AINAS N°12.2020

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aínas N°12 . 12/2020



Mattino e sera Amo gli alberi l’acqua e il sole amo la luna il vento e le parole La luce del mattino per leggere e nuotare nell’ombra della sera andare in bici e passeggiare Amo chi non conosco chi sogno d’incontrare una sera nel bosco o una mattina al mare

(Giovanni Bernuzzi, Trasparenze)


aínas W W W . A I N A S M A G A Z I N E . C O M

AÍNAS Nº12 . 12/2020 www.ainasmagazine.com info@ainasmagazine.com Direttore Bianca Laura Petretto Condirettore Giorgio Giorgetti Responsabile Comunicazione Mariagrazia Marilotti Grafica Gabriele Congia Informatica Michelangelo Melis In copertina l’opera è di Jonas Burgert: Strauche, 90x80 cm., olio su tela, 2016 © Aínas 2020 La traduzione, la riproduzione e l’adattamento totale o parziale, effettuati con qualsiasi mezzo, inclusi la fotocopiatura, i microfilm e la memorizzazione elettronica, anche a uso interno o didattico, sono consentiti solo previa autorizzazione dell’editore. Gli abusi saranno perseguiti a termini di legge. is aínas faint is fainas . gli strumenti fanno le opere AÍNAS nº12 © 12/2020, reg. n° 31/01 Tribunale di Cagliari del 19 09 2001, periodico di informazione trimestrale, cartaceo e telematico. Iscrizione n° 372004 al Registro della stampa periodica Regione Sardegna, L.R. 3 luglio 1998, n° 22, ART. 21. ISSN 2611-5271 Editore e Direttore responsabile Bianca Laura Petretto, Cagliari, Quartu Sant’Elena, viale Marco Polo n. 4

B&BArt MuseodiArte contemporanea

Un ringraziamento speciale a Guido Festa Progettazione e costruzione di “GLOVE BOXES” e prototipi per la ricerca farmaceutica e nucleare www.euralpha.it

www.bbartcontemporanea.it info@bbartcontemporanea.com

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AÍNAS Nº12 5 chapter I . the special 6 filigrane di desiderio . jonas burgert 7 bianca laura petretto 20 trees . ashley ashford-brown 34 présences aquatiques . evelyne galinski

43 chapter II . crossing 44 caminar de nuevo . maría victoria gómez jaramillo 48 not an oxymoron . massimo cugusi

53 chapter III . news 54 são paulo invisível . notas de uma curadoria 56 alecsandra matias de oliveira

59 chapter IV . the new code 60 predator . caterina notte 61 gianluca nicoletti 62 giulia cirillo

65 chapter V . pataatap 65 marta runemark

75 chapter VI . swallow 76 emoticon . giorgio giorgetti

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IHR SCHÖN . Jonas Burgert, 400x690 cm., olio su tela, 2016

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I T H E SPEC IAL

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SPECIAL

filigrane di desiderio

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JONAS BURGERT . wasserzeichen des begehrens Il colore e la luce sono elementi che fanno parte dell’opera d’arte. Nel 1704 Newton in Optiks aveva affrontato i temi della luce e la natura dei colori. Un secolo più tardi, Johann Wolfgang von Goethe, in zur Farbenlehre (Della teoria dei colori) indaga il funzionamento della visione e del non colore, del bianco e del nero, della luce, tenendo in considerazione la funzione fondamentale dell’ombra e delle ombre colorate a cui si ispirarono, più tardi, Turner, Kandinsky, Klee. Il colore che usa Jonas Burgert, artista tedesco contemporaneo, è materia che emerge e sprofonda nel nero e si disintegra attraverso il bianco. La luce nasce dal bianco e passa attraverso i colori accesi e le gamme cromatiche dei rossi, dei gialli, dei verdi, degli azzurri. In Burgert il colore è la coscienza intellettuale. I grandi dipinti dell’artista attraggono e risucchiano lo spettatore che si avvicina per essere ammaliato e adora quell’esplosione di petali che nascono dalle vesti, dai corpi e si frantumano tanto da respingere lo sguardo, da affondare e sprofondare nel buio angosciante e da allontanare fisicamente lo spettatore. Sono tableaux vivant della rovina in movimento. Nessuno comprende dove si trova esattamente, ma sente che prende forma, che urla. Diventa un gigante quando ti allontani dalla pittura. Sono schizzi di vernice che salvano la spontaneità. I personaggi, talvolta uomini emaciati, donne longilinee, animali improbabili, sono distrutti dal significato. Si avviluppano, mischiano, contraggono e scompaiono tra le macerie dopo l’Apocalisse. Tutto ciò che rimane. Le opere di Jonas Burgert sono macchine figurative che richiamono le scene diaboliche di Hieronymus Boch. Un po’ Trittico del fieno e un po’ La nave dei folli, evocano la vivace immaginazione dell’artista olandese che nel 1550 componeva scene surreali e fantastiche animate da cromatiche figure spaventose. Vi è in Jonas Burgert l’ironico ammiccamento al Giardino delle delizie, alla creazione di un mondo poetico e di un paesaggio fantastico perduto. Nelle sue opere si avverte, come fosse sangue, la pulsazione del mondo contemporaneo, l’ineluttabile declino di un mondo feroce, incapace di visione. Eppure, quei petali portatori di distruzione sono mirabili, hanno una storia, un afflato. Sono traghettatori del divino che è dentro l’uomo. I volti sofferenti, la morte sui corpi sono una fuga dentro la coscienza. Una dichiarazione di rinuncia al mondo. Il realismo grottesco che dilaga nelle sue composizioni è una denuncia alla stupidità. Tra la catastrofe realizzata e la scena dell’orrore volteggia la potenza di una tache, la pennellata di luce, forse, che esalta gli ornamenti di una umanità disfatta. E in un luogo atemporale si mostrano i se multipli, ideali, gli alter ego che evidenziano i lati oscuri. Nessuna follia, ma filigrane di noi stessi accompagnati fedelmente dal desiderio. Bianca Laura Petretto

