Fondamentale gennaio 2014

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Numero 1 - gennaio 2014 - Anno XLII - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped.

in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

INQUINAMENTO

L’aria delle città aumenta il rischio di ammalarsi di tumore

STRESS

Quando il trauma bussa alla porta ai tempi supplementari

GIORNI DELLA RICERCA

Gli italiani sostengono la ricerca sul cancro e confermano la fiducia in AIRC

Rosanna Piccirillo, dalla Harvard al Mario Negri

CONTRO LA STANCHEZZA DA CANCRO


SOMMARIO

FONDAMENTALE gennaio 2014

In questo numero: 04

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VITA DI RICERCATORE La ricerca scientifica come una partita a scacchi PSICONCOLOGIA Quando basta la parola per influenzare la cura AMBIENTE Le polveri sottili fanno grandi danni PROFESSIONI PER LA RICERCA A caccia delle cause del tumore FARMACI Farmaco, ma quanto mi costi? RUBRICHE Domande e risposte STRESS Quando il trauma bussa alla porta di chi è guarito I GIORNI DELLA RICERCA Un Paese che ha bisogno di sperare nel futuro Dalle cellule staminali alla teoria dell'evoluzione Una galassia a sostegno di AIRC RICERCA IFOM La proteina che favorisce lo sviluppo dei linfomi COMUNICAZIONE La nuova veste di grafici e tabelle PREMI L’Ambrogino premia la ricerca virtuosa EROGAZIONI La valigia per l'estero e il biglietto per tornare INIZIATIVE Il cibo giusto per ogni età LASCITI La bambina, la campionessa: sempre a fianco di FIRC IL MICROSCOPIO Primo esame passato con lode

FONDAMENTALE

Anno XLII - Numero 1 Gennaio 2014 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro sede legale: via Corridoni, 7 - 20122 Milano sede operativa: Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - www.airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Roto 2000 Casarile (Milano) DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

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Rosanna Piccirillo studia i meccanismi con cui il cancro ci fa deperire

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Gli ultimi dubbi sono fugati: l’inquinamento da polveri sottili aumenta il rischio di cancro

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I farmaci hanno costi sempre più elevati: chi ne stabilisce il valore?

CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Giulia Cauda REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Zorzoli, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Giulia Cauda, Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Anna Franzetti, Agnese Gazzera, Alberto Mantovani, Daniela Ovadia, Chiara Segre, Fabio Turone, Cristina Zorzoli

Una settimana intera per parlare di ricerca sul cancro

FOTOGRAFIE Armando Rotoletti (copertina e servizio a p. 4), Corbis, Istockphoto, Annachiara Lodi, Gardin & Mazzoli, Ufficio Fotografi - Comune di Milano, Gautier Deblonde

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.


EDITORIALE

Piero Sierra Presidente AIRC

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L’Istituto italiano della donazione certifica con un marchio di eccellenza le organizzazioni non profit che forniscono elementi di garanzia sull’assoluta trasparenza ed efficacia nella gestione dei fondi raccolti.

Con lo sguardo sempre avanti

L

a ricerca non si può fermare perché milioni di persone stanno aspettando delle risposte. La ricerca guarda avanti, oltre i giorni che viviamo oggi, rincorrendo il futuro il più in fretta possibile perché, nel caso della ricerca oncologica, quel futuro vuol dire nuove scoperte, nuove strategie e nuove cure.

Se anche in questi anni di incertezze è stato possibile garantire ai ricercatori italiani il sostegno in questa corsa verso soluzioni efficaci per prevenire, diagnosticare precocemente e curare il cancro, è merito di voi soci: i risultati solidi e costanti che la ricerca sul cancro ha continuato a produrre hanno anche la vostra firma. Oltre 94 milioni di euro sono la cifra che abbiamo destinato nel 2013 ai progetti migliori. Il mio saluto di inizio anno è quindi un grazie a tutti voi e un invito a rinnovare la vostra fiducia nel nostro sistema. Sabato 25 gennaio i nostri volontari vi aspettano in duemila piazze italiane con 330.000 reticelle di arance rosse: con un contributo minimo di nove euro sarà possibile sostenere concretamente il lavoro dei ricercatori e portare a casa un pieno di vitamine!

UN SERVIZIO PER I SOCI Per segnalare corrispondenza doppia, aggiornare i vostri dati o conoscere la vostra storia contributiva, potete contattarci, 7 giorni su 7, chiamando il nostro numero verde 800 350 350 GENNAIO 2014 | FONDAMENTALE | 3


VITA DI RICERCATORE LL Rosanna Piccirillo

In questo articolo:

La ricerca scientifica come una partita a scacchi

vamo”. Ora il fratello di Rosanna è ingegnere edile e la sorella Sara è anche lei ricercatrice: studia un tumore neurologico, il glioblastoma multiforme, all’Università di Cambridge, in Gran Bretagna. Terminate le scuole superiori, Rosanna deve affrontare la scelta dell’università: “Volevo studiare le malattie; la mia naturale propensione all’approfondimento unita alla consapevolezza di poter fare qualcosa di concreto per alleviare le sofferenze altrui mi ha sempre dato una grande spinta interiore”. Il dilemma era: medicina o biotecnologie mediche? Quest’ultima era una nuova facoltà; all’epoca, metà degli anni novanta, non vi erano nemmeno ancora laureati. I suoi genitori erano preoccupati: “Ma troverai un lavoro?”. Rosanna conserva ancora la pagina del suo diario, datata 3 novembre 1995, dove, da brava futura scienziata, analizza con metodo i pro e i contro delle due facoltà. Pur avendo superato entrambi i test d’ingresso, alla fine, seguendo come sempre un po’ l’istinto e senza lasciarsi scoraggiare a priori, si iscrive a Biotecnologie mediche a Milano, dove nel 2001 si laurea a pieni voti con una tesi sulla terapia del tumore alla mammella. Ed è sempre a Milano che Rosanna si ferma per un dottorato di ricerca in biologia cellulare e molecolare presso l’Istituto San Raffaele, dove si occupa di un progetto su una malattia genetica, l’albinismo oculare di tipo 1, che le vale anche un premio come migliore ricercatrice junior nel 2006.

giovani ricercatori Start-up AIRC cachessia

Milanese di nascita, cresciuta a Bergamo ma di origini partenopee, Rosanna Piccirillo non si è mai scoraggiata e ha perseguito i suoi obiettivi con decisione. Dopo molti anni trascorsi nelle più prestigiose università degli Stati Uniti, è tornata in Italia per coronare il suo sogno: aprire un laboratorio nel suo Paese e realizzare il suo progetto di ricerca

a cura di CHIARA SEGRE ncontro Rosanna Piccirillo nel luminoso pomeriggio di un novembre che non vuole rassegnarsi all’inverno; nel suo ufficio la scrivania è ingombra di pubblicazioni scientifiche e le pareti di post-it con le “nuove idee” per la ricerca che lei e la sua squadra conducono nel laboratorio, dall’altra parte del corridoio. Ha solo 36 anni, ma da un anno e mezzo è capo del Laboratorio di cachessia tumorale grazie a uno Start-up grant di AIRC nel Dipartimento di oncologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Ciò che colpisce subito di Rosanna è lo sguardo pieno di passione e determinazione. Una qualità ereditata dai suoi genitori che, poco più che ventenni, nei primi anni settanta lasciano la loro terra, Napoli, con solo una valigia di cartone per emigrare a Milano, in cerca di un futuro. Ed è a Milano che Rosanna nasce e vive fino a dieci anni, quando si trasferisce con la famiglia vicino a Bergamo.

I La costanza di chi sa che la scienza è una scelta

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“Sono sempre stata una bambina curiosa; per me imparare cose nuove era ed è tuttora un’esigenza imprescindibile, sono cresciuta divorando libri” racconta. “Uno dei miei preferiti è Lettere a un giovane poeta di Rilke, dove si dice: ‘Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere... morirebbe se le fosse negato di scrivere?’” Per me vale la stessa considerazione per la voglia di conoscere e fare ricerca. Questo lavoro mi tiene in vita e non potrei fare altro”.

Decisioni adolescenziali Finite le medie, i suoi genitori volevano che si iscrivesse a ragioneria poiché le avrebbe garantito un lavoro più sicuro, ma Rosanna voleva fare il liceo scientifico. “Fortunatamente i miei hanno compreso e hanno sempre sostenuto le mie scelte”. Frequenta con successo lo scientifico a indirizzo sperimentale Lussana di Bergamo; è una studentessa diligente e appassionata, esempio che contagia anche i suoi fratelli minori. “C’erano dei pomeriggi in cui la casa era immersa nel silenzio e si sentiva solo il rumore delle pagine mentre i miei fratelli e io studia-

La valigia per l’ignoto Concluso il dottorato, la giovane scienziata pensa al futuro: il suo sogno è andare negli Stati Uniti. Tuttavia, il salto nel buio la spaventa: per la prima volta a migliaia di chilometri di distanza in un Paese straniero. Come ogni scienziato che si rispetti, Rosanna fa un esperimento “pilota”: accetta una visiting fellowship di tre mesi all’Università della California a Los Angeles. “Vivere all’estero all’inizio non è semplice” confessa Rosanna. “Persino le cose più banali, come installare internet seguendo al


telefono le istruzioni di una persona che ti parla in un’altra lingua, diventano delle vere e proprie sfide”. Ma dopo la California il ghiaccio è rotto, e in breve tempo Rosanna ha le valigie pronte, destinazione Boston; ha vinto una borsa come ricercatrice post-doc nel laboratorio di Alfred Goldberg all’Harvard Medical School, dove lavora per oltre quattro anni. Anni che si rivelano fondamentali per la vita professionale e personale. “Harvard è una fornace di idee e cultura. Ogni giorno sei bombardato da stimoli intellettuali nuovi. I corridoi dell’università sono coperti di lunghe lavagne dove ognuno lascia un’idea in un continuo scambio, e puoi bere un caffè con premi Nobel. Il miglior luogo al mondo per appagare la mia sete di nuove conoscenze”. Rosanna non perde occasione per frequentare tutti i seminari, i “pizza-

talk” o le conferenze seguite da pranzi in cui è possibile scambiare quattro chiacchiere informali con i più grandi ricercatori al mondo. “Certo, è stato faticoso, perché questo voleva dire restare in laboratorio ogni giorno fino alle 11 di sera, per riuscire a portare avanti i progetti di ricerca, ma è un’esperienza che mi ha insegnato a creare idee scientifiche indipendenti” confessa. È alla Harvard infatti che comincia a occuparsi di metabolismo muscolare, lavoro che culmina con una pubblicazione sulla prestigiosa rivista EMBO Journal nel 2012.

Il metabolismo dei muscoli viene sovvertito dalla malattia

Nostalgia di casa È in quel periodo che matura anche il desiderio di tornare in Italia. “Conosco colleghi italiani che si sono perfettamente ambientati in America. A me però mancava la mia terra, la mia famiglia e la

mia cultura.” E ancora una volta non si fa demoralizzare da chi le dice: “Ma sei matta? Vuoi tornare in un Paese da cui i ricercatori scappano?”. “Ricordo che quando preparavo le domande di finanziamento per la Harvard, il mio futuro capo aggiungeva sempre una frase in fondo: ‘il mio scopo ultimo è quello di tornare in Italia e aprire il mio laboratorio’. All’epoca pensavo che esagerasse. Nel 2007 l’idea di diventare capo laboratorio in Italia era qualcosa che non riuscivo neanche a concepire”. Eppure Goldberg aveva visto giusto. Rosanna ce l’ha fatta: con talento e perseveranza ha ottenuto, grazie a un progetto scritto di suo pugno, il finanziamento AIRC Startup per aprire il suo laboratorio presso l’IRCCS-Istituto Mario Negri di Milano.

Argomenti di frontiera Il gruppo di ricerca di Rosanna studia come il tumore “parla” agli altri tessuti dell’organismo, in particolare al muscolo scheletrico, causandone il deperimento.

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VITA DI RICERCATORE Rosanna Piccirillo

Da sinistra Rosanna Piccirillo con Laura Talamini, una delle sue colleghe

dente di dottorato” dichiara entusiasta Rosanna. I primi mesi sono stati dedicati all’allestimento del laboratorio, acquistando la strumentazione e i materiali necessari. Poi è iniziato il lungo lavoro di messa a punto dei modelli e dei protocolli sperimentali. Ora, dopo solo un anno e mezzo, il laboratorio è perfettamente operativo, e arrivano già i primi risultati preliminari.

Far tesoro dei fallimenti

“È un argomento di frontiera, dove vi è ancora molto da scoprire” spiega la ricercatrice, che segue due linee principali di indagine: da una parte, scoprire attraverso quali molecole e vie metaboliche il tumore influenza la massa muscolare, per

COME IL TUMORE MANIPOLA IL MUSCOLO

noto che i pazienti affetti da tumore, soprattutto in fase avanzata, soffrono anche di cachessia, cioè della perdita di tessuto muscolare, adiposo e osseo. Il muscolo naturalmente cede proteine al corpo in determinate condizioni, per esempio sotto intenso sforzo fisico o in seguito a periodi di digiuno prolungato, come meccanismo di sopravvivenza selezionato nell’evoluzione. Normalmente il meccanismo è reversibile, e il muscolo riaccumula proteine dopo un nuovo apporto proteico, per esempio dopo i pasti. Il tumore invece manipola questo meccanismo, per cui i muscoli dei pazienti deperiscono sempre di più, anche se sottoposti a diete arricchite in proteine. Il deperimento muscolare abbassa l’aspettativa e la qualità di vita, e può essere causa di morte prematura, per esempio per collasso dei muscoli respiratori, come il diaframma.

È

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identificare nuovi bersagli terapeutici; dall’altra comprendere come un regolare esercizio fisico possa contrastare la perdita del muscolo nei pazienti oncologici e persino ritardare la crescita tumorale. “La bellezza di questo progetto risiede nel suo approccio globale e trasversale. Studiamo il tumore come un ‘tessuto anomalo’ nell’insieme dell’organismo, ma i risultati che otteniamo potranno aggiungere conoscenza non solo in ambito oncologico, ma anche nel campo di altre patologie come la distrofia muscolare o la sarcopenia senile, ovvero la perdita di muscolatura con l’invecchiamento”. Diventare capo laboratorio è in assoluto la sfida più grande che Rosanna abbia mai affrontato. “Ora non ho solo la responsabilità dell’avanzamento del progetto sperimentale, ma anche della gestione tecnica del laboratorio, del reperimento e della corretta allocazione dei fondi e di coordinare le persone che lavorano con me”. Il team da lei guidato è giovane e tutto al femminile: accanto a lei al bancone ci sono Sara, 34 anni, biologa e ricercatrice post-doc, e Laura, 26 anni, di Treviso, laureata in chimica e tecnologie farmaceutiche e al secondo anno della Scuola di specialità in ricerca biomedica. “Presto si aggiungeranno una tesista in biologia applicata e uno stu-

Rosanna non si è mai pentita di essere tornata. “Qui all’Istituto Mario Negri mi trovo molto bene: c’è un bel clima di collaborazione reciproca anche tra gruppi diversi e tra i vari dipartimenti, cosa che invece non c’era alla Harvard, dove la competizione e l’individualismo sono la regola. Inoltre qui ho trovato strumentazioni all’avanguardia, utilissime per la nostra ricerca”. Certo, le difficoltà sono grandi, ma per lei conta molto anche la giusta attitudine, che cerca di trasmettere al suo staff, poiché è anche giocatrice ed ex campionessa di scacchi: “La ricerca è come una partita a scacchi; a volte, per arrivare all’obiettivo e fare scacco matto, non basta avanzare ma bisogna anche smascherare strategicamente le pedine importanti”. Ecco che anche un risultato negativo o inaspettato può diventare un’occasione per affinare le mosse successive e raggiungere risultati concreti. È ormai buio quando saluto Rosanna e in cielo brillano le prime stelle. Le chiedo cosa tiene accesa la sua, di stella: “La gioia, quando un risultato conferma un’ipotesi, sapere che esso rappresenta un passo in più per migliorare la cura e la qualità della vita dei pazienti oncologici, ma soprattutto la consapevolezza di poter fare tutto questo nel mio Paese e grazie ai soldi donati alla ricerca da miei connazionali nonostante il grave momento di crisi. Tutto questo dà un senso ancora più profondo al nostro lavoro”.

