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Notiziario Figisc-Anisa Confcommercio

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Area di Servizio è l’organo ufficiale della Figisc-Anisa-Confcommercio, l’associazione che da sempre rappresenta i gestori degli impianti di distribuzione carburante, i veri imprenditori delle stazioni di servizio. Area di Servizio vuole e deve essere sempre più vicino alle istanze che stanno segnando questa importante fase di cambiamento della categoria e della distribuzione di prodotti e servizi sugli impianti. Area di Servizio è uno strumento per favorire questa crescita e, per fare ciò, è necessaria la collaborazione di tutti i gestori: è compito di tutti diffondere e promuovere il nostro giornale, segnalare informazioni e fornitori affidabili, seguire i consigli che si trovano su queste pagine. La categoria è oggi al centro di un’attenzione interessata e speculativa che, spesso, non ha legami con la nostra realtà: Area di Servizio deve quindi diventare il punto di riferimento per tutti i gestori carburante.

Per iscrizioni e informazioni: Figisc - Anisa - Confcommercio P.zza G.G. Belli 2, 00153 Roma - tel. 06-58.66.351-417, fax 06-58.33.1724 e-mail: figisc@confcommercio.it - visitate il sito: www.figisc.it

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GESTORI IN COMMISSIONE ATTIVITA’ PRODUTTIVE CAMERA DEI DEPUTATI

I Presidenti di FAIB, FEGICA e FIGISC hanno partecipato in data 18 novembre ad una audizione della Commissione Xa Attività Produttive della Camera dei Deputati, indetta con tutte le organizzazioni di settore sul rilancio del commercio alla luce della crisi causata dall’emergenza epidemiologica. I rappresentanti dei Gestori esposto le problematiche della Categoria, alla luce delle urgenze determinate dalla recrudescenza epidemica che travaglia il Paese, evidenziando le misure necessarie al ristoro delle imprese del comparto, con il seguente documento:

Ruolo, responsabilità e compiti della categoria

• La distribuzione carburanti viene correttamente ritenuta un pubblico servizio essenziale, sia su rete ordinaria che lungo la viabilità autostradale, dove si è tuttora in regime di concessione pubblica. • Per questa ragione, di cui la categoria è pienamente consapevole, fin dall’inizio della emergenza pandemica le piccole imprese di gestione hanno orgogliosamente assicurato l’inin-

terrotto e capillare servizio lungo tutto il territorio nazionale, che ha garantito gli spostamenti delle persone ed il trasporto di ogni genere di merce. • Con ciò, assumendo di buon grado, per quanto non senza preoccupazioni, ma con tutte le cautele possibili, i rischi per la propria incolumità e quella dei propri dipendenti, oltre all’onere economico insito nel proseguire una attività colpita dalla naturale quanto rilevante contrazione della domanda di carburanti.

Le criticità sofferte

• La necessità di garantire l’apertura degli impianti per almeno 52 ore settimanali su rete ordinaria e senza soluzione di continuità h24 e 7 giorni su 7 su viabilità autostradale, impedisce di fatto ai Gestori non solo di comprimere gli ingenti costi fissi, ma persino, in larghissima parte, di usufruire della

Cig, della quale in altri settori si è potuto e si può ancora beneficiare. • Al contrario, come si è potuto già osservare, le misure vieppiù stringenti adottate per contenere la diffusione del Covid-19 (adozione dello smart working, chiusura anche parziale e/o temporanea delle scuole, chiusura dei centri sportivi e delle attività ricreative, chiusura anche parziale delle altre attività commerciali) si riverberano immediatamente e in misura imponente su tutte le attività presenti, anche cosiddette “non oil”, presso gli impianti di rifornimento carburanti. • È sufficiente appena accennare al fatto che, nei mesi di lockdown, i volumi di vendita dei carburanti hanno subito la perdita dell’81% medio su rete ordinaria e fino al 93% in autostrada. Perdita lontana dall’essere recuperata per intero anche durante il periodo seguente.

