiti leggeri che coprano braccia e gambe, un cappello e occhiali da sole che proteggano adeguatamente sia dagli UVA che dagli UVB.


In questo articolo: sole melanoma prevenzione

le popolazioni di pelle chiara, metastatizza molto raramente, ma può comparire in parti del corpo esposte, come il viso, ed è strettamente correlato all’esposizione solare. Il secondo è meno comune, è anch’esso legato all’esposizione al sole, metastatizza raramente ma se lo fa può essere fatale. A complicare la valutazione del rischio reale vi sono gli studi, tra i quali un articolo pubblicato nel marzo di quest’anno sul Journal of the American Medical Association, che dimostrano come la maggiore o minore esposizione al sole non sia sempre correlata a un aumento delle diagnosi di melanoma. O meglio, dipende dalle fasce d’età. Le scottature e l’eccessiva esposizione in età adulta non sembrano influire sul rischio di melanoma, ma lo studio ha dimostrato che per adolescenti, bambini e giovani adulti una ridotta esposizione ai raggi UV riduce significativamente il rischio di cancro alla pelle. Quindi, il sole è dannoso? Dipende. Se da una parte diversi studi recenti hanno confermato che l’esposizione incontrollata in età infantile aumenta il rischio di tumori della pelle, la luce solare, permetten-

do la produzione di adeguati livelli di vitamina D, riduce il rischio di sviluppare tumori in altri organi. L’esposizione al sole è un fattore di rischio certo per l’insorgenza dei carcinomi basocellulari e spinocellulari, mentre la relazione con i melanomi rimane più labile. In questo tumore giocano un ruolo importante anche l’ereditarietà e la familiarità, la presenza di nei e il fototipo chiaro (pelle chiara, capelli biondi o rossi, occhi azzurri o verdi). COME PROTEGGERSI? Non è facile quantificare l’esposizione al sole: dipende da caratteristiche come il tipo di pelle e la potenza del sole (misurata con l’indice UV, spesso riportato dai giornali nella pagina delle previsioni meteo). L’entità dei danni aumenta con l’aumentare della durata e i danni sono più gravi se l’esposizione prolungata si verifica quando l’irraggiamento è molto intenso, come nelle ore più calde della giornata (ossia tra le 11:00 e le 15:00) e nei mesi estivi. Anche l’altitudine gioca un ruolo importante: l’atmosfera più rarefatta dell’alta quota gioca brutti scherzi. Una giornata nuvolosa o ventosa porta spesso a sottovalutare l’esposi-

I neonati fino a sei mesi vanno tenuti sempre sotto l’ombrellone, mentre i bambini più grandi, soprattutto se di carnagione molto chiara o tendenti alle scottature, possono essere protetti con appositi indumenti da mare che non lascino filtrare i raggi UV. Valutare bene tutti i fattori atmosferici, ricordando che altitudine, latitudine, vento ma anche un cielo nuvoloso, modificano l’intensità delle radiazioni. Conoscere il proprio fototipo, cioè la resistenza della propria pelle all’esposizione solare, per tenere d’occhio questo fattore di rischio (per saperne di più consultare http:// www.airc.it/prevenzione-tumore/sole/senza-rischi/). Stare all’ombra nelle ore del mezzogiorno. Fare attenzione se si stanno assumendo farmaci particolari, detti “fotosensibilizzanti”, perché possono aumentare la sensibilità alle radiazioni solari.

zione ai raggi UV, che possono raggiungere valori notevoli. Se ci si espone al sole è necessario assicurarsi di proteggere le parti del corpo scoperte più di frequente come viso, collo e mani. Se ci si scotta, significa sicuramente che ci si è esposti al sole oltre i limiti di sicurezza. È tuttavia possibile essersi esposti eccessivamente anche prima di scottarsi. Le frequenti scottature, in particolare durante l’infanzia e l’adolescenza, sono collegate a un marcato aumento del rischio di cancro alla pelle nell’arco della vita. QUALI CONTROLLI? Secondo i dati AIRTUM, in Italia negli ultimi 20 anni l’incidenza dei melanomi è aumentata di quasi un terzo in entrambi i sessi, ma allo stesso tempo il tasso di mortalità è diminuito. Merito dei progressi nelle cure, perché un vero e proprio screening per

i tumori della pelle non è raccomandato dalle attuali linee guida internazionali. Il problema, infatti, è che gli esperti non hanno del tutto chiaro chi dovrebbe controllarsi con maggiore regolarità. Così le linee guida rimangono quelle di sempre: controllarsi da sé e, se qualche neo appare cambiato, rivolgersi al dermatologo. No quindi a controlli specifici per tutti, anche se secondo alcuni è bene fare comunque una mappatura dei nei, almeno dopo i 18 anni, per avere chiara la situazione di partenza. Come spiega Mario Santinami, responsabile della Struttura melanoma e sarcoma dell’Istituto nazionale tumori di Milano, “la mappatura serve per verificare l’andamento dei propri nei nel tempo, dal momento che il primo segnale dell’insorgenza di un melanoma è il cambiamento di forma, dimensioni e colore di uno o più nei”.

