Werther Cacciatori





IL NONNO: IL MILITARE, L’UOMO


Questa giornata, queste celebrazioni per cui vi ringraziamo, segnano in realtà per noi Cacciatori un ritorno a Leros. Sette anni fa, in occasione dei 70 anni di mio padre, siamo stati qui, in una sorta di pellegrinaggio laico dal profondo portato emotivo. L’isola in cui mio nonno ha combattuto è da sempre nella nostra geografia delle emozioni un luogo significativo e, in quella circostanza, essere qui con mio padre, i miei figli, mia moglie, ci ha permesso di riannodare i fili con un’esperienza dolorosa e bella al tempo stesso e di calarla nella realtà, in un’ideale trasmissione del testimone tra generazioni. Vedere i paesaggi che avevo sempre immaginato, calpestare gli stessi tratturi che aveva calpestato mio nonno, figurarmi le azioni, i momenti salienti della battaglia laddove si erano svolti, mi ha permesso di sovrapporre questa isola fisica con la nostra Lero, quella dei racconti che sentivo da bambino, quella riportata sulla motivazione della medaglia d’oro inquadrata e appesa in casa, quella che ha significato l’esistenza stessa della nostra famiglia.

Mio nonno non ha mai raccontato direttamente quello che accadde, se non per brevi cenni col fratello; le sue esperienze di guerra in famiglia le conosciamo tramite i verbali militari che ricostruiscono i fatti, raccogliendo tra le varie voci dei protagonisti anche la sua. Quando nel 16 novembre 1943, nell’infuriare della battaglia ridotta allo scontro all’arma bianca, una bomba a mano scoppia vicino a mio nonno, in pochi secondi si gioca la possibilità nostra di essere qui. i soldati tedeschi stanno salendo sul monte Meraviglia, mio nonno con una decina di uomini, tra militari inglesi e marinai italiani, rallenta la loro avanzata prima con gli ultimi pezzi di mitraglieria, poi a colpi di bombe a mano , un’esplosione gli riduce in poltiglia il braccio destro, ma lui imperterrito continua a lanciare bombe, quando un capitano tedesco lo punta, armato di mitragliatore; con slancio generoso e purtroppo a lui stesso fatale, il marinaio Pietro Cavezzali balza dalla sua piazzola con moschetto e baionetta innestata, trafigge il tedesco ma lui stesso cade esanime; da lì in poi, come spesso avviene nella vita, un insieme di circostanze giocano a favore di mio nonno e nostro.

Gravemente ferito si trascina al riparo nella grotta sede del comando inglese, un ufficiale gli appoggia addosso una loro divisa, per proteggerlo da ritorsioni anti-italiane; il dolore alla spalla è atroce, per non morire dissanguato solleva il braccio maciullato e se lo ripiega, il seguente tragitto verso l’ospedale non è privo di rischi: un aereo bombardiere si abbassa e fa fuoco, un suo attendente fa scudo a mio
nonno e miracolosamente sono solo sfiorati dai proiettili. Procedono, ma
vengono fermati da alcuni soldati tedeschi: capiscono che era lui a comandare sul monte Meraviglia, ma sulla vendetta ha la meglio il senso di rispetto per chi, pur a loro danno, ha combattuto con onore e lo lasciano andare. Gli amputeranno il braccio ma è salvo, sebbene provato intuisce che sul monte tutto è perduto e, come spiega nei verbali resi all’autorità militare, per questa amara delusione non esiste per lui sollievo.
Riceve le prime cure e l'8 dicembre lo imbarcano sulla nave ospedale Gradisca, diretta a Trieste con a bordo circa 800 prigionieri italiani e inglesi feriti o malati destinati a lager tedeschi, l’ennesimo colpo del destino va a suo vantaggio e la nave viene dirottata su Brindisi da cacciatorpedinieri

britannici, che fanno scendere gli infermi.
Trasferito prima all’ospedale militare di Francavilla e poi a quello di Bari, approda infine al centro mutilati di Giovinazzo. Viene collocato in congedo assoluto e iscritto al Ruolo d’Onore dal 15 marzo 1946.
Ma al di là delle vicissitudini belliche, chi è stato Werther Cacciatori, o meglio chi era prima di questi eventi e chi è diventato in conseguenza ?
Mio nonno aveva intrapreso la carriera militare dopo gli studi medi di indirizzo commerciale compiuti a Carrara: ammesso nel