Gli interventi a sostegno nella Fase 1 Dal settore

• Le piccole imprese di Gestione si sono fatte carico di rischi, oneri e responsabilità anche per conto di tutti gli altri soggetti della filiera, tra cui compagnie petrolifere e concessionari autostradali. • Per questo, il 25 marzo scorso il Ministro Patuanelli, di concerto con il Ministro De Micheli, hanno istituito un tavolo ministeriale perché fossero trovate risorse in parte anche all’interno del settore, per sostenere le medesime gestioni, a cominciare da quelle delle aree autostradali. • In realtà, a tutt’oggi si è in attesa di sapere quali risorse concessionari e compagnie abbiano destinato ai Gestori e in quali tempi e modi intendano loro trasferirli.

Dal Governo

• Il Governo, nella sua collegialità, ha correttamente tenuto fede agli impegni assunti con la categoria, prima di tutto inserendo l’attività di distribuzione carburanti tra quelle che hanno beneficiato delle misure di carattere generale, dai finanziamenti agevolati, ai contributi a fondo perduto. • Inoltre, per compensare l’impossibilità di beneficiare della Cig, ha ritenuto di inserire, con l’art. 40 del DL n. 34 del 19.5.2020, una misura che consentisse alle Gestioni delle aree autostradali di trasformare in contributi figurativi gli oneri contributivi a carico delle imprese e dei dipendenti, misura che, tuttavia, è ancora priva del necessario Decreto attuativo ministeriale.

Le richieste della categoria al Mise e al Governo

a. Confermare, diversamente da quanto risulta al momento, l’inserimento della distribuzione carburanti tra le attività che beneficiano dei provvedimenti di carattere generale previsti dai cosiddetti Decreti Ristori, emanati o emanandi, in funzione della perdita di fatturato. b.Estendere anche alle piccole imprese di gestione di rete ordinaria, la misura relativa ai contributi figurativi. c. Emanare i Decreti attuativi ministeriali ancora attesi. d.Esercitare la “moral suasion” nei confronti di concessionari autostradali e compagnie petrolifere perché rispondano degli impegni loro sollecitati dal Ministro Patuanelli. e. Rendere flessibili per il periodo di emergenza sanitaria, pur garantendo la continuità del pubblico servizio essenziale, gli orari di apertura degli impianti: 40 ore settimanali minimo per la rete ordinaria; sospensione con turnazione del servizio dalle 22.00 alle 5.00.

Il rilancio del settore carburanti

• Il solco tracciato dal Parlamento con la “Risoluzione De

Toma” che impegna il Governo • Oltre e indipendentemente dalle misure necessarie a contrastare l’emergenza, forse proprio per cogliere le opportunità che la medesima emergenza può comunque fornire, appare ormai indispensabile che il settore dei carburanti sia finalmente interessato da una forte azione di riforma. • A codesta Commissione, che ha saputo cogliere i pressanti richiami provenienti dalla categoria pur in tempi meno allarmanti, approvando all’unanimità la Risoluzione De Toma, le audite Federazioni sono a chiedere che il Mise sia sollecitato a dare adeguato seguito agli impegni che il Parlamento le ha affidato. • Per rendere più efficiente la rete distributiva e produttiva l’attività svolta; per contrastare i sempre più diffusi comportamenti illegali; per richiamare al mercato italiano gli investimenti delle multinazionali che nel frattempo sono fuggite; perché una rete distributiva ammodernata possa contribuire attivamente alla transizione energetica attraverso l’offerta di prodotti alternativi quali l’elettrico, il GNL, i carburanti sintetici.

GESTORI CHIEDONO AD AZIENDE RINNOVO ACCORDI COVID

Prot. n. 88/2020 05.11.2020 Comunicazione via Pec anticipata via posta elettronica Oggetto: Problematiche relative al rinnovo di intese necessarie a definire iniziative per i Gestori della viabilità ordinaria a seguito degli emanati provvedimenti limitativi del traffico e degli spostamenti fra Comuni/Regioni a seguito della persistenza della pandemia Covid-19.