In Italia si collabora di più, negli USA si è più competitivi


PSICONCOLOGIA Diagnosi e definizioni

Quando basta la parola per influenzare la cura Studi recenti dimostrano che quando si sceglie di chiamare cancro una forma precancerosa (quindi potenzialmente, ma non sicuramente pericolosa) si cambia anche l’approccio alla cura e le scelte del paziente. La chiave, però, resta nel rapporto col medico a cura di AGNESE CODIGNOLA è una contraddizione profonda che attraversa l’idea di tumore presente nella società: da una parte, infatti, è esperienza comune conoscere persone che ce l’hanno fatta, che hanno superato la malattia o che l’hanno trasformata in una patologia cronica, con la quale convivere serenamente, e pensare quindi che tumore non sia più sinonimo di morte certa, come la realtà dimostra. Dall’altra, tuttavia, la parola cancro evoca ancora timori quasi atavici e spinge chi riceve una diagnosi, magari di una forma molto iniziale o di non certa malignità, a intraprendere percorsi fatti di approfondimenti e di terapie non sempre indispensabili. Tutto questo porta inevitabilmente a un eccesso di dia-

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gnosi e trattamenti, con indubbie conseguenze negative per tutti: per i malati, che possono andare incontro a effetti collaterali talora molto pesanti, a errori, a rischi di vario genere, oltreché a un carico di stress non sopportabile agevolmente da tutti i pazienti, ma anche per i sistemi sanitari, che rischiano di disperdere risorse preziose in esami e cure che si potrebbero destinare a malati che ne hanno più bisogno. IL NOME FA LA PAURA Partendo dalla constatazione che la medicina moderna spinge sempre più in questa direzione, un gruppo di lavoro del National Cancer Institute statunitense poche settimane fa ha pubblicato su JAMA un documento nel quale propone di cambiare nome alle forme iniziali e potenzialmente non pericolose di “cancro”, definendole IDLE, da Indolent Le-

sion of Epithelial Origin (lesione indolente di origine epiteliale), ma anche gioco di parole con Idle, che in inglese significa “minimo”. Secondo gli autori, la parola “cancro” dovrebbe essere usata soltanto per descrivere lesioni che, presumibilmente, se non trattate possono progredire e creare gravi problemi. Non tutti i membri più autorevoli dell ’A m e r i c a n Society for Clinical Onc o l o g y (ASCO), la più importante organizzazione di oncologi statunitensi, e punto di riferimento per il mondo intero, approva la proposta: secondo alcuni, infatti, un declassamento delle lesioni iniziali potrebbe portare almeno una parte dei malati a sottovalutare la situazione e a non aderire a eventuali programmi di

cura o anche solo di osservazione attenta e regolare dell’andamento della malattia. RESPONSABILITÀ MEDICA Tra gli scettici si inserisce anche Michele Maio, direttore dell’Unità operativa di immunoterapia dei tumori dell’Ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena: “In medicina è indispensabile chiamare le cose con il proprio nome. Modificare la terminologia non serve e, anzi, può essere controproducente. Il medico ha il dovere di esporre al paziente la situazione reale, senza forzature. In altre parole, spetta a noi non creare eccessivi allarmi, ma neppure nascondere la realtà e i pericoli connessi alla malattia. È essenziale esporre la condizione clinica con chiarezza, con parole

Il medico è tenuto a spiegarsi con chiarezza

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PSICONCOLOGIA Diagnosi e definizioni

semplici e comprensibili, essendo pronti a rispondere a tutte le domande che vengono poste, e poi prospettare le diverse opzioni terapeutiche, senza tralasciare ovviamente le possibili o probabili conseguenze negative delle cure e senza dimenticare di illustrare i diversi scenari connessi alle scelte differenti. Ciò naturalmente non significa consigliare ogni possibile approfondimento o cura: ciascun paziente va motivato a seguire il giusto programma, cercando sempre di evitare esami o cure inutili o ripetitive”. Quello che conta, in altre parole, per Maio, non è tanto la terminologia utilizzata per descrivere le forme iniziali, ma la completezza e la chiarezza dell’informazione trasmessa, ineludibili se si vuole consentire al paziente di scegliere consapevolmente. Questa posizione di fondo è rafforzata poi da una constatazione di carattere prettamente clinico: “Oggi, purtroppo, non disponiamo di tutti gli strumenti necessari a identificare con chiarezza la natura di una neoplasia. Sud-

In questo articolo: definizioni psicologia rapporto medico-paziente

dividiamo le lesioni in base al responso dell’anatomopatologo, ma non possiamo dire, tranne che in casi molto limitati, se il tumore che abbiamo davanti si evolverà in un modo piuttosto che in un altro. Per questo non possiamo correre il rischio di sottovalutare nessuna lesione. E per questo dobbiamo intensificare gli sforzi per giungere quanto prima a disporre di marcatori molecolari o di altra natura che ci forniscano delle certezze in merito”. Questo sembra dunque essere il vero problema, che in molti stanno cercando di risolvere. Lo stesso Maio, anche grazie ai fondi ottenuti da AIRC, ha già pubblicato uno studio in cui dimostra che nel melanoma la presenza di un piccolo gruppo chimico, il metile, nel DNA delle cellule malate, è associata a una prognosi peggiore rispetto a quando le stesse cellule, in un altro pazien-

te, non sono metilate. In questa direzione si stanno muovendo molti gruppi di studio, proprio perché il punto fondamentale è riuscire a prevedere l’andamento di un tumore prima di prendere qualunque decisione terapeutica. IL PESO DELLA PAROLA Più favorevole a un cambiamento lessicale è invece Gemma Martino, per 30 anni coordinatrice di gruppi di informazione e psicologia della Forza operativa nazionale sul carcinoma mammario (FONCaM), docente della Scuola italiana di senologia (SIS) diretta da Umberto Veronesi

e autrice, insieme a Hubert Godard, dell’Université de Paris VIII di Saint Denis, del libro Il disagio in senologia oncologica appena uscito e dedicato a questi temi, in particolare in ambito senologico. Secondo Martino infatti “quando una donna inizia, suo malgrado, l’iter diagnostico-terapeutico, possiede già un bagaglio di informazioni verbali e di altro tipo ricevute nel corso della vita. Le più toccanti sono quelle ricevute nella relazione con amiche, madri, sorelle, zie, passate attraverso l’esperienza dei diversi andamenti della malattia al seno. La malattia dell’altra dà corpo all’idea che si può guarire, convivere e a volte morire di tumore al seno. Ma di certo la storia delle altre non è sovrapponibile i n

senso né positivo né negativo: ogni persona ha la propria convinzione e ogni neoplasia al seno è diversa per tipologia e reattività”. La donna e in generale il paziente non giungono dunque mai totalmente ignari all’incontro con la malattia, e già questo può determinare reazioni molto diverse tra per-


NON SONO TUTTI UGUALI

sona e persona. Poi giunge la diagnosi: “La donna riceve la conferma diagnostica per gradi e in forme diverse. A volte le diagnosi scritte hanno sigle strane, con descrizioni prolisse e poco chiare; gli operatori di frequente usano perifrasi e percentuali; i referti a volte sono consegnati in modo anonimo e frettoloso. Non solo: il linguaggio impiegato è ancora legato a un retaggio di pessimismo, incongruo rispetto a quanto affermano gli stessi medici, e i referti anatomo-patologici, radiologici, clinici sono infarciti di frasi stereotipate che sottolineano inutilmente la gravità diagnostica. Per esempio, il termine “maligno” è abbinato a “tumore” per indicare che questa patologia può ripresentarsi a distanza di tempo e di luogo. Questa specificazione inutile potrebbe essere rimossa, evitando di usare il termine “tumore” per le patologie benigne e lasciandolo solo per le lesioni “maligne”. TERMINI DA CAMBIARE Esistono tra l’altro parole alternative spesso più accurate e specifiche: “Il termine carcinoma” prosegue Martino “non è sinonimo del generico cancro o tumore maligno. È un termine anatomo-patologico che indica cellule neoplastiche che originano dai tessuti epiteliali. Unito ad altre parole (per esempio duttale, lobulare) ci dà l’indicazione più specifica della sede dove il tumore nasce e si sviluppa. Ancora: le espressioni carcinoma duttale in situ – DCIS o lobulare in situ – LCIS, definite anche come “cancro allo stadio zero” (quasi una contraddizione in termini) andrebbero cambiate, in quanto indicano la pre-

senza di cellule anomale nei dotti o nei lobuli a rischio di divenire cancro, ma non ancora tali”. Il cambiamento – precisa la senologa – sarebbe non di piccola entità: almeno un quinto delle lesioni osservate nelle mammografie di screening sono DCIS o LCIS. Ma secondo Martino, più in generale, tutta la terminologia andrebbe rivista: “Si pensi, per esempio, alla parola sopravvivenza: non si sopravvive, si vive. È uno scandalo semantico e rende incoerenti le informazioni riguardo alla guarigione, alla riduzione della mortalità e alla qualità di vita usate in abbondanza nelle campagne di educazione sanitaria per aderire allo screening”. Ci sarebbe insomma moltissimo da fare, per rendere il cancro una malattia non solo meno temuta, ma anche vissuta e raccontata con maggiore adesione a quella che oggi è la realtà clinica, anche se non basta certamente modificare le parole per cambiare un approccio culturale consolidato da decenni. Conclude Martino: “La proposta di sostituire la parola ‘tumore’ con ‘neoplasia’ è una delle soluzioni prospettate, ed è stimolante, ma il percorso è più complesso. Si tratta, per i medici, di articolare l’intera diagnosi con espressioni che siano coerenti, senza nascondere il proprio sentimento di gravità e anche la propria speranza nelle terapie”. La strada da percorrere è insomma ancora lunga, e vede nel rapporto tra medico e paziente il cardine di un corretto approccio a una malattia che, pur essendo grave, può e deve essere affrontata con la razionalità che solo la consapevolezza assicura.

Per alcuni più che le parole contano i fatti

I TUMORI PIÙ A RISCHIO DI SOVRADIAGNOSI E SOVRATRATTAMENTO ia via che le tecniche diagnostiche si affinano e che i programmi di screening di popolazione entrano a far parte della routine dei controlli cui molti cittadini si sottopongono aumenta anche il numero di lesioni piccolissime, a volte di pochi millimetri, identificate. Alcune di queste vengono trattate come malattie conclamate e rientrano in quelle che gli esperti dell’OMS chiamano sovradiagnosi: diagnosi eccessivamente preoccupanti che portano, di conseguenza, a trattamenti inutilmente aggressivi.

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Mammella: i tumori duttali o lobulari in situ sono tra le forme più spesso identificate nelle campagne di screening. Secondo diversi senologi non andrebbero operati ma osservati perché in molti casi non sono destinati a evolvere. Ma lo strumento diagnostico per capire quando è veramente così non esiste ancora. Per questo molti altri esperti propendono per un trattamento tempestivo. Prostata: il dosaggio dell’antigene prostatico specifico o PSA ha fatto aumentare in tutto il mondo le diagnosi ma non ha modificato la mortalità. Molto spesso un valore di PSA alterato spinge il paziente a sottoporsi a interventi e cure che non sarebbero necessarie perché il tumore, quando presente, è a crescita molto lenta e a bassa malignità. Per questo da anni si cercano alternative convincenti al test del PSA. Polmone: l’introduzione della TC spirale ha permesso di abbassare il diametro delle lesioni visibili. Tuttavia secondo molti anche in questo caso si tratta di formazioni in molti casi non pericolose, il cui trattamento apporta più effetti negativi che reali benefici. Le linee guida sono quasi tutte concordi nel consigliare questo tipo di test solo ai forti fumatori e non alla popolazione generale. Tiroide: stando ai numeri si potrebbe pensare che in tutto il mondo sia in atto un’epidemia di tumori tiroidei: le diagnosi sono in rapido aumento. Questo accade perché oggi si scoprono formazioni nodulari anche di due millimetri che spesso sono tumori a crescita lentissima, ma per trattare i quali i pazienti vengono sottoposti a terapie anche molto invasive e quasi sempre a una tiroidectomia, un intervento costoso e non privo di conseguenze negative quali l’abbassamento del calcio e il danno ai nervi. Ancora una volta, per contenere gli eccessi si cerca di trovare un marcatore di sicura malignità che aiuti a compiere scelte ragionate.

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AMBIENTE Inquinamento e cancro

Le polveri sottili fanno grandi danni a cura di CRISTINA FERRARIO amminare per strada può essere poco indicato non solo per il traffico che è spesso causa di incidenti e stress, ma anche per colpa dell’aria inquinata che si respira in molti centri urbani. Lo smog è ben noto a chi vive nelle città – il termine nasce infatti all’inizio del Novecento dall’unione delle parole inglesi fumo (smoke) e nebbia (fog) per descrivere il velo grigio che copre gli insediamenti industriali del tempo. La differenza è che oggi è evidente che le sostanze inquinanti presenti nell’aria e spesso prodotte dalle attività dell’uomo hanno un impatto enorme sulla salute. Dall’inizio del Novecento la si-

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tuazione si è notevolmente modificata ed è cambiato di conseguenza anche lo smog, tanto che dal grigio della Londra di un tempo si è passati oggi alla cappa gialloarancio di metropoli come Pechino. È diversa infatti la composizione dell'inquinamento che oggi si definisce “fotochimico” (contenente soprattutto ozono), ed è diversa anche la sua distribuzione: in Europa e negli Stati Uniti i livelli di molti inquinanti atmosferici stanno diminuendo grazie a politiche mirate, ma la situazione è a dir poco drammatica nelle grandi città dei Paesi emergenti, primo fra tutti la Cina.

