Frammenti201307

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Bimestrale delleAncelle del S.Cuore di GesÚ - Provincia d’Italia. Via XX Settembre 65/b-00187 ROMA - www.acjitalia.org; Tel. 06.4073889; e-mail: provincialeitalia@tiscali.it

Vacanze estive: Tempo di riposo, tempo di Dio

Mare, Montagna, Campagna: pregare con il Creato

lUGLIO 2013


E

ccoci di nuovo, dopo un possano aiutarvi a vivere e gustare i anno per molti intenso luoghi tipici delle vacanze: il mare, la e pieno di impegni, montagna, la campagna. eventi, preoccupazioni, Buone vacanze! finalmente arrivano le vacanze.

Tempo di riposo, di ritmo rallentato, spesso trascorso, almeno in parte, in luoghi diversi dal solito, con altre persone, tempo da dedicare a noi stessi, a tutto quello che solitamente resta fuori dalle nostre agende, tempo per riprendersi in mano e recuperare un ritmo più naturale, che dia spazio alla dimensione contemplativa della vita. A volte, presi dalle ristrettezze del tempo, facciamo delle nostre vacanze una specie di deposito in cui far entrare a forza tutto quello che di solito resta fuori: amici, viaggi, attività ricreative, sport, visite culturali, escursioni… E così da tempo libero lo trasformiamo in tempo super occupato. Per questo a volte si torna dalle vacanze più stanchi di prima. Mentre la vacanza può essere proprio un più corretto uso del tempo, in cui si può ritrovare il gusto del parlarsi, dell’ascoltarsi, di leggere, ascoltare musica, contemplare arte e natura. Questo è il nostro augurio per voi. E il nostro contributo in questo numero sarà di darvi degli spunti che pag. 2 I Frammenti I 07. 2013

Sr. Tiziana Petripaoli a.c.j.


Divino tempo libero

N

ei miti antichi gli dèi creavano gli uomini per farsi servire e per non dover lavorare, per poter così attendere ad occupazioni degne di un Dio! E fu così che gli uomini furono ridotti in schiavitù e sottomessi al regime forzato del lavoro e del sudore della fronte. Il tempo libero restava una prerogativa divina. E allora quando possiamo godere anche noi del tempo libero, proviamo a sentirci dei veri signori, proviamo a sentirci come Dio! Proviamo ad occuparci dei pensieri di Dio, a vedere di cosa Egli

si curi. Potremmo imparare a cogliere l’essenziale, a capire ciò che resta mentre tutto passa, ciò che conta davvero. La parte migliore. Potremmo intuire quello che era fin dal principio e il principio stesso delle cose. Avremo così portato a termine la nostra corsa, vincendo il trofeo posto in palio. E iniziare, finalmente, a ballare (cfr Proverbi, 8).

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SCOPRIRE IL SENSO 6 • MARE L’immensità di Dio.

Vacanze estive: Tempo di riposo, tempo di Dio

Mare, Montagna, Campagna: pregare con il Creato

Frammenti

2 • EDITORIALE

Bimestrale delleAncelle del S.Cuore di Gesù - Provincia d’Italia. Via XX Settembre 65/b-00187 ROMA - www.acjitalia.org; Tel. 06.4073889; e-mail: provincialeitalia@tiscali.it

lUGLIO 2013

Frammenti INDICE 10 • MONTAGNA Il luogo dell’incontro . 12 • CAMPAGNA “Guardate i gigli del campo...”. 14 • CONTEMPLAZIONE. Trovare Dio in tutte le cose. STORIE E RACCONTI 8 • RIASSETTARE LE RETI. Un racconto sull’uso del tempo. 9 • LE STELLE MARINE Un racconto sulla responsabilità personale. 16 • RINNOVARE LA VITA Una sorelle racconta l’esperienza del rinnovo dei voti.

Per contattarci:

18 • ANCORA, LO VOGLIO. Sì! Una sorella si racconta dopo la consacrazione perpetua. 20 • IL GUARDIANO DEL CANCELLO Un Racconto di Paola Alciati. 22 • TEMPO DI LEGGERE: LA CANTILENA Un Racconto di Giorgio Ponte FORSE NON TUTTI SANNO CHE... 28 • NOTIZIE DA ROMA 29 • NOTIZIE DA BOLOGNA 29 • QUESTA ESTATE DAVANTI A LUI 11 • PREGHIERA PER CHI AMA LA MONTAGNA 15 • IL DONO DELLO STUPORE Preghiera di Michel Quoist. 31 • PREGHIERA CON LA NATURA

SITO DELL’ISTITUTO: www.congregacion-aci.org SITO DELLA PROVINCIA: www. acjitalia.org SITO DELLA FAMIGLIA ACJ: www. familiaaci.com E-MAIL DEL (ong a scopo umanitario): proacis@planalfa.es pag. 4 I Frammenti I 07. 2013


Il Dono della Lumaca

G

li animali si riunirono in assemblea e iniziarono a lamentarsi che gli esseri umani non facevano altro che portar via loro qualcosa. “Si prendono il mio latte”, disse la mucca. “Si prendono le mie uova”, disse la gallina. “Usano la mia carne per farne pancetta” disse il maiale. “Mi danno la caccia per il mio olio”, disse la balena. E così via. Infine parlò la lumaca. “Io ho qualcosa che a loro piacerebbe avere, più di ogni altra cosa. Qualcosa che mi porterebbero sicuramente via se potessero. “Ho tempo”.

Anthony De Mello

Avresti tutto il tempo del mondo, se solo te lo concedessi. Che cosa ti impedisce di farlo?

07. 2013 I Frammenti I pag. 5


del

mi ha fatto ricordare Te”.

È

MARE

S.ta Raffaella Maria

difficile parlare di vacanze e turismo senza pensare immediatamente al mare, spazio fisico e simbolico che apre gli orizzonti del sogno e dell’avventura. Il suo fascino è enorme. Lo dimostrano le tante opere artistiche che hanno come oggetto proprio il mare. Letteratura, pittura, fotografia si sono immerse e sono state sommerse dal mare. Quale poeta non si è lasciato conquistare dal suo inafferrabile fluttuare? Quale narratore ha rinunciato a raccontare le vicende degli uomini che del mare hanno fatto la propria dimora? Quale pittore non ha intinto il proprio pennello nella tavolozza inesauribile delle onde? O quale fotografo ha rinunciato a scrivere immagini con la luce riflessa dai marosi? Da sempre il mare sta lì, tra terra e terra, tra sponda e sponda, ad un passo dal cielo. Da sempre uguale a se stesso. Ogni anno, soprattutto in estate, migliaia di persone si riversano sulle coste per assaporare, ognuno a modo suo, il mare. Ma è possibile conciliare la vacanza marina con la preghiera e l’incontro con Dio? A prima vista turismo di mare e vita