Egregio Direttore, le scriventi Federazioni intendono porre all’attenzione della sua Azienda il quadro che emerge da un’attenta disamina della condizione economica delle gestioni degli impianti posti lungo la viabilità ordinaria. Condizione che, come è giusto che sia, è perfettamente nota e costantemente monitorata da codesta Azienda. Ci sono problematiche che, come è noto, sono rimaste in sospeso, come ad esempio: • quella relativa agli affitti passivi per i quali andrà definita una

“moratoria” che potrà terminare solo con la ripresa normale

delle attività e dovrà ricomprendere anche il periodo settembre/dicembre 2020; • verifica della validità (o eventuale proroga) delle Polizze Covid per i gestori/collaboratori, o dei ristori in caso di chiusura forzata degli impianti; • deroga sui drop e rimodulazione delle dilazioni pagamento. Insomma un quadro complesso che necessita di urgente approfondimento. Abbiamo a tal proposito rivisitato gli accordi che la sua Azienda aveva a suo tempo sottoscritto con le scriventi Federazioni che alleghiamo in copia. Sulla scorta di queste considerazioni, le scriventi chiedono un urgente incontro riservandosi anche di inviare una dettagliata informativa al Mit ed al Mise per chiedere che nei provvedimenti e nelle iniziative, ci sia coerenza con lo stato di gravità della situazione. Le scriventi rimangono in attesa di un cortese cenno di riscontro.

CONVEGNO OIL&NONOIL: SINTESI INTERVENTO DEL PRESIDENTE FIGISC BRUNO BEARZI

Le nuove prospettive di razionalizzazione e ammodernamento della rete: la risoluzione De Toma

La Risoluzione De Toma fotografa le criticità del settore. Anche se dopo il passaggio delle audizioni in Xa commissione risulta abbondantemente diluita. In relazione agli aspetti legati alla contrattualistica (alla lettera F della risoluzione originaria), sono necessari interventi normativi sia in termini di tutela dall’elusione delle norme sulle tipologie vigenti che di sviluppo e codifica di nuove tipologie contrattuali che tengano conto: • della necessità di eque condizioni per competere in relazione ai prezzi di cessione dei prodotti dai fornitori (art. 17 l. 24 marzo 2012 n. 27). • della necessità di tutelare la sostenibilità economica delle imprese finali di distribuzione. In questo quadro si inserisce la proposta FIGISC/ANISA, che da oltre un anno stiamo portando a conoscenza dei gestori nei vari incontri sul territorio, sia pure con i limiti imposti dall’emergenza epidemiologica nel corso del corrente anno. La proposta prefigura il “Contratto di Affitto d’Azienda”, laddove il gestore mantiene con la controparte, il rapporto di esclusiva per la fornitura del carburante, nel contempo garantisce le politiche commerciali, dalle carte petrolifere, alle loyalty e quant’altro legato al Marchio. Il prezzo dovrebbe essere allineato ai prezzi di cessione praticate all’extrarete, in modo da acquisire equità nelle condizioni di competizione, e il rivenditore finale/gestore dovrebbe garantire al fornitore/proprietario un affitto d’azienda per l’utilizzo del network complessivo, impianto e marchio incluso, che tenga conto del mantenimento in essere dell’esclusiva. In questo modo il gestore (finalmente “imprenditore” e non più semplice soggetto subordinato privo di autonomia sostanziale sul prezzo) avrebbe facoltà, in base ai suoi costi, di fissare il prezzo di rivendita così come avviene usualmente al mercato “ordinario” del commercio. La proposta ha la peculiarità di garantire tutti: • garantisce il fornitore mantenendo il contratto di fornitura di esclusiva e sulle sue iniziative commerciali; • garantisce l’utente finale perché il prodotto che va ad acquistare ha la certezza di qualità legato al marchio e l’uniformità delle condizioni di accesso al prezzo sull’intera rete; • garantisce l’Erario, perché quei prodotti, arrivando dalla filiera controllata, hanno assolto tutte le imposte dovute; • ovviamente ridà dignità al lavoro del Gestore, che attualmente è quasi un lavoratore “parasubordinato”, in una situazione di totale dipendenza economica. Contestualmente, si dovranno maggiormente tutelare il contratto di comodato, il rispetto delle “eque condizioni per competere” già previste genericamente dalle norme vigenti, contrastare le condotte elusive della contrattazione collettiva, far decollare il contratto di commissione, nonché tipizzare eventuali tipologie contrattuali diverse, oggi correnti abusivamente come “appalto di servizi”, “guardiania” ecc. In relazione alla tematica della ristrutturazione della rete (di cui alla lettera A della risoluzione originale): In premessa, si osserva che il dilagare di comportamenti illegali, la fuga delle multinazionali, la cronica mancanza degli operatori del settore, grandi e piccoli, ad assumere responsabilità complessive e di “sistema”, infine le drammatiche conseguenze del “covid-19”, obbligano al varo di riforme urgenti, razionali e e dettate in forma coattiva. Le finalità della razionalizzazione “forzosa” sono le seguenti: • perseguire una modernizzazione graduale della rete correlata alla pluriennale fase di transizione energetica sostenibile della mobilità di merci e persone, operata attraverso la rimozione delle parti di rete marginali non più idonee a garantire giustificazione e sostenibilità economica nonché potenzialità di investimenti funzionali alla transizione stessa; • costituire un deterrente alla illegalità fiscale (che sottrae attualmente alla collettività e al mercato legale circa otto miliardi di gettito erariale e un miliardo e mezzo di margine industriale lordo) connessa alla commercializzazione e immissione in consumo di prodotti per autotrazione oggetto di contrabbando, elusione e frode; • favorire l’incremento dell’erogato medio e della produttività; • ottenere un efficientamento del tasso di controllo amministrativo e fiscale sulla rete; • ricostruzione di un sistema regolatorio certo a cui gli operatori possano fare riferimento per ricercare il giusto equilibrio tra competizione e remunerazione dell’attività intrapresa; • operare proattivamente per la rimessa in disponibilità di risorse da investire per l’ammodernamento degli impianti e nuovi servizi, favorendo il ripristino di condizioni idonee a un ritorno sulla rete di operatori strutturati/integrati. Gli strumenti sono identificati nei seguenti punti: • chiusura nel triennio 2021/2023 di un congruo numero di impianti che porti a un dimensionamento della rete in linea con quella dei Paesi europei più modernizzati privilegiando sia criteri di efficienza che soglie di riduzione predeterminate; • chiusura dei punti vendita con erogato annuo inferiore a 600 klt., con assenza di attività diverse e servizi integrati, o inattivi perché abbandonati dal Gestore per redditività inferiore alla

