La poesia estemporanea in Sardegna: la personalità e l'opera di due poeti di Silanus

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A.D. MDLXII

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LA POESIA ESTEMPORANEA IN SARDEGNA. LA PERSONALITÀ E L’OPERA DI DUE POETI DI SILANUS: MARIU MASALA E FRANTZISCU MURA

Relatore:

PROF. DINO MANCA

Tesi di Laurea di:

CHIARA COCCO

ANNO ACCADEMICO 2012/2013



Indice Introduzione

pg. 3

PARTE PRIMA: oralità e scrittura nella comunicazione letteraria

pg. 4

1. L'importanza del significante 2. La voce è alla base della parola 3. Oralità e scrittura: due universi distinti 4. Oralità e scrittura: il contesto linguistico e situazionale 5. Oralità e letteratura 6. La poesia orale 7. La letteratura in Sardegna: plurilinguismo e oralità PARTE SECONDA: estemporanea logudorese

la

poesia

1. La poesia in Sardegna 2. Poesia estemporanea logudorese 3. Le occasioni fuori dal palco 4. Misteri della poesia: l'ispirazione e sa muta 5. Su brincu dae terra a su parcu: la cultura e la lingua del poeta 6. Breve storia della gara poetica ufficiale dalle origini alla fine della seconda guerra mondiale 7. Il tempo e il luogo della gara 8. La gara 9. Caratteri fondamentali della poesia estemporanea logudorese 10. Su poeta: presenzia, trazzu, zeniu 11.La gara tra antagonismo, valori condivisi ed enciclopedismo 12. I poeti come sofisti 13. Il pubblico

pg. 5 pg. 8 pg. 9 pg. 16 pg. 21 pg. 24 pg. 26

pg. 31 pg. 32 pg. 35 pg. 37 pg. 39 pg. 43 pg. 45 pg. 51 pg. 54 pg. 63 pg. 68 pg. 71 pg. 76 pg. 79 1


14.Su tenore

PARTE TERZA: due poeti improvvisatori di Silanus: Mariu Masala e Frantziscu Mura 1. Marieddu Masala 2. Frantziscu Mura

Conclusioni Bibliografia e sitografia Ringraziamenti

pg. 84

pg. 86 pg. 87 pg. 101

pg. 115 pg. 116 pg. 119

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Introduzione

Partendo dall'analisi delle caratteristiche della comunicazione orale, delle differenze che la distinguono dalla comunicazione scritta e dal rapporto che lega l'oralità alla letteratura, il lavoro tratta una delle tante manifestazioni di letteratura orale in Sardegna: la poesia estemporanea. Tra i tanti tipi di poesia improvvisata diffusi nelle varie aree della regione, ho scelto di soffermarmi sulla poesia estemporanea logudorese, in quanto è la forma presente nel paese in cui vivo e nel circondario. A Silanus, paese della Sardegna centrale in provincia di Nuoro, questo tipo di poesia è sempre stato molto amato, le gare di poesia che vengono organizzate in occasione della festa in onore di San Lorenzo martire, tutt'oggi, vengono seguite con interesse da un folto pubblico di appassionati, inoltre, numerosi sono e sono stati da sempre coloro che amano improvvisare versi in occasioni non ufficiali: isposonzos (matrimoni); ispuntinos (banchetti tra amici), feste paesane o campestri. Due poeti, da dilettanti quali sono stati fin da bambini, hanno intrapreso, successivamente, la strada del professionismo, si tratta di Marieddu Masala e Frantziscu Mura, l'ultima parte del lavoro è dedicata alla loro personalità e opera.

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PARTE PRIMA

ORALITA' E SCRITTURA NELLA COMUNICAZIONE LETTERARIA

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1. L'importanza del significante “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”1

Il Verbo, la parola, è l'origine di tutto, il mondo se non fosse stato catalogato attraverso la parola non sarebbe stato altro che caos. La parola è un segno e in quanto tale denota un determinato concetto (significato) attraverso un'espressione sonora o grafica (significante). Tra significante e significato non esiste nessun legame logico, il segno linguistico è caratterizzato da arbitrarietà proprio perché non esiste alcun legame motivato per cui un determinato significante debba esprimere un certo significato. «Noi viviamo in una dimensione segnica» in quanto siamo «costantemente impegnati a decifrare e a costruire dei messaggi»2 attraverso i segni. Questo infatti sta alla base della comunicazione e comunicazione significa conoscenza: noi diamo un senso alla realtà che ci circonda nominandola, catalogandola, spiegandola; in questo modo non facciamo altro che dare un ordine al mondo che altrimenti non sarebbe altro che caos. La rivoluzione linguistica del Novecento, dovuta ai formalisti russi, ci ha insegnato che «il senso che noi diamo al mondo è il nostro discorso del mondo»3 ciò vuol dire che l'uomo instaura un rapporto con la realtà e le dà un senso attraverso la parola. Inoltre, tale rivoluzione ci ha insegnato anche che il mondo non è

1 Vangelo di Giovanni, 1,1. 2 D. MANCA, Il testo tramandato. Elementi di teoria ecdotica e letteraria. Dispensa di filologia della letteratura italiana a cura di D. Manca, p. 39. 3 N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura. Questioni e strumenti, Cagliari, Cuec, 2005, p. 28.

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altro che un oggetto per un soggetto conoscente dove il “per” rappresenta il ponte tra l'io e il mondo, il “per” è il linguaggio attraverso il quale è possibile dare un senso al mondo stesso. Quel discorso del mondo, che fa sì che si possa catalogare la realtà e che dunque essa abbia un senso, è possibile solo attraverso la lingua che è costituita dalle parole, esse sono prima di tutto suoni.4 Infatti dobbiamo considerare che l'uomo, ovunque, trovandosi a contatto con altri simili, per comunicare, usa un linguaggio che è principalmente orale. L'uomo (homo sapiens) esiste da circa 50.000 anni ma ha cominciato a conoscere la scrittura solo, si fa per dire, circa 6.000 anni fa, prima egli comunicava quasi esclusivamente in maniera orale o attraverso disegni e si serviva di vari strumenti di memorizzazione come, ad esempio bastoncini, sassolini, cordicelle, ma, sia questi, sia i disegni, nonostante fossero segni dotati di significato, tuttavia non possono essere inclusi nel concetto di scrittura5.6 Esprimersi oralmente è proprio dell'uomo, fa parte della sua natura, del suo essere uomo in quanto tale, «il parlare permette la vita cosciente, ma sale alla coscienza da profondità inconscie» 7 a differenza della scrittura, che invece è un'invenzione frutto delle capacità e dell'intelligenza umane, «è una tecnologia»8, non è

4 Sull'argomento trattato cfr. D. MANCA, Il testo tramandato. Elementi di teoria ecdotica e letteraria. Dispensa di filologia della letteratura italiana a cura di D. Manca, pp. 36-40; N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., p. 28; D. MANCA, Introduzione in: G. DELEDDA, L'edera, ed. critica a cura di D. Manca, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, p. XLIV. 5 Inteso come sistema di segni che permette alla comunità che la adotta di fissare e riprodurre espressioni verbali. 6 Cfr. W. J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, tr. it., a cura di Alessandra Calanchi, Bologna, il Mulino, 1986, p. 20, p. 125 e ss. 7 Ivi, p. 123. 8 Ibibem.

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qualcosa di naturale: «il bambino, quando impara una lingua, impara prima a parlare che a scrivere. Non solo, il bambino impara a parlare in modo del tutto naturale, anche senza insegnamento specifico, mentre per imparare a scrivere ha bisogno di addestramento specifico».9 La scrittura inoltre non può mai fare a meno dell'oralità, è legata all'espressione orale: «leggere

un

testo

significa

convertirlo

in

suono

con

l'immaginazione», così scrive W. J. Ong10, mentre l'oralità può fare a meno della scrittura; esistono popoli, infatti, che da sempre e tutt'ora comunicano solo oralmente, non sono alfabetizzati, vivono cioè in una condizione di oralità primaria. Tale condizione ha anche caratterizzato per lungo tempo civiltà arcaiche, importantissime per l'eredità che hanno lasciato ai posteri in diversi campi del sapere, come quella greca ad esempio, nonostante quest'ultima, con il tempo, sia poi diventata una società caratterizzata dall'utilizzo della scrittura. Ferdinand de Saussure, esponente fondamentale della linguistica moderna, fu il primo nel suo campo a interessarsi maggiormente alla lingua in quanto suono, sostenendo che le parole non sono costituite semplicemente da lettere ma da fonemi, ossia da unità funzionali di suono e anche quando egli parla dei famosi concetti di langue11 e parole, quest'ultima è intesa come l'esecuzione linguistica concreta di un singolo individuo, esecuzione intesa come orale.12

9 G. GRAFFI, S. SCALISE, Le lingue e il linguaggio. Introduzione alla linguistica, Bologna, il Mulino, 2003, p. 29. 10 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 26. 11 Concetto astratto che indica la lingua come un sistema di segni riconosciuto da una data comunità di parlanti. 12 Sull'argomento cfr. G. GRAFFI, S. SCALISE, Le lingue e il linguaggio..., p. 31.

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2. La voce è alla base della parola La parola orale non può esistere in mancanza della voce, senza di essa il linguaggio è impensabile, «la voce va oltre la parola»13, ha in se qualcosa di magico, di affascinante perché è il suono del corpo umano. Noi siamo in grado di percepire l'interiorità degli oggetti ascoltando il suono che essi emettono, senza la necessità di penetrarli per scoprirne l'interno, dunque è grazie alla voce che sappiamo qual è il suono dell'organismo umano. La voce dà vita alle parole e di conseguenza al linguaggio, «il soffio della voce è creatore».14 Essa tuttavia non è solo questo, è il mezzo attraverso il quale, senza l'utilizzo delle parole, si esprimono emozioni intense: il grido dei bambini che giocano, il grido di guerra, quello per una gioia immensa o per il dolore di una perdita oppure può anche avere potere di seduzione. La voce rappresenta chi parla e informa sulla persona: ad esempio si può essere “traditi” dalla voce quando si mente.15 La voce abita nel silenzio del corpo, come già il corpo nel grembo materno. Ma, a differenza del corpo essa vi ritorna, abolendosi in ogni istante come voce e come parola. Appena parla, risuona nel suo vuoto l'eco di questo deserto di prima della rottura, da dove zampillano la vita e la pace, la morte e la follia.16

13 P. ZUMTHOR, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, tr. it., a cura di Costanzo Di Girolamo, Bologna, il Mulino, 1984, p. 9. 14 Ivi, p. 8. 15 Sull'argomento cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., pp. 5-15 e W. J. ONG, Oralità e scrittura..., pp. 104-106. 16 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 8.

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3. Oralità e scrittura: due universi distinti Nel momento in cui, in alcune società, si è cominciato a conoscere e usare la scrittura e dunque si è passati da una condizione di oralità primaria, fase cioè in cui non si era a conoscenza della scrittura stessa, all'alfabetizzazione, sono cambiate le strutture mentali degli uomini di quella società, la scrittura ha portato dei cambiamenti radicali, «ha trasformato la mente

umana

più

di

qualsiasi

altra

invenzione»17.

La

dimostrazione di quanto ciò sia vero è emersa anche grazie al risultato del lavoro di vari studiosi che, analizzando a fondo i componimenti orali, hanno mostrato quanto essi fossero diversi da quelli scritti per le tecniche di creazione, memorizzazione e trasmissione; l'analisi di tali differenze ha contribuito a dare prova del fatto che la scrittura abbia ristrutturato il pensiero umano. Milman Parry, attraverso lo studio di Iliade e Odissea, è stato uno dei primi a dimostrare quanto la parola intesa come suono, quindi orale, fosse importante e avesse prodotto addiritura capolavori come i poemi omerici. Con Parry, finalmente, a partire dagli anni Venti del XX secolo, cominciò lo studio delle creazioni orali, per identificarne le caratteristiche peculiari; tali prodotti erano stati per secoli trascurati dagli studi scientifici e letterari in quanto «le creazioni orali sono state viste tendenzialmente come varianti di produzioni scritte»18 quindi spesso, erroneamente, anche rozze e indegne di uno studio serio, «non meritevoli di seria attenzione

17 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 119. 18 Ivi, p. 26.

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da parte degli studiosi».19 Gli studi del grecista statunitense si basarono

in

primo

luogo

sulle

tecniche

di

creazione,

memorizzazione e trasmissione orale dei testi, le sue scoperte permisero di comprendere quanto le produzioni orali fossero diverse da quelle scritte - contrariamente a quello che fino a quel momento si pensava - perché diversi erano i metodi e le tecniche di composizione. Milman Parry scoprì che quando Omero componeva e recitava i poemi non diceva niente di nuovo, parlava di miti conosciuti da tutti, patrimonio di un intero popolo e lo faceva attraverso il “cucire

insieme”

(rhápsodein)

formule

standard

(«nella

definizione di Parry: “gruppi di parole usate regolarmente nelle stesse condizioni metriche per esprimere una data idea essenziale”»20) e temi altrettanto standard, le cosiddette scene tipiche, ossia «rappresentazioni ripetute più volte di azioni comuni, come mangiare, andare a dormire, o tipicamente eroiche, come armarsi, o rituali, come compiere sacrifici»21e così via. Lo stile formulaico caratterizza il pensiero e l'espressione delle culture a oralità primaria e ciò accade perché la formula permette l'apprendimento e la memorizzazione. In una società sprovvista di scrittura «noi sappiamo ciò che ricordiamo»22, non esistono testi che possano aiutare a ricordare, l'unico mezzo per conservare i saperi è non dimenticare e questo è possibile solo se i concetti vengono organizzati nella mente in maniera da restare ben saldi. In una condizione di oralità primaria la memoria è

19 Ibidem.

20 Ivi, p. 49. 21 S. FORNARO, Percorsi epici. Agli inizi della letteratura greca, Roma, Carocci, 2003, p. 63. 22 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 61.

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l'unico “libro” che possa essere consultato per ricordare qualsiasi concetto; fissare del materiale nella mente affinchè esso possa essere, all'occorrenza, prontamente recuperato, è possibile solo «pensando pensieri memorabili»23, cioè organizzando il pensiero attraverso espedienti che permettano di ricordarlo con facilità. Le espressioni formulaiche, le frasi fatte, i temi standard e ancora le ripetizioni, gli epiteti, i proverbi olre che le assonanze, le alliterazioni

e

un'organizzazione

ritmica

del

discorso

rappresentano alcuni di tali espedienti. Considerando dunque, in base a quanto detto, l'importanza della ripetizione in condizioni di oralità, emerge una differenza fondamentale tra individui alfabetizzati e non, riguardo all'approccio con un testo, differenza che ha a che vedere con la diversa mentalità che caratterizza chi conosce la scrittura a causa delle trasformazioni di portata eccezionale che ha prodotto tale invenzione, si tratta della diversa concezione del termine originalità. In una società fondata sulla scrittura ciò che l'autore ricerca e ciò che il lettore richiede è l'originalità intesa non solo come novità di contenuti ma anche come lontananza da clichè, da frasi fatte, al contario, all'interno di una cultura orale, non viene data importanza a ciò che si dice, piuttosto a come lo si dice. Come Parry ha avuto modo di dimostrare, quelle dello stesso Omero erano composizioni realizzate attraverso il cucire insieme parti prefabbricate, egli era proprio su quei punti, disprezzati e svalutati dal pubblico dei lettori dei secoli successivi, che basava la sua opera, ossia sulla ripetizione di frasi ed episodi sempre

23 Ivi, p. 62.

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uguali.

L'originalità,

in

una

cultura

orale,

consiste

nell'organizzare la narrazione, fatta di formule e temi standard, in modi sempre nuovi in base alle occasioni, così da soddisfare le aspettative del pubblico.24 Parry

cercò

di

comprendere

anche

come

avvenisse

l'apprendimento e la memorizzazione di brani così lunghi da parte degli aedi greci. Lo studioso si convinse del fatto che ciò non avvenisse parola per parola ma che i cantori memorizzassero le lunghe narrazioni attraverso i temi e le formule standard; il fatto che la formula fosse un'espressione fissa «modellata appositamente per collocarsi in un esametro»25permetteva al cantore di utilizzarla in modi diversi, spostandola nel testo a seconda delle esigenze, mantenendo comunque una regolarità dal punto di vista metrico. Per questo sosteneva che quando gli antichi aedi greci cantavano, la narrazione non venisse mai cantata due volte allo stesso modo: ricorrevano gli stessi contenuti, gli stessi temi e le stesse formule ma organizzati in maniera differente all'interno della narrazione. L'unico problema che si presentava a Parry era il fatto di non avere nessuna prova a conferma delle sue ipotesi perché non esisteva alcun modo di ascoltare e confrontare le narrazioni dei cantori greci, scomparsi ormai da duemila anni; la soluzione si presentò quando si scoprì che in Jugoslavia si trovavano dei poeti che componevano narrazioni epiche in versi, orali, senza l'ausilio di alcun testo scritto, tali composizioni avevano carattere formulaico proprio 24 “L'originalità non consiste nell'introdurre nuovi materiali, ma nell'adattare quelli tradizionali in maniera efficace ad ogni individuo, situazione o pubblico.” (W. ONG, Oralità e scrittura..., p. 92). 25 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 90.

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come i poemi omerici. Il risultato degli studi, attraverso ricerche, interviste e registrazioni, della poesia orale dei cantori serbocroati, diede fondamento alle ipotesi di Parry e il suo lavoro fu portato ancora avanti dai suoi allievi Albert B. Lord e Eric A. Havelock. Tali scoperte di Milman Parry sull'apprendimento e sulla memorizzazione dei testi permisero di comprendere che in una cultura orale una narrazione non può essere concepita come un insieme di parole distinte, divise, è per questo che i cantori interiorizzavano lunghissime composizioni per mezzo delle formule e dei temi standard e non parola per parola. Questo tipo di processo intellettivo tipico delle culture orali, è determinato dal fatto che in tali culture la parola sia concepita unicamente in quanto suono; è impossibile, in questi casi, percepire la parola come elemento singolo, separato dal resto della composizione perché il suono ha, a differenza della vista, un'azione unificante. Mentre la vista tende a frazionare gli elementi che percepisce per coglierli con maggiore nitidezza, l'udito invece non percepisce i suoni singolarmente, semmai percepisce un insieme armonico di suoni stessi. In una società fondata sulla scrittura, al contrario, un individuo alfabetizzato, dovendo memorizzare un testo, leggerebbe questo più volte e cercherebbe di ricordarlo parola per parola perché il modo che egli ha di percepire la parola stessa è completamente differente da quello di un individuo che vive in una condizione di oralità primaria. Infatti, per l'alfabetizzato, la parola non è suono ma solo segno, è una “cosa” perché egli, grazie alla conoscenza della scrittura, è in grado di leggere la parola, quindi di vederla e di percepirla in tal modo come oggetto concreto e come entità 13


separata all'interno di un testo. L'oralità, dunque, si basa sulla sfera sensoriale dell'udito e sul rapporto bocca-orecchio: i pensieri si esprimono attraverso l'emissione di suoni (parole) che vengono percepiti come un tuttuno armonico dall'apparato uditivo; la scrittura invece sarà fondata sul rapporto manoocchio: ogni parola viene scritta e letta singolarmente e dunque percepita come oggetto singolo.26 Il fatto che in una cultura orale la parola sia intesa unicamente come suono fa sì che essa sia un atto unico, che non può ripetersi identico. Il suono è sfuggente, evanescente, e così anche la parola che, oralmente intesa, muore nell'attimo in cui si finisce di pronunciarla, essa è un'attimo fuggente non c'è epiteto migliore di quello di Omero, “parole alate”, per sottolineare l'idea di movimento che evoca. Un individuo alfabetizzato percepisce la parola non come movimento ma come qualcosa di immobile, di fisso, quasi come se fosse un'etichetta preconfezionata da apporre all'oggetto che indica. Tutto ciò dipende dal fatto che in totale assenza di scrittura le parole siano percepite unicamente attraverso l'udito, al contrario, la conoscenza delle lettere permette a un individuo alfabetizzato di vedere la parola, qualora egli la scrivesse, o comunque di crearsi nella mente un'immagine visiva di essa.27 La diversa percezione della parola - unicamente come suono in culture a oralità primaria e come oggetto visibile in culture alfabetizzate - influenza la mente umana a tal punto che vi sono 26 Cfr. W. J. ONG, Oralità e scrittura..., pp.105-108. 27 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., pp. 59-61.

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delle differenze, da una condizione all'altra, addirittura per ciò che riguarda la concezione dello spazio e del tempo. Conoscere la scrittura ha dato la possibilità all'uomo di studiare, tale pratica è legata alla scrittura stessa, infatti, nelle culture orali non si studia, piuttosto si impara ascoltando chi è ritenuto più saggio o attraverso l'apprendistato presso i più esperti, è così che si fa tesoro dei saperi. Lo studio ha permesso agli alfabetizzati di arrivare a vedere il mondo, attraverso le carte geografiche, quindi a concepirlo come un'insieme di terre diverse davanti a sè, l'uomo alfabetizzato ha una «concezione cumulativa dello spazio»28. Per chi vive in culture orali invece, «il cosmo è un fenomeno continuo, con al suo centro l'uomo che è l'umbilicus mundi, l'ombelico del mondo»29. Per quanto concerne il tempo, in condizioni di oralità primaria, è percepito come realmente esso è, ossia come flusso che avanza e non si ferma mai, come ciclo continuo, mentre in presenza della scrittura si è riusciti a comprimere il tempo all'interno di uno spazio, come quello dell'orologio o del calendario, questo ha fatto in modo che si avesse una concezione lineare del tempo stesso.30 Conoscere o meno la scrittura implica delle diversità di ordine mentale che riguardano anche il modo di interiorizzare e concettualizzare la realtà circostante: le culture orali assimilano il mondo alieno facendo continuo riferimento all'esperienza umana, alle attività conosciute e alla realtà più familiare, non hanno categorie astratte perché esse sono nate grazie all'uso della

28 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 35. 29 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 107. 30 Cfr. Ivi, pp. 106-111.

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scrittura, infatti sono proprie di culture chirografiche. A tal proposito W. J. Ong ci informa su ricerche e studi condotti da A. R. Luria sulle culture orali che hanno dimostrato come, ad esempio, gli illeterati non identificassero le figure geometriche attraverso nomi astratti come cerchio, quadrato ecc., esse venivano indicate con nomi di oggetti e allora il cerchio veniva chiamato luna, piatto; il quadrato specchio, porta e così via. 31 Oltre che alla realtà tangibile il pensiero e l'espressione delle culture orali sono strettamente legati anche al presente, ecco perché possono essere definiti omeostatici. L'omeostasi «elimina memorie senza più rilievo per il presente»: i significati delle parole, in culture orali, dipendono dalla realtà presente, non si trovano in un dizionario, per cui, con il passare del tempo, una parola arcaica può restare in uso alterando il suo significato e dunque adattandosi al presente, oppure può svanire ed essere dimenticata se, ad esempio, indica un oggetto che nel presente non esiste più, perciò, non verrebbe più utilizzata. In una società della scrittura sopravvivono invece parole desuete grazie al fatto che siano state fissate per iscritto.32

4. Oralità e scrittura: il contesto linguistico e situazionale La parola contesto, dal latino cum textu, significa «ciò che sta con e intorno al testo»33, senza contesto la comunicazione non è possibile considerato che un atto comunicativo non avviene mai

31 Cfr. Ivi, p. 72; pp. 79 e ss. 32 Cfr. Ivi, pp. 76-79. 33 N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., p. 30.