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spirituale sembrano termini antitetici. Il primo richiama lo svago, il divertimento, l’evasione nelle sue forme più diverse. Il secondo ricorda silenzio, attenzione, ricerca profonda. Eppure siamo convinti che il mare possa offrire spazi e spunti di riflessione. Forse non sono così appariscenti come le spiagge attrezzate e le discoteche, difficilmente ne parleranno le riviste di viaggi e i dépliant illustrati delle agenzie, ma le occasioni davvero non mancano. Pensiamo alla spiaggia, al mattino presto, quando la sabbia è ancora umida e il profumo della salsedine non è ancora stato rimpiazzato di prepotenza da quello, molto meno gradevole, delle creme abbronzanti; quando le strade sono silenziose e al largo ancora dondolano le lampade dei pescatori. All’alba, anche la spiaggia può divenire un luogo di preghiera. Sul litorale è più facile comprendere la profondità e la grandezza dell’infinita fantasia creatrice di Dio. Suggestiva è questa pagina di Alessandro Baricco, che racconta la magia e lo stupore delle spiaggia: “Sai cos’è bello qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla


sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un’orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c’è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa e basta”. Sulla spiaggia, poi, possono avvenire incontri straordinari. Secondo un’antica tradizione, pare che presso la Torre Bertolda (poi detta “di Sant’Agostino”) sulla spiaggia di Civitavecchia, sia avvenuto il famoso incontro tra sant’Agostino – meditabondo in riva al mare sul mistero della Trinità” – ed un angelo inviato da Dio. L’angelo, con fattezze di bambino, tentava con un piccolo recipiente di svuotare il mare di tutta la sua acqua. Di fronte alle ovvie perplessità del Santo sul successo dell’operazione, il bambino fece notare che allo stesso modo assurda, e votata quindi al fallimento, era da considerare anche quella speculazione che, con il solo ausilio della mente umana così limitata, tentava di comprendere verità tanto alte. Per non parlare poi di chi si avventura in mare aperto per la pesca o per il solo piacere di lasciarsi trasportare dal vento. Scriveva Rudyard Kipling alla fine del XIX secolo: “Non c’è persona, per quanto ottusa, che possa veder questo spettacolo ora per ora durante lunghi giorni, senza rimaner colpita, e siccome Harvey era tutt’altro che ottuso, finì per comprendere e godere profondamente il fascino dell’aspro coro delle onde le cui cime si frangono l’una dietro l’altra in un susseguirsi inces-

sante di colpi secchi come uno schianto; la fretta del vento che si precipita fischiando entro ogni spazio vuoto, e aduna in greggi le ombre azzurre e porporine delle nuvole; lo splendido levarsi del sole nell’aurora di fiamma; il ripiegarsi e il graduale scomparire delle brume mattinali, come muraglie che si ritirino l’una dietro l’altra sulla bianca distesa; lo scintillio salmastro e abbagliante del meriggio, il bacio della pioggia su miglia e miglia di acque piatte e senza vita; il freddoloso oscurarsi di ogni cosa al calar della sera, e l’infinito tremolio del mare sotto i raggi della luna, quando il bompresso puntava solennemente la cima aguzza contro le stelle basse dell’orizzonte”. Il vento e le vele, ancora oggi, nell’era dei motori, richiamano immediatamente l’idea della levità, del libero scivolare sulla superficie dell’acqua, del coraggio di prendere il largo “a vele spiegate”. Riecheggia quest’idea in uno degli epitaffi dell’Antologia di Spoon River, del poeta Edgar Lee Masters: “Gregory Gray: Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita. Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre alla follia. Ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio è una barca che anela al mare eppure lo teme”. 07. 2013 I Frammenti I pag. 7


Riassettare le RETI

Q

uand’ero al mare, a me piacevano le lunghe passeggiate lungo la spiaggia, particolarmente se in autunno o in primavera. Spesso incontravo Olindo, detto “il pescatore”. Lo ricordo seduto sulla sponda della sua barca, nell’atteggiamento di chi conversa con gli amici, mentre riassetta la sua rete da pesca. Raramente lo vedevo nell’atto di buttare la rete in mare, né in quello di ritirarla in barca. Eppure, nel suo mercatino che tene- va in piazza, non mancava mai il pesce che era sempre fresco e abbondante. Un giorno lo vidi come sempre in atto di cucire le reti. Mi decisi di fargli quella domanda che altre volte passando volevo rivolgergli: “Come mai ti vedo sempre a riassettare le reti? Quando vai a pescare?Quanto tempo dedichi alla pesca e quanto

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al riassetto della rete?”. “Ovviamente pesco qualche ora e di notte” mi rispose con la pacatezza propria del pescatore. “Anni fa’, inesperto com’ero, passavo lunghe ore in barca per la pesca che non mi rendeva come ora. Avevo troppa fretta di prendere il pesce e non mi curavo della rete, né mi concedevo il tempo di aggiustarla. Il pesce era abbondante, entrava in rete, ma mi scappava quasi tutto attraverso le smagliature. Ora l’esperienza mi ha insegnato che ogni giorno, prima di uscire per la pesca, è importante e prezioso il tempo che dedico a cucire gli strappi. Esco in mare con una rete buona e corredata con l’attrazione di una lampara. Bastano poche ore per prendere il pesce che ti è necessario. Ecco perché vedi che la maggior parte del mio tempo la dedico a cucire e a vendere. Proprio questa mattina ho incontrato l’amico Giulio, responsabile d’una comunità. Vedendomi intento a cucire con pazienza, mi disse: Bravo Olindo, il tuo è un lavoro molto prezioso. Sei un bravo pescatore, perché sei un pescatore «sarto»”.


L

U

le Mar e in

l e

t s e

na tempesta terribile si abbatté sul mare. Lame affilate di vento gelido trafiggevano l’acqua e la sollevavano in ondate gigantesche che si abbattevano come colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il fondo marino scaraventando le piccole bestiole del fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di metri dal bordo del mare.

Quando la tempesta passò, rapida come era arrivata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era una distesa di fango in cui si contorcevano nell’agonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa. Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti della costa. Le stelle marine erano quasi immobili, stavano morendo. Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era anche un bambino che fissava con gli occhi pieni di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano a guardare e nessuno faceva niente. All’improvviso, il bambino lasciò la mano del papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione. Dalla balaustra di cemento, un uomo lo chiamò. “Ma che fai, ragazzo?” “Ributto in mare le stelle marine”. Al-

trimenti muoiono tutte sulla spiaggia” rispose il bambino senza smettere di correre. “Ma ci sono migliaia di stelle marine sulla spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono troppe!” gridò l’uomo. “Succede su centinaia di spiagge lungo la costa! Non puoi impedirlo!” Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra stella di mare e gettandola in acqua rispose: “L’ho impedito per questa qui”. L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò, si tolse calze e scarpe e scese in spiaggia. Cominciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in acqua. Un istante dopo scesero due ragazze e erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua. Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi cento, duecento, migliaia di persone che buttavano stelle di mare nell’acqua. Fu così che furono salvate tutte.

07. 2013 I Frammenti I pag. 9


“Esultino insieme

le MONTAGNE davanti al Signore”

.

I

l monte, con tutto ciò che lo circonda e lo costituisce (roccia, neve, sentieri, vegetazione...) richiama alla trascendenza, eleva l’uomo non solo in altitudine ma anche nello spirito. L’ascesa è metafora del desiderio dell’uomo di spingersi oltre, di incontrare il Totalmente Altro. È un salire verso una meta che confina con il cielo, prossimo e lontano ad un tempo. Sulla vetta è il cielo stesso che si dona allo scalatore, nella sua lucentezza, nella sua profondità. Ed il dono è gratuito. Presente ed inafferrabile allo stesso tempo. Il fascino misterioso della montagna è immediato. Quasi tutte le culture ed espressioni religiose le riconoscono un valore sacro particolarissimo.

pag. 10 I Frammenti I 07. 2013

Sal. 98, 8-9


Davanti a

S

ignore, amo la montagna perché proclama la tua magnificenza. I ghiacciai, le cascate, le immense distese di pini e di fiori annunciano la tua potenza e il tuo amore per noi. Tutto questo, Signore, dà immensa certezza alla mia fede e tanta sicurezza alla mia passione per te. Amo il minuscolo sentiero che si inerpica fra i dirupi e la tenue pista sul nevaio, perché umili e silenziosi portano in vetta, chiudendo nel segreto lo sforzo di chi è passato prima di me e la dura lotta di chi li ha aperti. Amo il rifugio che domina dallo strapiombo la valle, perché caldo di ospitalità e amicizia elimina formalismi e prevenzioni, immergendo tutti in un clima di semplicità e di inesprimibile serenità.