LAUBT SICH Jonas Burgert 300x220 cm., olio su tela, 2016

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SPECIAL

Jonas Burgert è un pittore tedesco. Nasce nel 1969 a Berlino. Dopo aver studiato presso l’Universität der Künste espone le sue opere in numerose mostre personali e collettive in Europa e in diversi Paesi del mondo. Dipinge veri e propri scenari. Le sue opere raffigurano la sua visione della rappresentazione teatrale che costituisce l’esistenza umana, dell’inesauribile bisogno dell’uomo di dare un senso, una direzione e uno scopo alla propria vita. La ricerca si apre ad ogni sfera della ragione, dell’immaginazione e del desiderio generando tele di grandi dimensioni, affollate di figure fantastiche di proporzioni diverse. I soggetti raffigurati indossano maschere e costumi, ci sono pareti e pavimenti che si squarciano rivelando cumuli di corpi o pozze di liquidi, mentre un buio inspiegabile incombe.

PULS FÜHRT Jonas Burgert 240x280 cm., olio su tela, 2014

HANDLER Jonas Burgert 280x220 cm., olio su tela, 2019

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SPECIAL

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SICH GLEICHE Jonas Burgert 240x180 cm., olio su tela, 2019

FEINE Jonas Burgert 240x180 cm., olio su tela, 2017

EIN KLANG LANG Jonas Burgert 220x600 cm., olio su tela, 2019


SPECIAL

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Jonas Burgert 400x280 cm., olio su tela, 2018

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SINN FRISST Jonas Burgert 90x80 cm., olio su tela, 2019

◀ LUFT SCHLEIFT LEICHT


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IMMER Jonas Burgert 90x80 cm., olio su tela, 2014

VICHLAST Jonas Burgert 360x720 cm., olio su tela, 2020

IHR STUR Jonas Burgert 90x80 cm., olio su tela, 2020


SPECIAL

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SPECIAL

trees

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ASHLEY ASHFORD-BROWN “Trees are Earth’s endless effort to speak to the listening heaven”. Rabindranath Tagore There was a time when man lived in harmony with the earth: a time when, in his eagerness to converse with her, he solicited the aid of trees whose nature it is to bring together heaven and earth. Each tree was endowed with magical powers and occult knowledge and their names became the letters of a sacred alphabet: groves became books of learning, a forest no less than a library. But today we live in a society where the environment is no longer a fundamental element of human consciousness, where vanity and arrogance claim dominion over nature and the complicity between man and tree carries little sway in the affairs of our modern world. No longer deemed worthy of our attention, the sacred letters of the alphabet grow silent as men no longer heed the dying language of the trees: the murmuring of the sap as it rises to “the listening heaven” - the symbolic elevation of the consciousness of Man...

el

Antoine de Saint-Exupéry, La vita in volo, Happy Hour Edizioni

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SPECIAL

entier In my early days in Paris, resources being modest, I was pressed to find an alternative to conventional painting materials. Discovering Antoni Tàpies’ work encouraged me to pursue my research and over the years I elaborated a technique to work cement on canvas. Ever since, la matière has been a terrain for investigation, firstly over a long period of abstraction and more recently in the transition to figurative representation.

