Fondamentale dicembre 2015

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Numero 5 - dicembre 2015 - Anno XLIII - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped.

in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

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DAL PRESENTE AL FUTURO

Negli ultimi 10 anni si raccolgono i frutti della rivoluzione genomica

AUTOIMMUNITÀ

MATERNITÀ E CANCRO

Avere un figlio non è più impossibile per chi ha affrontato un tumore e le cure

Gli stretti legami tra rischio di cancro e malattie autoimmuni

In questo numero

1965 - 2015

1985 - 1994

I Giorni della Ricerca

1995 - 2004

Il nuovo millennio

2005 - 2015

La medicina personalizzata

...e da domani

I filoni più promettenti

Da 50 anni con coraggio, 2005 / 2014 I traguardiilraggiunti contro cancro


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SOMMARIO

FONDAMENTALE dicembre 2015

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In questo numero: ANNI DI AIRC 04 502005-2015 DI AIRC 09 50... eANNI da domani 11 RUBRICHE Progressi della ricerca AIRC SCIENZIATI 12 GRANDI Il capo dei sette samurai 14 RICERCA Riuniti a Roma gli esperti di benessere animale nella ricerca

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NOBEL 16 PREMIO Gli operai del DNA che evitano il caos chimico DI AIRC 18 VITA Da 15 anni alla guida di una charity in crescita DI AIRC 20 VITA Un nuovo direttore nel solco della continuità FUTURE OF SCIENCE 24 22 THE Dal DNA all’epigenoma, la via della personalizzazione 24 IFOM Un nuovo gene nel cancro al seno familiare CLINICA 26 RICERCA Quando i sistemi di difesa diventano strumenti d’attacco

29 INIZIATIVE Torna in scena il design italiano 30 INIZIATIVE I buoni frutti delle partnership FONDAMENTALE Anno XLIII - Numero 5 Dicembre 2015 - AIRC Editore

DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa N.I.I.A.G. SpA Bergamo DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

L’ultimo decennio ha visto l’applicazione delle scoperte dell’oncologia molecolare

In IFOM si studiano nuovi geni legati al cancro al seno

CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Giulia Cauda, Cristina Zorzoli

Il Nobel per la scoperta dei meccanismi di riparazione del DNA tocca da vicino il mondo della ricerca oncologica

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Autoimmunità e cancro, un legame sempre più stretto

FOTOGRAFIE Claudio Bonoldi (copertina), Giulio Lapone (servizio a p. 5), Simone Comi, Contrasto, Istockphoto, Annachiara Lodi, Armando Rotoletti

REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Fabio Turone, Cristina Zorzoli

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.


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EDITORIALE

TANTI MODI PER AIUTARE LA RICERCA. • con conto corrente postale n. 307272; • con carta di credito, telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito www.airc.it; • con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, www.fondazionefirc.it oppure tel. 02 794 707; • in banca: UBI - Banca Popolare di Bergamo S.p.A. IBAN: IT23 Q054 2801 602 00000000 9390 Banco Popolare IBAN: IT18 N050 3401 633 00000000 5226 Intesa Sanpaolo IBAN IT14 H030 6909 4001 00000103 528; Banca Monte dei Paschi di Siena IBAN IT87 E 01030 01656 00000 1030151; Unicredit PB S.p.A. IBAN IT96 P020 0809 4230 0000 4349176; • con un ordine di addebito automatico in banca o su carta di credito (informazioni al numero verde 800 350 350)

AIRC ha ricevuto dall’Istituto italiano della donazione il marchio di eccellenza per le organizzazioni non profit che forniscono elementi di garanzia sull’assoluta trasparenza ed efficacia nella gestione dei fondi raccolti.

Pier Giuseppe Torrani Presidente AIRC

Il viaggio della ricerca continua

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ono mesi di cambiamenti per AIRC. Dopo 15 anni Maria Ines Colnaghi lascia la direzione scientifica. Le dobbiamo molto: ha saputo guidare l’Associazione durante un periodo di crescita esponenziale delle donazioni, ma soprattutto dei progetti finanziati, che ha richiesto la messa a punto di un sistema di valutazione delle ricerche sempre più trasparente e meritocratico. La salutiamo con la convinzione che il suo legame con la missione di AIRC non si allenterà mai. Federico Caligaris Cappio, oncoematologo, per molti anni sostenuto anche da AIRC nella sua eccezionale attività di ricerca, è il nuovo direttore scientifico. I suoi compiti sono molteplici e variegati: in primo piano assicurare una valutazione esclusivamente meritocratica delle richieste di finanziamento per progetti di ricerca e per borse di studio e sviluppare rapporti internazionali (come si può leggere a p. 20). Non meno importante il compito di disegnare il futuro delle ricerca oncologica avvalendosi di un apposito strumento, l’Advisory board rinnovato nei componenti e nelle funzioni, il cui chairman è Pier Paolo Di Fiore, oncologo molecolare (ne parlerà in dettaglio il prossimo numero di Fondamentale). Ad ambedue auguriamo il massimo successo al servizio dei pazienti. Quest’anno il premio Nobel per la chimica è stato attribuito agli scopritori dei sistemi di riparazione del DNA, uno dei meccanismi principali coinvolti sia nella formazione dei tumori sia nelle difese che il nostro organismo mette in atto. Il premio ribadisce l’importanza delle ricerche di base: oggi esistono farmaci efficaci contro il cancro che agiscono su questi sistemi. Uno dei premiati, lo svedese Lindahl è anche presidente del comitato scientifico di IFOM, pertanto molto vicino alle attività di AIRC e FIRC-AIRC. La ricerca, quindi, va sostenuta in tutte le sue forme, da quella più speculativa a quella applicativa, perché senza la prima non esisterebbe nemmeno la seconda. Un buon modo per dare continuità a questo sostegno è il programma di donazione ricorrente “In Viaggio con la ricerca”, che assicura ai più promettenti ricercatori italiani un fondamentale percorso di formazione, in Italia e all’estero. Vi chiediamo di aderire a “In Viaggio con la Ricerca” per sostenere con continuità i migliori ricercatori italiani e avere impatti concreti sulla cura del cancro.

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50 anni di AIRC

La medicina personalizzata

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Siamo arrivati al quinto decennio di vita di AIRC. A fianco di grandi successi nella cura, la scienza scopre che il cancro non è una sola malattia, ma una galassia che richiede interventi mirati. lanostrastoria.airc.it I 5 TUMORI PIÙ FREQUENTI TRA I MASCHI NEL 2014 TRA 0 E 49 ANNI TIROIDE

LINFOMA NON HODGKIN CUTE

TESTICOLO

COLON-RETTO

TRA 50 E 69 ANNI VIE AERODIGESTIVE SUPERIORI PROSTATA

POLMONE VESCICA COLON-RETTO

OLTRE I 70 ANNI POLMONE STOMACO PROSTATA

IL PRIMO 5 PER MILLE ________________ Dal 2006 centinaia di migliaia di persone danno il proprio sostegno con il 5 per mille, per questo AIRC istituisce due programmi speciali con lo scopo di arrivare al letto del paziente

VESCICA COLON-RETTO

KATIA SCOTLANDI ________________

MARSHALL ________________ E WARREN

VALENTINA ________________

La ricercatrice AIRC ha dato un grande contributo alle terapie per salvare i giovani pazienti dall’amputazione degli arti, nei tumori ossei

Nel 2005 vincono il Nobel per aver scoperto che il batterio Helicobacter pylori può provocare l’ulcera e il cancro dello stomaco

Grazie alla ricerca di Lucia del Mastro ha potuto portare avanti la gravidanza mentre faceva chemioterapia, per un tumore al seno


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50 anni di AIRC L’ultimo decennio

È tempo di raccogliere i primi successi della genomica ________________

L’ultimo decennio ha visto arrivare al letto del malato le prime applicazioni pratiche della rivoluzione genomica. Alberto Bardelli è protagonista di una storia esemplare: dalla ricerca del gene responsabile della malattia alla messa a punto della biopsia liquida per monitorare l’efficacia delle cure

a cura di FABIO TURONE è, alle porte di Torino, un laboratorio all’avanguardia, gestito con un metodo che si ispira a quello ideato all’inizio del Novecento da Sir Robert Baden-Powell: “Alle volte mi dicono che dirigo il mio laboratorio come un capo-scout” racconta divertito Alberto Bardelli, che all’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo è a capo del laboratorio di genomica molecolare. “In effetti sono stato negli scout dagli otto ai 21 anni, e sono convinto che per fare ricerca occorra creare un gruppo di persone di valore scientifico che abbiano anche la capacità di legare sul piano umano gli uni con gli altri, pur sapendo bene che la scienza è un ambito molto competitivo”. Bardelli è un esempio concreto, attraverso la sua storia professionale e scientifica, dei recenti sviluppi dell’oncologia.

C’

Il nuovo millenio negli USA Piemontese aperto al mondo, Bardelli ha vissuto parecchi anni tra Inghilterra e Stati Uniti, ma è rimasto attaccatissimo alla sua terra: “La mia famiglia è originaria di Guarene D’Alba; io sono nato nel 1967 e sono cresciuto nella Torino industriale degli anni settanta e ottanta, in cui si diceva che si parlavano due lingue, il torinese e il calabrese”. Dopo le superiori la scelta cade sulla facoltà di biologia e durante gli anni dell’università approfitta del progetto Erasmus, partito da poco, per un periodo di soggiorno e studio al Ludwig Institute for Cancer Research di Londra. Nella capitale inglese è poi tornato dopo la laurea, conseguita con lode e menzione d’onore nel 1991, per ottenere anche il dottorato in biochimica e biologia molecolare all'University College, nel 1996.

CON PIGLIO DA SCOUT ________________ Alberto Bardelli, direttore del laboratorio di genomica molecolare dell’IRCCS di Candiolo

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50 anni di AIRC

ITALIANI D’AMERICA ________________ La famiglia Bardelli al completo: la moglie Daria, che negli Stati Uniti si è reinventata professionalmente, il figlio Francesco, nato a Baltimora, Alberto e la primogenita Maddalena

La decisione che cambierà la sua vita e la sua carriera viene presa in un momento a dir poco complicato, quando si prospetta la possibilità di entrare nel laboratorio di uno tra i ricercatori più apprezzati e citati al mondo, il pioniere americano dello studio della genetica del cancro Bert Vogelstein: “Era il 1999. Mia moglie Daria, conosciuta agli scout e da poco sposata a Guarene, stava iniziando la carriera di avvocato, la

primogenita Maddalena era nata da cinque mesi, e avevamo pochissimi soldi, ma decidemmo di partire per Baltimora, dicendoci che saremmo restati un paio d’anni”. L’incontro con Vogelstein è però di quelli che lasciano il segno: “Anche se avevo ricevuto una borsa di studio della Howard Hughes e avevamo limitato all’osso le spese per la casa e per l’auto – avevo comperato una macchina che gli americani chiamano un ‘lemon’, piena di magagne –

mi ritrovai presto in difficoltà. Bussai alla porta di Vogelstein e lui, appena capì la situazione, prese il libretto degli assegni e mi chiese di che somma avevo bisogno. Quell’assegno l’ho restituito tre anni dopo – anche grazie alla capacità di mia moglie di reinventarsi in un lavoro, responsabile del personale, che poi ha continuato a fare in Italia – e nel frattempo ho conosciuto un personaggio straordinario, che ama lanciare coraggiosamente sassi nello stagno,


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50 anni di AIRC per promuovere il dibattito scientifico e andare oltre gli attuali limiti della conoscenza”. È alla Johns Hopkins University di Baltimora con Vogelstein, negli anni in cui si completa la mappatura dell’intero genoma umano, che Bardelli aggiunge alla visione basata su biochimica e biologia molecolare la chiave della genetica, pubblicando sulla rivista Science un articolo sulla genomica dei tumori che dal 2004 a oggi è stato citato in oltre 1.800 articoli scientifici successivi. Ed è lì che decide di concentrarsi sul tumore del colon-retto: assai frequente, spesso diagnosticato quando ha già prodotto metastasi, e con uno sviluppo e una progressione di cui si conoscono tutti gli stadi.

