

Valle d’Aosta

Il Castello di Graines, tipica struttura di tipo difensivo, domina da Arcésaz, una frazione di Brusson, in Val d’Ayas. Si racconta che sotto di esso sia nascosto un tesoro che nessuno è mai riuscito a trovare.
TRACCE ROMANE E
CASTELLI TRA LE ALPI 1 1
AOSTA
Tracce romane e castelli tra le Alpi

Lunga nemmeno 100 chilometri e larga circa 65, la Valle d’Aosta può essere paragonata a un’isola circondata da montagne. Il senso di isolamento lo si prova soprattutto provenendo dalla pianura, quando all’altezza del Forte di Bard due opposti speroni rocciosi incombono sul fondovalle quasi a disegnare una porta naturale. Poi la valle si apre e invita a procedere verso le Alpi che si palesano dapprima timide ai lati della strada poi imponenti quando lo spettacolo del massiccio del Monte Bianco invade il campo visivo una volta giunti a Morgex. Subito dopo la strettoia di Bard iniziano ad apparire i segni distintivi dell’antropizzazione della regione: i numerosi campanili di epoca romanica segnano la presenza dei villaggi, i castelli si ergono come sentinelle all’imbocco delle valli laterali, le torri di segnalazione utilizzate per comunicare nel Medioevo svettano sui promontori ammantati di vigneti. A lato della provinciale, oltre la Dora Baltea, correva la strada costruita dai romani della quale restano intatte alcune porzioni.
Vista panoramica sul massiccio del Monte Bianco dal sentiero che sale al rifugio Bertone.

AOSTA, CITTÀ
DI MONTAGNA
Nel cuore della regione, il capoluogo valdostano attira per la sua storia antica: la zona era abitata dai Salassi, popolazione di origine ligure-gallica, ma i Romani, fondata la colonia di Eporedia (Ivrea) nel 100 a.C., iniziarono a guardare al territorio con crescente interesse poiché posto in posizione strategica sulla Via delle Gallie.
La sconfitta dei Salassi portò alla fondazione di una città, costruita secondo il modello dell’accampamento militare. Nel 25 a.C. il castrum prese il nome di Augusta Praetoria Salassorum: Augusta in onore dell’imperatore Augusto e Praetoria in quanto vi si stanziarono 3000 famiglie di militi pretoriani, a cui vennero assegnati i terreni migliori. Augusto fece innalzare l’arco che porta il suo nome in memoria della conquista.
Furono tracciate le vie principali, sorsero poi la cinta muraria, il foro
e il teatro, ancora oggi in buone condizioni nonostante le trasformazioni attuate nel Medioevo. Al periodo di grande espansione nel III secolo d.C., seguirono anni bui segnati dalle invasioni barbariche e dall’avanzata dei ghiacciai, che rese difficoltosi gli scambi commerciali attraverso i valichi.
4 in alto • Veduta aerea di Aosta. Secondo una leggenda sul sito dove i Romani fondarono Augusta Praetoria esisteva già dal 1158 a.C. la città di Cordelia.
4 in basso • Il criptoportico di epoca augustea sosteneva l’area sacra di Augusta Praetoria .

Salle
FIERE ED EVENTI
La Fiera di Sant’Orso. La millenaria fiera dell’artigianato valdostano ha avuto inizio ad Aosta di fronte alla chiesa dedicata al santo, che era solito distribuire ai poveri i sabot, tipici zoccoli in legno dei contadini. Il 30 e 31 di gennaio, nei giorni dedicati al patrono, le tradizionali calzature si possono ancora trovare su banchi della fiera, che espongono oggetti di artigianato in legno, in pietra ollare, rame, ferro, vetro, ceramica e tessuto.
Il Carnevale della Coumba Frèida. Ogni anno in febbraio, malgrado il gelo che scende dai monti – da cui il nome della valle –, nella stretta e profonda che vallata collega il Colle del Gran San Bernardo ad Aosta si volge una delle manifestazioni più tipiche della regione. Ornati di perline, paillettes e specchietti, i costumi dei partecipanti richiamano in chiave grottesca le uniformi luccicanti di ornamenti e mostrine dei soldati al seguito di Napoleone, che nel maggio del 1800 valicò le Alpi per la Campagna d’Italia.
Regine che combattono. Ogni anno, la penultima domenica di ottobre, nell’arena
Croix Noire di Aosta si svolge la finalissima della Bataille de reines, ultimo incruento scontro tra le migliori bovine valdostane, di razza Pezzata Rossa e Pezzata Nera, per eleggere la regina dei pascoli. Alla base del torneo c’è il naturale comportamento degli animali, che combattono per stabilire il predominio in una gerarchia sociale o per affermare il proprio diritto sul territorio.
LA CONTEA DI AOSTA