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nel nulla ma è inserito all'interno di una rete di informazioni che conferiscono significato ai messaggi che vengono prodotti nel momento in cui si comunica qualcosa. Il contesto può essere di tre tipi: linguistico (costituito dalle informazioni che si trovano dentro al testo utili a chiarire le parole del messaggio che viene prodotto), culturale (consente di comprendere a fondo un messaggio collocandolo all'interno di una determinata area storico-culturale), situazionale (relativo al luogo, al momento, alla situazione appunto, nella quale il messaggio è prodotto).34 Per ciò che riguarda le differenze tra oralità e scrittura dipendenti dal contesto, tra le tre tipologie, l'ultima è quella che bisogna prendere in considerazione. Quando si comunica oralmente, innanzitutto, non si è soli ma almeno in due (emittente e destinatario), ci si trova all'interno di un determinato ambiente, in un attimo ben preciso; il fatto di vedere, sentire, percepire le stesse cose, quindi condividerle, trovandosi all'interno della medesima situazione ossia dello stesso contesto situazionale, influenza l'atto comunicativo, così il messaggio sarà formulato in un determinato modo, probabilmente non verrà detto proprio tutto attraverso le parole ma molti concetti non saranno espressi direttamente e resteranno sottintesi perché sarà considerato inutile esplicitarli attraverso le parole visto che i due interlocutori hanno le stesse percezioni visive, olfattive, uditive. Inoltre, il messaggio orale è supportato da elementi che lo completano come i gesti, la mimica facciale e l'intonazione della voce che chiariscono il messaggio stesso: mentre si parla, in base ai movimenti delle mani, all'espressione del viso, al modo in cui le

34 Cfr. Ivi, pp. 30-31.

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parole vengono pronunciate (con tono vivace, mesto, emozionato ecc.) si comprende il significato di ciò che si dice. Scrivere comporta tutt'altro. Per cominciare la scrittura è un'attività solitaria, come anche la lettura perché nonostante, mentre si legge, sia possibile stare in mezzo alla gente, tuttavia se si è davvero concentrati nella lettura si è immersi nel libro stesso, si è isolati; dunque mentre la comunicazione orale socializza, la scrittura è legata alla solitudine, isola. Inoltre, quando si scrive ci si trova, da soli, all'interno di un determinato contesto situazionale e si comunica qualcosa che però verrà recepito da un pubblico che si trova in un contesto differente, l'emittente e il destinatario del messaggio, insomma, al contrario che nella comunicazione orale, non condividono lo stesso contesto. Il fatto che esso non coincida fa in modo che chi scrive non sappia per chi lo fa, i lettori sono assenti al momento della creazione del messaggio e spesso sconosciuti, egli comunica con un pubblico che non è reale ma è una finzione, infatti è quello che lui immagina ma non è lì presente. Questo fa sì che l'attività della scrittura sia tormentosa perché si deve scrivere in modo tale che il pubblico che leggerà, comprenda ciò che si vuole comunicare e la difficoltà sta nel fatto che bisogna farsi capire solo ed esclusivamente attraverso le parole, senza l'ausilio dei gesti, dell'espressione del viso, dell'intonazione della voce (che in un testo scritto può essere segnalata in maniera minima solo attraverso la punteggiatura), è d'obbligo formulare ogni singola frase in maniera chiara e precisa ed è fondamentale che il testo sia scritto in maniera corretta. Il discorso scritto, perciò, segue una sintassi più elaborata rispetto al discorso orale, sarà infatti ipotattico e non paratattico, cioè in esso prevarranno le 18


proposizioni subordinate anziché quelle principali; la scrittura non ama la ripetizione, la considera una scorrettezza, effettivamente non vi è neanche la necessità che essa sia presente in un testo scritto, infatti il lettore, perdendo momentaneamente le coordinate della narrazione, ha comunque la possibilità di tornare indietro nel testo e recuperarle, ciò non è possibile se si comunica oralmente, perché le parole, in tal caso, non sono fisse ma svaniscono appena finiscono di essere pronunciate, perciò ripetere cose già dette giova sia a chi ascolta, per recuperare concetti che possono essere stati dimenticati o non sono stati recepiti anche per semplici problemi acustici, sia a chi parla, per tenere sempre il filo del discorso. Un testo scritto non presenta esitazioni perché è un testo meditato, invece queste si riscontrano in un discorso orale, in quanto, in tal caso, contemporaneamente si pensa a ciò che si deve dire e si parla. Quando si comunica oralmente, proprio perché emittente e destinatario si trovano insieme a condividere lo stesso contesto, chi ascolta recepisce immediatamente se chi parla sbaglia e nonostante quest'ultimo possa correggersi, tuttavia l'errore c'è stato e la correzione non l'ha reso invisibile all'ascoltatore; scrivere, al contrario permette di cambiare o cancellare una parola sbagliata in corso d'opera, senza che il lettore possa rendersi conto di ciò, infatti non si trova insieme allo scrittore nel momento in cui il messaggio viene prodotto, egli, tra l'altro, spesso non sa neppure chi scrive, l'autore di ciò che sta leggendo potrebbe essere addirittura già morto. Ciò significa che un testo scritto può essere trasportato in un contesto diverso da quello in cui è nato e può vivere anche in mancanza di chi l'ha creato, la parola invece muore subito e può esistere solo se è presente chi la 19


pronuncia, hic et nunc, qui e ora e in nessun altro contesto. Quanto detto, comporta che un testo scritto sia inerte perché se lo si interroga affinchè possa dare delle spiegazioni su una sua affermazione, è ovvio che non risponderà mai, esso è muto, qualora invece vengano chiesti dei chiarimenti a una persona che esprime dei concetti oralmente questa sarebbe in grado di rispondere; lo stesso vale se si muovono delle critiche contro un testo scritto, esso è indifeso, non ha la possibilità di replicare, l'esatto contrario accade nella comunicazione orale che ha un tono agonistico: il dialogo si basa sul concetto di “botta e risposta” tra interlocutori, è una sorta di «battaglia intellettuale e verbale»35.

L'agonismo

tipico

della

comunicazione

orale

influenza le culture che non conoscono la scrittura a tal punto che, come spiega W. J. Ong, esse sono antagonistiche anche nel loro stile di vita36 A proposito della passività del testo scritto, della sua incapacità a difendersi, caratteristiche che lo differenziano dal discorso orale, ha parlato, ai suoi tempi, anche Platone, che nel Fedro, per bocca di Socrate, muove numerose critiche contro la scrittura 37 e in particolare dice: SOCRATE: La scrittura ha questo di inquietante, Fedro, che la rende simile alla pittura. I dipinti ti stanno davanti come esseri viventi, ma se li interroghi tacciono solennemente. Lo stesso vale anche per i discorsi. Si è indotti a pensare che parlino, come se pensassero, ma se, per desiderio di apprendere, li si interrogasse su quello che hanno veramente detto, emetterebbero un solo segnale e

35 W. J. ONG, Oralità e scrittura..., p. 73. 36 Cfr. Ibidem. 37 Sull'argomento dell'intero paragrafo cfr. W. J. ONG, Oralità e scrittura..., pp. 65-73; p. 120; pp. 145-149.

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sempre lo stesso. Una volta scritto, ogni discorso se ne va in giro dappertutto, dagli esperti come da chi è del tutto impreparato ad accoglierlo, e non sa a chi deve rivolgersi e a chi no. Se viene offeso e insultato ingiustamente, ha sempre bisogno del soccorso del padre, perché da solo non è in grado di difendersi né di aiutarsi.38

5. Oralità e letteratura Spiegare il significato del termine letteratura non è cosa facile, questo concetto racchiude in sé talmente tante sfumature che non è possibile dare una definizione sintetica di tale parola, si potrebbero elencare numerose caratteristiche proprie di un testo letterario ma nessuna sarebbe sufficiente a definire in maniera completa il concetto di letteratura.39 Ognuno di noi è in grado di distinguere un testo letterario da uno che non lo è, «è letteratura, quanto il pubblico, lettori o ascoltatori, recepiscono come tale, percependo

in

esso

un'intenzione

non

esclusivamente

pragmatica»40. La letteratura, infatti, ha l'importante compito di far crescere l'uomo dal punto di vista morale e civile, ma essa contribuisce all'educazione e alla formazione dell'essere umano dilettandolo allo stesso tempo; fin dall'antichità si aveva tale concezione della letteratura, tant'è che Aristotele nel mondo greco e Orazio e Quintiliano in quello latino teorizzavano i concetti di miscēre utile dulci e docēre delectando, sottolineando la finalità non solo pedagogica e pragmatica della letteratura ma

38 PLATONE, Fedro, 275d-e, tr. it., a cura di Roberto Velardi, Milano, BUR Rizzoli, 2012. 39 Cfr. N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., p. 19-20. 40 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 40.

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anche quella estetica.41 Quest'arte è fondata sulla parola, «una parola proferita prima di tutto oralmente e poi codificata per iscritto»42, dunque, nonostante spesso ne siano state escluse, le forme artistiche orali, rientrano a pieno titolo nel concetto di letteratura. Infatti un testo letterario è qualsiasi testo scritto o orale caratterizzato da un'alta densità comunicativa frutto di un'alta elaborazione del codice, un testo nel quale si raggiunge il massimo risultato col minimo sforzo, ossia si riesce a trasmettere il massimo del significato con la minore quantità di significanti.43 Il linguaggio di un testo letterario, come ci insegnano i formalisti russi di inizio Novecento, rappresenta uno scarto dalla norma perché è diverso da quello ordinario, infatti è polisemico, altamente connotato e autoriflessivo, in quanto attira l'attenzione più su di sé che sulla cosa di cui parla. Il suo scopo è estetico perché chi crea un testo letterario, scritto o orale che sia, lo fa con l'intenzione di creare una bella opera d'arte che venga recepita come tale dal pubblico.44 Esso sarà in grado di distinguere, in base a queste caratteristiche,

un

semplice

“documento”

(testo)

da

un

“monumento” (testo letterario).45 Quanto l'oralità sia legata alla produzione di opere letterarie e dunque quanto sia leggittimo parlare di letteratura orale lo si comprende se si pensa ad alcune delle più affascinanti opere d'arte che sono state prodotte oralmente e solo in un secondo

41 Cfr. N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., p. 21-22. 42 Ivi, p. 22. 43 Cfr. D. MANCA, Il testo tramandato. Elementi di teoria ecdotica e letteraria. Dispensa di filologia della letteratura italiana a cura di D. Manca, p. 41.

44 Cfr. N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., p. 26-28. 45 Cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 40.

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momento sono state messe per iscritto, per fare solo degli esempi, basti citare l'Iliade, l'Odissea, i carmina latini. Che questi testi fossero nati e si fossero tramandati di generazione in generazione, per tantissimo tempo, solo oralmente, possiamo intuirlo da vari indizi presenti nel testo scritto che oggi possediamo e grazie al quale tali opere sono giunte fino a noi, testo che però in origine non esisteva affatto. L'originaria oralità di questi testi ormai scritti può essere stabilita in base ad aspetti testuali che riguardano la composizione e lo stile, si tratta quindi di indizi formali, ma anche dal nome che è stato dato loro per classificarli all'interno di un preciso genere letterario.46 Epica, ad esempio, da èpos in greco, significa “racconto”, racconto orale, in versi, carmen, in latino significa “canto”; è ovvio che questi nomi non possono che indicare l'origine orale di quei testi e ciò vale anche per alcune composizioni tipiche della tradizione poetica italiana come il sonetto e la canzone. I nomi di queste opere rivelano anche un'altra particolarità, ossia il loro legame con il canto: nell'uso ordinario della lingua la voce è sottomessa al linguaggio, l'attenzione è rivolta solo alle parole che vengono dette, il linguaggio letterario invece spesso si unisce al canto, dando alla voce la possibilità di esplodere in tutta la sua potenza. In questo modo «la parola viene magnificata»47, il testo letterario diventa più affascinante ed evoca ancora più emozioni, inoltre il canto facilita la memorizzazione dei contenuti.48

46 Su questo punto cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 71-72. 47 Ivi, p. 221. 48 Ibidem.

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6. La poesia orale La letteratura orale è un insieme vasto di testi di vario tipo, quelli che finora sono stati menzionati (epica, carmen, sonetto, canzone) sono composizioni poetiche. Zumthor sostiene che è assai difficile che nel corso della storia sia esistita una cultura sprovvista di poesia orale49, oggi, tuttavia, alcune culture rischiano di perdere per sempre il proprio patrimonio poetico orale perché esso è conservato solo da uno o pochi membri della comunità, in altre culture invece, la poesia orale sopravvive, sebbene minacciata, anche se comunque non ha più l'importanza che una volta le veniva data.50 Come la poesia orale sia nata non è dato saperlo ma essa è legata al rito. I riti sono delle azioni che una comunità svolge secondo norme codificate, in momenti particolari per la collettività, momenti critici che l'uomo non riesce a dominare, come la nascita o la morte, in cui spesso chiede l'intervento della divinità; la poesia orale pare che fosse contenuta nel rito fin da tempi remoti, oggi sopravvivono tracce che testimoniano questo: in alcune culture africane esistono canti di iniziazione, altri che accompagnano la nascita o canti di lutto che fino a pochi anni fa erano diffusi anche in culture mediterranee. La poesia orale è legata anche al gioco infatti «nella maggior parte delle culture, sono rari i giochi non accompagnati dalla voce, in qualche forma ritmicamente marcata, generalmente dal canto»51, questo legame spiega anche da dove provengono le poesie comiche, fondate

49 Cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 69. 50 Cfr. Ivi pp. 79-80. 51 Ivi, p. 333.

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sulla presa in giro.52 Non è possibile esaminare le caratteristiche della poesia orale in linea generale, i popoli, infatti, sono talmente diversi tra loro che risulta impossibile parlare di una poesia orale quando invece esistono tante poesie orali distinte, tuttavia si possono prendere in considerazione alcuni punti che potrebbero fungere da guida qualora si volesse analizzare la poesia orale (o meglio un tipo di poesia orale tra i tanti esistenti) propria di una cultura particolare. Dal punto di vista testuale esistono innumerevoli tipi di poesia orale che si differenziano in base alle diverse culture nelle quali essa viene praticata, cambia la lingua, lo stile, tuttavia vi sono alcune tendenze generali che la caratterizzano a prescindere dalla provenienza: la frequenza della paratassi rispetto all'ipotassi; l'utilizzo di figure retoriche; la presenza di formule e ripetizioni di parole o interi versi; il fatto di iniziare la poesia in modo particolare,

tale

da

isolarla

dal

discorso

ordinario,

da

distinguerla.53 La poesia orale si diversifica anche in base all'esecuzione54, così, per ciò che riguarda la modalità d'esecuzione, si potrà avere una poesia detta, recitata oppure cantata, accompagnata o meno da strumenti musicali o da un coro; inoltre la performance può consistere nel proporre al pubblico una poesia che ha un testo fisso, immutabile, come accade in occasioni particolari (la notte di Natale, in chiesa, si ascolteranno sempre gli stessi canti), tale poesia avrà un

52 Sull'argomento cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., pp. 329 e ss. 53 Ivi, pp. 159 e ss. 54 “L'esecuzione è l'azione complessa mediante la quale un messaggio poetico è simultaneamente trasmesso e ricevuto, qui e ora.” (P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 32).

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interprete che non necessariamente coincide con il creatore del testo stesso, oppure si avrà l'esecuzione di poesia improvvisata cioè prodotta e trasmessa nello stesso tempo dal compositoreinterprete.

Inoltre

«l'esecuzione

è

doppiamente

temporalizzata»55in quanto ha una sua durata, ma è anche inserita in un tempo particolare che la condiziona, può prendere parte ad un rito, ad una festa, ad un avvenimento particolare; oltre al tempo, anche il luogo in cui si fa poesia, influenza l'esecuzione come anche l'interprete e il pubblico di ascoltatori.56

7. La letteratura in Sardegna: plurilinguismo e oralità Spesso il sistema letterario sardo è rimasto incompreso perché i testi prodotti in Sardegna sono stati considerati parte integrante della letteratura italiana senza che si tenesse conto, invece, delle peculiarità che li caratterizzano, essi sono estremamente particolari, proprio come la civiltà nella quale sono stati prodotti, tale per ragioni geografiche, ambientali, culturali e storiche: «allo stesso modo in cui il sardo non può essere considerato un dialetto italiano, difficilmente la Sardegna, a causa della sua posizione decentrata e della sua peculiarissima storia, segnata dall'incontro con diverse culture, può essere integrata in un discorso di storia letteraria rigorosamente italiana»57. Inoltre, la produzione letteraria sarda è stata molte volte ignorata perché ha fatto i conti

55 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 185. 56 Sull'argomento cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., pp. 183 e ss. 57 F. BREVINI, (a cura di), La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, Milano, Mondadori, 1999, t. II, pp. 1531-1532 (citato da G. MARCI, In presenza di tutte le lingue del mondo, Cagliari, CUEC, 2006, p. 13).

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con i principi di matrice desanctisiana che hanno contribuito a dare un'idea di letteratura monolingue, toscano-centrica ed esclusivamente scritta. La questione della lingua, riguardante la scelta di un idioma adatto alla letteratura ha interessato l'Italia fin dai tempi di Dante e si è protratta per secoli fino al periodo post-unitario, quando si discusse a lungo per trovare una lingua che potesse diventare l'italiano, per unificare la nazione, oltre che politicamente, anche dal punto di vista linguistico, così vari studiosi si sono impegnati a suggerire delle soluzioni: Alessandro Manzoni in particolare propose l'idea del monolinguismo, la lingua di tutti gli italiani insomma sarebbe dovuta essere una, ossia il toscano parlato dalla classe media; tale teoria fu quella che ebbe maggior fortuna in contrapposizione a quella avanzata dal Isaia Ascoli che invece sosteneva la necessità di considerare le diversità culturali e linguistiche delle varie regioni italiane. Quando il De Sanctis scrisse, negli anni Settanta dell'Ottocento, la sua Storia della letteratura italiana, seguì la teoria manzoniana, parlando di una e un'unica letteratura all'interno della quale non confluivano tutti i testi, «il criterio di inclusione ed esclusione si fondava, infatti, sul toscano letterario scritto [...]»58. Si diffuse così un'idea di letteratura monolingue, che non teneva conto del plurilinguismo e del pluriculturalismo che invece caratterizzava l'Italia, ogni regione, infatti, aveva una propria cultura e parlava una propria lingua, considerando il toscano lingua estranea, quindi di conseguenza produceva una propria letteratura; tra l'altro, in base al

criterio

desanctisiano,

furono

completamente

escluse

58 D. MANCA, La comunicazione linguistica e letteraria dei Sardi: dal Medioevo alla 'fusione perfetta', in: Bollettino di Studi Sardi, 4-2011, CUEC/CSFS, p. 50.

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dall'“universo letteratura” le composizioni orali. In questo modo non si teneva conto di come gli italiani avessero dato vita, nel corso del tempo, a letterature diverse, ognuna distinta in base al luogo in cui era stata prodotta, quindi alla lingua, nonché in base alla modalità di trasmissione, che poteva essere sia scritta che orale. Il modello di De Sanctis venne seguito da molti nonostante alcune eccezioni59, questo fece in modo che, dalla maggior parte degli studiosi, la letteratura prodotta in Sardegna venisse ingiustamente ignorata. La Sardegna è stata per lungo tempo caratterizzata da una condizione di prevalente oralità primaria perché la maggioranza del popolo sardo non era a conoscenza della scrittura, era analfabeta, perciò comunicava soltanto oralmente nella propria lingua madre, il sardo, parlato in tutte le sue varietà (logudorese, nuorese, campidanese, sassarese, gallurese, oltre alle isole alloglotte). Il più antico testo letterario scritto, in sardo, è il poemetto di argomento agiografico Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu, risalente al 1557, è impossibile pensare che fino a questa data i sardi non avessero prodotto letteratura, di certo questo era avvenuto attraverso la modalità di trasmissione orale. La prova è rappresentata da tutte quelle forme di poesia o di racconto, che sono state trasmesse e tramandate solo oralmente, che fino a poco tempo fa erano diffuse in Sardegna e in parte lo sono ancora oggi, specie in alcune aree. Si tratta di poesie quasi sempre accompagnate dal

59 Eccezioni rappresentate ad esempio da Carlo Dionisotti, Walter Binni, Natalino Sapegno. Cfr. D. MANCA, La comunicazione linguistica e letteraria dei Sardi..., p. 53.

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canto come anninnias (ninnenanne), attitidos (lamenti sul morto) oppure di racconti di vario genere come sos contos de foghile. Inoltre, anche il canto a tenore e la poesia estemporanea, ancora molto diffusi e apprezzati in Sardegna, rappresentano ulteriori testimonianze di come la letteratura in sardo fosse principalmente orale e solo in un secondo momento abbia conosciuto la scrittura, in più testimoniano anche quanto ancora oggi, in Sardegna, l'oralità sia fondamentale perché strettamente legata alla produzione di letteratura. Il sardo, essendo lingua materna, veniva utilizzato nella comunicazione ordinaria, in quella letteraria e per tutto il periodo giudicale anche per documenti importanti come quelli redatti all'interno delle cancellerie giudicali o nell'ambito ecclesiastico (Carte e Condaghi), persino per la documentazione di ambito giuridico (Carta de Logu) veniva usata la lingua sarda. Ma essa non è stata l'unica lingua presente in Sardegna, ha convissuto con altre che sono giunte nell'Isola insieme ai popoli che di volta in volta la occuparono, in particolar modo, a partire dal Quattrocento si diffuse prima il catalano, con l'arrivo degli Aragonesi, poi, con l'unione delle corone d'Aragona e Castiglia, anche il castigliano. Queste lingue considerate dalla comunità di parlanti, comunità sardofona, lingue per e della scrittura, padroneggiate da un'esigua minoranza, esclusivamente da chi sapeva leggere e scrivere, oltre che essere usate per redigere documenti ufficiali produssero anche opere letterarie; questo accadde anche quando cominciò a diffondersi in maniera massiccia, soprattutto con l'arrivo dei Piemontesi nel Settecento, la lingua italiana; molti sardi colti, inoltre, conoscevano anche il latino e anch'esso venne usato per la stesura di testi letterari. 29


Tutto questo implica che si debba parlare del sistema letterario sardo come sistema plurilingue e non solo facendo riferimento al passato ma considerando anche l'attualitĂ dei fatti, ancora oggi, infatti, il sardo convive con altre lingue e tutte contribuiscono a dar vita a opere letterarie.60

60 Riguardo agli argomenti trattati cfr. N. TANDA, D. MANCA, Introduzione alla letteratura..., pp. 237 e ss., pp. 255 e ss., pp. 279-288; D. MANCA, La comunicazione linguistica e letteraria dei Sardi...; G. MARCI, In presenza di tutte le lingue del mondo, Cagliari, CUEC, 2006, pp. 11-22.

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PARTE SECONDA

LA POESIA ESTEMPORANEA LOGUDORESE

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1. La poesia in Sardegna La poesia in Sardegna ha grande importanza e fa parte della vita dei Sardi anche nella comunicazione quotidiana61, capita spesso infatti di parlare attraverso un linguaggio poetico, ritmato e talvolta rimato, quando si saluta, quando si fanno auguri (a chent'annos cun saludu), ringraziamenti, quando si constata una situazione particolare riguardo qualcosa (Pro malu missu, menzus chi si lu fettat issu), o qualcuno (Est cuntenta che musca), quando si fa uso di proverbi, dizzos (Chie cantat in mesa o in lettu, o est maccu o est fertu)62; le similitudini sono comunemente usate nel linguaggio ordinario, quindi capita spesso di sentir dire: ruiu che fruscu, birde che rana, maccu che caddu, bambu che ludu, frisca che rosa63 ecc., persino nelle imprecazioni, sos frastimos, si è poeti, non si utilizzano termini volgari ma si colpisce in maniera spesso forte e tagliente a suon di rime e figure retoriche. Altre forme poetiche caratterizzano la vita quotidiana, si tratta delle

canzoni

intonate

per

accompagnare

un'attività

o

semplicemente per puro desiderio di cantare. Vi sono, inoltre, poesie accompagnate dal canto che hanno a che vedere con occasioni particolari come i gosos, canti religiosi, cantati in Chiesa, in occasione della festa di qualche santo. Queste forme di

61 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte. Un approccio antropologico alla gara poetica logudorese in Sardegna, Nuoro, ISRE, 2009, pp. 111-115. 62 La traduzione delle frasi tra parentesi è nell'ordine: “a cento anni in salute”; “meglio fare da sé che affidarsi a un delegato maldestro”; “è contenta come una mosca”; “chi canta a tavola o a letto, o è matto o è pazzo”. 63 Rosso come le bacche del pungitopo; verde come una rana; matto come un cavallo; insipido come il fango; fresca come una rosa.

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poesia nascono come scritte, anche se hanno una diffusione prevalentemente orale; ciò accade anche per quanto riguarda i testi cantati dai tenores e dai cantadores a chitarra che propongono al pubblico, con l'accompagnamento nel primo caso del coro e nel secondo della chitarra, testi imparati a memoria, scritti da poeti anche molto famosi in Sardegna, come Paolo Mossa, Peppino Mereu e altri64. Essi vengono chiamati poetas a taulinu perché scrivono, servendosi di tavolo, fogli e inchiostro, i propri versi, frutto di meditazione, cosa che si differenzia totalmente dall'improvvisazione di poesia che avviene invece in maniera esclusivamente orale. Tale pratica, che consiste nella «coincidenza tra la produzione e la trasmissione di un testo» 65, è diffusa in Sardegna a vari livelli: sono improvvisati alcuni canti, riservati perlopiù alle donne, come le ninnenanne (anninnìas), o i canti funebri (attìtidos) che esistevano fino agli anni Sessanta e che venivano cantati in casa dei morti dalle prefiche (attitadoras); sono nati come poesia improvvisata e si sono diffusi solo oralmente anche alcuni canti che vengono intonati per dilettare e far giocare i bambini (durudduru, dilliriana ecc.). «Di questo primo livello fanno parte quelle forme che si potrebbero definire a carattere familiare, di un’improvvisazione individuale, non competitiva, legata a contesti chiusi [...]»66 Durudduru Tia Mariola li c'at furadu sa conca su 'entu cando s'at bidu su maridu tentu ja si nd'at fattu una bella cansola durudduru Tia Mariola.

64 Cfr. Ivi, p. 124. 65 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 280. 66 S. PILOSU, Poesia logudoresa, in D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO materiali di ricerca e analisi, Nuoro, ISRE, 2011, p. 180.

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La poesia improvvisata a livelli più alti è quella della gara poetica, punta di diamante della poesia sarda, si tratta della forma più apprezzata. Non siamo in presenza di un fenomeno proprio di una cultura a oralità primaria, ossia sprovvista di scrittura, tuttavia ci troviamo davanti a un genere letterario che si basa sulle dinamiche tipiche dell'oralità, inoltre, è fondamentale sottolineare come tale pratica non viva oggi in quanto ricordo di un'usanza antica che, di fatto, non esiste più, al contrario, essa è inserita a tutti gli effetti nella modernità, tanto da subirne anche gli influssi (basti pensare ai mass media), è «un fare che non ha mai perso la sua funzione»67, non ha subito una folklorizzazione68 intesa, secondo le parole di P. Zumthor, come «movimento storico in base al quale una struttura sociale o una forma del discorso perde progressivamente la sua funzione»69. In base alle aree di diffusione, all'accompagnamento musicale, alla lingua e alle forme metriche utilizzate, si possono distinguere in Sardegna, almeno quattro tipi di poesia improvvisata: ottada (area centro-settentrionale)

muttos (area centrale, Barigadu),

muttettus (Campidano, Sulcis) e repentina (alto e medio Campidano, Marmilla)70. Tale varietà di generi attesta la grande fortuna che la poesia improvvisata ha in tutta l'Isola e ciò è anche confermato dal gran numero di gare che, durante il corso dell'anno, si svolgono in vari paesi, in qualcuno di essi anche in più di un'occasione, soprattutto durante le feste in onore di santi.