Dal laboratorio al malato La permanenza in uno dei templi della ricerca oncologica si è già prolungata molto più del previsto, anche per la nascita del secondogenito Francesco, quando nel 2004 la famiglia decide di tornare a Torino, dove Bardelli ha ottenuto il posto di professore associato di istologia presso la Facoltà di medicina, e la direzione del programma di ricerca sulla genomica dei tumori e terapie anticancro mirate creato dall'Istituto di Candiolo e associato all'IFOM di Milano.

IL CONFESSIONALE ________________ Per assicurare una buona collaborazione all’interno del gruppo di ricerca, Bardelli ha incontri regolari faccia a faccia con ciascuno dei suoi collaboratori, che hanno ribattezzato questo momento “the confessional”

È qui in Italia che aggiunge al proprio armamentario di ricercatore anticancro il punto di vista del clinico, e del malato: “È iniziata in quel momento la preziosa collaborazione con Salvatore Siena, oncologo dell’Ospedale Niguarda di Milano: aveva scritto a Vogelstein, che lo aveva indirizzato a me, suggerendo di unire le forze per mettere l’approccio tecnologico e la ricerca in laboratorio al servizio del quesito clinico, poiché Siena era interessato a capire come mai solo alcuni pazienti rispondevano alla terapia”. L’approccio multidisciplinare, oggi molto apprezzato e condiviso, fino a pochi anni fa appariva inconsueto: “La scelta di affiancare la ricerca traslazionale a quella di base andava un po’ controcorrente, ma grazie ai macchinari all’avanguardia messi a disposizione a Candiolo dalla generosità dei piemontesi, tramite la Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro siamo riusciti a trasferire in clinica, nella corsia d’ospedale, le conoscenze acquisite sul ruolo di geni come KRAS, BRAF e NRAS nel determinare la risposta ai farmaci” ricorda Bardelli. Queste ricerche sono finanziate anche da AIRC, attraverso un Programma speciale 5 per mille, coordinato da Paolo Comoglio.

La lotta alla resistenza

SI IMPARA ANCHE DAI PIÙ SFORTUNATI ________________ “Racconto molto spesso la storia della giovane paziente americana colpita da ben 12 lesioni al fegato, grazie alla quale abbiamo potuto capire a fondo la correlazione tra quello che il suo tumore mostrava nelle TC e alla biopsia e quello che potevamo osservare nel sangue, con la cosiddetta biopsia liquida. Lo racconto spesso, ma ogni volta mi commuovo al ricordo” rievoca Bardelli. “Aveva meno di 30 anni, ed era in cura negli Stati Uniti, al Massachusetts General Hospital. I colleghi americani ci contattarono per chiedere se potevamo aiutarli a capire come mai non rispondesse alla terapia. La metà delle lesioni era regredita, ma l’altra metà era cresciuta, ciascuna con un andamento indipendente: era come se fossero 12 pazienti diversi. Studiando il suo caso insieme con i medici e i radiologi abbiamo potuto mettere in relazione l’andamento della malattia con quello che trovavamo nel sangue”. È per una forma di pudicizia e rispetto che Bardelli tiene per sé il nome di questa ragazza americana che ha coraggiosamente, e generosamente, accettato di fare un’ultima biopsia solo per aiutare i ricercatori: “In un certo senso ha donato il corpo alla scienza. Purtroppo non è bastato per salvarla, ma ci ha dato un’inestimabile ricchezza: l’opportunità di accumulare nuove conoscenze sul cancro, a beneficio di tutti i malati”.

A Candiolo il gruppo è ora composto da 12 ricercatori di varie nazionalità, a cui Bardelli dedica almeno due volte al mese un’ora per una chiacchierata faccia a faccia: “Lo hanno scherzosamente battezzato ‘the confessional’, il confessionale, perché io insisto che per lavorare bene dobbiamo per forza essere una comunità in cui tutti sanno su cosa lavorano gli altri e come procede la loro ricer-

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EVOLUZIONE ANTICANCRO ________________ La biopsia liquida permette di studiare nel tempo l’evoluzione del tumore per conoscerne i punti deboli e imparare a colpirlo con più efficacia

LA CONQUISTA SCIENTIFICA ________________ Quando la terapia mirata del tumore del colon metastatico smette di funzionare, può bastare un’interruzione perché recuperi l’efficacia perduta: è questa l’ultima importante scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Medicine nel giugno scorso, ottenuta con la “biopsia liquida” messa a punto dal gruppo di Bardelli, in collaborazione con quello di Salvatore Siena dell’Ospedale Niguarda di Milano. A differenza della biopsia vera e propria, che preleva con un ago un campione di tessuto, questa comporta un semplice prelievo di sangue, che viene poi sottoposto a sofisticati esami per rilevare il DNA che le cellule tumorali rilasciano in circolo, messi a punto con l’aiuto determinante della bioinformatica. Questo test è molto meno invasivo della biopsia classica, per cui può essere ripetuto con frequenza: “Spesso quando le lesioni sono numerose capita che rispondano ciascuna a modo proprio al farmaco, alcune regredendo e altre continuando a crescere” spiega Bardelli. “La ricerca mostra che l'evoluzione dei cloni cellulari resistenti non procede in maniera lineare e irreversibile, ma è dinamica e risente dell'esposizione

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ai farmaci. Questi esercitano una pressione selettiva che favorisce alcune cellule a svantaggio di altre. In particolare, i livelli di mutazione del gene KRAS, che rendono inefficaci le cure, oscillano in relazione alla presenza o meno dei medicinali cetuximab e panitumumab". Obiettivo delle ricerche è riuscire a seguire ciascun paziente nel tempo per individuare precocemente il momento in cui il tumore è più vulnerabile alle terapie: “Il cancro è in continua evoluzione, per sconfiggerlo occorre essere pronti a mettere a punto rapidamente contromosse sempre nuove” spiega Bardelli. “Ormai conosciamo i principali oncogeni e abbiamo farmaci che colpiscono la aggior parte di questi. Ma per vincere il cancro è l’evoluzione che dobbiamo sopraffare, controllando o eliminando l’evoluzione potremo superare la resistenza e avere risultati duraturi. Anche per questo è importantissimo poter studiare i tessuti malati dei pazienti che vorranno farne dono alla scienza, dopo la morte. Se il progetto che abbiamo in cantiere sarà approvato dal comitato etico dell’Ospedale di Niguarda, come speriamo, potremo capire sempre meglio che cosa non ha funzionato nelle terapie, e mettere a punto le contromisure più efficaci, un po’ come fa incessantemente il nostro sistema immunitario”.

ca” racconta. L’obiettivo del lavoro di questi anni è quello di contrastare la capacità del tumore di escogitare sempre nuove forme di resistenza, per cui i farmaci non funzionano su tutti i pazienti e anche in quelli in cui funzionano spesso i benefici svaniscono dopo 612 mesi. Il pensiero lo accompagna anche quando alle cinque e mezzo del mattino del sabato esce di casa con l’amico che chiama scherzosamente “il mio fidanzato alpinista”, conosciuto durante il servizio civile trascorso come obiettore di coscienza insieme ai bambini Down (“È stato l’anno più bello della mia vita”), per andare sulle sue Alpi. D’inverno a fare sci-alpinismo, nelle stagioni calde a pescare nei torrenti di montagna, seguendo i sentieri percorsi dalle bande partigiane di cui ama ricostruire le storie (“Beppe Fenoglio è il mio scrittore preferito”). E il pensiero lo accompagna quando s’interroga su cosa fare della vigna della cascina di famiglia di Guarene, che ha rilevato dai fratelli del papà perché restasse in famiglia: “Durante la guerra il nonno Felice l’aveva convertita a frutteto, per sfamare i sei figli, e da allora è rimasta incolta, quello che chiamiamo gerbido: io vorrei provare a produrre nuovamente vino. Non ho ancora deciso se Dolcetto, Nebbiolo o Arneis, ma di certo sarà un vino tradizionale piemontese”.


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... e da domani

50 anni di AIRC I filoni promettenti

Uno sguardo al futuro della ricerca oncologica ________________

Individuare quali sono i filoni di ricerca più promettenti non è affatto facile. Nel guardare al futuro, abbiamo privilegiato quei settori che stanno già dando frutti concreti e di cui si ipotizza, nei prossimi anni, un ulteriore sviluppo

a cura di FABIO TURONE n un articolo recente, la rivista del Memorial Sloan Kettering di New York, uno dei maggiori centri di ricerca e cura in oncologia, riassume i cinque motivi per cui dobbiamo aver fiducia nel futuro della ricerca sul cancro: la medicina di precisione, che permetterà di curare in modo più mirato sempre più persone; i recenti progressi nell’immunologia dei tumori; l’arrivo delle cure cellulari, che utilizzano le proprietà della staminali; la disponibilità dei primi farmaci epigenetici e infine il fatto che conosciamo i meccanismi fondamentali che portano alla

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EPIGENETICA ________________

formazione dei tumori. In sostanza abbiamo imboccato la direzione giusta anche se molto lavoro resta ancora da fare. Immaginare quale area della ricerca oncologica offrirà le risposte più interessanti non è facile. Esiste un intero settore della scienza, gli “studi sul futuro”, che cerca di stabilire quali elementi possono aiutarci a predire la validità di una tecnica o di un’ipotesi, ma nessun modello, al momento, si è rivelato in grado di segnalare i migliori. Quelli che seguono sono, secondo gli esperti di AIRC, i settori della ricerca oncologica dai quali ci aspettiamo novità per i pazienti negli anni a venire.

MARSHALL ________________ E WARREN

Nel 2005 vincono il Nobel per aver scoche ilpromettente batterio Helicobacter pylori Con la rivoluzione epigenetica si è apertoperto un nuovo può provocare l’ulcera e il cancro dello settore di ricerca che coinvolge contemporaneamente stomaco. stili di vita e DNA

FARMACI MOLECOLARI ________________ Dalla chemio ai farmaci molecolari, le cure si progettano a tavolino

VECCHI FARMACI, NUOVI BERSAGLI ________________ Alcuni farmaci già noti rinascono a nuova vita grazie alla scoperta della loro attività antitumorale

GENETICA PERSONALIZZATA ________________ La lettura del DNA fornirà informazioni rilevanti per il singolo individuo G I


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MADRE DOPO IL CANCRO ________________ Federica è una ragazza felice del suo compagno e del suo lavoro in un'agenzia pubblicitaria a Milano, quando, guardando lo specchio, nota un piccolo segno sul seno sinistro. Una visita senologica rivela la presenza di un tumore. Grazie al sostegno del compagno e della famiglia, Federica affronta la cura con grinta: prima l'operazione e la radioterapia, poi quattro cicli di chemio. Le cure dei successivi cinque anni prevedono farmaci che bloccano il ciclo, ma dopo tre anni e mezzo i medici le danno il via libera per sospendere i farmaci il tempo necessario per avere un figlio. Arriva così Maria Vittoria e, sei mesi dopo la nascita della bimba, è la volta del maschietto, Tommaso.

