Relazione finale dell'evento La formula dell'Europa - 4/5 maggio 2017- Roma

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Relazione finale

a cura di Mafalda Morganti, Raffaella Palmiero e Michelangelo Belletti


Sommario L’evento “La formula dell’Europa”

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Il programma del 4 maggio 2017

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Le storie che ispirano il cambiamento

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I tre workshop

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La mobilità per l’apprendimento attraverso gli Scambi di giovani (a cura di Raffaella Palmiero)

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Il Servizio Volontario Europeo e il Corpo Europeo di Solidarietà̀ (a cura di Mafalda Morganti)

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Fai tu il cambiamento! Diventa un change-maker (a cura di Michelangelo Belletti)

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La Human Chain

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Il programma del 5 maggio 2017

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Il team dei facilitatori

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Allegato 1 - Gli interventi

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Elena Viscusi: Unicuique suum, a ciascuno il suo: Retake Roma, un’esperienza di volontariato civico per la rigenerazione urbana

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Alice Stamerra e Filippo Staccioli: Uniti x Debullizzare

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Michele Tranquilli: Una rete per cambiare il mondo

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Marco Meloni: Partecipazione in movimento

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Susanna Vita: La mobilità è vivere la vita con entusiasmo

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Carlotta Delicato: Intraprendenza!

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Allegato 2 - Le biografie

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Elena Viscusi

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Alice Stamerra e Filippo Staccioli

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Michele Tranquilli

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Marco Meloni

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Susanna Vita

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Carlotta Delicato

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L’evento “La formula dell’Europa” Il 4 e 5 maggio 2017 più di 160 persone, soprattutto giovani tra i 20 ed i 30 anni, hanno partecipato all’evento che l’Agenzia Nazionale per i Giovani ha realizzato a Roma nell’ambito dell’8° edizione della Settimana Europea della Gioventù. L’iniziativa è stata anche l’occasione per celebrare i 30 anni di Erasmus, uno degli strumenti dell’UE più innovativi di partecipazione e valorizzazione della cittadinanza europea, e rientrava nel calendario degli eventi dedicati ai 60 anni dei Trattati di Roma. Gli obiettivi erano incentrati sull’approfondimento delle tematiche della solidarietà, dell’impegno sociale dei giovani, della partecipazione, dell’inclusione e sulla conoscenza di temi e priorità connessi ad Erasmus+:Gioventù, al fine di consentirne una sempre maggiore promozione. L’evento costituiva anche l’occasione per i giovani di entrare in contatto con i loro coetanei, acquisire informazioni utili al proprio percorso di crescita e formazione, fare rete e creare sinergie utili alla progettazione in ambito europeo. Le attività del 4 maggio hanno affrontato le tematiche della Settimana Europea della Gioventù comuni a livello europeo e si sono incentrate sulle testimonianze di giovani che hanno partecipato a progetti di mobilità e iniziative di cittadinanza attiva nell’ambito dell’educazione non formale, realizzando un cambiamento nelle proprie comunità; a queste testimonianze si è aggiunta la possibilità per tutti di approfondire i temi di fondo degli scambi giovanili, dello SVE e della tematica del cambiamento che parte dall’impegno personale di ciascuno. Il 5 maggio è stato invece dedicato ai festeggiamenti per i 30 anni di Erasmus: un talk show con il coinvolgimento di testimoni, che a diverso titolo, hanno vissuto a livello personale la dimensione della mobilità europea per motivi di studio, formazione professionale, volontariato.

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Il programma del 4 maggio 2017 15:30 APERTURA DEI LAVORI Saluti del Direttore generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani, Giacomo D’Arrigo -

La Settimana Europea della Gioventù: Shape it, Move it, Be it Da Erasmus a Erasmus+: 30 anni di mobilità in Europa Il Network dei Positive Role Models Il Corpo Europeo di Solidarietà

Intervento del Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba 16:30 STORIE DI GIOVANI CHE HANNO ISPIRATO IL CAMBIAMENTO E

Elena Viscusi - Unicuique suum, a ciascuno il suo: Retake Roma, un’esperienza di volontariato civico per la rigenerazione urbana

U

Alice Stamerra e Filippo Staccioli - Uniti per debullizzare

R

Michele Tranquilli - Una rete per cambiare il mondo

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Agnese Ciulla - Osare in tempi difficili

P

Marco Meloni - Partecipazione in movimento

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Susanna Vita - la mobilità è vivere la vita con entusiasmo

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Carlotta Delicato - Intraprendenza!

(a cura di Michelangelo Belletti) 18:00 INFORMAZIONI SULLE ATTIVITA’ NEI GRUPPI 18:10 APPROFONDIMENTI TEMATICI IN GRUPPO ▪ ▪ ▪

La mobilità per l’apprendimento attraverso gli Scambi di giovani (a cura di Raffaella Palmiero) Il Servizio Volontario Europeo e il Corpo Europeo di Solidarietà (a cura di Mafalda Morganti) Fai tu il cambiamento! Diventa un change maker (a cura di Michelangelo Belletti)

20:00 LA HUMAN CHAIN

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Le storie che ispirano il cambiamento Questa sezione del programma aveva come obiettivo ambizioso quello di scovare e far raccontare sette storie di testimoni, spesso connessi ad organizzazioni, che hanno fatto qualcosa per sé e per gli altri cercando di generare un cambiamento. Storie, quindi, da cui poter trarre ispirazione, non perché eccezionali (in questi tempi si usa spesso il termine “eroi”) bensì perché effettivamente alla portata di molti giovani. Tutte però con un comun denominatore: il cambiamento parte da me. La selezione delle storie e dei testimoni è stata condotta dall’ANG, che poi ha chiesto alla conduzione di individuare la modalità di presentazione e la gestione animata del format. Il modello a cui ci siamo ispirati è stato quello dei ted talks (www.tedtalks.com), eventi di diffusione di idee, che vale la pena raccontare, di stampo anglosassone ma oramai diffusosi anche a livello italiano. Le consegne che sono state date ai singoli speakers: a. tempo contingentato: 7’ da cronometrare in modo da non sforare; b. la richiesta di concentrarsi su un messaggio che si voleva dare, e cercare di farlo con la minor retorica possibile. Per questo è stato suggerito di lavorare molto sulla propria storia, perché quella mostra le decisioni ma anche i ripensamenti, i successi ma anche gli errori; c. la possibilità di disporre di slide di supporto, ma il più possibile essenziali sia come quantità sia come testo scritto; d. scrivere il testo completo dell’intervento, in modo da poter stabilire il tempo effettivamente necessario al racconto, ma anche per individuare gli elementi ridondanti, quelli da rendere più chiari o quelli da semplificare. A queste consegne (che richiamano i consigli dati agli speakers dei tedX, la cui guida è stata inviata a tutti i testimoni) se ne è aggiunta un’altra: scegliere una lettera della parola-guida EUROPEI e identificare un titolo esplicativo del proprio intervento che contenesse una parola con l’iniziare scelta. Questo vincolo era utile alla costruzione di un filo rosso minimo tra i diversi interventi, ma anche a stimolare la creatività nella scelta del titolo attraverso elementi costrittivi. I relatori si sono interfacciati con il conduttore prima dell’evento sia via skype sia attraverso mail, in modo da poter essere sostenuti nel lavoro di identificazione e costruzione del proprio racconto. Solamente con uno degli speaker individuati non è stata utilizzata questa modalità: l’assessora Agnese Ciulla, con cui si è concordato di fare una intervista. Durante l’evento, agli interventi degli speaker si sono aggiunti alcuni elementi di interazione gestiti dal conduttore. 4