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MEDICINA PRATICA Umanizzazione delle cure

Comunicare non è informare ma condividere le emozioni Anni di medicina iperspecialistica e sempre più tecnologica hanno prodotto eccellenti risultati clinici. L’oncologia riflette ora sull’importanza di una buona comunicazione tra medico e paziente per il successo della cura: l’umanizzazione della medicina passa inevitabilmente dalla formazione degli operatori della salute

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In questo articolo:

organizzazione sanitaria comunicazione medico-paziente umanizzazione della medicina

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a cura di CARLOTTA JARACH e terapie antitumorali migliorano costantemente e l’aspettativa di vita in molti tumori è sempre più incoraggiante. Ciò nonostante, per il malato l’apertura delle porte del reparto di oncologia è sempre uno shock: si ritrova solo con la propria malattia, in un mondo fatto di procedure da seguire che non di rado lasciano poco spazio all’individuo. È nato così il movimento per l’umanizzazione della medicina, che si prefigge di riportare la dimensione emotiva e personale del paziente al centro del percorso di cura. Il termine, entrato ormai nel linguaggio comune, è sempre più citato in conferenze e studi e il cittadino comune avverte con urgenza la necessità di una medicina più empatica. Anche se spesso l’umanizzazione è confusa con la bioetica, si tratta invece di un’attività prettamente multidisciplinare: indaga e fornisce strumenti teorici e pratici per armonizzare il divario tra lo sviluppo della medicina e le esigenze del malato.

Il paziente al centro Il paziente non è solo un target molecolare e non si devono perdere di vista alcuni aspetti fondamentali come la qualità della vita e, appunto, l’umanizzazione delle cure, ricorda Gianluca Tomasello della Struttura complessa

di oncologia dell’Ospedale di Cremona, uno degli autori del Manifesto per la Human Based Oncology promosso nel luglio dello scorso anno dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), in collaborazione con FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in Oncologia), Istituto europeo di oncologia di Milano (IEO) e dalla Società italiana di farmacia ospedaliera (SIFO). “Il paziente è al centro delle terapie, non solo come portatore di malattia: va visto nella sua unicità. Al giorno d’oggi, per fortuna, si è compreso che bisogna curare non solo la malattia ma anche altri aspetti, quali quelli relazionali e psicosociali. Non solo quelli del paziente ma anche quelli della sua famiglia.” Protagonista del percorso di umanizzazione è la legittimazione del paziente a decidere del proprio destino, anche in termini di cure. Alla dimensione prettamente fisiopatologica della malattia bisogna affiancare la valutazione della sfera spirituale, psicologica ed emotiva dell’individuo, imprescindibile per una corretta promozione della salute. “La disponibilità all’ascolto è fondamentale” spiega Alberto Scanni, primario emerito di Oncologia all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, ex direttore generale dell’Ospedale Sacco e dell’Istituto nazionale tumori, docente di umanizzazione della medicina presso l’Università di Milano. “Anche se si pensa che tra medico e paziente esista un rapporto lineare,

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COSA DICE IL MALATO, COSA SENTE IL MEDICO

nella realtà non è così. La relazione è naturalmente sbilanciata, perché il medico ha una grande responsabilità e si trova in posizione di superiorità rispetto a chi è spaventato, soprattutto nel caso di una malattia oncologica che, nonostante i progressi e successi della ricerca, fa ancora molta paura.”

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Questione di dialogo Come modificare una relazione che data dalle origini della medicina? Come ottenere una medicina basata sul singolo e, allo stesso tempo, andare di pari passo con il progresso delle terapie oncologiche, verso un miglioramento del diritto alla salute? La comunicazione tra medico e paziente deve essere la protagonista essenziale del processo di partecipazione del malato, che troppo spesso viene ridotto alla sua patologia. Per questo gli oncologi, nel Manifesto per la Human Based Oncology, hanno ampliato le domande di rito per comprendere anche i bisogni sociali e lavorativi, acuiti dalla crisi economica. “I medici usano spesso il ‘medichese’, un insieme di parole tecniche che li aiuta a descrivere situazioni complesse ma che risulta incomprensibile ai non esperti. Talvolta utilizzano questa loro lingua per sfuggire alle richieste di approfondimento da parte del paziente. Usano termini difficili e non si mettono a livello dell’ascoltatore, e ciò crea disagio e fratture” riferisce ancora

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na pessima comunicazione può rendere vana l’intera attività di un ottimo medico, mentre un’ottima capacità comunicativa da parte di un ciarlatano può convincere molti pazienti e i loro cari dell’efficacia di terapie non scientifiche. Vari studi dimostrano infatti che spesso il medico non riesce a venire incontro alle reali necessità del malato perché manca la comprensione reciproca. È di questa profonda discrepanza tra medico e paziente che parla il libro di Danielle Ofri Cosa dice il malato, cosa sente il medico (Il Pensiero Scientifico, 2018, 296 pagine). L’autrice, una delle massime esperte statunitensi di umanizzazione della medicina e medico al Bellevue

Scanni. “Inoltre, i limiti di tempo e la spinta ad aumentare la produttività del sistema (magari a scapito della qualità) propri degli apparati organizzativi nelle varie realtà sanitarie tolgono valore al rapporto con il paziente” continua. “La visita deve durare tot ed è l’economia che muove le scelte.” Infine, dice Scanni, tra i medici spesso non c’è la sensibilità necessaria per capire che comunicazione non è sem-