Lui

e canta sereno nella tormenta. Come tutto questo, o Signore, ricorda che tu stesso sei “guida”, che tu stesso hai tracciato e aperto una via, dove le tue impronte di sangue assicurano il passo e il raggiungimento della cima! Signore, fa che io porti con me queste voci dei monti, che mi avvicinano a te. Che io senta vivo il senso di chi cammina con me, come in cordata, dove la stessa sorte ci unisce in un sol corpo, tesi verso l’unica méta. Così sia

Amo la guida che porta alle cime, perché ha il passo uguale e tenace, perché ha la voce dal sapore di roccia 07. 2013 I Frammenti I pag. 11


“Guardate i GIGLI

del Campo.. ”

L

a campagna amplifica la prepotenza o – vista da un’altra angolatura – la dolcezza misericordiosa del tempo e vibra al ritmo delle stagioni. Per il contadino l’inverno non è solo il periodo dell’anno caratterizzato dal freddo, ma il tempo del riposo della terra. La primavera è la stagione del risveglio, lento e graduale. L’estate è un’esplosione di vita, fatta di albe fresche e pomeriggi torridi, di fatiche e di riposo. L’autunno, infine, è il momento del raccolto, della vendemmia, della festa. Le stesse ore della giornata, in campa-

pag. 12 I Frammenti I 07. 2013

gna, assumono uno spessore diverso: non sono solamente la somma di sessanta minuti. Le mie otto ore lavorative in ufficio non hanno nulla a che vedere con i tempi della mungitura, dell’irrigazione, della semina, della concimazione. In campagna ci sono attività che vanno fatte all’alba, altre al tramonto. Ogni ora ha la sua particolare caratteristica. Sono convinto che la campagna possa davvero offrire, oltre che un valido ristoro per il corpo e un rimedio contro lo stress del nostro caotico mondo, un’opportunità di preghiera. I grandi spazi aperti, il silenzio, il tempo a misura d’uomo, gli alberi e gli stessi animali che popolano i boschi e i cortili ... tutto concorre a creare un ambiente otti-


male e a offrire simboli e richiami per incontrare Dio. Questi tre elementi – l’ambiente, la simbologia e il richiamo a Dio creatore – sono splendidamente presenti e intrecciati nelle pagine della Bibbia delle quali si nutre la preghiera cristiana. La preghiera, infatti, è sempre una risposta ad una Parola che Dio ci offre per primo. E questa Parola è contenuta, in modo privilegiato, propri nei testi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Aprire, leggere e meditare la Parola di Dio all’aria aperta, a contatto con la natura, magari all’ombra di una robusta quercia, è un esercizio che tonifica i muscoli dell’anima. Paradossalmente, a contatto con la terra, è più facile lasciarsi invadere dal cielo e imparare lo “stile di vita” di Dio. La preghiera che sgorga dalla lettura della Bibbia non lascia mai il tempo che trova. È una preghiera che trasforma l’uomo e lo libera. Osservandola natura si impara la fiducia, l’abbandono alla Provvidenza. Si acquista la saggezza che sa distinguere le cose che contano da quelle che passano. I fiori di campo ci insegnano di quali meraviglie è capace Dio, se l’uomo gli apre le porte del proprio cuore. Ci insegnano la libertà delle cose del mondo, quella libertà che spinse san Francesco d’Assisi a restituire al padre le ricche vesti, per seguire Dio in totale povertà.

sentiero che saliva lungo il fianco del monte all’ombra dei faggi e delle querce e che portava all’eremo. La primavera era esplosa per ogni dove. Gli alberi esibivano le loro foglie nuove. I raggi del sole si posavano, in mezzo al canto degli uccelli, sul verde tenero e dorato delle foglie. Dal sottobosco umido e caldo saliva un aroma di muschio, di foglie morte e di violette in fiore. Ciuffi di ciclamini rossi fiorivano ad ogni passo. Anche la natura viveva e riposava nel tempo di Dio, il tempo delle origini. La terra con la sua vita segreta era rimasta fedele al tempo di Dio, come le stelle del cielo. I grandi alberi del bosco offrivano le frondi al soffio di Dio come nei primi giorni della Creazione, con lo stesso leggero fremito. L’uomo, lui solo, era uscito da quel tempo primordiale. L’uomo aveva voluto farsi la sua strada e vivere in un tempo esclusivamente suo. Da quel giorno l’uomo aveva perso il dono del sonno, sconvolto dai tedi e dal presentimento della morte”.

Da “LA SAPIENZA DI UN POVERO” di Eloì Leclerc (Consigliamo vivamente questo libro come compagno delle vostre vacanze): “Dopo una lunga marcia, Francesco e Leone lasciarono la strada e ripresero il 07. 2013 I Frammenti I pag. 13


FERMATI! Osserva... Trovare Dio in tutte le cose è una meta

te? Una zolla di terra, un lembo di cielo,

stupenda. È il frutto che matura in colui

il volto di una persona, un frammento

che si mette in cammino e dirige i suoi passi

di pane, l’acqua che bolle nella pento-

verso il cuore. È li che Dio si nasconde, nel

la, il cibo che prepari con le tue mani...

cuore di tutto ciò che esiste. Dio è il cuore

sono tutte cose che possono sorprenderti.

della nostra vita. La sua dimora è il cuore.

Fermati ancora.

Trovare Dio in tutte le cose è partire dalle cose per trovare Dio.

porta? Il respiro sei tu: da dove vieni? dove

Fermati. Osserva. Non

vedi

che

Ascolta il respiro: da dove viene? dove ti vai? Non ti accorgi che stai pregando?

le

cose

“parla-

no”? Non ti accorgi di nulla? Che cosa provi quando vedi il sole che tramonta? E

La preghiera è dentro di te. È il tuo essere che prega. Anche quando non ci pensi. Anche quando non gli “corri” dietro. Adesso sai dov’è Dio.

quando osservi un

Hai ancora bisogno

fiore? E quan-

di cercarlo?

do ti avvicini ad una sorgen-

pag. 14 I Frammenti I 07. 2013


Davanti a

Lui

Il dono dello stupore Fa’, o Signore, che non perda mai

Hai lasciato le tue impronte digitali:

il senso del sorprendente.

fa’ che sappia vederle

Concedimi il dono dello stupore!

nei puntini delle coccinelle

Donami occhi rispettosi del tuo creato,

nel brillìo delle stelle.

occhi attenti, occhi riconoscenti.