A partire dall’anno mille nella valle, al crocevia di due realtà, quella italica e quella franca, i commerci diedero una nuova spinta allo sviluppo economico e demografico. La popolazione di Aosta conobbe un notevole incremento: famiglie nobili si stabilirono in edifici fortificati lungo le mura, come la Torre del Lebbroso − così chiamata perchè nel XVIII secolo venne adibita a lebbrosario − o la Torre di Bramafam, appartenuta alla potente famiglia Challant. Porta Praetoria fu trasformata in dimora feudale dei signori di Quart. La costruzione della Collegiata di Sant’Orso risale a quel periodo, epoca in cui si pose mano anche alla ricostruzione della Cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta, innalzata sulle rovine di un edificio paleocristiano. Due campanili romanici, costruiti nel 1131, sono segni più caratterizzanti della città.
Il complesso della Collegiata, porta il nome del santo irlandese vissuto probabilmente nel V secolo e giunto ad Aosta per evangelizzare il territorio. Le vicende della sua vita insieme a scene di vita monastica sono alcuni dei soggetti dei 37 capitelli istoriati – in origine erano 52 – del chiostro, la cui data di fondazione si fa risalire al 1132.
5 • La Cattedrale di Santa Maria Assunta è fiancheggiata da due campanili romanici.
Piemonte

La placida e feconda atmosfera delle colline tortonesi costituisce lo sfondo ideale per opere di artisti come Pelizza da Volpedo.
LANGHE, TRA CASTELLI E VIGNETI
Nelle langhe, tra castelli e vigneti

Nelle Langhe si ha l’impressione che i castelli abbiano assunto col tempo un’aria contemplativa. Se ne stanno sulle cime dei colli a controllare che nulla turbi l’armonioso e placido mare di vigneti che li circonda, spettatori del tesoro enogastronomico in cui sono immersi. La suggestione è confermata dal fatto che molti di questi manieri hanno un ruolo importante nella vita economica e produttiva delle Langhe: il Castello di Barolo è sede dell’Enoteca Regionale del vino omonimo, mentre il Castello di Grinzane Cavour, bene materiale riconosciuto dall’Unesco, è la casa dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba. E se i castelli sembrano passare in secondo piano rispetto al paesaggio, è solo perché qui lo scenario è magnifico. L’ascesa delle Langhe da luogo di povertà e fatica a meta privilegiata del turismo enogastronomico si è conclusa in pochi decenni: merito del tartufo e dei grandi rossi, ma anche della passione che da sempre gli abitanti di questa terra riservano alle loro colline e alle loro vigne. Belle queste terre lo sono sempre state: pare che la principessa Sissi avesse chiesto più volte al consorte Francesco Giuseppe I di muovere guerra ai Savoia in modo da poter annettere all’Impero asburgico le dolci colline di Alba.
Circondata da vigneti e dolci pendii, Serralunga d’Alba si raccoglie attorno allo slanciato e maestoso castello trecentesco caratterizzato dalla struttura architettonica propria di un donjon (o “torre fortificata”, all’interno del maniero) francese.
In quegli stessi anni il Barolo iniziava a far parlare di sé, ma il prestigio che oggi gli viene riconosciuto universalmente era allora ben lontano dall’essere consolidato. La sua nascita avviene a metà Ottocento, e ha tre grandi protagonisti. Prima di tutto Juliette Colbert di Maulévrier, pronipote del ministro delle finanze di Luigi XIV di Francia. Andata in sposa con il beneplacito di Napoleone a Carlo Tancredi Falletti, alla morte di quest’ultimo ne ereditò le tenute e fece chiamare dalla madrepatria Louis Oudart, che applicò le tecniche utilizzate per i grandi vini francesi nei possedimenti della marchesa. Oudart fu poi chiamato dal giovane sindaco di Grinzane, Camillo Benso di Cavour, a occuparsi delle vigne di famiglia: la collaborazione tra i due diede vita al Barolo moderno, imbottigliato per la prima volta come vino secco e fermo nel 1844. L’ascesa nell’Olimpo dei grandi rossi era iniziata e potè dirsi conclusa nel 1927, quando la Gazzetta Ufficiale ne delimitò ufficialmente la zona di produzione.

