Pride and Prejudice di Jane Austen: la relativizzazione del punto di vista

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La via maestra segnata da questi tre importantissimi autori nel tentativo di fornire norme fisse – se così possiamo chiamarle – del nascente genere letterario diede impulso dagli anni quaranta del Settecento a un notevole incremento delle pubblicazioni, anche se la qualità ne risentì notevolmente.13 Circa a metà del secolo si intravide un mutamento nella concezione del romanzo. Se prima veniva data una importanza quasi ossessiva ai fatti e quindi all'oggettività, riportando accuratamente le fasi della vita del personaggio, i luoghi e i tempi delle azioni, l'accento venne posto sull'interiorità del protagonista, sulle sue idee, sensazioni e opinioni, evidenziando quindi anche la relatività degli eventi e rendendone il giudizio variabile. Un esempio di questo tipo di narrativa si trova in Sterne e nella sua opera più importante, The Life and Opinions of Tristam Shandy, Gentleman, scritto fra il 1760 e il 1767, dove il radicale mutamento è evidente sin dal titolo, soprattutto se opposto al The Life and Strange Surprizing Adventures of Robinson Crusoe di Defoe: una contrapposizione quindi dell'oggettività data dalle adventures – fatti – alla relatività delle opinions – idee. Quasi ad anticipare la tecnica del flusso di coscienza di James Joyce, Sterne tentò di riportare sulla pagina ogni aspetto dell'interiorità del protagonista, compresi i suoi pensieri nel momento del loro sorgere. Tramite il continuo utilizzo di digressioni e associazioni mentali, cercò di esplorare fino in fondo e di afferrare l'essenza umana per trasportarla nel romanzo in tutta la sua autenticità, rendendo però estremamente difficoltosa la comprensione dell'opera e condannando se stesso a essere emarginato dai contemporanei. Alla fine del Settecento iniziò ad ampliarsi e a venire allo scoperto il fenomeno della letteratura femminile. Oltre ad alcune pioniere come Aphra Behn, che già nel XVII secolo cercava di imporsi come scrittrice nel mondo della letteratura dominato dagli uomini, le opere scritte dalle donne nel secolo successivo furono molteplici, anche se è difficile identificarne il numero esatto, vista la diffusa reticenza da parte delle donne stesse a riconoscere le proprie creature,14 dovuta anche al fatto che la fama che un'autrice poteva ottenere tramite la professione letteraria veniva considerata come qualcosa di negativo, quasi di infamante. È però anche vero che inizialmente molti degli autori maschili preferirono nascondersi dietro pseudonimi o addirittura proclamarsi solo semplici curatori dell'opera. 13

C.T. Probyn, op. cit., p. 149. A. Lamarra, “Generi al femminile”, in F. Marenco (a cura di), Storia della civiltà letteraria inglese, Torino, U.T.E.T., 1995, p. 173. 14

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