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Hospital di New York, riporta i dati di una ricerca condotta nel 2005 nel suo Paese, secondo la quale meno della metà dei pazienti dimessi dall’ospedale sapeva dire il nome della propria malattia. E nel 2010 un altro studio ha analizzato come i medici spesso sovrastimino la propria capacità di farsi capire: il 77 per cento di loro è infatti convinto che i pazienti siano sufficientemente informati sul proprio stato di salute e sulla propria patologia. In realtà, solo la metà dei malati li conosce con esattezza. Non è una questione di contenuti, spiega Ofri, ma di approccio: il medico spesso non è in grado di raccontare, di interagire a livello interpersonale, e relega il contatto con il malato alla mera risoluzione di un problema. Ogni paziente, invece, ha una storia da raccontare e l’autrice nel libro ne riporta diverse, alternandole alla disamina delle prove presenti in letteratura scientifica, per riflettere assieme su errori e successi. pre sinonimo di informazione. “Comunicare vuol dire mettere il paziente a proprio agio cercando di raggiungere un rapporto empatico con chi è il soggetto debole per via della malattia. Trasmettere un contenuto tecnico, anche comprensibile, significa limitarsi a informare, ma non raggiungere il piano della comunicazione. La comunicazione va insegnata, fin dai primi anni della scuola di medicina, non si può conta-

! 21

GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 21


MEDICINA PRATICA Umanizzazione delle cure

HUMAN BASED ONCOLOGY, UN PERCORSO UMANIZZATO

O

gni giorno in Italia circa 1.000 persone ricevono una diagnosi di tumore; per accompagnare questi pazienti nel lungo percorso, la medicina si deve umanizzare. Per questo un gruppo multidisciplinare, sotto la guida dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) ha prodotto il Manifesto per l’umanizzazione delle cure in oncologia: cinque punti per promuovere l’attenzione alla cura della persona, prima che del malato. Per ottenere l’ambizioso traguardo, è necessario promuovere:

1 2 3

il progresso nelle terapie oncologiche; il diritto alla salute e la sostenibilità delle terapie; l’umanizzazione delle cure attraverso: l’applicazione del modello clinico bio-psico-sociale, che considera non solo gli aspetti biologici della malattia ma anche lo stato d’animo del paziente e il suo status socioeconomico. la comunicazione efficace medico-paziente; il patient empowerment, ovvero l’autonomia decisionale del paziente;

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la valutazione partecipata dell’umanizzazione, per misurarne l’efficacia;

5

un maggiore contributo del volontariato all’assistenza dei malati oncologici.

22 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2018

re solo sulle caratteristiche individuali del medico.”

Formazione necessaria Chi tra i medici non ha potuto, per ragioni anagrafiche, ricevere la formazione che oggi fa parte del curriculum di studi nella maggioranza delle facoltà di Medicina, può però tornare sui banchi di scuola. È quanto ha fatto il personale di 15 realtà oncologiche italiane grazie alla prima Scuola di umanizzazione in oncologia in Europa, la Aiom-Hucare (HUmanization in CAncer caRE), inaugurata nel 2016. La scuola è parte di un progetto più ampio dedicato alle cure oncologiche e si prefigge di tenere periodicamente corsi di formazione per medici, infermieri e psicologi che operano in tutta Italia inclusi nello studio clinico HuCare-2, il cui scopo è misurare l’efficacia di tale formazione. Gli effetti verranno valutati misurando i livelli di ansia e depressione nei malati di tumore assistiti da medici con formazione in umanizzazione della medicina (l’obiettivo è ridurli del 75 per cento). È una risposta ai bisogni sociali sentiti e diffusi tra i pazienti oncologici, se si pensa che oltre il 35 per cento dei pazienti oncologici soffre di ansia e depressione, ma riceve cure ad hoc solo in un terzo dei casi. Il primo progetto HuCare-1 era partito in Lombardia nel 2008, e si era concluso tre anni più tardi, nel 2011, coinvolgendo 28 centri e introducendo nella pratica interventi psicosociali raccomandati a livello internazionale. La nuova versione dello studio integra sei interventi psicosociali: la formazione di tutto lo staff clinico per migliorare le capacità comunicative e relazionali; lo screening dei pazienti per misurare l’ansia e la depressione; lo screening dei bisogni sociali; l’assegnazione di un infermiere di riferimento a ogni paziente; l’utilizzo di una lista di domande per tutti i malati, per favorire la comunicazione con il medico, e infi-

ne un percorso strutturato per fornire a malati e caregiver informazioni corrette nel contenuto ma anche nella forma.