Dopo lo speach di Elena Viscusi è stato proposto un sondaggio istantaneo (con kahoot, la piattaforma per creare questionari, test, quiz www.kahoot.it) su cosa sia più importante per i giovani oggi: le due risposte maggiormente scelte sono state “le competenze” e “assumersi rischi”. Con i ragazzi del Movimento MABASTA è stato lanciato il MABASTA challenge (si veda ad esempio https://www.youtube.com/watch?v=3KQUAxChSRs). Con Michele Tranquilli, che ha parlato di condivisione di competenze, è stato chiesto a tutti i partecipanti di pensare e scrivere quale competenza, tra quelle possedute, decidevano di mettere a disposizione per qualche azione di cambiamento da oggi in poi. Le competenze descritte sono state raccolte e allegate alla presente Relazione. Con Marco Meloni, che ha parlato dell’importanza di condividere i propri sogni in modo da agire insieme agli altri, è stato chiesto ai partecipanti di muoversi nella sala condividendo il proprio sogno di cambiamento con altri giovani, e di trovare persone in sintonia che avessero il desiderio di offrire il proprio sostegno per realizzarlo. Susanna Vita e Carlotta Delicato hanno invece risposto ad alcune domande poste dal conduttore in modo da approfondire alcuni elementi del loro messaggio. I testi degli interventi (eccetto l’intervista ad Agnese Ciulla) sono in allegato alla Relazione.

I tre workshop Le attività dei workshop sono state pensate come approfondimento di alcune tematiche legate al cambiamento, rilanciando la possibilità di una interazione che non era possibile nella fase di racconto delle storie dei testimoni, e valorizzando l’educazione non formale attraverso momenti di scambio, protagonismo, costruzione di pensieri condivisi in gruppo. I tre workshop hanno seguito un programma specifico che è descritto di seguito. Il 5 maggio sono stati riproposti in versione ridotta gli stessi workshop del giorno precedente, soprattutto per offrire la possibilità ai partecipanti di sperimentare un secondo laboratorio, tra quelli in programma.

La mobilità per l’apprendimento attraverso gli Scambi di giovani (a cura di Raffaella Palmiero) Obiettivi del laboratorio: • Stimolare la riflessione sul significato di incontro. • Attivare l’idea del cambiamento attraverso l’incontro con l’altro. • Facilitare l’accesso ai programmi di mobilità Erasmus+. • Chiarire scopi e obiettivi dell’azione Scambi di Giovani. • Evidenziare le competenze acquisibili attraverso la partecipazione a progetti di mobilità internazionale.

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Il workshop del 4 maggio ha visto la partecipazione di circa 45 giovani e si è svolto con il supporto del referente degli Scambi di giovani dell’ANG, Luca Pignocco. Prima attività: 1. Giro di presentazione abbinato ad un movimento di riconoscimento. 2. “So Do I” i partecipanti sono stati invitati a riflettere qualche minuto individualmente e a evidenziare graficamente 7 caratteristiche che li rappresentassero. Una volta sparsi i fogli con le caratteristiche dei partecipanti quest’ultimi sono stati invitati a leggere le parole scritte dagli altri. Il gruppo è stato poi invitato a condividere a turno una tra le parole che li caratterizzasse. un interesse, un hobby, etc.; nel momento in cui qualcun altro si fosse riconosciuto nella stessa caratteristica era invitato ad accomodarsi sulle gambe dell’altro. È seguita una riflessione/stimolo su quante cose in comune possiamo trovare con l’altro semplicemente dandosi la possibilità di condividere. 3. Introduzione sugli Scambi di giovani: obiettivi e caratteristiche. Con il supporto del referente dell’ANG, Luca Pignocco. 4. Dopo alcune domande circolari quali “cosa succede durante uno scambio?”, “cosa si apprende durante uno scambio?”, i partecipanti sono stati invitati a riflettere individualmente su quali sono le competenze acquisibili attraverso i progetti di mobilità giovanile. Un secondo step ha visto i partecipanti riunirsi in gruppi da 4 condividendo le proprie esperienze e aspettative rispetto all’apprendimento durante uno scambio. Un terzo step ha visto i giovani riunirsi in gruppi da 8 definendo le 8 competenze che ritenevano essenziali per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, acquisibili grazie agli scambi di giovani. La sessione si è chiusa con la lettura delle competenze evidenziate, tra le principali: 1- miglioramento espressivo in lingua straniera, 2- capacità di adattamento, 3- capacità di lavorare in contesti internazionali, 4- dimestichezza con i trasporti aerei e viaggi internazionali, 5- possibilità di creare network con altri giovani europei, 6- capacità di usare la creatività. 5. Valutazione dell’attività. I partecipanti sono stati invitati ad esprimere un parere sul workshop appena terminato. La valutazione si è conclusa positivamente, riscontrando l’interesse dei giovani e soddisfazione per le informazioni apprese. Viene evidenziato il desiderio di maggior tempo dedicato al workshop. 6. Conclusione: vengono forniti contatti di riferimento per la ricerca e la partecipazione agli scambi di giovani, invitando i partecipanti a non dimenticare di essere motori del proprio cambiamento, umano e professionale, e di quello del mondo che ci circonda. Il workshop si è ripetuto il giorno successivo con la partecipazione di 20 giovani studenti delle scuole superiori.

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Il Servizio Volontario Europeo e il Corpo Europeo di Solidarietà (a cura di Mafalda Morganti) Il workshop del 4 maggio ha visto la partecipazione di circa 30 tra giovani e rappresentanti di enti ed associazioni accreditati per il Servizio Volontario Europeo e si è svolto con il supporto della referente dello SVE dell’ANG, Fabiana Di Carlo. L’obiettivo principale del laboratorio era quello di stimolare una riflessione sui benefici e le possibilità di apprendimento offerte da un’esperienza di mobilità di medio e lungo termine, quali quelle proposte dal Servizio Volontario Europeo e dal Corpo Europeo di Solidarietà. In particolare, ci siamo concentrati sui temi della responsabilità, motivazione e senso di iniziativa dei giovani. Il laboratorio è stato strutturato nel seguente modo: 1. Dopo un breve benvenuto e una introduzione ai temi del laboratorio, i partecipanti sono stati invitati in cerchio a presentarsi al resto del gruppo, condividendo il proprio nome e la propria città e/o paese di provenienza. Al fine di rompere il ghiaccio, ai partecipanti è stato poi chiesto di alzarsi e, muovendosi nello spazio, incontrare e stringere la mano al maggior numero di persone possibili ripetendo il nome della persona incontrata per tre volte. 2. Dopo questa prima parte di conoscenza, ai partecipanti è stata data la prima consegna, cioè “a partire da adesso avete 8 minuti a disposizione”, senza nessun’altra spiegazione, se non specificando l’orario entro cui sarebbero dovuti essere tutti di ritorno. Dopo un primo momento di confusione e perplessità, il gruppo si è lentamente diviso. La maggior parte delle persone ha approfittato del tempo a disposizione per fumare, andare in bagno o controllare il cellulare, per lo più senza interagire con gli altri. 3. Una volta tornati, al gruppo è stata data la seconda consegna, cioè “a partire da adesso avete 8 minuti a disposizione per imparare qualcosa di nuovo, di qualsiasi tipo e in qualsiasi modo”, anche qui specificando bene l’orario di ritorno in plenaria. Questa volta nessun partecipante ha lasciato lo spazio di lavoro e tutti hanno reagito immediatamente, interagendo ed iniziando a dialogare con le persone a loro vicine. 4. Terminato il tempo a loro disposizione, tutti i partecipanti hanno condiviso a turno in plenaria cosa avessero imparato, come e da chi, evidenziando la ricchezza e la varietà delle informazioni emerse dal gruppo. Si è proceduto quindi ad un momento di debriefing, focalizzandosi principalmente sulla differenza tra la prima e la seconda consegna, i risultati emersi, il concetto di responsabilità ed apprendimento diretto, indiretto ed auto-diretto. Abbiamo cercato di vedere quali parallelismi potessero esserci tra questo esercizio e la scelta di usare il proprio tempo in modo diverso decidendo di partire per una esperienza SVE/CES. 5. Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere individualmente alla domanda “Se