“soglia minima di sopravvivenza”; • moratoria su nuove aperture nel triennio, con deroga esclusiva per nuove rilevanti urbanizzazioni tali, per consistenza di un nuovo bacino di servizio da esse derivante, da garantire sostenibilità economica, e salva una “riserva” limitata di aperture annuali; • meccanismi premiali per l’incentivazione alle chiusure mediante riduzione del contributo pro/litro destinato alle risorse per il Fondo al quale dovrebbe, oltre alla consolidata finalità di indennizzare i gestori in uscita dalla rete, essere conferita la rete in dismissione per gestirne smantellamento strutturale e bonifica ambientale; • meccanismi sanzionatori che, oltre ai criteri di natura quan-

titativa e efficientistica, operino per una riduzione della rete nei casi in cui non siano osservate le regole di legalità fiscale e contabile e non sia ottemperata la regolarità delle relazioni commerciali del settore; • revoca delle autorizzazioni (o concessioni se così disciplinate) in capo a titolari di cui sia stata acclarata la complicità nella immissione sulla rete di prodotti per autotrazione in condizioni di illegalità, contrabbando, alterazione, elusione e frode fiscale; • revoca delle autorizzazioni in capo a titolari che, nell’affidamento in gestione del punto vendita, non applichino esclusivamente istituti contrattuali concordati, tipizzati e depositati secondo le disposizioni di cui alla Legge 27/2012, art. 17.

CHIUSURA OBBLIGATORIA DI 10 MILA PUNTI VENDITA CARBURANTI IN TRE ANNI

Carburanti: imporre a compagnie e retisti la chiusura di 10 mila impianti in tre anni. I Gestori presentano il modello per una rete razionale per battere i fuorilegge e dare un futuro al settore.