... l’articolo continua su: www.airc.it/inquinamento

Si dice “vitale come l’aria che respiriamo”, ma studi recenti mettono in dubbio questo detto e dimostrano che l’aria inquinata di tante nostre città rappresenta in realtà un pericolo per la salute e aumenta anche il rischio di tumore al polmone INQUINAMENTO E CANCRO, IL LEGAME C’È Cancerogene per l’uomo. È così che gli esperti dello IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) di Lione hanno classificato le sostanze inquinanti presenti nell’aria. Questa definizione lapidaria è frut-

to di un accurato lavoro di ricerca e revisione durato anni e sintetizzato nella pubblicazione “Air pollution and cancer” (Inquinamento dell’aria e cancro) disponibile gratuitamente sul sito web dell’istituto (www.iarc.fr). E nel luglio 2013 uno studio pub-


GAS E PARTICELLE

In questo articolo: inquinamento rischio cancerogeno polveri sottili

Ci sono voluti anni per dimostrare l’effetto nocivo

blicato sulla rivista Lancet Oncology ha definitivamente dimostrato che il legame tra inquinamento atmosferico e cancro esiste. Gli esperti hanno dimostrato che respirare aria inquinata danneggia a livello molto profondo l’organismo, andando a toccare il DNA. Nelle persone esposte agli inquinanti atmosferici per motivi professionali sono infatti più frequenti le modificazioni cromosomiche e sono stati anche osservati cambiamenti dei livelli di espressione di geni coinvolti nella riparazione del DNA, nell’infiammazione e nella risposta allo stress

ossidativo. “Studiare l’inquinamento ambientale e il suo impatto sulla salute è davvero molto difficile” spiega Vittorio Krogh, direttore dell’Unità di epidemiologia e prevenzione dell’Istituto tumori di Milano, che assieme agli altri ricercatori italiani ed europei ha preso parte allo studio ESCAPE. “Bisogna tener conto di numerosi fattori che possono influenzare i risultati”. Come spiegano gli autori, la forza di questo studio è data soprattutto dalle sue dimensioni – sono stati coinvolti nove Paesi europei e oltre 300.000 persone – e dalla sua durata che ha sfiorato i 13 anni. E i risultati non lasciano molto spazio ai dubbi: il rischio di tumore del polmone aumenta del 18 per cento ogni volta che il PM2,5 aumenta di 5μ g/m3 e del 22 per cento per ogni aumento di 10μ g/m 3 del PM10. “Lo studio ha portato a un’altra importante conclusione” precisa Krogh, “il rapporto tra aumento del rischio di tumore e inquinamento è lineare”. In altri termini non esiste una soglia al di sotto della quale stare al sicuro: “I limiti imposti a livello europeo – e spesso superati nelle città italiane – sono un’indicazione di massima, ma anche una riduzione minima delle polveri sottili porta vantaggi per la salute di fumatori e non fumatori” spiega l’epidemiologo. CAMBIARE SI PUÒ Le cause dell’inquina-

UNA MISCELA COMPLESSA ispetto alla sua composizione “base” (azoto 78 per cento, ossigeno 21 per cento, argon meno dell’1 per cento e piccole quantità di anidride carbonica) la miscela di gas che chiamiamo aria si “arricchisce” di molte altre componenti, più o meno dannose per la salute, soprattutto nelle grandi metropoli. E così in un campione d’aria cittadino sono presenti – solo per citare le sostanze più comuni – anche benzene, ozono, monossido di carbonio, ossidi di azoto e biossido di zolfo. Da ricordare anche i famosi PM10 e PM2,5, particelle sospese nell’aria e che possono penetrare in profondità nell’apparato respiratorio grazie alle loro ridotte dimensioni comprese appunto tra i 10 e i 2,5 micrometri (mille volte più piccole di un millimetro) e inferiori ai 2,5 micrometri, rispettivamente.

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OZONO

BENZENE

PM10 mento dell’aria sono diverse da Paese a Paese, ma in Italia e nelle nazioni occidentali sono in genere rappresentate dalle automobili, dal riscaldamento domestico e da vari processi industriali. “A livello individuale è difficile cambiare la situazione” sottolinea Krogh, “ciascuno di noi può impegnarsi per esempio a lasciare a casa la macchina, ma servono interventi più ampi e coordinati a livello nazionale per ottenere davvero un buon risultato”. Ad oggi, purtroppo questi interventi non sono stati effettuati nel nostro Paese e il risultato è

PM2,5 MONOSSIDO DI CARBONIO

che il livello di inquinamento delle città italiane che hanno preso parte allo studio (Torino, Varese e Roma) è tra i più alti e secondo solo a quello di Atene in Grecia. “La via però esiste ed è già stata tracciata in altri Paesi” sostiene Krogh ricordando per esempio gli incentivi per il rinnovo del parco macchine o lo sviluppo di una rete di mezzi pubblici ecologici. “Alla luce dei risultati più recenti dobbiamo quindi includere tra le cause del tumore al polmone anche l’inquinamento dell’aria, ma, fortunatamente, è un fattore che può essere controllato, così come il fumo di sigaretta che resta di gran lunga la principale causa di questo tipo di tumore” affermano gli autori di un commento allo studio ESCAPE.

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PROFESSIONI PER LA RICERCA L’epidemiologo

In questo articolo: epidemiologia ricerca formazione

A caccia delle cause del tumore Hanno già contribuito notevolmente al progresso dell’oncologia e anche oggi, nell’era delle nanotecnologie e della medicina molecolare, gli epidemiologi permettono alla ricerca contro il cancro di fare passi avanti, svelando le cause della malattia

a cura di CRISTINA FERRARIO l termine epidemiologia significa, letteralmente, “discorso che riguarda la popolazione” (dal greco epi=relativo a, demos=popolazione e logos=discorso, studio). In pratica, l’epidemiologia rappresenta la scienza che studia la distribuzione e le cause delle malattie. Non si tratta certo di un concetto recente: l’idea che l’ambiente e alcuni comportamenti siano in grado di influenzare nel bene e nel male la nostra salute risale, infatti, addirittura a Ippocrate, il padre della medicina, che visse in Grecia attorno al 400 a.C. La nascita della moderna epidemiologia risale però alla metà del secolo scorso e da allora questa scienza fatta di osservazione, medicina, matematica e statistica è riuscita a identificare le cause alla base di moltissime malattie. “In un certo senso possiamo dire che tutto quello che sappiamo sulle cause del cancro deriva dagli studi epidemiologici” afferma Carlo La Vecchia, direttore del Dipartimento di epidemiologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e docente di epidemiologia all’Università degli studi di Milano. “Solo per fare un esempio, lo statunitense Winder fu tra i primi, già a metà

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del secolo scorso, a puntare il dito contro il fumo di sigaretta che oggi è riconosciuto come la principale causa del tumore al polmone”.

Epidemiologi di ieri e di oggi L’epidemiologia come oggi la conosciamo si è strutturata verso il

1950 e ancora oggi Stati Uniti e Regno Unito restano i leader in questo campo. “Inizialmente si dedicavano alla professione soprattutto medici e matematici” spiega La Vecchia, che ricorda come verso la fine degli anni setttanta l’Italia investì molto su questa disciplina “ma oggi i medici che scelgono questa professione sono davvero molto pochi e i nuovi epidemiologi hanno una for-

COME SI DIVENTA… EPIDEMIOLOGO ttualmente non esiste in Italia una vera e propria laurea triennale o magistrale in epidemiologia, ma in numerosi corsi di laurea (medicina, statistica, discipline biologiche) sono inseriti corsi o cicli di lezioni che con l’epidemiologia hanno a che fare in varia misura. Fondamentali per la formazione dell’epidemiologo sono comunque i master e i dottorati, attivati in tutti i principali atenei italiani e anche in alcune sedi minori. Sui siti internet dell’Associazione italiana di epidemiologia (AIE – www.epidemiologia.it), della Società italiana di statistica medica ed epidemiologia clinica (SISMEC – www.sismec.info) e del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS – www.iss.it/esps) si possono trovare informazioni su alcuni dei principali master, sui corsi e gli approfondimenti e su alcune iniziative di formazione internazionali. L’epidemiologia può offrire anche buone opportunità ai medici, che tendono a disertare questa specialità a favore di altre più cliniche. L’handicap? Chi ha studiato medicina ha una formazione in matematica e statistica più debole di quella di biologi o statistici, divario che va colmato studiando.

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UNA FIGURA MULTIFORME

mazione di base in biostatistica o di area biologica”. Come spiegano gli esperti dell’Associazione italiana di epidemiologia (AIE), questo cambio della guardia può avere aspetti sia negativi sia positivi. Da un lato, infatti, l’assenza di una formazione medica potrebbe relegare l’epidemiologia al ruolo di semplice strumento al servizio delle altre discipline che si occupano di ricerca. D’altra parte però bisogna riconoscere che le competenze tipiche delle scienze che costituiscono la formazione di base dell’epidemiologo moderno rappresentano una grande opportunità di arricchimento. E ulteriori opportunità per lo scienziato sono le enormi quantità di dati raccolti e messi a disposizione da diverse associazioni ed enti di ricerca internazionali. Consultare questi dati e dare il via a collaborazioni su scala europea o mondiale permette di dare un respiro più ampio alle ricerche e di avere lo sguardo sempre attento anche a ciò che accade fuori dall’Italia.

Sempre sulla cresta dell’onda In un’era nella quale la ricerca oncologica cerca sempre più spesso soluzioni a livello genetico e molecolare ci si potrebbe chiedere quale sia il ruolo dell’epidemiologo. Ha ancora senso andare a cercare le cause macroscopiche delle malattie come le interazioni con l’ambiente, gli stili di vita che possono influenzare la comparsa del tumore eccetera? “La risposta è senza dubbio affermativa” sostiene con decisione Carlo La Vecchia. Gli studi epidemiologici permettono in effetti di capire quali sono le distribuzioni e le cause delle malattie e consentono di definire strategie di intervento ad hoc molto efficaci per ridurre il peso che queste patologie hanno sulla salute pubblica. “E poi non sempre la soluzione molecolare è la migliore” afferma l’esperto. “Una volta stabilito che la sigaretta è causa del tumore del polmone, l’ideale è dare il via a interventi che aiutino la gente a dire addio al fumo” precisa riprendendo l’esempio già citato in precedenza.

La genetica oggi aiuta l’epidemiologo nei suoi studi

Come lavorano gli epidemiologi moderni? In realtà possono essere inseriti in gruppi di ricerca, per esempio per seguire l’elaborazione dei dati, in un contesto nel quale il loro ruolo non è però centrale. Oppure possono essere i protagonisti dello studio, come è accaduto con la grande ricerca epidemiologica europea EPIC (finanziata anche da AIRC) che ha permesso di tracciare il profilo della salute e degli stili di vita degli abitanti del Vecchio Continente. Utilizzano anche strumenti molto sofisticati, come siti internet interattivi per seguire l’evoluzione di un’epidemia infettiva, e quindi vi sono alcuni epidemiologi che hanno una formazione di base in fisica o informatica.

“Non avrebbe molto senso cercare subito la soluzione a livello molecolare anche perché le sostanze dannose in una sigaretta sono numerosissime e il lavoro per i ricercatori sarebbe davvero enorme”. Certo è che gli studi molecolari possono poi completare quelli epidemiologici andando a cercare i meccanismi più fini che regolano il legame tra una malattia e la sua causa. È il compito di quella che a volte viene definita epidemiologia genetica, genomica e molecolare (insegnata in master e realizzata in laboratori di ricerca), una disciplina nella quale le metodologie classiche dell’epidemiologia si sposano con le ultime conoscenze della biologia e della medicina molecolare.

... l’articolo continua su: www.airc.it/epidemiologo


PROFESSIONI PER LA RICERCA L’epidemiologo

Gli strumenti dell’epidemiologo

PROPRIO AL (EPI)CENTRO DELL’EPIDEMIOLOGIA In genere al termine epicentro si associano immagini negative, legate magari a un terremoto, ma per molti operatori sanitari il termine indica un’enorme fonte di conoscenza. EPICENTRO (www.epicentro.iss.it/) è infatti “il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica”, un sito internet gestito dagli esperti del CNESPS. “Il sito nasce con lo scopo di comunicare con i medici e con tutti gli operatori sanitari, ma può essere 14 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2014

consultato da tutti, essendo presente in rete con accesso libero” spiega Stefania Salmaso, responsabile scientifico del portale. All’interno del sito si trovano informazioni aggiornate su diversi argomenti fondamentali per la salute – dai tumori, all’abuso di alcol e droghe, dalle malattie infettive all’obesità – e sono descritti alcuni dei principali progetti epidemiologici in corso nel nostro Paese.

Al centro dell’attenzione dell’epidemiologo c’è sempre la popolazione. Da qui prendono il via gli studi che permettono ai ricercatori di scoprire i fattori di rischio e le cause delle malattie. “Semplificando molto potremmo dividere questa disciplina in epidemiologia descrittiva – quella che si occupa di descrivere la distribuzione della patologia, cioè dove si presenta e quando – ed epidemiologia analitica, che invece si occupa delle cause” spiega La Vecchia. “C’è poi l’epidemiologia clinica che si concentra sulle popolazioni di pazienti piuttosto che su quella generale”. Fatta questa distinzione è importante però sottolineare che la statistica è uno strumento fondamentale per raggiungere qualunque conclusione in questa disciplina e interpretare in modo corretto ciò che si osserva sul campo. Condurre uno studio epidemiologico non è certo semplice. Dal momento che non si studiano sistemi controllati come le cellule in laboratorio, è infatti necessario tenere conto di tutti i fattori che possono influenzare i risultati per poter scegliere bene le persone da valutare (che devono essere davvero molte) e il tempo della durata dello studio (spesso decine di anni). E si ottengono infine enormi quantità di dati che devono essere condivisi con addetti ai lavori e persone comuni. “Non è semplice parlare di questi argomenti a persone che non sono del settore” spiega Stefania Salmaso, direttrice del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (CNESPS) dell’Istituto superiore di sanità (ISS). “L’epidemiologia lavora su popolazioni o gruppi di pazienti e i risultati sono spesso espressi in termini probabilistici. Il rischio è che al singolo cittadino passi un’informazione distorta o non completa e per questo motivo deve sempre essere mediata dal medico o dall’operatore sanitario”.


FARMACI Economia sanitaria

Farmaco, ma quanto mi costi? La spesa farmaceutica costituisce la più importante uscita del Sistema sanitario nazionale. Vediamo chi e come stabilisce quanto deve costare un prodotto che non è come tutti gli altri

a cura di DANIELA OVADIA uando, nel luglio del 2013, per la prima volta due farmaci oncologici innovativi sono stati inseriti nella fascia C, quella a totale carico del cittadino, il pubblico ha cominciato a preoccuparsi e chiedersi che cosa determina il prezzo di una cura e perché le molecole più innovative raggiungono quotazioni da capogiro, tali da rendere sempre più difficile per lo Stato fornire gratuitamente queste medicine a tutti i cittadini. I farmaci sono prodotti speciali, perché sono essenziali per curare le malattie; d'altro canto sono anche prodotti commerciali e devono creare, per chi investe nella loro messa a punto, produzione e distribuzione (cioè le case farmaceutiche), un giusto profitto. Raggiungere un equilibrio tra queste due “anime” non è affatto semplice, e infatti diversi elementi e organi di controllo contribuiscono a determinare il prezzo finale.

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Molti anni di investimenti “Fare un farmaco nuovo è costoso, sia in termini di denaro sia di tempo” spiega Livio Garattini, economista presso il Centro di economia sanitaria A. Valenti (CESAV) dell'Istituto Mario Negri di Milano. Per arrivare dal laboratorio alla farmacia servono infatti oltre dieci anni, con quattro fasi sperimentali già prestabilite, che vanno dai test in vitro a quelli sul modello animale, fino alle prime sperimentazioni sull'uomo sano e poi infine sui pazienti. Un lasso di tempo che non tiene conto delle fasi di ideazione e di individuazione del meccanismo su cui agire, cioè della ricerca di base, che le precede anche di molti anni, i cui costi possono essere sia a carico del-

l'industria (ma ciò accade sempre meno) sia a carico dello Stato (in caso di ricerche svolte con fondi pubblici) o delle non profit che sostengono la ricerca come AIRC. Si comprende facilmente come, dal momento in cui uno scienziato attiva una ricerca per esplorare la validità di un’idea ed eventualmente trova la chiave con la quale iniziare a produrre il farmaco, fino al momento della sua distribuzione nelle case e negli ospedali, possono passare 15 o 20 anni, e questo ovviamente incide sui costi. “Uno dei classici errori che si fanno in questi casi è pensare che stiamo pagando la scatoletta che compriamo per quello che vale, cioè per il puro costo delle materie prime e della fabbricazione. Ovviamente non è così” spiega Garattini. Un medicinale è quindi più simile a un capo firmato, ma il sovrapprezzo non

Dall’idea di un farmaco alla pastiglia passano 20 anni

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FARMACI Economia sanitaria

è dato dalla pubblicità o dalla notorietà del marchio, quanto dal peso economico degli anni di ricerca: le quattro fasi canoniche costano in media circa 500 milioni di dollari. A questi si sommano i costi sostenuti dalle aziende per fare ricerca su tutte quelle molecole che si rivelano, durante la sperimentazione, non adatte per via della scarsa efficacia o della tossicità: su 20 nuove medicine che raggiungono almeno la fase di sperimentazione su colture cellulari, solo tre arriveranno al paziente, e su quelle tre grava anche l'investimento fatto sulle restanti 17.