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avessi un anno di tempo a mia disposizione per lavorare su me stesso, cosa farei?”. Una volta risposto, sono stati invitati a chiedersi il “perché” della loro risposta e di ripetere il processo domanda/risposta, sempre lavorando da soli, per tre volte. Al termine dell’esercizio, i partecipanti hanno avuto cinque minuti di tempo in gruppi da tre per condividere le proprie risposte e riflettere se le competenze da loro scelte potessero essere maturate attraverso una esperienza SVE/CES. Alla condivisione in gruppi ne è poi seguita un’altra breve in plenaria, raccogliendo le diverse riflessioni emerse. 6. A conclusione dell’esperienza, abbiamo lasciato lo spazio ai partecipanti per eventuali domande e/o dubbi specifici, alle quali abbiamo cercato di rispondere insieme alla referente dell’ANG, Fabiana di Carlo.

Fai tu il cambiamento! Diventa un change-maker (a cura di Michelangelo Belletti) Attivare l’idea che ciascuno possa smettere di lamentarsi e possa iniziare a cambiare le proprie azioni per produrre un cambiamento anche negli altri: questo era l’obiettivo principale del workshop. Le attività proposte: 1. un veloce giro di presentazione dei partecipanti (erano 54 i presenti al workshop): nomi e indicazione della propria provenienza geografica; 2. un primo gioco permetteva di mostrare come per poter costruire un cambiamento sia indispensabile che questo sia prima pensato, che il pensiero debba essere fuori dagli schemi del senso comune, attivando il pensiero divergente (J.P. Guilford, 1950). I partecipanti dovevano elencare individualmente il maggior numero di utilizzi diversi di una forchetta, cercando di uscire dagli schemi (la persona che ha ottenuto il miglior risultato ha individuato 25 possibili usi diversi); 3. un secondo gioco chiedeva di attivare la creatività per trovare la soluzione ad un problema. I partecipanti, a coppie, si trovavano legati tra di loro con un filo a mo’ di anelli di una catena e dovevano, agendo, riuscire a scindere la catena senza rompere il filo. Alcuni sono riusciti da soli, a volte per caso, altri hanno dovuto essere aiutati. Per tutti c’è stata l’impressione di una “magia” nella soluzione finale; 4. l’attività più lunga e importante è stata quella in cui i partecipanti sono stati suddivisi in gruppi di 4 ed è stato chiesto a ciascuno di individuare un problema della vita quotidiana che avrebbero voluto risolvere e che, almeno in parte, era nelle loro possibilità di poter essere risolto. Ai gruppi è stato poi chiesto di sceglierne uno e di trovare per questo problema almeno 5 possibili soluzioni concrete. I gruppi hanno dovuto affrontare una serie di difficoltà legate alle precomprensioni che inevitabilmente si hanno rispetto alla lettura della situazione, alla banalizzazione dei problemi, alle risposte pre-confezionate di buon senso, che però non reggono alla prima verifica di fattibilità (“se domani,

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tornando a casa, decideste di fare ciò che avete descritto, funzionerebbe?”), al definire cosa devono fare gli altri (su cui evidentemente non abbiamo alcun controllo). Le idee sono state raccolte dal conduttore. I risultati mettono in evidenza come sia veramente difficile uscire dagli schemi e quanto sia necessario un continuo allenamento.

La Human Chain La Commissione Europea ha pensato ad una azione condivisa per tutti gli eventi nazionali e locali nell’ambito della Settimana Europea della Gioventù che consisteva nell’alzarsi in piedi, stringere le mani dei vicini e comporre una catena umana, per mostrare il senso di solidarietà e di impegno nel continuare a costruire un’Unione europea inclusiva e diversa. Le catene umane avrebbero dovuto essere fotografate e postate sui social usando l’hastag #youthweek e #EuSolidarityCorps. La catena umana nell’ambito dell’evento “La formula dell’Europa” è stata realizzata al grido di “Human Chain”, includendo nella catena anche il dipinto effettuato da un giovane artista che interpretava un paesaggio europeo, poi ripresa e postata sui social network. In allegato le foto.

Il programma del 5 maggio 2017 Il 5 maggio è stato dedicato ai festeggiamenti per i 30 anni di Erasmus: un talk show ha visto il coinvolgimento di istituzioni, associazioni ed esponenti del mondo dello sport, con l’obiettivo di valorizzare le esperienze di Erasmus+, in particolare nel campo dell’educazione non formale, e promuovere la cittadinanza europea. Prima dell’inizio dell’evento è stato possibile per i partecipanti che lo desideravano di sperimentare uno degli altri workshop presentati il pomeriggio precedente. Il talk show è stato condotto da Pierluigi Pardo ed ha visto la presenza di alcuni testimonial delle varie esperienze di mobilità fornite da Erasmus+: dal percorso di studi all’estero al Servizio Volontario Europeo, passando dagli scambi giovanili ad altre esperienze straordinarie.

Il team dei facilitatori Michelangelo Belletti, chiamato anche Miguel per via della sua origine italoargentina, è un prodotto transnazionale fin dal concepimento. Ha iniziato a frequentare gli antenati di Erasmus plus nel 1994, e da lì in poi non è più riuscito a farne a meno. Animatore sociale e culturale, pedagogista, è presidente di un provider di educazione non formale di nome Vedogiovane s.c.s. e fondatore di Finis Terrae, Agenzia formativa accreditata. È padre di due figli maschi che prova a crescere bilingue.

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Raffaella Palmiero è una psicologa da circa 15 anni impegnata in progetti di prevenzione e intervento della devianza giovanile. Dal 2008 si occupa di gestione di progetti di scambio interculturale e formazione di operatori giovanili, educatori, insegnanti e operatori sociali. Ha organizzato progetti internazionali che coinvolgono partner provenienti da Europa, Africa, Asia e America Latina. Ha vissuto in Gran Bretagna, India e Guatemala lavorando con i bambini di strada. Al momento, gestisce l’Associazione Esplora, impegnata nella promozione del dialogo interculturale e della mobilità giovanile internazionale. Mafalda Morganti fa il suo primo entusiasmante incontro con il mondo degli scambi interculturali e dell’educazione non formale nel 2008, fondando a Viterbo, insieme ad un gruppo di coetanei, l’Associazione di Promozione Sociale Eutopia (di cui è presidente dal 2010) e iniziando a formarsi come progettista e facilitatrice. Dopo un anno passato in Repubblica Ceca come volontaria SVE, e un anno dedicato al percorso di formazione “Training of Trainers” promosso da Salto Resource and Training Center, inizia a lavorare a tempo pieno come formatrice. Specializzata nei temi di comunicazione e sviluppo personale attraverso metodi di teatro e storytelling, è al momento particolarmente attiva nel campo della formazione SVE grazie alle collaborazioni con la Cooperativa Sociale Muovimente di Viterbo (dove lavora come mentore SVE dal 2014) e il network Replay (dove, sempre dal 2014, si occupa dei cicli di formazione all’arrivo e valutazione di medio termine dei volontari SVE su scala nazionale).