40 anni di interventi legislativi per tentare di razionalizzare la rete distributiva dei carburanti: il primo con il DPCM 8/7/1978, l’ultimo con la legge 124/2017. L’unico tentativo riuscito è avvenuto in epoca di concessione pubblica: da più di 38 mila impianti nel 1978, a meno di 25 mila nel 1998. Liberalizzazioni e “aperture” del mercato hanno fallito miseramente. Risultato: le Regole sono state allentate e gli impianti continuano ad aumentare; l’economicità degli operatori onesti (quei pochi che rimangono) si assottiglia e i criminali fanno affari d’oro! Secondo i dati del Mise al 1/10/2020 sono 23.805, contro i 22.460 del 21/10/2019: 1.345 i punti vendita in più, solo negli ultimi 12 mesi (e nonostante il Covid-19). L’erogato medio annuo per impianto in Italia è di 1.367 mila l, contro i 3.460 mila in Germania, i 3.912 mila in Francia e i 4.155 mila in Gran Bretagna. Una giungla inestricabile e incontrollabile di marchi esposti al pubblico (237) e di soggetti di ogni risma che li posseggono senza che il pubblico lo possa sapere (1.083). Di questi, solo 6 sono compagnie petrolifere integrate, dopo che tutte le multinazionali (prima Shell, poi Esso e infine Total) sono letteralmente fuggite dal mercato italiano, senza che la Politica (ma neanche il settore) si sia nemmeno posto il problema, se non altro, delle conseguenze. Secondo il Procuratore di Trento, Dottor Raimondi, audito in Parlamento il 5/11/2019, “Nella distribuzione carburanti c’è un ingresso incontrollato di soggetti. Il traffico illecito di prodotti petroliferi ha assunto una rilevanza estremamente pesante e pericolosa anche per il controllo da parte della criminalità organizzata. Il 30% del venduto sfugge all’imposizione fiscale per un valore di circa 10-12 miliardi di euro”. Secondo il MEF, già nel 2016, oltre 5 mila impianti dichiaravano di aver venduto meno di 300 mila l, impianti i cui proprietari, nella stragrande maggioranza dei casi, continuano a non chiudere nonostante la loro insostenibilità economica, con ogni evidenza conclamata, se quanto ufficialmente dichiarato corrispondesse al vero. È questo il contesto nel quale i Gestori, pur essendo letteralmente l’ultimo anello della filiera, hanno deciso di assumere l’iniziativa (altrimenti del tutto assente, nonostante sollecitazioni e appelli alle altre componenti del settore, ben più responsabili, autorevoli e ricche), rendendo pubblico nel corso della fiera Oil&Nonoil, il loro modello di riforma per una rete più efficiente e razionale. Obiettivi dichiarati del modello: imporre a compagnie e retisti la chiusura di 10 mila impianti inefficienti (sotto i 600 mila l dichiarati, senza attività integrative, abbandonati dal Gestore) + 150 in autostrada, tra il 2021 e il 2023, per ottenere una rete più snella, favorire i controlli degli organi ispettivi e aumentare l’indice di produttività per impianto. Di conseguenza, restituire alla collettività almeno 8 miliardi di euro di gettito erariale evaso e almeno 1,4 miliardi al mercato e agli operatori onesti; ricostruire un sistema regolatorio certo, favorire il rientro delle multinazionali; attirare nuovi investimenti da dedicare alla modernizzazione della rete in coerenza con una mobilità sostenibile sul piano ambientale e con l’attuale fase di transizione energetica. Strumenti essenziali del modello: il Fondo Pubblico a cui i proprietari debbono conferire gli impianti da portare in chiusura, per garantire trasparenza, effettivo smantellamento e il relativo rispetto dei tempi e degli standard legislativi per la bonifica ambientale; il Durn carburanti con il quale i proprietari degli impianti debbono certificare di non aver pendenze con la Giustizia e di aver pienamente rispettato le leggi speciali di settore.

NUOVA PROPOSTA PER LA RAZIONALIZZAZIONE DELLA RETE

Ridurre “forzosamente” la rete carburanti di 10 miala impianti nell’arco del triennio 2021-23 per provare a restituire efficienza e redditività alla distribuzione, elevando l’erogato medio dagli attuali 1,367 milioni di litri a 3-4 milioni di litri, in linea con i Paesi europei più avanzati in questo campo.