LA MORTALITÀ PER CANCRO CONTINUA A DIMINUIRE OGNI ANNO BIOLOGIA DEI SISTEMI ________________ Oggi la cellula viene studiata con gli strumenti della fisica, della matematica e dell’informatica

STAMINALI ________________ TUMORALI

AIRC NELLE SCUOLE ________________

NANOTECNOLOGIE ________________

Le cellule staminali tumorali rappresentano un bersaglio per i farmaci futuri

Con l’obiettivo di avvicinare i giovani alla ricerca sul cancro, il progetto è rivolto alle scuole di ogni ordine e grado

Lo sviluppo di materiali “nano” ha aperto importanti prospettive in oncologia


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Progressi

NOTIZIE FLASH

Il farmaco antiBRAF La leucemia a cellule capellute è una forma di leucemia cronica che determina una marcata riduzione delle normali cellule del sangue – globuli bianchi, globuli rossi e piastrine – che può causare nel paziente infezioni molto gravi. I farmaci impiegati fino a oggi spesso non risultavano efficaci: nella metà circa dei casi, dopo un periodo variabile dai due ai 10 anni, si verificava una ripresa della malattia. La nuova speranza si chiama vemurafenib, un farmaco mirato che colpisce selettivamente la lesione genetica che causa la leucemia a cellule capellute e cioè la mutazione di un gene denominato BRAF. I risultati ottenuti con questo inibitore del gene BRAF mutato, che a differenza dei chemioterapici può essere assunto per via orale, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Lo studio, coordinato da Brunangelo Falini, direttore della Struttura complessa di ematologia e trapianto di midollo osseo dell'Ospedale di Perugia, e coadiuvato da Enrico Tiacci, è stato condotto parallelamente in Italia e negli USA; il gruppo italiano è finanziato nell'ambito del programma AIRC 5 per mille.

Contro i tumori aggressivi Il gruppo di Andrea Mattevi dell'Università di Pavia, in collaborazione con Antonello Mai dell'Università La Sapienza di Roma e Daniel K. Nomura dell’Università della California, Berkeley, ha scoperto che bloccando chimicamente l'attività di un enzima chiamato ADPS è possibile arrestare la produzione di fosfolipidi eteri, un tipo di lipidi presente sulla membrana cellulare in diversi tipi di tumore, tra cui il melanoma e il tumore al seno. Sono state individuate delle molecole che bloccano in modo specifico l'enzima ADPS e ne causano la drastica diminuzione. La minore disponibilità di questi messaggeri e mattoni della membrana cellulare causa l'arresto della crescita del tumore e una diminuzione della capacità delle cellule tumorali di formare metastasi. Questo studio, pubblicato sulla rivista ACS Chemical Biology, apre le porte per lo sviluppo di nuove molecole per un target finora inesplorato, che potrebbero essere utilizzate in futuro per terapie contro tumori aggressivi e metastatici.

della ricerca AIRC

Una molecola promettente NSC12, una molecola somministrata per bocca, è in grado di inibire la crescita di diversi tipi di cancro in animali di laboratorio in cui siano stati impiantati tumori umani (una tecnica conosciuta come xenotrapianto). La scoperta viene da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di medicina molecolare e traslazionale dell'Università degli Studi di Brescia, diretto da Marco Presta ed è stata pubblicata su Cancer Cell. La ricerca è partita dall'osservazione che lo sviluppo e la progressione di diversi tipi di tumore, come quelli alla prostata e al polmone, possono essere controllati da una famiglia di fattori di crescita denominati FGF, su cui agisce la molecola studiata. La loro presenza stimola infatti la proliferazione delle cellule tumorali di queste neoplasie e favorisce lo sviluppo di vasi sanguigni, accelerando la crescita tumorale e la diffusione di metastasi. La nuova scoperta deriva da uno studio iniziato diversi anni fa nell'ambito di progetti di ricerca sostenuti da AIRC.

... altre ricerche su: airc.it/ricerche-airc


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GRANDI SCIENZIATI Gianni Bonadonna

In questo articolo:

chemioterapia adiuvante Gianni Bonadonna ricerca

Il capo dei sette samurai Con questo nome l’oncologo recentemente scomparso chiamava il suo gruppo di ricercatori. Al loro lavoro si deve una delle più grandi scoperte dell’oncologia moderna

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a cura della REDAZIONE ppena è giunta la notizia della scomparsa dell’oncologo italiano Gianni Bonadonna, l’American Society for Clinical Oncology (ASCO) ha emesso un comunicato niente affatto scontato per onorarne la memoria. In esso Daniel F. Hayes, presidente di ASCO nel 2007, anno in cui la preIANNI stigiosa soONADONNA cietà scienPIONIERE tifica ha inDEGLI STUDI titolato a Bonadonna SULLA un premio CHEMIO (caso unico per uno scienziato ancora in vita), ha scritto: “Nel mondo, migliaia di donne con tumore al seno devono la loro esi-

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stenza alla dimostrazione dell’efficacia della terapia adiuvante, e noi tutti siamo in debito con lui per il suo coraggio e la sua intelligenza”. Julie M. Vose, altro presidente ASCO, a proposito del contributo di Bonadonna alla ricerca sui linfomi si è espressa così: “Le sue scoperte pioneristiche nei primi giorni della chemioterapia hanno portato alla formulazione di combinazioni in molti casi usate ancora oggi”. QUANDO IL CANCRO È CONDANNA I suoi studi sulla terapia adiuvante e sul linfoma sono solo quelli più noti, il punto di approdo di anni nei quali l’oncologo aveva innanzitutto dimostrato, andando contro la mentalità imperante in Italia, ancora assai poco rigorosa, la centralità del metodo scientifico e poi l’efficacia di alcune terapie farmacologiche del

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tutto innovative, ancora oggi in uso. Gianni Bonadonna si era laureato nel 1964, a Milano, ed era subito approdato all’Istituto nazionale tumori. Sono anni, quelli, in cui la malattia è, salvo eccezioni che spesso hanno del miracoloso, una condanna senza possibilità di appello. I malati vengono operati e poi, talvolta, sottoposti alle prime radioterapie e a qualche farmaco, tanto tossico quanto poco utile. Nelle grandi corsie dell’Istituto, la morte è compagna quotidiana. L’arretratezza della situazione italiana spinge il medico italiano ad andare nel tempio dell’oncologia mondiale, lo Sloan Kettering Cancer Center di New York, diretto allora da David Karnovsky. È lì che, durante una visita, lo trova il direttore dell’Istituto, Pietro Bucalossi. Convincerlo a tornare non è difficile, anche perché l’Istituto, nel 1960, ha stipulato un accordo con Farmitalia, l’azienda del gruppo Montedison che ha sede alle porte di Milano, per “studiare su base strettamente scientifica i farmaci ad azione antitumorale”.

rà i sette samurai (Silvio Monfardini, Mario De Lena, Emilio Bajetta, Gabriele Tancini, Gianni Beretta e Pinuccia Valagussa, ai quali si aggiunse Franca Fossati Bellani). Medici e ricercatori di formazione, carattere e provenienza diversa, ma che insieme formeranno un team formidabile. Obiettivo: porre la parola fine al metodo artigianale, ai casi sporadici, alle esperienze soggettive e introdurre il metodo scientifico, che consentirà di convalidare i risultati ottenuti con una molecola appena sintetizzata dalla casa farmaceutica italiana, ricavata da un batterio e straordinariamente efficace: l’adriamicina. Dopo una serie convincente di risultati negli animali, il gruppo tratta il primo malato, un ragazzo con un sarcoma delle parti molli in stadio avanzato e subito deve fare i conti con un effetto inatteso: l’elevata tossicità. Ma oltre agli effetti negativi, ci sono quelli positivi, cioè una risposta mai vista prima. In breve i malati trattati sono una cinquantina (40 adulti e 13 bambini con diversi tipi di tumori solidi ed ematologici). Finalmente si possono pubblicare i dati, sul British Medical Journal. Il mondo scientifico, osserva, in parte convinto e in parte no.

I fondi per la ricerca venivano dagli USA

I SETTE SAMURAI C’è bisogno di avviare un reparto ad hoc per studiarne gli effetti nei pazienti, conducendo al tempo stesso in laboratorio tutti i test del caso. Bonadonna ci crede e torna, iniziando a reclutare quelli che lui stesso chiame-

LE COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI Per andare avanti, Bonadonna capisce che deve cer-


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care collaborazioni all’estero: parte per gli Stati Uniti, lì trova orecchie attente all’MD Cancer Center di Houston, dove, nel frattempo, si stanno studiando altre chemioterapie innovative sulle leucemie. Dal confronto con i colleghi ricava un’idea all’epoca quasi sovversiva: la chemioterapia, soprattutto se composta da più farmaci in associazione, può curare, e non solo limitare, i danni del tumore. Grazie anche a fondi americani, ricevuti proprio perché i suoi dati sono convincenti, il gruppo di Milano sperimenta il CMF (ciclofosfamide, methotrexate e 5-fluorouracile) confrontandolo con uno schema a quattro farmaci in donne con tumore alla mammella avanzato e linfonodi positivi e dimostra che il primo è solo poco meno efficace del secondo, ma meno tossico.

È il segnale che tutti aspettano e i tempi sono ormai maturi per provare una strada ancora più nuova: la somministrazione della chemioterapia adiuvante, dopo l’intervento chirurgico, lavorando insieme al chirurgo dell’Istituto, Umberto Veronesi. Gratificato dal successo ottenuto nella mammella, Bonadonna si dedica alla te-

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rapia dei linfomi di Hodgkin, che negli Stati Uniti si curano con la MOPP (mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone), che però non funziona in un malato su cinque. Si deve provare uno schema nuovo, secondo Bonadonna, e cioè l’adriamicina e la bleomicina, che hanno un meccanismo d’azio-

ne diverso; alla cura dei linfomi sarà legato per sempre il suo nome, proprio per aver introdotto lo schema ABVD (adriamicina, bleomicina, vin-

blastina, dacarbazina). Bonadonna è stato colpito, ancora relativamente giovane, da un ictus che lo aveva portato a riflettere, in un libro, sul difficile passaggio da medico a paziente. In tutto quello che ha fatto non si è mai accontentato di ragionare secondo schemi preconfezionati e insoddisfacenti, ma si è sempre lasciato guidare dalla sua passione, la cura del cancro. Così, non a caso, ha sintetizzato il bilancio della sua straordinaria esistenza: “Il giorno più bello da medico è stato quando ho potuto dire a un malato che la possibilità di vivere c’era davvero, che il cancro era stato sconfitto”.


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RICERCA Basel Declaration

In questo articolo: Basel Declaration sperimentazione bioetica

Riuniti a Roma gli esperti di benessere animale nella ricerca

ternativi ogniqualvolta ciò sia possibile; reduction, ovvero riduzione al minimo del numero di animali usati in ricerca; refinement, ovvero studio di metodologie di ricerca in grado di limitare al massimo l’eventuale dolore o fastidio per l’animale). Sempre dal 2010 la regola delle 3R fa parte anche della Direttiva europea che stabilisce le norme da seguire in materia in tutti i Paesi dell’unione.