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Allegato 1 - Gli interventi In questa sezione sono raccolti gli interventi fatti il primo giorno da parte dei testimonial, ad eccezione dell’intervista fatta all’Assessora Agnese Ciulla. Buona lettura!

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Elena Viscusi: Unicuique suum, a ciascuno il suo: Retake Roma, un’esperienza di volontariato civico per la rigenerazione urbana Sono molto felice e onorata di presentare Retake Roma in questa occasione, venticinque anni dopo il mio Erasmus. Sono arrivata a Brema, in Germania nell’autunno del ’91, appena due anni dopo la caduta del muro di Berlino: all’Università il dibattito era apertissimo, tanti discorsi, anche molte critiche, qualche paura. Quello che ho imparato, tra l’altro, è che con serietà, perseveranza e molto lavoro si può gestire anche un cambiamento enorme. E il mio impegno in Retake Roma, probabilmente, affonda le sue radici anche in quell’esperienza. Retake Roma è un’associazione di volontariato che promuove la cura degli spazi comuni della città, attraverso la partecipazione attiva delle persone che vi abitano. Ci siamo accorti di quanto sia trascurata questa città: scuole, aree verdi, strade, arredi urbani, mercati, monumenti e abbiamo deciso di non chiudere gli occhi, di reagire senza lamentarci, attraverso una forma di protesta propositiva, rimboccandoci le maniche e intervenendo in prima persona. Abbiamo un’idea di come la città dovrebbe essere, delle sue potenzialità e vogliamo innescare un cambiamento che deve coinvolgere tutti: cittadinanza, operatori economici e istituzioni. Ogni settimana centinaia di cittadini di ogni età, di varia estrazione sociale scendono in strada e si prendono cura di un pezzetto di città, spinti da motivazioni diverse. Con una breve indagine realizzata in uno dei nostri gruppi di zona, abbiamo raccolto le principali motivazioni che spingono le persone ad impegnarsi con noi: rafforzare il senso di comunità e di solidarietà, dare un esempio di educazione, sentirsi gratificati, mantenere la capacità di distinguere la bellezza dalla bruttezza, insegnare ai figli a rispettare la città, spronare le istituzioni a fare di più e meglio. Alla base di questo impegno costante vi è, dunque, la consapevolezza che la città è l’infrastruttura intorno alla quale organizziamo le nostre vite, viviamo le nostre relazioni, creiamo lavoro, produciamo ricchezza: in una città che funziona bene, è più pulita e più ordinata, dove si rispettano le regole minime della convivenza civile, si vive meglio, si cresce meglio, si lavora meglio.

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Siamo organizzati in gruppi di zona, cosa che ci permette una presenza capillare dal centro alla periferia e di costruire soluzioni sulla base delle conoscenze reali di chi ci abita. Siamo una struttura leggera che accoglie sensibilità molto diverse e dà spazio alla creatività di tutti. Una creatività che emerge dalla varietà di interventi che realizziamo. Abbiamo messo a punto diversi progetti tematici, tutti nati dalle idee e dalle esperienze di qualcuno di noi: Retake Scuole, un progetto che propone un percorso teorico e pratico di educazione civica, durante il quale insegnanti, allievi, allieve e famiglie si prendono cura dell’ambiente scolastico e delle sue vicinanze. Un progetto che unisce quindi sensibilizzazione e azione, come nel nostro stile. Retake Aziende, che coinvolge i dipendenti delle aziende nella cura del loro quartiere e sperimentare un nuovo modo di fare squadra e propone alle imprese una ulteriore forma per realizzare azioni di responsabilità sociale. Retake Cultura, che propone passeggiate guidate alla scoperta del patrimonio artistico e storico della città, durante le quali i partecipanti sono invitati a interventi di ripristino del decoro urbano come la raccolta di piccoli rifiuti. La guida alle segnalazioni, per mettere a disposizione di tutti la possibilità di segnalare ai giusti interlocutori guasti e disservizi e monitorare gli interventi. A breve, infine, partirà un ulteriore progetto, mirato agli esercizi commerciali, che lavorando sulla strada, sono soggetti decisivi per la cura degli spazi pubblici. Con le nostre azioni vogliamo dare l’esempio, dunque, per rafforzare il senso civico dei cittadini, ma anche richiedere alle istituzioni un livello dei servizi all’altezza di una grande città e della sua storia. Per questo abbiamo stipulato un accordo con l’Ama, l’azienda che gestisce i rifiuti a Roma, abbiamo contatti costanti con tutti i Municipi, con la Polizia locale, con l’azienda del trasposto pubblico, Atac, e con Acea, che gestisce i servizi di energia elettrica e acqua. Uno dei punti cruciali della nostra azione è, infatti, che nessuno può esimersi dalla responsabilità di migliorare questa città, ciascuno deve fare la sua parte, istituzioni in primis. Quello che vogliamo rappresentare per Roma è quello che, in occasione dell’Anniversario della Liberazione, Gregorio Arena di Labsus, il laboratorio della sussidiarietà ha scritto in un articolo, che mi ha commosso e onorato, dal titolo Dalla Resistenza ai cittadini attivi, un discorso che prosegue: oggi, come allora, “nei momenti di crisi, l’Italia è capace di mobilitare minoranze significative di cittadini motivati, competenti e solidali, che orientano la storia e indicano una strada possibile per uscire dalla crisi, liberando energie nascoste”. 13


Il mio invito personale è dunque quello di vivere il vostro tempo, imparare dagli altri, sentendo sempre forte, ovunque voi siate, il privilegio di essere nati in questo Paese e di utilizzare le vostre energie per difenderlo e onorarlo con i vostri comportamenti.

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Alice Stamerra e Filippo Staccioli: Uniti x Debullizzare Ciao, io sono Alice e lui è Filippo, siamo 2 dei 14 studenti della 2°A dell’Istituto “GalileiCosta” di Lecce che l’anno scorso, il 7 febbraio 2016, hanno creato MABASTA, che è l’acronimo di Movimento Anti Bullismo Animato da STudenti Adolescenti. L’abbiamo fatto perché volevamo fare qualcosa di concreto contro il bullismo ed il cyberbullismo. Abbiamo una pagina Facebook che ha oltre 34000 like. Sul nostro sito abbiamo registrato oltre 25.000 visite e, da quando siamo operativi, ci sono centinaia di articoli e servizi che parlano di noi su tutti i MEDIA: Tg, giornali, riviste e pubblicazioni web. In pochissimo tempo la nostra storia è diventata famosa in tutta Italia e, anche se abbiamo solo 15 anni, abbiamo avuto l’onore ed il piacere di conoscere l’Ex Ministro Stefania Giannini, la Presidente della Camera Laura Boldrini, l’attuale Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ed il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nell’autunno scorso, uno di noi ha persino ricevuto il titolo di Alfiere della Repubblica, uno dei più importanti riconoscimenti per ragazzi così giovani. Ma il momento più popolare in assoluto l’abbiamo avuto quando siamo saliti sul palco più prestigioso d’Italia, al FESTIVAL di SANREMO! Essere visti da 11 milioni di persone ci ha dato un’emozione che non scorderemo per tutta la nostra vita. Abbiamo anche realizzato un video sui social che ha superato il milione di visualizzazioni, ve lo facciamo vedere: (visualizzazione del video) Persino Piero Pelù e Ghigo dei Litfiba ci hanno chiesto un nostro video da lanciare ad ogni inizio concerto dell’Eutòpia Tour 2017: (visualizzazione del video) Tutto questo è bellissimo, ...ma fama, notorietà e like non risolvono il problema! Allora ci siamo posti un obiettivo: inventare azioni per creare tante CLASSI DEBULLIZZATE, ossia classi in cui non ci sono casi di bullismo e, se dovessero nascere, NEUTRALIZZARLI all’istante. Quindi, d’ora in poi, abbiamo da svolgere 2 compiti. Il primo è quello di aiutare le vittime spingendo soprattutto quelli che chiamiamo gli “spettatori” a smettere di stare lì a guardare e iniziare a segnalare subito ogni episodio senza paura.