Tutto è tempio

Signore, insegnami a fermarmi:

tutto è altare!

l’anima vive di pause; insegnami a tacere:

Rendimi, Signore, disponibile alle sorprese:

solo nel silenzio si può capire

comprenderò la liturgia pura del sole,

ciò che è stato concepito in silenzio.

la liturgia mite del fiore; sentirò che c’è un Filo conduttore

Ovunque hai scritto lettere:

in tutte le cose...

fa’ che sappia leggere la tua firma dolce

...e salirà

nell’erba dell’aiuola pettinata,

il voltaggio dell’anima.

la tua firma forte

Amen.

nell’acqua del mare agitata.

Michel Quoist

07. 2013 I Frammenti I pag. 15


S

per la

VITA

ono passati tre anni da

anni fa la celebrazione aveva un altro tito-

quando ho professato i

lo: Inviami.

miei primi voti in questa

Questo verbo nascondeva tutto il desi-

casa, in questo quartiere, in

derio di offrirmi al Regno di Dio per lavorar

questa città. Sembra che niente sia

con Lui e come Lui. Questo verbo manifestava il desiderio di servire Dio senza porre condizioni, senza porre ostacoli. Ma allo stesso tempo nascondeva un piccolo inganno: “Inviami” perché sono capace con le mie sole forze, perché ho già le mani piene della tua grazia, perché posso continuare da sola. Durante questi tre

cambiato, la scenografia è la stessa.

anni, Il Signore ha scritto un’altra frase nel

Eppure oggi rendo grazie per tutta la

mio cuore: “Come il Padre ha mandato me,

vita che ho ricevuto e per tanti cam-

così anch’io mando voi”. Il cambiamento

biamenti che ho sperimentato.

è radicale. L’iniziativa la prende il Signore,

Primo tra tutti: il libretto dei canti. Tre pag. 16 I Frammenti I 07. 2013

la missione appartiene a Lui, anche i frutti


Un altro cambiamento importante siete voi. In questi anni, il Signore ha allargato lo spazio del mio cuore con storie che mi hanno attraversato e mi hanno arricchito. In questo momento ho la fortuna di avere con me alcuni dei protagonisti: gli amici e professori dell’Università, Amoverse, la Pastorale Universitaria, le Adoratrici, i professori di questa scuola di Entrevías. Grazie a voi ha imparato a cercare e trovare l’impronta di Dio presente in ciascuno di noi, a servirlo in piccoli gesti, a lasciarmi evangelizzare, a riparare e a lasciarmi riparare. Un “GRAZIE” particolare va alla mia famiglia, dove ho scoperto la fede e sono cresciuta come cristiana. Vedervi qui è come sentire presenti le fondamenta della mia sono suoi. Per questo ringrazio Dio, perché mi sta allenando a volgere lo sguardo alla sua fedeltà, alla sua forza, al Suo Amore che mi amò per primo. In questi tre anni, è cambiato anche il volto della comunità. Attraverso tutte le persone che sono passate per questa casa, Il Signore mi ha insegnato il valore del dono fatto carne nei piccoli gesti, il valore di con-

vita e della mia vocazione. Grazie per essere presenti e per volermi accompagnare anche in questo momento. Tutta la vita ricevuta da Dio attraverso di voi è un motivo di ringraziamento e riverenza. Ringrazio ciascuno di voi che siete qui, che fate parte della mia storia e che avete desiderato celebrare con me il Dio della Vita Vera.

dividere ciò che siamo e abbiamo. Con ciascuna imparo ad essere riparatrice, educatrice, Ancella. Grazie per essere il riflesso e la

Annarita Bozzetti a.c.j.

mediazione dell’Amore Riparatore di Dio. 07. 2013 I Frammenti I pag. 17


Ancora,

Lo voglio,

I

l giorno più importante della mia vita? Il giorno della professione perpetua. E il momento più bello? Quando ho detto: “Sì, la voglio (l’Alleanza con Cristo Gesù) ad ogni costo” e sr. Inmaculada metteva l’anello al dito (come segno di fedeltà dello Spirito). Dio si era impegnato da sempre con me e io finalmente mi sono impegnata definitivamente con Lui. Fino al primo luglio pensavo che il momento più importante fosse l’entrata nell’Istituto o i primi voti… ma adesso non posso più dirlo perché ho fatto esperienza di qualcosa che si può comprendere fino in fondo solo quando si vive. La preparazione della celebrazione è

pag. 18 I Frammenti I 07. 2013

stata spontanea, i minimi particolari nascevano poco a poco: intuizioni, desideri… e un continuo ritornello accompagnava ogni gesto: “come lo facciamo?” Sì, la celebrazione non era solo mia, l’Alleanza non l’ho fatta con me stessa ma con Dio nell’Istituto delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù. Per questo siamo stati in due a preparare il tutto: Dio e io. Quel giorno ho potuto assaporare ogni momento, ogni singolo istante: dono che ho chiesto con la certezza e la gratitudine di chi già ha ottenuto ciò che chiede, e naturalmente… mi è stato concesso. La presenza più vera e più bella? Il Dio dell’Alleanza, che mi ha chiamata non perché sono migliore ma perché così gli è piaciuto.


Mio padre c’era, era presente più che mai: comprendeva e benediceva ciò che stavo facendo. Ormai vede Dio faccia a faccia, si è immerso nel grande amore del Signore della mia vita. Non sono mancate nemmeno Raffaella e Pilar: il primo luglio è l’anniversario dell’incontro definitivo della seconda generale dell’Istituto con Dio, mentre Raffaella era presente con il suo corpo. Sul suo altare, nella Chiesa di via Piave, Luigi, il mio amico salesiano che ha presieduto la celebrazione, ha benedetto l’anello, portato in processione all’altare da Sr. Inmaculada. Le letture parlavano dell’amore: l’amore che mi chiama e mi ama, ogni giorno e da sempre. Quando ho fatto i primi voti ero molto nervosa perché era la cosa più importante che avevo fatto in tutta la mia vita. Adesso invece, ero “solo” FELICE perché questo è per me il migliore modo di amare ed essere amata. So che le fondamenta della professione non poggiano sulle mie forze ma sulla Grazia che non verrà mai meno. La fedeltà e la coerenza di vita, di cui tanto ha parlato Luigi durante l’omelia, saranno il regalo che Dio mi farà ogni giorno: io dovrò solo accoglierli a piene mani. Quando stavo per entrare nell’Istituto, sentivo una “grande forza che mi spingeva alla vita nuova”, ma anche la tristezza di dover “lasciare” delle cose a cui tenevo, una di quelle… un concerto di violino. Allora non pensavo minimamente che, il giorno della

mia professione perpetua, io stessa avrei accompagnato il violino di Susanne al momento della comunione. L’ennesimo regalo di Dio? Sì. L’ennesima prova che Dio non si lascia vincere in generosità? Sì. Cominciando questo cammino, sapevo solo che Dio era ciò che di più bello mi fosse “capitato” nella vita. Oggi questa certezza è confermata dall’esperienza. Vorrei solo che – come la donna di Mc 14,3 – la mia fosse la fragranza di una vita donata con gioia con Gesù Cristo, in Gesù Cristo, per Gesù Cristo con la sicurezza che, in qualunque circostanza della vita, il mio Compagno di cammino mi dice: “Rallegrati, confida, IO SONO con te”. Si è aperto un nuovo capitolo della mia vita. Sento la verità delle parole di Raffaella: “Anche se stessimo sempre prostate a terra per ringraziare, mai potremmo ringraziare per tanto bene ricevuto”. Per questo voglio cominciare da subito a seguire il consiglio di Pilar: “adesso possiamo solo ringraziare”. E allora voglio vivere con entusiasmo, ringraziando con la vita per il tanto bene ricevuto. “In tutto amare, adorare e servire nostro Signore con gratitudine e in tutte le cose”.