Registrazioni e contrattazioni Dopo aver testato la nuova molecola su colture cellulari, su modelli animali e sulle persone, la casa produttrice deve affrontare nuove spese: quelle di registrazione e approvazione della sostanza per de-

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terminate indicazioni. Esistono infatti due grandi agenzie regolatorie che autorizzano a commercializzare una medicina: la Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti e la European Medicines Agency (EMA). A loro vanno mandati tutti i risultati degli studi condotti per ciascuna indicazione: in sostanza, se un farmaco funziona sia per il mal di testa sia per il mal di denti, il produttore dovrà dimostrarlo con studi separati e fornire alle agenzie le prove di ambedue le affermazioni. In caso contrario, il farmaco verrà ufficialmente registrato solo per la cura di quanto provato. Questo può costituire un problema, perché le aziende produttrici, anche per risparmiare sui costi, a volte presentano richiesta di registrazione solo per alcune patologie e non per altre sulle quali però si sa che la medicina è efficace. “Le ragioni per cui ciò avviene possono essere molte: una scelta di marketing (magari perché contro un certo disturbo c'è già

sul mercato una cura ugualmente o più efficace prodotta da altri) oppure di ampiezza del mercato (per una certa patologia ci sono troppo pochi pazienti per cui non conviene chiedere la registrazione)” continua Garattini. Nel caso della cura dei tumori, soprattutto riguardo ai nuovi farmaci biologici (spesso anticorpi monoclonali prodotti contro un bersaglio specifico espresso dalla cellula), questo accade sempre più spesso e costringe i medici alle cosiddette prescrizioni off label (cioè al di fuori di una indicazione riconosciuta): una pratica che andrebbe riservata solo a casi eccezionali, ma che invece sta dilagando, con preoccupazione dei medici stessi e dei Sistemi sanitari nazionali (SSN), che vedono lievitare i costi per la spesa farmaceutica. L'Italia, per fortuna, ha ancora un SSN efficiente e in grado di curare tutti i cittadini senza discriminazioni. Medici, farmaci e ospedali costituiscono però, come tutti sanno, uno dei maggiori capitoli di spesa dello Stato, che assorbe da solo circa il 16 per cento del Prodotto interno lordo, secondo un rapporto pubblicato nel settembre 2013 dall'Università Tor Vergata di Roma. Il costo dei farmaci incide non poco sul totale ed è per questo che lo Stato ha deciso di contrattare con le aziende il prezzo sulla base del quale possono vendere il loro prodotto.

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QUALCHE DATO La spesa farmaceutica a carico del Sistema sanitario nazionale (SSN) ha fatto registrare, nel 2011 (ultimo anno per il quale abbiamo i dati a disposizione), una diminuzione dell'8,6 per cento rispetto al 2010, a


In questo articolo: costi sanitari farmaci ricerca

Una lunga trattativa Come è ben noto, esistono tre classi di farmaci sulla base di chi paga per il loro acquisto: i farmaci di fascia A sono a totale carico dello Stato, se prescritti da un medico, con l'eccezione del versamento del ticket; i farmaci in fascia C sono a totale carico del cittadino e quelli di fascia H, o ospedalieri, sono pagati per intero dal SSN e distribuiti solo alle farmacie ospedaliere, perché si tratta di sostanze di uso complesso, che vanno monitorate da medici specialisti. Il principio alla base di questa suddivisione è infatti quello per cui lo Stato paga solo per i farmaci davvero indispensabili ed efficaci, mentre tutto il resto (i cosiddetti farmaci di conforto) è pagato direttamente dal cittadino. Ciò non significa che le aziende produttrici possano fare come vogliono: anche per la fascia C esiste un prezzo concordato con l'Agenzia italiana per il farmaco (AIFA), che è l'organismo deputato a trattare. Solo i cosiddetti farmaci SOP (senza obbligo di prescrizione) possono essere messi in commercio con un prezzo stabilito esclusivamente dalla casa farmaceutica, perché si ritiene che siano utili solo in situazioni limitate. “Chi produce un farmaco, per aprire la trattativa sui costi deve mandare all'AIFA tutti i documenti sugli studi che ha effettuato, dai quali deve emergere che la sostanza ha rapporto costo-efficacia positivo, cioè è utile per curare malattie per le quali non c'è un'altra cura disponibile oppure deve essere più efficace (o avere meno effetti collate-

rali) di una medicina già in uso. Può anche avere altri elementi positivi, per esempio può essere più facile da assumere, magari perché si tratta di una medicina che si prende per bocca e che fino a quel momento esisteva solo in forma iniettabile. In quel caso deve avere un'efficacia pari a quella delle altre specialità già in commercio” spiega Garattini. Fatto ciò si attiva il Comitato prezzi e rimborso dell'AIFA stessa che esamina la richiesta e fa una stima di quanto potrebbe costare al SSN la rimborsabilità totale, oppure decide per l'inserimento in fascia C a carico del cittadino. Ovviamente ciò non accade praticamente mai nel caso dei farmaci oncologici, tranne quando, come nel luglio scorso, per ragioni burocratiche la nuova medicina fu approvata per una certa indicazione prima che fosse stata completata la trattativa sul prezzo. E infatti, nel caso specifico, data l'importanza e la delicatezza delle cure coinvolte, dopo la denuncia dei giornali è stata avviata una procedura urgente che ha permesso di inserire le nuove sostanze tra quelle pagate dallo Stato in tempi più brevi del solito. C'è anche un altro elemento importante che concorre a formare il prezzo della scatoletta che portiamo a casa: il

fronte di un aumento del numero delle ricette dello 0,6 per cento. Nel 2011 le ricette sono state oltre 590 milioni, pari a quasi 10 ricette per ciascun cittadino. Le confezioni di medicinali erogate a carico del SSN sono state oltre un miliardo e 80 milioni. Ogni cittadino italiano ha ritirato in farmacia in media 18 confezioni di medicinali a carico del SSN. È calato

però il valore medio delle ricette stesse (circa del 9 per cento): si prescrivono più farmaci, ma di prezzo mediamente più basso. Al calo della spesa farmaceutica hanno contribuito sia i maggiori controlli sui medici che prescrivono (con regole più stringenti per quanto riguarda le indicazioni) sia le trattative fatte dall'AIFA con le case farmaceutiche per ottenere sconti sul prezzo stabilito.

Il prezzo non corrisponde al valore materiale del prodotto

suo impatto sulla salute e sulle spese generali del SSN. Ecco un esempio: una casa farmaceutica scopre che un vecchio farmaco, ormai quasi in disuso e di basso costo, è molto efficace per curare un certo tumore o un'altra malattia grave e invalidante. Nel metterlo sul mercato avrà diritto a farlo pagare molto più di quanto costava prima, in parte per coprire le spese delle nuove ricerche che ha dovuto condurre per certificarne l’idoneità al nuovo uso, in parte perché va a riempire un vuoto terapeutico, evitando al SSN spese molto più impegnative come quelle per sostenere un invalido o un malato molto grave. Infine, elemento non secondario, il produttore avrà bisogno di ottenere dalla vendita un profitto, sia per avere soldi da reinvestire in nuove ricerche sia perché è pur sempre un'impresa commerciale e deve rendere conto ai suoi azionisti. “Una medicina è un prodotto commerciale, ma non è come tutti gli altri” conclude Garattini. “Il suo valore non è dato da ciò che contiene ma da un insieme complesso di elementi che solo lo Stato può valutare”.


Domande e risposte

Quali sono i tumori più diffusi in Italia? e stime più recenti parlano di circa 366.000 nuovi casi di tumore in Italia nel 2013, praticamente 1.000 al giorno, suddivisi abbastanza equamente tra uomini (45 per cento) e donne (55 per cento). A questi vanno aggiunti i carcinomi della cute: circa 71.000 sempre nello stesso anno. Guardando i dati più in dettaglio, si nota che il tumore più frequente nella popolazione italiana – escludendo i carcinomi della cute – è quello del colon-retto (14 per cento), seguito da quelli della mammella (13 per cento), prostata e polmone (11 per cento) e vescica (7 per cento). Se poi si separano i dati per uomini e donne, la “classifica” cambia: al primo posto per gli uomini c’è il tumore della prostata, seguito da quello del polmone e colon-retto, mentre per le donne le prime tre posizioni sono occupate rispettivamente da tumore della mammella, del colon-retto e del polmone. Infine, in età pediatrica, il tumore più comune è senza dubbio la leucemia (30 per cento di tutti i tumori in questa fascia di età), in particolare quella linfoide acuta.

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Ho visto dal tabaccaio le nuove sigarette, sottili e decorate. Sono meno pericolose di quelle classiche? e nuove sigarette supersottili e decorate con stampe e “tatuaggi” stanno sbarcando anche in Italia dopo aver conquistato i mercati all'estero. Si tratta di sigarette classiche, in tutto e per tutto analoghe (e quindi altrettanto pericolose) di quelle comuni. Secondo un'indagine effettuata da Cancer Research UK su un gruppo di adolescenti britanniche intorno ai 15 anni, queste nuove sigarette vengono giudicate “belle, raffinate, eleganti” dalla maggioranza delle ragazze intervistate, che sono infatti il target per le quali le aziende del tabacco hanno inventato il prodotto. La pericolosità delle sigarette sottili è anche maggiore di quella delle sigarette con diametro più grande perché si brucia più carta, che contiene sostanze potenzialmente cancerogene.

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Mi hanno proposto di fare la radioterapia intraoperatoria per un cancro del seno. Basterà un solo trattamento? a radioterapia intraoperatoria consiste nel trattare con raggi l'area dove viene asportato il tumore durante l'intervento chirurgico. Proprio per questo consiste in un'unica seduta di radioterapia, seppure a dosi più alte della singola seduta di radioterapia effettuata dall'esterno. Due studi sono recentemente pubblicati sulle riviste Lancet e Lancet Oncology e hanno valutato l'incidenza delle ricadute a cinque anni in due gruppi di donne, uno trattato con radioterapia esterna classica e l'altro con la singola seduta intraoperatoria. Il primo studio, condotto con una tecnica chiamata TARGIT dallo University College di Londra, dimostra che non ci sono differenze di esito tra le due cure e che ambedue sono efficaci e sicure allo stesso modo. Il secondo, condotto dall'Istituto europeo di oncologia di Milano con la tecnica ELIOT, ha mostrato invece un numero di ricadute locali un po' più elevato nelle donne trattate con la radioterapia intraoperatoria, ma secondo gli esperti il bilancio costo-efficacia è comunque a favore della tecnica se si considera il peso di sottoporsi alla radioterapia esterna per molte settimane dopo la chirurgia.

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Cosa si intende per stadio e grado di un tumore? tadio e grado del tumore rappresentano due parametri molto importanti, che descrivono alcune caratteristiche della malattia e permettono al medico di scegliere il trattamento migliore tra quelli disponibili. In particolare, definire lo stadio significa descrivere quanto la malattia è diffusa nell'organismo: i criteri per arrivare alla stadiazione – così si chiama il processo di assegnazione dello stadio – sono diversi a seconda del tumore, ma spesso la classificazione si basa su un sistema detto TNM dalle iniziali inglesi delle parole Tumour, Nodes e Metastasis. La T è legata alla grandezza del tumore, la N indica se anche i linfonodi sono coinvolti e la M indica se sono presenti metastasi. Dopo aver analizzato queste caratteristiche il medico assegna uno stadio dallo 0 al IV: più è alto, più è avanzata la malattia. Il grado del tumore definisce invece quanto la malattia è aggressiva e, anche in questo caso, un numero (grado) più alto indica un tumore più aggressivo.

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I chili di troppo aumentano il rischio di cancro?

ovrappeso e obesità sono in continuo aumento nel mondo, rappresentano una vera e propria epidemia e un enorme problema di salute pubblica. Nel corso dei decenni gli studi clinici hanno dimostrato che sono molte le malattie legate, in diversa misura, ai chili di troppo: diabete, ictus, malattie cardiovascolari, problemi respiratori e osteoarticolari e anche numerosi tumori, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) afferma che, dopo il tabacco, sovrappeso e obesità rappresentano la principale causa di cancro tra quelle che possono essere evitate. L’eccesso di peso aumenta per esempio il rischio di tumore della mammella, soprattutto per le donne in menopausa e dell’intestino, con un rischio che sale del 50 per cento negli uomini obesi rispetto a quelli normopeso. Tra gli altri tipi di cancro influenzati dal peso anche il tumore dell’utero, dell’esofago, del pancreas, dell’ovaio, del rene, del fegato, e molti altri ancora. Gli scienziati sono alla ricerca dei meccanismi che portano all’aumento del rischio: certo è che il grasso in eccesso aumenta i livelli di diversi ormoni come estrogeni e insulina, che favoriscono la crescita di alcune cellule tumorali.