With a desire to relate my work to a recurring narrative over a long lapse of time, to provide it with a lineage that goes back beyond my own activity as an artist, I introduced into my paintings an ancient text: the Duan Amhairghine. It is an epic poem recorded in the eleventh century Lebor Gabála Érenn, more commonly known as the Book of Invasions. It is an invocation of nature calling upon the spirit of the land and, according to legend, it was sung by the chief bard of the Milesians as he set foot on Irish soil over three thousand years ago. It is with the intention of binding my art to this vision of the world that I weave the signs and phrases of the poem into the matière of my paintings, the words becoming a thread leading back through time to the universal themes sung by our ancestors. The Duan Amhairghine is more than a simple eulogy to nature, it is also a means of transmission of knowledge and it contains a large number of teachings for those who have been trained to hear them. Research into the text (notably that taken by the poet Robert Graves in ‘The White Goddess’), reveals that the different verses of the song are intimately related to trees and that there is a mysterious relation between trees and writing. This gave birth to a series of paintings devoted uniquely to trees in an attempt to examine the place they continue to retain in today’s cosmology. ◀

TREE OF KNOWLEDGE 1 Ashley Ashford-Brown 130x130 cm., cement on canvas, 2006

TREE ALPHABET 16 Ashley Ashford-Brown 100x81 cm., cement on canvas, 2012

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TREE ALPHABET 3 Ashley Ashford-Brown 120x120 cm., cement on canvas, 2011

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TREE ALPHABET 25 Ashley Ashford-Brown 65x54 cm., cement on canvas, 2012

TREE ALPHABET 1 Ashley Ashford-Brown 120x120 cm., cement on canvas, 2011


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IDENTITY TREE (homage to Mahmoud Darwish) Ashley Ashford-Brown 120x120 cm., cement on canvas, 2011

TREE ALPHABET 3 Ashley Ashford-Brown 70x70 cm., cement on canvas, 2011

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SPECIAL

THE STORY TREE 1 Ashley Ashford-Brown 162x114 cm., cement on canvas, 2014

TREE ALPHABET 4 Ashley Ashford-Brown 120x120 cm., cement on canvas, 2011

THE STORY TREE 2 Ashley Ashford-Brown 162x114 cm., cement on canvas, 2014

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SPECIAL

présences aquatiques

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EVELYNE GALINSKI La scultura di Evelyne Galinsky fa parte degli elementi naturali. L’acqua è la vita, fluisce. L’artista racconta la sua esperienza con il mare, dentro il mare. Guarda la fotografia della sua opera sommersa sul fondo del mare e ci fa scivolare con lei nel liquido trasparente. Diventiamo parte delle sue sculture. Il suo testo è volutamente evocativo, è un appunto, emozione della forma con l’acqua e partecipiamo alla nascita. Affascina la scultrice che sa raccontare con le parole l’esperienza della materia.

Je suis la première spectatrice de mon travail. En règle générale. La première à apprécier, mais la première aussi à le démolir si je ne le trouve pas satisfaisant, quoi que puissent en penser les autres. J’aime regarder cette photo que j’ai mis en fond d’écran sur ma tablette et mon ordinateur, alors que je n’expose aucune de mes sculptures dans mon lieu de vie. Cette photo, c’est la création d’une autre personne, la composition d’un autre œil. Voir une de mes sculptures dans un milieu aussi étranger qu’un fond marin me transporte de joie. Une création humaine telle qu’une sculpture, (qu’elle soit antique ou contemporaine), qu’un vaisseau ou un aéroplane, deviennent fascinants et d’une grande poésie lorsqu’ils sont échoués sur le plancher marin. Le décalage nous percute en premier...cet engin, cette représentation humaine ne sont pas de ce monde...Ils ne sont pas conçus pour être là, et pourtant, ils y sont...par accident, ou pas la volonté humaine… Les algues qui les colonisent, leur position anachronique, nous rappellent le temps qui passe, l’accident, et même la mort...Fantômes sous-marins, flottant entre deux eaux, ballottés par les courants… relents d’une vie passée, de vies oubliées, abandonnées là… au fond de l’eau. Calmes et paisibles, habités, ils sont redevenus vivants d’une autre vie… véritables squats marins. Arrivant au fond de l’eau, l’homme en combinaison de plongée et la sculpture soulèvent une vapeur de sable blanc rajoutant a la poésie du moment. Ensemble ils viennent de descendre, ils viennent d’arriver...On est avec eux… Sa combinaison nous rappelle le monde moderne, la réalité du milieu hostile...Elle, intemporelle, insouciante, repose, lourde, sur le fond. Evelyne Galinski

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SPECIAL

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LINA Evelyne Galinski 56x47x47 cm., porcelaine, 2020

◀ LINA Evelyne Galinski 56x47x47 cm., porcelaine, 2020


SPECIAL

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ILANA Evelyne Galinski 54x40x40 cm., porcelaine, 2020