Sr. Elina Graceffa (felice!) a.c.j.

07. 2013 I Frammenti I pag. 19


IL GUARDIANO del Di Paola Alciati

B

au a tutti! Mi chiamo Silvestro, o meglio, mi chiamo così da quando Monsignore e le suore dell’Oasi S.Maria mi hanno scoperto di fronte al loro cancello. Sono il guardiano del cancello, di quell’intrigante meccanismo di ferro che fa tutto il giorno su e giù: si apre, si chiude, si blocca, si riapre... E alle volte si stufa pure, andando in sciopero! È un essere strano, dotato di vita indipendente, che insieme alla sua luce gialla lampeggiante mi ha affascinato fin dal primo giorno in cui l’ho visto! Della mia vita precedente preferirei non parlare. In parte perché è lunga e faticosa, in altra perché sento che è importante quella di adesso. Vi stavo dicendo che, il giorno di S.Silvestro, le suore dell’Oasi mi hanno trovato qui, intento a guardare ammirato il cancello, appunto! E così, un po’ titubanti, alla fine hanno deciso di provare a darmi qualcosa da mangiare. L’essere umano ha paura di noi. Io non so perché. Ammetto che ero parecchio brutto e vecchietto, ma per fortuna i miei occhi marroni tutti rotondi sono riusciti a parlare il linguaggio universale, quello che magicamente riesce a comunicare con tutte le razze. Gli umani non conoscono questo segreto, ma io e gli altri animali sì: basta guardarsi negli occhi con amore, e tutto ciò che c’è da chiedere, si chiede, tutto ciò che c’è da dare, si dà. Silvestro è diventato il mio nome. Il cancello, la mia missione. Ammetto che non mi muovevo da lì, e mi facevano un po’ tenerezza le suore che, tutte le sere, mi raggiungevano fino alla mia postazione, per portarmi la ciotolona. Però io avevo capito che, nella grande casa dove vivevano e cu-

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CANCELLO

cinavano, entrava tanta gente, e non tutta sapeva capirmi. Quel cancello mi tranquillizzava: segnava il mio territorio, era la porta d’ingresso al mio nuovo regno, fatto di amore, di tante carezze e di pappa sublime! Quando entravo mi avvicinavo all’uomo. Quando vi stavo dietro, avevo la possibilità di ritornare da dove ero venuto. Non mi decidevo, e così stavo nel mezzo. Un po’ davanti, un po’ dietro, un po’ verso l’amore dell’uomo, un po’ lontano per fuggirlo... E se anche loro mi avessero tradito? Scacciato, abbandonato? I giorni però passavano. E, visto che non me ne andavo da lì, suor Pina (che è la mia referente per quanto riguarda i problemi principali della mia vita complicata da cane) e le altre suore mi portarono una cuccia di legno! Avete sentito bene? Una cuccia! Quando un essere umano dona ad un cane una cuccia, vuol dire che gli dà una casa. Gli fissa nel cemento una piccola costruzione con un buco, che è solo fatta per noi! Infatti, la riprova di questo é che nessun umano ha mai usurpato la cuccia del proprio cane. Loro si accontentano dei letti, dei divani, e non vengono mai a dormire nella nostra casetta. Cuccia voleva dire stabilità... Posto per sempre... Silvestro, non esagerare, però! Mica è detto che... Ma sì, perché non pensarlo? Quella cuccia ben piantata sull’asfalto era proprio per me! E così iniziai a crederci. A sperare che, vecchietto com’ero, avrei avuto ancora tanto da fare nella mia vita di cane. Perché dovete sapere che é molto difficile gestire il


cancello. Le macchine di tanti uomini entrano ed escono, e io le osservo, ovviamente tenendo sotto controllo il meccanismo, che se si blocca spalanca la sua bocca e rimane aperto sul mondo. Io, come dicevo, guardo. C’è chi arriva molto lentamente, e poi si scatena suonando il clacson. Cosa che personalmente non tollero, visto che esiste il citofono. Voi lo sapete che i cani sentono 100 volte più forte degli esseri umani? E che se per voi suonare quell’affare é divertente, le mie orecchie lo odiano profondamente? Però anche a questo mi sono abituato, perché agli uomini bisogna abituarsi, per poter sopravvivere! Altre auto arrivano veloci, veloci. Sembra che abbiano fretta di entrare. Anche qui il mio amato cancello le confronta: corrono, corrono, ma se poi nessuno apre loro la porta, devono comunque fare i conti con la parola chiamata “pazienza”. C’è chi non si accorge di me, troppo preso dai propri pensieri. C’è chi invece sa che esisto, ma non ha dimestichezza coi cani. Così non mi tocca mai, ma mi getta un sorriso timido con gli occhi. É di nuovo la storia del linguaggio universale. Poi ci sono i miei preferiti: i temerari. I temerari sono quelli che addirittura escono dalla macchina, che li proteggeva fino al secondo prima, per abbracciarmi. Alcuni mi stritolano proprio e, quando hanno troppa fretta, tirano giù il finestrino e sporgono il braccio. Anche se sono anziano, mi avvicino io, pur di mantenere quel bellissimo contatto di amore e stima reciproca che è nato e deve crescere. Già, perché un cane va rispettato! È facile coccolarlo solo quando si ha tempo, o quando si è giù di morale. Quando sono io ad essere giù di morale, non mi merito altrettanto? O quando vi vengo vicino saltellando perché vi voglio bene, ma voi magari avete fretta, come credete che ci rimanga? Mi risponderete: male! E invece no. Sono felice lo stesso. Perché i cani vi amano così come siete: frettolosi, paurosi, amabili, allegri, tristi, strombazzatori di clacson o maghi del silenzio. E vi sono sempre riconoscenti. Io sono strafelice quando Monsignore, suor Pina, suor Teresa col velo, suor Teresa senza velo, Rosa, e alle volte anche l’anziana come me Suor Maria compaiono all’orizzonte. Non mi hanno mai scacciato dal mio cancello. E quando la sera scoprono (devo ancora capire come, vi confesso!)

che sono rimasto troppo al di fuori, e che nessuna macchina arriverà per farmi entrare, aprono lo stesso il cancello, per ricordarmi che sono libero, ma che è meglio se mi vado a riposare, sereno, nella cuccia di legno che mi hanno regalato. Credo che si preoccupino! E la cosa mi intenerisce, visto che io sono anziano e conosco perfettamente il mondo. Hanno ragione, però. È arrivato il tempo in cui ho anch’io bisogno di riposo. L’aria aperta non mi manca, il cibo prelibato nemmeno. Ringrazio con un grande bau tutti loro, perché sono rimasto un cane libero, ma ho scelto di restare a godermi l’amore dell’uomo. Non so se un giorno andrò via. Non credo proprio. E quando la notte il branco dei randagi viene a reclamare il mio territorio, lo difendo come posso, perché non è solo il mio... è quello di chi mi ha accolto, e che quindi devo difendere fino alla morte. Questo fanno i cani. Sono fedeli a voi fino a morire, per il semplice fatto che vi vogliamo bene e desideriamo proteggervi. Ora vado. Ci sono un po’ di vipere da tenere sotto controllo, per non parlare delle lucertole e dei gechi. Se non ci penso io, vi confido che qui è un disastro, infatti il giardiniere non è bravo come me! Se un cane vi può dare un consiglio, è questo: amatevi, ma rispettate ciascuno il territorio dell’altro. Non siate invadenti, ma non rinunciate mai alle coccole. Siete la razza sul pianeta Terra più in gamba nell’amare tutti... Ed è molto triste che così tanti uomini si dimentichino di questo grande dono che Dio vi ha fatto. Da noi, se potete, imparate un po’ la fedeltà... Ops, devo proprio scappare! Dove? Tranquilli, sono segreti da cane. Ma non temete, perché vi proteggo ogni giorno. E ovviamente ritorno. Ritornerò sempre, finché desidererete amarmi. Un cane fa questo, no?