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STRESS Dopo la malattia

Quando il trauma bussa alla porta di chi è guarito Talvolta i malati di cancro riescono a tenere a bada lo stress durante tutta la fase acuta, quella più difficile ma, una volta tornati alla vita di tutti i giorni, si ritrovano a fare i conti con le emozioni che, nei casi più gravi, possono provocare una sindrome post traumatica da stress a cura di DANIELA OVADIA e cure, l'ospedale, gli interventi e persino le chemioterapie sono alle spalle quando, all'improvviso, il malato di cancro che ha concluso con successo la cura della sua malattia viene colto dal panico o dalla depressione. La reazione di familiari e amici è spesso di incredulità: ma come? Proprio la stessa persona che ha affrontato con apparente sicurezza e

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tranquillità le fasi più dolorose e faticose, ora si lascia andare così? Eppure il fenomeno è tutt'altro che marginale: il cancro, come molti eventi emotivamente coinvolgenti della vita, può dare origine a un disturbo post traumatico da stress (PTSD), come hanno dimostrato numerose ricerche svolte a partire d a g l i anni no-

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vanta. Il PTSD si manifesta con attacchi di panico quando la persona si trova in situazioni che ricordano l'evento che ha scatenato il trauma (per esempio quando si avvicina di nuovo all'ospedale nel quale ha effettuato le cure), oppure con pensieri ossessivi riguardo alla malattia (con annessa ansia e depressione proprio nel momento in cui, invece, bisognerebbe ricominciare a pensare ad altro), incubi o sogni in cui ne rivive alcuni momenti. Esiste anche una variante caratterizzata da sovraeccitamento, nervosismo, insonnia e irritabilità. Perché si possa parlare di

PTSD vera e propria, i disturbi psicologici devono manifestarsi da almeno un mese e interferire in modo sostanziale con la vita quotidiana della persona. I FATTORI DI RISCHIO Gli stessi studi che hanno messo in luce l'esistenza del disturbo hanno rivelato che il 3-4 per cento dei pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di cancro agli stadi iniziali (in cui quindi le cure sono state presumibilmente meno intense e meno lunghe) sviluppa in seguito la sindrome, mentre ciò accade nel 35 per cento circa di coloro che ricevono una diagnosi a uno stadio già avanzato. Queste per-


PSICOTERAPIE, GRUPPI DI AIUTO E FARMACI

In questo articolo: stress PTSD psiconcologia

centuali possono variare, a seconda del contesto e del Paese, ma soprattutto dell'assistenza psicologica offerta già nella fase acuta. Risulta infatti che chi non riesce a elaborare i pensieri oscuri con l'aiuto di un professionista è più a rischio, così come lo sono i più giovani, le persone con un basso livello di istruzione o con difficoltà economiche, tutti elementi che aggravano il peso psicologico della malattia. Costituiscono altri fattori di rischio anche i lunghi ricoveri durante la fase acuta, una malattia fisicamente dolorosa o comunque con sintomi fisici invalidanti. Conta però anche la persona e la sua storia prima del cancro: chi ha già subito un trauma nella vita, ha sofferto in precedenza di disturbi psicologici anche lievi (ansia o depressione), ha in generale livelli elevati di stress, disturbi di tipo ormonale o uno scarso supporto sociale ha più probabilità di vedere i livelli di stress risalire a malattia conclusa. Dal punto di vista personologico, invece, coloro che “fanno finta di niente” ed evitano di fare i conti con le emozioni durante la diagnosi e la cura rischiano maggiormente che ciò che hanno rimosso riaffiori nel momento meno opportuno. Secondo gli studi effettuati soprattutto negli Stati Uniti, uno dei fat-

tori che invece protegge da questo rischio è un buon rapporto con lo staff di medici e infermieri durante la cura. DIAGNOSI PRECOCE “È importante che i pazienti una volta terminate le cure fisiche vengano seguiti a livello psicologico per almeno due anni con periodici controlli” recitano le linee guida del National Cancer Institute di Bethesda, uno dei massimi centri di ricerca oncologica al mondo. E le raccomandazioni, pur essendo condivise dalla maggior parte degli operatori, sono ben lontane dall'essere applicate in Italia, soprattutto per la mancanza, nel Sistema sanitario nazionale, di psicologi assunti con questo compito. È facile quindi che solo chi si può permettere un aiuto privato riesca a fare davvero una diagnosi precoce, che costituisce però l'unico intervento di prevenzione efficace. “L'intervento di personale esperto è necessario anche perché i sintomi iniziali possono essere sfuggevoli o comuni, come l'irritabilità o la difficoltà di concentrazione” spiegano ancora la linee guida. Se lasciati a se stessi, però, questi disturbi da stress possono evolversi in qualcosa di più pervasivo e invalidante. E una volta sviluppatasi una vera e propria PTSD, l'intera vita lavorativa e di relazione della persona può essere seriamente compromessa, specie se non si trova un professionista che inizi subito una cura appropriata.

Bisogna evitare che il malessere diventi un disturbo cronico

COME SI CURA a sindrome post traumatica da stress provocata dal cancro e dalla tensione generata nel periodo delle cure viene trattata con gli stessi strumenti usati in tutte le situazioni analoghe (cioè negli eventi generatori di stress intensi), indipendentemente dalla causa. Possono essere utili gli interventi di supporto psicologico, le psicoterapie di tipo cognitivo-comportamentale (in particolare quando si tratta di gestire l'ansia legata a luoghi o situazioni), le tecniche di rilassamento e persino i gruppi di auto-mutuo aiuto. Nei casi più gravi, quando prevalgono sintomi ansioso-depressivi, si fa ricorso ai farmaci ansiolitici o antidepressivi (o ad ambedue). Nei casi ancora più gravi (per fortuna molto rari) possono essere necessari anche gli antipsicotici. La maggior parte degli specialisti è favorevole però a un approccio multimodale, cioè che tenga in conto e utilizzi a seconda dei casi e dei momenti tutti gli strumenti disponibili. Le terapie cognitivo-comportamentali si sono dimostrate particolarmente efficaci, in alcuni studi randomizzati e controllati, nei casi in cui il disturbo coinvolge in modo importante la sfera sessuale e relazionale, con un rifiuto marcato legato anche all'alterata percezione di sé e del proprio corpo dopo la malattia.

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I GIORNI DELLA RICERCA Cronaca 2013

In questo articolo:

Un Paese che ha bisogno di sperare nel futuro

no, silenzioso, impercettibile” ha continuato. “La ricerca può insegnare a questo Paese che contro i mali bisogna lottare uniti, che solidarietà, fiducia, speranza, futuro e progresso possono rappresentare la cura per la malata che in questo momento ci sta più a cuore: l’Italia”. E davanti a una platea gremita di ricercatori, sostenitori e politici, De Luca ha raccontato anche la difficoltà di rinunciare a un futuro sicuro all’estero per tornare a casa propria: “Facciamo in modo che ritornare in Italia sia un’ambizione e non un sacrificio. Perché per me tornare lo è stato. Non nascondo che mi sono trovata di fronte alla dolorosa decisione di rinunciare a prospettive di carriera allettanti. Ciò nonostante, non me la sono sentita di lasciare l’Italia, e alla fine il cuore ha riportato il cervello a casa. Rimanere all’estero e rinunciare a dare il mio contributo al Paese che mi ha cresciuta e che mi ha formata ho pensato fosse un tradimento. Io amo l’Italia. Perché questo Paese mi ha insegnato che cos’è la bellezza, con le sue città, la sua storia; cos’è il genio, la creatività, ma soprattutto questo Paese mi ha dato un bagaglio di conoscenze che ha riscosso interesse anche fuori dai confini nazionali. Questo perché c’è un’Italia, che ancora studia, lavora, si migliora, questa è l’Italia da cui pro-

Quirinale Premio AIRC Credere nella ricerca Giorgio Napolitano

La giovane ricercatrice Anna Chiara De Luca ha espresso, nella cerimonia al Quirinale, la speranza che l’intero Paese possa sostenere i più giovani come AIRC ha fatto con lei e con altri promettenti scienziati a cura della REDAZIONE iamo, di fronte, oggi, all’espressione di un’Italia solidale, quella dei milioni di italiani che ogni anno danno il loro contributo economico per finanziare la ricerca. Come riconosco nei volti dei tanti colleghi che stanno seduti dietro di lei, signor Presidente, l’espressione di un’Italia meritocratica, dove le competenze sono apprezzate e premiate”. Così si è espressa, davanti al Presidente Giorgio Napolitano, nel corso della cerimonia che si è tenuta al Quirinale in occasione dei Giorni per la Ricerca 2013, la ri-

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cercatrice napoletana Anna Chiara De Luca, che ha parlato a nome di tutti i ricercatori, giovani e meno giovani, sostenuti da AIRC e da tutti coloro che contribuiscono alla raccolta fondi per la ricerca contro il cancro.

Sacrifici ricompensati “Devo riconoscere che AIRC esprime ciò che più manca in questo momento storico al Paese: la fiducia nel futuro, nel progresso, nel cambiamento. Perché la ricerca è immaginazione, progettualità, è la pazienza di aspettare i risultati senza perdere la fede in un lavoro quotidia-

“Un lavoro quotidiano, silenzioso e impercettibile”

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CREDERE NELLA RICERCA

A vengo, in cui ho avuto la fortuna di crescere, e a cui sono fiera di appartenere. Mi ritengo fortunata perché la scelta coraggiosa di ritornare a casa è risultata quella giusta ed è stata ricompensata. Tanta fortuna ma anche tanta caparbietà e tanti sacrifici, quelli che sono certa, tutti hanno dovuto fare in questa platea”.

Nuove consapevolezze Il Presidente Napolitano ha sottolineato come “la ricerca sul cancro sia stata a lungo un impegno bistrattato. Oggi per fortuna non è più così: la gente ha capito che bisogna dedicare risorse alla ricerca scientifica”. Il direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia Umberto Veronesi è intervenuto per tracciare il quadro della situazione nel mondo dell’oncologia, sottolinenando come la percentuale dei tumori oggi curabile sia sempre più elevata. “Quando cureremo la quasi totalità dei casi, potremo dire di aver sconfitto il cancro?” ha chiesto Veronesi al pubblico. “La risposta è no. I malati potranno essere curati ma la malattia non sarà sconfitta. Perché se un malato esce dall’ospedale guarito, altri due si presentano per essere curati. Purtroppo il rischio di ammalarsi continua ad aumentare. Dobbiamo prevenire la malattia. Come? Il piano c’è già e con-

sta di tre azioni. La prima, essendo il cancro una malattia ambientale, eliminare il più possibile i cancerogeni presenti nell’ambiente. La seconda, migliorare sostanzialmente gli stili di vita della popolazione, in particolare eliminare il fumo di sigaretta e controllare l’alimentazione. La terza, migliorare le possibilità di diagnosticare precocemente il cancro, scoprendolo quando è ancora occulto. Si tratta di un programma gigantesco che deve cointeressare politici, responsabili della sanità pubblica, medici, educatori, mezzi di comunicazione e soprattutto la popolazione che deve essere informata e motivata alla protezione della propria salute”. Il presidente di AIRC Piero Sierra è intervenuto infine per ricordare l’importanza dell’Associazione anche in termini quantitativi. “Insieme a FIRC finanziamo oltre 4.000 ricercatori: nel solo 2012 AIRC ha avviato e confermato 596 progetti, 91 borse di studio per l’Italia e l’estero, di cui ben 25 in cofinanziamento con l’Europa. Inoltre, grazie ai proventi derivati dal 5 per mille dei cittadini, AIRC ha fatto proseguire 14 programmi speciali di oncologia molecolare clinica, progetti di ampio respiro dove sono impegnati più di mille ricercatori, in maggioranza giovani, dislocati in un centinaio di strutture di ricerca su tutto il territorio italiano”.

La ricerca sul cancro è nell’agenda del Paese

nche quest’anno, come avviene dal 2001, il Presidente della Repubblica ha consegnato il Premio AIRC Credere nella Ricerca, riconoscimento a enti o persone particolarmente impegnate nel sostegno alla ricerca sul cancro. Quest’anno sono stati selezionati l’insegnante di biologia Tiziana Bortesi e Lions Club International. La prima ha ottenuto il riconoscimento per “aver saputo avvicinare i propri studenti alle nuove frontiere della ricerca sul cancro. Ha saputo stimolare nei giovani l’interesse per la scienza, trasmettendo loro passione e tenacia, le stesse con cui i ricercatori AIRC si impegnano ogni giorno nei propri laboratori”. Tiziana Bortesi era al Quirinale anche in rappresentanza delle centinaia di insegnanti che hanno accolto il progetto “AIRC nelle scuole”: un esempio tangibile dell’Italia virtuosa. Lions Club International è stata premiata come associazione che ha “scelto di essere al fianco di AIRC nella battaglia contro il cancro e per aver considerato questo impegno come prioritario nella propria attività. Grazie a un’organizzazione capillare su tutto il territorio italiano i Lions hanno, in particolare, distribuito il libro Un sacchetto profumato e altre storie: una raccolta di racconti inediti scritti per AIRC da famosi autori italiani”.

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I GIORNI DELLA RICERCA Università e scuole 2013

Dalle cellule staminali alla teoria dell’evoluzione Gli incontri nelle università e nelle scuole sono stati l’occasione per sviluppare davanti ai giovani e con l’aiuto dei ricercatori di AIRC le tematiche scientifiche dei Giorni della Ricerca

fine per affinare la prognosi, prevedendo gli eventuali sviluppi della malattia, attraverso le caratteristiche molecolari del tumore, simulate al computer. Questo è stato il tema scientifico al centro dei Giorni della Ricerca e sviluppato nei quattro incontri tenuti in altrettante università, con docenti e studenti venuti ad ascoltare gli esperti di AIRC.

Bologna Alberto Mantovani, direttore scientifico della Fondazione Humanitas, ha inaugurato l’incontro all’Università di Bologna affrontando il tema dell’identificazione dei geni coinvolti nella risposta immunitaria ai tumori. “Un sogno vecchio di quasi cento anni si sta avverando” ha sottolineato. “Poter utilizzare il sistema immunitario contro il cancro e bloccare le difese immunitarie corrotte che aiutano la crescita dei tumori”. Lucia Del Mastro, direttore dell’Unità sviluppo terapie innovative dell’Istituto per la ricerca sul cancro di Genova ha toccato il cuore della tematica: “Anche se le mutazioni finora scoperte sono alcune migliaia, solo un centinaio sono importanti per lo sviluppo dei tumori. L’identificazione delle mutazioni chiave e della loro interazione nel tumore di ogni singolo paziente è la sfida ancora in atto”. Dall’Università degli studi di Chieti-Pescara è arrivata anche Rosa Visone, titolare di uno Start-up grant AIRC per una ricerca sui microRNA, che ha spiegato: “La comunità scientifica mondiale sta scommettendo sulle enormi potenzialità di queste piccole molecole come biomarcatori e come farmaci”. L’incontro è stato moderato da Bruno Manfellotto, direttore del settimanale L’Espresso.

Catania AULA MAGNA DI PALAZZO BO, sede dell’Università di Padova, gremita di studenti in occasione dell’incontro organizzato da AIRC

a cura della REDAZIONE sessant’anni dalla scoperta della struttura del DNA sappiamo che il cancro è una malattia in cui è determinante l’ambiente esterno. Nasce dentro il corpo umano, ma è favorita dagli stili di vita errati, come il fumo di sigaretta, e da fattori che non possiamo controllare, come la radiazione ambientale. Il cancro compare nelle cellule con un DNA mutato. La ricerca sta compilando una sorta di dizionario delle mutazioni, un manuale di istruzioni che permette di “leggere” la malattia, per migliorare la diagnosi, intercettando precocemente i segnali rilasciati dalle cellule tumorali, per esempio nel sangue; per migliorare la terapia, trovando il farmaco più appropriato per ogni singolo tumore; e in-

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L’Aula Magna della Facoltà di medicina e chirurgia ha ospitato l’incontro, moderato da Alberto Costa, direttore scientifico della Scuola europea di oncologia, a cui ha partecipato anche Ruggero De Maria, direttore dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, coordinatore di un programma AIRC 5 per mille. “Abbiamo creato una banca di cellule tumorali staminali prelevate dai tumori di molti pazienti, in grado di ricreare in laboratorio una simulazione della malattia e di prevedere l’effetto dei farmaci”. Di farmaci ha parlato anche Pier Paolo Di Fiore, responsabile di un grant AIRC 5 per mille all’Istituto europeo di oncologia di Milano. “C’è grande speranza per nuovi farmaci molecolari, anche se i risultati finora sono stati intermedi. Questa conoscenza ci permetterà di trasformare la difficoltà in


un’opportunità”. Riccardo Vigneri, dell’Università di Catania, ha parlato di biomarcatori: “Sono degli indicatori dell’efficacia della terapia. Le analisi genetiche consentono di affrontare questa malattia in modo selettivo ed efficace”.