Tali gli obiettivi e gli strumenti indicati da FAIB, FEGICA e FIGISC (presentati nel convegno di apertura della fiera Oil&nonOil) per tentare di risolvere la quarantennale questione della razionalizzazione della rete. Per evitare l’inefficacia dei precedenti tentativi di razionalizzazione, oltre alla forzosità ex lege, tratta di prendere esempio da altre esperienze di Paesi comunitari, come ad esempio l’Olanda, in cui i punti vendita selezionati per lo smantellamento vengono conferiti dai proprietari a un Fondo pubblico che ne gestisca smantellamento e bonifica ambientale. In Italia tale compito potrebbe essere assegnato al Fondo indennizzi vigente, a fronte delle implementazioni normative per allargarne le competenze e definire le risorse necessarie. Risorse che consterebbero in circa 800 milioni di euro nel triennio, equivalenti a 9 millesimi/litro stimando le quantità di carburanti venduti in Italia, e che comprenderebbero sia i costi di smantellamento e bonifica che gli ammortizzatori sociali per i gestori che è stata la finalizzazione dell’istituzione del Fondo stesso. Secondo gli indirizzi del documento, oltre alla quota “fissa” di chiusure al 40% delle singole reti, vi sono anche parametri relativi alla efficienza e redditività dei singoli punti vendita: chiusura automatica per gli impianti con erogati inferiori a 600 mila litri, inesistenza di servizi integrativi, assenza del gestore per redditività inferiore al minimo per garantire la giustificazione della gestione. Fattori di flessibilità e meccanismi premiali sono costituiti, invece, da riduzione del contributo al Fondo per chi chiude impianti, “cedibilità” sulla quota di impianti da chiudere (chi non chiude può pagare un altro titolare che chiuda impianti in numero superiore alla quota assegnata. Sono previste altresì “franchigie” mediante esclusione dall’obbligo di chiusura per i titolari che al 30.09.2020 risultassero proprietari di meno di venti punti vendita. Si prevede anche nel triennio una moratoria temporanea per nuove aperture, un blocco non totale, in quanto è prevista una riserva di 200 nuove aperture per anno, gestita dal Fondo, a disposizione di nuovi soggetti non ancora titolari alla predetta data del 30.09.2020, o per fattori di urbanizzazione significativa da poter costituire un nuovo bacino di utenza da servire. Razionalizzazione che dovrebbe anche reggersi su norme di revoca dell’autorizzazione per inosservanza delle corrette regole inerenti ai rapporti contrattuali con le gestioni e/o nel caso di fiancheggiamento della illegalità fiscale. Sul punto la proposta è quella di introdurre una sorta di “Documento unico di rispetto della normativa carburanti” con il quale ciascun singolo titolare di autorizzazione o, nel caso, concessione, autocertifichi sotto responsabilità di possedere i seguenti requisiti: non aver riportato condanne penali e non essere destinatario di provvedimenti civili e amministrativi ai sensi della vigente normativa; non essere destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231; aver dato piena applicazione alle norme speciali di settore.

BEARZI: A CHI GIOVANO DAVVERO FRAMMENTAZIONE E DELEGITTIMAZIONE?

Il Presidente FIGISC, nel contesto delle trattative con le compagnie, lancia un appello a non esasperare le divisioni all’interno della Categoria.

Moltiplicandosi le attese (e anche alcune polemiche) sulle sorti della trattativa per l’accordo con ENI, mi sento in dovere di prendere posizione, con una lettera aperta che avrà corso anche sui social, su un paio di questioni, una ben specifica che riguarda la trattativa in corso con ENI, una più ampia che riguarda in generale la situazione nella categoria. Immagino che questa posizione solleverà nel mare già agitato onde di commenti, polemiche e probabilmente anche attacchi personali (sperando che qualche “Napalm 51”, per citare Crozza, non si spinga a insulti da dover far scomodare l’avvocato), ma ciò non toglie che forse sia necessaria, nel migliore dei casi, almeno come contributo al dibattito. È in corso la trattativa con ENI per la negoziazione di un accordo sostitutivo di quello del 2014, da anni ormai scaduto. Così alla fine di luglio come alla fine di settembre i due incontri preliminari hanno avuto al centro tutte le considerazioni generali e specifiche che le associazioni hanno posto all’azienda (le ricadute del lockdown, la sempre minore sostenibilità economica, l’adeguamento dei margini, la definizione della vacanza