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ESTATE, tempo di re Le gge

L’estate spesso è l’unico periodo dell’anno in cui ci si può dedicare alla lettura. Qui di seguito vi proponiamo La Cantilena: un racconto di un Giovane ACJ, tratto dall’antologia Chi semina racconta, Edizioni Vita e Pensiero. Abbiamo camminato tanto questa mattina. Non c’è il sole. Sento freddo e l’odore di umido mi invade le narici. Nebbia, o come mi ha detto lei che si chiama. Siamo state in piedi. Ora da un po’ ci hanno fatto sedere. Sudore. È la prima cosa che avverto. E paura. Mia madre mi tiene la mano. Sento le sue dita stringersi attorno alle mie. Ha paura anche lei. È scomoda la panca. Di legno. Con l’altra mano ne afferro il bordo e sento la pelle grattare. Le voci mi avvolgono in un guscio ovattato. Mormorano, seguendo gli altoparlanti. La cantilena che ci accompagna da sei giorni, ormai. La cantilena infinita. Quella che ci ha condotto qui. È una strana parola, cantilena. Somiglia a catena. A un tratto mi rendo conto che è proprio questo, questa cantilena. Una catena. Un legame con la speranza. L’ultimo. Mia madre mi dice di stare tranquilla, di non aver paura. Di affidarmi a Lei. Ma sono io che vorrei dirle di non aver paura. Perché io sto bene. Sono solo stanca. E non capisco, non capisco proprio perché lei si faccia questo. Si porta la mia mano alla bocca. Le sue labbra morbide sfiorano le mie dita. Sono umide. “Non piangere, mamma”. “Non piango, tesoro. Non piango” la sua voce sorride forzatamente. Non sa mentire. Ci spostiamo di nuovo. Per l’ennesima volta. Su e poi giù, in quello che sembra un labirinto di panche. Accanto a me una donna che parla una lingua dura, fredda. Cantilena anche lei. È grossa. La sua coscia preme forte contro la mia mano, stretta al bordo. Indossa della lana infeltrita, ispida, che mi solletica il dorso. Anche se non conosco la sua lingua, capisco le sue parole. Sono le stesse per tutti. Singhiozza. Il suo cuore sciolto in quelle sillabe dure, mi commuove più del pianto di mia pag. 22 I Frammenti I 07. 2013


madre. Essere tristi è brutto, ma dover esprimere la propria tristezza con una lingua così cattiva, è peggio. Eppure io la sento, la morbidezza del suo animo. In quel tono piagnucolante e spezzato. In quel timbro grave. D’istinto abbandono il mio appiglio sicuro e le accarezzo la gamba, sotto la lana dura. Sorrido voltando appena il capo. Il suo pianto aumenta. Ma la voce mi dice che il suo cuore è più leggero. Ora siamo insieme. Tutto passerà. Passerà presto. Chissà quale peso porta il suo corpo, quale segno indelebile, forse invisibile. È grassa. Ma non può essere quello. Forse sta morendo. Come molti qui. Mentre io continuerò a vivere, comunque. Ci alziamo di nuovo. E stavolta qualcosa cambia. Entriamo. La stretta di mia madre si fa più forte. Ora ho paura anch’io. “Tesoro” si è chinata. Il suo respiro familiare mi scivola sul viso, riscaldando la pelle umida. “Tesoro” ripete. “Ora ti lascio a queste signore. Non spaventarti. Fai quello che ti dicono. Fidati”. Annuisco. “Io sono qui fuori. Ti aspetto”. Mi bacia sulle guance e mi stringe. Come se non ci dovessimo vedere mai più. Come se non fossimo abituate a quello. Io, io sì. Ma lei no. Lei non si abituerà mai. L’abbraccio, forte, cercando di risucchiare attraverso quel contatto il calore del suo corpo. Quando ci allontaniamo sento il sale pizzicarmi la bocca. “Vai” mi dice. Il suo respiro si confonde fra i gemiti che vengono da fuori. A un tratto non la vedo più. Qualcuno mi prende la mano. “Vieni Anna” mi dice. “Rivedrai presto la mamma”. Ho un moto spontaneo di fastidio verso quel tono accondiscendente, quell’espressione infantile. Ma faccio finta di niente, lo ignoro. Come al solito. Camminiamo poco. L’ambiente è piccolo. Ci sono altoparlanti anche qui che trasmettono la cantilena. Rimbomba metallica sulla pareti, stordendomi. Mi sembra di essere nel bagno di casa. È anche umido allo stesso modo. I miei piedi scivolano un po’ a terra. È bagnato. Non sono sola. L’odore della gente si è fatto più forte. Il puzzo di sudori estranei si mescola nell’aria pesante e stantia. Ma qui nessuno parla. Nessuno risponde alla cantilena. A un tratto la mia accompagnatrice si ferma. “Bene, Anna” esordisce calma, mentre io tremo. “Dobbiamo toglierti i vestiti” guida la mia mano fino a una superficie fredda, liscia. “Vuoi aiuto?” Scuoto la testa. “Va bene. Metti pure tutto qui. Resta con l’intimo. Chiama quando hai finito. Siamo dietro la tenda. Fai presto”. Avverto uno spostamento d’aria. Fidandomi di quella voce decisa, mi spoglio. Non so cos’è il pudore. Non l’ho mai vissuto. Eppure in questo momento mi vergogno. Come se potessi avvertire la vergogna degli altri al di là della tenda, filtrare, fino ad attraversarmi la pelle, diventando mia. Resto ferma, tremando, in mutandine e reggiseno. 07. 2013 I Frammenti I pag. 23