Chieti All’Università di Chieti, nell’Auditorium del Rettorato, Antonio Moschetta, direttore dell’Istituto oncologico di Bari, ha parlato delle sue ricerche su cancro e alimentazione, ma soprattutto ha commosso gli studenti dando loro tanta speranza: “Se volete fare ricerca, ci riuscirete”. Paola Patrignani, dell’Università di Chieti, si è invece soffermata sul ruolo delle piastrine e dell’infiammazione nello sviluppo del tumore. Infine Pier Francesco Tassone, titolare di un grant 5 per mille, ha raccontato come all’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro indagano nuovi strumenti per la diagnosi e la terapia dei tumori: “Il nostro gruppo ha dimostrato, in modelli sperimentali di mieloma multiplo, che i microRNA possono rappresentare potenziali strumenti terapeutici”. È intervenuto un appassionato Riccardo Luna, giornalista esperto di nuove tecnologie, e ha moderato l’incontro Mauro Tedeschini, direttore del Centro.

Padova Nell’aula magna della sede medioevale dell’Università di Padova, a Palazzo Bo, Luigi Chieco Bianchi, professore emerito di oncologia, ha fatto gli onori di casa davanti a un folto pubblico di studenti. Alberto Amadori, della medesima università, ha parlato di staminali tumorali: “Nel mio laboratorio abbiamo messo in luce il particolare profilo metabolico di queste cellule rispetto alle normali cellule tumorali, che può renderle sensibili ad approcci terapeutici selettivi”. Anche Giorgio Stassi, dell’Università di Palermo, ha parlato di staminali e della possibilità di sottoporle a prove di sensibilità in vitro utilizzando farmaci antitumorali, per identificare il più efficace”. Laura Locati, dell’Istituto tumori di Milano, ha sottolineato il ruolo della casualità nella ricerca: “A volte un errore durante una ricerca può portare a scoperte fondamentali”. Telmo Pievani, esperto di evoluzione, ha concluso l’incontro parlando della malattia dal punto di vista della teoria dell’evoluzione. “Il tumore è una sfida teorica per gli evoluzionisti: l’evoluzione finora non ha selezionato individui resistenti al cancro:

OLTRE 60 SCUOLE, UNA SOLA PASSIONE: LA RICERCA

er fare il ricercatore ci vuole una grande passione. Se è vero che non può mancare in nessun lavoro, per svolgerlo bene, nella ricerca oncologica ci vuole qualcosa in più. È necessaria tanta pazienza, bisogna passare attraverso molte sconfitte prima di vedere un risultato”. Queste parole e questa tenacia accomunano gli oltre 60 ricercatori AIRC che il 6 e 7 novembre si sono recati in altrettante scuole secondarie di II grado, in tutta Italia, per incontrare gli studenti. E raccontare loro la propria esperienza, quella molla che è scattata e li ha portati a questa scelta di vita. Spesso con sacrifici, ma sempre spinti dalla speranza che il proprio impegno possa aiutare gli altri. “Oltre a parlare di ricerca con i ragazzi ho cercato di trasmettere un messaggio di speranza per la possibilità sia di curare la malattia sia di un riscatto sociale”, spiega uno dei ricercatori AIRC. “Se ce l’ho fatta io – figlio di un’ostetrica e di un commerciante di frutta – tutti possono riuscire a realizzare i propri sogni. Ma devono impegnarsi, i problemi non devono essere una scusa per lasciarsi andare”. Questa passione non lascia indifferenti i giovani, come emerge dalle parole di uno studente calabrese: “Dopo aver ascoltato l’altro giorno un vostro ricercatore, si è instaurato in me un forte desiderio di fare ricerca sui tumori”. La passione e l’impegno per sostenere la ricerca passano anche attraverso le testimonianze dei volontari AIRC: molti giovani si avvicinano, al termine degli incontri, e chiedono di poter contribuire alle iniziative. A conclusione dell’incontro, i ricercatori propongono la IV edizione del Concorso “Una metafora per la ricerca” (www.scuola.airc.it/concorso): gli studenti vincitori, insieme ai loro insegnanti, trascorrono una giornata da ricercatori in laboratori d’avanguardia, per sperimentare da vicino la passione e le grande sfide della ricerca oncologica.

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come mai? Nonostante le difficoltà metodologiche, sono sempre più numerosi gli esperti che ritengono l’approccio darwiniano al cancro molto utile per capirne la logica”. Ha moderato l’incontro Giovanni Caprara, giornalista del Corriere della Sera.

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I GIORNI DELLA RICERCA L’impegno dei partner

Una galassia “ a sostegno di AIRC

importante consentire ai giovani ricercatori di raccontare successi e momenti difficili e dar voce a chi ha affrontato il cancro”. Con queste parole Anna Maria Tarantola, presidente della RAI, spiega l’importanza della Campagna RAI per AIRC. “Una realtà straordinaria che affida gli oltre 100 milioni di euro raccolti a 4.000 ricercatori” le fa eco il direttore generale RAI, Luigi Gubitosi. “La RAI li supporta da 19 anni, perché questa è l’essenza del servizio pubblico”. Dal 4 al 10 novembre gli italiani hanno potuto scoprire i progressi della ricerca sul cancro e le sfide future, ricevere informazioni utili per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei tumori. Nelle trasmissioni in televisione e alla radio ricercatori, medici e persone che hanno incontrato la malattia sono diventati il volto e la voce dei risultati ottenuti nella cura del cancro. Al loro fianco gli ambasciatori di AIRC Antonella Clerici, Carlo Conti, Claudio Lippi e Michele Mirabella, insieme ai conduttori e giornalisti RAI, ai tanti testimonial del mondo dello spettacolo, della musica, dello sport e della cultura, hanno coinvolto il pubblico a donare per sostenere una nuova generazione di ricercatori. Le loro parole raccontano il successo della sfida – aperta e vincente – di

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La RAI, i Cioccolatini, UBI Banca, Un Gol per la Ricerca… mondi diversi, uniti da un comune obiettivo, hanno portato oltre 6 milioni di euro* alla ricerca sul cancro *al momento dell’andata in stampa

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RAI per AIRC, la ricerca da protagonisti AIRC: “Il progresso è qui e adesso: le disponibilità economiche esistono e AIRC è la realizzazione pratica, rigorosissima ed esigente della disponibilità”, afferma Salvatore Siena dell’ospedale Niguarda di Milano. Per Gabriella Sozzi, dell’Istituto nazionale tumori (nella foto piccola), il contributo alla ricerca dell’Associazione, grazie alla generosità degli italiani, è vitale: “È difficile pensare cosa sarebbe successo delle nostre ricerche senza AIRC”.


Il telefono salvadanaio della scienza

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ltre 1,2 milioni di persone hanno scelto il numero solidale, attivato dai principali gestori di telefonia mobile e fissa, per far arrivare il proprio sostegno ai ricercatori, durante I Giorni della Ricerca. Il numero solidale si conferma ancora una volta lo strumento più immediato per ricevere in tempo reale le donazioni del pubblico in risposta agli appelli lanciati nel corso delle campagne RAI per AIRC e Un Gol per la Ricerca. Grazie dunque a TIM, Vodafone, WIND, 3, PosteMobile, CoopVoce, Nòverca, Telecom Italia, Infostrada, Fastweb, TWT per avere rinnovato ancora una volta la loro collaborazione a sostegno della ricerca sul cancro.

UBI Banca fa crescere talenti a quest’anno UBI Banca affianca AIRC in qualità di partner istituzionale per i Giorni della Ricerca. Un’intesa virtuosa per la ricerca sul cancro e per gli italiani, come spiega Riccardo Tramezzani, responsabile area retail di UBI Banca. “Dopo il successo dell’iniziativa ‘Azalee in Banca’ dello scorso maggio, il gruppo UBI Banca ha consolidato l’importante partnership con AIRC per il periodo 2013-2015. Il fulcro di tale intesa si è avuto nel corso dei Giorni della Ricerca: UBI Banca è stata partner istituzionale di AIRC per la raccolta fondi e ha contribuito attraverso iniziative rivolte sia alla clientela, sia ai suoi dipendenti. UBI, inoltre, vuole contribuire ai progetti pluriennali di AIRC dedicati a giovani ricercatori di talento in tutta Italia, accompagnandoli dai primi passi in laboratorio fino alla guida di un progetto indipendente. In concreto, il 5 novembre è stato presentato un Social Bond UBI Comunità di 20 milioni di euro con queste finalità, che in pochi giorni è andato esaurito, permettendo all’Istituto di erogare a favore di AIRC un contributo a titolo di liberalità di 100.000 euro. A questo UBI ha affian-

cato la possibilità per la sua clientela di effettuare bonifici solidali per i progetti di ricerca dell’Associazione. Il progetto s’inserisce nell’ambito del percorso UBI Comunità, modello di servizio finalizzato a sostenere relazioni con le realtà del non profit, a conferma della vocazione di UBI Banca nell’essere concretamente vicino ai molti e articolati bisogni presenti nel tessuto sociale, anche attraverso la sperimentazione di collaborazioni innovative”.

donare e far crescere così i giovani ricercatori, futuri “campioni” della ricerca sul cancro. Stephan El Shaarawy, Claudio Marchisio e Javier Zanetti si sono fatti ambasciatori di questa iniziativa. Insieme a loro Alessandro Del Piero, da oltre dieci anni a fianco di

AIRC, ha voluto far arrivare, con un video da Sidney, il suo sostegno al lavoro dei ricercatori. Anche gli Azzurri sono scesi in campo per segnare Un Gol per la Ricerca, grazie alla collaborazione con FIGC, in occasione dell’amichevole Italia-Germania (vedi foto).

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Un Gol per la Ricerca abato 9 e domenica 10 novembre è tornata su tutti i campi della Serie A TIM l’iniziativa Un Gol per la Ricerca, promossa da AIRC in collaborazione con Lega Serie A e TIM – che ha destinato parte dei suoi spazi di comunicazione negli stadi a questa iniziativa – e con il patrocinio di Associazione italiana arbitri. I protagonisti del calcio italiano si sono schierati a fianco di AIRC per invitare i tifosi a

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I GIORNI DELLA RICERCA

Cioccolatini: la ricerca prende gusto ioccolatini di tutte le forme nelle piazze italiane hanno contribuito alla ricerca oncologica: si è svolta con successo l’iniziativa I Cioccolatini della Ricerca, che ha visto il grande impegno dei volontari AIRC nelle piazze e dei dipendenti UBI Banca in 1708 filiali, per distribuire 160.000 confezioni speciali pensate da Lindt per AIRC, per sostenere la ricerca sul cancro. Un ringraziamento spe-

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Fondazioni bancarie promuovono la ricerca

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Ente Cassa di risparmio di Firenze e la Fondazione del monte di Bologna e Ravenna si sono unite alle altre fondazioni bancarie già vicine ad AIRC, deliberando importanti contributi per il cofinanziamento di due progetti condotti da ricercatori AIRC a Firenze e Bologna. Le fondazioni hanno portato avanti così la propria missione di promotori della crescita sociale e scientifica nei rispettivi territori. A Firenze, presso l’Ospedale Meyer, si svolge uno studio sulle terapie personalizzate per il dolore oncologico in pediatria; a Bologna un gruppo di ricerca si occupa di nuovi approcci terapeutici ai sarcomi.

Esselunga fa buona la spesa a grande distribuzione aiuta la ricerca sul cancro: Esselunga ha rinnovato per i Giorni della Ricerca 2013 il proprio sostegno ad AIRC come partner della campagna “La Buona Spesa”. Dal 2 al 9 novembre, in Esselunga e in altre 15 insegne della grande distribuzione alimentare, i clienti si sono potuti informare sui progressi della ricerca oncologica e i consigli per la prevenzione, attraverso la pubblicazione speciale Proteine… in tutte le salse, distribuita gratuitamente in tutti i punti vendita aderenti. Le donazioni di Esselunga e delle altre aziende sostengono i ricercatori di AIRC impegnati ogni giorno per mettere il cancro all’angolo.

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ciale a tutti i testimonial – tra i quali gli chef Bruno Barbieri e Carlo Cracco, l’attrice Micaela Ramazzotti (nella foto) – che hanno invitato gli italiani ad andare nelle piazze, e alle TV e radio che hanno ricordato l’iniziativa. Il dono dei Cioccolatini si conferma non solo un’ottima occasione per sostenere il lavoro dei ricercatori e per ricevere informazioni scientifiche e consigli per uno stile di vita sano. La confezione, infatti, è stata accompagnata dalla pubblicazione speciale Proteine… in tutte le salse, che ha illustrato le nuove frontiere della ricerca oncologica nell’ambito delle proteine, insieme a consigli per la prevenzione e a ricette gustose e sane.

Banzai con AIRC un sostegno online l gruppo Banzai nel 2013 ha deciso di partecipare ai Giorni della Ricerca. Le attività hanno coinvolto i siti di SaldiPrivati ed ePRICE sui quali, dall’11 al 17 novembre, è stato possibile sostenere i ricercatori ordinando I Cioccolatini della Ricerca di AIRC senza spese di spedizione. “SaldiPrivati ha avuto la possibilità di essere protagonista di questa maratona di solidarietà, raggiungendo ottimi risultati grazie all’attenzione e solidarietà di tutti i nostri utenti. Sono stato onorato di partecipare, in qualità di amministratore delegato di SaldiPrivati, alla Cerimonia tenutasi presso il Quirinale insieme a tutti i partner all’iniziativa”, ha commentato Bruno Decker. “È stato un onore e un piacere partecipare ai Giorni della Ricerca ed essere presente, come amministratore delegato di ePRICE, al Quirinale. Un'iniziativa che ha permesso non solo a ePRICE ma anche a tutti i suoi utenti di contribuire e di dare un aiuto concreto alla ricerca” ha aggiunto Raul Stella.

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RICERCA IFOM Ricerche in vetrina

In questo articolo: immunità linfomi epigenetica

La proteina che favorisce lo sviluppo dei linfomi Controlla il programma cellulare che guida la maturazione dei linfociti. Ma esistono farmaci per intervenire

a cura della REDAZIONE a protezione dalle infezioni da microorganismi quali batteri e virus richiede l'attivazione di una particolare classe di cellule del sistema immunitario: i linfociti di tipo B, in grado di produrre anticorpi che riconoscono e neutralizzano gli agenti infettivi con cui veniamo a contatto giornalmente. Quando riconoscono un agente estraneo, i linfociti B migrano in aree dei linfonodi e di altri tessuti linfatici chiamate centri germinativi (GC) dove completano la propria maturazione diventando plasmacellule. I linfomi, che sono tra i più comuni tumori ematologici, sono il risultato di una risposta immunitaria sbagliata da parte di linfociti B reclutati nei GC, dovuta a mutazioni genetiche a carico di geni che regolano la maturazione delle cellule B stesse.