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Il secondo è quello di creare una specie di pressione sociale così che Bulli e Bulle si sentano soli, spinti all’angolo e, possibilmente, aiutarli a superare in fretta il loro stato di malessere. Il primo passo sarà quello di creare una vera e propria ASSOCIAZIONE ONLUS, a cui possono aderire TUTTI I GIOVANI D’ITALIA! Abbiamo già iniziato a creare dei fondi con un’azione di CROWD FUNDING con cui abbiamo raccolto 5.000 euro che utilizzeremo per realizzare un CENTRO DI ASCOLTO DIGITALE per ricevere segnalazioni via smartphone e web. Vogliamo agire nello SPORT! Per quanto riguarda il calcio lanceremo la campagna “CALCIAMO IL BULLISMO” Nel Volley e nel Basket ci sarà “SCHIACCIAMO IL BULLISMO” mentre in tutti gli altri sport, BATTIAMO IL BULLISMO. Per sensibilizzare i giovani e tutto il pubblico dei social abbiamo lanciato il MABASTA CHALLENGE che consiste nel realizzare e pubblicare dei video in cui si urla “MABASTA” nel modo più curioso e divertente possibile. Una cosa molto curiosa è che le nostre azioni sono piaciute così tanto che alcune RAGAZZE e RAGAZZI di Tirana hanno persino ideato e lanciato MABASTA in ALBANIA! Ma la vera rivoluzione la realizzeremo quando riusciremo a unire vittime e spettatori in un unico grande “controbranco”. Ed è proprio per raggiungere questo obiettivo che introdurremo in ogni classe le figure di BULLIZIOTTI e BULLIZIOTTE ossia normali studenti con occhi e orecchie aperte per scoprire e segnalare casi di bullismo e cyberbullismo. Essi sono ragazzi e ragazze che: - sono rispettosi e rispettati (non temuti) - sono contrari ad ogni forma di bullismo - hanno la capacità di mettere pace - non dicono mai “io mi faccio i fatti miei” Hanno il compito di: - creare gruppo con tutti gli altri compagni (gli spettatori) e tentare di spegnere i focolai sul nascere - mettere pace spiegando a bulli e bulle che stanno creando sofferenza - riferire subito ai docenti nel caso in cui i tentativi non vanno a buon fine

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E poi vogliamo introdurre in tutte le scuole le BULLIBOX, ossia delle scatole ben posizionate in cui si possono imbucare delle segnalazioni anche in forma anonima. In definitiva... ... se questa è la vittima ... e questo è il bullo Vogliamo unirci tutti per DEBULLIZARE le scuole.

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Michele Tranquilli: Una rete per cambiare il mondo Ci sono persone che stimiamo moltissimo, che diventano per noi degli idoli. Dei veri e propri punti di riferimento. Sono persone che, attraverso le loro conquiste o le loro battaglie hanno cambiato il mondo, o lo stanno cambiando. Penso a Steve Jobs, a tutti i suoi sbagli e i suoi successi, a Elon Musk di Tesla e Space X, ma anche un campo dell’economia sociale come Muhammad Yunus, creatore del Micro credito o Gino Strada di Emergency. Sono giornalisti, ricercatori, imprenditori, economisti, attivisti, blogger. Insomma, dei giganti, dei veri propri miti. A molti piacerebbe lasciare il segno, essere portatori di cambiamento, ma in pochi, alla fine, ci riescono. Cosa accomuna allora le storie di questi personaggi? Spesso, a voler vedere, il filo comune che li unisce è questo: il coraggio di aver preso scelte davvero difficili, di aver rischiato tanto. A volte di aver fatto dei veri e propri salti nel buio. Anch’io, quando avevo 17 anni, avrei voluto cambiare il mondo, e infatti anche io ero intento a prendere una decisione davvero cruciale. La domanda era questa: avrei dovuto farmi comprare lo scooter o la moto da strada? Scelta difficile! La verità è che a 17 anni la mia vita era perfetta, non avevo un problema nella vita, un’ottima famiglia e studiavo in una buona scuola. Però non ero felice. Mi sentivo incastrato nei banchi di scuola, nella routine di tutti i giorni, e avevo capito che avrei dovuto fare qualcosa per cominciare a cambiare la mia vita, a percorrere la mia strada. E non la avrei percorsa nè con lo scooter nè con la moto da strada. In quel periodo, però, oltre alla moto, continuavo a pensare a una cosa così tanto spesso da essere diventata un’ossessione. Mio nonno, settant’anni fa esattamente alla mia età, era sulle montagne con altri ragazzi appena diciottenni, con dei fucili in mano, a fare la guerra e a liberare il nostro territorio. A Sparare, a rischiare di farsi ammazzare. Pensavo al loro coraggio, a come erano pronti a cambiare il loro mondo anche a costo di rimetterci la vita. Mi immagino le loro famiglie a casa, che non avevano più informazioni. E magari gli avrebbero voluto dire: chi te lo fa fare? Scendi, torna a casa, ma loro avrebbero risposto semplicemente con una parola: “Bisogna”. Bisogna lottare, bisogna cambiare il mondo. Per loro non era solo una scelta, era un dovere. Pensate: un’intera generazione di giovani ha dato la vita affinché noi potessimo scegliere di fare tutto ciò che vogliamo, e molti di noi cosa scelgono di fare? Niente! Quanti ragazzi ci sono che si lamentano del fatto che non hanno stimoli, non c’è niente da fare? 18