67 Ivi, p. 174. 68 Sull'argomento cfr. Ibidem. 69 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 20. 70 Cfr. P. ZEDDA, La poesia estemporanea in Sardegna, da sito internet: <docenti.lett.unisi.it/files/27/7/13/1/>.

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2. Poesia estemporanea logudorese Partendo dall'analisi dei termini “poesia”, “estemporanea” e “logudorese”, si inizia ad avere un'idea di questo genere. Il termine “poesia” indica una composizione in versi, in particolare, in tal caso, si tratta di versi endecasillabi, ossia costituiti da undici sillabe. “Estemporanea” significa improvvisata, la poesia orale infatti, che sia cantata o recitata, accompagnata o meno da qualche strumento musicale, dal punto di vista testuale può avere forma immutabile e non cambiare mai da un'esecuzione a un'altra, si può parlare così di testo composto per l'esecuzione, oppure, può essere improvvisata, in questo caso, produzione e trasmissione coincidono, una performance non potrà mai essere uguale a un'altra e si parlerà di testo composto non per, ma nell'esecuzione.71 L'improvvisazione è un fatto istantaneo, a differenza della poesia scritta che è meditata, la poesia orale improvvisata si caratterizza per la velocità nella produzione e nell'esecuzione, infatti è chiamata in sardo “poesia a bolu”, questo nome indica proprio il fatto che essa sia momentanea, tra l'altro, il termine “estemporaneo” deriva dal latino “ex tempore” che letteralmente significa “al momento”.72 Si tratta, inoltre, di «una estemporaneità assoluta che trova ragione nel suo costruirsi e non è pensata per produrre qualcosa destinato a restare nel tempo»73, ciò significa che per il poeta e il

71 Cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 184; p. 280. 72 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 175-176. 73 I. MACCHIARELLA, La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana, in: D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO..., pp. 75-76.

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suo pubblico conta la poesia nel suo farsi hic et nunc, in un attimo preciso, all'interno di un contesto particolare, non una poesia che, essendo fissata (per iscritto o attraverso la registrazione), venga, successivamente, posta in un contesto altro rispetto a quello in cui è nata. L'atto di improvvisazione poetica è concepito come un atto immediato che termina non appena l'ultima parola finisce di essere pronunciata, ciò che è importante, è la poesia prodotta al momento, non quella del passato, il poeta stesso aspira ad essere apprezzato per i versi che crea sul momento, per quanto riguarda le sue produzioni passate preferisce che di esse rimanga, nella mente degli ascoltatori, semplicemente il ricordo, il giudizio positivo (o negativo) o qualche rima riuscita particolarmente bene.74 L'aggettivo “logudorese” può avere due accezioni: può essere riferito alla zona, non tanto di diffusione di tale poesia, considerando che essa è praticata in un territorio ampio che va al di là del Logudoro e comprende anche Marghine, Barbagia, Goceano, Baronie, quanto, piuttosto, al fatto che il Logudoro e Ozieri in particolare, è il luogo in cui sono nate le prime gare ufficiali di poesia improvvisata; tale termine ha a che vedere, inoltre,

con

la

lingua

che

viene

utilizzata

dai

poeti

improvvisatori, si tratta, infatti, della variante logudorese della lingua sarda. Bisogna precisare che non esiste una sola lingua logudorese, ogni paese facente parte di quest'ampia zona della Sardegna possiede e utilizza la propria variante; i poeti si servono di un logudorese che potremmo definire letterario, esso è astratto, non esiste nella realtà perché supera quelle che sono le

74 Cfr. Ibidem.

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varianti del logudorese stesso, proprie dei vari paesi, tuttavia, si può dire che i poeti usano una lingua che conserva i fenomeni soprattutto fonetici e lessicali della variante logudorese della lingua sarda.75 Tale lingua, che intende farsi comprendere in tutta la Sardegna, è stata adottata dai poeti in quanto considerata più armoniosa e maggiormente adatta al canto per via dei suoni dolci che la caratterizzano e la differenziano dalle varianti più aspre dell'interno dell'Isola.76

3. Le occasioni fuori dal palco Quando si parla di poesia improvvisata logudorese la prima immagine che si ha è quella di una piazza e un palco con due o tre poeti che cantano e un coro a tre voci che li accompagna. La gara poetica in piazza, sul palco, ha avuto origine nel 1896, grazie all'iniziativa di un poeta di Ozieri, Antoni Cubeddu, che decise di organizzare nel suo paese una gara ufficiale con tanto di giuria e premio per il vincitore, in occasione della festa di Nostra Segnora 'e su Remediu (Nostra Signora del Rimedio). Prima d'allora non esisteva nessun tipo di competizione ufficiale, eppure la poesia estemporanea logudorese era molto conosciuta e apprezzata, inoltre, gli stessi poeti che, sia ieri che oggi, hanno cantato e cantano in occasione di gare ufficiali non hanno cominciato da subito a salire sui palchi, l'hanno fatto solo dopo

75 Cfr. S. PILOSU, Poesia logudoresa, in: D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO..., p. 175. 76 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 102.

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tempo, dunque ci si chiede: in quali occasioni, fuori dal palco, si cantava e si canta? Tutt'oggi, sono molte di piĂš le persone che cantano ma non sono mai salite su un palco piuttosto che coloro che hanno trasformato la passione per la poesia in una professione, questi dilettanti cantano in varie occasioni, ad esempio durante le feste campestri che hanno luogo fuori dal paese, presso il santuario rurale di un santo. Esse durano per diversi giorni e sono animate dal suono dell'organetto che accompagna i balli sardi, dal gioco de sa murra (della morra) e anche, spesso, dall'improvvisazione di poesia. Un'altra occasione non ufficiale per

cantare è

rappresentata da sos ispuntinos tra amici, pranzi o cene organizzati in paese, oppure, piĂš frequentemente, in campagna, in sos cuiles (ovili) pro sos tusorzos (tosatura del bestiame), anche in

questo

caso

poeti

non

professionisti

si

cimentano

nell'improvvisazione.77 Sos tusorzos, insieme con sas arzolas (trebbiatura del grano) e sos isposonzos (matrimoni), un tempo, erano, oltre le feste paesane e campestri in onore dei santi, le uniche occasioni di svago, l'improvvisazione poetica faceva parte di questi momenti festivi. Cantaimis in isposonzos, tusorzos, bi nd'aiat medas chi nos invitaiant a s'arzola, pro cosar gai tottu mi...tantu atteras cosas de s'ispassiare, tando, non bi nd'aiat... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].78

77 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 39 e ss. 78 Cantavamo nei matrimoni, per la tosatura del bestiame, molti ci invitavano per la trebbiatura del grano, in tutte queste occasioni... tanto, allora, erano questi gli unici divertimenti...

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Si improvvisava poesia anche in su tzilleri (il bar) perchĂŠ era un luogo all'interno del paese in cui ci si ritrovava tutti insieme e si stava in compagnia. Il poeta Marieddu Masala mi ha raccontato che a Silanus, in un bar, i proprietari avevano addirittura installato un impianto di amplificazione per far cantare i poeti, la gente appassionata giungeva numerosa e cosĂŹ il guadagno aumentava. In su tzilleri de Tettu Maronzu ant postu sos microfonos, nois cantaimis intro, cussa piazzetta chi b'est fora sempre prena fidi! Pariat chi b'epperat carchi festa! Cussos a l'ischis s'inari chi si faghiant?! Sa zente fit tottu sezzida in sa carrela e nois cantaimis in sa ianna... una cosa bella fidi... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].79

Fino a cinquanta-sessant'anni fa la poesia improvvisata era molto piĂš conosciuta e apprezzata e di conseguenza piĂš praticata, Tiu Marieddu mi racconta che i poeti che improvvisavano insieme a lui, a Silanus, erano almeno sedici, tra questi soltanto uno, come lui, ha intrapreso la carriera come poeta professionista (Franziscu Mura), gli altri erano e sono rimasti dilettanti e amatori.

4. Misteri della poesia: l'ispirazione e sa muta Non tutti riescono ad improvvisare poesia, vi sono le persone portate per farlo e chi invece non ha questa dote, b'est a chie li naschet e chie nono, i poeti sostengono che l'essere poeti,

79 Nel bar di Tettu Maronzu avevano installato i microfoni, noi cantavamo all'interno del locale e la piazzetta all'esterno era sempre colma di gente! Sembrava che ci fosse qualche festa! Sai quanti soldi guadagnavano i proprietari?! La gente si sedeva nella via mentre noi cantavamo sulla porta...era una cosa bella...

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appunto, sia un dono divino: Unu s'abbizzat chi, ringraziande a Deus, tenet custu donu umile... est unu donu 'e Deus. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].80

Sa vena poetica est vena bundante, commente s'abba de una funtana chi no siccat mai, paret chi su Deus, sos poetas, lu tenzan in pettus, intr'e su coro, prontu a lis dare sas peraulas zustas d'onzi 'orta chi b'at bisonzu.81 Il modo in cui è intesa sa vena, l'ispirazione, si avvicina moltissimo all'idea che di essa avevano gli antichi greci. “Ispirazione” in greco è “entusiasmós”, tale termine significa letteralmente “avere il Dio dentro”; i Greci che ascoltavano Omero e tutti gli altri poeti orali improvvisatori di versi, erano convinti che quel canto così ricco, così bello da destare meraviglia, non potesse essere frutto delle capacità umane ma che fosse dovuto a un dono soprannaturale. Si credeva che il cantore fosse ispirato direttamente dalla divinità, i contenuti che veicolava erano opera divina: «il cantore era creduto puro esecutore e ripetitore di una conoscenza che andava al di là delle possibilità umane»82. Anche i poeti improvvisatori sardi sostengono che i loro versi in rima nascano grazie a un'ispirazione divina e a un dono naturale che Dio ha concesso loro di avere, a riguardo, il poeta ozierese

80 Uno si rende conto che, grazie a Dio, possiede quest'umile dono...è un dono di Dio. 81 L'ispirazione poetica è paragonata ad una fonte la cui acqua non smette mai di sgorgare. Sembra che i poeti abbiano il Dio nel petto, nel cuore, pronto a suggerire loro le parole giuste al momento giusto. 82 S. FORNARO, Percorsi epici..., p. 27.

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Zuseppe Pirastru cantò tali versi83: Cando cantat Pirastru Deus falat, che-i s'arcubalenu lu colorit. Isse versos divinos li regalat e rimas sa natura li favorit.

Quando Pirastru canta, Dio scende e come l'arcobaleno lo colora. Versi divini gli regala e rime la natura gli concede.

L'ispirazione è, dunque, una sorta di mistero, ma non è l'unico che riguarda la poesia improvvisata, ad essa se ne aggiunge un altro, si tratta de sa muta. Sa muta est unu misteriu chi no si nd'at cumpresu mai. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].84

Sa muta è l'ispirazione, intesa, però, non come dono naturale che ti permette di essere un poeta, quanto come “l'illuminazione” che può avere o meno il poeta al momento della performance. Questa entità, incontrollabile e imprevedibile, “comanda” i poeti, facendo in modo che essi, durante una gara, abbiano o meno estro, rime e bei versi da proporre, determinando, così, l'andamento e la riuscita della gara stessa. Sa muta dipende, spesso, dallo stato d'animo dei cantadores: può succedere di trovarsi nella condizione di dover cantare in un momento di tristezza, di dolore, oppure, altre volte, si è allegri e sereni, ciò può determinare il fatto che una gara sia bella o brutta. Sa muta, però, che è capricciosa, alcune volte, gioca brutti scherzi ai poeti, Paulu Pillonca narat chi est unu puddedru mesu areste chi no ponet in mente a su cadderi e si pesat a carchidare segundu sas

83 Versi citati da Maria Manca in: M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 178. 84 Sa muta è un mistero del quale non si è mai capito niente.

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umbras chi iet85, può capitare, infatti, che un poeta stia attraversando un momento difficile, che sia triste e vorrebbe non cantare, eppure, la sua performance risulta brillante (Cantesi in s'allegria e in sa pena / e in su meu propiu dolore / cun pius estru bellu e pius vena [Antoni Cubeddu, 1938]86), mentre, altre volte, si inizia a cantare con uno stato d'animo allegro ma sa muta no est cussa 'ona (non si è molto ispirati) e la riuscita della gara non è quella sperata, a proposito di questo Tiu Marieddu Masala mi ha riferito: «Sa muta est gai, a bortas no b'indat e a bortas ti nd'avansat!»87. Secondo i poeti e gli esperti di poesia estemporanea esiste un modo per capire se sa muta del poeta è bona o mala e dunque se la gara procede al meglio o è scadente, si tratta di prestare attenzione al tempo che il poeta impiega per comporre s'ottada (la strofa di otto versi): cando sa muta creschede minimat su tempus chi su cantadore impreada pro faghere s'ottada e a s'imbesse, cando minimat sa muta su tempus chi impreada creschet; questo significa che il tempo per comporre s'ottada è inversamente proporzionale a sa muta, perciò, più il poeta è ispirato, dunque maggiore è sa muta, minore è il tempo impiegato per la composizione de s'ottada e viceversa. Quando il poeta non è in muta 'ona, ossia non è fortemente

85 Paolo Pillonca sostiene che essa sia un puledro selvaggio che non obbedisce ai comandi del cavaliere, scalciando a seconda delle ombre che vede. Cfr. P. PILLONCA, Chent'annos. Cantadores a lughe 'e luna, Villanova Monteleone, Soter Editrice, 1996, p.53. 86 Ho cantato nell'allegria e nella sofferenza / e nel mio dolore / con migliore estro e maggiore ispirazione. In: P. PILLONCA, A botta e risposta: i poeti estemporanei, un fenomeno tutto sardo che esiste ufficialmente da un secolo ma le cui radici sono molto più antiche, in Sardegna Fieristica, aprile-maggio anno 1997, № 36. 87 L'ispirazione è così, a volte non c'è e a volte ti avanza.

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ispirato, spesso, richiede l'accompagnamento del tenore anche quando non è “pertinente”, oppure, canta con un ritmo più lento rispetto al solito.88

5. Su brincu dae terra a su parcu: la cultura e la lingua del poeta Quando si canta in occasioni non ufficiali si può contare sul dono naturale che si ha e sulla propria cultura personale, ma se si decide di cominciare a cantare su un palco, davanti a un folto pubblico le cose cambiano. A differenza che in quelle amatoriali fra amici, nelle gare ufficiali vengono proposti ai poeti degli argomenti precisi su cui discutere, sos temas, che possono essere seri o giocosi, il cantore deve essere in grado di costruire, per qualsiasi tema che gli venga assegnato, un discorso corposo, colto, ricco, deve proporre al pubblico dei ragionamenti corretti e coerenti arricchiti da idee ed esempi ben trovati; il pubblico si aspetta ottave “prenas che ou”(“piene come un uovo”). Per essere in grado di fare ciò, il poeta deve acquisire una cultura profonda, se si decide di fare il poeta a livello professionale, sarà, perciò, necessario documentarsi il più possibile, così da poter analizzare a fondo qualsiasi questione e da avere anche argomenti originali e nuovi da proporre al collega-avversario e al pubblico. I libri rappresentano una fonte inesauribile di conoscenza, infatti, il poeta legge tutto ciò che può essere utile: la 88 Sull'argomento dell'intero paragrafo cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 52 e ss.; M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 177 e ss.

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Bibbia, vite dei santi, libri di storia, geografia, letteratura italiana (Dante in primis) ma anche greca e latina (Iliade, Odissea e Eneide), oltre che riviste e quotidiani per essere sempre aggiornato sull'attualitĂ .89 Lezzimos de tottu ca toccat de tennere un'unfarinadura 'e d'onzi cosa. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].90

Certo, per essere un poeta degno di lode, leggere non basta, bisogna anche ricordare bene, per riuscire a rielaborare le conoscenze ed esprimerle in rima, quando occorre, durante la gara; il poeta oltre a una grande cultura deve avere, dunque, una memoria di ferro. Quando si canta su un palco in occasione di gare, è d'obbligo l'utilizzo della variante logudorese della lingua sarda. Molti poeti improvvisatori, provenendo da zone della Sardegna nelle quali si parla una variante differente dal logudorese (Barbagia, Marghine, Goceano, Baronia, Ogliastra), devono affrontare un ostacolo non di poco conto, ossia, si trovano nella condizione di dover imparare una nuova variante di sardo, diversa da quella che hanno sempre conosciuto fin dalla nascita e che hanno sempre utilizzato nelle gare di improvvisazione tra amici nel proprio paese. E' necessario che i poeti utilizzino il sardo logudorese, cantando nelle piazze, per capirsi tra loro ed essere compresi da tutti.91 A tal proposito, Tiu Marieddu Masala, mi ha raccontato

89 Sugli argomenti trattati si vedano: M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 263 e ss.; pp. 231 e ss.; P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 247. 90 Leggiamo di tutto perchè dobbiamo avere un'infarinatura di ogni cosa. 91 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 102.

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che il poeta di Buddusò Barore Tucconi impiegava una lingua ricca di vocaboli del suo paese, nel quale si parla una variante molto “chiusa” di logudorese, perciò a seconda dei luoghi in cui cantava non veniva capito dal pubblico: In Campidanu una 'orta ana nadu: «at a essere unu bravu poete però non l'ausu cumprendiu!», ca su-e Tiu Tucconi fit unu dialettu serradu, cominzaiat: istuzzos, fauzzos... in Campidanu no lu cumprendiant. E issu puru, chi fit unu pagu gai, cando bi lu naraiant istaiat: «sa limba mia est cussa, chie mi cheret cumprendere mi cumprendat, a mie m'ant imparadu cussa limba e cun cussa canto!». [Marieddu Masala, Silanus, 2013].92

Il poeta di Silanus mi ha anche spiegato che, soprattutto all'inizio della carriera, è difficile esprimere i concetti e le frasi dei versi in un altra lingua, diversa dalla propria, «ca ti ch'essit de lu narrere a sa moda nostra»93, poi, con il tempo ci si abitua.

6. Breve storia della gara poetica ufficiale dalle origini alla fine della seconda guerra mondiale La prima gara ufficiale di poesia logudorese ha avuto luogo a Ozieri, alla fine del XIX secolo, tuttavia, la pratica di improvvisare versi, in Sardegna, è antichissima. Pare che anche il poeta latino Orazio, vissuto nel I secolo a.C., abbia parlato di un

92 In un paese del Campidano una volta hanno detto: «sarà pure un bravo poeta ma non l'abbiamo capito!», perché quello di Tucconi era un dialetto chiuso, diceva: istuzzos, fauzzos... parole che nel Campidano non capivano. E lui che era fatto un po' così quando lo rimproveravano di questo rispondeva: «la mia lingua è questa, chi mi vuole capire mi capisca, a me hanno insegnato questa e con questa canto!». 93 Perchè viene naturale esprimerti con la variante del tuo paese. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].

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famoso improvvisatore di poesia sardo, di nome Tigellio, nel XVIII secolo, poi, Matteo Madao, un abate di Ozieri parla della poesia sarda improvvisata paragonandola a quella di antichi Greci e Romani. Nel XIX secolo, alcuni viaggiatori che visitano la Sardegna, come il barone tedesco Heinrich von Maltzan o il gesuita trentino Antonio Bresciani, restano ammirati dalla capacitĂ di pastori e contadini nell'improvvisare poesia, informando di tali doti artistiche di molti sardi nelle loro opere: Perch'io vi prometto che in Gallura e in Barbagia, e per tutte le montane parti dell'Isola vi menerei per mano a udir pastori e bifolchi dialogizzare le ore intere per versi all'improvviso, con tale grazia, vivacitĂ , arguzia e copia di sentenze e di guizzi poetici da farvi esclamare: Qui siamo in terra delle Muse. [Antonio Bresciani (1850, II: 226)].94

Nella prima metĂ del 1800, anche due studiosi ecclesiastici sardi si sono dedicati ad analizzare la pratica delle gare poetiche e il fenomeno dell'improvvisazione in lingua logudorese con l'accompagnamento del tenore, si tratta del presbitero Vittorio Angius e del canonico Giovanni Spano.95 Le gare di cui fanno menzione tutti questi studiosi sono gare non ufficiali, mentre la prima gara su un palco, in piazza, con tanto di giuria e premi per i migliori poeti, ha avuto luogo ad Ozieri, il 15 settembre del 1896, in piazza Cantareddu, in occasione della festa di Nostra Signora del Rimedio. Ebbe l'idea di organizzare tale competizione, un poeta del luogo, Antoni Cubeddu, che decise di arricchire i festeggiamenti pro Nostra Segnora 'e su Remediu riunendo nel proprio paese natale diversi suoi colleghi 94 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 156. 95 Sull'argomento cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 155-156; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 17-20.

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improvvisatori, sia del luogo che provenienti da alcuni paesi del Logudoro non lontani da Ozieri, parteciparono alla gara sette poeti: Antoni Cubeddu (Ozieri), Zuseppe Pirastru (Ozieri), Antoni Farina (Osilo), Frantziscu Cubeddu (Ozieri), Salvatore Demartis (Ossi), Antoni Micheli Cuccuru (Usini) e Andria Porcu (Codrongianus); una giuria composta da esperti locali assegnò anche un premio ai vincitori. Quella sera del 1896 vide la consacrazione ufficiale della gara di poesia estemporanea logudorese e Antoni Cubeddu ricorda quell'occasione in una sua poesia, un sonetto scritto una cinquantina di anni più tardi96: Si de ischire disizzosu sese cussa data prezzisa, justa e giara, pinna e tinteri, letore, prepara, a tacuinu signala, si crese: de s'otighentos su norantasese pro inizziativa mia rara amus fatu sa prima bella gara de Cabidanni su bìndighi 'e mese in Uthieri, sa mia dimora. In ocajone 'e sa festa nodìda de su Remédiu, pro Nostra Segnora, sa poetica gara at tentu vida e dae tale tempus est ancora pro dogni festa salda preferida.

Se hai desiderio di sapere quella data precisa, giusta e chiara, penna e inchiostro, lettore, prepara, segnala nel taccuino, se vuoi: dell'Ottocento il Novantasei per mia iniziativa rara abbiamo fatto la prima bella gara di Settembre il quindici del mese ad Ozieri, il mio paese. In occasione della festa di Nostra Signora del Rimedio, la gara poetica è nata e da quel tempo è ancora evento preferito di ogni festa sarda.

Dal 1896, in seguito alla gara di Ozieri, le competizioni ufficiali cominciarono a diffondersi in molti paesi del Logudoro e, col passare del tempo, divennero uno dei principali eventi in programma nelle feste paesane, non solo nell'area settentrionale della Sardegna ma anche in quella centrale, quindi nel Goceano, nel Marghine, in Barbagia, Baronia e Ogliastra. Le gare ufficiali prevedevano dei premi per i vincitori, assegnati 96 Il sonetto è stato riportato da P. Pillonca in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 21.

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da una giuria di esperti, ciò divenne però, presto, un problema, in quanto molti poeti estemporanei, si recavano in paesi anche lontani dal proprio per partecipare alla competizione, perdendo giornate di lavoro, e capitava che, spesso, rientrassero a casa a mani vuote visto che i premi erano previsti solo per i primi tre classificati. I comitati organizzatori delle varie feste compresero la questione, così nacque e si diffuse a partire dai primi anni del Novecento, sa gara a cuntrattu, ossia, una competizione alla quale partecipavano poeti improvvisatori scelti dal comitato, a ognuno dei quali, a prescindere dal fatto che vincessero o meno la gara, per la sola partecipazione, veniva corrisposta una paga che equivaleva a deghe zoronadas de messadore, innestadore o àtteros triballios chi epperant itte faghere cun sa terra (dieci giornate di lavoro salariato di un contadino o di altri mestieri che avessero a che vedere con il lavoro della terra). Proprio la paga corrisposta ai poeti, sembra che fosse il vero motivo per il quale, nel 1932, il Concilio plenario dei vescovi sardi, riunito a Cuglieri, decise di interdire le gare poetiche in piazza che si svolgevano in occasione delle feste paesane. La giustificazione, fornita dai più autorevoli uomini di Chiesa, riguardo la proibizione delle gare poetiche, fu che i cantadores trattavano pubblicamente, con irriverenza, argomenti di fede e di morale e spesso criticavano il comportamento di parroci, vescovi e uomini di Chiesa in genere. In realtà, specialmente a detta dei poeti, il vero motivo del divieto era di natura economica, la Chiesa infatti, non accettava il fatto che i poeti ricevessero un compenso per le loro performance perché si trattava di «un notevole impegno economico per i comitati delle feste i cui

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“presidenti-nati erano per l'appunto, i parroci»97. Tale censura, imposta ai poeti dalla Chiesa, durò cinque anni, nell'arco dei quali, alcuni poeti che avevano fatto della propria arte una professione caddero in miseria, lo stesso ideatore della competizione ufficiale di poesia logudorese, l'ozierese Antoni Cubeddu, divenne poverissimo; per tale motivo, proprio in questo periodo pare sia nato il detto “cantadore, pedidore” (poeta-cantore, mendicante), «ca che l'ant finida tottus male sos poetas, cando ant contruidu sas garas...»98 Tiu Pittanu Morette si ch'est andadu minadore a s'Iglesiente, Tiu Cubeddu, siscuru, che l'at finida a sa limusina, Tiu Antoni Farina e Gavinu Contene andaiant a pedire propiu mi... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].99

La mancanza della gara poetica nelle feste cominciò ad infastidire gli abitanti di molti paesi, così, nel 1937, si giunse a una

soluzione:

era

nuovamente

possibile

organizzare

competizioni in piazza a patto che i poeti non trattassero, assolutamente, argomenti di politica né di religione, questo imposto sia dalla Chiesa che dal regime fascista. Alcuni improvvisatori, pur di avere una fonte di guadagno, si sottomisero alla legge, altri rifiutarono la censura e si ritirarono dalle gare, così fece il famoso poeta di Villanova Monteleone Remundu Piras, il quale giustificò la sua scelta in questo modo:

97 P. PILLONCA, A botta e risposta: i poeti estemporanei, un fenomeno tutto sardo... 98 Perché i poeti sono caduti i miseria dal momento in cui hanno proibito le gare. [Marieddu Masala, Silanus, 2013]. 99 Pittanu Moretti è partito nell'Iglesiente per lavorare in miniera, Cubeddu ha finito per chiedere l'elemosina, Antoni Farina e Gavinu Contene andavano proprio a mendicare...