ASTI
TORINO
Barbaresco
La Morra
Barolo
Dogliani
Alba Mombarcaro
Sale San Giovanni

ALBA, CITTÀ DELLE TORRI E DEL TARTUFO
Capitale ufficiosa delle Langhe, divenne municipium romano nell’89 a.C. grazie al console Gneo Pompeo Strabone, e conserva ancora la pianta originaria. Il soprannome di “città delle cento torri” deriva invece dall’epoca medievale, quando ne vennero innalzate tantissime, anche se forse non proprio cento come la tradizione vorrebbe. Risalgono al XII secolo il portale e il campanile della Cattedrale di San Lorenzo, mentre sulla facciata
tardottocentesca si riconoscono l’angelo di Matteo, il leone di Marco, il bue di Luca e l’aquila di Giovanni: unendo le iniziali dei quattro simboli degli evangelisti si ottiene appunto il nome della città. Buona parte del centro storico è stata ridisegnata nell’Ottocento dall’architetto albese Giorgio Busca, sindaco della città dal 1854 al 1865, e porta in sé anche i segni del Novecento: il Centro Studi Beppe Fenoglio permette di ripercorrere l’opera dello scrittore e gli anni della Resistenza.
ALBA, IL PALIO DEGLI ASINI
Come spesso accade in Italia tra città vicine, la rivalità tra Alba e Asti ha una storia secolare, che dagli scontri feroci del passato si è via via attenuata fino a sfociare nella goliardia. Ed è proprio in nome dello sfottò che nel 1932 prese vita il Palio degli Asini, come parodia della celebre kermesse astigiana. L’iniziativa ebbe successo, e da quel momento in poi venne riproposta con cadenza annuale. Negli anni ’70, in pieno boom economico e turistico, il Palio degli Asini fu associato alla Fiera del Tartufo, diventando col tempo una rievocazione storica vera e propria, senza perdere del tutto quello spirito goliardico che ne aveva contraddistinto le origini.

12 • Campagne attorno a La Morra con il secolare cedro del Libano,nella tenuta Cordero di Monterzemolo, piantato nel 1856.
13 a sinistra • Piazza Risorgimento nel cuore di Alba, con il caratteristico profilo segnato dalle torri medievali.
13 a destra • Uno dei tre splendidi portali sulla facciata della Cattedrale di San Lorenzo, patrono cittadino.

Liguria

Nei porticcioli della Liguria come questo a Rio Maggiore, si notano i gozzi, piccole imbarcazioni dei pescatori dalla foggia inconfondibile, con la prua poco più alta della poppa sulla quale svetta un tipico prolungamento in legno detto pernaccia
GENOVA
Le Cinque Terre e il Golfo dei Poeti