Bruno Bearzi

Fondato da Guido Fisogni nel 1966, il museo è il più completo al mondo nel settore della distribuzione carburante. Il Museo ospita più di 5000 oggetti tra pompe di benzina, insegne, latte d’olio e attrezzature varie più un incredibile numero di cartoline d’epoca e gadget tutti a tema petrolifero sin dal 1892.

contrattuale dopo la scadenza dell’accordo 2014, i canoni del non oil ecc.), tutto ciò in termini interlocutori, senza ancora una proposta economica definita, sulla quale l’azienda si era riservata di fare una sua proposta, impegno riconfermato all’incontro del 24 settembre, e che dovrà trovare concreta attuazione nelle imminenti settimane. Ad oggi, quindi, l’azienda non ha “scoperto le carte” della parte economica, elemento, anche se non unico, su cui valutare gli esiti di un accordo. Per valutare la complessità di questo accordo ci sono da tenere presenti tre elementi: il primo, che nel 2021 verranno a scadere i singoli contratti previsti dal rinnovo 6+6 risalente all’accordo 2009; il secondo, “se” e “quanto” l’azienda intenda mettere a disposizione dei gestori per i margini base, le incentivazioni ecc.; il terzo, quali siano le condizioni (o le contropartite) alle quali l’azienda, se tale sarà l’opzione, metterà a disposizione risorse. Questa è la sostanza delle cose in ballo, come ogni trattativa del resto. Noti gli ultimi due elementi (e tenendo conto del primo) si dovrà valutare l’atteggiamento da prendere rispetto: a) al livello di soddisfazione della parte economica, b) al livello di accettabilità delle condizioni e degli impegni chiesti al gestore. Sarà a quel punto che si avvierà un dibattito che aiuti a decidere al meglio una partita che non è affatto scontata, né semplicistica, né nel caso che essa possa infine approdare alla stipula di un accordo, né tantomeno nel caso dovessero essere necessarie azioni di mobilitazione in caso negativo. Non manca molto per arrivare al nodo cruciale: in questa breve fase mentre le preoccupazioni sono più che legittime, ed anzi doverose, semplificazioni, illazioni, anticipazioni, od altro sono per ora premature e fuorvianti, e peggio ancora sono le polemiche sull’ignoto. L’altra questione travalica i confini di ENI e ha una portata generale. La pongo come ragionamento pacato e senza alcuna polemica, la pongo come ragionamento perché ogni tanto serve parlare alla “testa” più che alla “pancia”. La situazione della categoria non è mai stata a un punto così basso: il settore e il mercato si sono incattiviti, sono inquinati dall’illegalità, e, in una fase di “transizione energetica” sono entrati nella precarietà ed assenza di strategia, per di più in una congiuntura economica già difficile prima e ora aggravata dalla pandemia, con tutto questo che si ripercuote sulla parte debole della filiera in maniera sempre più drammatica, che non può certo trovare grandi “motivazioni” in tale clima di totale incertezza e vera e propria crisi nera. Tuttavia, sia che si tratti di gestire la quotidianità, le cose urgenti (accordi, rapporti con le aziende), sia che si tratti nel contempo di percorrere una via nuova per ridare ruolo al gestore nel mercato, a partire, ad esempio, dalla messa in sicurezza (una più forte tutela normativa) dei contratti tradizionali e delle loro varianti e fino allo sviluppo di alternative che finalmente diano senso all’impresa del gestore ed alla sua sostenibilità economica e competitiva (e FIGISC ci sta provando a livello propositivo almeno da un anno), oggi tutto serve, in termini di energia, idee e volontà, fuorché la frammentazione e la delegittimazione delle organizzazioni della categoria. Sorgono ogni altro giorno nuove sigle di gestori (in qualche caso con delega di rappresentanza ad uno studio legale), ognuna in disaccordo con “i nazionali” su tutto, ma anche in parte con le altre sigle sulle rivendicazioni, sui mezzi