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Subra su palcu non bi devet àer musarolas. Cando m'an chelfidu tancare sa 'uca no lis apo postu mente. Po cantare gai, menzus nudda. E so istadu fora dae su Trintaduos a su Barantachimbe, cand'est finida sa gherra.100

Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale i poeti estemporanei tornarono a cantare sui palchi delle piazze di tutta la Sardegna senza vincoli né proibizioni. A partire dalla fine degli anni Quaranta iniziò la stagione d'oro per la poesia improvvisata logudorese,

per

le

feste

paesane

venivano

organizzate

competizioni che duravano due o tre sere di seguito, si iniziava a cantare al tramonto e la gara terminava all'alba del giorno seguente, un foltissimo pubblico assisteva alla performance dei cantadores, ognuno portava con sé, da casa propria, sa cadreitta (la sedietta), per seguire comodamente seduti, l'evento più amato della festa. I nomi dei poeti più gettonati di allora, sono tutt'oggi vivi nella memoria dei sardi, soprattutto degli appassionati di poesia e di moltissimi poeti che hanno avuto la fortuna di averli come esempi e come maestri, famosissimi restano: Remundu Piras (Villanova Monteleone); Peppe Sotgiu (Bonorva); Barore Tucone (Buddusò); Barore Sassu (Bànari); Cicciu Piga (Perfugas); Juanne Seu (Chiaramonti).101

100 Sul palco non devono esserci museruole. Quando hanno voluto chiudermi la bocca non ho obbedito. Per cantare così meglio non cantare per niente. E sono rimasto fuori dal palco dal Trentadue al Quarantacinque, quando la guerra è finita. In: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 46. 101 Sull'argomento dell'intero paragrafo cfr. P. PILLONCA, A botta e risposta: i poeti estemporanei, un fenomeno tutto sardo...; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 17 e ss.; M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 155 e ss.

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7. Il tempo e il luogo della gara «La gara di Ozieri è stato l'atto fondatore di una pratica poetica non soltanto ufficializzata e istituita come genere, ma anche ritualizzata».102 Essa si colloca all'interno di un tempo e di uno spazio ben precisi, la festa e la piazza, e ha una struttura fissa. La gara poetica fa parte del programma dei festeggiamenti in onore di qualche santo, in occasione di feste di paese. Spesso, l'organizzazione di tali feste è dovuta al lavoro di un comitato, su comitadu appunto, un gruppo di persone che, con il denaro ricavato dalle offerte corrisposte dai compaesani, si impegna per la buona riuscita dei festeggiamenti, dispiegando le proprie energie per tale scopo, considerato unu dovere (un impegno doveroso). Queste feste si svolgono perlopiù nel periodo che va da maggio a ottobre e soprattutto nei mesi estivi, nei quali rientrano nel proprio paese tanti emigrati (a Silanus, la festa in onore di San Lorenzo che si svolge dal 9 all'11 agosto, è anche chiamata sa fest'e sos emigrados); la durata dei festeggiamenti è, solitamente, di tre giorni, il programma prevede eventi sacri e profani, infatti, hanno luogo messe e processioni spesso accompagnate dalla presenza dei cavalieri che, numerosi, partecipano con cavalli mudados cun sas sonazzas (agghindati con le sonagliere), la festa prevede, inoltre, intrattenimento con musiche e balli locali, corse di cavalli (sas pariglias) e, naturalmente gare di poesia. Sa poesia, insieme a su ballu sardu, fino a una cinquantina d'anni

102 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 163.

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fa, erano gli unici divertimenti dei quali il paese poteva godere durante i giorni di festa per il santo, infatti la gara di poesia si svolgeva per due o tre notti di seguito, essa era annunciata attraverso un avviso alla popolazione da parte de su bandidore (il banditore) che elencava i poeti che partecipavano alla competizione. Oggi non è più così, la gara poetica è l'evento di una sola serata, durante la seconda sera si esibiscono gruppi folk di vari paesi e tenores, mentre per la terza sera è previsto un concerto di musica leggera di qualche cantante o gruppo sardo oppure italiano. Per ciò che riguarda la gara poetica, il comitato organizzatore della festa si impegna a scegliere gli improvvisatori che canteranno sul palco, questa è una grande responsabilità perché essi devono prendere in considerazione i gusti del pubblico e le affinità tra poeti.103 L'esecuzione poetica, non solo è inserita in un contesto temporale ben preciso, che nel caso della gara ufficiale di poesia improvvisata logudorese è rappresentato dalla festa, ma avviene anche in un luogo particolare, dunque si situa anche entro un contesto spaziale definito, nel quale sono presenti «colori, odori, forme mobili e immobili, animate e inerti»104, rumori e suoni che influenzano i poeti e, con loro, la performance. Il luogo della gara poetica ufficiale è la piazza, in molti paesi si tratta di quella vicina alla chiesa dedicata al santo per il quale si svolgono i festeggiamenti, qui, oltre alle barraccas (chioschi per

103 Per gli argomenti riguardanti il contesto festivo nel quale la poesia si inserisce cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 39 e ss. 104 P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., p. 193.

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le bibite), viene preparato un palco al quale si accede attraverso una scaletta, questo è illuminato da poche lampadine, è ornato con rami d'alloro e palme e spesso con lo stendardo che rappresenta il santo, su di esso sono presenti, in prima fila, un tavolo e le sedie per i poeti, più indietro quelle riservate ai membri del tenore che li accompagnerà. I poeti si esibiscono proprio sul palco («Pro su cantadore, su palcu est un'altare, su logu chi permitit de fagher ora pro ora su meràculu 'e sa criassione 'e su versu»105), dunque in una posizione rialzata rispetto al pubblico, che permette loro di essere al centro dell'attenzione, separati dalla gente comune. Salire sul palco e vedere da lassù, spesso migliaia di persone pronte ad ascoltare, è un momento che desta emozioni forti nell'animo di un poeta, che suscita tensione e preoccupazione perché non si è a conoscenza, in anticipo, dell'esito della gara e della propria performance. Le piazze, per i cantadores, non sono tutte uguali, innanzitutto, esiste una sorta di “piazza ideale” nella quale l'acustica è migliore, questo è molto importante per i poeti, che non recitano ma cantano i propri versi, essa non dev'essere troppo grande, affinchè il suono delle voci non si disperda, infatti, la piazza piccola sembrerebbe più adatta per cantare i versi. Non tutti i paesi hanno la possibilità di avere un luogo che rispetti queste caratteristiche, dunque i poeti, spesso, si adattano a cantare in piazze molto ampie e dispersive, tuttavia ciò che fa una piazza bona o mala (bella o brutta) è principalmente il pubblico: ci sono piazze poco adatte per cantare, nelle quali, però, si presenta un

105 Per il poeta il palco è un'altare, il luogo che permette di compiere in maniera immediata il miracolo della creazione del verso. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 129.

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pubblico folto e desideroso di ascoltare i versi dei poeti, attento durante la gara che riscalda quella piazza e la rende quasi perfetta, in altri luoghi invece il pubblico è scarso e distratto, perciò, nonostante le caratteristiche del posto siano quelle ideali per cantare, essa non viene considerata una buona piazza.106

8. La gara Il giorno della festa nel quale è prevista la loro esibizione, i poeti vengono accolti dal paese e dal comitato organizzatore secondo le norme dettate dal valore dell'ospitalità. Essi, spesso anche in quanto istranzos (provenienti da un altro paese), vengono festeggiati e onorati con gesti di cortesia e complimenti e viene offerta loro una cena, dove non mancano i prodotti tipici sardi (fresa, pane cottu, 'erbeghe a buddu 107). Sos cantadores a loro volta ricambiano il paese con la loro poesia, nei loro versi sono sempre presenti saluti solenni, ringraziamenti e auguri per gli abitanti del luogo, proprio in base a questo scambio di cortesie, Maria Manca parla della poesia come di «un'allegoria dell'ospitalità»108. Dopo cena, i poeti si recano in piazza dove incontrano e salutano alcuni loro sostenitori, poi, salgono sul palco, spesso il pubblico è già presente e li attende, pronto ad ascoltare i loro versi, altre

106 Per gli argomenti riguardanti il luogo della gara poetica cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 48; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 123 e ss., 127 e ss. 107 Si tratta di: tipico pane sardo noto anche come pane carasau, spianate cotte nel brodo e carne di pecora bollita. 108 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 85.

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volte, specialmente nei paesi dove quest'arte viene un po' trascurata, la piazza è semivuota, dopo aver sistemato il microfono e aver preso un po' di familiarità con il palco, i poeti danno inizio alla gara.109 Essa, che dura circa tre ore, ha una struttura ben precisa che è andata stabilizzandosi a partire dalla prima gara ufficiale di Ozieri in poi. Le parti nelle quali la competizione si organizza sono le seguenti: esordiu, primu tema, secundu tema, duinas, battorinas, moda (sostituita con su sonetto dall'anno 1976). S'esordiu La gara inizia con s'esordiu, i poeti, a turno, si alzano per cantare ottadas (strofe di otto versi endecasillabi ciascuna), a tema libero. L'esordio inizia con una strofa di saluto nella quale ognuno dei cantadores ringrazia il comitato organizzatore per l'invito ricevuto, lusinga il paese con dei complimenti, ricorda altre occasioni in cui ha cantato nello stesso luogo, a volte facendo riferimento al collega che era presente insieme a lui, cerca di ingraziarsi il favore del pubblico:

Peppe Sozu:

Peppe Sozu:

Un'annu a como in sa matessi festa che fio inoghe in diferente data. Po tres oras su pòpulu in piata mantes'amos cun s'opera modesta. E oe a custa noa richiesta so' énnidu a su palcu a posta fata. E ti nd'ato devotu e reverente un'ateru saludu, amiga zente.

Un anno fa nella stessa festa sono stato qui in diversa data. Per tre ore il pubblico in piazza abbiamo intrattenuto con l'opera modesta. E oggi per questa nuova richiesta sono venuto apposta sul palco. E ti porto devoto e reverente un altro saluto, gente amica.

109 Sull'argomento cfr. ivi, pp. 53-57.

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Mariu Masala:

Mariu Masala:

Ringrazziende pro sa richiesta poi 'e tantu torro a custu logu pro dare a su talentu meu isfogu de nou in palcu cun Sotgiu a sa dresta cominzende sa gara in custa festa in onore 'e su martire Antiogu chi fit dutore primu e santu poi e ti saludo, gentile Gavoi.

Ringraziando per la richiesta dopo tanto tempo torno in questo posto per dare sfogo al mio talento di nuovo sul palco con Sotgiu alla destra iniziando la gara in questa festa in onore del martire Antioco che era dottore prima e santo dopo e ti saluto, gentile Gavoi. 110

Nelle strofe successive, i poeti discutono su un tema libero, questo può aver a che fare con un fatto di attualità accaduto in Sardegna o in Italia, oppure con qualche avvenimento che ha avuto luogo durante la festa o comunque nel paese, o ancora sulle condizioni del tempo: pioggia, vento, il forte caldo e la siccità. Già in queste strofe essi prendono delle posizioni opposte e discordanti in modo tale da sviluppare un dibattito, un conflitto nel quale combattono a colpi di versi, confrontandosi non solo sull'argomento ma anche per la loro età ed esperienza, perciò si rivolgono tra loro falsi complimenti, umiliazioni, si autocelebrano e si beffano del collega, tutto questo diverte il pubblico. Questa parte introduttiva termina con una strofa che, spesso, segnala che il comitato, che decide la durata delle varie parti, vuole la conclusione de s'esordiu. Un buon esordio ponet in bona muta (rallegra e motiva) i poeti, ciò permette loro di affrontare nel modo migliore i successivi momenti della gara, inoltre, soddisfacendo

il

pubblico

fa sì

che esso sia

maggiormente invogliato a seguire il resto della competizione.111

110 Peppe Sozu, Marieddu Masala, Gavoi 22 Aprile 1985, in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 254. 111 Sull'argomento del sottoparagrafo “S'esordiu” cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 59-61; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 135137.

56


Sos temas Dopo il momento di “riscaldamento” rappresentato da s'esordiu, ha luogo il sorteggio, i poeti, cioè, pescano dae su bonette (da un berretto), ciascuno unu bullette (un biglietto), nel quale è stato scritto dal comitato l'argomento che ognuno di loro è tenuto a sviluppare. A differenza di quello che accade nell'esordio quindi, nel quale si canta a tema liberu, in questo caso il tema è imposto. Durante la gara, i temi, vengono assegnati per due volte, dopo l'esordio i poeti hanno in sorte temas serios (temi seri) di argomento filosofico, storico, sociale: sa Rughe e s'Ispada (la Croce e la Spada); Deus, s'Omine e su Tempus (Dio l'Uomo e il Tempo); sa Vinditta e su Perdonu (la Vendetta e il Perdono); Roma e Atene e tanti altri. Dopo la discussione sui temi seri, un nuovo sorteggio assegna ai poeti temas lebios (temi leggeri), divertenti e anche comici: Coiadu pro Amore, pro Interessu e a Mala Gana (Sposato per Amore, per Interesse e Contro Voglia); su Maridu gelosu e sa Muzere libertina (Marito geloso e Moglie libertina); su Mandrone e su Triballiadore (Pigro e Lavoratore); Campu isportivu e Campu santu (Campo sportivo e Campo Santo) ecc. Il modo in cui vengono affrontati i temi seri è diverso da quello con cui si discutono i temi leggeri, nel primo caso i poeti assumono un tono austero e riflessivo, che diventa ironico quando si attacca l'avversario, nel secondo caso prevale invece il tono comico che, a seconda dell'argomento, diviene anche mordace. Il confronto tra improvvisatori parte con la prima strofa cantata da su capugara (il capogara), la discussione dei temi, si basa su un testa a testa serrato, nel quale i poeti attraverso 57


argomentazioni e contro-argomentazioni arrichite da esempi, devono costruire un ragionamento logico, che metta in luce la ricchezza e l'importanza dell'argomento avuto in sorte, che convinca il pubblico e, inoltre, devono difendersi dagli attacchi dei colleghi-avversari e attaccare a loro volta; mentre il proprio collega canta, in piedi, la sua strofa, l'altro, seduto, deve, allo stesso tempo, ascoltare e pensare a come rispondere. Tutto questo è di una difficoltà estrema se si pensa, tra le altre cose, che ogni concetto deve essere espresso in metrica e in rima. L'opposizione tra i cantadores non è mai netta, nel senso che sos temas sono argomenti, sì opposti, ma anche complementari, hanno infatti rapporti tra loro, ogni poeta attraverso i suoi versi deve mettere in risalto le caratteristiche peculiari di un argomento rapportandolo agli altri, fino ad arrivare alla risoluzione del conflitto nelle strofe di chiusura, in cui si sostiene che tutti gli argomenti trattati hanno uguale importanza, così si sancisce la pace dopo il lungo dibattito-combattimento: a Gergei per la festa di Santa Maria, il 16 di Agosto del 1969, così concluse il confronto con i colleghi Marieddu Masala e Remundu Piras sul tema “Provincia di Cagliari, Provincia di Nuoro, Provincia di Sassari”, il poeta di Silanus Franziscu Mura: Si sas rèdinas las as retiradas termino da chi fininde la sese. Ca sa Sardigna fit divisa in trese aimis tres provincias separadas, ma ca sas terras nostras sun sagradas ja las cherimos bene totas trese. Su 'e una est de s'àtera interessu ca s'unione faghet su progressu.

Se hai ritirato le redini termino visto che stai concludendo. Poichè la Sardegna era divisa in tre avevamo tre provincie separate ma siccome le nostre terre sono sacre vogliamo bene a tutte e tre. Quello di una è interesse anche dell'altra perchè l'unione fa il progresso. 112

112 Marieddu Masala, Remundu Piras, Franziscu Mura, Gergei 16 Agosto 1969, in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 244.

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I temi, quelli seri soprattutto, permettono agli improvvisatori di mostrare tutte le proprie capacità, nonché la dottrina, la fantasia, la loro abilità nel sapersi destreggiare tra argomenti spesso difficili, è proprio in base al modo che i poeti hanno di affrontare il tema che il pubblico giudica il loro talento. Il tema non viene sviluppato alla rinfusa, i poeti costruiscono le argomentazioni seguendo un ordine cronologico, quindi, nel momento in cui forniscono dei concetti per arricchire il proprio discorso, iniziano col citare i tempi antichi per giungere, poi, progressivamente ai giorni nostri; un altro ordine seguito dagli improvvisatori, oltre a quello cronologico, è l'ordine logico, in base al quale, ognuno di loro, introduce all'interno della narrazione cronologica di un fatto, qualche concetto o esempio particolare che possa accendere il dibattito con il proprio collega, che alimenti una controversia. Nello svolgimento del tema i poeti diventano tessitori di una tela (su tema), della quale, l'ordine cronologico è la trama, quello logico l'ordito, infatti, «il filo della storia e del tempo deve intrecciarsi a quello del ragionamento»113. La strofa principale della gara di poesia estemporanea logudorese è s'ottada (ottava), utilizzata sia pro s'esordiu (per l'esordio) che pro sos temas (per la discussione dei temi). Si tratta della cosiddetta “ottava rima toscana” o “ottava classica”, ossia di quella utilizzata in Toscana, nel Lazio e in altre aree dell'Italia centrale, sia per l'improvvisazione di poesia (in Toscana esiste, tutt'oggi, un genere di poesia improvvisata che ha dei punti in comune con la poesia estemporanea logudorese), sia nella

113 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 211.

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produzione poetica scritta, soprattutto nella poesia epica. I sardi, probabilmente attraverso i contatti e gli scambi culturali, avuti nel corso dei secoli con la Penisola114, hanno acquisito l'“ottava rima”, adattandola al proprio modo di poetare, infatti mentre l'“ottava rima classica” presenta uno schema di rime fisso: ab, ab, ab, cc, i cantadores sardi, invece, non hanno vincoli da questo punto di vista, possono, infatti, variare quest'ordine di rime. S'ottada, nel modo in cui viene strutturata dai poeti durante la competizione, segue il percorso della gara stessa, basato sulla successione di tre momenti: apertura (esordiu), dibattito (temas) chiusura (duinas-battorinas-moda o sonetto). Anche l'ottava presenta: un'apertura chiamata isterrida, costituita dai primi due versi (1-2), nei quali si dà inizio al dibattito o si risponde alla provocazione lanciata dall'avversario senza introdurre nuovi argomenti; la quartina successiva (vv. 3-6) costituisce il dibattito perchè in essa il poeta confuta le tesi dell'avversario e propone un contro-argomento; infine, gli ultimi due versi (7-8), chiamati serrada, rappresentano, come indica il nome stesso, la chiusura della strofa, con questi, nel mezzo della discussione dei temas il poeta lancia una nuova provocazione al suo collega che darà lo spunto

a

quest'ultimo

per

rispondere

con

nuove

argomentazioni.115

114 Cfr. S. PILOSU, Poesia logudoresa, in: D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO..., p. 182. 115 Sull'argomento del sottoparagrafo “Sos temas” cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 61-64; pp. 138-139; pp. 149-151; pp. 206 e ss.; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 139-143.

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Duinas e battorinas Terminata la discussione sul secondo tema, la gara continua con sas duinas (distici) e sas battorinas (quartine), nelle quali i poeti fanno riferimento, con ironia, agli argomenti trattati nell'ultimo tema, oppure parlano dello svolgimento della gara e della festa, commentano sul paese e sul pubblico e, spesso, si prendono in giro tra loro. Con questi versi, che si possono definire leggeri rispetto a quelli più consistenti dei temi, gli improvvisatori dilettano il pubblico e si concedono una sorta di svago, prima di concentrarsi e tornare nuovamente seri in conclusione di gara per il momento solenne de sa moda o de su sonetto. Sa duina è costituita da due versi endecasillabi, i poeti cantano un distico ciascuno, in piedi uno accanto all'altro, alla stessa maniera propongono al pubblico sa battorina (quartina), in realtà si tratta non di quattro ma di cinque versi endecasillabi visto che il primo verso viene ripetuto: Tando cantamos una batorina lassa dogni lamentu cun dogn'ohi: menzus cantende in su palcu 'e Gavoi chi no in cella comente Mesina. Tando cantamos una batorina.

Allora cantiamo una quartina lascia da parte i lamenti e gli “ohi” meglio stare a cantare nel palco di Gavoi che stare in cella come Mesina. Allora cantiamo una quartina. 116

Il termine “battorina” viene sostituito nelle strofe successive dai poeti con altre parole che permettono di creare rime nuove: battoreta, noitòla, furistera, paesana e infine bruschistriglia e tarantella, inventate dal poeta di Bànari Barore Sassu.

116 Marieddu Masala, Gavoi 22 Aprile 1985 in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 292.

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Al contrario dell'ottava, ereditata dalla tradizione poetica italiana e legata alla composizione di poesia scritta, le strofe duinas e battorinas sono tipiche della tradizione poetica popolare sarda e orale. Infatti sa battorina è la strofa di muttos, trallallera, durudduru, anninnìas (ninnenanne), attìtidos (canti funebri); sa duina, ad esempio lo è di dizzos (proverbi) in rima.117 Sa moda e su sonetto La gara termina cun su sonetto, composizione dedicata al santo in onore del quale è stata organizzata la festa e la gara poetica, nel sonetto, che ogni poeta canta a turno, si narrano le tappe principali della vita del santo, i miracoli compiuti, le sue imprese e si ricorda il momento della morte, spesso come martire, inoltre, il poeta invoca il santo stesso affinchè benedica il paese, il comitato organizzatore e tutti i presenti, poi porge gli ultimi saluti al pubblico, ringraziando e qualche volta, scusandosi per gli errori che qualora avesse commesso. Su sonetto della gara di poesia

improvvisata

logudorese

non

ha

forma

metrica

tradizionale, non è costituito, infatti, da quattordici versi (suddivisi in due quartine e due terzine) ma presenta delle terzine in più che prendono la denominazione di coa (coda). Il sonetto è stato introdotto nelle gare ufficiali solo a metà degli anni Settanta, in sostituzione di un'altra composizione (che trattava gli stessi argomenti) che ormai non viene più cantata durante le garas, sa moda. La decisione è stata presa dagli stessi poeti dopo essersi resi conto che il pubblico non apprezzava più

117 Sull'argomento del sottoparagrafo “Duinas e battorinas” cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 66; p. 150; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 145-147.

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questa forma come una volta e, spesso, annoiato abbandonava la piazza. Sa moda era semi-improvvisata, sos cantadores potevano improvvisarne qualche piccola parte sul palco, ma la maggior parte dei versi veniva preparata e memorizzata dai poeti prima della gara, a volte anche con l'ausilio della scrittura, questo anche perché, effettivamente, tale componimento ha una struttura particolare e complessa: è costituita da una prima strofa, s'isterrida, nella seconda parte della quale si ha sa torrada cioè la ripresa dei versi della prima parte rovesciati, in modo da poter costruire nuove rime. Le strofe successive, che si aggiungono a s'isterrida e che, a loro volta, presentano all'interno sa torrada, prendono il nome di fiores o cambas; s'isterrida (prima strofa) viene ripetuta come una sorta di ritornello, dopo ogni fiore, tale ripetizione è chiamata retroga.118

9.

Caratteri

fondamentali

della

poesia

estemporanea

logudorese Milman Parry e Albert Lord si dedicarono, nel corso del XX secolo, allo studio delle composizioni poetiche orali e improvvisate antiche, di Omero e di quelle moderne, dei cantori serbo-croati loro contemporanei. Essi scoprirono che queste opere non venivano completamente inventate nel momento della performance, parola per parola, ma, i cantori, durante l'esecuzione, cucivano insieme parti prefabbricate (formule e

118 Sull'argomento del sottoparagrafo “Sa moda e su sonetto” cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 67; p. 142; P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 147; S. PILOSU, Poesia logudoresa..., p. 179.