◀ ELIIA Evelyne Galinski 37x47x37 cm., porcelaine, 2020

La sculpture s’est insinuée dans ma vie tardivement. Ayant envie de faire des cadeaux à mes amis, mais ayant peu de moyen, je les ai fait moi-même... Je ne travaille pas sur des thèmes, mon travail suit depuis toujours mon archéologie intérieure. Mes sculptures parlent à posteriori du chemin parcouru. Je suis la première spectatrice de mes sculptures. Je ne travaille pas des corps, encore moins des postures, mais des présences et des émotions qui me traversent ...qui traversent l’humain quel qu’il soit, enfant, adulte, homme, femme, jeune ou vieux. Ne m’appuyant sur aucun apprentissage technique théorique ou méthodique, je suis autodidacte. Evelyne Galinski

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SPECIAL

INSTALLATION DUANS LE PARCOURS LES BUISSONNIÈRES TIRANGES, HAUTE LOIRE, FRANCE Evelyne Galinski, 110 cm., terre cuite enfumée, 2010 Photographie de Patrick Vergnaud

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TOWARDS A NEW ERA . “Through My Old iPhone” . Fotografia di Massimo Cugusi, Dubai, 2020

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II CROSS ING

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caminar de nuevo

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Caminar, recorrer, reconocer, estar, respirar y solo se. Son solo algunos de los verbos o sentimientos, que de nuevo evoco al revisar en mí memoria este viaje, a dos lugares maravillosos en Colombia, Nabusimake (Capital Arhuaca del resguardo indígena de la Sierra Nevada de Santa Marta) y Valledupar. Cada uno, una experiencia, un vivir, un sentir. La sabiduría en cada rincón, contenida, transmitida de generación en generación. La naturaleza inmensa que nos aborda, hasta dejarnos sin aliento. Nos pone límites y nos recuerda quién es. Son nuestras raíces y nuestro pasado latente, presente en cada ser maravilloso, con su sabiduría o su inocencia, ignorada por muchos y violentada por otros. Pero en este momento fue acercarse con respeto a cada uno de ellos, a nuestra sabiduría ancestral, a nuestros hermanos mayores, a sus espacios sagrados. El permiso para transitar por sus montañas, para conocer un poco como viven. No abordarlos a hurtadillas, casi que olvidarse de la cámara. Olvidarse, porque debes pedir permiso, y porque quieres estar ahí y dejarte llenar con tanta belleza. Pero en un momento, esta bella chiquita me dice “tu me puedes tomar una foto?” y así, rápidamente, temblando lograr una, solo una. Así queda ella, sin más palabras, con la promesa de enviársela, y cabe agregar promesa cumplida. Revivir todas estas emociones es caminar de nuevo, es cerrar los ojos y respirar cada pedacito, es recordar a qué huele, a qué se siente en la piel. Es sumergirse en lugares sagrados, en aguas limpias, tan heladas, que te cala hasta el último rincón. Es respirar, y mirar y volver a mirar o ver, para llevártelo grabado en el alma, en el corazón, en la piel. Es no correr, no apresurar el paso, estar y sentir. Es tenderse en la noche bajo ese cielo inmenso que te regala todas las estrellas. Es caminar por espacios poco transitados. Es sentir que te miran miles de almas, que tus pensamientos se detienen en cada lugar, es levantarse en la mañana y dejar correr el agua fría por tu piel. Es caminar cada día, mirar cada rincón, para llenarte, para no olvidar. Ha sido un fluir, un seguir la vida. Un reconocerme en la inmensidad, en el espacio, en cada sonrisa, en cada ser que habita estas tierras nuestras, en la brisa fuerte que te abraza. Vivir hoy duele menos, es estar en el presente, en cada minuto, en cada lugar. No importa que pase mañana, porque partir no será tan grave. María Victoria Gómez Jaramillo

Le fotografie da pag. 44 a pag. 47 sono di María Victoria Gómez Jaramillo, Colombia 2018

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CROSSING

not an oxymoron

WELCOME TO THE AL QUOZ ART FESTIVAL “Through My Old iPhone” . Fotografia di Massimo Cugusi, Dubai, 2020

SUNSET TIME AT THE GRAND MOSQUE “Through My Old iPhone” . Fotografia di Massimo Cugusi, Abu Dhabi, 2019