La bellezza delle Cinque Terre risiede non solo nel blu del mare e nelle colline ricoperte da vigne, ma nel volto genuino che ogni borgo conserva, con le sue case strette le une alle altre, i caruggi in salita, le marine dove le barche attendono la “bonaccia muta” per scendere in mare. Il Parco nazionale delle Cinque Terre è tra i più piccoli in Italia e il più densamente abitato. È questa la particolarità più sorprendente perché qui, nonostante la natura regni sovrana, anche l’uomo ha il suo spazio nel quale vive da secoli. Si è abituati a parlare di Cinque Terre come di un’entità unica, ma il termine non deve trarre in inganno. I cinque borghi hanno sicuramente in comune il protendersi verso il mare e il fatto di essere costruiti su una terra impervia, eppure ciascuno di loro conferma che il quadro unitario è composto da dettagli differenti. Così, se a Monterosso la pesca è l’attività principale, a Riomaggiore la viticultura domina persino le sottili strisce di terra incastrate in pendenza nell’abitato: sono i piccoli ciàn, sorretti da muretti a secco. Anche le vicende storiche non sono state uguali per tutti e cinque i borghi: le prime fonti in cui si nominano i villaggi di Monterosso e Vernazza risalgono all’XI secolo, mentre Riomaggiore, Manarola e Corniglia sono attestatati solo nel XIII e XIV secolo. Dell’epoca antica si sa che i Romani avevano fondato in zona Luni, colonia e porto fiorente, mentre
La palazzata di Riomaggiore appare come ritratta in un dipinto. Il nome deriva dal fatto che il paese si trova nella Valle del Rio Maggiore il corso d’acqua lungo il quale vennero innalzate le case torri a partire dal XIII secolo.

parco nazionale delle cinque terre
Monterosso
Vernazza
Corniglia
Manarola
Riomaggiore
UN POETA A MONTEROSSO
famiglia, qualche nuotata, la regata di settembre a bordo del gozzo manovrato da pescatori... e così per Montale “volarono anni corti come giorni”. Oggi la residenza non è aperta al pubblico, ma in compenso è stato organizzato un Parco letterario che conduce i visitatori lungo i terrazzamenti a picco sul mare tra “bossi ligustri o acanti”. Il litorale di Fegina porta a Punta Mesco da cui si gode della vista sull’infilata dei promontori delle Cinque Terre, fino alle isole Palmaria e Tino. GENOVA
LA SPEZIA
Portovenere
Lerici Luni Sarzana Montemarcello
Portovenere e Sestri Levante fungevano da porti naturali così come Vernazza che, non essendo collegata agli altri insediamenti, era probabilmente considerata solo un possibile rifugio o uno scalo. Se i panorami sul mare e i profumi della natura resteranno indimenticabili, le escursioni lungo i sentieri regalano anche l’occasione di conoscere meglio la zona e le sue tradizioni raggiungendo piccoli borghi, come l’antico insediamento di Volastra, suggestivi santuari e antichi rifugi dei contadini, che con fatica conferirono al paesaggio il volto che oggi si ammira.
Nato a Genova, Eugenio Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975, era solito in gioventù trascorrere lunghi periodi nella villa di famiglia a Monterosso, un edificio liberty non lontano dal mare. Mesi di giochi infantili con i fratelli, passeggiate fino al Santuario della Madonna di Saviore, pranzi annunciati dal “corno di mare” che suo fratello suonava per l’adunata della
SENTIERI E MULATTIERE A MEZZA COSTA
La lista dei sentieri non può non comprendere la famosissima Via dell’Amore, realizzata negli anni Venti del secolo scorso per unire Riomaggiore a Manarola (un chilometro a picco sul mare). Altri cammini partono da Corniglia, alta su uno sperone a 90 metri sopra il mare, per condurre in località e santuari attraversando boschi, vigneti e uliveti a mezza costa o sul crinale, come quello che in 3 chilometri collega Corniglia a Vernazza. Da Riomaggiore la magnifica passeggiata chiamata Via Grande porta al Santuario di Montenero da cui, foschia permettendo, si avvistano tutte le Cinque Terre, il promontorio del Mesco e l’isola di Tino. La camminata da Vernazza a Monterosso richiede circa 2 ore e corrisponde in parte anche al percorso che porta prima al Santuario di Nostra Signora di Reggio e poi a quello di Soviore. La mulattiera che da qui conduce a Monterosso è tra le più belle delle Cinque Terre.