Una medicina lenta Umanizzare le cure non è solo questione di comunicazione o formazione. Ci vuole anche moderazione nell’uso di farmaci e test, ed è su questo che si fonda il movimento slow medicine che ha l’obiettivo di cambiare la pratica clinica. “Slow”, ovvero lento, è un approccio alla medicina che mette al centro il rapporto con il paziente, con cui il medico deve condividere un tempo sufficiente e che mira a ridimensionare l’enfasi sui processi veloci che riducono la qualità del rapporto; un approccio che spinge a un uso consapevole di diagnosi e prevenzione, al fine di ridurre l’eccesso diagnostico dovuto ai troppi test prescritti senza ragione, e di creare un sistema sanitario nazionale più sostenibile. Gli esami in eccesso sono solo uno spreco di tempo e denaro, come ha evidenziato bene negli Stati Uniti il progetto Choosing Wisely, ovvero “scegliere saggiamente”, che mira a promuovere una migliore comunicazione tra medico e paziente usando il supporto delle nuove tecnologie come e-mail e WhatsApp. Da promuovere, invece, la vera prevenzione che passa attraverso l’educazione ai corretti stili di vita. La slow medicine si rivolge al paziente, ma anche al clinico, sottolineando l’importanza dei colloqui, perché una partecipazione attiva migliora la qualità delle prestazioni. “La tecnologia ha cambiato il ruolo del paziente” spiega Scanni. “La raccolta dell’anamnesi rappresentava il primo punto di incontro con il medico e permetteva di aprire il colloquio e la comunicazione. Ora invece si punta a indirizzare il malato verso controlli ed esami, senza passare dalla visita in senso stretto. Ma toccare un malato, e parlargli, è in sé momento di apertura e di dialogo.”

Il medico può imparare a essere più umano


RICERCA IFOM RNA non codificanti

In questo articolo: cancro del colon 5 per mille farmaci intelligenti

Piccoli messaggeri del danno cellulare Grazie a tecnologie sofisticate e a un grant di AIRC, i ricercatori di IFOM hanno compreso il ruolo dei piccoli RNA non codificanti che si formano quando il DNA della cellula tumorale viene danneggiato. Ora potranno interferire con i meccanismi di riparazione per impedire che la cellula malata sopravviva

I

a cura della REDAZIONE l genoma della cellula tumorale è instabile: si rompe accumulando danni che la cellula stessa tenta tenacemente di riparare per sopravvivere. Individuare strategie per impedirlo è fondamentale per eliminarle e curare il cancro. Il gruppo di ricerca guidato da Fabrizio d’Adda di Fagagna, ricercatore di IFOM di Milano e dell’IGM del CNR di Pavia, aveva già dimostrato nel 2012 il ruolo cruciale di alcuni RNA non codificanti, piccole molecole trascritte dal DNA e non usate per sintetizzare proteine. Come guardiani, questi RNA intervengono ogni volta che si genera un danno al DNA e fanno scattare l’allarme a tutela dell’integrità del genoma. Le successive ricerche, sostenute da un grant di AIRC e da un European Research Grant (ERC), hanno portato, con i risultati pubblicati su Nature Cell Biology, a una comprensione più approfondita del meccanismo e, quindi, allo sviluppo di soluzioni innovative. NON SOLO PROTEINE “Finora si riteneva che nel meccanismo di riparazione del DNA nella cellula tumorale fossero coinvolte esclusivamente proteine” spiega d’Adda di

DNA” racconta Flavia Michelini, prima autrice dello studio. “In questo modo le molecole antisenso impediscono la segnalazione e la riparazione di specifiche lesioni del DNA, senza interferire dove non devono.” Il prossimo passo? “In questo momento stiamo studiando la biologia molecolare e cellulare di tali meccanismi, ma stiamo anche cercando di individuare i tumori che accumulano preferenzialmente danni in alcuni punti del genoma, in modo da colpirli selettivamente” conclude d’Adda di Fagagna.

Fagagna. “Le cure attuali hanno come obiettivo le proteine e sono abbastanza efficaci, anche se inibiscono indiscriminatamente la riparazione del DNA in tutte le cellule, con il rischio di effetti collaterali. Grazie a tecnologie sofisticate, siamo riusciti a dimostrare che l’efficacia della segnalazione del danno e della sua riparazione è dipendente da questi RNA non codificanti, generati a partire da ogni lesione del genoma danneggiato e, pertanto, specifici per ciascuna lesione. La nostra sfida è stata ideare un approccio terapeutico ‘illuminato’, che non colpisca le proteine, che agiscono in maniera generalizzata, ma gli RNA accumulati sulle singole lesioni. In questo modo si impedisce la riparazione del DNA danneggiato in punti precisi all’interno della ‘mappa’ del genoma: la cellula tumorale resta danneggiata e di conseguenza non può più sopravvivere e proliferare.” MOLECOLE ANTISENSO I ricercatori di IFOM hanno quindi sviluppato una classe innovativa di molecole dette “antisenso”. “Si tratta di sostanze che hanno la capacità di legare una sequenza di RNA complementare agli RNA che abbiamo identificato e di bloccare la riparazione del

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici, è sostenuto dalla Fondazione italiana per la ricerca sul cancro-AIRC, attraverso lasciti testamentari.

GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 23


RICORDO Fabrizio Frizzi

Il commosso saluto a un amico della ricerca Ricordiamo Fabrizio Frizzi, uomo coraggioso, professionista esemplare e grande sostenitore del nostro impegno contro il cancro

L

a gente ha colto in Fabrizio Frizzi una gentilezza d’animo non comune nel mondo standardizzato della comunicazione. […] Frizzi ha mostrato che il rapporto con l’altro deve essere basato sul confronto e non sulla guerra, sull’attenzione affettuosa e non sull’aggressione. Il pubblico […] ne ha voluto fare un simbolo. Dacia Maraini (da Corriere.it 2 aprile 2018)

D

i fronte a un dolore così grande, le parole servono a poco. Io ho perso un fratellone, tutti noi abbiamo perso un grande uomo, un serio professionista, un esempio da seguire! Carlo Conti

24 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2016

C

iao Fabrizio, per noi sei stato un amico buono e generoso, una presenza quotidiana nelle nostre case e per tanti anni un convinto ambasciatore della missione di AIRC. Vogliamo ricordarti con le parole di Dacia Maraini e con le toccanti testimonianze dei tuoi e nostri amici Antonella Clerici e Carlo Conti con i quali ti sei impegnato in tante occasioni per informare e sensibilizzare il pubblico sull’importanza di sostenere i nostri ricercatori per costruire tutti insieme un futuro sempre più libero dal cancro.

C

iao Fabrizio. Ci hai lasciato un silenzio surreale, nei nostri studi in RAI per giorni è rimasto solo il silenzio delle persone che ti hanno voluto davvero bene. Hai fatto davvero tanto per gli altri… Tutto l’amore che hai dato è tornato indietro in questi mesi e sono certa che ne saresti stato felice! Grazie amico mio, per tutto. Antonella Clerici


BILANCIO SOCIALE AIRC - FIRC 2017

UN ANNO INSIEME PER RENDERE IL CANCRO SEMPRE PIÙ CURABILE

20.000 volontari 562.285 piantine

di Azalea distribuite

17 comitati regionali

4.454.098

Anche nel 2017 sostenitori, ricercatori, volontari, testimonial, media, scuole e partner hanno creduto fortemente nella missione di AIRC e FIRC. Con strumenti e caratteristiche diversi, ognuno ha contribuito al progresso della ricerca: una straordinaria galassia che ha permesso di raggiungere risultati sempre più importanti, nella sfida per rendere il cancro più curabile. Navigando tra le sezioni del Bilancio sociale 2017 è possibile scoprire nel dettaglio questo mondo e continuare a sostenere la sfida. Da luglio sul sito

bilanciosociale.airc.it

copie di Fondamentale spedite

118 milioni di euro destinati alla ricerca

650 progetti

e nuovi programmi di ricerca

5.000 ricercatori

140 lasciti

accettati dalla Fondazione

4.500.000 sostenitori

Oltre 8,7milioni di visitatori unici del sito airc.it

GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 25


BILANCIO D’ESERCIZIO AIRC 2017

STATO PATRIMONIALE (VALORI IN EURO)

AIRC lancia la sfida di oggi e di domani

B) IMMOBILIZZAZIONI II Immobilizzazioni materiali 1) Immobili civili acquisiti per successione e donazione 2) Immobili strumentali 2) Fondo ammortamento beni immobili strumentali

N

a cura della REDAZIONE el 2017, grazie al sostegno di milioni di italiani, AIRC ha messo a disposizione della comunità scientifica italiana oltre 74 milioni di euro per sostenere 574 progetti di ricerca, 72 borse di studio e altri programmi di ricerca speciali che prenderanno il via nel corso dell’anno. AIRC ha garantito così continuità al lavoro di circa 5.000 ricercatori, composti per il 63 per cento da donne e per il 54 per cento da under 40. Si tratta dei migliori talenti della ricerca oncologica del nostro Paese, selezionati attraverso un rigoroso processo di valutazione. La loro attività potrà proseguire in laboratori di università, ospedali e istituzioni di ricerca, prevalentemente in strutture pubbliche, con un beneficio tangibile per i sistemi della ricerca e della sanità italiana. Il 2017 è stato anche un anno di svolta per tutti i soggetti del Terzo settore: il Codice del Terzo settore ha riordina-

to tutta la normativa al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione dei principi costituzionali. Tutti insieme si partecipa così al perseguimento degli obiettivi costituzionali e la posizione dei soggetti del Terzo Settore avrà un rilievo determinante nella strategia di attuazione dei principi di organizzazione della società italiana con pari rilievo – sia pure sussidiario – delle altre componenti della Repubblica. AIRC è chiamata a una responsabilità sempre maggiore a cui non si sottrarrà e che non potrà prescindere da una forte sinergia con le Istituzioni, a cui chiediamo di continuare a promuovere un contesto adeguato per lo sviluppo della ricerca.