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On December 21 fifty years ago, six small Gulf monarchies (the seventh would be added two months later) were joined together under the name of the United Arab Emirates. A little over two years had passed since the end of the British protectorate and the whole region had gradually taken on a new shape. From that moment, facilitated by the immense wealth hidden underground, there began a long and passionate pursuit of their future development. This was immortalized, in physical form, with the completion of the tallest building in the world: the Burj Khalifa. On the other hand, in what might appear to be a contradiction, the new system felt the need to reaffirm centuries-old principles. These included the forms of the state and its government and the way in which state laws are closely interwoven with the principles of Islam. The United Arab Emirates are still all here, in the glow of an electrifying arc that extends from the Great Mosque of Abu Dhabi, solemnly celebrating its deep roots in a creed in which everything is found again, to the Museum of the Future, a universal architectural icon of modernity. In between, one is aware of a great collective effort, an ambitious vision and the dream of feeling oneself to be at the center of the world. A mini narrative in five shots. Massimo Cugusi . iPhotographer

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CROSSING

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UNDER THE SUN “Through My Old iPhone” . Fotografia di Massimo Cugusi, Dubai, 2019

◀ JUST GOLD AND BLUE “Through My Old iPhone” . Fotografia di Massimo Cugusi, Dubai, 2019


THE NEW CODE

VISTA GERAL . São Paulo Invisível, Museu da Cidade, 2020 . Fotografia de Marcella Marigo

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III NEWS


NEWS

são paulo invisível

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notas de uma curadoria A cidade de São Paulo é considerada uma das maiores da América Latina. Ela cresceu impulsionada pelo setor industrial e pelas correntes migratórias vindas de diversas regiões do Brasil. Aos nativos, imigrantes e migrantes mesclam-se os refugiados e diversos grupos sociais, sexuais, religiosos e étnicos – todos foram invisibilizados pela tradição “patriarcal, branca e europeizada” que, invariavelmente, marginaliza os discursos plurais. Nessa cidade transitiva, como desvelar as narrativas sobreviventes do jogo das relações de poder inerentes à ocupação do território? Quais os habitantes têm o direito do sentir-se “em casa”? E quais devem resistir ao apagamento e à invisibilidade social? Some-se ainda, o contexto de pandemia mundial, ocasionado pela disseminação da COVID-19. A crise sanitária intensificou o discurso sustentado por números e estatísticas e, simultaneamente, escancarou a desigualdade de condições na cidade. Mas, também, trouxe vozes potentes que expuseram os apagamentos, os jogos de poder e os modos de resistência. A exposição São Paulo Invisível, organizada no Museu da Cidade de São Paulo e produzida pela AYO, teve sua concepção antes do período pandêmico, mas ganhou força após os acontecimentos que levaram a população ao isolamento social. As ações para a mostra tiveram que se adequar às novas condições colocadas, lançando mão das redes sociais e da comunicação remota. Foram realizadas lives, chamadas de Laboratório dos números. Nelas, 18 pessoas, entre pesquisadores, artistas e agentes sociais, foram convidadas a trazerem experiências e relatos que levantaram e discutiram conceitos endurecidos. As ideias, os fatos e os dados de pesquisas discutidos a cada encontro colocaram a história oficial versus as polifonias mnemônicas. Foram seis encontros com temas desafiadores e que expuseram conflito e a memória da resistência. As discussões também trouxeram o mote da transversalidade. Nenhum ser social pode se restringir ou ser restrito – tornou-se evidente que a transversalidade perpassa essas temáticas, tal como as relações centro-periferia-área metropolitana. Ao cabo, todos os grupos envolvidos nessas pautas reivindicam o sentimento de “estar em casa”, de reconhecimento e de pertencimento. Nascidos dessa escuta profunda, seis painéis de oito artistas – cada qual com sua linguagem e livre expressão deram continuidade as pautas. Era a vez de a arte entrar propriamente em cena: Junião, Moara Brasil, Laura Guimarães, Gil Duarte, Alan Fujito, Helena Kozuchowicz e Paulo von Poser levaram para os seus painéis as questões que envolveram suas respectivas mesas de conversas (foram frases, imagens e informações), mas acrescentaram ainda suas vivências e envolvimento junto aos temas. Alguns números discutidos nos encontros reapareceram adjacentes nos painéis, porém, a obra 100% (2019), de Vitor Cesar – a única tridimensional – nos convidou, de fato, à reflexão sobre eles. A mostra abriu ao público no dia 24 de outubro e encerrou no dia 24 de janeiro de 2021, no térreo do Solar da Marquesa de Santos – no complexo histórico do Páteo do Colégio – lugar marcado pela fundação de São Paulo e por todas as contingências de acesso à cidade. Foi uma campanha expositiva marcada pelas restrições exigidas pela prevenção à COVID-19: horário restrito, acesso ao álcool em gel e uso obrigatório de máscara. Mas, a mostra abriu-se ao público de modo presencial. O núcleo curatorial planejou essa experiência desafiadora para 2020 e, mesmo com todos os obstáculos, executou e sustentou o projeto São Paulo Invisível. Ao mesmo tempo, as demandas do setor educativo do Museu da Cidade estavam postas no espaço expositivo e, assim, outras realidades da grande metrópole puderam ser trabalhadas.