VERNAZZA, PORTO ANTICO
Reso inconfondibile sia dalla torre cilindrica del Castello dei Doria sia dallo sperone roccioso che domina il mare, Vernazza è il borgo più intatto e caratteristico delle Cinque Terre. Affacciata sulla piazzetta, proprio di fronte al porticciolo dove attraccavano le galee della Repubblica marinara di Genova, si erge la Chiesa di Santa Margherita d’Antiochia , costruita
UN ALTO MURO DI CASE COLORATE
sopra una roccia a picco sul mare nel XII secolo, con la sua torre campanaria ottagonale coronata da archetti a cupola. Dopo il Seicento il borgo conobbe un lento declino, che rallentò anche la produzione del celebre vino, la Vernaccia , voce principale – con la pesca – dell’economia del luogo. La ripresa arrivò due secoli dopo con la costruzione della ferrovia Genova-La Spezia che ruppe l’isolamento in cui la natura legava il sito.
Case torri strette l’una alle altre: è la cosidetta palazzata a mare tipica dei borghi delle Cinque Terre e della Riviera di Levante. Le case dai colori pastello – rosso, rosa, giallo e azzurro –formano una barriera invalicabile, un sistema difensivo ideato ai tempi della Repubblica di Genova, quando gli abitanti dei villaggi affacciati sul mare dovevano proteggere la parte più interna dell’abitato dagli attacchi dei Saraceni e dei Normanni.

VERSO LA TOSCANA
Falesie a picco sul mare, memorie medievali che riportano indietro nel tempo, isole ed entroterra ammantati da una fitta macchia mediterranea, fiumi che scavano valli e cime in lontananza: il Golfo di La Spezia è un magnifico “anfiteatro d’acqua”, al cui centro si trova La Spezia con il suo importante porto mercantile. Alle due estremità della profonda insenatura si dispongono Portovenere, a occidente, e Lerici, a oriente. I due borghi sono i luoghi più noti e celebrati di questo estremo lembo di Liguria, al confine con la Versilia, se si guarda alla costa, e con l’Appennino Tosco-Emiliano se ci si inoltra nell’entroterra fino ad arrivare a Luni, la cittadina ligure posta nel territorio più orientale della regione.
47 • Vernazza è il borgo più intatto e caratteristico delle Cinque Terre, reso inconfondibile dalla torre cilindrica del Castello dei Doria.
Lombardia

Tra i paesi affacciati sul Lago di Como il borgo di Varenna è considerato uno dei più caratteristici e romantici.
MILANO
Bergamo e le sue valli

L’origine celtica di Bergamo è confermata dal nome stesso: nella lingua dei Celti, popolo proveniente dal Nord dell’Europa e presente sul territorio a partire dal IV secolo a.C., Bèrghem deriverebbe da Berg “monte” e da Hem “abitazione”. Prima ancora dell’arrivo dei Celti, la provincia di Bergamo con le sue valli, come quella di Lecco e Como, era abitata dagli Orobi, una popolazione di origine ligure o gallica cui è attribuita la fondazione della città. Dal 49 a.C. Bergamo divenne un municipium romano con un ruolo di primo piano – il cardo e il decumano sono tuttora le due vie principali della Città Alta che si incrociano sotto la Torre del Gombito – finché, con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.), non si aprì l’epoca delle invasioni barbariche e dei saccheggi attuati da Goti, Unni e Bizantini. Con la conquista da parte dei Longobardi, iniziata nel 568, Bergamo ritrovò la sua stabilità e prosperità grazie anche alla posizione strategica di controllo lungo le strade che portavano a Pavia, capitale longobarda. In quel periodo il ducato venne diviso nelle due corti regie di Città Alta sul colle e di Curtis Murgula, nella piana sottostante dove scorreva il torrente La Morla, sancendo quella suddivisione che è sopravvissuta fino a oggi.
La Valle di Scalve è una delle tante valli che caratterizzano il territorio delle Orobie Bergamasche: la Val Brembana, la Val Seriana, la Val Taleggio e la Valle Imagna sono le principali e costituiscono le mete predilette per chiama immergersi nella natura incontaminata a pochi passi da Bergamo, ma anche dal capoluogo lombardo.