74,6 milioni di euro destinati ai migliori

26 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2018

ATTIVO

31/12/2017

31/12/2016

968.346 162.300 (42.741) 119.559 1.087.905

1.102.546 162.300 (37.872) 124.428 1.226.974

3.830.666 88.472.775 76.546.698 168.850.139

5.187.524 80.795.562 84.379.782 170.362.868

1.362.641

1.567.890

TOTALE ATTIVO

171.300.685

173.157.732

PASSIVO

31/12/2017

31/12/2016

69.111.608

87.019.025

15.465.458 82.011.799 97.477.257

8.802.269 73.209.530 82.011.799

166.588.865

169.030.824

82.225

82.225

695.846

701.182

2.265.607 200.170 318.879 1.149.093 3.933.749

1.911.770 197.728 314.847 919.156 3.343.501

-

-

171.300.685

173.157.732

58.287.450 154.827.111

47.100.851 22.455.195

64.497.034 -

-

18.800 -

18.800 128.932

Totale immobilizzazioni C) ATTIVO CIRCOLANTE II Crediti diversi III Titoli e fondi comuni d’investimento IV Disponibilità liquide Totale attivo circolante D) RATEI E RISCONTI

A) PATRIMONIO NETTO II Patrimonio vincolato 1) Patrimonio vincolato per decisione degli organi istituzionali III Patrimonio libero 1) Risultato gestionale dell’esercizio 2) Risultato gestionale da esercizi precedenti Totale patrimonio libero da destinare agli scopi istituzionali TOTALE PATRIMONIO NETTO B) FONDI PER RISCHI E ONERI C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO D) DEBITI ESIGIBILI ENTRO L’ESERCIZIO SUCCESSIVO 4) Debiti verso fornitori 5) Debiti tributari 6) Debiti verso enti previdenziali 7) Debiti diversi TOTALE DEBITI E) RATEI E RISCONTI PASSIVI TOTALE PASSIVO F) CONTI D’ORDINE Progetti di ricerca approvati dagli organi scientifici, le cui assegnazioni sono ancora da deliberare dagli organi istituzionali nell’esercizio successivo negli esercizi successivi Contributo del 5 per mille da incassare: anno 2015 (redditi 2016) anno 2016 (redditi 2017) *) Beni mobili disponibili in attesa di realizzo Beni mobili da successioni accettati non pervenuti *) importi non ancora comunicati dagli Organi competenti.

Milano, 20 Aprile 2018 - Il Presidente Pier Giuseppe Torrani 0,00


... versione integrale su: airc.it/bilancio-esercizio17 RENDICONTO GESTIONALE A PROVENTI E ONERI AL 31 DICEMBRE 2016 AIRC (VALORI IN EURO) 1

ATTIVITA’ ISTITUZIONALE DI RACCOLTA FONDI

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12

Quote associative e contributi liberali Proventi da contributo 5 per mille Arance della Salute® Azalea della Ricerca® I Giorni della Ricerca® Auguri di Natale Attività dei Comitati regionali Cioccolatini della Ricerca Altre iniziative Beni mobili e immobili ricevuti per successione e donazione Contributi una tantum Comunicazione e sensibilizzazione

TOTALE 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6

PROVENTI

TOTALE MEZZI DISPONIBILI DELL’ESERCIZIO 5

PROVENTI

ONERI

NETTO

2016

23.452.426 64.953.814 2.591.847 8.688.747 2.895.989 1.247.739 4.025.896 1.651.147 1.649.781 1.369.098 1.730.430

(5.404.212) (1.368.320) (3.279.497) (255.091) (260.066) (669.424) (806.755) (534.376) (11.086) (1.021.610)

18.048.214 64.953.814 1.223.527 5.409.250 2.640.898 987.673 3.356.472 844.392 1.115.405 1.358.012 1.730.430 (1.021.610)

22.367.439 66.152.917 2.693.249 8.802.833 3.157.386 1.211.778 4.102.313 1.792.957 2.735.764 1.514.071 2.742.839 -

(4.655.069) (1.191.090) (3.252.514) (273.070) (371.458) (1.004.416) (822.697) (537.680) (25.438) (862.044)

17.712.370 66.152.917 1.502.159 5.550.319 2.884.316 840.320 3.097.897 970.260 2.198.084 1.488.633 2.742.839 (862.044)

114.256.914

(13.610.437)

100.646.477

117.273.546

(12.995.476)

104.278.070

(6.921.100) (113.864) (778.623) (288.719) (331.392) (326.989)

(6.921.100) (113.864) (778.623) (288.719) (331.392) (326.989)

(6.493.469) (118.670) (598.946) (341.106) (311.254) (338.866)

(6.493.469) (118.670) (598.946) (341.106) (311.254) (338.866)

(8.760.687)

(8.760.687)

(8.202.311)

(8.202.311)

1.200.299 820.259

(64.016)

1.200.299 756.243

1.073.347 690.008

(20.431)

1.073.347 669.577

116.277.472

(22.435.140)

93.842.332

119.036.901

(21.218.218)

97.818.683

(74.633.510)

(74.633.510)

(86.259.094)

(86.259.094)

(2.184.332)

(2.184.332)

(1.487.146)

(1.487.146)

(1.559.032)

(1.559.032)

(1.270.174)

(1.270.174)

(78.376.874)

(78.376.874)

(89.016.414)

(89.016.414)

(100.812.014)

15.465.458

(110.234.632)

8.802.269

ONERI DI SUPPORTO GENERALE Oneri per il personale Oneri per la gestione Soci Spese generali Godimento di beni di terzi Acquisto di beni durevoli Oneri per la gestione dei Comitati regionali