Così, ispirato da questa storia, ho preso il coraggio tra le mani e ho preso una decisione. Partire per l’Africa per un campo di volontariato. Così mi organizzo, raccolgo i soldi per le spese, parto. Con quella decisione si è aperto un nuovo capitolo, ma non per questo privo di errori. Per esempio: la domanda che in molti mi ponevano prima della partenza era: ma cosa ci vai a fare in Africa? La risposta era semplice. L'avevo schematizzata più o meno così: partire per l’Africa (da qualche parte) - salvare il mondo - tornare a casa. Il tutto, ovviamente, in poco meno di un mese. Probabilmente la stavo facendo un po’ troppo facile, tipo Art Attack: “ora salvate il mondo con un po’ di colla vinilica. Fatto? Molto bene”. Ovviamente non funziona così, e appena sono arrivato in Tanzania l’ho scoperto. Non solo ho capito di non essere indispensabile, come avrei voluto, ma mi sembrava di essere pure inutile! Così dopo un po’ di giorni chiedo se ci fosse almeno qualcosa che potessi fare per rendermi utile e mi dicono sì, stiamo per fare un orto, se vuoi puoi zappare con noi. Questa foto è la testimonianza di me nel campo, e anche del fatto che non avessi la minima idea di come si tiene in mano una zappa. Ero partito perché volevo aiutare gli altri, quell’esperienza mi aveva insegnato che se davvero si vuole trovare un modo per aiutare, bisogna prima di tutto mettersi in ascolto delle persone a cui si vuole portare un aiuto. E soprattutto, essere pronti a sporcarsi le mani. Passo quella estate e anche quella successiva in Tanzania, a zappare la terra, a spaccarmi le mani, ma il progetto agricolo che abbiamo creato per gli abitanti non ingrana e addirittura, a un certo punto, fallisce. Quello è stato un momento davvero drammatico. Sembrava così facile aiutare le persone e invece dopo due anni, nel posto più bisognoso della terra, non ero riuscito ad aiutare nessuno. Non in modo soddisfacente per lo meno. È in questo momento che sento forte il messaggio dei miei miti, e mi stanno dicendo una cosa: non mollare! Torno in Tanzania con un biglietto di tre mesi ma questa volta senza una meta precisa. Capito in un villaggio davvero povero, il villaggio di Ulete. Cerco di conoscere la comunità, di ascoltarla, di creare un sano rapporto di amicizia, e un giorno mi raccontano la loro idea: costruire una nuova scuola per i loro bambini. C’era una piccola capanna in cui i bambini passavano la giornata ma stava crollando e le condizioni dei piccoli erano davvero precarie. Non solo. Gli abitanti avevano anche cominciato a costruirsi a mano ventimila mattoni per la costruzione della scuola. Non

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avevano aspettato un aiuto da nessuno, si erano già dati da fare loro. Ora però, purtroppo, mancavano i fondi per reperire tutti gli altri materiali, e non erano pochi! Ammiro quelle persone ma mi sento triste a pensare che, purtroppo, non ho nessun modo per aiutarli. Non ho soldi, non sono un architetto, né un muratore. Insomma, non ho niente che possa essere utile. Alla sera, nella piccola stanza in cui dormivo, ripensavo a questa frase e mi sentivo triste. Davvero non ho niente da donare di mio che possa essere utile a queste persone? Possibile che io non abbia almeno una competenza mia che possa servire, almeno in parte, a queste persone? E poi la trovo. CONDIVIDERE Ecco cosa posso fare! Rendermi promotore di questa idea, fare da megafono, far conoscere la storia di quegli abitanti a molte altre persone. In un internet point racconto ai miei amici a casa del grande coraggio di quegli abitanti, pronti a costruirsi una scuola con le mani per i loro figli. Invito tutti i miei contatti a porsi la stessa domanda e a chiedersi: che cosa ho da donare? Non stavamo chiedendo semplicemente soldi: si può donare tempo, capacità professionali, organizzative, contatti. Chiedevo a quelle persone di mettere in condivisione le loro competenze. E ovviamente, di condividere a loro volta il messaggio! Come per miracolo in pochi mesi vengono organizzati centinaia di eventi indipendenti in tutta Italia, vengono raccolti 19.000 € e in 7 mesi in un campo dove prima crescevano banane ora c’era una nuova scuola materna perfettamente accessoriata con 140 bambini iscritti. In quel momento imparo la lezione più importante di tutte: avevamo fatto la differenza, avevamo cambiato un piccolo pezzo di mondo senza essere dei supereroi. Lo avevamo fatto facendo rete. Mi suonava chiara l’equazione che aveva reso possibile tutto ciò e che dice Una Buona Idea X la condivisione delle risorse X la buona volontà = un risultato concreto. Diamo un nome a questa rete di persone che si era resa partecipe di quel progetto e così nasce YouAid. Continuiamo a lavorare sperimentando la formula e negli anni, oltre alla scuola di Ulete, nascono un ospedale nel villaggio di Mahuninga, una fabbrica di olio e una scuola materna nel villaggio di Lumuli. Quello che abbiamo imparato da questa esperienza è che si può essere portatori di un cambiamento anche senza essere dei giganti, basta farlo dal basso, condividendo

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la nostra buona volontà e le nostre capacità. Basta essere pronti a prendere decisioni importanti, a rimboccarsi le maniche, ad ascoltare prima di parlare e a ricordarsi quel “bisogna”, quella chiamata che divide chi si è dato da fare per cambiare le cose e chi è stato fermo a guardare. O dentro, o fuori. Ma soprattutto ho imparato questo: a 17 anni sono partito per la Tanzania, a 7.000 km di distanza perché pensavo che fosse lì il mondo da cambiare. Oggi la nuova Africa, il mondo da cambiare è fuori dalle nostre porte, nelle nostre città, nei nostri palazzi. E il mondo lo hanno sempre cambiato i ventenni. YouAid ha scoperto un metodo di lavoro semplice ma efficace ed è un modello alla portata di tutti! È vostro, tocca a voi cambiare il mondo, essere portatori di cambiamento. Bisogna cambiarlo! Voi cosa rispondete? Dentro o fuori? Grazie a tutti!

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Marco Meloni: Partecipazione in movimento Un immenso poeta uruguayano-argentino, Eduardo Galeano, in un suo poema si interroga sul senso dell’utopia, sulla sua funzione e utilità. “Lei è all'orizzonte” fa affermare ad uno dei suoi personaggi. “Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là” prosegue. E allora che senso ha l’utopia? A cosa serve se non la raggiungerò mai? Galeano ci dice che “Serve proprio a questo: a camminare.” Quando mi è stato chiesto di essere qui, ho pensato che il mio piccolo contributo potesse essere raccontarvi una storia di un cammino personale e collettivo, la mia storia di partecipazione in movimento. Inizio a raccontarvi questa storia partendo dal 2006: i miei 16 anni, con tutta la frenesia emotiva, fisica ed ideologica che comportano; il mio primo scambio giovanile in Russia con l’Associazione TDM 2000; l’anno nel quale sono entrato a far parte di un club particolarmente folto nella mia Isola, ovvero l’anno nel quale mi è stato diagnosticato il diabete tipo 1. Da lì in poi, non mi sono più fermato, era tanta la mia curiosità e voglia, ho partecipato a decine di progetti dal Portogallo alla Turchia, dalla Lituania al Montenegro: tanti km, tante scoperte, tanti compagni di viaggio… Nel mentre portavo avanti il mio percorso formale, studiando al Liceo prima ed all’Università poi, tra esami ed impegno nella rappresentanza studentesca. Sino ad arrivare ad un momento chiave, un rilancio, il mio SVE in Argentina da febbraio a settembre 2014. Sentivo il bisogno di mettermi in discussione, passare da promuovere la mobilità e prenderne parte poco alla volta ad immergermi in una sfida più lunga e totalizzante. Ho scelto l’Argentina perché rappresentava una grande opportunità per conoscere una società in movimento. Volevo scoprire come un popolo può cadere e rialzarsi, come l’apprendere dalla differenza per generare cambiamento ed innovazione. La stessa associazione che mi aveva sempre accompagnato ha creato un ponte ed io mi sono candidato per attraversarlo. Per 8 mesi ho prestato servizio nell’estrema periferia della città di Rosario, nelle villas (le cosiddette baraccopoli) e nei Barrios popolari, in particolare uno di essi, al sud della città, che si sentiva abbandonato dallo Stato da anni, eccezion fatta per una mano di pittura bianca sugli edifici. Due attività più di altre hanno riempito le mie giornate. Nella prima, mi sono occupato di attività di sviluppo comunitario, passando per la costruzione di case di emergenza in collaborazione con la ONG TECHO. Tutto si basava e si basa su un patto di 22