Dopo il 774, quando i Franchi spodestarono i Longobardi, l’insediamento posto in alto rimase per secoli la sede del potere sia sotto il dominio dei vescovi-conti (905-1098) sia in età comunale. Da libero comune la città si schierò con la Lega Lombarda contro l’imperatore Federico Barbarossa, vivendo un periodo di lotte interne tra famiglie guelfe e ghibelline, le prime sostenitrici del pontefice e le seconde dalla parte dell’imperatore. A quegli scontri pose fine la conquista della città nel 1332 da parte dei Visconti di Milano, i quali fortificarono la cittadella.
PARCO DELLE
OROBIE
BERGAMASCHE
Val Seriana Val Brembana
Val Camonica
Valle di Scalve
Clusone
San Pellegrino Terme
MILANO
BERGAMO
Alla nobile famiglia milanese Bergamo venne strappata nel 1428 quando passò sotto il dominio della Serenissima che sarebbe durato fino al 1797, anno dell’ingresso entro le mura dell’esercito di Napoleone Bonaparte. I veneziani ricostruirono il nucleo medievale della Città Alta ed eressero possenti mura difensive che fecero di Bergamo la prima città fortificata a est dell’Adda, il fiume che segnava il confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. Proprio le mura, lunghe oltre 5 chilometri, con le loro quattro porte d’accesso hanno consentito a Bergamo di entrare nel 2017 nella lista del Patrimonio dell’Unesco. Già nel periodo del dominio asburgico la costruzione nel 1857 di una linea ferroviaria che collegava Bergamo con Milano diede il via a un processo di sviluppo dell’area urbana città posta ai piedi dei colli, che successivamente crebbe con la prima industrializzazione e le trasformazioni del XX secolo. Agli inizi del Novecento l’incarico di dare un aspetto moderno alla Città Bassa e al suo impianto settecentesco venne affidato all’architetto romano Marcello Piacentini, che progettò l’attuale Centro Piacentiniano sul vecchio complesso della Fiera.
56 • Il Quadriportico del Centro Piacentiniano che si affaccia sul Sentierone. Con la sua camminata sotto i portici fa da collante tra la parte commerciale e il viale alberato, dove si affaccia il Teatro Donizetti, eretto nel 1791.