PROVENTI FINANZIARI E PATRIMONIALI PROVENTI E ONERI STRAORDINARI

NETTO

2017

TOTALE 3 4

ONERI

ATTIVITA’ ISTITUZIONALE DI SVILUPPO DELLA RICERCA ONCOLOGICA E INFORM. SCIENTIFICA

5.1 Assegnazioni deliberate dagli organi istituzionali per progetti di ricerca, borse di studio e interventi vari 5.2 Informazione scientifica “Fondamentale” e sito internet 5.3 Altri oneri per attività istituzionali TOTALE RISULTATO GESTIONALE DELL’ESERCIZIO

116.277.472

119.036.901

Milano, 20 Aprile 2018 - Il Presidente Pier Giuseppe Torrani

GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 27


RACCOLTA FONDI Azalea della Ricerca e Partita del Cuore

Madre e figlia in piazza per AIRC

L

a cura della REDAZIONE a famiglia letteralmente travolta dalla notizia: così Serena, oggi volontaria AIRC, ricorda il momento in cui a sua madre fu diagnosticata una rara forma di cancro

al seno. Lei era un’adolescente. “Malgrado la rarità della sua malattia, i ricercatori dell’Istituto Regina Elena di Roma trovano la terapia giusta.” Una guarigione difficile ma completa, dopo la quale Serena decise di impegnarsi in prima persona: “Avevo

La Partita del Cuore per rendere i tumori pediatrici sempre più curabili

M

ercoledì 30 maggio a Genova, allo Stadio Luigi Ferraris, si gioca la 27a Partita del Cuore: la Nazionale Cantanti scende in campo insieme ai Campioni del Sorriso - una squadra speciale composta da artisti, sportivi, personaggi noti nazionali e internazionali - con l’obiettivo di sostenere progetti di ricerca per lo studio dei tumori pediatrici di AIRC e dell’Istituto pediatrico Giannina Gaslini di Genova. Era il 1981 quando Mogol diede vita a un sogno: radunare i cantanti più famosi e organizzare partite di calcio

28 | FONDAMENTALE | GIUGNO 2018

provato sulla mia pelle l’importanza della ricerca, volevo sdebitarmi con scienziati e medici. Cercavo un’organizzazione seria e trasparente: non ho avuto dubbi, ho scelto AIRC.” Serena ha debuttato in piazza con l’Azalea, per la Festa della mamma. Non un caso. Oggi, felice, racconta che si sentiva “emozionata come una scolaretta al primo giorno di scuola. Ricordo perfettamente la prima persona a cui ho consegnato i fiori: una ragazza, mia coetanea, che poi è diventata madre a un mese di distanza

a scopo benefico. Nacque così la Nazionale Italiana Cantanti, un’organizzazione formata da alcuni dei più prestigiosi protagonisti della musica italiana. Da allora la formazione ha disputato oltre 540 partite di fronte a oltre 26 milioni di spettatori, in tanti stadi italiani, e ha raccolto fondi per numerose organizzazioni non profit, per un totale di oltre 91 milioni di euro.


La ricerca non va in vacanza con Meloni Francescon

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uattro tumori su dieci possono essere prevenuti con corretti stili di vita, ed è quindi fondamentale sapere quali azioni intraprendere per ridurre i rischi. La prevenzione non deve andare in vacanza nemmeno d’estate, e per questo Meloni Francescon, produttore e distributore leader in Italia, si schiera a fianco di AIRC, donando una percentuale delle vendite di luglio

da me. All’inizio raccontavo la mia storia, mi sembrava la strada migliore per convincere la gente: mia mamma era la prova vivente dell’importanza cruciale della ricerca”. Anche sua madre ha scelto di diventare volontaria, di usare la propria esperienza per diffondere la ricerca tra le persone. Le soddisfazioni e il senso di utilità, spiega ancora Serena, aiutano a superare qualsiasi fatica: “Quando faccio volontariato, in realtà, quello che imparo supera di cento volte quello che do”. Serena e sua madre sono tornate anche quest’anno in piazza, insieme a 20.000 volontari AIRC, in occasione dell’Azalea della Ricerca, il fiore simbolo che da più di 30 anni contribuisce a migliorare la prevenzione e la cura dei tumori femminili.

CONAD per AIRC

Q

uest’anno Conad, in occasione della Festa della mamma, ha scelto nuovamente di sostenere AIRC. Dal 3 al 13 maggio in tutti i punti vendita Conad, acquistando una piantina di roselline, i clienti hanno potuto donare alle mamme un pensiero floreale che univa un augurio di speranza per tutte le donne. Attraverso questo gesto, infatti, i clienti hanno potuto sostenere concretamente la ricerca sui tumori femminili, perché per ogni piantina 0,50 centesimi sono stati devoluti all’Associazione. Come per lo scorso anno, la donazione di Conad è finalizzata al finanziamento di due borse di studio annuali per la ricerca nell’ambito dei tumori femminili.

a sostegno della ricerca sui tumori della pelle. Attraverso la distribuzione dei meloni in numerose insegne della grande distribuzione in tutta Italia che veicolano messaggi su come esporsi correttamente ai raggi solari, AIRC e Meloni Francescon intendono informare il pubblico su come sfruttare solo il lato benefico del sole.