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temi standard), depositate nella loro memoria. Anche per ciò che riguarda la poesia estemporanea logudorese avviene qualcosa di simile, infatti, seppure dal punto di vista dell'ascoltatore la produzione e l'esecuzione dei versi appare simultanea, in realtà non è esattamente così: per ogni tema vi sono elementi lessicosemantici, ma anche argomentativi e tematici che i poeti custodiscono nella loro mente e utilizzano, in gara, al momento opportuno, insomma, come dei rapsodi, degli aedi, anch'essi creano la loro opera poetica cucendo (rhápsodein) componenti standard, naturalmente sempre aggiungendo e unendo ad essi anche elementi nuovi. Tra gli elementi “preconfezionati” che un poeta utilizza quando canta si possono distinguere: a livello lessicale, parole o interi versi (ad esempio, per indicare la sofferenza, la formula utilizzata è spesso rappresentata dall'immagine “avere la croce sulle spalle”, sa rughe a pala; per indicare l'avanzare dell'età, invece, si fa riferimento al colore bianco di barba e capelli); a livello argomentativo, concetti ed esempi (quando si discute sul tema dell'Astuzia, viene spesso usato un esempio formulare che è quello del cavallo di Troia; quando il tema è Furare ossia Rubare, un concetto formulare proposto spesso è il ratto delle Sabine o la sottrazione di Elena da parte di Menelao).119 Tuttavia, a differenza delle formule che si possono ritrovare nei poemi omerici, le quali si ripetono sempre identiche (“donne dalle bianche braccia”), nella poesia improvvisata logudorese questo non accade, infatti i poeti non ripetono mai, o almeno provano in tutti i modi a non farlo, lo stesso verso, lo stesso concetto o lo stesso esempio in maniera

119 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 187 e ss.

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identica, lo ripropongono in forma sempre nuova, invertendo l'ordine di qualche parola, sostituendo un termine con uno simile, amplificando o riducendo il verso, insomma, cercano sempre di variare il modo di esprimere un qualcosa che, comunque, nella sostanza, è sempre uguale, per questo motivo Maria Manca ha sottolineato come sia più corretto parlare, in tal caso, di poesia, non tanto formulare, quanto invece modulare120. Sa cosa chi naras est sempre sa matessi ma su modu de la rimare cheret diversu...cumpresu asa? [Marieddu masala, Silanus, 2013].121

Sos cantadores utilizzano elementi convenzionali per due motivi: – perchè rappresentano un aiuto per loro stessi, infatti permettono che, per ogni tema, essi abbiano a disposizione un insieme di parole, esempi e concetti standard da utilizzare,

adattabili

ad

ogni

occasione,

attraverso

modifiche o aggiunte di elementi nuovi; – perchè questi vengono attesi e anche richiesti dal pubblico che resterebbe deluso se il poeta non utilizzasse, trattando un determinato tema, esempi o concetti tradizionali. Tuttavia, il pubblico non accetta neppure il fatto che il poeta esprima la medesima cosa con parole uguali o alla stessa identica maniera, tant'è che, proprio per questo motivo, l'improvvisatore cerca, finchè può, di non ripetersi mai, basando la sua memoria sull'alternanza di ricordo e dimenticanza, infatti deve, sia tenere ben saldi nella mente versi, esempi e concetti-tipo, sia 120 Cfr. Ivi, p. 195. 121 Le cose che dici sono sempre le stesse ma è il modo di rimarle che dev'essere diverso...hai capito?

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dimenticare il modo in cui questi sono stati espressi, in altre performance, da lui o da un collega, solo così eviterà di replicare per filo e per segno cose già dette. «I poeti conservano una struttura piuttosto che un contenuto, non si ricordano della materia ma delle forme, che sono a loro volta capaci di produrre altra materia»122.123 Su cunzettu est semprere cuddu mancari, ma deppes cambiare unu pagu sos versos, a lu narre' propiu prezisu prezisu no andat bene, ca sa zente si nd'abizzat, poi commo cun custos registradores... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].124

Il metro della gara di poesia logudorese è l'endecasillabo. Letteralmente il significato del termine fa riferimento a un verso di undici sillabe, nella realtà, però, esso può anche essere costituito da dieci o da dodici sillabe, infatti, la caratteristica che rende tale un verso endecasillabo è che esso abbia come ultima sillaba tonica la decima, cioè che l'ultima sillaba accentata all'interno del verso sia, appunto, la decima. La poesia improvvisata logudorese è principalmente una poesia cantata, proprio la musica, spesso, maschera le frequenti irregolarità che caratterizzano i versi dei cantadores, infatti, essi possono creare versi anche di otto, oppure di tredici sillabe, ma questi, grazie al canto, al modo in cui sono intonati, vengono percepiti dall'orecchio dell'ascoltatore come versi endecasillabi regolari.125

122 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 197. 123 Sull'argomento cfr. Ivi, pp. 187 e ss. 124 Il concetto magari è sempre quello ma si devono cambiare un po' i versi, non va bene ripeterlo in maniera identica perché la gente se ne accorge, poi oggi con questi registratori... 125 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 199 e ss.

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Paolo Pillonca ci informa del fatto che anche il canonico Giovanni Spano aveva parlato di ciò, nacchi aiat nadu chi s'origa est sa menzus règula 'e sos cantadores sardos, chi ant pro natura s'armonia; mancari su numeru 'e sas sillabas in su versu no siat cussu zustu, issos, cun su ritmu e-i sa melodia 'e su cantu, la faghent pàrre' prezisa.126 Il poeta Marieddu Masala, a tal proposito dice: Carchi 'orta est toppu puru su versu, però si b'at attenzione, a sas origas no ti nd'abizzas, si est bene metricadu... bi cheret attenzione meda in cue ca unu versu podet essere bene metricadu mancari no siat tantu... inveze unu versu podet esse' pius robustu ma si peccat de metrica tando no faghet effettu... sa metrica est importante meda... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].127

Per ciò che riguarda la lingua, i poeti, sul palco, cantano nella variante logudorese della lingua sarda, variante che devono imparare a padroneggiare qualora provengano da paesi della Sardegna nei quali la parlata è diversa. Tuttavia, pare che la lingua madre, quella che si conosce dalla nascita, comandi in qualche modo il poeta, tant'è che spesso egli utilizza termini propri del sardo parlato nel suo paese che, soprattutto per la pronuncia, si discostano dae su logudoresu (dal sardo logudorese). I poeti cercano, comunque, di adattare la lingua anche al luogo nel quale cantano, dunque evitano di utilizzare dei

126 Pillonca dice che Spano sosteneva che i cantori sardi seguono la regola “dell'orecchio”, essi posseggono l'armonia come dono di natura, infatti seppure le sillabe del verso sono irregolari essi le fanno apparire precise attraverso il ritmo e la melodia del canto. Cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 18. 127 Qualche volta il verso risulta zoppo, però se si fa attenzione, l'orecchio non lo percepisce, se viene metricato bene...bisogna fare molta attenzione in quei casi perché un verso può essere ben metricato anche se è così e così... invece un verso può essere più robusto ma se pecca nella metrica allora non fa effetto... la metrica è molto importante.

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termini o di pronunciarli in una determinata maniera se sanno che il pubblico potrebbe non comprenderli appieno. I versi dei cantadores, specialmente in passato, contenevano molte parole in lingua italiana, in quanto si pensava che ciò rendesse più colta e autorevole la poesia, questo ha fatto in modo che qualcuno sostenesse, addirittura, che la lingua dei poeti peccasse di artificiosità128, oggi l'italiano è meno utilizzato anche se, tuttavia, non si può dire che la lingua utilizzata dagli improvvisatori sia perfetta, ha infatti dei difetti, dovuti al fatto che i poeti, in gara, non hanno il tempo materiale per meditare sulle parole più corrette da utilizzare, devono pensare piuttosto a rispettare le regole del verso e della rima, ciò li costringe a mettere in secondo piano la questione della precisione assoluta dal punto di vista lessicale, comunque, ciò non significa che essi non siano attenti alla lingua da utilizzare, che deve essere chiara e comprensibile e chen' azzoroddos (non “pasticciata”).129

10. Su poeta: presenzia, trazzu, zeniu La gara tra poeti non si basa solo sul significato dei versi che vengono improvvisati, ma anche su un insieme di altri elementi che contribuiscono a completare la performance e anche il testo poetico. Innanzittutto, in occasione di una competizione ufficiale, i poeti si presentano in un certo modo, ordinati e sobri, hanno un abbigliamento elegante: abiti di tessuto fine, scarpe da città, 128 Cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 155. 129 Cfr. Ivi, pp. 155-157.

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qualcuno indossa persino la cravatta, tutti portano il berretto che sollevano dal capo sia nel momento iniziale della gara, in s'esordiu, per porgere il primo saluto, sia per augurare al pubblico un buon proseguimento dei festeggiamenti a fine competizione.130 Quando cantano, i poeti si distinguono tra loro, non solo per le parole contenute nei versi di ognuno, ma anche per alcuni elementi, come la gestualità e il canto, che, insieme alle parole, concorrono a creare il testo orale e caratterizzano un poeta rendendolo

diverso

dagli

altri,

quindi

unico.

Durante

l'esecuzione, gli improvvisatori compiono un movimento di base: poiché cantano a sa rea (in piedi), si alzano quando arriva il proprio turno e restano seduti mentre si esibisce il proprio collega, si alternano in questo modo per tutto l'esordio e la discussione dei temi, invece per cantare duinas e battorinas stanno entrambi in piedi; in tutto ciò, il loro sguardo non è mai rivolto verso l'avversario ma sempre verso il pubblico, abbraccia l'intera piazza. A parte questo movimento, ognuno di essi ha una propria gestualità e una propria mimica, le parti del corpo coinvolte sono soprattutto il viso e gli arti superiori, infatti ogni poeta accompagna la propria poesia e spesso le conferisce significato attraverso gli sguardi, il sorriso, la mimica facciale in genere, ma anche con movimenti particolari delle mani e delle braccia. Ogni gesto del poeta può essere considerato una semplice aggiunta a ciò che dice, magari utile solo per attirare maggiormente l'attenzione dell'ascoltatore (ad esempio, il gesto affermativo di pollice e indice che si toccano), oppure può servire per precisare, completare, chiarire le parole pronunciate (ad

130 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 53.

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esempio, bussare a una porta immaginaria), o ancora, un gesto potrebbe addirittura sostituire un termine, quindi, sostituirsi alla voce (in questo caso il gesto è accompagnato da deittici come “goi” (così), per esempio).131 Alcuni poeti gesticolano di più, altri meno, tutti comunque, nel farlo, restano sempre molto composti, «questa grafia dei gesti, assieme al tono, al ritmo, al canto e al silenzio, rende visibile l'oralità come una scrittura bianca tracciata sullo sfondo della notte»132. Il canto è lo strumento che serve per esprimere la poesia dell'improvvisatore, non è affatto un elemento secondario ma è di fondamentale importanza, avere una bella voce, essere intonati, insomma, essere, oltre che poeti, anche dei cantanti, rappresenta un vantaggio, infatti, un poeta con buone qualità vocali «può più facilmente utilizzare la voce per gestire meglio i tempi dell’improvvisazione, rallentando o accelerando senza difficoltà, può enfatizzare una parola, un concetto attraverso un abbellimento melodico, può dare alla propria improvvisazione un’espressività che ne agevola l'enunciazione e la fruizione»133. Se può succedere che alcune voci di poeti siano simili, tuttavia su modu 'e l'isterrere (il modo di utilizzarla) è differente, ogni cantore ha, infatti, uno stile inconfondibile che lo caratterizza e lo distingue da tutti gli altri, viene chiamato trazzu, esso rappresenta un valore, perché avere un proprio stile è sinonimo di avere una propria personalità e un proprio modo unico di cantare, che non 131 Cfr. P. ZUMTHOR, La presenza della voce..., pp. 241 e ss.; M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 75-77. 132 M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 76. 133 S. PILOSU, Poesia logudoresa..., p. 182.

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si confonde né imita quello di nessun altro.134 Il carattere di un improvvisatore, insieme a su trazzu (modo che ha di cantare), a sa presenzia (modo di stare sul palco), al modo di gestire la sfida, di interagire col pubblico, costituisce su zeniu 'e su poeta, ossia, la simpatia del poeta, che viene percepita dal pubblico e che spesso lo incanta, Tiu Marieddu Masala, a tal proposito, raccontando di una gara che il poeta Antoni Cubeddu aveva disputato a Silanus e alla quale egli aveva partecipato non come poeta ma come pubblico, dice: Unu zeniu gai... amaiaiat sa zente propiu! Sa presenzia, su trazzu, sa 'oghe...tottu! Sos collegas suos puru naraiant chi fid'un omine zeniosu, de bellu cumportamentu. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].135

11.

La

gara

tra

antagonismo,

valori

condivisi

ed

enciclopedismo Anche se nella vita molti poeti sono amici tra loro, sul palco, la stima che li lega, viene momentaneamente dimenticata, infatti prevale un'ostilità forte, senza la quale la gara non può esistere, la competizione è paragonata a un combattimento, a una guerra e quindi, i poeti sul palco, non possono che essere nemici tra loro. Quando traggono a sorte il tema essi vi si identificano, spesso lo trattano in prima persona, difendendolo a cantu pius podent

134 Sull'argomento cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 55-56; S. PILOSU, Poesia logudoresa... p. 182; I. MACCHIARELLA, La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana…, pp. 77-79. 135 Un zeniu tale... incantava la gente proprio! Il modo di stare sul palco, il modo di cantare, la voce...tutto! Anche i suoi colleghi dicevano che era un uomo simpatico, che aveva un bel modo di comportarsi.

71


(come meglio possono), con tutte le strategie possibili e cercando di imporre i propri argomenti su quelli dell'avversario attraverso concetti, esempi, battute che facciano in modo che il tema che incarnano prevalga su quello del “nemico”. L'antagonismo è presente in gara fin dall'inizio, da s'esordiu, sprona i poeti e diverte il pubblico, prima ancora della discussione dei temi i cantori si punzecchiano attraverso strofe di auto-esaltazione che terminano con battute che denigrano e sminuiscono l'avversario, spesso questo viene umiliato dal collega con l'arma dell'ironia.136 Oggi si può parlare, in linea generale, di “antagonismo sano”, ma in passato, durante le dispute tra poeti si arrivava anche a offendere pesantemente il collega, per via di conti in sospeso che riguardavano gare precedenti o motivi di astio che opponevano i poeti nella loro vita privata; altre volte la forte rivalità portava addirittura i cantori a riferire cose riservate o indiscrete sul proprio collega, così successe in una gara tra Antoni Cubeddu e Gavinu Contene dove il primo rinfacciò al secondo il vizio del bere e quest'ultimo si difese spiattellando al pubblico che il collega aveva l'amante: Antoni Cubeddu:

Antoni Cubeddu:

Caru Gavinu, sa idea jamba e gai no faeddes a sa manna ca si no marcias pulidu e in gamba ti faghes tue etotu sa cundanna. Derinote andaias tamba-tamba e oe ses fichidu che una canna. Derinote podias rezer pagu e oe prite no ses imbreagu?

Caro Gavino, cambia intenzioni e non parlare così a vanvera perchè se non marci pulito e in gamba ti segni da solo la condanna. Ieri notte camminavi sbandando e oggi sei rigido come una canna. Ieri notte a malapena ti reggevi in piedi e oggi come mai non sei ubriaco?

136 Sull'argomento cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 219 e ss.; P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 131 e ss.

72


Gavinu Contene:

Gavinu Contene:

Cando cantas, Cubeddu, s'oju abberi e no faeddes gai a s'isfrenada. Deo mancari sia furisteri isco sa vida tua iscrabistada: as sa muzere tua in Uthieri e-i s'amiga che l'as in Pattada. Nara, Cubeddu, it'est chi nd'acuistas e da su visciu prite no ti nd'istas?

Quando canti, Cubeddu, apri gli occhi e non parlare così senza freni. Io anche se sono forestiero so la tua vita pazza: hai la moglie ad Ozieri e l'amante a Pattada. Dì, Cubeddu, cosa ne guadagni e perchè non stai lontano dal vizio? 137

Nonostante la presenza forte dell'antagonismo, in gara, i poeti tengono particolarmente ad andare al di là dei contrasti per costruire, insieme all'avversario, una poesia che sia apprezzata dal pubblico perché fonda dei valori condivisi da chi ascolta; i poeti sono come “delegati” dal pubblico per parlare al posto suo: ogni cantore, durante la discussione dei temi, abbraccia una posizione particolare e diversa da quella dell'avversario, i vari ascoltatori presenti condividono l'una o l'altra posizione, così, ogni poeta si fa portavoce e interprete dei pensieri e dei valori del pubblico, mentre quest'ultimo si esprime attraverso i poeti.138 Alcuni temi sono più “forti” di altri, riscontrano, cioè, più successo presso il pubblico e sono anche più facili da difendere per il poeta, in quanto gli permettono di enunciare una morale che, sebbene in molti casi non sia universale, anzi, al contrario, contrasti la morale universale, è condivisa dalla maggior parte delle persone, perché si tratta di norme di comportamento, non scritte, che fanno parte della cultura e dunque dell'identità di chi ascolta: ad esempio, seppure secondo la morale comune la vendetta sia un'azione ritenuta sbagliata, da non compiere, spesso 137 P. PILLONCA, Chent'annos..., pp. 31-32. 138 Cfr. F. TIRAGALLO, A.M. PUSCEDDU, F. BACHIS, Poeti in pubblico. Performance, contesti e rappresentazioni in una ricerca sulla poesia estemporanea, in: D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO..., p. 134.

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un poeta che si trova a dover parlare di tale questione durante il dibattito sul palco, può difendere questo comportamento e il pubblico condivide i valori che egli promuove in quel momento (anziché appoggiare l'altro poeta che argomenta sul tema opposto del perdono), perché, magari, appartiene a una cultura nella quale vige la legge non scritta del cosidetto “codice barbaricino” che si fonda sul concetto che ogni offesa deve essere vendicata se si vuole tenere alto l'onore.139 Al di là di questi, altri argomenti, trattati dai poeti, che il pubblico apprezza molto perché si tratta di sentimenti condivisi da tutti sono: l'immagine della Sardegna come terra bellissima ma malfatata (mito della cattiva stella), povera e continuamente oppressa e sfruttata dallo straniero che giunge dae su mare (dal mare); la condizione di vita del pastore che niente ha a che vedere con una visione idilliaca ma che - nonostante oggi sia migliore, in alcuni casi persino agiata - è considerata sempre difficile, dura, pericolosa, precaria, vita di solitudine e di fatica, che spesso lotta contro una natura ostile.140 «In definitiva la gara sbocca su una visione sarda delle cose, una sardizzazione nella quale vengono conservate unicamente norme e abitudini culturali ben note»141. I poeti, avevano in passato e tutt'ora hanno, funzione di educatori, infatti, i loro versi, non solo contengono valori condivisi da un'intera comunità, ma anche insegnamenti per chi ascolta. Soprattutto un tempo, quando la maggior parte del pubblico che assisteva alle gare era analfabeta e non erano diffusi i mezzi di

139 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 249 e ss. 140 Cfr. Ivi, pp. 298-302. 141 Ivi, p. 325.

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comunicazione di massa, i cantori mettevano a conoscenza la popolazione dei paesi sui fatti d'attualità, avvenuti in Sardegna ma anche nel Continente, oggi si leggono i giornali, si guarda la televisione, si ascolta la radio e si utilizza persino internet, per cui la gente è abbastanza aggiornata, quindi, i poeti non sono tanto diffusori quanto, semmai, commentatori di notizie. Il sapere del poeta va, però, ben al di là dell'attualità, la sua, infatti, è una cultura enciclopedica che spazia dalla storia alla geografia, dalla letteratura all'agiografia, dalla scienza alla mitologia classica, egli propaga queste conoscenze al pubblico attraverso i suoi versi e in tal modo diffonde dei saperi, la gara, per gli ascoltatori, diventa così una sorta di lezione in poesia. I poeti istruiscono il pubblico su uomini illustri della Grecia e Roma, personaggi del mito o della letteratura, grandi inventori e artisti, o ancora su luoghi lontani e su tante altre questioni.142 Mariu Masala:

Mariu Masala:

Ma sas Sabinas no fini contissas, fini totu ischiavas e teracas. Sos Romanos dinari an in busciacas, andados sun a domandare a issas. Ma sas propostas no las an ammissas: si rifiutan e faghen sas macas. Cuddos dinari an in possidenzia e che las lean cun sa prepotenzia.

Ma le Sabine non erano contesse, erano tutte schiave e serve. I Romani hanno soldi in tasca, son andati a chiedere la loro mano. Ma non hanno accettato le proposte: si sono rifiutate e sono state poco furbe. Quelli posseggono molti soldi e le hanno prese con la prepotenza.

Peppe Sozu:

Peppe Sozu:

Ma est andada male cuss'iscena, no an a mossu segadu su jau ca lassados los an a fune lena e nemmancu an astrintu su cannau. Ma si suzzedit che a Menelau cando furadu che l'an a Elèna

Ma quella vicenda è andata male, non hanno spaccato il chiodo a morsi perché li hanno lasciati con la fune larga e non hanno stretto neppure il canapo. Ma se accade come per Menelao quando gli hanno sottratto Elena

142 Sull'argomento cfr. F. TIRAGALLO, A.M. PUSCEDDU, F. BACHIS, Poeti in pubblico..., pp.135-138; M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 261 e ss.

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ch'an distrutu sa zente e-i su logu: in sa reggia 'e Priàmu an postu fogu.

che hanno distrutto la gente e la città: hanno dato fuoco alla reggia di Priamo. 143

La poesia improvvisata logudorese ha dunque una funzione didattica, così come ha avuto tale funzione, per la Grecia arcaica, l'epica omerica, l'Iliade e l'Odissea contengono infatti «le informazioni più importanti sulle conoscenze e sulle credenze […] che riguardino l'uomo, la natura o il soprannaturale» 144 delle epoche nelle quali si sono formate. Come i poemi omerici 145 anche la poesia dei cantori sardi può essere considerata una “enciclopedia” e i poeti improvvisatori dei trasmettitori di conoscenza.

12. I poeti come i sofisti I poeti non offrono al pubblico soltanto delle nozioni su vari campi del sapere, infatti, attraverso la dialettica (dialektikè téchnè = arte dialogica)146 che è il metodo sul quale si fonda la disputa tra improvvisatori, basato sul dialogo botta-risposta e sulla capacità di convincere il pubblico con il proprio discorso, essi insegnano a difendere un'opinione e a confutare quella dell'avversario, a trovare argomenti che sappiano persuadere gli ascoltatori, insomma a sapersi destreggiare abilmente, in qualunque situazione, attraverso la forza della parola e del

143 Peppe Sozu, Marieddu Masala, Gavoi 22 Aprile 1985, in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 286. 144 S. FORNARO, Percorsi epici..., p. 93. 145 Cfr. Ivi, pp. 93-94. 146 Sul significato e l'origine della parola cfr. ENCICLOPEDIA TRECCANI, nella versione online su <www.treccani.it/enciclopedia>.

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discorso, in questo, gli improvvisatori sardi ricordano i sofisti della Grecia del V-IV secolo a.C.. Il termine sofista (sophistés in greco) significa letteralmente sapiente ma più precisamente indica dei pensatori che educavano i ragazzi dietro lauto compenso, ciò che insegnavano era l'arte della parola, la tecnica del parlar bene, istruivano, cioè, gli allievi affinché imparassero a saper padroneggiare il linguaggio in maniera tale da diventare abili nel dibattere su qualunque argomento e nel persuadere l'uditorio; i sofisti non trasmettevano, dunque, un sapere teorico, piuttosto, preparavano i giovani a diventare ottimi oratori, cosa che permetteva di intraprendere una brillante carriera politica nell'Atene democratica. Tra le altre cose, i sofisti sostenevano che la realtà fosse sfaccettata e polimorfa e per questo motivo che non fosse possibile avere una visione univoca di tutti i suoi componenti, ogni aspetto del reale è costituito infatti da elementi contrari, è una medaglia a due facce (ad esempio non può esistere pace senza guerra, né luce senza buio, né amore senza odio), dunque, per ogni questione è possibile tenere un doppio discorso, l'uno contenente una tesi opposta e incompatibile con quella contenuta nell'altro, queste tesi prendono il nome di antilogìe, che è anche il titolo di un'opera del sofista Protagora (Antilogíai). Il discorso doppio caratterizza la gara di poesia, nella quale, dopo che un poeta improvvisatore estrae a sorte il tema, lo incarna, lo fa proprio (spesso trattandolo in prima persona) e cerca in tutti i modi di valorizzarlo e difenderlo, contrapponendo le sue tesi a quelle dell'avversario e cercando di persuadere il pubblico, quindi di far valere le sue parole su quelle del collega, la competizione è un affrontarsi di versi contenenti punti di vista differenti e 77


opposti su un unico aspetto della realtà che ha più facce: Bennardu Zizi, Cuddu Mundu:

Bennardu Zizi, l'Altro Mondo:

Bides chi est custu mundu asciuttu e siccu e disisperu b'at in d'ogni zona; ponemi mente, Mariu, e l'abbandona, a l'abitare non bi nd'at afficu. Inoghe ses usende pala e piccu e non connosches mai die 'ona, inie non usas ne piccu e ne pala e non connosches una die mala.