A parlare, coloro che fanno sperimentazione animale, ma anche esperti di comunicazione e pazienti che anche agli animali di laboratorio devono terapie salvavita

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a cura di DANIELA OVADIA li esperti che si occupano di benessere degli animali nella ricerca scientifica si sono ritrovati a Roma per la quarta volta da quando, nel 2010, hanno scritto la cosiddetta Basel Declaration.

Si tratta di un documento con cui il gruppo di ricercatori si impegnava a una maggiore trasparenza e comunicazione sull’uso degli animali di laboratorio. Nel documento si invitava, fra le altre cose, a seguire la cosiddetta regola delle 3R (replacement, ovvero sostituzione degli animali con metodi al-

LA DIFFICOLTÀ DI GIUDICARE

Il congresso di Roma ha prodotto un documento importante destinato a coloro che devono valutare i progetti di ricerca nell’ottica dell’adesione alle 3R. Per quanto si cerchi di standardizzare i criteri che garantiscono una sperimentazione rispettosa degli animali, a volte i funzionari dell’Istituto superiore di sanità che devono decidere se autorizzare un progetto o meno non hanno vita facile. Per esempio, le 3R prevedono di ridurre al minimo il numero degli esemplari coinvolti, senza compromettere la validità statistica dei risultati, ma chiedono al contempo il maggior benessere possibile per gli animali. In alcuni casi, se gli animali coinvolti sono molto sociali, ridurre

Una carta etica

troppo il loro numero rischia di aumentare la loro solitudine. Un altro problema sottolineato dagli esperti riguarda l’obbligo di ricorrere a misure alternative, se esistono. Il fatto stesso che vengano menzionate nella Dichiarazione di Basilea ha indotto infatti i cittadini a credere che le alternative esistano sempre e che siano sempre disponibili, quando in realtà il quadro è ben diverso: solo in pochissimi casi si è trovato un degno sostituto del modello animale. Per i revisori dei progetti, quindi, si profila un compito complesso, perché ciascuna delle 3R dipende dalle altre, in un delicato equilibrio tra protezione dell’animale, rispetto delle norme etiche ed efficacia della ricerca.

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In seguito alla stesura della Basel Declaration è nata anche una società scientifica, con lo stesso nome, che si è data il compito di aggiornarne e promuoverne i principi. “Siamo nati per dire sia a chi è contrario all’uso degli animali in ricerca, sia ai colleghi che non ne sentivano l’esigenza che gli scienziati che fanno questo tipo di esperimenti sono tutt’altro che insensibili alle questioni etiche” ha spiegato in apertura Stefan Treue, direttore del German Primate Center di Gottinga, in Germania, e uno dei primi firmatari del documento. “La strada tracciata con le 3R è l’unica percorribile, al momento attuale, visto che non possiamo fare a meno degli animali tutte le volte che dobbiamo valutare la reazione di un organismo complesso a un farmaco o a una nuova scoperta. Nello stesso tempo, però, dobbiamo lavorare dal punto di vista tecnico per limitare il numero di esemplari in ciascun esperimento e per cercare alternative, qualora siano possibili e altrettanto sicure per l’uomo”.

Il caso Italia La scelta di Roma come sede del congresso non è stata casuale: negli ultimi anni il nostro Paese ha vissuto un’intensificazione delle attività dei gruppi che difendono i diritti degli animali. Campagne in cui non sempre è stata diffusa un’informazione precisa: si è per esempio diffusa l’idea che sia possibile fare a meno degli animali,


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senza correre rischi per la salute umana. Questo, al momento, non corrisponde purtroppo al vero, come ha sottolineato Giuliano Grignaschi, responsabile dell’Animal Care Unit dell’Istituto Mario Negri di Milano e segretario generale di Research4Life, un consorzio creato da numerose istituzioni di ricerca, enti non profit, università e industrie per fornire un’informazione scientificamente corretta in materia. “Il Parlamento italiano ha emanato una legge, per ora congelata da una moratoria che scadrà il 31 dicembre 2016, ancora più restrittiva della norma europea che si ispira alle 3R. Si tratta di un provvedimento che metterebbe a rischio interi settori della ricerca medica, e in particolare quello oncologico poiché vieta gli xenotrapianti, cioè il trapianto di tessuti tra una specie e l’altra, una tecnica spesso usata per studiare la risposta ai diversi farmaci dei tessuti tumorali umani prelevati dai pazienti”. Oltre agli xenotrapianti, la normativa italiana vieterebbe anche la ricerca animale sulle droghe da abuso, essenziale, per esempio, per trovare una cura per le crisi di astinenza dei neonati nati da madri tossicodipendenti. L’incontro romano ha visto la presenza

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di esperti internazionali, come Guido Silvestri, direttore della Divisione di microbiologia e immunologia della Emory University, negli Stati Uniti. Silvestri, che si occupa di ricerca sull’AIDS, ha ricordato che tutto ciò che si sa oggi sul virus HIV è stato scoperto soprattutto grazie agli studi con le scimmie. Oggi, tuttavia, contro l’HIV manca ancora un vaccino e i farmaci salvavita per chi convive con l’AIDS sono da migliorare: senza i primati, indispensabili a queste ricerche, tali obiettivi sono irraggiungibili. È poi intervenuta Fiona Fox, responsabile del Science Media Center di Londra, concentrandosi sui problemi di comunicazione in Gran Bretagna. Qui il movimento animalista è stato particolarmente intenso e violento dagli anni sessanta agli anni ottanta. Fox ha spiegato come u n a

L’Italia affronta in questi mesi una situazione critica

politica di dialogo e apertura da parte degli scienziati abbia contenuto le forme più estreme di opposizione all’uso degli animali nella ricerca. Hanno chiuso il convegno, presso il Senato della Repubblica, alcune straordinarie testimonianze di pazienti che si sono esposti in prima persona per far capire quanto è importante, per la loro stessa sopravvivenza, la possibilità di ricorrere, se necessario, al modello animale per provare nuove terapie. Particolarmente toccante la dichiarazione della mamma di una ragazza colpita da una malattia rara e incurabile, che si rivolgeva idealmente a chi propone di vietare la sperimentazione animale: “Chi siete voi – ha detto la mamma – per dire a me che non posso cercare una cura per mia figlia?”.

... l’articolo continua su: airc.it/congresso-sperimentazione


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PREMIO NOBEL Chimica 2015

In questo articolo:

Nobel sistemi di riparazione del DNA farmaci mirati

Gli operai del DNA che evitano il caos chimico Gli enzimi e i sistemi di riparazione del nostro codice genetico sono i protagonisti del Nobel di quest’anno e anche della ricerca sul cancro. Uno dei premiati, lo svedese Lindahl, in quanto presidente del comitato scientifico di IFOM, è molto vicino alle attività di AIRC e FIRC-AIRC

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a cura di DANIELA OVADIA a ricerca sul cancro rimane protagonista del premio Nobel anche quest’anno, sebbene non nella categoria della medicina (vinta dagli scopritori di alcuni farmaci contro la malaria) ma in quella della chimica. Il maggior riconoscimento scientifico è infatti andato a tre ricercatori, Tomas Lindahl, svedese, Aziz Sancar, turco naturalizzato statunitense, e Paul Modrich, statunitense, per lo studio di diversi meccanismi molecolari che OMAS permettono di riparare i danni del DNA. INDAHL La comunità dei chiUNO DEI mici è rimasta delusa OBEL ASSEGNATI da questa assegnazioQUEST ANNO ne, più legata al mondo della biochimica e della biologia che a quello della chimica in senso stretto, ma la portata delle scoperte è tale da aver messo ra-

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pidamente a tacere le polemiche. Uno dei tre nominati, Tomas Lindahl, ha anche un legame particolare con l’Italia e con FIRC-AIRC: è infatti

presidente del comitato scientifico di IFOM, l’Istituto FIRC di oncologia molecolare, dove, dal 2010, insieme ad altri quattro scienziati internazionali, valuta l’andamento delle ricerche portate avanti nel grande centro di ricerca milanese. Fondamentale lo aveva intervistato, due anni fa, proprio sulla sua visione della ricerca oncologica. In quell’occasione Lindahl aveva ricordato quanto il suo specifico ambito di interesse fosse essenziale per arrivare a una cura contro il cancro: “La cellula è una macchina che combatte contro i danni al DNA. Questi avvengono continuamente, durante la duplicazione cellulare, per esposizione alla luce, per ciò che mangiamo o per come viviamo. E gli errori nella sequenza del DNA, nell’appaiamento delle basi così come eventuali rotture della doppia elica sono all’origine di molte malattie ereditarie e non, ma in primo luogo della trasformazione tumorale della cellula. Per fortuna l’evoluzione ci ha dotati di meccanismi di riparazione raffinatissimi ed efficienti, che rendono il cancro un evento tutto sommato

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I tre vincitori del Nobel 2015 per la chimica. Da sinistra: Aziz Sancar, Paul Modrich e Tomas Lindahl

... l’articolo continua su: www.airc.it/nobel2015


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“ ” LE SCOPERTE

raro se confrontato con il numero di danni e mutazioni che colpiscono le cellule del nostro organismo”.

Correttori di bozze La divisione cellulare inizia fin dalla fertilizzazione dell’ovulo: le due cellule, materna e paterna, si fondono e cominciano a dividersi fino a dar luogo a un individuo completo. A una settimana di vita, un embrione consta di circa 128 cellule e contiene oltre 300 metri di DNA, una molecola costituita da quattro diversi tipi di basi azotate che, come le perline di una collana, si dispongono in sequenze che vengono “lette” dagli altri sistemi della cellula e costituiscono il nostro “libretto di istruzioni”. Non è difficile immaginare come, con così tante “fotocopie” dello stesso filamento originario di DNA, possano comparire errori ed imperfezioni, soprattutto perché, raggiunta l’età adul-

ta, il numero delle divisioni cellulari (e quindi delle copie del DNA) arriva a qualche miliardo. Gli enzimi di riparazione identificati da Lindahl e dagli altri vincitori del Nobel sono dei correttori di bozze: viaggiano lungo il DNA alla ricerca di errori di trascrizioni e li aggiustano. “Dal punto di vista chimico, un numero così elevato di riproduzioni della stessa molecola sfiora l’impossibile” hanno scritto i membri del comitato dei Nobel nella motivazione al premio. “Tutti i processi chimici sono esposti a errori casuali. Inoltre, il DNA è sottoposto quotidianamente a fattori che lo danneggiano e all’azione di molecole in grado di reagire con lui. Di fatto, dovremmo essere un caos chimico ben prima di arrivare a svilupparci in forma di feto”. Se il “caos chimico” non avviene, è proprio grazie ai meccanismi di riparazione del DNA. Esiste però una situazione in cui la cellula sfrutta proprio questo caos e inibisce o rallenta i meccanismi di riparazione: è il cancro, che ha bisogno di conservare le mutazioni che gli danno la capacità di invadere l’organismo. E lo sviluppo di farmaci in grado di riattivare o potenziare i meccanismi naturali di riparazione del DNA (o di eliminare selettivamente una cellula contenente uno specifico errore) potrebbe fare la differenza nella cura, come ha spiegato, dopo l’annuncio del premio, Bert Vogelstein, oncologo del Johns Hopkins Cancer Center. Nel suo laboratorio è stato testato proprio quest’anno un farmaco attivo su forme avanzate di cancro del colon alla cui origine vi sono errori di appaiamento delle basi del DNA. Anche gli inibitori di PARP, farmaci nuovi e promettenti per la terapia del cancro dell’ovaio, lavorano su meccanismi legati alla riparazione del codice genetico.