partecipazione, chiaro e forte: io ti aiuto, se insieme a te si attivano i tuoi vicini, e, dopo averti e avervi aiutato, insieme aiuteremo altri. Io ho collaborato prevalentemente nelle attività di formazione dei volontari, imparando ogni giorno e cercando di trasmettere il più possibile, mettendo a disposizione testa, mani e voce. Nella seconda ho partecipato ad un progetto di recupero ecosostenibile e partecipativo, in collaborazione con il Comune di Rosario, con l’ambizioso obiettivo di riattivare un quartiere dal basso. Tutte le attività sono state legate da un filo conduttore: la Democrazia partecipativa. Decidere insieme ed insieme agire. Non solo una metodologia per prendere migliori decisioni nell’amministrazione pubblica, una idea diversa di società orizzontale, partecipante e co-responsabile. Me ne sono appassionato, anzi innamorato. Ho deciso di scrivere la mia tesi di laurea su questo tema e sulla mia esperienza diretta. Al mio ritorno in Sardegna, ho concluso il mio percorso di laurea magistrale e ho accettato una interessante opportunità lavorativa. Tuttavia, sentivo che il mio percorso rischiava di diventare troppo individuale e, dopo l’Argentina, era una scelta che non sentivo mia. A partire da questo, ho cercato una strada che mi permettesse di approfondire un tema utile alla società, con tutti i suoi rischi e le sue sfide. Oggi sono un giovane ricercatore ed un dottorando al Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra e studio le possibilità di uno scaling-up della democrazia partecipativa, in particolare attraverso il dialogo tra democrazia online e offline. Questa è la mia utopia che porta a camminare. Martha Medeiros in una sua meravigliosa poesia scrive “Lentamente muore chi non capovolge il tavolo […] chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno…” Ci hanno insegnato che quel “sogno” è individuale così come l’azione per raggiungerlo, io invece vi lascio con un’idea diversa: un “sogno” collettivo può essere più forte, si compone di percorsi e sogni individuali, ma di persone che guardano nella stessa direzione. Questo vale per ognuno di noi, vale per le comunità delle quali facciamo parte, vale per l’Europa. Oggi più che mai. Individuate il vostro sogno e trovate qualcuno con cui portarlo avanti. 23


Susanna Vita: La mobilità è vivere la vita con entusiasmo La mobilità è nel mio DNA. Sono italiana, figlia di italiani, emigranti da generazioni. Mio nonno, dopo la seconda guerra mondiale si trasferì in Brasile, e contemporaneamente i suoi fratelli in Germania e Gran Bretagna. Il motivo era per tutti lo stesso, ricominciare una nuova vita, partire all’estero in cerca di fortuna. Poi, alla fine, decisero di ritornare in Italia, ma ne tornarono cambiati; l’esperienza di mio nonno aveva insegnato a non fermarsi a ciò che si ha davanti agli occhi, a non focalizzarsi solo sull’Italia, ma a viaggiare, ad aprirsi all’altro, a scoprire l’universo che ci circonda. Mia madre e i suoi fratelli ne seguirono l’esempio, i miei zii partirono in Germania, in Svizzera e mia madre in Francia. Il viaggio ha caratterizzato tutta la mia vita. Appena nata sono partita da Reggio Calabria e mi sono trasferita a Sapri, in provincia di Salerno, poi siamo ritornati in Calabria. Gli anni successivi sono stati caratterizzati da un continuo sali e scendi per l’Italia, ho due culture e dialetti diversi (il campano ed il calabrese), e tre lingue straniere, l’italiano, il francese e il portoghese, “brasileiro” come diceva mio nonno. Questa è la fortuna più bella che potessi avere; da piccola avevo appreso tre lingue diverse come un gioco, e le usavo quando e come mi faceva comodo, quando volevo non farmi capire dagli altri parlavo in un’altra lingua, a seconda della situazione e del paese dove mi trovassi. Sono bilingue da quando sono nata, seppure italiana al 100%, ho avuto l’opportunità di conoscere una lingua, una cultura, un paese diverso dal mio natio perché descritto da chi quel posto l’aveva conosciuto, ho visto con i loro occhi, ho vissuto attraverso i loro racconti e ricordi. Questo mio bagaglio culturale mi ha portata ad intraprendere gli studi universitari di lingue straniere, per approfondire quella doppia cultura che vive in me. Col tempo ho capito che non mi bastava, ero affascinata dall’idea di andare al di là degli studi, volevo vivere, respirare, comprendere la cultura straniera che mi era stata tramandata, e le lingue mi hanno aperto un mondo, ho potuto vedere con i miei occhi una realtà prima solo immaginata. Volevo partire, e l’ho fatto troppo tardi, perché la paura e i dubbi erano padroni di quell’io che fin da piccola si affermava “francese”, che voleva vivere all’estero e sposare uno straniero.

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Decisi di fregarmene del giudizio degli altri e vivere a modo mio, prendere in mano i miei sogni e realizzarli. Mio padre non appoggiava le mie scelte, mi diceva di non perdere tempo e cercare un lavoro serio, ma sentivo che non stavo facendo le scelte giuste, non stavo vivendo la mia vita, ma ciò che gli altri volevano vivessi. Decisi di fare a modo mio, liberandomi da paure e giudizi, di affrontare la vita con entusiasmo, superando ogni ostacolo. Negli ultimi sette anni ho cambiato ben cinque volte paese, ho preso parte a vari progetti europei, Sve, Grundtvig, Comenius, Youth in action. È stato come aprire una scatola di cioccolatini…uno tira l’altro e non finisci più. Ho conosciuto persone meravigliose provenienti da tutto il mondo, ho capito che la paura di cambiare era stata la mia tara. La mobilità mi ha cambiato la vita, in meglio. Mi ha permesso di acquisire maggiore fiducia in me stessa, migliorare le competenze linguistiche e mi ha aperto nuove opportunità di lavoro all’estero. Ho lavorato in Spagna come assistente di lingua italiana alla Escuela Oficial de Idiomas di Ciudad Real, poi in Francia dove ho preso un diploma in turismo alberghiero e ho lavorato durante 4 anni a Disney a Parigi, e infine ho conseguito una specializzazione in didattica della lingua straniera. Perché vi dico tutto ciò? Ho imparato che viaggiare è scoprire, sperimentare, assaporare e sentire. È lasciarsi trasportare dalla scoperta e dall’incontro. Viaggiare è una sfida personale, è un arricchirsi e una scoperta al tempo stesso. Viaggiare è aprire lo spirito, gli occhi e il cuore ad altre culture, viaggiare ti cambia, scopri un nuovo te, che non conoscevi, ma che è sempre stato lì e che aspettava solo di venir fuori. Viaggiare è vivere la vita con entusiasmo. La comunità europea fornisce i mezzi per farlo, cogli questa opportunità, non aspettare come me, lasciati le paure alle spalle e fatti trasportare da questa esperienza meravigliosa, vedrai come ti cambierà la vita!