Vedi che questo mondo è asciutto e secco e c'è disperazione in ogni zona; dammi retta, Mario, abbandonalo, abitarlo non porta nessun guadagno. Qui stai usando pala e piccone e non conosci mai giornata buona, lì non usi né piccone e né pala e non conosci una giornata brutta.

Mariu Masala, Custu Mundu:

Mariu Masala, Questo Mondo:

Tando tue a cuss'ala t'incamina però su mundu tou est in s'altura. Como est tempus de villegiatura, godint inoghe omine e femìna: chie leat in monte sa friscura, chie si ch'andat a una marina, cantat allegru, alta o bascia boghe, a mie paret chi est totu inoghe.

Allora tu incamminati verso quella parte però il tuo mondo è nell'altura. Ora è periodo di villeggiatura, qui godono uomo e donna: chi prende il fresco in montagna, chi va al mare, canta allegro, ad alta o a bassa voce, a me sembra che il bello sia tutto qui. 147

I poeti, nel corso della loro carriera, si trovano nella situazione di discutere talvolta su un argomento e talvolta sul suo opposto (ad esempio Marieddu Masala ha cantato sia su Dirittu che sa Prepotenzia, sia s'Oju che sa Manu ecc.) e, come sofisti, devono saper manipolare il discorso per persuadere il pubblico sia su una cosa che sul suo contrario; inoltre, in gara, a seconda del tema che estrae, alcune volte il poeta può avere la fortuna di cantare valori e opinioni che sono condivisi dalla maggior parte del pubblico, altre volte accade il contrario, quindi, anziché un discorso “forte”, ha il compito ben più difficile di trattare un discorso “debole”, ossia non condiviso dai più, l'abilità, in questo caso, consiste nel «far prevalere la tesi altrimenti destinata alla 147 Bernardu Zizi, Marieddu Masala, Ghilarza 8 Agosto 1999 in: M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., p. 416.

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sconfitta»148, nel «render più forte l'argomentazione più debole»149 attraverso un uso efficace delle parole, così che il suo discorso convinca gli ascoltatori, i quali lo riterranno lozicu (evidente, scontato), anche questo concetto è stato teorizzato dai sofisti.150

13. Il pubblico Una percentuale de sa gara dipendet dae s'attenzione 'e su pubblicu. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].151

Gli ascoltatori presenti in piazza contribuiscono in maniera rilevante alla buona o alla cattiva riuscita di una gara, il fatto che le

competizioni

risultino

belle

o

brutte

non

dipende

esclusivamente dalla bravura e dall'abilità degli improvvisatori, ma anche dal pubblico, infatti, il suo livello di attenzione, la passione che mette nel seguire i poeti in gara, influenza l'andamento della competizione, perché condiziona l'umore del poeta, il suo stato d'animo e ciò fa sì che egli siat in muta 'ona (abbia forte ispirazione) oppure che, in quanto demoralizzato, non riesca a dare il massimo: Bat medas biddas chi sa gara 'enit unu pagu trascurada...[...] ti tias cherrere impegnare ma no b'enis sighidu... in Silanus la cumprendent

148 ENCICLOPEDIA TRECCANI, nella versione online su <www.treccani.it/enciclopedia>, sotto la voce Protagora. 149 Ibidem. 150 Sull'argomento dell'intero paragrafo cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 273 e ss.; ENCICLOPEDIA TRECCANI, nella versione online su <www.treccani.it/enciclopedia>, sotto le voci: Sofistica; Antilogìa; Protagora. 151 Una percentuale della gara dipende dall'attenzione del pubblico.

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e la sighint sa gara […] su pubblicu est sempre dananti... in Silanus e in medas biddas... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].152 Si tue 'ies unu pubblicu de zente appassionada, ch'iscurtant bene, tue t'impignas de prus... resessit menzus sa gara. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].153

Un pubblico attento, interessato, sprona il poeta a dare il meglio di sé, un uditorio è tale quando è formato da tanti specialisti e intenditori. Si tratta di ascoltatori competenti, la cui partecipazione, i giudizi e i commenti (pronunciati a bassa voce per non rompere il silenzio che domina nella piazza) risultano molto importanti perché influenzano i poeti durante la performance, spingendoli ad impostare la gara a seconda dei gusti e delle aspettative del pubblico, per soddisfarlo; inoltre, al termine dell'esecuzione, gli intenditori, discutono a lungo sulla gara, i loro ragionamenti e le loro opinioni, che si diffondono nei giorni e nei mesi successivi, possono influenzare la notorietà e persino l'andamento della carriera di un poeta professionista, infatti, essere apprezzato, significherebbe per lui acquisire una fama tale da permettergli di essere chiamato nuovamente ad esibirsi in altre occasioni. 154 La reputazione di cui un poeta gode presso il pubblico è importantissima, conta molto di più del denaro che riceve per

152 Ci sono molti paesi in cui la gara viene un po' trascurata...[...] vorresti impegnarti ma non ti seguono... a Silanus la capiscono e la seguono la gara […] il pubblico è sempre davanti... a Silanus come anche in molti altri paesi... 153 Se tu vedi un pubblico di gente appassionata, che ascolta attentamente, t'impegni di più... la gara viene meglio. 154 Cfr. I. MACCHIARELLA, La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana..., p. 77; I. MACCHIARELLA, Appassionati e tifoserie: il ruolo attivo degli ascoltatori, in: D. CAOCCI, I. MACCHIARELLA, Progetto INCONTRO..., p. 224.

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esibirsi nelle gare. L'onore di un poeta è basato sulla stima ottenuta da parte della gente e no b'at dinari chi paghet s'onore (non esistono soldi che paghino l'onore), coloro che hanno tenuto presente questo concetto (non tutti), hanno avuto una carriera brillante, perché hanno sempre cantato ritenendo che fosse un dovere il fatto di regalare bei versi alla gente e di avere un comportamento rispettoso sia nei confronti dei colleghi che del pubblico, mai hanno avuto come primo obbiettivo la paga155: Caligunu intendo deo: eh, bastat chi nos paghen. No est beru. Ite contat su 'inari de fronte a una figura mala? Nudda. Unu milione in bujaca dae lu tenner a no lu tenner: ne nisciunu l'ischit, ne nisciunu mi lu controllat, ne nudda mi faghet, ne m'impòberat piusu. Ma una figura mala nono. Si deo ando a cantare a unu palcu e fato una mala figura l'ischin in tota sa Sardigna a s'atera die. Tra giornales e televisione e cun sos registradores chi bi sun como totucantu su chi nos bessit dae 'uca est registradu. [Peppe Sozu, Bonorva, 1990].156

Gli esperti di poesia hanno imparato a valutare l'operato dei poeti in maniera competente, grazie alla frequentazione assidua di gare in vari paesi e occasioni, ma anche per il fatto che, spesso, essi stessi sono poeti, anche se soltanto a livello amatoriale; durante la competizione occupano i posti più vicini al palco, seduti in sa cadreitta (piccola sedia) che portano con sé da casa propria, oppure in piedi, alcuni di essi hanno un registratore così avranno la possibilità di riascoltare la gara, altri, specialmente i più

155 Sull'argomento cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 332-336. 156 Io ne sento qualcuno: eh basta che ci paghino. Non è vero. Cosa contano i soldi davanti ad una brutta figura? Niente. Un milione in tasca da averlo a non averlo: né nessuno lo sa, né nessuno lo controlla, ne mi rende ricco, né mi rende più povero. Ma una brutta figura no. Se io vado a cantare sul palco e faccio una brutta figura il giorno dopo lo sanno in tutta la Sardegna. Tra giornali e televisione e con i registratori di oggi tutto quello che diciamo viene registrato. In P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 182.

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anziani, si affidano soltanto alla memoria. Oltre che dagli specialisti, il pubblico delle garas è costituito anche da semplici amatori di poesia (estimatori non esperti) e curiosi, essi sostano in piedi tra le ultime file e ascoltano i versi dei poeti in maniera più distratta, si spostano spesso tra sa barracca (chiosco per le bibite) e la piazza e non sempre aspettano la fine della competizione.157 Gli intenditori seguono la gara da vicino, analizzandola negli aspetti più tecnici, valutano che vengano rispettate metrica e rime, che i poeti si esprimano con linguaggio poetico, ricco di figure retoriche, elegante, musicale, inoltre rivolgono molta attenzione al modo in cui viene trattato il tema, badano che l'improvvisatore non esca dal tema che deve trattare, che non ripeta

cose

già

dette,

che

segua

una

logica

durante

l'argomentazione, che costruisca ottave sostanziose e colte158, comunque, tengono anche in considerazione la possibilità che un poeta ha di sbagliare, perché si rendono conto della difficoltà e dell'imprevedibilità

dell'improvvisazione,

«l’ascoltatore/appassionato considera nel

suo giudizio la

sostanziale incertezza del momento performativo affrontata dal poeta, non condannando, ad esempio, l’eventuale errore in maniera assoluta, come pregiudizievole infrazione o difetto, ma come eventualità possibile»159. I semplici amatori e curiosi, come viene spiegato nel saggio di F.

157 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 49-50. 158 Sui criteri di valutazione della gara cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 231 e ss. 159 I. MACCHIARELLA, La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana..., p. 75.

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Tiragallo, A.M. Pusceddu, F. Bachis160, costituiscono il “contesto allargato” che ruota attorno alla gara di poesia, ossia «l’insieme di relazioni che definiscono e rendono possibile la situazione in cui si inserisce la gara poetica, ma che non sono unicamente attivate in funzione della gara»161. Gli estimatori non specialisti, insomma, attivano il contesto festivo rendendo possibile l'inserimento, in esso, della competizione di poesia, ma hanno con essa un rapporto distaccato (fruizione esteriore della gara), infatti, non la seguono con grande attenzione ma distrattamente, solo in quanto evento facente parte del programma della festa. Il pubblico di specialisti, invece, costituisce il “contesto ristretto”, cioè «l’insieme di relazioni che si attivano esclusivamente in funzione della gara poetica»162, essi seguono la gara attentamente, con interesse verso le forme e i contenuti veicolati dagli improvvisatori (fruizione interiore della gara), questi esperti rappresentano il pubblico per il quale i poeti cantano.163 «Entrambi i contesti sono diversamente importanti per la gara poetica; quello allargato attiva le relazioni che la rendono materialmente possibile, quello ristretto ne costituisce uno dei due poli fondamentali e necessari, ovvero il pubblico che segue le improvvisazioni e per il quale si esibiscono e cantano i poeti»164.

160 F. TIRAGALLO, A.M. PUSCEDDU, F. BACHIS, Poeti in pubblico..., pp. 124 e ss. 161 Ivi, p. 126. 162 Ibidem. 163 Sui concetti di “contesto allargato”, “contesto ristretto” e fruizione della gara poetica cfr. F. TIRAGALLO, A.M. PUSCEDDU, F. BACHIS, Poeti in pubblico..., pp. 126-132. 164 Ivi, p. 126.

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14. Su tenore I poeti estemporanei durante la gara vengono accompagnati da su tenore. Questo è un coro a quattro voci, Boghe, Mesa 'oghe, Bassu e Contra, tipico dell'area centrale della Sardegna, sa 'Oghe è la voce solista che canta un testo poetico, nelle gare di poesia improvvisata è il poeta stesso che ricopre il ruolo di Boghe, le altre tre voci invece accompagnano il solista attraverso un insieme armonico di suoni costituito dalla pronuncia di sillabe senza significato, queste variano a seconda dei paesi, possono essere bambimbam, bimbò, lerellellè ecc. Bassu e Contra sono voci gutturali, la prima grave, la seconda nasale, che può essere più o meno metallica, sa Mesa 'oghe è invece una voce acuta che amalgama le due voci gutturali. Il canto a tenore ha origini antichissime, sulla sua nascita sono state avanzate diverse ipotesi ma quella più accreditata sembra essere la tesi secondo la quale esso consiste nell'imitazione dei suoni della natura e del bestiame, pare infatti che le voci ricordino: Bassu il muggito del bue, Contra il belato della pecora e Mesa 'oghe il suono del vento.165 Un buon tenore è, in parte, una garanzia per la riuscita di una bella gara, l'abilità dei tre membri del coro (Bassu, Contra e Mesa 'oghe) che accompagnano il poeta (Boghe) in gara consiste nel saper adattare il canto alla tonalità dell'improvvisatore e nel riuscire, dunque, anche a passare da una tonalità alta ad una bassa e viceversa, infatti, i cantori estemporanei, specialmente i più esperti, per motivi estetici, amano variare in questo modo la

165 Sul tenore si veda A. DEPLANO, Tenores, Cagliari, AM&D Edizioni, 1994.

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melodia. Il tenore interviene dopo la fine di ogni verso endecasillabo, ma anche ogni due versi o piÚ, a seconda dei poeti e anche a seconda de sa muta, infatti, quando l'improvvisatore non è molto ispirato e la creazione dei versi risulta faticosa richiede piÚ spesso il sostegno del coro.166

166 Cfr. M. MANCA, Cantare in poesia per sfidare la sorte..., pp. 72-74.

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PARTE TERZA

DUE POETI IMPROVVISATORI DI SILANUS: MARIU MASALA E FRANTZISCU MURA

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1. Marieddu Masala Giovanni Maria Masala, meglio noto da sempre a tutti come Mariu o Marieddu (“Si 'enides a Silanos chi nades: «connoschides a Masala Giovanni Maria?» bos narant: «Masala Giovanni Maria in Silanos no che nd'ada»”167) è nato a Silanus il 23 Luglio del 1935. La sua era una famiglia di pastori infatti anche lui fino all'età di quindici anni ha svolto questo mestiere: A pizzinnu, ca so de una famiglia de pastores, andaia a campagna e faghia su pastore puru unu pagu, ma a pizzinnu minore finas a treighi, battordighi, bindighi, seigh'annos e gai...168

In seguito scelse di studiare, prese la licenza media e cominciò a frequentare l'Istituto tecnico per ragionieri a Macomer, abbandonò gli studi quando, a soli sedici anni, iniziò la carriera da

poeta

professionista

dedicandosi,

dunque,

solo

ed

esclusivamente alle gare di poesia improvvisata. Mariu Masala trascorse la sua infanzia in un paese, Silanus, che in generale era abbastanza povero e arretrato, la popolazione era costituita da contadini e pastori, la campagna era non solo il luogo di lavoro ma anche quello di svago, infatti era qui che si tenevano sos tusorzos (tosatura del gregge), sas arzolas (trebbiatura del grano), occasioni festive tra amici nelle quali si 167 Se vi trovate a Silanus e chiedete: «Conoscete Masala Giovanni Maria?» vi

rispondono: «A Silanus non ci sono Masala Giovanni Maria». Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008, consultabile sul sito Sardegna DigitalLibrary, link risorsa: <http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&id=194223>. 168 Da bambino, poiché provengo da una famiglia di allevatori, andavo in campagna e ho fatto anche il pastore per un po' di tempo, da bambino, fino a tredici, quattordici, quindici, sedici anni. Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008...

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stava in compagnia e ci si divertiva. Masala cominciò a cantare fin da bambino proprio in queste circostanze (oltre che al bar o in occasione di matrimoni), insieme ad altri poeti dilettanti del suo paese che, allora, erano numerosi: B'aiat bortas chi fimis bindighi e seighi nois mi... Deo fia semprer su prus minore, bi fint cussos anzianos: Tiu Pascale Zau, Antoni “Cabadda”, Pantaleo Nieddu... mi paret chi fimis seighi o deghesette: Peppinu Pese, Pedrigheddu Ruiu, Iuannantoni 'Irde, Toni 'e Manca, Mario Tedde, Franziscu [Mura], deo, “Cassitta”... [Marieddu Masala, Silanus, 2013].169

In quegli anni, nei quali si esibivano grandi improvvisatori come Antoni Cubeddu, Zuseppe Pirastru, Barore Testone, Pitanu Moretti, Gavinu Contene ecc., egli assisteva alle gare ufficiali soltanto dae terra (dal basso, come pubblico), come grande appassionato, nutriva grande desiderio di salire sul palco ma aveva consapevolezza di non poterlo fare essendo ancora un bambino: A pizzinnu deo andaia semprer a iscurtare sa gara e mi 'eniat semprer cust'ispezzia 'e... da chi fia in terra iscurtande mi 'eniat cust' ispezzia de gana comente a bi pigare a su parcu, m'intendia carchi cosa de bi pigare, de partecipare... però no mi so' mai azzardadu ca fia unu pizzinnu...170

La passione per la poesia lo portava anche a spostarsi, a piedi, nei

169 Alcune volte eravamo in quindici o in sedici... Io ero sempre il più piccolo, c'erano gli anziani: signor Pasquale Giau, Antonio noto “Cabadda”, Pantaleo Nieddu... mi sembra che eravamo sedici o diciasette: Peppino Pes, Pietrino Ruggiu, Giovanni Antonio Virde, Toni Manca, Mario Tedde, Frencesco [Mura], io, “Cassitta”... 170 Da bambino sono sempre andato ad ascoltare la gara di poesia e sentivo sempre questa specie di... quando ascoltavo da terra sentivo sempre questa sorta di voglia di voler salire sul palco, di partecipare... però non mi sono mai azzardato perchè ero solo un bambino... Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008...

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paesi vicini, quando, in occasione di feste in onore di qualche santo aveva luogo sa gara, insieme a lui, spesso, era presente l'altro poeta silanese Frantziscu Mura: Andaimis finas a Bortigale e a Bolotene po ascurtare sas garas, pizzinnos, a pe', linea linea c'andaimis mi! Su sero partimis senza narre' mancu nudda in domo, da chi torraimis nos daiant finas carchi 'anzu ca torraimis a part'e manzanu!171

La data nella quale Marieddu Masala ha cominciato la sua carriera come poeta professionista è il 10 Agosto dell'anno 1951, quando, a Silanus, suo paese natale, in occasione della festa di San Lorenzo, a soli sedici anni, è salito sul palco per disputare la sua prima gara insieme a tre dei più quotati cantadores (cantori) che calcavano i palchi sardi in quegli anni: Remundu Piras, Barore Sassu e Cicciu Piga. Proprio Tiu Piras convinse Marieddu Masala a salire sul palco per la prima volta, infatti, egli, trovandosi ospite in casa del nonno del giovane poeta (“Tando, fit zaiu meu su priore de Santu Larettu e de sos poetas, su comitadu, si che nde leaiat unu a d'onzi domo a drommire, ca fit duas nottes chi cantaiant. E custu Tiu Piras depiat benner'a domo de zaiu meu” [Marieddu Masala, Silanus, 2013]172) ebbe l'occasione di conoscerlo e apprendere il fatto che improvvisasse versi, perciò volle fortemente che il ragazzo cantasse, insieme a lui e ai colleghi, quella notte di Agosto del Cinquantuno.

171 Da ragazzini andavamo ad ascoltare le gare, a piedi, lungo la linea ferroviaria, fino a Bortigali e a Bolotana! Partivamo la sera senza avvertire a casa, quando tornavamo ce le suonavano perché rientravamo all'alba! Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008... 172 Quell'anno, mio nonno era uno degli organizzatori della festa di San Lorenzo, ognuno dei membri del comitato ospitava un poeta in casa propria per la notte, visto che allora si cantava per due serate consecutive e Signor Piras era ospite in casa di mio nonno.

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Inizialmente Masala venne assalito dal panico in quanto molto timido, addirittura si nascose per evitare che lo conducessero a cantare: Deo fia 'irgonzosu meda...cando app'intesu “parcu” appo nadu: «nono no no deo no bi pigo!». […] Su sero da chi che fid'or'e chenare, bi teniat unu magasinu in bassu zaiu, mi che so andad'a inie, mi che so cuadu inie. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].173

Poi, grazie a Piras, che con la premura di un padre (“E issu: «e tue faghe su contu chi sias cun babbu tou»”174) lo incoraggiava, riuscì a vincere la forte preoccupazione e accompagnato da questa grande guida giunse in una piazza Carraghentu traboccante di gente (“Non b'aiat logu de minte' tudda!”175), salì sul palco e regalò agli spettatori, per la maggior parte suoi compaesani, una performance brillante: Tottu cuntentos... su comitadu... unu munton'e complimentos. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].176

Già in quell'occasione Masala dimostrò di essere un grande talento, di avere grande fantasia e spirito, de essere unu poeta zeniosu (di essere un poeta simpatico), quando si decise di cantare s'indovinello (indovinello)177 non ebbe timore di prendersi gioco del poeta Cicciu Piga che era insieme a lui sul palco: Mi so' timinde in cuss'iscatuledda

Ho paura che in quella scatolina

173 Io ero molto timido, quando ho sentito la parola “palco” ho detto: «no no no io non salgo!». […] Mio nonno aveva un ripostiglio, la sera, verso l'ora di cena sono andato e mi sono nascosto lì. 174 Marieddu Masala, Silanus, 2013. Lui [Piras] disse: «Tu pensa di stare con tuo padre». 175 Marieddu Masala, Silanus, 2013. Non c'era neppure un angolino libero! 176 Erano tutti contenti... il comitato... ho ricevuto un sacco di complimenti. 177 Così erano chiamate quelle ottave che venivano cantate per cercare di indovinare un oggetto misterioso che il comitato aveva precedentemente nascosto all'interno di una cesta.

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su comitadu chi no b'at postu nudda, chissai chi b'eppat postu una trudda o unu copertore de padedda, una mura ruia o niedda, no b'eppat postu una conca 'e chebudda o no b'eppat postu una corcoriga manna cant'e sa conca 'e Cicciu Piga.

il comitato non abbia messo nulla, chissà che abbia messo un mestolo o il coperchio di una pentola, una mora rossa o nera, o non abbia messo una cipolla o non abbia messo una zucchina grande quanto la testa di Cicciu Piga. 178

Barore Sassu, altro poeta che prendeva parte alla gara, riconobbe le sue grandi capacità (“Sassu nacchi: «Custu piseddu, unu poete...»”179) come anche lo stesso Remundu Piras, il quale, ogni tanto però, rimproverava il giovane per la lingua utilizzata nei versi, il silanese, non adatta alla poesia in lingua logudorese: «Si permittis ti lu naro, sigomente custas cosas las ischis: chi sa gara poetica est in limba logudoresa, tue no nerzas cantande no...» Deo naraia cantande, manigande, andande... sa limba nostra no... «Dever narrer andende, mandighende e currende e cosa gai mi...» E pianu pianu mi so postu, però mi fi diffizzile e carchi cosa mi ch'essiat... «Itte t'appo nadu?» mi naraiat issu! [Marieddu Masala, Silanus, 2013].180

La seconda gara alla quale Masala partecipò, la prima fuori Silanus, fu quella organizzata a Ollolai, nello stesso 1951, in occasione della festa di San Bartolomeo, venne invitato da un appassionato che aveva avuto modo di ascoltarlo a Silanus: A innoghe ch'eniant tottus sos de sa Barbagia mi... Dae Ollollai, gavoesos... e c'aiat un omine de Ollollai. In Ollollai bi fit Santu Pòrtolu, narant issos, fit su vintitres de Austu e m'ant invitadu a Ollollai, sa prima c'appo fattu fora in Ollollai, su matess'annu ettottu. [Marieddu Masala, Silanus, 2013].181

178 Marieddu Masala, Silanus, 2013. 179 Sassu ha detto: «Questo ragazzo, un poeta...». 180 «Permettimi di rimproverarti, queste cose le sai: la gara di poesia è in lingua logudorese, non devi dire cantande» io dicevo cantande, manigande, andande... nella nostra lingua [il silanese]. «Devi dire andende, mandighende e currende ecc.». Pian piano cercavo di impegnarmi ma risultava difficile e quindi qualcosa mi scappava e lui mi diceva: «che ti ho detto?». 181 Qui [a Silanus] venivano in tanti dalla Barbagia per assistere alla gara... da

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La sua carriera da poeta professionista continuò ininterrotta da quell'anno in poi e non ebbe mai momenti di crisi, sia grazie al proprio talento sia grazie all'aiuto di Remundu Piras (come dice lo stesso Masala “grazias a Deus e a issu”182) che, quando veniva contattato per partecipare a qualche competizione, non mancava mai di proporre ai comitati anche Masaleddu,

così amava

chiamare il giovane silanese. Masala è sempre stato grato a questo suo grande maestro e amico dedicando a lui versi bellissimi: A mi lassas, Pazzola, sa lamenta de fronte a unu pòpulu signore. So a su palcu pigadu a minore, tando caminaia a marcia lenta e Piras m'at leadu a manu tenta, custu lu poto tenner a onore. A mie a manu tenta m'at leadu invece a tie ti ch'at iscapadu.

Pazzola, lascia da parte le lamentele davanti a un pubblico signore. Sono salito sul palco da piccolo allora andavo ancora piano Piras mi ha preso per mano, di ciò non posso che esserne onorato. A me ha preso per mano mentre ha lasciato te. 183

Questo è invece il sonetto composto da Masala dopo la morte di Piras, nell'anno 1978: Tantas bortas drommidu e sonniende corcadu in su biancu lettu meu m'ido cun tegus che prima cantende e cando in palcu ti nde fichis reu a totucantu su populu intreu chi est in terra ammajadu iscultende unu Mosè mi pares preighende sas deghe legges chi dadu l'at Deu.

Tante volte addormentato e sognando coricato nel mio bianco letto mi rivedo insieme a te a cantare come una volta, e quando stai in piedi sul palco mi sembri un Mosè che prega a tutto l'intero pubblico che da terra ascolta incantato le dieci leggi che ti ha consegnato Dio.