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NEWS

Contem-se ainda os registros e os rastros que a mostra deixou como legado nas redes sociais e, especialmente na memória de cada um dos seus participantes e visitantes. Novas leituras e novas escritas sobre a cidade podem emergir dos seus desdobramentos. Ao final, dos encontros e da confecção dos painéis foi possível pensar a memória de uma cidade na qual cabem os plurais. Nesse sentido, estamos mais próximos da descoberta e da aceitação de novas versões de cidade. Alecsandra Matias de Oliveira. Doutora em Artes Visuais (ECA USP) Membro da Associação Brasileira de Crítica de Arte (abca) Curadora da Mostra São Paulo Invisível, Museu da Cidade, 2020/2021

PAINEL DE GIL DUARTE Na mostra São Paulo Invisível, 2020 Fotografia de Marcella Marigo

PAINEL DE MOARA BRASIL Na mostra São Paulo Invisível, 2020 Fotografia de Marcella Marigo

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PORTRAITS

PREDATOR #32 . Caterina Notte, 100x150 cm., fotografia digitale, 2019

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THE NEW CODE

predator

PREDATOR #21 Caterina Notte, 80x120 cm., fotografia digitale, 2019

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CATERINA NOTTE . dissolute predatrici per la nostra dissolvenza Un manichino deve avere almeno il volto integro. Il resto del corpo può pure avere rotture e lesioni, tanto si copre con abiti, messi sopra per invogliare all’acquisto. Le femmine predatrici di Caterina Notte hanno la rigidità di manichini ma il viso adombrato da un bendaggio. Raffigurano donne simili a quei supporti inanimati da mettere in vetrina, però non sono stampelle appendiabiti, non c’è barlume di sorrisi composti da quello che lascia baluginare il viluppo di garza sterile. Non esiste più traccia di ferita su quei volti e l’unica cicatrice la portano dentro, indelebile e tremenda per chi l’ha provocata. Quelle ragazze in collant coprente non hanno bisogno di orpelli. Non indossano marchingegni sartoriali per segnalare la loro femminilità. Non serve loro mimare posture aggraziate, non ci tengono a essere vezzose e non vogliono compiacere, allettare o sedurre. Sono donne su cui è passata l’ala oscura di chi ha tentato di sopraffarle. Dal buio sono uscite guerriere. Sono molle caricate, esplosivo innescato, tagliole affilate. Guai a chi osasse sfidare la furia assopita in quelle caviglie e polsi sottili, spalle esili e dorsi extra vertebrati. L’artista che le ritrae ama il gioco della finzione e dell’ambiguo accenno, sembra quasi costretta ad attenuare l’istintiva e ribelle crudezza del suo obiettivo con il filtro della pudicizia, è attenta a non urtare eccessivamente le vetuste guardiane del gineceo. Da donna anche lei ben sa quanto sia interdetto il narrare la femminile voracità, è solo tollerato attraverso il più banale e logoro esercizio del glamour patinato, o l’irrealtà delle categorie di YouPorn. Caterina, con le sue principessine rimpannucciate d’intimo da bancarella, riesce così a spalancare precipizi senza fondo. Vuole vederci inghiottire dall’oscura profondità, goffi e starnazzanti come pollastri. Ci condanna alla dissolvenza, che sempre ci attende oltre l’innocente perdizione di sguardi perduti. Gianluca Nicoletti

“L’arte è una parte essenziale della vita stessa ed è più di un semplice momento ricostruito. Mi piace vedere le cose sempre sotto una luce diversa, catturare l’istante che precede la scelta”. Caterina Notte L’artista italiana Caterina Notte vive e lavora a Monaco di Baviera e a Olbia. Nata (1973) nel piccolo Molise si trasferisce a Roma dove frequenta le facoltà di Architettura e di Economia all’Università La Sapienza e durante questi anni scopre la sua passione per la fotografia. Il suo lavoro, da subito viene apprezzato e presentato in diverse mostre in Italia e all’estero, Roma, Monaco, Milano, Shanghai, Praga e Santiago del Cile. Oggi lei si descrive come un’investigatrice del mondo femminile che usa la fotografia per trasformare i suoi soggetti in icone. L’artista pone al centro della propria riflessione il tema della carne e la sua scelta espressiva è stata fin dall’inizio quella di usare il video e poi la fotografia per porre l’attenzione sulla bellezza e sul potere estetico della donna per raccontare la sessualità, la debolezza nascosta e la complessità. – 61 –