I sistemi di riparazione sono essenziali per la sopravvivenza

Gli scienziati degli anni sessanta, quando fu pubblicata la scoperta della struttura del DNA, pensavano che fosse una molecola molto stabile. Fu proprio Tomas Lindahl, lavorando all’Istituto Karolinska di Stoccolma, a identificare migliaia di potenziali errori e danni al DNA. Osservando i batteri, Lindahl andò a cercare quali enzimi lavoravano per riparare queste alterazioni che avrebbero reso impossibile la vita. La sua prima pubblicazione è del 1974. Nel 1980 si trasferì in Gran Bretagna, in quello che oggi è il centro di ricerca di Cancer Research UK, la maggiore charity di finanziamento della ricerca sul cancro del Paese. Aziz Sancar, scienziato turco trapiantato negli USA, ha invece lavorato su uno dei maggiori fattori ambientali che danneggiano il DNA: i raggi UV. Durante la sua permanenza all’Università di Yale, Sancar ha identificato gli enzimi che riparano i danni che la luce solare infligge al nostro codice genetico, prima nel modello animale e in seguito anche nell’uomo. Paul Modrich ha invece trascorso più di 10 anni a costruire una mappa di tutti gli enzimi coinvolti nella correzione degli errori di appaiamento (che avvengono quando nel filamento della doppia elica le basi di un filamento si trovano appaiate in modo scorretto con quelle del filamento complementare). Su 1.000 errori che compaiono durante la duplicazione del DNA, 999 vengono aggiustati proprio dagli enzimi correttori dei difetti di appaiamento.


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VITA DI AIRC Maria Ines Colnaghi

In questo articolo:

Maria Ines Colnaghi direzione scientifica vita di AIRC

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Da 15 anni alla guida di una charity in crescita Prima ha cercato armi contro i tumori nel sistema immunitario, poi si è dedicata alla guida scientifica di AIRC. Ora che lascia il posto al nuovo direttore scientifico, Maria Ines Colnaghi racconta come AIRC e la ricerca oncologica italiana siano cresciute sotto ai suoi occhi 18 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2015

a cura di DANIELA OVADIA alle fotografie che occupano le pareti del suo ufficio, figli e nipoti la guardano sorridenti. Una lunga carriera a combattere il cancro, prima da scienziata e poi da direttore responsabile delle scelte scientifiche di AIRC, non ha impedito a Maria Ines Colnaghi di dare tempo e cuore alla famiglia. “Ho avuto la fortuna di lavorare in un ambiente molto aperto come l’Istituto nazionale tumori di Milano (INT), dove quel che contava era solo ciò che riuscivi a fare nel tuo laboratorio. Tutto il resto, l’essere donna in un’area allora tipicamente maschile, le scelte personali e la vita privata, non influenzavano le possibilità di raggiungere la direzione di un gruppo di ricerca, se dimostravi di averne le capacità”. Un rispetto per i meriti individuali e per i risultati ottenuti sul campo che Colnaghi ha portato con sé anche quando è entrata in AIRC. “Ho cominciato a lavorare per l’Associazione quando ero all ’ I N T, dando u n a mano

Laureata in biologia in un mondo dominato all’epoca dai medici, Maria Ines Colnaghi ha diretto per oltre vent’anni la Divisione di oncologia sperimentale dell’Istituto tumori di Milano nel quale è entrata, come ricercatrice, a metà degli anni sessanta, percorrendo la sua carriera nell’unico centro italiano dove era possibile studiare il cancro con un approccio moderno. In questi anni si è dedicata all’immunologia dei tumori, ambito nel quale ha


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nella selezione dei progetti da finanziare. La procedura, allora, era artigianale se confrontata con quella di oggi, ma AIRC a quel tempo era un’associazione piccolissima, creata per aiutare la ricerca del solo Istituto milanese. Successivamente, con la nascita dei Comitati regionali, ha assunto una dimensione nazionale e anche il processo di selezione dei più meritevoli è diventato più articolato e complesso”.

Alla testa della direzione scientifica Nell’aprile del 2000 diventa direttore scientifico di AIRC, sostituendo Giuseppe della Porta, fondatore di AIRC insieme a Umberto Veronesi. “Era l’epoca della massima espansione della ricerca oncologica”, dice Colnaghi, “e nei successivi 15 anni abbiamo assistito a una vera rivoluzione nei metodi e negli obiettivi, che si è tradotta in risultati importanti per i pazienti. AIRC è cresciuta in parallelo, sia nella raccolta dei fondi sia nella mole di lavoro necessaria per garantire quella selezione dei progetti, imparziale e basata sul merito, che è la nostra caratteristica principale”. A incentivarla nelle sue ricerche fu anche un’altra persona straordinaria, presidente di AIRC in quegli anni, che trasformò un piccolo insieme di persone illuminate nel colosso attuale: Guido Venosta. Colnaghi ricorda una sua frase: “AIRC non è un posto di lavoro, è un modo di sentire e di condividere la scienza”. Continua Colnaghi: “Ho sempre pensato che quando diventi troppo vecchio per avere idee davvero originali nella ricerca scientifica, cosa che

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accade a tutti, il tuo dovere di scienziato è di aiutare il sistema della ricerca, incentivando le buone pratiche e sostenendo le giovani generazioni”.

Strutturare la selezione Appena entrata negli uffici di AIRC, all’epoca in via Corridoni a Milano, Colnaghi si ispira ai migliori per strutturare l’attività di selezione, base fondamentale della credibilità dell’Associazione: “Il modello di selezione scientifica più serio era e resta quello dei National Institutes of Health statunitensi. Su quel modello viene creato l’APRO, acronimo di AIRC Peer Review Office. Abbiamo imparato come far crescere la nostra attività attraverso bandi specifici e processi di selezione trasparenti. In questo cambiamento sono state fondamentali le fantastiche donne che compongono oggi l’APRO, tutte con esperienze in laboratori di ricerca e tornate dall’estero”. Con gli anni, e con l’aumento dei fondi raccolti grazie all’introduzione del 5 per mille, si pone anche il problema di alcune scelte strategiche: “Se all’inizio bastava il Comitato tecnico scientifico, col tempo abbiamo creato una commissione consultiva che suggerisce quali siano le pratiche e gli indirizzi più promettenti della ricerca oncologica su cui investire”. Investimenti cospicui e ben mirati possono cambiare il volto della scienza in un Paese, ed è esattamente ciò che è accaduto all’Italia: “Negli anni ottanta ci sono stati due grandi inve-

Non si mostra se stessi ma un’attività collettiva

LA LOTTA AL CANCRO DAL LABORATORIO AD AIRC pubblicato più di 350 lavori scientifici. In particolare ha lavorato sugli anticorpi monoclonali nel cancro dell’ovaio, aprendo nuove prospettive di diagnosi e cura di uno dei tumori ancora oggi più subdoli. Nel 2000 è diventata direttore scientifico di AIRC, posizione che ha occupato per 15 anni.

stimenti in oncologia: quello di AIRC e quello dei progetti oncologici del CNR. Abbiamo seminato bene, è quindi normale che il nostro Paese sia oggi all’avanguardia in questo settore. Anzi possiamo dire che il contributo italiano ha avuto un grande peso nella curabilità dei pazienti e che qui si è sviluppata una scuola che ha formato e continua a formare generazioni di scienziati ben preparati, che si aspettano di trovare un ambiente adeguato in cui dare il meglio di sé. Ho sempre pensato che AIRC dovesse investire sui giovani, aiutarli a formarsi, ma anche ad acquisire autonomia intellettuale e materiale in tempi ragionevoli. Uno dei tanti meriti di AIRC è di aver favorito il rientro di alcune menti brillanti: giovani ricercatori che hanno potuto creare in Italia il proprio laboratorio e il proprio gruppo di ricerca indipendente”. Ora che il suo mandato volge al termine, Colnaghi riflette sulle caratteristiche necessarie per rispettare il mandato scientifico di una grande charity come AIRC: “Non basta essere stato un bravo scienziato o un bravo medico, bisogna condividere la missione dell’Associazione che è prima di tutto dare ai pazienti nuove armi per combattere la malattia. Inoltre bisogna comunicare e promuovere l’attività scientifica guardando AIRC nella sua interezza, ossia un’impresa collettiva di cui fanno parte i donatori, i volontari, i ricercatori, i malati e le loro famiglie. Ogni pezzo di questo insieme non ha senso senza gli altri: i ricercatori non potrebbero far nulla senza i donatori e i volontari che li sostengono. È una catena delicata, con equilibri che vanno rispettati, e il direttore scientifico deve avere sempre bene in mente tutte le anime di AIRC. Infine ci vuole una grande misura in ogni azione, i compiti del direttore scientifico sono molti e variegati, si danno consigli e nello stesso tempo si valuta il lavoro altrui. Di una cosa però sono assolutamente certa: che AIRC abbia fatto la scelta migliore e che con Federico Caligaris Cappio raggiungerà gli obiettivi prefissati”.

È stata membro del Comitato nazionale per la ricerca biomedica del Ministero della salute e, nel 2013, è stata insignita dell’Ambrogino d’oro, il riconoscimento che il Comune di Milano riserva ai cittadini che si sono distinti nel campo sociale, della scienza o delle arti.

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VITA DI AIRC Federico Caligaris Cappio

In questo articolo:

Caligaris Cappio direzione scientifica oncoematologia

Un nuovo direttore nel solco della continuità Dopo molti anni, AIRC cambia direttore scientifico e accoglie in questo ruolo uno scienziato di grande prestigio nel settore dell’oncoematologia, per molti anni sostenuto da AIRC stessa attraverso i suoi bandi

quali si registrano i maggiori successi terapeutici, soprattutto negli ultimi anni, e anche un settore nel quale si investe molto. “È comprensibile che sia così perché i tumori del sangue offrono un vantaggio per il ricercatore: le cellule malate sono facilmente identificabili, basta un semplice prelievo per studiarle. Questo ha facilitato il nostro lavoro, ma le scoperte che sono state fatte sui tumori del sangue sono utili a tutta l’oncologia e possono ora essere efficacemente applicate anche ai tumori solidi ”.

Piani per il futuro a cura della REDAZIONE a cura di DANIELA OVADIA l nuovo direttore scientifico di AIRC, Federico Caligaris Cappio, che entrerà in carica con l’inizio del 2016, occupa uno studio all’ottavo piano dell’Ospedale San Raffaele di Milano, luogo in cui lavora da oltre 12 anni, svolgendo attività di ricerca e prendendosi cura dei pazienti con tumori ematologici. Viene quindi spontaneo chiedergli se il fatto di essere un medico, invece che un biologo come molti ricercatori , influirà sullo “stile” della sua direzione. “Non credo proprio” è la pronta risposta. “Da quel che ho visto in questi anni, medici e biologi che fanno ricerca sul cancro sono accomunati da un unico obiettivo: guarire il maggior numero di malati. Lavoriamo tutti in primo luogo per i pazienti”.