Ollolai, da Gavoi... e c'era un signore di Ollolai. Ad Ollolai stavano preparando la festa per San Bartolomeo [in sardo silanese Portòlu, mentre a Ollolai pronunciano Pòrtolu] che cadeva il ventitrè di Agosto e sono stato invitato ad Ollolai, la prima gara che ho disputato fuori dal mio paese è sttata proprio nello stesso anno a Ollolai. 182 Grazie a Dio e a lui. Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008... 183 Ottava di M. Masala (diciasettesima) cantata nell'esordiu della gara disputata a Carnate Brianza (MI) insieme a B. Zizi e A. Pazzola, in occasione dell'inaugurazione del circolo degli emigrati di Villanova Monteleone intitolato al poeta e paesano Remundu Piras, in: P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 201.

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Ses unu veru geniu, Remundu, est ogni frase tua una sentenzia c'as mente frisca cun nobile coro. Però, da poi 'e su sonnu profundu, m'ammento c'as finidu s'esistenzia e cando mi nd'ischido m'addoloro.

Sei un vero genio, Raimondo, ogni tua frase è una sentenza dacchè hai una mente fresca e un cuore nobile. Però, dopo il sonno profondo, mi ricordo che hai finito l'esistenza terrena e quando mi sveglio mi addoloro. 184

Decidendo di dedicarsi esclusivamente alle competizioni poetiche abbandonò la professione di pastore e gli studi, in seguito, si sposò con una ragazza del paese, Lina, dalla quale ebbe sei figli. Non avendo l'automobile, in occasione di gare si spostava cun sa corriera o sa lettorina (in pullman o in treno) da un paese all'altro della Sardegna, durante il periodo dae Abrile a Santu Aini (da Aprile a Ottobre), quello nel quale si concentrava il maggior numero di feste che avevano in programma sa gara, egli mancava da casa anche per otto o dieci giorni, rientrava di tanto in tanto e solo per qualche ora, per questo parla di una vita bella ma disordinata: Coiados noos, muzere mia tottu sas sufferenzias, semprer sola e deo semprer in ziru peri su logu. […] Sa vida fit una vida disordinada e poi fia pizzinnu, muzere mia in domo sola, tando at cominzadu a nasche' fizzos e issa toccaiat chi abarreret sola. Sa cosa fit unu pagu...insomma...185

Mario Masala è l'unico poeta che ha iniziato a partecipare a gare ufficiali di poesia improvvisata logudorese a soli sedici anni ed è anche l'unico che è riuscito a festeggiare i sessant'anni di carriera, nel 2011. Ancora oggi partecipa, anche se più raramente, a

184 P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 89. 185 Da sposini mia moglie ha sofferto molto, restava sola mentre io stavo in giro ovunque. […] La vita era disordinata, ero molto giovane, mia moglie restava a casa da sola, in più cominciavano ad arrivare dei figli e lei era costretta a restare sola. La cosa era un po' così...insomma... Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008...

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qualche gara, quindi, all'età di settantotto anni, può vantare il primato assoluto per anni di attività, sessantadue in totale. In una vita dedicata al canto in poesia non c'è palco sardo che non abbia calcato, è stato ospitato in tutti i paesi vicini al proprio, del Marghine, del Goceano e della Barbagia di Nuoro e Ollollai, ma anche in altre zone della Sardegna: Logudoro, Ogliastra, Gallura, Campidano, Sulcis-Iglesiente ecc., ha avuto l'occasione di cantare negli Atenei sardi di Cagliari e Sassari e nell'Università di Siena, ha disputato competizioni sia in Italia che all'estero per i circoli di emigrati sardi. In questo modo ha contribuito sia a far conoscere e apprezzare questo genere di poesia che a tenere alto l'onore del paese natale grazie al proprio talento: B'at unu pagu de imbidia dae parte 'e carchi paesanu...ma sa mazzore parte ia m'apprezzant, lu tenent a onore puru... medas bi nd'at chi narant: «De ube ses? De Silanos? Sa idda 'e Masala! Si no fit bistadu pro Masala mancu sa idda nostra aiant connottu!» Bi nda medas chi sunt cuntentos e fieros chi mi cherent bene, sa veridade.186

Masala ha disputato gare con tanti colleghi, tra cui Piras, Tucconi, Sassu, Solinas, Pulina, Muroni, Seu, Carta, Budroni, ma soprattutto con il compaesano Frantziscu Mura, con Bennardu Zizi e con Antoni Pazzola. Insieme a questi ultimi due, per anni, ha formato un trio (Zizi-Masala-Pazzola) molto amato dal pubblico degli appassionati di poesia estemporanea. Per quanto riguarda i temi, si può dire che non ne esista uno sul

186 Da parte di qualche compaesano c'è un po' d'invidia...ma la maggior parte mi apprezzano, sono onorati...ce ne sono molti che dicono che, quando gli viene chiesto di dove sono e rispondono: «Di Silanus», si sentono dire: «Di Silanus, il paese di Masala!», quindi pensano che se non fosse stato per Masala nessuno avrebbe conosciuto il loro paese natale. Sono tanti quelli contenti e fieri che mi vogliono bene, in verità. Dall'intervista a Mariu Masala di G. MURGIA dell'anno 2008...

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quale egli non abbia improvvisato versi, da quelli più tradizionali a quelli più moderni, nonostante questo, comunque, ha delle preferenze, li andat de prus a cantare “su malu”, cioè preferisce impersonare un tema che vada contro la morale universale come Vendetta, Spada, Guerra, Prepotenza ecc., nonostante, dentro di sé, sia convinto di quanto i princìpi opposti siano da preferire: Deo, si b'est sa Gherra e sa Paghe, sa paghe penso chi siat menzus de sa gherra, ma mi tia piagher a cantare prus sa Gherra, chissai puitte... mi tia piagher a cantare prus sa Gherra de sa Paghe per esempiu... sempre b'at carchi cosa chi ponet unu pagu in briu su pubblicu, chi li piaghet prus a sa zente... est comente sa Rughe e s'Ispada: a mie mi tia piagher a cantare prus s'Ispada per esempiu, ca sa Rughe istat sempre cuddane, imbrenugadu, preigande e basta... preigande... eh est una cosa seria, una cosa importante chi si balet pius de s'ispada, de sos dannos chi faghet s'ispada, però a cantare a mie mi tia piagher prus s'Ispada de sa Rughe.187

Queste sono alcune ottave (terza e quarta; undicesima, dodicesima, tredicesima e quattordicesima) cantate a Sanluri, in occasione della festa di San Lorenzo nell'anno 1982, da Masala, sa Vinditta (la Vendetta), e dal collega Peppe Sozu, su Perdonu (il Perdono)188:

187 Io tra la Guerra e la Pace, penso che la pace sia da preferire alla guerra, ma mi diverto di più a cantare la Guerra, chissà perché... mi piace più cantare la Guerra della Pace ad esempio... perché c'è sempre qualcosa da dire che rende brioso il pubblico, che la gente preferisce... è come per la Croce e la Spada: io ad esempio preferisco cantare la Spada, perché la Croce sta sempre lì a pregare in ginocchio e basta... pregare... sì è una cosa seria, una cosa importante che vale più della spada, dei danni che arreca, ma io preferisco cantare la Spada che la Croce. Dall'intervista a Mariu Masala (contenuta nel video Interviste poeti logudoresi. Montaggio di interviste a poeti professionisti dell'ottava logudorese) di S. PILOSU dell'anno 2011, consultabile sul sito Incontro Transfrontaliero, link risorsa: <http://www.incontrotransfrontaliero.com/scheda.php? cat=9&id=73>. 188 E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296293>.

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Peppe Sozu:

Peppe Sozzu:

De una parte nde fato tesoro armadu de piena volontade. De aer su perdonu mi nde onoro e de totu sos ùmiles so frade e so amante de sa caridade, devo esser seguru ’e bonu coro: trancuillu, pacìficu e serenu in venas no nde tenzo ’e velenu.

Faccio tesoro del tema toccato in sorte armato di piena volontà. Sono onorato di avere il Perdono e sono fratello di tutti gli umili e sono amante della carità, devo essere certamente generoso: tranquillo, pacifico e sereno nelle vene non ho veleno.

Mariu Masala:

Mariu Masala:

De una parte nde faghes tesoro e deo puru, ’enzo dae Silanos e mi nd’eto a custos Campidanos a ube so ’ennìdu a bonu coro e m’an su primu tema postu in manos e sa pàtria mia est in Nuòro. Forzis est ca so nàschidu inie, paret finas su tema addatu a mie.

Fai tesoro di un argomento e anche io, provengo da Silanus e scendo in questi Campidani dove sono giunto volentieri e m'hanno assegnato il primo tema e la mia patria è Nuoro. Forse è perché sono nato lì, che questo tema sembra adatto a me.

Peppe Sozu:

Peppe Sozu:

Sos giornales los lessan in biancu crònaca nera po non legger prestu. De su Vangelu ti pone a fiancu chi perdonende ses pius onestu: da chi t’iscuden su càvanu mancu deves parare su càvanu drestu e gai ubbidis a su tema meu e-d-est cuntentu su fizu ’e Deu.

Lascino i giornali in bianco piuttosto che leggere presto cronaca nera. Mettiti al fianco del Vangelo che col perdono sei più onesto: quando ti picchiano sulla guancia sinistra devi porgere quella destra così obbedisci al mio tema e fai contento anche il figlio di Dio.

Mariu Masala:

Mariu Masala:

S’Evangelu mi paret un’abbagliu invece deo una cosa ti naro: no est sa facia mia unu bersagliu, sa santa veridade dichiaro. Su printzìpiu tou est un’isbagliu, deo càvanu drestu no nde paro: a chie m’iscudet a su càvanu mancu li che ponzo s’olteddu in su fiancu.

Il Vangelo mi sembra un abbaglio invece io ti dico una cosa: il mio viso non è un bersaglio, dichiaro la santa verità. Il tuo principio è un errore, io non la porgo la guancia destra: a chi picchia la mia guancia sinistra io conficco un coltello nel fianco.

Peppe Sozu:

Peppe Sozu:

Ma deo non so débbile o mischinu si m’at un’inimigu postu manu: che a isse non so un’inumanu ne aggressivu e nemmancu assassinu. Tue comintzas cun-d-unu luminu

Io non sono debole o poverino se un nemico ha alzato le mani su di me: non sono inumano come lui nè aggressivo e neppure assassino. Tu inizi con un fiammifero

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e non ti frimmat mancu unu vulcanu fina a chi no bi restat ossu e peta poite sa vendeta ’atit vendeta.

e non ti ferma neanche un vulcano fino a che non ci lasci ossa e carne poiché la vendetta porta altra vendetta.

Mario Masala:

Mariu Masala:

Cantas cosas nos faghes a intèndere a mie e a sa zente seddoresa! Pro me a peldonare est bascesa prite si devet s’ómine difendere e gai deo si retzo un’offesa sas manos mias no las devo prèndere. Si a chie m’iscudet no l’iscuto tando sas manos a-b-ite las giuto?

Quante cosa che fai sentire a me e alla gente di Sanluri! Per me perdonare è viltà perché l'uomo si deve difendere e così se io ricevo un'offesa non devo legare le mie mani. Se non picchio chi mi picchia allora per cosa ho le mani?

Marieddu Masala est unu poeta de vena 'ona e bundante (è sempre molto ispirato), infatti compone le strofe in un tempo molto più breve rispetto agli altri colleghi, riesce a improvvisare ottave in meno di cinquanta secondi, spesso e volentieri anche in meno di quaranta. La capacità e il dono naturale di avere sempre qualcosa da dire prontamente, senza avere bisogno di troppo tempo per ragionarvi su, fa in modo che egli chiami l'intervento del tenore solo quando è necessario (ogni due versi e alla fine di ogni strofa), senza mai chiederne l'ausilio quando questo non è pertinente, come dice Paolo Pillonca est su poete chi pius pagu nd'at nezzessidade189. Quando si tratta di discutere temi seri, Masala costruisce ottave ricche, profonde, ha la capacità di aberrer semprer cammineras noas (aprire sempre strade nuove), cioè di proporre continuamente nuovi argomenti sui quali discutere, i suoi versi presentano spesso riferimenti dotti scelti con cura. Uno dei tanti esempi che possono essere forniti per confermare ciò è rappresentato da alcune sue ottave cantate durante la gara disputata insieme a Peppe Sozu a Olmedo, a

189 E' il poeta che ha meno necessità del tenore. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 117.

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maggio dell'anno 1991, in occasione della festa de sa Madonna de Talia, il tema che egli impersonava era sa Gherra (la Guerra) : Amito chi sa paghe siat bona ma ateras menzus cosas mi cumbina. Ca Leonora est una reina chi jughet in sa testa sa corona da cust’isula inghiriada ’e marina che ’ogat fora sos de Aragona. Femina cun coragiu sena fine e times tue chi ses un’omine.

Ammetto che la pace sia una cosa buona ma tratta cose migliori. Perché Eleonora è una regina che ha in testa la corona da quest'isola circondata dal mare ha espulso gli Aragonesi. Donna dal coraggio infinito mentre tu che sei un uomo hai paura.

Ite bellos esempios chi dasa cussos cuncetos tuos sun pienos canta sa paghe no bistes a crasa lassa sa gherra ch’est de sos anzenos ma sa Saldigna nostra fit invasa bogadu fora ch’an sos Saracenos. Si semus sardos e indipendentes si devet a sos nostros cumbatentes.

Che esempi belli che fornisci quei tuoi concetti sono ricchi canta la pace non aspettare a domani lascia perdere la guerra che è degli altri ma la nostra Sardegna era invasa e ha espulso i Saraceni. Se siamo sardi e indipendenti si deve ai nostri combattenti.

Ma inube b’at gherra bi at baldoria pro chi a tie ti palzat tropu fea. Elena bella comente una dea e Omero s’isfoltzat sa memoria bi naschet una bella paristoria in s’Iliàde e in s’Odissea. Ambos testos in manos los aferra e tando faghe un’inchinu a sa gherra.

Ma dove c'è guerra c'è baldoria anche se a te sembra troppo brutta. Elena bella come una dea e Omero sforza la sua mente e nasce un bel mito nell'Iliade e nell'Odissea. Prendi in mano entrambi i testi e a quel punto fai un inchino alla guerra.

Ma a mie m’est tocadu su cunflitu e lassa chi de gherras ti arrejone proite a Palestina ch’andat Titu e su tempiu bellu ’e Salomone, mancari siat mannu e beneitu, che lu ’etat e lu ponet a muntone. E cussa terra anzena e lontana diventada est colonia romana.

Ma a me è toccato in sorte il conflitto dunque lascia che ti parli di guerre perché in Palestina va Tito e il bel tempio di Salomone, anche se è grande e benedetto, lo fa cascare e lo distrugge. Così quella terra straniera e lontana è diventata colonia romana.

Queste sono solo alcune strofe (ventiquattresima, ventiseiesima, trentottesima e quarantaseiesima), ma, per quanto riguarda quella gara, buona parte della discussione sul primo tema, sa Paghe e sa Gherra (Pace e Guerra), contiene nozioni colte.190

190 E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi

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Masala, durante le dispute in versi, è solito spaziare dalla religione alla mitologia, dalla storia di Roma alla storia della Sardegna e a quella d'Italia, dall'attualità alla scienza e ad altri campi della cultura. E' soprattutto nell'esordio, nelle duinas e battorinas (distici e quartine) o nella discussione di temi più leggeri e giocosi, che Masala dimostra che, oltre a saper essere serio, sa essere, soprattutto, divertente, comico, ironico, pungente e sa rispondere in maniera incisiva a qualsiasi avversario che tenti di provocarlo durante la gara: Bennardu Zizi:

Bennardu Zizi:

S'ottava 'e Mariu m'at fattu pius tristu e anzis m'at aggiuntu pius pesu, ca penso chi no b'eppet acuistu nende chi a mie s'onore m'at resu, no est onore a mi ponner in mesu, in mesu ant postu puru a Gesu Cristu, affrontende sas suas passiones a su fiancu de duos ladrones.

L'ottava di Mario mi ha reso più triste e anzi mi ha aggiunto maggiore peso, perchè penso che non ci sia guadagno nel dire che mi è stato reso onore, non è un onore essere seduto al centro, al centro è stato messo Gesù Cristo, ad affrontare le sue passioni al fianco di due ladroni.

Mariu Masala:

Mariu Masala:

Lassa istare a Cristos in affannos ello puitte chilchende lu sese? De sa fine c'at fattu, si bi crese, sunt informados minores e mannos ca issu nde teniat trintatrese e tue as ottantaduos annos e forzis tue puru ti nd'abbizzas c'a Gesu Cristu no ti b'assomizzas.

Lascia da parte Gesù Cristo in pena perché lo cerchi? Della fine che ha fatto, se ci credi, sono informati grandi e piccoli lui ne aveva trentatrè e tu hai ottantadue anni e forse anche tu ti accorgi che a Gesù Cristo non somigli. 191

dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it//index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296732>. 191 Due ottave tratte dall'esordio della gara del 9/8/2009 disputata in occasione della festa di San Lorenzo a Silanus, tra i poeti di Silanus Marieddu Masala e Totore Cappai e il poeta di Onifai Bernardu Zizi. E' possibile ascoltare parte della gara sul sito Incontro Transfrontaliero, link risorsa: <www.incontrotransfrontaliero.com/scheda.php?cat=9&id=29>.

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Quando arriva il proprio turno, Marieddu Masala si alza dalla sedia e canta con la mano sinistra sul tavolo o su qualsiasi altro appoggio, mentre tiene la destra lungo il fianco o nella tasca dell'abito, la gestualità degli arti superiori è minima, egli comunica maggiormente attraverso la mimica facciale. La particolarità che lo distingue nel modo di stare sul palco è il fatto che, spesso e volentieri, quasi per voler sfidare l'avversario non solo con le parole ma anche con i gesti, si alza dalla sedia, pronto per rispondere al collega, quando ancora questo non ha terminato la propria ottava e si avvicina verso il microfono con un gesto della mano che sembra quasi voler dire: “Bae e sezzedi chi como ti la canto deo!”192 Masala canta a sa lestra (velocemente), tanto che alcuni colleghi lo temono perché non dà loro il tempo di comporre l'ottava.193 Ha una voce intonata, che è sempre in perfetta armonia con il coro a tenore che lo accompagna, non è tanto potente quanto melodiosa; il poeta, attraverso la modulazione di essa e i passaggi di tono, abbellisce i versi, rendendoli più musicali e inoltre, raggiunge la perfezione dal punto di vista metrico, infatti, usa la voce in modo tale da far sì che, anche se in realtà il verso è ipermetro

o

ipometro,

venga

percepito

dall'orecchio

dell'ascoltatore come preciso.

192 Và pure a sederti che adesso te la canto io! 193 Cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 117.

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2. Frantziscu Mura Frantziscu Mura è nato a Silanus il 13 di Marzo dell'anno 1933, fin da bambino fece il pastore. Un tempo questo mestiere comportava stare fuori dal paese e lontano da casa per più giorni, in compagnia del gregge per quasi tutta la giornata, pastorigande (facendo pascolare il bestiame). Nella solitudine dei pascoli chi, come Frantziscu Mura, aveva il dono naturale della poesia, improvvisava qualche verso; spesso, inoltre, a fine giornata, ci si ritrovava tra pastori, in su cuile (nell'ovile), per trascorrere alcune ore insieme e svagarsi, qui avevano luogo piccole competizioni di poesia tra dilettanti, è proprio all'interno di questo ambiente pastorale che Mura, a pizzinneddu (fin da giovanissimo), ha iniziato a cantar'a poesia. La passione di comporre versi era tale da far in modo che ogni momento fosse buono per improvvisare e sfidare qualche altro poeta, come mi ha raccontato Gavinu, il figlio di Tiu Frantziscu: Cando andaiant a busca194, tra pizzinnos, chi bi fit Marieddu Masala puru, nacchi istaiant cantande sas ottadas dae subr'e s'arbule ettottu e chie fit in terra deppiat rispondere a s'ottada 'e s'atteru. [Gavinu Mura, Silanus, 2013].195

Per Mura, l'occasione di salire sul palco per la prima volta si presentò nell'anno 1952, all'età di diciannove anni, in occasione della festa di San Lorenzo, a Silanus, disputò la sua prima gara

194 “Andare a busca” in silanese, indica l'abitudine dei ragazzi di andare, di nascosto dai proprietari del terreno, a rubare i frutti maturi dagli alberi. 195 Quando andavano a busca, tra ragazzini, c'era anche Marieddu Masala, si dice che improvvisassero le ottave persino quando stavano sull'albero e chi restava per terra doveva rispondere ai versi dell'altro.

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ufficiale insieme ai poeti Andrìa Nìnniri e Cicciu Piga. Da quel momento cominciò per lui la carriera da professionista, iniziò ad essere richiesto, spesso insieme al compaesano, amico e collega Marieddu Masala, nei paesi vicini al proprio (anch'egli come Masala cantò per la prima volta fuori Silanus ad Ollolai) e in seguito, anche nel resto della Sardegna. In questi primi anni ebbe l'occasione di cantare con molti dei grandi poeti del passato, in particolare Andrìa Ninniri, Cicciu Piga, Gavinu Piredda ma soprattutto con Jommaria Pulina.196 Quando le gare sul palco cominciarono a farsi numerose Mura abbandonò la professione di pastore e si dedicò interamente alla poesia, anch'egli, come Masala, raggiungeva i vari paesi sardi nei quali veniva chiamato a cantare con i mezzi pubblici, visto che non aveva l'automobile; inoltre, era necessario stare fuori casa più giorni e alloggiare presso qualche abitante del paese ospitante poiché, un tempo, le gare avevano luogo per più serate consecutive. Dopo essersi sposato con una donna di Silanus, Toniedda, dalla quale ebbe tre figli, oltre a dedicarsi al canto in poesia, Frantziscu Mura gestì per anni un frantoio a Silanus, su molinu 'e sos Cossos (frantoio dei Cossu). A partire dalla fine degli anni Sessanta in poi, quando la sua carriera era ormai avviata, cantò soprattutto con Gavinu Piredda, Juanne Seu e Frantziscu Sale, oltre che con il compaesano Mariu Masala197, insieme al quale ha costituito una coppia di grande qualità per quasi cinquant'anni, i due oltre che colleghi erano amici fin da bambini, da quando si divertivano ad improvvisare versi come dilettanti: 196 Su questo punto cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 116. 197 Su questo punto cfr. Ibidem.

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Collega chi mi contas e amigu dae sa fiorente pitzinnia, da chi nos permitimis un’azigu a proare a cantare in poesia, sa veridade in tempus antigu solu pariat una fantasia. Invece poi andende in s’edade est totu diventadu realtade.

Collega che mi consideri e amico fin dalla fiorente gioventù, da quando ci permettevamo un pò di provare a cantare in poesia, la verità di oggi nel tempo passato sembrava solo una fantasia. Invece poi andando avanti con l'età tutto è diventato realtà. 198

Essendo apprezzato in tutta la Sardegna fu ospitato in tantissimi luoghi, amava molto esibirsi in quei paesi che lo preferivano più di altri e che, di anno in anno, non mancavano di riservargli il posto sul palco, tra questi in particolare Fonni e Orune. Naturalmente, cantare a Silanus, era per lui sempre un onore e un'emozione forte, al suo amatissimo paese dedicò questo sonetto: Silanos ch'in d'ogni era fama as tentu po s'ospidalidad'e ambiente a sos amigos bonu tratamentu lis faghes e los rezzis gentilmente.

Silanus che in ogni epoca hai avuto fama per essere un ambiente ospitale un buon trattamento agli amici riservi e li accogli gentilmente.

De tottu chie ch'enit raramente chi si che nd'andet unu discuntentu po cussu ogni annu po Santu Larentu che ad'immensas mareas de zente

Di tutti coloro che vengono raramente qualcuno va via scontento perciò ogni anno per San Lorenzo ci sono immense maree di gente

godindesi sa festa in allegria fat'a sistema tradizionale cun ballos, isfiladas e tenores

che si godono la festa in allegria fatta con sistema tradizionale con balli, sfilate e tenores

gar'e chiterra e gar'e poesia cun s'importante banda musicale e pariglias de caddos curridores.

gara di chitarra e gara di poesia con l'importante banda musicale e pariglie di cavalli da corsa.

198 Ottava (quinta) cantata da F. Mura in una gara disputata con M. Masala, a Norbello, nell'anno 1998, in occasione della festa in onore di Santa Giuditta. Mura impersonava sa Realtade (la Realtà) e Masala sa Fantasia (la Fantasia). E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296696>.

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L'unico paese della Sardegna nel quale non si è mai esibito durante tutta la sua carriera è Bortigali: tra gli abitanti di Silanus e questo paese limitrofo non è mai corso buon sangue, si dice che i bortigalesi sostenessero da sempre chi eniant a Silanos a che leare teraccas no a che leare poetas (che venivano a Silanus per portare con sé serve non poeti), per questo motivo, quando Tiu Frantziscu veniva invitato per andare a cantare a Bortigali non accettava mai, rifiutandosi sempre di esibirsi per i bortigalesi199. Oltre che in Sardegna egli cantò sia in Italia che all'estero: Nois faghimos parte de una tropa ch’at de natura donos in cussigna e custa mansione rara e digna nos at finas ofridu calchi coppa. Non solu in sas piatas de Saldigna m’amos giradu tota s’Europa: amos atraessadu in dogni banda in Isvìtzera, Belgiu e in Olanda.