L’AMBIZIOSO SOGNO
DEL CONDOTTIERO
Nel cuore antico della Città Alta, accanto alla romanica della Basilica di Santa Maria Maggiore, si erge la sontuosa Cappella Colleoni, mausoleo dalla facciata di marmi policromi sovrastata da cupola. Fu fatta erigere nel 1472 da Bartolomeo Colleoni, piccolo nobile del contado bergamasco che, grazie all’audacia con le armi, si distinse come uno dei principali capitani di ventura dell’Italia del Quattrocento. Dopo una lunga carriera militare alternativamente al soldo di Venezia e di Milano, divenne capitano generale delle milizie veneziane di terraferma. Per coronare l’ambizioso sogno di possedere una tomba nel cuore simbolico della città, il condottiero affidò il progetto a Giovanni Antonio Amadeo, che utilizzò lo spazio prima occupato dalla sagrestia della Basilica e, con un sofisticato gioco di prospettive, riuscì a far sembrare la cappella funeraria più grande della Basilica stessa.
LA CITTÀ DI DONIZETTI
Nella Città Bassa, oltre Porta Sant’Alessandro, Borgo Canale ha mantenuto nel tempo il suo carattere di borgo rurale fuori le mura, da cui si gode un magnifico panorama delle cupole e delle torri di Bergamo Alta. Proprio qui, nel seminterrato di una modesta casa, il 29 novembre 1797 nacque il compositore Gaetano Donizetti, terzo figlio di una famiglia poverissima. Il padre, forse un tessitore, vide nella musica una possibilità di riscatto sociale e fece studiare i suoi figli: Gaetano iniziò a prendere lezioni dal compositore tedesco Simone Mayr e nel 1806 entrò nell’Istituto Musicale fondato dallo stesso Mayr, rimandendovi per otto anni. Lasciò Bergamo nel 1822, per vivere prevalentemente a Napoli – dove ottenne la cattedra di composizione al Conservatorio – e in parte nelle città italiane sede dei maggiori teatri d’Opera, oltre che a Parigi e a Vienna. Provato da lutti familiari e da problemi
di salute, tornò infine a Bergamo, dove morì l’8 aprile 1848. Il legame tra il compositore e la sua città fu sempre forte: Donizetti non smise mai di scrivere non solo al suo maestro Mayr, ma anche agli amici, per i quali talvolta si firmava “l’Arlecchino bergamasco”. Il compositore riposa nella Basilica di Santa Maria Maggiore, la casa natale è stata trasformata in una casa-museo e il Museo Donizettiano è stato allestito nella Domus Magna, nella Città Alta.
57 • A pochi passi da Piazza Vecchia, Piazza del Duomo è il cuore religioso della città orobica. Su questo spazio celato, sorto sull’antico Foro romano, nel corso dei secoli sono stati costruiti i più importanti edifici religiosi tra cui il Duomo, la splendida Basilica romanica di Santa Maria Maggiore e il Battistero. Accanto alla Basilica, sulla destra, si erge la policroma Cappella Colleoni,
Veneto

Verona sorge lungo l’Adige nel punto in cui il fiume forma un doppio meandro: questa collocazione garantì in passato sia una difesa naturale sia, naturalmente, la possibilità di approvvigionarsi facilmente d’acqua, motivi per cui l’insediamento crebbe d’importanza con i Romani diventando uno dei principali del Nord Italia.
VENEZIA
LA LAGUNA E LE VILLE
La laguna e le ville del Brenta

Oltre Venezia, con i suoi scenari unici e i celebri gioielli di storia e arte, si può compiere un viaggio in barca per scoprire l’affascinante “mondo liquido” della Laguna, con le sue isole silenziose e discoste. Lasciata la città, si seguono strade d’acqua indicate dalle bricole per esplorare un ambiente unico, in un insolito percorso tra paesaggio, arte, storia e leggende che consente di cogliere l’essenza nascosta di queste terre miracolosamente strappate al mare. Si visitano così l’isola di San Giorgio, affacciata sul Bacino di San Marco, Murano, dalle cui fornaci escono vetri artistici, Burano, caleidoscopio di case colorate e di delicati merletti, Torcello, con le scene infernali nel mosaico del Giudizio Universale, ma anche le minuscole San Francesco del Deserto e San Lazzaro degli Armeni. Il viaggio sull’acqua può proseguire lungo il Naviglio del Brenta. A bordo del burchiello si ammirano le ville di delizia dei nobili veneziani: dalle fastose sale affrescate di Villa Pisani, circondata da un meraviglioso giardino all’italiana, alle classiche forme della palladiana Villa Foscari, la “Malcontenta”, per poi tornare tra le barche dei pescatori di Chioggia, verace Venezia in miniatura.
Parte integrante del paesaggio lagunare, le bricole sono grossi pali di quercia o rovere che, legati a gruppi di tre, segnalano i canali navigabili, anche in presenza di nebbia e maltempo, per impedire alle imbarcazioni di arenarsi nelle acque basse.