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CHI È IL NUOVO DIRETTORE SCIENTIFICO

Federico Caligaris Cappio ha dedicato la vita allo studio e alla cura del cancro. Professore ordinario di medicina interna dal 1990 e titolare della cattedra di clinica medica presso l’Università

L’interesse per la ricerca nasce in età ancora giovanile, da una paziente che non è riuscito a salvare. “Pensavo di voler fare solo il medico ma un giorno è arrivata una giovane donna con figli, marito e una diagnosi di leucemia acuta. Erano gli anni settanta e gli strumenti a disposizione erano pochi e inefficaci: non potei fare nulla per lei e cominciai a chiedermi che senso avesse il mio lavoro. Fu allora che capii che, per andare oltre, si doveva aumentare il livello di conoscenza della malattia. È così che ho cominciato ad associare, come molti ematologi, la ricerca con l’attività clinica”. L’ematologia è uno degli ambiti nei

Come vede il futuro della ricerca sul cancro il nuovo direttore scientifico della maggiore charity di finanziamento alla ricerca italiana? “Stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica che sta accelerando i tempi delle scoperte e ha permesso la messa a punto di nuovi farmaci creati per colpire bersagli specifici. Non posso quindi che essere ottimista, pur riconoscendo che la mole di informazioni da elaborare per arrivare al risultato richiede competenze sempre maggiori e investimenti appropriati. Per questo AIRC è importante, e lo sarà sempre di più”. Il legame di Caligaris Cappio con AIRC è di lunga data, come ricorda lui stesso: “Sono tornato in Italia da Londra e ho potuto mettere in piedi un laboratorio adeguato grazie ad AIRC, che non ha mai mancato di sostenere

Vita-Salute San Raffaele dal gennaio 2003, è direttore, dallo stesso anno, della Divisione di medicina a indirizzo oncoematologico dal 2003 e, dal 2011, dirige il Dipartimento di oncoematologia presso l’Istituto scientifico San Raffaele. Prima di spostarsi a Milano, ha svolto attività clinica, didattica e di ricerca all’Università di Torino, tranne che per un periodo di studio e perfezionamento negli anni ottanta, presso la Royal Free Hospital School of Medicine di Londra.

La sua attività clinica e di ricerca ha sempre riguardato malattie oncoematologiche come le leucemie e i linfomi partendo dal presupposto che occorre curare il malato e non solo la malattia. Circa venticinque anni fa, in anticipo sui tempi della scienza, Caligaris Cappio aveva intuito che per offrire ai pazienti cure più efficaci non bastava occuparsi della singola cellula tumorale, ma occorreva guardare anche al microambiente tumorale. Molti dei farmaci innovativi che da

I successi dell’ematologia


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il mio lavoro. Ora sento di dover restituire un po’ di ciò che ho ricevuto”. Il suo programma, per il futuro di AIRC, è molto chiaro e sintetizzabile in tre parole: internazionalizzazione, giovani e cure. “La ricerca ha ormai una dimensione internazionale, non possiamo più ragionare solo in termini locali. Vorrei riuscire a potenziare il dialogo tra AIRC e altre charities analoghe all’estero. Potremmo mettere insieme le conoscenze, promuovere bandi congiunti in cui gruppi di italiani si trovino a collaborare con gruppi stranieri. Il cancro è uguale in tutto il mondo e dobbiamo unire le forze per batterlo, evitando il più possibile le sovrapposizioni. Se due gruppi stanno facendo ricerca sullo stesso argomento, possono farlo da due punti di vista diversi o usando tecniche diverse. In questo modo si andrebbe più in fretta e i risultati sarebbero più sicuri. Per fare ciò servono però menti giovani e preparate e per questo AIRC, che già punta molto sulla formazione e il sostegno dei giovani scienziati, continuerà a farlo con sempre maggiore impegno. Infine, da medico, ho lavorato sempre nella ricerca traslazionale, quella che traduce in cure per il malato le scoperte del laboratorio e penso che non si possa fare a meno di avere sempre in mente come obiettivo le nuove cure, anche se le conoscenze di base sono imprescindibili, perché se non capisci una malattia, non puoi nemmeno trovare la chiave per interferire con la sua progressione e guarire il paziente”.

qualche anno si usano per curare i pazienti affetti da diversi tipi di leucemie e linfomi sono stati sviluppati seguendo questa visione. I suoi progetti, sempre considerati molto positivamente dal processo di valutazione di AIRC, sono stati continuativamente finanziati dall’Associazione a partire dagli anni ottanta. È stato membro del Comitato tecnico scientifico dal 2000 al 2008 e della Commissione consultiva scientifica dal 2009 a oggi. DICEMBRE 2015 | FONDAMENTALE | 21


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THE FUTURE OF SCIENCE Joseph Costello

In questo articolo:

epigenoma medicina personalizzata nuovi farmaci

Dal DNA all’epigenoma, la via della personalizzazione È intervenuto a Venezia, nell’ambito della lecture AIRC, uno dei massimi esperti di epigenetica, in grado di spiegare perché l’ambiente e gli stili di vita determinino quanto i geni il nostro destino

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a cura di FABIO TURONE un momento davvero entusiasmante per chi fa ricerca sul cancro: Joseph Costello ha aperto con queste parole la sua conferenza sul tema della medicina di precisione, nella sessione dedicata a una lecture AIRC durante il convegno The Future of Science, organizzato sull’isola di San Giorgio, a Venezia, dalla Fondazione Veronesi. Costello (“il cognome suona italiano, ma sono di origini irlandesi” ha chiarito subito) è infatti il neuroscienziato che per molti anni ha diretto il centro dell’Università di San Francisco, in California, dove è stata

ricostruita la “mappa” dell’epigenoma, grazie a un ingente fondo di ricerca dei National Institutes of Health statunitensi. “Con il termine epigenoma si intende tutto ciò che interagisce con il nostro patrimonio genetico, il DNA, facendo sì che ciascuna cellula specializzata partecipi, nei modi e nei tempi previsti, al funzionamento dell’organismo” ha spiegato il relatore. Oggi l’obiettivo dei suoi studi è lo sfruttamento delle conoscenze sui meccanismi che regolano il funzionamento delle cellule sane e malate per migliorare la prevenzione e la terapia del cancro.

IL MARCHIO DEL DIRETTORE Fino a poco tempo fa si pensava che le malattie fossero causate prevalentemente da mutazioni nella sequenza del DNA, da agenti infettivi come batteri e virus o da agenti ambientali, mentre oggi è diventato chiaro il ruolo – in un certo senso di intermediario – svolto appunto dall’epigenoma, che si chiama così perché non è direttamente il codice genetico, ma modifica il modo in cui questo viene letto. Ogni essere umano è composto da molti miliardi di cellule, che, all’interno del nucleo, contengono tutte essenzialmente lo

stesso identico patrimonio genetico. Tuttavia ciascuna svolge nell’organismo un compito ben preciso, dando vita a tessuti e organi molto diversi gli uni dagli altri. L’insieme delle sostanze chimiche e proteine che agiscono sul DNA, e gli forniscono le istruzioni per attivarsi in modo da assolvere alla propria funzione specializzata, si chiama epigenoma. Quando l’epigenoma interagisce con il DNA per modificare il suo funzionamento, si dice che ha “marcato” il genoma: queste “marcature” possono essere trasmesse da una cellula all’altra quando questa si divide e, in alcuni casi, possono

Ogni gene viene modulato da fattori epigenetici


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UNA NUOVA RISORSA ACCESSIBILE IN RETE

LA MAPPA DEL TESORO

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on la pubblicazione contemporanea – sulla rivista Nature – di ben 24 articoli scientifici è stata presentata nel febbraio scorso la prima mappa completa degli epigenomi di un’ampia gamma di cellule e tessuti umani (al momento 111), frutto di un colossale progetto finanziato dai National Institutes of Health americani. “Finora ci sono stati in oncologia ricercatori che studiavano il genoma e altri che studiavano gli epigenomi. Hanno praticamente lavorato su binari paralleli, senza parlare granché gli uni con gli altri” spiega Joseph Costello, che ha diretto uno dei quattro centri coinvolti. “Negli ultimi cinque-sei anni tutto è cambiato, perché si è visto che le mutazioni più ricorrenti nel cancro agiscono sui regolatori epigenomici. Insomma, le mutazioni del genoma si manifestano attraverso meccanismi epigenomici, tanto che, oggi, le aziende farmaceutiche vedono gli epigenomi come un bersaglio importante”. Grazie al lavoro del gruppo diretto da Costello, questa mappa è oggi navigabile online, a disposizione degli scienziati di tutto il mondo.

essere anche trasmesse ai discendenti. L’epigenoma è a sua volta influenzato dall’ambiente in cui viviamo e dagli stili di vita che adottiamo. La relazione tra genoma (ovvero il DNA) ed epigenoma può essere paragonata a un’esecuzione musicale, in cui lo spartito scritto dal compositore rappresenta il DNA, ma in cui l’orchestra esegue il brano attraverso le annotazioni del direttore che, nel momento dell’esecuzione, tiene conto di numerosi elementi, dall’acustica della sala al tipo di pubblico. Nessuno di questi elementi modifica lo spartito, ma tutti insieme possono far sì che due esecuzioni della stessa opera producano un risultato molto diverso e che alla lunga un’orchestra conservi, per così dire, il “marchio” del direttore.

UN MECCANISMO DI PERSONALIZZAZIONE “Grazie alla ricerca, negli ultimi anni abbiamo dimostrato che anche le modifiche dell’epigenoma possono essere causa di malattia o, a loro volta, essere causate dalla malattia. Perciò lo studio dell’epigenoma è diventato uno degli ambiti di ricerca cruciali per migliorare la salute, imparando anche dalle mutazioni prodotte dalle terapie” ha spiegato Costello. “Le mappe epigenomiche potrebbero un giorno permettere ai medici di determinare lo stato di salute individuale e cucire le migliori terapie addosso a ciascun paziente”. È noto oggi che l’interazione con l’ambiente (per esempio l’esposizione a ormoni e sostanze chimiche nelle prime fasi della vita), alcuni comportamenti e le abitudini alimentari possono incidere sulle caratteristiche delle

cellule, lasciando un segno: “La buona notizia è che questi programmi epigenetici sono reversibili e forniscono un approccio nuovo e promettente” spiega il ricercatore americano, che lo ha usato nello studio di alcuni tumori cerebrali e del cervello sano, a partire da uno specifico meccanismo epigenetico, la metilazione del DNA. Nel caso del glioblastoma (un tumore cerebrale), per esempio, si è scoperto che è alla base della risposta al farmaco temozolomide, che uccide le cellule cancerose, aggiungendo un gruppo metile al loro DNA. In alcuni casi il farmaco ha un “effetto collaterale” molto desiderabile, perché questo meccanismo di metilazione blocca il funzionamento

di un gene capace di contrastarne l’effetto terapeutico. Il risultato è che in questi pazienti la terapia ha molte più probabilità di funzionare che in altri, un bell’esempio di come l’epigenoma possa personalizzare la risposta alla cura. Altri studi sono in corso per comprendere meglio l’azione dell’epigenoma nella crescita dei tumori dello stomaco, del colon, del rene e altri ancora. “Servirà del tempo perché il comprensibile entusiasmo dei ricercatori appaia pienamente giustificato anche agli occhi dei malati” ha ammesso Costello. “Le mappe che confrontano sempre più in dettaglio genoma ed epigenoma delle cellule tumorali e delle cellule sane saranno però utilissime per guidare le future ricerche sulla diagnosi, la terapia e la prevenzione del cancro”.