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Carlotta Delicato: Intraprendenza! Buongiorno a tutti, grazie all’Agenzia Nazionale Giovani, nella persona del direttore Giacomo d’Arrigo, per avermi invitato a partecipare e a raccontare la mia esperienza. Sicuramente il ruolo di “relatrice” o di “motivatrice”, non è quello che più mi si addice, mi trovo molto più a mio agio dietro i fornelli ed è in cucina che riesco ad esprimermi al meglio. Sono però contenta ed orgogliosa di essere qui oggi per poter trasmettere a dei ragazzi come me un messaggio che mi sta molto a cuore. Questo messaggio passa attraverso INTRAPRENDENZA. Vi spiego come:

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parole

chiave:

TALENTO

e

Per poter cambiare, per poter crescere e migliorare, sia come individui che come società bisogna partire dal TALENTO che ognuno di noi ha ricevuto. Molto spesso è difficile individuarlo, comprenderlo fino in fondo, ma ancora più spesso è difficile coltivarlo e metterlo in pratica. Nel mio caso ad esempio, mio padre voleva vedermi laureata in economia, ma la mia strada era un’altra: la cucina! E vi assicuro che non è stato affatto facile, all’inizio, inseguire questa mia passione. Poi, però, sono riuscita a dimostrare che quella che sembrava solo una passione, un hobby, un modo per rifiutare quello che la mia famiglia voleva “impormi” poteva essere qualcosa di più. Allora anche i più scettici (come mio padre) si sono resi conto di quale era il mio TALENTO e oggi sono i miei più grandi sostenitori. Ed ecco che per riuscire in questo “cambio di passo” entra in gioco l’INTRAPRENDENZA. Non si può aspettare immobili che le nostre capacità vengano valorizzate, ma bisogna essere protagonisti attivi del proprio cambiamento. E così ho fatto io. A 21 anni ho puntato tutto sul mio talento e grazie all’INTRAPRENDENZA (mia e dei miei soci) ho aperto il ristorante di cui oggi sono Chef. A dire la verità nel frattempo ho fatto anche qualche passo in più, come partecipare al programma televisivo HELL’S KITCHEN con Carlo Cracco e vincerlo (per chi non lo conoscesse HK è un reality show in onda su Sky dove i concorrenti sono 16 cuochi professionisti che si sfidano su varie prove di cucina). E così oggi posso dire di aver lavorato gomito a gomito con quelli che sono sempre stati i miei punti di riferimento: come gli chef Carlo Cracco e Massimo Bottura, inoltre sono Chef Consulente presso il JW MARRITT HOTEL di Venezia e ovviamente Chef e Titolare del “Venti2-Laboratorio di Cucina” a Cassino.

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Sono convinta che questo non debba essere il punto di arrivo ma quello di partenza! Ed ecco il messaggio che voglio condividere con voi: Cercate il vostro TALENTO, siate INTRAPRENDENTI e non fermatevi, così come dice San Bernardo in questa lettera ai monaci benedettini: “Correte fratelli, perché arriviate allo scopo. Il che avverrà se comprenderete che allo scopo non siete ancora giunti”.

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Allegato 2 - Le biografie Elena Viscusi Sono una volontaria di Retake Roma, per cui mi occupo in particolare della comunicazione istituzionale, oltre ad essere una delle amministratrici del gruppo di quartiere Appio Latino Tuscolano. Sempre come volontaria, sono tra le animatrici dell’Archeomitato, che promuove la conoscenza del patrimonio storico e archeologico del VII municipio di Roma. Per lavoro mi sono a lungo occupata di comunicazione del Fondo sociale europeo, mentre attualmente sono referente per il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, che finanzia programmi di reinserimento lavorativo. Per contattarmi: elena.viscusi@gmail.com

Alice Stamerra e Filippo Staccioli Sono due studenti che fanno parte del gruppo che ha fondato MABASTA! e che in questa occasione hanno rappresentato l’esperienza. “L’idea di "MaBasta" ci è venuta quando a gennaio 2016 abbiamo parlato in classe del caso della ragazza di Pordenone che ha tentato di farla finita perché non ce la faceva più a sopportare le azioni di bullismo da parte dei compagni. Siccome il nostro prof di informatica, Daniele Manni, ci diceva sempre che è molto meglio “fare” qualcosa anziché semplicemente parlarne, allora ci siamo chiesti cosa potessimo fare di concreto per almeno tentare di frenare questo bruttissimo fenomeno. Ci è venuto allora in mente di creare una specie di associazione di giovani e giovanissimi che, come noi, vogliono fermare il bullismo, per dimostrare alle bulle e ai bulli che quelli contrari sono molto più numerosi! Mabasta è nato il 7 febbraio 2016”

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Michele Tranquilli Michele Tranquilli si è laureato nel 2012 all’Università di Genova, in Scienze internazionali e diplomatiche. Nel dicembre 2005 viene invitato alla Commissione europea a partecipare alla conferenza sulle politiche giovanili “Youth Takes the Floor” come uno dei cinque membri italiani. Nel 2006 parte per la prima esperienza di volontariato in Tanzania che lo condurrà, nel 2008, a costruire con altri volontari la prima scuola “dal basso”, nel villaggio di Ulete. Da quella esperienza nasce la rete solidale YouAid, un’organizzazione non profit basata su un sistema di rete e condivisione della buona volontà. Nel 2010 collabora con il regista Davide Bonaldo per la realizzazione del documentario YouAid, il film – Viaggio attraverso i progetti della rete solidale; nel 2013, sempre insieme, realizzano per il “Corriere della Sera” la serie web YouAid, la cooperazione con le mani, che racconta della costruzione della scuola nel villaggio di Lumuli in soli trentadue giorni. Oggi tiene incontri e conferenze in molte scuole, università, teatri, ma anche in radio e in tv raccontando dell’esperienza della rete solidale YouAid e del metodo di fare del bene “con le mani”. Per Feltrinelli ha pubblicato Una buona idea (2017).

Marco Meloni Marco Meloni è un dottorando nel corso di “Democrazia nel XXI secolo” presso il Centro di Studi Sociali (CES), associato alla Facoltà di Economia dell’Università di Coimbra, Portogallo. Si è laureato con il massimo dei voti all'Università degli Studi di Cagliari nel 2015 in Governance e Sistema Globale (Relazioni internazionali). Durante la sua carriera professionale, ha lavorato come project manager e formatore in diversi progetti finanziati dall'Unione Europea, nell'ambito dei programmi Erasmus +, Gioventù in Azione, Leonardo e Europa per i cittadini, ed in numerosi progetti a livello locale. Dal mese di novembre del 2016 collabora con il progetto EMPATIA - Enabling Multichannel PArticipation Through ICT Adaptations, finanziato dal programma europeo Horizon 2020, Call: ICT-2015 / H2020ICT-201, e dal gennaio 2017 ha un contratto da giovane ricercatore.

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Susanna Vita Sono Susanna Vita, laureata in lingue e letterature straniere moderne. Ho vissuto tra Italia, Francia, Portogallo e Spagna, dove ho insegnato italiano alla scuola di lingue di Ciudad Real. Oggi vivo a Parigi dove ho lavorato a Disney e ho preso un diploma in turismo. Mi sono specializzata in didattica della lingua straniera e a breve inizierò un master in traduzione internazionale alla Sorbona. susanna_vita@libero.it

Carlotta Delicato La mia storia inizia nel 1994 grazie a Lucio e Mariella, i miei genitori, in un piccolo paese nella provincia di Frosinone. Da subito ho fatto capire di essere interessata più alla pratica che alla teoria, cimentandomi in diversi lavori come la fioraia, la wedding planner, la commessa, mentre la cucina era solo una necessità. Terminate con discreto successo le scuole superiori e intrapresa la carriera universitaria ad un certo punto mi rendo conto che cucinare stava diventando sempre più una passione e meno una necessità. Con coraggio, e contro il volere dei miei familiari, decido di iniziare un corso da cuoco presso l’Accademia Italiana Chef. Al termine del corso vengo selezionata come tutor per le lezioni dei corsi successivi, mentre nel frattempo mi faccio le ossa in qualche ristorante della zona. L’università è ormai un ricordo lontano: il mio obiettivo è cucinare.

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