La staffetta della solidarietà: #oggicorroperAIRC 2018

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iù di 160 atleti, 40 formazioni per la staffetta 4x10, tra i quali team di ricercatori, dipendenti dell’Associazione, sostenitori e volontari: ecco i numeri della grande squadra AIRC in campo alla Milano Marathon 2018 lo scorso 8 aprile, finalizzata quest’anno al finanziamento di due Borse di Studio sui tumori pediatrici, che saranno istituite grazie agli oltre 51.000 euro raccolti. Durante la preparazione alla gara, il programma di allenamento esclusivo è stato arricchito dai contributi della campionessa di scherma Margherita Granbassi, ambasciatrice AIRC e madrina del progetto #oggicorroperAIRC. Forza e motore della compagine sono state anche le aziende che hanno deciso di coinvolgere i propri dipendenti in un’originale iniziativa di team building che unisce sport, benessere e raccolta fondi. Tra le molte aziende che hanno corso insieme ad AIRC: ROCHE SPA, AHCG, LINDT, NATIXIS, IGP DECAUX e ASSOCIAZIONE NOI SEA. Sostenitori e aziende concorrono al premio come miglior raccolta fondi e miglior progetto di fundraising del charity program della Milano Marathon. Ma negli stessi giorni altri runner hanno scelto di partecipare alle maratone di Roma e Istanbul a favore di AIRC. Un ulteriore momento di condivisione e celebrazione di questo grande sforzo collettivo che ha visto partecipare insieme tante anime di AIRC verso un obiettivo comune.

GIUGNO 2018 | FONDAMENTALE | 29


IL MICROSCOPIO

Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC

La biopsia liquida: fatti e sogni

ATTENTI ALLE TRUFFE AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, con incaricati che vanno di casa in casa. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando la polizia (113) o i carabinieri (112).

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a definizione “biopsia liquida” compare sempre più spesso negli articoli che i media dedicano alle nuove frontiere della ricerca sul cancro. La parola “biopsia” indica il prelievo di un campione di tessuto o organo e la sua analisi per effettuare una diagnosi: senza una biopsia non è possibile stabilire con certezza se vi sia un tumore e, nel caso, di quale tipo. La “biopsia” è una procedura chirurgica, complessa quando il tessuto tumorale è difficile da raggiungere, che occorre eseguire nei tumori cosiddetti “solidi”, cioè localizzati in organi profondi del nostro organismo. Diversa è la situazione nei tumori del sangue come le leucemie: in queste malattie le cellule tumorali circolano in abbondanza nel sangue e un semplice prelievo è l’equivalente della biopsia. Si è scoperto che anche i tumori “solidi” rilasciano cellule intere o il loro materiale genetico: questi circolano nel sangue in quantità minime e possono talora essere eliminati con le urine. La biopsia liquida consiste nel cercare e analizzare queste componenti, in particolare il DNA tumorale, attraverso un semplice prelievo di sangue o di altri liquidi biologici (urine, liquor). Nel DNA tumorale circolante è possibile individuare le mutazioni genetiche più comunemente associate al tumore del paziente utilizzando nuove tecnologie che permettono di studiare pochissime, addirittura singole cellule. Qualora si identifichi una mutazione contro la quale siano disponibili dei farmaci mirati è così possibile scegliere il farmaco migliore per il singolo paziente. Inoltre la biopsia liquida permette di verificare se la cura sta funzionando. Infatti è possibile ripetere il prelievo di sangue innumerevoli volte, mentre la biopsia tradizionale, essendo invasiva, non può

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essere ripetuta con regolarità. Inoltre essa fotografa il tumore in un determinato momento, in genere alla diagnosi, ma il tumore si modifica nel tempo acquisendo nuove mutazioni che possono portare a una resistenza ai farmaci. La biopsia liquida può quindi permettere di seguire nel tempo la malattia e le eventuali modificazioni. A oggi i risultati più promettenti e gli studi più avanzati riguardano i tumori del colon, polmone, prostata, mammella e i linfomi. Accanto a questi evidenti vantaggi la biopsia liquida ha dei limiti: innanzitutto può essere utilizzata solo per studiare il tumore sulla base delle mutazioni che già conosciamo grazie alla biopsia tradizionale. Inoltre l’analisi riguarda piccoli frammenti rilasciati da poche cellule e le informazioni ottenute non rappresentano necessariamente tutte le cellule del tumore. La biopsia liquida è una tecnica recente che NON sostituisce la biopsia tradizionale per la diagnosi, ma richiede molte ricerche e approfondimenti per uscire dalla sperimentazione ed entrare nella routine degli esami clinici. Per queste ragioni le due procedure sono complementari, e non una la versione moderna dell’altra. Al momento non esiste un test universale, ma molti test diversi che vanno tra loro paragonati in studi rigorosi, lunghi e complessi. La promessa di un esame che permetta al singolo individuo di sapere genericamente se “ho un tumore oppure no” è per ora tecnicamente del tutto irrealistica. AIRC crede nella possibilità di cambiare la realtà giorno dopo giorno, rendendo il cancro sempre più curabile attraverso la via maestra della ricerca scientifica, che richiede tempo, impegno costante e investimenti adeguati.


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