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IFOM - ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Genetica dei tumori

Un nuovo gene nel cancro al seno familiare Una ricerca che vede la collaborazione di IFOM e dell’Istituto nazionale tumori svela l’esistenza di un altro gene, oltre ai più noti BRCA 1 e 2, che predispone alla malattia. Aiuterà le donne con tanti casi in famiglia a capire se davvero sono a rischio


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In questo articolo: genetica cancro al seno ereditarietà

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a cura della REDAZIONE ltre ai ben noti BRCA 1 e 2, i ricercatori di IFOM, in collaborazione con quelli dell’Istituto nazionale tumori di Milano (INT), hanno identificato un altro gene legato alla predisposizione a sviluppare un cancro del seno. Si tratta del gene FANCM, le cui caratteristiche sono state descritte sulla rivista Human Molecular Genetics da Paolo Peterlongo di IFOM e da Paolo Radice dell’INT. Una mutazione di questo gene, già noto per il ruolo che svolge nell'anemia di Fanconi, una malattia ereditaria, consente infatti di identificare un nuovo gruppo di donne a rischio di carcinoma mammario. La scoperta contribuisce a chiarire che esistono altri geni che, oltre a BRCA 1 e BRCA 2, possono aumentare le probabilità di sviluppare un cancro del seno. I fattori genetici che sono stati scoperti fino a oggi spiegano circa la metà di tutti i casi di familiarità e i ricercatori proseguono in questa direzione per identificare le cause del restante 50 per cento dei casi con familiarità per la malattia. Le donne che risultano negative a uno dei test genetici possono invece risultare positive all'altro, con un'effettiva estensione della capacità di prevedere il rischio futuro.

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una proteina non funzionante. Inoltre i dati ottenuti confrontando più di 8.600 donne affette da carcinoma mammario e 6.600 donne sane da vari Paesi europei suggeriscono che le donne portatrici della mutazione presentano un rischio di sviluppare il carcinoma mammario più elevato rispetto a quello della popolazione generale. L'esempio più noto di mutazione genetica che aumenta il rischio di ammalarsi è quello dei geni BRCA 1 e BRCA 2 che, se mutati, determinano una probabilità di sviluppare un cancro del seno nel corso della vita di circa il 60-80 per cento. Le mutazioni di questi geni sono relativamente frequenti e vengono identificate nel 10-20 per cento di tutte le donne colpite dalla malattia che si sottopongono al test genetico. L'identificazione di una mutazione BRCA consente di individuare i parenti a rischio aumentato (cercando la mutazione anche in loro) e quelli che hanno invece un rischio equivalente a quello della popolazione generale (ovvero coloro che non hanno la mutazione). Durante lo studio, i ricercatori hanno notato che proprio le donne negative al test BRCA possono essere portatrici del gene mutato FANCM. “Questo studio è stato realizzato grazie alla collaborazione di molti centri italiani e stranieri che hanno messo a disposizione dati ottenuti nell’ambito di diversi programmi di ricerca” spiega Paolo Peterlongo. “Per poter trasferire i risultati in ambito diagnostico saranno necessarie altre analisi per identificare ulteriori mutazioni nel gene, e nuovi dati

Si scoprono nuovi fattori di rischio genetici

DATI SU MIGLIAIA DI DONNE Lo studio, che è stato finanziato anche da AIRC, dimostra che una particolare mutazione del gene FANCM produce

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IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici è sostenuto dalla Fondazione italiana per la ricerca sul cancro-AIRC, attraverso lasciti testamentari (vedi p. 31).

per determinare con più precisione il loro impatto sul rischio di sviluppare la malattia. In questo contesto risulta dunque importante che le persone che si sottopongono al test BRCA aderiscano ai programmi di ricerca dei maggiori centri oncologici nazionali che mirano all’identificazione di nuovi geni simili a quello identificato dal nostro gruppo di lavoro”. STRUMENTI INNOVATIVI La disponibilità di strumenti in grado di analizzare con grande rapidità e a basso costo l’intero assetto genetico di una persona aprono prospettive importanti anche sul piano della prevenzione e della diagnosi precoce, come spiega Paolo Radice. “Questa ricerca è un risultato importante della collaborazione che vede INT e IFOM impegnati insieme a studiare i fattori di

rischio genetici nel cancro. I dati emersi aumentano le nostre conoscenze sui diversi geni che contribuiscono ad aumentare il rischio di sviluppare un carcinoma mammario. Senz'altro i geni BRCA 1 e BRCA 2 conferiscono la quota maggiore di rischio. È però possibile già oggi, grazie ai più recenti avanzamenti tecnologici, eseguire test che analizzano simultaneamente interi gruppi di geni di predisposizione al carcinoma della mammella, tra i quali in futuro potrebbe essere incluso FANCM. È importante sottolineare che, dal momento che il rischio dipende dal gene alterato e dalla mutazione identificata, è fondamentale che le persone che si sottopongono al test lo facciano esclusivamente previa consulenza genetica con uno specialista in grado di interpretarne i risultati”.

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RICERCA CLINICA Autoimmunità e tumori

a cura di AGNESE CODIGNOLA il sistema immunitario il filo rosso che collega la comparsa di alcune malattie croniche di tipo infiammatorio e il successivo sviluppo di tumori. È infatti noto da tempo che molte malattie autoimmuni – cioè quelle in cui, per via di errori di programmazione, il sistema di difesa dell’organismo attacca se stesso invece degli elementi estranei – aumentano il LBERTO rischio di ANTOVANI ammalarsi anche di un STUDIA DA ANNI IL tumore. StuSISTEMA IM diando queMUNITARIO sto nesso, però, è possibile non solo mettere in piedi adeguate misure di prevenzione per le persone colpite, ma anche comprendere

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meglio i meccanismi alla base dello sviluppo del cancro e sfruttarli per la cura. QUESTIONE DI INFIAMMAZIONE Alberto Mantovani, immunologo e responsabile scientifico dell’IRCCS Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano), che da molti anni indaga i segreti che intercorrono tra la proliferazione incontrollata e le reazioni autoimmuni, spiega come si entri in un terreno in cui molto si è capito, ma moltissimo resta ancora da chiarire, e come la situazione sia complessa: “Come spesso accade, le prime osservazioni sono state di tipo epidemiologico: si è notato, cioè, che tra chi ha una malattia infiammatoria cronica del colon come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa, l’incidenza del tumore dello stesso organo è più alta rispetto alla media e che una percentuale variabile tra il 20 e il 25 per cento dei malati si ammala, prima o poi, anche di carcinoma colorettale. Questo primo dato ha avuto una grande importanza, perché ha mostrato quello

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Quando i sistemi di difesa diventano strumenti d’attacco Un legame molto stretto unisce le malattie autoimmuni e i tumori. Studiando queste relazioni e osservando cosa accade ai pazienti, i ricercatori sperano di trovare la chiave per curare ambedue i tipi di malattia che oggi è considerato un aspetto fondamentale dei tumori: l’infiammazione non è solo un sintomo del processo di proliferazione in corso, ma è condizione che prelude e facilita l’insorgenza di un cancro”. Infiammazione cronica e cancro sono quindi parenti molto stretti. Lo si vede bene anche in altre malattie autoimmuni come quelle che

colpiscono il fegato. Nel caso di un’epatite di origine virale, per esempio, il fegato, sotto l’attacco degli autoanticorpi è cronicamente infiammato e può degenerare in fibrosi e poi cirrosi, condizione che molto spesso sfocia nel carcinoma epatico. Esistono poi situazioni che si prestano a una lettura un po’ diversa, come spiega ancora Mantovani: “Un’altra


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In questo articolo:

malattie autoimmuni infiammazione vaccini anticancro

associazione emersa negli ultimi anni, quella tra malattie autoimmuni di tipo reumatico e alcuni tipi di linfomi (un cancro dovuto proprio alla produzione eccessiva di globuli bianchi), suggerisce che in certi casi, invece, la stimolazione continua del sistema immunitario a un certo punto sfugga al controllo e si trasformi in una vera proliferazione tumorale”. Questo aspetto è ancora poco studiato, ma probabilmente lo sarà maggiormente nei prossimi anni, e i risultati aiuteranno a capire ancora meglio gli intrecci a livello del sistema di difesa dell’organismo. Non è escluso infatti che le malattie autoimmuni agiscano anche compromettendo, almeno in parte, i meccanismi che nell’organismo sano consentono di eliminare, prima che si moltiplichino, le cellule che prendono una brutta strada. REAZIONI ESAGERATE Esiste un modello per studiare questo particolare aspetto. Si tratta delle malattie autoimmuni cosiddette paraneoplastiche, cioè scatenate dal tumore. In questi casi l’organismo cerca di reagire alle cellule in proliferazione, ma le proteine tumorali (chiamate neoantigeni) che stimolano le difese sono molto, troppo simili ad altre proteine di cellule sane e il

sistem a immunitario non riesce a distinguere le due cose, reagendo anche contro organi che con il tumore hanno poco a che fare. È il caso di una forma di miastenia detta di Lambert-Eaton, provocata da autoanticorpi contro le proteine che fanno passare il calcio nei muscoli. Anni fa si è scoperto che questi anticorpi derivano da un tumore raro, il microcitoma polmonare, che colpisce alcune cellule polmonari, appunto, dotate di caratteristiche neuroendocrine, cioè capaci di rilasciare neurotrasmettitori: le stesse che si ritrovano nelle cellule del muscolo. Molto spesso i malati scoprono prima la miastenia, a causa dei sintomi, e poi il tumore. “Negli ultimi mesi” ricorda poi l’immunologo “è stata descritta un’altra situazione simile: alcuni malati di sclerodermia, una malattia autoimmune dei tessuti connettivi, hanno anche neoantigeni tumorali in quantità, e sono quindi, probabilmente, destinati a sviluppare un tumore”. Da questo punto di vista, alcune malattie autoimmuni potrebbero funge-

re da campanello d’allarme per un tumore, esserne cioè la prima avvisaglia, e consentire di mettere in piedi sistemi di sorveglianza serrata che permettano di fare diagnosi precoce, e quindi di aumentare molto le possibilità di guarigione. EFFETTI COLLATERALI La reazione autoimmune può però essere innescata anche da alcune cure e, in particolare, dalle terapie immunologiche contro i tumori, che tante speranze stanno suscitando proprio di recente. Secondo questo approccio, il sistema immunitario di chi ha un tumore, che di solito non reagisce a dovere e non riesce a fermare la proliferazione, viene aiutato a ritrovare la giusta reattività, con diversi sistemi descritti a pagina 28. Ciò consente all’organismo di contrastare il cancro molto più efficacemente, di trasformarlo in una malattia cronica e, in alcuni casi, di sconfiggerlo definitivamente. Ma c’è un prezzo da pagare, la cui entità, al momento, non è ancora del tutto nota. Spiega infatti Mantovani: “Stimolare il sistema immunitario in modo potente, come accade con l’immunoterapia oncologica, può sca-

tenare reazioni che sfuggono al controllo, e il risultato può essere una malattia autoimmune come una tiroidite, una colite o altro. Va detto che molte di queste malattie sono controllabili con i farmaci, perciò si sceglie il male minore (cioè, si dà la precedenza alla cura del tumore), soprattutto si cerca di stabilire un piano molto bilanciato di cure, ma il rischio va tenuto in considerazione”. È presto, conclude l’immunologo, per trarre conclusioni definitive, perché i primi farmaci attivi sul sistema immunitario in chiave antitumorale sono stati introdotti in clinica solo da pochissimi anni: bisognerà seguirli nel tempo per vedere che cosa succede se, come sembra, questo tipo di cura deve essere mantenuto per molti anni. Solo la ricerca, e il tempo, potranno fornire le risposte necessarie e indicare rimedi anche per questo particolare effetto collaterale.