e gli strumenti, ognuna insomma che si esercita nel “fai da te”. Con tutto il rispetto per le ragioni di chi pensa che questa sia la strada per giovare alla categoria (e molto meno per chi è mosso solo da personalismi e antagonismi “a priori”), non è questo il percorso che può portare qualcosa a nessuno (i “nuovi”), togliendo ad alcuni (i “vecchi”), premesso che prima dei nuovi e dei vecchi viene il gestore. Semmai tutto questo grado di confusione rende questa categoria sempre meno rilevante, finendo per emarginarla una volta per tutte, per azzerare ogni rappresentatività (quella tradizionale e quella alternativa, insieme in un unico mazzo). Né serve a qualcosa la pura e semplice delegittimazione, la teoria di “chi rappresentano questi?”, “chi li ha scelti?”, rivolto alle sigle storiche. Sul “chi rappresentano?” e sul fatto che queste siano le rappresentanze, una volta per tutte va detto che non è un dato autoreferenziale: è la legge (ultima la 27/2012) a prevedere la regola delle “organizzazioni maggiormente rappresentative”, una regola, peraltro, che riguarda anche tutti gli altri settori e non solo il nostro, ed è un concetto che si basa non solo sui numeri, ma anche sul ruolo consolidato di sottoscrittori di accordi e protocolli e non solo con le aziende, ma anche con Governi e Ministeri. Sul “chi li ha scelti?”, quei dirigenti che vengono spesso vilipesi, sbeffeggiati e tacciati di ogni colpa, accusati di essere “venduti o comprati”, sono il risultato di elezioni assembleari, secondo le regole di ogni associazione. Possono fare bene o male, possono essere adatti o non idonei alla situazione di questo o quel momento, ma sono stati eletti, non si sono semplicemente “presi il posto” da soli. Ma, al di là delle regole, c’è da dire che il confronto delle posizioni, le battaglie delle idee (che sono cosa ben più nobile degli attacchi personali e della diffamazione) si fanno “all’interno” delle organizzazioni, non sbattendosi dietro la porta (che nessuno ha chiuso davanti!) e andandosene per conto proprio. Lo si dovrebbe fare perché, appunto, non basta la convinzione di essere nel giusto se poi si genera solo frammentazione senza poter essere utili in modo concreto ed efficace all’obiettivo del cambiamento. La diversità delle opinioni (che non sia solo contrapposizione in malafede), lo sforzo per portare energia nuova, visioni costruttive ecc. sono una risorsa all’interno delle organizzazioni, ne costituiscono la linfa, ne permettono il rinnovamento. E, aggiungo, le porte sono sempre aperte! Ed a che giova la delegittimazione? Essa indebolisce le parti che vengono delegittimate (ma non certo solo le parti in quanto “gruppi dirigenti” e persone ma, cosa ben più rilevante, il loro ruolo negoziale, le loro azioni), senza rafforzare peraltro nessun competitore, indebolendo la categoria nel suo insieme e, a caduta, ogni singolo gestore nella sua individualità di impresa. In una confusione come quella attuale non può meravigliare che istituzioni e politica ritengano una perdita di tempo tenere in considerazione le problematiche della categoria, e che le controparti non negozino con il necessario rispetto. E, a proposito di controparti e rispetto, più propriamente la domanda giusta è “a chi giova la delegittimazione?” Se non giova certo a chi viene delegittimato (che sarà ovviamente in maggiore difficoltà a trattare con efficacia e sarà progressivamente privato di autorevolezza, senza che per questo peraltro se ne avvantaggino coloro che promuovono la delegittimazione), se politica e istituzioni saranno ancor meno sensibili, se men che meno giova alla categoria collettivamente intesa e fino all’ultimo singolo gestore, la risposta alla domanda su “chi” viene avvantaggiato davvero non può che essere una sola! Alla fine della giostra che razza di risultato è?

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