THE NEW CODE

Predator di Caterina Notte non può lasciarci impassibili. Gli scatti sono forti e comunicativi. La parte visiva è dirompente, quella concettuale chiara e diretta. Le fotografie creano nella nostra testa un turbinio di pensieri e considerazioni che ruotano attorno al ruolo della donna, al suo corpo, alla sua forza e alla sua debolezza. Le bende coprono parti del volto, ma così facendo il risultato è opposto: nascondere per mostrare. Ciò che balza fuori con prepotenza è la voglia di farci vedere così come siamo, con tutti i nostri difetti e con le nostre crepe, dalle quali escono sguardi forti che non si abbassano e corpi sicuri di come appaiono: la preda che diventa predatore. La fotografia di Predator riesce ad immortalare un momento di realtà che è in continua trasformazione e le donne di queste immagini lo raccontano attraverso la loro più profonda, complessa e intensa metamorfosi. Giulia Cirillo ◀

PREDATOR #56 Caterina Notte 100x150 cm., fotografia digitale, 2020

PREDATOR #41 Caterina Notte 150x100 cm., fotografia digitale, 2020

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V PATAATAP

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PATAATAP

RHINO Marta Runemark 40x50x25 cm., papiermaché, wire, paper, 2020 Photographer Sem Larsen

◀ CIRCUS LIFE Marta Runemark 40x30x30 cm., papiermaché, wire, paper, 2018 Photographer Sem Larsen

THE POPE AND HIS HORSE Marta Runemark 20x25x10 cm., papiermaché, wire, paper, 2019 Photographer Sem Larsen

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During my whole life I have been painting and sketching. With the image as language I have expressed the thoughts and ideas I have had. The written language has not come as naturally. As a kid I sketched animal figures and fables in the form of comics and books. A world of play and imagination to submerge in, necessary for all children. The need to create stories is as important today, but now in the form of sculptures. In my work as a sculptor I work with shape and intermediate shape. The result can be groups of figures, that in relation to each other create a constellation and a story, or solitary figures, often animals, which with their solitude speak their clear message. During the years, my technique has become my trade mark, my way of expression. The material selections are building blocks in the creative process. I work mainly with wire and papiermâché, besides combinations of an infinite set of materials as “mixed media”. To create is a continuous process; during the course of the work new ideas appear that lead to new sculptures and hopefully to more accomplished shapes and expressions. To me, as for many other artists, the creation is a necessity, a search for the ideal. Renaissance painters, such as Hieronymus Bosch, Jan van Eyck and Albrecht Dürer have all inspired me. Hieronymus’ famous work “The Garden of Earthly Delights” is a world filled with ambience and surprises. Leonardo da Vinci, with his amazing flight constructions, is frequently recurring in my work, in combination with horses. Contemporary artists, such as Torsten Renqvist and many others, have also played an important role. Naturally, my childhood in a family of artists has affected my orientation in life. Roj Friberg was not only my father, but also a great role model as an artist. Marta Runemark

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PATAATAP

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AINAS MAGAZINE

WINGED HORSE Marta Runemark 50x40x30 cm., papiermaché, wire, 2017 Photographer Sem Larsen

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ANGEL AND ELEPHANT Marta Runemark 25x30x15 cm., papiermaché, wire, paper, 2020 Photographer Sem Larsen


PATAATAP

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AINAS MAGAZINE

RENAISSANCE Marta Runemark 80x60x50 cm., papiermaché, metal, textile, 2020 Photographer Sem Larsen

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WAVING BIRD Marta Runemark 50x40x30 cm., wood, wire, 2013 Photographer Sem Larsen


PATAATAP

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AINAS MAGAZINE

CIRCUS Marta Runemark 25x30x15 cm., papiermaché, wire, paper, 2019 Photographer Sem Larsen

HIPPOPOTAMUS Marta Runemark 25x35x18 cm., papiermaché, wire, textile, 2020 Photographer Sem Larsen