1931 alla Scuola allievi ufficiali di complemento di Pola, un anno dopo nominato sottotenente di art. Assegnato al 1° reggimento da costa, viene collocato in congedo nel 1933. Dal settembre 1935 al giugno 1936, presta servizio nel gruppo autonomo di art. da costa della Sardegna. Tenente dal luglio
1937, è richiamato nuovamente nell’agosto 1939 presso il Comando del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno ed assegnato alla 177ª btr. nell’isola di Palmaria, dove viene promosso capitano dal gennaio 1942. Nel maggio 1943, come abbiamo visto, viene trasferito al Comando Difesa di Lero nell’Egeo, al comando della 127ª btr. da 90/53 in posizione su Monte Meraviglia. Insieme ai compagni, nella strenua difesa dell’isola, eroica anche se non coronata dal successo, vive i momenti già descritti, epici e tragici al tempo stesso, che cambieranno il suo destino.
Nel continuo susseguirsi di colpi di scena, che sembrano portarlo in salvo sempre a un soffio dalla fine, sarebbe banale leggere solo un disegno del destino, senza trovare una diretta consequenzialità nel suo carattere e nel suo modo di essere. Al netto delle circostanze fortunate e imprevedibili, certo gli interventi di due attendenti che a rischio della propria vita si espongono in due distinte circostanze per salvarlo, sono infatti da leggersi come frutto del rapporto instaurato con le truppe, guidate con fermezza e intrepida condivisione del pericolo. Mio nonno ebbe la fortuna di scampare per ben quattro volte alla morte: per lo scoppio che lo ferì soltanto, per la mitragliata che appena lo sfiorò, per la pietas del nemico tedesco che lo lasciò andare, per il dirottamento della nave che lo avrebbe portato verso un lager e quindi incontro a morte certa per la sua mutilazione; certo però ebbe sicuramente anche la capacità di costruirsi parte di questa fortuna: grazie alla stima guadagnata dei commilitoni che arrivarono ad aiutarlo addirittura a discapito della propria vita, grazie alla prontezza con cui si tamponò la ferita evitando il dissanguamento, grazie alla risolutezza con cui si trascinò dove avrebbero potuto raccoglierlo e assisterlo.

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Tratti che possiamo riconoscergli anche nell’approccio di vita tenuto dopo il congedo. Infatti, nominato Presidente della Federazione Nazionale Combattenti della Liguria, passa dalla carriera militare all’insegnamento dell’educazione fisica, presso l’Istituto per geometri e ragionieri Domenico Zaccagna a Carrara, trasferendo lo stesso volitivo rigore nella formazione di generazioni di studenti, a cui intese trasmettere il valore dello sport come guida ed esempio nell’affrontare la vita. Non visse mai la menomazione fisica come un limite alla pratica delle attività sportive, diventando lui in prima persona modello vivente di quella perseveranza e impegno che pretendeva, quasi con severità militare potremmo dire, dai suoi allievi. Da vero sportivo e con una forza di volontà incredibile, riusciva addirittura ad allenarsi agli anelli col solo braccio rimasto. Ma nonostante il carattere burbero e la rigidità che contraddistingueva il suo insegnamento, nel 2015, dopo 25 anni dalla sua morte avvenuta a Carrara il 12 febbraio 1990 all’età di 78 anni, l’Associazione ex allievi dell’Istituto Zaccagna, dove lungamente aveva insegnato, ha voluto erigere un monumento alla sua memoria. E questo è un ulteriore motivo per cui oggi siamo qui, con orgoglio ed emozione, per la nostra famiglia che si è formata perché mio nonno a questa battaglia è sopravvissuto, ma anche per la nostra città, Carrara, che ha riconosciuto lui e le sue azioni a Lero come parte di una storia più grande e ne ha voluto fissare il ricordo.