Sento gli ultimi residui del calore di mia madre scivolare via attraverso i miei piedi nudi, sulle mattonelle del pavimento. “Fatto” mormoro. Di nuovo l’aria si sposta, stavolta la avverto su tutto il corpo. Diverse mani mi tirano su le braccia. Faccio un po’ fatica a lasciarle fare. Ho freddo. Mi appoggiano un velo addosso e guidandomi me lo avvolgono stretto intorno, sotto le ascelle. Mi abbassano le braccia per tenerlo fermo. “Ora togli il resto, Anna”. Impacciata nei movimenti scosto i capelli e faccio scivolare una mano sulla nuca, contro la pelle già umida, sotto il telo, per sganciare il reggiseno. Quel reggiseno che solo un anno fa mi ero conquistata. Devo darlo via. Con la stessa incertezza nei movimenti, mi sfilo le mutandine, stringendo le gambe. “Dai pure a me” dice la donna. “Te li ridarò dopo”. Ora non ho più niente. Una mano più morbida delle altre mi guida ferma, ma dolce. “Di qua, Anna” dice. “Ora siedi. Tra un po’ sarà il tuo turno”. Mi seggo, di nuovo, stretta nel telo. Mentre aspetto, istintivamente contraggo gli alluci e intreccio le dita. Quanto durerà ancora? Accanto a me avverto di nuovo respiri estranei, frammentati. Come i singhiozzi. Sentono freddo anche loro. Mi concentro sulla cantilena. La cantilena non smette mai. Come un rumore di fondo, una nota costante, rassicurante. Non tremo più. Piano, piano le voci di prima chiamano altri nomi. “Veronica”. “Anne Marie”. “Susan”. “Marta”. Solo donne. Siamo tutte femmine qui. Ad ogni nome l’aria della tenda mi investe. “Yang-shi”. Il piano della panca si solleva leggermente alla mia destra. La prossima sono io. Improvvisamente provo una gran paura. Una paura che non capisco. “Anna, tocca a te”. “Di già?” la domanda sfugge alle mie labbra prima che me ne accorga. “È ora Anna” mi risponde la voce, in un modo che non so leggere. Le mani morbide di prima mi aiutano ad alzarmi. Facciamo pochi passi. Lo spostamento d’aria mi fa ballare il ciuffo sulla fronte. Con dolcezza, le mani sulle mie spalle mi tirano su i capelli e li fermano, alti, con una pinza. “Che bel nome hai, Anna” dice la voce. Accenno un sorriso, voltando appena la testa. La paura mi impedisce di parlare. “Anche la mia mamma si chiamava così” continua lei. Sento un nuovo spostamento d’aria. Rumore di ganci che scorrono in alto, davanti a me. Le mani di prima mi tengono stretta e ad esse se ne aggiungono altre due, sui miei fianchi. “Ora fai attenzione” mi dice la voce. “Ci sono due gradini. È bagnato, ma non puoi cadere. pag. 24 I Frammenti I 07. 2013


Ti teniamo noi. Tu lasciati guidare. È freddo, ma non dura tanto”. Annuisco. Inizio a salire. I piedi lasciano le mattonelle lisce per appoggiarsi su qualcosa di duro e grezzo. Sembra pietra. Un sottile strato d’acqua la ricopre. Faccio un altro passo e salgo ancora. Ho la sensazione che la cantilena negli altoparlanti si faccia più forte, come accordandosi alla paura del mio cuore. Ora dovrei entrare. Sono lì. Le mani mi spingono leggermente in avanti. Ma io non avanzo. “No” dico. “Che succede?” la voce di prima è carezzevole, nessuna nota di stupore. Dev’essere abituata a reazioni simili. “Non posso…” la frase mi si spezza fra i denti. “Perché?” la voce non ha fretta. D’improvviso riconosco la mia paura. “Io no. Io sono cieca”. Non aggiungo altro. Ma la voce sembra capire. Lo sento da come mi stringe: una stretta salda, ma che somiglia a una carezza. Sono cieca. Da sempre. Sono talmente abituata ad esserlo che non so immaginare di essere altro. Mi va bene. Posso vivere così. Ho sempre vissuto così. Non ho mai voluto credere nemmeno per un istante che potesse essere diverso. Invece ora spero. Irrazionalmente. Spero. E non voglio. Sperare mi fa male. Eppure mi rendo conto di non saperne fare a meno, ora. È la cantilena, quella cantilena che si è insinuata nel mio cuore, senza che me ne accorgessi. Quella catena che mi chiede di affidarmi. “Fidati” mi dice la voce, come se mi leggesse nel pensiero. “Non c’è nulla da temere. Nulla che possa farti male”. Il respiro mi si calma. Annuisco. Di colpo mi rendo conto di quante donne lì fuori aspettano che io avanzi, perché arrivi il loro turno. Capisco di non potermi fermare. Ho già perso troppo tempo. Una strana frenesia mi prende. Non di vivere io il mio momento, ma di permettere a loro di vivere il loro. Raddrizzo il capo, e così, nuda, priva di tutto, lascio che le mani mi guidino. Sollevo il piede e lo immergo nell’acqua. È gelida.. Sale su, mentre il mio piede si immerge, dalla punta dell’alluce al tallone e fino al polpaccio: è come essere immersa in un freddo tanto greve da essersi addensato fino a diventare liquido. Però non mi fa tremare. Anzi, mi anestetizza. È una bella sensazione, mi rende sicura. La mani mi invitano a proseguire. Immergo l’altro piede, più avanti rispetto al primo. E mi rendo conto che il fondo si abbassa, come in una scala sommersa. L’acqua mi arriva oltre le ginocchia. Il telo aderisce alle gambe. Ora il freddo è tale da bruciarmi la pelle. Tengo la testa alta, mentre le lacrime mi graffiano il viso. Vado avanti, accompagnata dai pianti delle donne alle mie spalle, dalla loro cantilena di dolore. Le sento su di me, con me: quel popolo di donne sofferenti. Mentre avanzo, guidata dalle mani ferme delle mie ancelle, ho solo questo pensiero in men07. 2013 I Frammenti I pag. 25


te: loro, non io. Io no. Io posso vivere così. Guarda loro, guarda le mie sorelle che attendono di morire. Non so a chi sto parlando. Non La conosco. Eppure Le parlo come se non avessi fatto altro da che sono nata. Lei. “Vuoi immergerti?” la voce dolce mormora alla mia destra. No, vorrei dire. Poi l’odore di mia madre mi riempie le narici, come se fosse qui, accanto a me, in questo momento. “Sì” rispondo. Per te mamma. Lo faccio per te. Basta che finisca presto. “Affidati alle mie mani” mi dice la voce. “Lasciati andare indietro. Ti caleremo un istante sotto e poi ti ritireremo su”. Annuisco. Sento il buio ruotarmi attorno, l’acqua risucchiarmi nel suo ventre. Con un gemito svuoto i polmoni, la cantilena scivola via dalle mie orecchie. E sono sola. Il buio, gelido e denso, mi avvolge. No. Non gelido. Ora è caldo. Di un tepore rassicurante, che mi fa venire voglia di addormentarmi. Non respiro. Non ne ho bisogno. Eppure sento un profumo. Un profumo strano, di fiori. Resto sospesa in quel limbo di pace, senza tempo, e a un tratto mi rendo conto di non volermene andare. “Lo vuoi, Anna?” la voce dolce mi parla di nuovo. La sento vibrare attraverso il mio corpo, nel vuoto nero e caldo che mi circonda. “Chi sei?” chiedo. “Sono io”. “Chi?” le mie labbra non si muovono, ma la mia voce parla, nel buio. “Chi?” chiedo ancora. Per un attimo il suo silenzio ferma il mio cuore. “Chi?” imploro. “Sono Lei”. L’acqua sulla mia bocca si tinge di sale. Annegare fra le lacrime, così si dice. Così mi sento. Come se tutto questo nero fosse fatto solo di lacrime, di tutte le lacrime che non ho mai pianto, prima di oggi. Le lacrime mie e delle mie sorelle, che attendono. “Perché?” sento la mia voce di bambina vibrare. Quasi non la riconosco. “Lo vuoi, Anna?” chiede ancora Lei. “Perché?” piango. “Perché te lo stai chiedendo”. Resto in silenzio. “Racconta, Anna” la voce sorride. “Racconta ciò che hai ricevuto”. “Perché io?” chiedo ancora. “Racconta ciò che Dio ha fatto per te”. pag. 26 I Frammenti I 07. 2013