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V I SWALLOW

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SWALLOW

emoticon

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AINAS MAGAZINE

Vorrei concludere bene, ma non posso. Mi manca l’emoticon giusta. Quella con la faccina contrita, ma dagli occhi luminosi e l’angolo sinistro della bocca che s’atteggia a un sorriso un po’ mesto, un po’ ironico, come conoscesse il domani pur non rivelandolo, forse per scongiurarci una delusione o, peggio ancora, per evitarci paure tuttora ignote. Ecco, mi servirebbe quest’emoticon e poi avrei siglato per benino queste righe d’inizio anno. Non la trovo. Dovrò farne a meno. E questo mi dispiace perché, poche righe fa, già sorse un problema con bottiglia e dolce, se non ricordo male. Più o meno a un quinto del testo (controllate voi, per favore), mi son trovato fra l’uscio e il muro perché la bottiglia degli emoji, ammettiamolo, non era quella giusta per accompagnare l’emoticon a forma di torta che volevo dedicarvi, come se ti dicessi (magari all’orecchio, faccina sorniona) che non tutto il male vien per nuocere, dai, che il dolce, alla fine, lo tiri fuori. Magari sforzandoti un po’, certo, forse perché le torte ben fatte non le trovi a ogni angolo di strada. Però manca la bottiglia giusta. Magari sono solo io che non la vedo, tante sono le figurine. E così rovisto fra le emoticon della tastiera, ma il tappo, la silhouette, sono di uno spumante brut mentre io voglio il Moscato, dolce con dolce. Eccheccavolo, sono un sommelier, mica uno che s’improvvisa! Anche tra i bicchieri, vorrei quello giusto. Quello da cocktail non va bene, abbiate pazienza. E con le due flûte che tintinnano pare ch’io brindi solo con te, mentre davvero vorrei brindare con tutti voi alla fine di questo 2020, ma quella coppa a triangolo rovesciato, con tanto d’olivetta e stuzzicadenti, che ci azzecca? Bottiglia, bicchiere, torta… Vorrei tanto esprimervi qualcosa di bello, di buono, di giusto, ma le immagini precise, quelle davvero appropriate, scarseggiano. Un applauso, ecco, un applauso! Lo trovo subito e non è niente male. Un applauso a chi giungerà in fondo a questa lettera, a questo 2020, e a chi s’è fermato prima. Ci aggiungo anche due dita incrociate a scongiuro. E per scaramanzia declino ogni mano e ogni dito di ogni mano in ogni colore disponibile. Un applauso per ogni sfumatura epidermica, così nessuno si risente. Dopo tutto, le emoticon non sono forse state create per questo? Per evitare che qualcuno si faccia il sangue amaro per colpa di un fraintendimento? Un cuore rosso, invece, che male fa? Amore, affetto, desiderio, passione. E se ti pare inadeguato, cambiagli tonalità. Ma che significa un cuore verde? E viola? Verde d’invidia, viola portasfiga? Allora niente cuori, prima che il messaggio diventi imbarazzante. Perciò ho urgente bisogno di una faccina scherzosa, magari quella con una velata ironia e un lampo di follia che scombina i connotati dello smiley e li sfigura in un Joker senza Batman. Oppure quella ubriaca, con la bocca storta, gli occhi che van su e giù, la lingua penzoloni, tanto per dirti che tra tanti scossoni mi è venuta voglia di prendermi una sbronza con te per dimenticarmi di tutto, anche di questo momento, anche di te e di me, di come ti chiami e del perché sono qui a frugare tra tanti musetti gialli che, detto così, offende in un colpo solo due terzi dell’umanità, alla faccia degli emoji! Quindi clicco su tutti i fiori che vedo, perché i fiori sono sempre ben accetti, anche se non ne conoscerai mai il linguaggio e non sai se uno l’offendi o lo lusinghi. E allora in rapidissima sequenza clicco luna nuova con viso, brezel, racchetta e palla da lacrosse, arti figurative, tessera del puzzle, che messe insieme augurano buon anno nuovo e grandi ispirazioni per gli artisti di strada ma non solo. O, per lo meno, mi piace pensare che mi piaccia così: faccia arrossita, faccina con lingua di Menelik e cappellino da festa, faccia che manda un bacio. Torta, torta, torta. Gattino assonnato. Papavero, baobab. Tamarindo. Giorgio Giorgetti – 77 –


SWALLOW

Happy Hour to the Happy Few

e sogno era giapponese. r me la Sardegna,

rità e bellezza, lice e trasparente,

E 14,00

Giovanni Bernuzzi

Andante con bici

Ainas ospita una originale iniziativa editoriale. Happy Hour Edizioni è una collana edita dal 2020 da Bianca Laura Petretto e diretta dallo scrittore e poeta Giovanni Bernuzzi, che l’ha creata nel 2010. Pubblica pochi titoli all’anno prevalentemente di classici moderni e contemporanei e propone in copertina un’opera di artisti internazionali che fanno parte di Ainas. Piccoli e intensi volumi attentamente selezionati e realizzati con estrema cura, puntando sulla qualità etica ed estetica di una proposta editoriale innovativa con vocazione internazionale.

Giovanni Bernuzzi

Andante con bici

I classici Happy Hour Edizioni sono disponibili in tutte le librerie e sui siti di vendita online. per consultare il catalogo: https://ainasmagazine.com/happyhour-edizioni/

Happy Hour Edizioni

L’opera in copertina Demoiselle Dragonne è di Jean-Claude Borowiak

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AINAS MAGAZINE

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THE SONG OF AMERGIN Ashley Ashford-Brown 146x114 cm., cement on canvas, 2014

Finito di stampare nel mese di dicembre 2020


ISSN 2611-5271 € 33.00

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