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I linfomi non Hodgkin includono forme aggressive quali i linfomi a grandi cellule che sono ancora molto difficili da curare in un terzo dei casi. Per capire cosa differenzia queste patologie dalle altre, Stefano Casola, direttore dell'Unità di immunologia e biologia molecolare dei linfomi presso l'Istituto FIRC di oncologia molecolare e coordinatore dello studio finanziato anche da AIRC e pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, ha concentrato l'attenzione su EZH2, una proteina che lega la cromatina (la forma compatta del nostro DNA). La sua funzione nei linfociti B era quasi del tutto sconosciuta. Utilizzando un modello sperimentale e tecniche sofisticate di genetica molecolare è stato possibile inattivare la funzione del gene EZH2 in linfociti B durante una risposta immunitaria. I risultati dello studio hanno permesso di stabilire che EZH2 è fondamentale nei linfociti B per completare la propria maturazione e diventare una cellula che produce anticorpi protettivi. In sostanza, bloccando EZH2, si impedisce all'organismo di difendersi con la cosiddetta immunità umorale, cioè quella legata alla produzione di immunoglobuline. “Non solo” spiega Casola. “Abbiamo scoperto che EZH2 è una sorta di orologio che controlla la permanenza dei

I pazienti verranno testati anche per il gene EZH2

PROTEINA CHIAVE Capire il programma cellulare che guida questi fenomeni in situazioni normali è fondamentale per comprendere cosa viene alterato durante lo sviluppo di un linfoma e per poter sviluppare terapie mirate per le malattie autoimmuni e i linfomi che derivano da disturbi della risposta immunitaria.

linfociti B nel GC per ottimizzare la produzione di anticorpi. Ciò avviene bloccando l’espressione di un gene chiamato BLIMP1. In un’alta percentuale di linfomi non Hodgkin esistono delle mutazioni che rendono EZH2 sempre attivo: così facendo la cellula rimane 'sequestrata' nel GC accumulando mutazioni dannose che causano la trasformazione maligna”. Per dimostrarlo il gruppo di ricerca di IFOM ha bloccato EZH2 in modelli cellulari di linfoma non Hodgkin, e ha notato un blocco nella crescita tumorale. “Abbiamo potuto farlo grazie a una collaborazione con un gruppo di ricerca americano che ci ha fornito un nuovo farmaco capace di inibire selettivamente EZH2. Farmaci di questo tipo sono attualmente testati negli Stati Uniti e speriamo di poter cominciare quanto prima una sperimentazione anche in Italia. Nel frattempo in IFOM abbiamo sviluppato uno screening genetico per identificare rapidamente quali pazienti affetti da linfoma non Hodgkin siano portatori di mutazioni del gene EZH2 e quindi potenzialmente destinatari di queste terapie innovative”.

LA RICERCA IN BREVE Cosa si sapeva i linfociti B producono anticorpi (immunoglobuline) contro gli agenti infettivi nei centri germinativi nel centro germinativo, mutazioni dei geni delle immunoglobuline permettono di potenziare l’efficacia degli anticorpi prodotti Cosa aggiunge questa ricerca la proteina EZH2 regola il programma cellulare dei linfociti B che permette la produzione di anticorpi mutazioni genetiche che rendono EZH2 superattivo contribuiscono allo sviluppo di tumori dei linfociti B detti linfomi perché impediscono la maturazione delle cellule B inibendo EZH2 con farmaci già in sperimentazione si può interferire con la crescita dei linfomi non Hodgkin


COMUNICAZIONE Dati e statistiche

In questo articolo: grafica informazioni data visualization

La nuova veste di grafici e tabelle I numeri sono importanti per comprendere un fenomeno o prendere decisioni razionali. Ma il modo in cui vengono rappresentati può cambiare completamente la percezione degli stessi. Per questo si sta sviluppando una nuova specialità: la data visualization a cura di FABIO TURONE n esempio illuminante di quanto un’immagine possa più di molte parole è descritto in un episodio di qualche anno fa del telefilm americano West Wing – Tutti gli uomini del Presidente: un gruppo di “cartografi per l’uguaglianza sociale” lascia a bocca aperta lo staff del presidente degli Stati Uniti mostrando come la cartina geografica in uso nelle scuole dipinga l’Europa (e gli Stati Uniti) molto più grandi di quanto non siano in realtà, se paragonati ad Africa e America Latina. La mappa che tutti conosciamo, ideata nel 1569 dal fiammingo Mercatore, fu adottata universalmente perché è particolarmente adatta a navigare con l’aiuto della bussola, anche se appunto distorce le superfici. Una diversa modalità di rappresentare la Terra, con la mappa detta di Peters, dal nome del suo ideatore, riporta molto più fedelmente le dimensioni dei Paesi, ma purtroppo distorce anch’essa il pianeta, perché la forma di pera schiacciata mal si presta a essere descritta in due dimensioni. Nonostante questi limiti,

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Paolo Ciuccarelli dirige un gruppo di ricerca che si occupa di visualizzazioni

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oggi nessuno pensa di fare a meno delle classiche cartine geografiche, ma molti stanno studiando modi diversi di rappresentare spazi, numeri e dati, in modo da permettere la comprensione “a colpo d’occhio” anche delle informazioni più complesse, comprese quelle legate alla salute. Non si tratta della classica infografica che si trova ormai su qualsiasi giornale, ma di modi nuovi di rappresentare il mondo che vanno sotto il nome di data visualization. È chiaro infatti che alcuni concetti articolati possono essere semplificati dalla rappresentazione grafica che però deve essere chiara, accattivante (per essere riconosciuta nel mare di informazioni di cui siamo circondati) e immediatamente comprensibile. L’esperienza di chi ha a che fare con la visualizzazione dei dati è risultata preziosa anche per chi lavora in altri settori, come i medici.

Gli esami a colpo d’occhio Oggi il referto di molti esami di laboratorio consiste di un lungo elenco di cifre, accompagnati dai valori ritenuti normali: questo spesso non basta a capire se c’è qualcosa che non va e in quale settore, ma è possibile che pre-

sto venga introdotta una modalità di presentazione grafica ispirata a quella con cui i due esperti americani David McCandless e Stefanie Posavec hanno vinto nel 2010 un concorso indetto dal mensile Wired e che, con l’aiuto di barre colorate e grandi scritte (raffigurate anche nell’illustrazione a p. 31) rende facilmente intuibile il significato dei numeri. L’iniziativa è stata salutata con interesse, ma non manca di pericoli: “Ogni volta che si usa una visualizzazione di dati scientifici complessi si corre il rischio di deformare un po’ la realtà” conferma Paolo Ciuccarelli, che si occupa proprio di visualizzazione al Politecnico di Milano e dirige il laboratorio di ricerca DensityDesign, con il quale ha da poco completato un progetto per conto dell’Organizzazione mondiale della sanità. “Qualsiasi semplificazione grafica rischia di tradire almeno in parte il dato di partenza, perché impone di scegliere gli elementi più importanti, quelli che si vogliono mettere in risalto, a scapito di informazioni collaterali, magari difficili da rappresentare graficamente”.

Confrontare il peso delle malattie Non c’è dubbio, però, che la visualizzazione fatta con scrupolo permette di osservare, valutare e confrontare fenomeni complessi in modi in precedenza impossibili. Gli esempi sono sempre più numerosi, specie nel campo dell’epidemiologia, la scienza che ci dice come e dove insorgono e si diffondono determinate malattie. Uno dei primi a puntare su innovative mappe colorate e animate è stato l’epidemiologo svedese Hans Rosling, che si occupa di sanità pubblica all’Istituto Karolinska di Stoccolma, con un occhio di riguardo per i Paesi in via di sviluppo: “Quando mi hanno affidato il corso universitario ho scoperto che molti dei miei studenti, e persino molti dei miei colle-


Esami del sangue di interesse cardiologico

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1 Info su questo test: Questo referto valuta i suoi rischi cardiovascolari potenziali come l’infarto e l’ictus.

2 I suoi risultati Livelli di PCR

3.3

Il suo livello relativo a una proteina specifica presente nel sangue e collegata all’infiammazione dei vasi sanguigni

Basso rischio

Media

Rischio cardiovascolare elevato

0 mg/L

0-3

3 - 10 mg/L

Livello di colesterolo totale

265

Desiderabile

Al limite

Alto

0 mg/L

200 - 239

240

LDL o colesterolo “cattivo” Ottimale 0 mg/DL

HDL o colesterolo “buono)

233 Quasi Ottimale

Lievemente Elevato Elevato 160 - 189

100 - 129

130 - 159

Molto Elevato 190

190+

32

Basso

Normale

Alto

0 mg/DL

40 - 59

60

ghi, non avevano le idee molto chiare sulla situazione sanitaria nei Paesi in via di sviluppo, e facevano affidamento su vecchi stereotipi, che in molti casi sono stati cancellati dai progressi enormi compiuti negli ultimi decenni” spiega. E siccome le tabelle di dati non sono molto facili da digerire, Rosling ha iniziato a progettare modalità alternative, fino a mettere a punto un sistema basato su bolle colorate di dimensioni che corrispondono al valore numerico del dato – per esempio l’incidenza del tumore del seno per 100.000 donne, raffigurata nell’immagine a p. 32. La grandezza della bolla

240+

nei diversi Paesi rende immediatamente l’idea di quanto importante sia la malattia in quell’angolo di mondo. Oggi con la sua fondazione Gapminder (che prende il nome da un gioco di parole che invita a fare qualcosa per ridurre le distanze tra Paesi più e meno sviluppati) Rosling ha messo in rete un software che mostra anche l’evoluzione nel tempo di dati come la ricchezza procapite, il tasso di scolarizzazione o la mortalità per malattie prevenibili. Quando presenta questo utilissimo strumento, l’epidemiologo svedese si diverte a commentare i progressi e gli arretramenti dei vari Paesi con il

Capire al volo concetti complessi, cogliere il succo del messaggio

60+

tono accalorato di un radiocronista, suscitando l’ilarità e la partecipazione del pubblico, che rimane sempre molto colpito. Ma il gioco, se di gioco si può parlare, ha un’alta valenza educativa, tanto che il sito internet di Gapminder offre questi strumenti a tutte le scuole che vogliono usarli. Un progetto simile è stato avviato in Gran Bretagna per permettere di valutare, Paese per Paese o su scala globale, l’impatto che le diverse malattie hanno sulla popolazione, anche per orientare al meglio le risorse disponibili per prevenzione e cura. Per esempio, interrogando il database – che si basa su un gran numero di studi scientifici sul cosiddetto global burden of disease, un indice che tiene conto del peso sociale ed economico delle singo-

... l’articolo continua su: www.airc.it/infografiche


COMUNICAZIONE Dati e statistiche

le malattie – si possono vedere in un attimo i danni causati dal cancro del polmone in termini non solo di aumento della mortalità, ma anche di peggioramento della qualità della vita.

Una guida tra rischi e benefici Oggi anche giornali, riviste e siti internet fanno un uso sempre più massiccio di cifre e percentuali e di mappe: uno studioso di Cambridge, in Inghilterra, ha contato ben 2.845 modi diversi per rappresentare graficamente il rischio che ciascuno di noi

correrebbe se ogni mattina, a colazione, si concedesse un paio di fette di croccante pancetta fritta, secondo la tradizione di oltremanica. Lui è un epidemiologo e biostatistico, e si chiama David Spiegelhalter, ma scherzosamente si fa chiamare professor Rischio. Si occupa proprio di studiare come la gente comune interpreta le complesse informazioni necessarie a prendere le migliori decisioni per la salute propria e dei propri cari. Nel corso che gli hanno affidato all’Università di Cambridge, dal titolo “Comprensione pubblica del rischio”, fa un ampio uso di visualizzazioni, e

Con i “palloni” dimensionati proporzionalmente all’incidenza di una malattia (in questo caso il numero di donne malate di tumore al seno ogni 100.000 abitanti) si comprende con uno sguardo quali sono i Paesi più colpiti

32 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2014

ha messo a punto nel suo sito internet un programmino, facilissimo da usare, in cui chiunque può visualizzare in un’infinità di modi diversi gli stessi dati di partenza – relativi appunto all’effetto dannoso di una colazione mattutina a base di pancetta fritta in termini di aumento di rischio di cancro del colon. Il suo scopo è incoraggiare tutti a non reagire d’impulso davanti a quello che appare come un pericolo, ma a osservare la situazione da ogni angolazione, perché può capitare che una reazione non ponderata esponga a un pericolo ancor maggiore di quello che si intende evitare.

2013


PREMI La Medaglia d’oro del Comune di Milano

L’Ambrogino premia la ricerca virtuosa Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC, ha ricevuto la civica benemerenza, nella tradizionale cerimonia milanese, per il contributo alla ricerca oncologica

charity che ha costituito un esempio virtuoso di sostegno alla ricerca, applicato poi anche in ambiti diversi dal cancro da diversi enti. Sono proprio le charities come AIRC a tenere in piedi il sistema di ricerca del Paese, a fronte di investimenti pubblici insufficienti per quantità e qualità. Entità dei finanziamenti, distribuzione mirata e meritocratica, basata su meccanismi internazionali di valutazione dei pari (peer review); ma anche visione sul futuro, intesa sia come enfasi sui giovani e sulla loro indipendenza, sia

“Ci vuole passione per dedicare la propria vita a un lavoro dietro al quale ci sono le speranze di migliaia di malati di tumore e delle loro famiglie”.

Q

liare nel progresso delle conoscenze al servizio dei pazienti. Da questo punto di vista, come me la dottoressa Colnaghi ha avuto e ha il privilegio non solo di assistere, ma anche di contribuire al realizzarsi di un sogno: usare le risposte immunitarie nella lotta contro il cancro. Un sogno coltivato dai padri della medicina moderna e dell’immunologia come Paul Ehrlich e che, dopo anni di sconfitte e vittorie, adesso è realtà. Non meno importante di questo contributo alla ricerca di Maria Ines Colnaghi è stato il suo ruolo di organizzatrice della ricerca oncologica, in qualità di direttore scientifico di AIRC. Una Ufficio Fotografi - Comune di Milano

a cura di ALBERTO MANTOVANI* uest’anno l’Ambrogino d’oro riconosce il valore di una scienziata milanese da sempre in prima linea nella lotta al cancro: è Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC dal 2000. Come ricercatrice, Maria Ines Colnaghi si è dedicata allo studio delle difese immunitarie e in particolare del loro ruolo contro il cancro, contribuendo allo sviluppo di questo settore e ponendo le basi per il trasferimento di tali studi al letto del paziente. Gli anticorpi monoclonali nel cancro dell’ovaio, per esempio, hanno costituito una pietra mi-

come sfide tecnologiche (per esempio l’impegno profuso anzitempo sulla genomica) e trasferimento della ricerca al letto del paziente: sono queste le caratteristiche che hanno fatto di AIRC un esempio d un vero e proprio ‘motore’ della ricerca al servizio dei pazienti. Sono certo che, nella migliore tradizione ambrosiana, l’attribuzione di questo riconoscimento a Maria Ines Colnaghi sarà vissuto non tanto come un premio per il passato, quanto come uno stimolo per continuare a lavorare. E a fare ancora meglio. *Direttore scientifico dell’Istituto Humanitas – L’articolo è uscito il 6/12/2013 ed è pubblicato per gentile concessione del Corriere della Sera.

GENNAIO 2014 | FONDAMENTALE | 33


EROGAZIONI Bandi 2013

In questo articolo: progetti di ricerca bandi borse per l’estero

La valigia per l’estero e il biglietto per tornare Più borse per studiare fuori dall’Italia, come è necessario oggi nella scienza, ma anche sempre più opportunità per i migliori di tornare a casa e aprire il proprio laboratorio. Questo il bilancio di un anno di erogazioni AIRC

a cura della REDAZIONE n bilancio decisamente in attivo, dal punto di vista scientifico, per AIRC e i suoi ricercatori nel corso del 2013. A fianco dei 14 grandi progetti quinquennali sostenuti con i fondi derivati dal 5 per mille, sono stati erogati fondi per progetti di ricerca che coinvolgono singoli laboratori diretti da ricercatori di fama consolidata (i cosiddetti Investigator grant), per i giovani che si avvicinano per la prima volta al mondo AIRC (i My First AIRC grant) e per giovani under 35 già autonomi e formati che meritano di mettere in piedi il loro primo laboratorio indipendente (gli Start-up grant). A tutto ciò si affiancano le borse di studio AIRC/FIRC per l’Italia e per l’estero e le borse cofinanziate dal programma Marie Curie dell’Unione Europea. Mentre scriviamo abbiamo avuto notizia che AIRC ha ottenuto di nuovo, per la seconda volta consecutiva, il cofinanziamento europeo. “È un grande successo per AIRC” spiega il direttore scientifico Maria Ines Colnaghi. “Si tratta infatti di un program-

U

Per fare buona ricerca è necessario offrire un ambiente stimolante

34 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2014

ma molto selettivo non solo per il giovane che riceve la borsa ma anche per chi li finanzia, come AIRC, e desidera accedere ai cofinanziamenti europei. Posso dire che il nostro sistema di valutazione meritocratico è stato di nuovo esaminato con attenzione dagli esperti europei: e ancora una volta abbiamo meritato la loro approvazione”.