Prima che possa replicare vengo strappata al silenzio, la bocca mi si apre e l’aria invadente mi gonfia il petto, stretto nel telo appiccicato alla pelle. Sento le mani raddrizzarmi e rimettermi in piedi, mentre vengo scossa dai singhiozzi. “Visto? Questione di un momento. È già passata” mi rassicura un’altra voce. “Ora ti facciamo uscire”. Sto singhiozzando, ma non c’è tempo per consolarmi. “Tranquilla. È normale” dice solo la nuova voce. E poi mi sospinge. Incapace di dire qualsiasi cosa, continuo a singhiozzare, lasciando che quelle mani mi guidino fuori dall’acqua, indietro sui miei passi, e di nuovo al posto dove ho lasciato i vestiti. Sono stordita, confusa. E non capisco cosa sia successo. Con il loro aiuto mi rivesto più in fretta che posso, combattendo il tremolio irrefrenabile che mi attraversa dalla testa ai piedi. Non è freddo. Non so cos’è. Prima che me ne renda conto, vengo asciugata alla bell’e meglio e rivestita. Qualcuno mi riconduce all’uscita. “Resta qui” mi dicono. “Vado a chiamare tua madre”. Mi fanno appoggiare a una specie di pilone di legno e mi abbandonano, ancora in preda ai singulti. Resto aggrappata a quell’ancora, smarrita, per un tempo che mi pare infinito. Lentamente, il respiro mi si placa. Muovo la testa a destra e a sinistra, in attesa, mentre la cantilena negli altoparlanti si allarga, instancabile, nello spazio aperto. La cantilena. Finalmente l’ascolto. Ora è nella mia lingua. “…tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno…”. E rispondo. Come mi hanno insegnato. “Santa Maria, madre di Dio …”. Un vento sottile ha preso a tirare, portando il rumore delle fronde degli alberi, oltre il gorgoglio del fiume. Inalo il profumo dell’erba e lascio che quell’odore, piano, piano, finisca di quietare il mio cuore. Avverto un piacevole calore solleticarmi il viso. Dischiudo appena le palpebre, nel bianco che mi circonda. Sorrido. “Anna!” la voce di mia madre. È alle mie spalle. Sembra allarmata. Quasi sapesse. Quasi presagisse che qualcosa è cambiato. Mi volto e la vedo. Per la prima volta, fra le lacrime, io vedo mia madre.

Giorgio Ponte

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o n n a s i Forse non tutt che... Notizie dalla Famiglia

ita’ del Dalla Comun no scritto Tiburtino han cesco a Papa Fran ghiere chiedendo pre di per la salute te. Sr.Lidia Abba sposte Questa e’ la ri ricevuta dalla Santa Sede.

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Da qualch e mese, un a nostra s per impara uora vietn re l’italian amita, Die o. E’ giov e il suo ita m, ane, ha un liano un p carattere m e’ con noi a Bologn o’ “esotico affezionate a ” ha conqu olto allegr a lei e alla o e socievo istato tutti. sua cultur loro una s le Le r a, e cosi’ u erata un p na sera ab agazze si sono o’ vietnam ita in terra biamo org anizzato c zza: un’ad cena con c on orazione s ibo prepar eguita da ato u na da lei. Ovv iamente un successo!

lermo andra’ a a P i d J C A i p Grup pagnati da sr di ragazzi dei m o o p questa estate: p cc a ru , g la n o u , cu o s po 5 lugli ipare a un Cam ec - dal 15 al 2 rt a p er p ) d ri ad o, monitrice. rc a M i Guadarrama (M D a ri a giovani, con sr am er n p n li A a u a it d ir e p S cj i a erciz cj. Elena Bove a Cassano, Es , to s o g Rita Bozzetti a a ° a 1 n l n a A o r li s g e lu cj 8 sti a con - dal 2 , sr Pina Agre mpo di lavoro cj ca a n li u o a a p o ri n et n P ra nd Tiziana Giovani ACJ a e tr , to s o g a 5 1 rd. - dall’1 al Spagna del No in , s o della Famiglia rg u a n B a a m ti ti et ra S ig , o m im san , sempre a Cas to s o g a 8 1 l a 6 - dal aternita’ e di fr i d e, d fe la el ita n ienza forte di v er p s ’e n u re fa tutti di la preghiera. n Auguriamo a co o m ia n g a accomp solidarieta’ e li

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una vacanza S

ALTERNATIVA

Di Sr. Tiziana Petripaoli a.c.j

ulla costa ionica della Calabria, tra le più conosciute Rossano e Cirò, si trova Cariati, una piccola cittadina sul mare, che conserva un bellissimo centro medievale circondato da torri. Nell’antico seminario, ora casa per ferie, da cinque anni risiede una nostra comunità, che si occupa dell’accoglienza di persone e gruppi che vogliano trascorrere lì qualche giorno. La struttura si trova a un chilometro dalla spiaggia e a circa mezz’ora dalla Sila. Chi volesse assaporare l’accoglienza della comunità, si troverebbe in un bellissimo ambiente naturale, che non è stato contaminato dall’industria del turismo e potrebbe approfittare della partecipazione alla liturgia e all’adorazione, sostenute dalle suore. Nei mesi estivi, non mancano

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eventi folkloristici: una della espressioni più tipiche della cultura locale è la tarantella, che si balla un po’ ovunque sulle note gioiose dei canti tradizionali. La popolazione ha il grande dono dell’accoglienza cordiale e festosa e fa sentire a casa chiunque si trovi a passare da quelle parti. Da non trascurare anche la ricca tradizione culinaria calabrese, ricca di pesce freschissimo e salse piccanti. Insomma, per chi non ama alberghi e ritmi stressanti e magari cerca di fare anche attenzione all’economia, certamente questa può essere una bella opportunità di riposo fisico, ristoro spirituale nella gioia di un’esperienza vissuta in fraternità.


Davanti a

Lui

O Signore, ti prego che la mia coscienza sia diritta come il grande abete che si slancia verso il cielo; che la mia generosità sia come la sorgente, che sempre dona e mai si esaurisce; che la mia anima abbia la limpidezza delle acque, che nascono dalle nevi senza macchia; che la mia volontà sia come il granito senza falle; che la mia giovinezza abbia sempre te come guida; che nella solitudine delle vette noi sentiamo la tua presenza, nell’arditezza delle cime, un anelito verso il cielo, nel candore delle nevi lo splendore della tua bellezza e della tua grazia. Amen!

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“Vedevo uscire da Gesù come un torrente d’amore che sembrava precipitare verso la mia anima, ma potevano raggiungerla solo alcuni spruzzi perché lo impedivano piccoli ostacoli che si frapponevano nel cammino. L’uomo esperto toglie gli ostacoli più grandi al ruscello così che scorra facilmente e non si disperda in rigagnoli, perché sa che la forza dell’acqua trascinerà via gli ostacoli più piccoli; così avrebbe fatto Dio nella mia anima; dovevo lasciarlo scorrere e la forza del torrente avrebbe trascinato via le imperfezioni. Gli dissi di sì e l’amore venne con una forza tale da trascinare via tutto e, al raggiungere il cuore, solo la sua forza permise che non diventasse cenere”. (1887)

Santa Raffaella Maria

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Progetto Grafico: Giorgio Ponte; e-mail: giorgio_ponte@yahoo.it


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