UN GIOIELLO DISCOSTO
Piccola di dimensioni, silenziosa, lontana dai più frequentati percorsi turistici, l’isola di San Giorgio Maggiore ha una storia importante, legata a un convento di Benedettini fondato nel X secolo e spesso usato dalla Serenissima per ospitarvi personaggi illustri. Nelle acque del canale delle Grazie, che separa l’isola dalla vicina Giudecca, si specchia la superba facciata della Chiesa di San Giorgio, ricostruita in forme rinascimentali da Andrea Palladio a partire dal 1566. Al suo interno, un imponente altare maggiore, preziose tele del Tintoretto e una Vergine col Bambino, considerata un capolavoro di Sebastiano Ricci.
L’ISOLA DEL VETRO
Un serenissimo decreto del 1295 impone il trasferimento a Murano delle fornaci veneziane, troppo pericolose per una città allora edificata soprattutto in legno. Signore indiscusso dell’isola diviene così il vetro, la cui storia è sapientemente narrata nel Museo del Vetro, allestito nel gotico Palazzo Giustinian sin dal 1861: oltre 4000 i pezzi qui esposti che culminano in un lampadario a 60 bracci. Nell’orbita della Serenissima fino alla sua caduta nel 1797, ottiene da Napoleone l’autonomia ma assiste anche
alla distruzione di chiese e conventi. È sopravvissuta la gemma più preziosa, la Basilica dei Santi Maria e Donato, del XII secolo, ricoperta di mosaici in stile bizantino, cui fa da contrappunto il ricco pavimento musivo, realizzato nel 1140. E pure la trecentesca Chiesa di San Pietro Martire, dove scenografici lampadari in vetro illuminano tele di Giovanni Bellini, Tintoretto e Veronese. A vigilare sul borgo si staglia un faro in marmo d’Istria, arretrato rispetto al mare ma la cui luce si riverbera potente sull’acqua grazie a un gioco di specchi.
54 in alto • Sembra affiorare dalle acque la palladiana Chiesa di San Giorgio Maggiore, il cui interno cela prestigiosi capolavori, tra cui l’ Ultima Cena (1594) del Tintoretto.
54 in basso • L’abitato di Murano, un agglomerato di cinque isole, è diviso in due parti dal sinuoso Canal Grande, collegate tra loro da un unico ponte.

LA PESCA DELLE MOECHE
Dall’epoca della Serenissima, due volte all’anno, in primavera e in autunno, i moécanti prendono il largo nelle acque della Laguna per imbrigliare nelle loro reti le moéche. Si tratta di granchi verdi che, catturati nel periodo della muta, quando si presentano privi del carapace che li protegge, finiranno sui banchi colorati del mercato di Rialto e poi, in versione gourmande, sulle tavole dei veneziani.


VIVACI COLORI NELL’ISOLA DEI MERLETTI
Case coloratissime, secondo la tradizione dipinte dalle mogli dei pescatori per consentir loro di riconoscere la propria abitazione da lontano, anche in presenza di nebbia. Carlo Moggioli, Gino Rossi, Pio Semeghini e altri pittori all’inizio del Novecento hanno catturato l’anima di Burano per sublimarla in opere d’arte, ma l’isola è anche patria dei merletti lavorati al tombolo, un sapere secolare che, nel 1872, porta alla fondazione di una vera e propria scuola, divenuta oggi museo. Burano vanta un altro gioiello d’inestimabile valore: è la Crocifissione del Tiepolo nella Chiesa di San Martino, un trionfo di luce, colori e armonia in cui compare in un curioso autoritratto il pittore stesso. A vegliare sull’edificio un campanile pendente a causa di un cedimento alla base, diventato il simbolo dell’isola. Nell’agglomerato di minuscole isole, collegate tra loro da ponticelli, si insinua il fragrante profumo dei bussolai, tradizionali biscotti dei pescatori. Un ponte di legno collega Burano a Mazzorbo il cui campanile, che svetta tra le vigne, è custode di una delle campane più antiche d’Europa.
55 • La case coloratissime di Burano sono l’anima dell’isola. I verdini, i rosa tenui, i gialli canarino ne fanno un trionfo di luce e armonia.
PADOVA
VENEZIA
Chioggia
Lido di Venezia Stra
Mirano Fiesso d’Artico