Elevati standard qualitativi Il cofinanziamento delle borse, oltre a garantire che il 40 per cento di quanto erogato venga coperto dalla Commissione Europea (pari a 1 milione e 300.000 euro) fornisce un titolo in più a chi le ottiene per merito, poiché si sa che i ricercatori che sono passati attraverso le forche caudine di una selezione secondo i criteri del programma Marie Curie rispettano i più elevati standard qualitativi. Il nuovo programma di borse di mobilità si chiama iCARE (acronimo di “international CAncer REsearch fellowships” e termine che in inglese significa: “ci tengo”). La durata è di quattro anni e sono previsti due bandi, il

primo ad aprile del 2014 e il secondo l’anno successivo. “Si prevede l’erogazione di 28 borse in tutto, di durata biennale” spiega Colnaghi. “Ne esistono di tre tipi: quelle per italiani che desiderano fare un’esperienza di ricerca in un laboratorio all’estero; quelle per stranieri che desiderano lavorare in un laboratorio di ricerca in Italia; e infine quelle per italiani che, dopo un’esperienza di ricerca in un laboratorio all’estero, desiderano tornare riportando a casa il sapere acquisito”. Inoltre le borse AIRC/Marie Curie incoraggiano gli enti di ricerca che ospiteranno i borsisti a offrire standard retributivi e normativi.

I più giovani come i più esperti Per i giovani scienziati ci sono anche i My First AIRC grant: quest’anno ne sono stati erogati 13, un po’ meno che in passato, ma solo per ragioni qualitative. “Esiste un sistema di valutazione meritocratico che applichiamo ai ricercatori più ‘adulti’, basato sul raggiungimento di una posizione adeguata in graduatoria e sulla presenza di alcuni requisiti. Abbiamo deciso che anche per i più giovani dovessero valere gli stessi criteri, anche se i candidati concorrono soltanto tra persone under 40. Questo spiega perché finanziamo davvero solo i migliori”. I criteri di AIRC, che sono molto severi, sono in realtà uno strumento offerto ai giovani per imporre dei cambiamenti di mentalità nell’accademia italiana: “Chiediamo che anche i giovani abbiano delle pubblicazioni come primo o ultimo nome, le due posizioni più prestigiose che tradizionalmente sono occupate dai nomi dei capi laboratorio o dei docenti di riferimento, anche se la ricerca è stata condotta in autonomia

Le borse europee garantiscono condizioni ottimali


... l’articolo continua su: www.airc.it/erogazioni2013

dal giovane. In altri Paesi non è così, quindi spingiamo i giovani a chiedere che il loro nome abbia il risalto che merita, al fine di essere davvero concorrenziali con i colleghi all’estero” continua Colnaghi.

Tre nuovi laboratori Sono tre, invece, gli Start-up grant attribuiti nel 2013: un bel risultato, frutto anche di una crescita qualitativa dell’intero sistema della ricerca italiana, dato che l’anno prima solo un progetto era stato ritenuto degno di essere finanziato dalla commissione di esperti stranieri che valuta le richieste. “Se non c’è l’eccellenza, non finanziamo il progetto” spiega Colnaghi. Il primo vincitore, Luca Vago, lavora presso la Fondazione San Raffaele di Milano, al Dipartimento di ematologia e trapianto di midollo, e vuole studiare il problema delle ricadute dei malati di leucemia dopo il trapianto, analizzando il genoma delle cellule leucemiche e del sistema immunitario con tecnologie avanzate di sequenziamento genico. Federica Facciotti lavorerà invece all’Istituto europeo di oncologia, nel Laboratorio di immunobiologia delle cellule dendritiche e di immunotera-

pia. Studierà i messaggi che si scambiano diversi tipi di cellule del sistema immunitario coinvolti nella regolazione dell’infiammazione in tumori del colon-retto associati a malattie infiammatorie dell’intestino. Elisa Giovannetti tornerà invece dall’Olanda, dove è andata con una borsa AIRC/Marie Curie, per aprire il suo primo laboratorio presso l’Azienda ospedaliera universitaria pisana, all’interno del Laboratorio di ricerca sulle malattie del pancreas. Il suo obiettivo è di cercare nuovi approcci diagnostici e terapeutici per questo tumore ancora poco facilmente identificabile in fase precoce.

La barra sempre in alto Anche i finanziamenti ai ricercatori esperti hanno mantenuto la barra in alto, con uno standard molto selettivo. “I programmi legati al 5 per mille coinvolgono un numero elevato di laboratori che devono lavorare insieme sotto il controllo del capo progetto” spiega Colnaghi. “Ci sono però alcune ricerche importanti che possono essere condotte da un singolo laboratorio o centro. Ecco perché continuiamo a erogare un numero sufficiente di Investigator grant, il nostro finanziamento dedicato ai ricercatori consolidati”.

razie alla generosità dei loro interlocutori, soci, volontari, contribuenti, sostenitori e al supporto dei mezzi di comunicazione, nel 2013 AIRC e FIRC hanno deliberato la somma totale di 94.233.770 euro.

G

NELLO SPECIFICO I FINANZIAMENTI 2013 SONO STATI DESTINATI A: Programma di oncologia clinica molecolare 5 per mille Diagnosi precoce e analisi del rischio di sviluppare un tumore 5 per mille

21.526.329 euro 1.903.266 euro

Progetti di ricerca (di base, translazionale, clinica ed epidemiologica)

48.043.997 euro

Sostegno ai giovani (borse di studio*, MY First AIRC grant, Start-up)

9.637.912 euro

Ricerca intramurale (IFOM - Istituto FIRC di oncologia molecolare)

12.494.180 euro

Progetti regionali e speciali

520.000 euro

Enti, istituti, fondazioni nazionali e internazionali

108.086 euro

Totale

94.233.770 euro

* 3.835.900 euro sono destinati a borse di studio AIRC e FIRC ordinarie per l’Italia e per l’estero.


INIZIATIVE Le Arance della Salute

Il cibo giusto per ogni età Sabato 25 gennaio tornano Le Arance della Salute, per promuovere una corretta alimentazione e sostenere la ricerca sul cancro. Ventimila volontari e 330.000 reticelle di arance rosse vi aspettano! a cura della REDAZIONE enere d’occhio il girovita è importante. L’accumulo di grasso addominale è infatti un fattore di rischio, ma oggi sappiamo che il 30 per cento dei tumori potrebbe essere prevenuto con una sana alimentazione. Sabato 25 gennaio è un ottimo momento per cominciare a stare attenti alla salute: basta scendere in piazza. Con un contributo di 9 euro si possono portare a casa Le Arance

T

della Salute, ricche di vitamine e antiossidanti, e la pubblicazione Il cibo giusto per ogni età. Consigli per una sana alimentazione, realizzata con la consulenza di Anna Villarini, biologa nutrizionista dell’Istituto nazionale tumori di Milano. Ogni età, infatti, ha i propri bisogni e quindi anche ciò che mettiamo nel piatto dovrebbe variare col passare del tempo. Ma quali sono i cibi salutari e quali quelli da evitare? La prima regola è non cedere alla tentazione di

Gautier Deblonde

LONDON SYMPHONY ORCHESTRA ALLA SCALA PER AIRC Una grande orchestra di prestigio internazionale arriva in Italia, per sostenere la ricerca sul cancro: al Teatro alla Scala a Milano, il 7 aprile alle ore 21, la London Symphony Orchestra sarà protagonista del concerto straordinario in favore di AIRC, con il pianista solista Daniil Trifonov, diretti dal maestro Valerij Gergiev. Il programma della serata prevede Les offrandes oubliées di O. Messiaen, il Concerto per pianoforte e orchestra n°2 di F. Chopin, la Sinfonia n°2 di A. Scriabin. Per informazioni: Comitato Lombardia 02 7797223 giada.damico@airc.it

credere che esistano cibi miracolosi. La dieta, per essere sana, deve essere varia. Sfatato questo luogo comune, la scelta migliore è una dieta che sia ricca di cereali in chicco integrali (come il riso, l'orzo o il miglio) e di legumi. È essenziale che contenga un’ampia varietà di frutta e verdura di stagione (specie le crucifere, come cavoli in inverno e rucola in estate). Anche il pesce (specialmente quello azzurro) è un ottimo alimento che aiuta a mantenersi in salute. Nella guida ci sono anche alcune ricette preparate dallo chef Sergio Barzetti, in collaborazione con La Cucina Italiana, per mettere in pratica i consigli degli esperti. All’iniziativa Le Arance della Salute partecipa anche il mondo della scuola con “Cancro, io ti boccio”: insegnanti di ogni ordine e grado diffondono nelle classi le conoscenze sugli stili di vita salutari e il significato della ricerca scientifica, un bagaglio culturale da acquisire fin da piccoli. Per trovare Le Arance della Salute chiama il numero 840 001 001 (attivo dal 15 gennaio) o vai sul sito www.airc.it


LASCITI Chi ha scelto di sostenere FIRC

UN LASCITO PER LA RICERCA

La bambina, la campionessa: sempre a fianco di FIRC Margherita Granbassi racconta il proprio impegno per la ricerca oncologica, che l’ha portata a disporre un lascito a favore di FIRC. Una tradizione di famiglia… a cura di AGNESE GAZZERA impegno di Margherita Granbassi a fianco della ricerca oncologica ha inizio fin da bambina: insieme alla mamma scendeva in piazza, a maggio, a distribuire le Azalee della Ricerca. Oggi, con medaglie di mondiali e olimpiadi nel curriculum, un grande successo anche in TV, la campionessa di scherma nella specialità del fioretto ha scelto di farsi portavoce della campagna sui lasciti testamentari di FIRC, la Fondazione italiana per la ricerca sul cancro. “Ora che posso usare la mia notorietà per fare qualcosa di utile per le altre persone, sento ancora di più il desiderio di impegnarmi per delle buone cause; in questo caso, cerco di far capire alla gente, a volte poco sicura della destinazione delle proprie donazioni solidali, che invece devolvere denaro a FIRC è una certezza”, spiega Granbassi. Alla fiducia si aggiunge una sorta di tradizione di famiglia, come racconta la campionessa: “Da bambina andavo nelle piazze a distribuire le azalee con mia madre.

’ L

Scaricavamo i camion, stavamo in strada per ore, era un’emozione molto forte ascoltare le persone che raccontavano le storie della malattia che li aveva coinvolti. Condensavano quei pezzi di vita e di sofferenza in poche decine di secondi. Mi ricordo che io, piccola com’ero, non capivo a fondo, ma mi impegnavo al massimo per cercare per loro il fiore più bello.” Può sembrare strano che una giovane presti il proprio volto alla campagna sui lasciti testamentari e colpisce l’impegno profuso per la ricerca sul cancro. Ma la schermitrice sa quanto è importante affrontare questo tema fin da giovani e impegnarsi per sostenere la ricerca oncologica: “È una questione delicata, difficile da affrontare, ma è facile capire che destinare un lascito è un’azione positiva. Non deve fare paura. Poi, bisogna anche pensare che il cancro è particolarmente pericoloso soprattutto per i giovani, perché quando colpisce loro è più veloce nel suo progredire. Io credo che neppure a 30 anni si debba aver paura di pronunciare la parola ‘testamento’”.

cegliere di fare testamento in favore della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, lasciandole anche solo una parte dei propri beni, significa dare un sostegno concreto e significativo alla ricerca oncologica in Italia. Pur riconoscendo i diritti dei propri eredi si può sempre lasciare una parte del patrimonio a favore della ricerca sul cancro. Per questo FIRC offre gratuitamente la Guida al testamento, uno strumento utile per sapere come si effettua un lascito testamentario: chi sono gli eredi e come vengono stabiliti; quali sono le quote di riserva a favore dei figli e del coniuge e tante altre informazioni pratiche. Il testamento può essere: olografo: basta scrivere su un foglio cosa si vuole destinare (per esempio una somma di denaro) e a chi, datarlo e firmarlo. Il testamento potrà essere poi affidato a una persona di fiducia o a un notaio; pubblico: viene ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni e poi custodito dal notaio stesso.

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Con la Guida al testamento, aggiornata secondo le leggi vigenti, effettuare un lascito testamentario è diventato un gesto semplice, per tutti: richiedila gratuitamente contattando tel. 02 79 47 07 www.fondazionefirc.it

GENNAIO 2014 | FONDAMENTALE | 37


IL MICROSCOPIO

Maria Ines Colnaghi direttore scientifico AIRC

Primo esame passato con lode

I ATTENTI ALLE TRUFFE AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, cioè non ha incaricati che vanno di casa in casa a raccogliere contributi. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando la polizia (113) o i carabinieri (112).

10 programmi di ricerca finanziati con i proventi del 5 per mille e selezionati con un bando nel 2010 hanno superato brillantemente il primo grande test: la site visit, ovvero il controllo minuzioso da parte di un gruppo di esperti stranieri, al termine del terzo anno di attività. Obiettivo: valutare se tutto procede come prestabilito e, soprattutto, se la ricerca sta dando i suoi frutti e merita quindi di essere rifinanziata per i due anni successivi. Questi programmi di ricerca vedono lavorare insieme per cinque anni ricercatori in laboratorio e medici al letto del paziente, con l’obiettivo di trovare nuovi approcci di cura. Ogni programma ha al suo interno da sei a 20 unità operative composte da medici e ricercatori di tutta Italia. I programmi sono già monitorati nel tempo da due o tre esperti internazionali scelti fin dall'inizio dal coordinatore di ogni gruppo. Il loro compito è quello di “consulenti esterni” per seguire l’andamento delle ricerche, suggerire eventuali modifiche e aiutare a prendere le migliori decisioni. Inoltre, come era previsto dal bando, entro la fine del terzo anno ogni pro-

gramma ha ricevuto la visita in loco da parte di un gruppo di scienziati stranieri (da due a quattro per programma) scelti e inviati da AIRC. Gli scienziati, esperti del tipo di tumore di cui si occupa ciascun programma, hanno valutato “con la lente di ingrandimento” tutti i gruppi di ricerca finanziati. E qui abbiamo la prima ottima notizia da dare ai lettori di Fondamentale: non solo tutti i programmi sotto la lente hanno passato l’esame, ma i revisori hanno caldamente raccomandato la prosecuzione del finanziamento per gli ultimi due anni perché hanno la ragionevole certezza che l’obiettivo previsto dal bando, cioè di portare i risultati al letto del paziente, sarà raggiunto. Ma non ci fermiamo qui. Vi farà piacere sapere che nella maggior parte dei casi i revisori hanno espresso un grandissimo entusiasmo, e perfino stupore, per l’altissima qualità scientifica dei programmi che hanno valutato, per la coesione dei gruppi e per la capacità di leadership dei coordinatori. La loro sorpresa ci riempie di orgoglio per le capacità dei ricercatori finanziati da AIRC e per il nostro Paese, che per una volta esporta un’ottima immagine all’estero.


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