Ora esistono terapie che agiscono sull’immunità

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RICERCA CLINICA Autoimmunità e tumori

LE BOMBE IMMUNOLOGICHE

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uando una cellula inizia a trasformarsi in senso tumorale, il suo assetto genetico si altera fino a renderla invisibile al sistema immunitario. Contemporaneamente la cellula secerne sostanze che bloc-

cano le difese. Da quando sono stati chiariti questi passaggi cruciali, ormai diversi anni fa, si è iniziato a indagare sulla possibilità di opporvisi e di ripristinare la reattività delle difese. Il risultato sono diversi tipi di terapie, che puntano tutte a risvegliare il sistema immunitario, ma che utilizzano strumenti diversi; a molte di esse stanno lavorando ricercatori e clinici italiani finanziati da AIRC. Ecco, in sintesi, i principali approcci già approdati in clinica o vicini al traguardo. MODULATORI DEI CHECKPOINT A questa categoria appartiene l’ipilimumab, primo anticorpo monoclonale approvato in clinica per il melanoma e oggi in studio, da solo o in combinazione, su molti altri tumori. Agisce neutralizzando un freno che blocca le reazioni difensi-

TECNICHE SPERIMENTALI

UN TRAPIANTO PARTICOLARE

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elle malattie infiammatorie intestinali croniche come il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa, un ruolo di primissimo piano è giocato dalla composizione della microflora batterica; in questo senso, grandi speranze sta suscitando un approccio terapeutico basato sul trasferimento, nell’intestino dei malati, di alcuni ceppi di batteri presenti nelle feci di soggetti sani. Il trapianto fecale (così viene chiamata la tecnica), finora oggetto di pochi studi nell’uomo, ha infatti trovato una consacrazione ufficiale in uno studio pubblicato recentemente su Gastroenterology dai ricercatori della McMaster University di Hamilton, in Canada. In esso i ricercatori hanno sottoposto alla procedura 75 malati gravi, infondendo nel loro intestino estratti di materiale

ve, una proteina chiamata CTLA-4. In modo simile agiscono gli altri due anticorpi approvati, il pembrolizumab (melanoma) e il nivolumab (melanoma e tumore del polmone), non ancora disponibili in Italia. Molti altri prodotti simili sono al momento in fase di avanzata sperimentazione clinica su quasi tutte le forme tumorali. VACCINI ANTITUMORALI In questo caso si cerca di sfruttare al massino la risposta dell’organismo, partendo però dalle cellule tumorali e dai loro antigeni, che vengono prelevati, messi a contatto con cellule immunitarie (per imparare a reagire) e poi reinfusi. Per ora sono stati approvati un vaccino contro il carcinoma della prostata e uno per il melanoma. Il sistema immunitario, così come il microambiente tumorale, è un luogo molto affollato, dove decine di sostanze con funzioni diverse si alternano e collaborano a

mantenere un equilibrio che può essere o meno favorevole allo sviluppo del tumore. Molti studi, alcuni dei quali finanziati da AIRC, stanno cercando di capire quali, tra le numerose controfigure, abbiano un ruolo cruciale, e come sfruttare tutto ciò a fini terapeutici. È dunque molto probabile che, in futuro, la lista dei farmaci per l’immunoterapia si allunghi considerevolmente. ACT L’Adoptive Cell Transfer (ACT) si basa sul prelievo, dal paziente, di alcune cellule immunitarie infiltrate nel suo tumore e dotate quindi di elevata specificità per il tumore stesso, del loro potenziamento con opportuni stimolanti quali le citochine e della loro reinfusione nel malato. Una variante è la CAR-T nella quale le cellule reattive sono prelevate dal sangue del malato, ingegnerizzate per essere più potenti e poi reinfuse.

Le cellule sono invisibili ai sistemi di difesa

fecale di persone sane, oppure un placebo, una volta alla settimana per sei settimane. In seguito hanno verificato l’andamento della malattia e visto che circa uno su quattro, tra i soggetti trattati con i batteri ritenuti positivi per la microflora, aveva avuto una remissione, contro solo il cinque per cento di coloro che avevano ricevuto un clistere di placebo. L’analisi dei dati ha poi mostrato che la riuscita del trapianto dipende molto dal donatore: uno si è rivelato ottimo, un altro poco efficace, e sembra essere più probabile se la diagnosi della malattia è recente. Gli studi proseguono per determinare con esattezza che tipo di trapianto possa essere più efficace, ma le speranze di poter presto utilizzare questa cura sono elevate, anche perché i rischi sono praticamente nulli e la speranza è che, riducendo l’infiammazione, si riduca anche il rischio di sviluppare con gli anni una forma tumorale.


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INIZIATIVE Love Design e donazione ricorrente

Torna in scena il design italiano Dall’11 al 13 dicembre alla Fabbrica del Vapore si può scegliere l’eccellenza del design italiano per sostenere AIRC

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a cura della REDAZIONE ancro, facciamolo sparire” sono le parole d’ordine della settima edizione di Love Design, che torna in scena a Milano alla Fabbrica del Vapore, dall’11 al 13 dicembre, con mobili, lampade e complementi d’arredo che rappresentano l’eccellenza italiana nel design. Il grande evento a sostegno della ricerca oncologica è reso possibile dall'impegno di oltre 50 aziende leader del design italiano (il Comitato promotore è costituito da: Ares Line, B&B Italia, Caimi Brevetti, Ceccotti Collezioni, Fiam Italia, Fiat,

Flos, Kartell, Mdf Italia, Molteni&C, Poliform), di ADI (Associazione per il disegno industriale) e dei soci, dei sostenitori e dei volontari AIRC. Per tre giorni la manifestazione, aperta al pubblico e gratuita, mette a disposizione prodotti e accessori esclusivi, a prezzi più accessibili, generosamente donati dalle aziende aderenti, per raccogliere fondi per la ricerca sul cancro. L’obiettivo di quest’anno è formare i migliori talenti della ricerca oncologica del nostro Paese, finanziando tre borse di studio triennali, ciascuna del valore di 75.000 euro, dedi-

cate a giovani ricercatori. Questa edizione assume un significato particolare, inserendosi nel 50°anniversario di AIRC e nel 30° dalla fondazione del Comitato Lombardia. Da non perdere, oltre a numerosi e interessanti prodotti, la lotteria che anche quest’anno mette in palio importanti premi (primo premio Fiat 500). Fabbrica del Vapore Milano, Via Procaccini 4 11-13 dicembre 2015, ore 10-21 Ingresso libero Per informazioni: www.lovedesign.airc.it 02 77 97 223 segreteria.lovedesign@airc.it

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INIZIATIVE AIRC e le aziende

I buoni frutti delle partnership Da diversi anni AIRC coinvolge le imprese nella propria missione, attivando progetti e iniziative con risultati positivi per tutta la comunità di riferimento

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a cura della REDAZIONE a rete che intreccia mondo profit e non profit è sempre più stretta e si arricchisce di buone pratiche: questo grazie alla nascita e all’evolversi, negli ultimi due decenni, della CSR (Corporate Social Responsibility), in italiano RSI, Responsabilità sociale d’impresa. Definita nel Libro Verde della Commissione Europea come “l'integrazione volontaria delle preoccu-

In questo articolo:

CSR partnership innovazione sociale

pazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”, la CSR è entrata nell'agenda dell'Unione europea dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, considerata uno degli strumenti strategici per realizzare una società più competitiva e socialmente coesa. Essa non si limita a un gesto buonista dovuto dall’impresa nei confronti dei propri interlocutori, ma può diventare un’opportunità di innovazione e di arricchimento per le persone.

La rete di AIRC In questo scenario, AIRC ha accresciuto in quantità e qualità le partnership con molte piccole, medie e grandi aziende italiane, strutturando progetti e iniziative, anche di durata pluriennale, che arrivano a coinvolgere i dipendenti dell’azienda, i clienti, i sostenitori AIRC e tutta la comunità attorno all’azienda, fino a destare l’interesse di nuove persone. Le aziende attraverso partnership ad hoc possono rispondere alla richiesta che emerge sia dai consumatori sia dai dipen-

denti di essere protagonisti della società civile in cui opera l’azienda. La sfida quotidiana per i ricercatori AIRC è complessa e riguarda tutti: ogni giorno in Italia si scoprono 1.000 nuovi casi di cancro. Per affrontarla servono molti fondi e la consapevolezza che molti tumori si potrebbero prevenire adottando stili di vita sani e aderendo agli screening. Per questo AIRC propone alle aziende strumenti e occasioni di informazione scientifica, sulla prevenzione dei tumori e sui progressi della ricerca oncologica, dedicati ai dipendenti. Questa tipologia di partnership non si basa su un approccio filantropico, ma prende spunto dal modello di social business, di origine anglosassone, adottato sempre di più anche nel nostro Paese: i progetti di “valore condiviso” di AIRC permettono alle aziende coinvolte di veder crescere il loro impatto sociale, con importanti ricadute sul proprio fatturato e la propria rete. La rete tra AIRC e le aziende si trasforma in una ricchezza, in termini umani, di innovazione e sostenibilità, che si propaga e porta buoni frutti per il futuro della società.

Progetti di partnership sempre più strutturati

UBI BANCA LANCIA L’APP SOLIDALE

Il Gruppo UBI Banca ha inaugurato, per i Giorni della Ricerca 2015, un innovativo canale di donazione verso AIRC dedicato ai suoi clienti. Con l’app UBI Pay si può donare con lo smartphone, anzichè con il portafoglio. UBI Pay trasforma lo smartphone in un pratico strumento di sostegno ad AIRC e ai suoi ricercatori, tramite la funzione Invio denaro del circuito Jiffy. Per usarla serve: • Scaricare l’app sul proprio smartphone • Essere titolare dell’internet banking Qui UBI e di un conto corrente o di almeno una carta prepagata Enjoy • Sottoscrivere UBI Pay direttamente dall’area riservata di Qui UBI, oppure presso una filiale delle Banche del Gruppo UBI Banca • Inserire il numero 380-8673811 nella propria rubrica e in pochi istanti inviare ad AIRC il contributo. Tutti i dettagli di UBI Pay sono disponibili su ubibanca.com

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FONDAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA SUL CANCRO


I SUOI AUGURI ARRIVANO DRITTI AL CUORE. ANCHE DELLA RICERCA. Questo Natale scelga i biglietti e le e-card della nostra Associazione: tante idee originali per inviare ai suoi cari un augurio che va oltre il semplice pensiero, perché aiuta la ricerca a rendere il cancro sempre più curabile. Scopra tutte le proposte: www.airc.it/auguri • 035 419.9029

SPECIALE AZIENDaElore

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