Noi facciamo parte di una stirpe che ha doni in consegna dalla natura e questa mansione rara e degna ci ha anche regalato qualche coppa. Non solo nelle piazze di Sardegna ma abbiamo girato tutta l'Europa: abbiamo attraversato ogni territorio in Svizzera, Belgio e Olanda. 200

Sia in città italiane che straniere, Frantziscu Mura cantò soprattutto per gli emigrati sardi, dei quali aveva molta stima e che compativa per la nostalgia che essi avevano della propria terra, che erano stati costretti a lasciare con sofferenza, nella maggior parte dei casi da giovanissimi, per cercare fortuna e sfuggire alla povertà. Queste ottave (sedicesima e diciasettesima) sono state cantate a Torino, nell'anno 1997, in occasione della Festa de sos Silanesos,

199 Questa informazione curiosa mi è stata riferita, a voce, da Gavinu Mura, figlio del poeta. 200 Ottava dell'esordio (nona), cantata da F. Mura nell'anno 1995, a Narbolìa, in occasione della festa di Santa Reparata, in gara con M. Masala. E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296682>.

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ossia la festa degli emigrati silanesi, che in quella città erano numerosi: Mariu Masala:

Mariu Masala:

Tzertu chi cosa ’e narrer bi nd’at tanta cun sa nostra poética favella. Su milli e noighentos e sessanta de su Belgiu in-d-una tzitadella: fit pro sa festa de Barbara santa, b’amos fatu sa prima gara bella. E dae tando pro sa sarda zente ja nde semus fetende frecuente.

Certo che cose da dire ce ne sono tante con la nostra lingua poetica. L'anno millenovecentosessanta in una cittadina del Belgio: era per la festa di Santa Barbara, abbiamo fatto la prima bella gara. Da allora per la gente sarda ne facciamo di frequente.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Deo de b’esser andadu mi onoro però s’est cussu puntu chi si tastat a mie s’allegria mi guastat: de sos chi sunt lontanos mi addoloro e a narrer totu su chi sento in coro bos giuro chi sa mente no mi abbastat. Duncas, o paesanos, cumpatide: unu pagu ’e passéntzia tenide.

Io sono onorato di essere andato a cantare lì ma se è questo il punto sul quale si discute io mi rattristo: mi addoloro per coloro che sono lontani e per dire tutto ciò che sento nel cuore vi giuro che la mente non basta. Dunque, o paesani, campatite: abbiate un po' di pazienza. 201

Frantziscu Mura dedicò agli emigrati una moda dal titolo “S'emigrante”, oggi il componimento è parte integrante di un murale realizzato da Pina Monne a Silanus, ispirato proprio alla poesia di Mura: Che sos antigos Ebreos errantes dae sa cara natale dimora sunt partidos sos Sardos emigrantes, a chircare tribagliu in logu 'e fora; ei custa trista piaga est ancora mal'a sanare che maligna peste, in sa caren'e s'infirma Sardigna dae su male angariada e pista. Ed est ancora custa piaga trista

Come gli antichi Ebrei erranti dalla cara natale dimora sono partiti i Sardi emigranti, a cercare un lavori in luogo straniero; questa triste piaga è ancora difficile da guarire come maligna peste, nel corpo dell'inferma Sardegna dal male abbattuta e livida. Ed è ancora questa piaga triste

201 E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=230665>.

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mal'a sanare che maligna peste; custa trista piaga ancora este mal'a sanare che peste maligna, in sa caren'e s'infirma Sardigna angariada e pista dae su male.

difficile da guarire come maligna peste; questa triste piaga ancora è difficile da guarire come peste maligna, nel corpo dell'inferma Sardegna abbattuta e livida per il male.

Ai custa maladìa regionale no l'ant fattu peruna terapia; a custa regionale maladìa peruna terapia fattu l'ana mèigos de sa clinica isolana ch'ant in sa cura assolutu podère.

A questa malattia regionale non hanno somministrato alcuna terapia; a questa regionale malattia alcuna terapia somministrato hanno medici della clinica isolana che hanno nella cura assoluto potere.

Est s'anzenu dolore mal'a crȇre pro chie vivet cuntentu e serenu in cadreas de oro e de argentu sena versare un'uttìu 'e suòre; est mal'a crȇre s'anzenu dolore pro chie vivet cuntentu e serenu, est mal'a crȇre su dolore anzenu pro chie vivet serenu e cuntentu in cadreas de oro e de argentu sena versare 'e suòre un'uttìu.

E' l'altrui dolore difficile da capire per chi vive contento e sereno in sedie d'oro e d'argento senza versare una goccia di sudore; è difficile da capire l'altrui dolore per chi vive contento e sereno, è difficile da capire il dolore altrui per chi vive sereno e contento in sedie d'oro e d'argento senza versare di sudore una goccia.

E chie in tanta pena e disafìu vivet in sa lontana terra anzena, e chie in disafìu e tanta pena vivet in sa lontana anzena terra pro sind'ogare de pan'una perra dae su profundu minerale puttu.

E chi in tanta pena e nostalgia vive nella lontana terra straniera, e chi nella nostalgia e in tanta pena vive nella lontana terra straniera per guadagnare di pane un pezzo dal profondo minerale pozzo.

Mèigos de sa clinica isolana ch'ant in sa cura podèr'assolutu.

Medici della clinica isolana che hanno nella cura potere assoluto.

Sas mamas e isposas a succuttu sunt pianghende sos penosos dramas e-i sos caros fizzos e isposos in dom'issoro ispettan ansiosas; a succuttu sas mamas e isposas sunt pianghende sos penosos dramas, a succuttu sas isposas e mamas sunt pianghende sos dramas penosos e-i sos caros fizzos e isposos in dom'issoro ansiosas isettant, e fina in mesu 'e sa pena prozettant felicidade in sa vida futura.

Le mamme e le spose singhiozzando stanno piangendo i penosi drammi e i cari figli e sposi a casa loro aspettano ansiose; singhiozzando le mamme e le spose stanno piangendo i penosi drammi, singhiozzando le spose e le mamme stanno piangendo i drammi penosi e i cari figli e sposi a casa loro ansiose aspettano, e anche nel mezzo della pena progettano felicità nella vita futura.

Mèigos de sa clinica isolana ch'ant assolutu podèr'in sa cura.

Medici della clinica isolana che hanno assoluto potere nella cura.

Siat finìda sa 'ostra isventura e potèdas passare a menzus vida, cantu prima in Sardigna rientredas

Sia finita la vostra sventura e possiate passare a miglior vita, quanto prima in Sardegna rientriate

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e de affettu chi abbrazzos bos diat, finida s'isventura 'ostra siat e potedas passare a menzus vida, siat sa 'ostra isventura finida a menzus vida passare potedas, cantu prima in Sardigna rientredas e bos diat abbrazzos de affettu.

e di affetto che abbracci vi dia, finita la vostra sventura sia e possiate passare a miglior vita, sia la vostra sventura finita a miglior vita passare possiate, quanto prima in Sardegna rientriate e vi dia abbracci di affetto.

Cun istima sinzera e coro nettu in mesu a un'immensa paghe vera, cun coro nettu e istima sinzera in mesu a un'immensa vera paghe, in suta s'umbra 'e s'antigu nuraghe tenzedas ogni gioia, ogni recreu.

Con stima sincera e cuore puro in mezzo a un'immensa pace vera, con cuore puro e stima sincera in mezzo a un'immensa vera pace, sotto l'ombra dell'antico nuraghe abbiate ogni gioia, ogni diletto.

Intantu fino su cantare meu, ca est de terminare ennìda s'ora, a totu dende un'abbrazzu in cunsigna, cun s'isperànzia 'e nos bider ancora a da chi rientrades in Sardigna!

Intanto termino il canto mio, perché di terminare è giunta l'ora, a tutti dando un abbraccio in consegna, con la speranza di vederci ancora appena rientrate in Sardegna!

Come l'altro collega silanese, anche Mura, in tanti anni di carriera, compose ottave sui più svariati temi, egli amava particolarmente cantare versi sulla natura202: As una bella otada improvisadu, menzus forsi no b’at àteru mutu. Est sa natura chi su late at dadu, permesu sou naschet ogni frutu e no s’agatat èssere criadu chi no epat da issa late sutu. Da sa sua mamidda isgorgat fora, an sutu prima e lu suen ancora.

Hai improvvisato una bella ottava, forse non esiste miglior canto. E' la natura che ha dato il latte, grazie a lei nasce ogni frutto e non c'è creatura che non abbia succhiato latte da lei. Sgorga dalla sua mammella hanno succhiato prima e ancora succhiano.

Ma no ti ponzas che cane a murrunzu s’amus a sas piantas postu manu. B’est sa linna ch’est forte che-i su brunzu e sa ch’est debbiledda, e totu est vanu: sas piantas s’ispozant in s’atunzu e si torrant a bestire in su ’eranu. Las bidese in sas baddes campagnolas chi inie sunt solas-solas.

Ma non brontolare come un cane se abbiamo toccato le piante. C'è la legna che è forte come il bronzo e quella che è debole, e tutto è vano: le piante si spogliano in autunno e si vestono di nuovo in primavera. Le vedi nelle valli campagnole che stanno lì tutte sole. 203

202 Informazione che mi è stata riferita, a voce, da Gavinu Mura, figlio del poeta. 203 Ottave (quarta e diciottesima) cantate da F. Mura a Iglesias, nell'anno 1977, in occasione della festa di San Benedetto, durante la discussione del primo tema: Arte (M. Masala), Natura (F. Mura). E' possibile ascoltare integralmente la gara

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Un altro ambito sul quale amava improvvisare versi, quando la discussione lo permetteva, era lo sport, visto che egli ne era appassionato204, a tal proposito, queste sono alcune ottave (dalla diciasettesima alla ventunesima) improvvisate a Decimoputzu, nell'anno 1989, in occasione della festa di San Basilio, durante la discussione del tema Parte de Suta (Parte Inferiore del corpo umano), Parte de Susu (Parte Superiore del corpo umano), Mura impersonava sa Parte de Sutta (Parte Inferiore), Masala sa Parte de Susu (Parte Superiore): Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Ma tue puru in fatu meu pone po ch’essat pius bella e prus cumprida ca de totu che cheret in sa vida, no est solu una mia impressione: da chi ponen in campu unu pallone chi si devet giogare una paltida in vintiduos currinde s’isfogan est cun sos pes chi curren e chi jogan.

Ma anche tu seguimi affinchè [l'ottava] esca più bella e completa perché nella vita ci vuole di tutto, non è solo una mia impressione: quando mettono in campo un pallone che bisogna giocare una partita si sfogano correndo in ventidue ed è con i piedi che corrono e giocano.

Mariu Masala:

Mariu Masala:

Cussu capitat in tempus de oe ca podet capitare totucantu cantu li dan importantzia e bantu, ma in sa festa de s’otantanoe, Mura, cantamos pro Basili santu ch’ incoronadu l’an che un’eroe però est santu li faghen sa festa ma sa corona la jughet in testa.

Quello succede ai tempi d'oggi visto che può capitare di tutto gli danno importanza e vanto, ma nella festa dell'Ottantanove, Mura, cantiamo per Basilio il santo l'hanno incoronato come eroe però è un santo e gli fanno la festa ma la corona la porta in testa.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Ma su pallone ti paret istranu su ’e ch’esser in ateru pensende, invece ’eo bi torro fitianu, dae su campu non che so ’essende:

Ma il pallone ti sembra cosa strana se pensi ad altro, invece io insisto, dal campo non esco:

in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=228843>. 204 Informazione che mi è stata riferita, a voce, da Gavinu Mura, figlio del poeta.

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sos giogadores da chi sun gioghende non tocan su pallone cun sa manu tando cummitin su peus errore e-is’albitru assignat su rigore.

i calciatori quando giocano non toccano il pallone con la mano altrimenti commettono il peggior errore e l'arbitro assegna il rigore.

Mariu Masala:

Mariu Masala:

No mi nde peso comente unu lampu prite so lentu e mi peso pianu tue cun sos pallones fitianu mi che cheres betare in-d-un’istrampu, però bi at un’albitru in su campu chi su pipiriolu l’ada in manu est sempre prontu pro sonare incue cando da chint’in basciu ilbaglias tue.

Non mi alzo come un fulmine perché son lento e mi alzo piano tu insisti con i palloni mi vuoi far cadere in errore, però in campo c'è un arbitro che ha il fischietto in mano è sempre pronto per fischiare là quando dalla vita in giù sbagli tu.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Allì' chi los connosches sos rigores e persuasu mi faghes 'e siguru S’albitru tenet su compitu duru ch’istat atentu a totu sos errores e che sos vintiduos giogadores est currinde in su campu isse puru cun energias chi at de iscorta curret da custa a cudd’atera porta.

Vedi che li conosci i rigori e mi persuadi sicuramente. L'arbitro ha il duro compito di stare attento a tutti gli errori e come i ventidue calciatori corre anch'egli in campo con le energie che ha di scorta corre da questa a quella porta. 205

Frantziscu Mura, a differenza di Masala, componeva più raramente ottave che risultassero comiche, che - come nel caso del collega – suscitassero, spesso, anche la risata da parte del pubblico, egli, più pacato, brillava soprattutto nella discussione de sos temas de sustanzia (temi di sostanza, seri), che affrontava con grande competenza e serietà.206 Questo poeta era estremamente abile nel saper rispondere con versi ricchi e adeguati a qualsiasi concetto o argomento

205 E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296626>. 206 Cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 116.

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l'avversario gli proponesse: senza sviare il discorso (proponendo, magari, al collega altre questioni sulle quali ragionare), aveva la grande capacità di saper ribattere a qualunque cosa gli venisse detta: Marieddu Masala:

Marieddu Masala:

Arrejonamos pianu-pianu in su nostru poéticu duellu: sende ’e s’amore unu frutu novellu bellu che unu lizu in su ’eranu t’aimis dadu unu lumene bellu chi est su ’e su santu assisianu. Però a mie no assimizat che fizu e nemmancu a Frantziscu as assimizu.

Ragioniamo piano piano nel nostro duello in poesia: essendo un frutto novello dell'amore bello come un giglio in primavera ti avevamo dato un bel nome che è quello del santo d'Assisi. Però a me non somigli come figlio e non somigli nemmeno a Francesco.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Deo non so Frantziscu assisianu ma so Frantziscu unu piciocu sardu chi calicunu mi narat testardu ca no ubbido a babbu pili-canu ca issu cheret a colcare tardu e a pesare chito su manzanu. Ma sa friscura efetu feu faghet e a mie bos giuro no piaghet.

Io non sono Francesco d'Assisi ma sono Francesco un ragazzo sardo che qualcuno chiama testardo perché non ubbidisco a mio padre canuto lui vuole che io vada a letto tardi e mi alzi presto al mattino. Ma il freschetto fa un brutto effetto e vi giuro che a me non piace. 207

Marieddu Masala:

Marieddu Masala:

Ma un’àter’otada a s’ispensada la canto a tie e a sa zente unida ca sa cadrea no l’as comporada e mancu da nisciunu l’as pedida: dae Silanos no ti l’as batida, istanote in Seui ti l’an dada. E cando no ti lassan a sa rea est un’onore a ti dare sa cadrea.

Ma un'altra ottava senza pensarci troppo la canto a te e alla gente riunita perché la sedia non l'hai comprata e non l'hai neanche chiesta a nessuno: non l'hai portata da Silanus, stanotte te l'hanno data a Seui. E quando non ti fanno restare in piedi è un'onore che ti diano la sedia.

207 Ottave (quarta e quinta) cantate da M. Masala (Babbu a s'antiga, Padre arretrato) e F. Mura (Fizzu Modernu, Figlio Moderno), ad Atzara, nell'anno 1992, in occasione della festa di Nostra Signora. E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296822>.

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Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

O Màsala, a t’intender mi recreo ma non ti lasso ’e risposta dejunu. Ja ch’at una cadrea e mi bi seo a su momentu giustu e oportunu: si no mi l’apo comporada deo cussa l’at comporada un’àterunu. E si nd’as s’importàntzia cumpresu: po la leare cantu bi at ispesu?

O Masala, mi rallegro a sentirti ma non ti lascio privo di risposta. C'è una sedia e mi ci siedo al momento giusto e opportuno: se non l'ho comprata io quella l'ha comprata qualcun'altro. E se ne hai capito l'importanza: per comprarla quanto ha speso? 208

Anche quando il collega alimentava la discussione attraverso citazioni dotte su vari campi (religione, letteratura, storia ecc.), egli non si faceva mai trovare impreparato e rispondeva dando dimostrazione di avere una cultura enciclopedica: Marieddu Masala:

Marieddu Masala:

Ma tue ses, Frantziscu, a cuddas alas s’a Dante pro esempiu lu pones pro chi cantadu at sas borgias malas e de su Pulgadoriu sos girones. Pro pigare a su chelu sas iscalas: ma sun immaginarias visiones. E una bella poesia det descrìere sena tocare nudda e sena ‘ìere.

Ma tu sei da quelle parti, Francesco se prendi Dante come esempio visto che ha cantato le brutte bolge e del Purgatorio i gironi. Per salire al cielo le scale: ma sono visioni immaginarie. E ha dovuto scrivere una bella poesia senza toccare né vedere nulla.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

In cantu a Dante in cue ja ti abbales: de sos poetas sa prima figura. Ma deo puru apo dadu signales, Mariu Màsala, la tenzas sigura: ca Firenze l’at dadu sos natales e in Ravenna che at sa sepoltura chi nd’est a connoschentzia sa zente est una realtade veramente.

In quanto a Dante ti avvali di quello: il primo tra i poeti. Ma anche io ho dato segnali, Mario Masala, stai sicuro: Firenze gli ha dato i natali e a Ravenna è stato sepolto che ne sia a conoscenza la gente è una realtà veramente. 209

208 Ottave (sesta e settima) cantate da M. Masala (Onore) e F. Mura (Dinari, Denaro), a Seui, nell'anno 1992, in occasione della Festa de sa Montagna. E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.phpxsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=29 6456>. 209 Ottave (ventesima e ventunesima) cantate da M. Masala (Fantasia) e F. Mura (Realtade), a Norbello, nell'anno 1998, in occasione della festa in onore di Santa

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Marieddu Masala:

Marieddu Masala:

Si torramos a épocas passadas beni cun megus, non sias fiacu. Ammentatinde chi Caiu Graccu sas legges no emanat in debbadas: lìbberat s’ischiavu e su teracu e dividit sas terras balanzadas. Antigamente in Roma latina custa jamada fit legge Licina.

Se torniamo a epoche antiche vieni con me, non essere reticente. Ricordati che Caio Gracco non ha emanato le leggi invano: libera lo schiavo e il servo e divide le terre conquistate. Anticamente nella Roma latina questa era chiamata legge Licina.

Frantziscu Mura:

Frantziscu Mura:

Si passas a s’istória ’e Gragu, forsis cheres raggiungher un’iscopu. An tentu tzeltosunos su disvagu cando l’at cussa legge fatu atopu: m’a chie terra nd’at tocadu pagu e a chie tocadu nde li at tropu. Duncas male sa terra l’an sestada sende sa legge chi fit isbagliada.

Se passi alla storia di Gracco, forse vuoi raggiungere uno scopo. Alcuni hanno avuto piacere quando hanno fatto quella legge: me c'è a chi è toccato poco e a chi invece è toccato troppo. Dunque male hanno diviso la terra essendo sbagliata la legge. 210

Frantziscu Mura, sul palco, appariva serio e austero, cantava tenendo le braccia divaricate e posando entrambe le mani sul tavolo o sul piano d'appoggio presente, solo raramente accompagnava i versi con dei movimenti minimi degli gli arti superiori. Egli cantava a trazzu lenu (con ritmo non tanto veloce), più lentamente rispetto al collega Masala, a differenza di quest'ultimo, inoltre, qualche volta, pronunciava (o utilizzava) parole nella sua lingua naturale, il silanese, discostandosi dalla

Giuditta. E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=296696>. 210 Ottave (sedicesima e diciasettesima) cantate da M. Masala (Leze, Legge) e M. Mura (Fora 'e Leze, Fuori Legge), a Villaputzu, nell'anno 1981, per la festa dell'Unità. E' possibile ascoltare integralmente la gara in versione mp3 o leggere i versi dei poeti nel documento in versione pdf sul sito Sardegna Digital Library, link risorsa: <www.sardegnadigitallibrary.it/index.php? xsl=626&s=17&v=9&c=4462&id=228527>.

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variante logudorese della lingua sarda. Egli, a meno che non fosse strettamente necessario, cercava sempre di non adoperare rime in “are” e “adu”, considerate troppo semplici, preferendo invece rime maggiormente musicali e meno consuete.211 Pare che questa abitudine l'avesse ereditata dal poeta di Buddusò Barore Tucone, che «no rimaiat mai in are ne in adu ca li pariat una 'irgonza: robba 'e poeteddos de zilleri»212. La vera particolarità di Frantziscu Mura era la sua voce, oltre ad avere il dono dell'ispirazione poetica era, infatti, dotato di una voce straordinaria. Si trattava di una voce potente e carica di sentimento, sempre in perfetta armonia con il coro di accompagnamento di mesa 'oghe, bassu e contra perché era una 'oghe tenorosa (voce da tenore), assolutamente adatta a ricoprire il ruolo di boghe nel canto a tenore. Oltre che poeta, si può dire che Mura fosse anche un cantadore (cantante) eccellente, questo, certamente, gli permetteva di comporre versi bellissimi, non solo per come venivano formulati attraverso le parole, ma anche perché li rendeva più piacevoli all'ascolto per il modo nel quale li cantava. Grazie alle sue qualità vocali egli collaborò, nel ruolo di Boghe, con alcuni tenores di Silanus: il Tenore Montarbu e il Tenore Santa Sarbana “Battista Morittu”, in particolare, cantò a tenore un sonetto composto da lui nel 1979 per la morte del collega Remundu Piras: Morte, tropu crudele ses istada cun s'Elicona sardu e traitora: ch'as da mesu su rogliu 'ogadu fora sa menzus mente de donos fadada e ti ch'as giutu a s'ultima dimora

Morte, sei stata troppo crudele e traditrice con l'Elicona sardo: hai tolto dal gruppo la miglior mente dotata di doni e hai portato nell'ultima dimora

211 Su questo punto cfr. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 116. 212 Non rimava mai con “are” e “adu” perché lo riteneva motivo di vergogna: abitudine di poetastri da bar. P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 83.

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su geniu 'e sa rima improvvisada. Da chi l'as mortu, pustis de pag'ora penso chi ti nde sias impudada. Como su dannu est fattu e restat gai: no si bi podet ponner pius reparu sudisfata nde sias o pentida. Ma sa fama no podet morrer mai de Piras, su collega pius caru, mancari l'apas leadu sa vida.

il genio della rima improvvisata. Quando l'hai ucciso, dopo poco tempo credo che ti sia pentita. Ora il danno è fatto e resta tale: non c'è rimedio che tu sia soddisfatta o pentita. Ma la fama no può mai morire quella di Piras, il collega più caro, anche se gli hai portato via la vita. 213

Frantziscu Mura muore il 27 Marzo del 1999, all'età di sessantasei anni, dopo quarantasette anni di successo sui palchi sardi. Venne stroncato da un infarto, sul palco, durante una gara che stava disputando a Desulo, insieme al poeta Bruno Agus di Gairo. Nonostante egli non ci sia più, a Silanus, è sempre vivo nel ricordo dei compaesani che vantano con orgoglio di aver dato i natali a una persona che, come lui, ha contribuito a tenere alto il nome e l'onore del paese in Sardegna e nel Continente. Nel 2009, a dieci anni dalla morte, il Comune di Silanus gli ha dedicato una piazzetta affrescata con dei murales che contengono anche due sue poesie, uno dei disegni lo rappresenta durante una gara. Inoltre, nello stesso anno, in sua memoria, su Sotziu Poeticu Silanesu (Associazione Poetica Silanese) a lui intitolato, ha organizzato un concorso di poesia in lingua sarda chiamato “Modas”. Frantziscu Mura, nell'anno della sua morte, aveva collaborato con il Tenore Santa Sarbana “Battista Morittu” di Silanus per la realizzazione dell'album “Vidas” (“Vite”), titolo che proprio lui, quasi profeticamente, aveva suggerito una decina di giorni prima che la morte lo cogliesse. Il disco è stato dedicato al poeta scomparso sia dai membri del Tenore che da Paolo Pillonca, autore dei testi contenuti nell'album.214

213 Il sonetto è riportato da P. Pillonca in P. PILLONCA, Chent'annos..., p. 88. 214 E' possibile leggere la dedica di P. Pillonca intitolata “A Frantziscu” nel sito

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Conclusioni

La poesia estemporanea logudorese, rispetto al passato, è sempre meno seguita, soprattutto da parte dei giovani, i quali non nutrono una forte passione per quest'arte come accadeva una volta. Questo perché il modo di vivere dei ragazzi è cambiato, i passatempi, i divertimenti sono altri, diversi da quelli della gioventù di tanti anni fa, ma un ostacolo che non permette ai giovani d'oggi di apprezzare questo tipo di poesia è anche la mancata conoscenza della lingua sarda: ormai, ad eccezione che in alcuni paesi del centro della Sardegna, i genitori comunicano con i figli esclusivamente in italiano, lingua che viene anche insegnata nelle scuole, il sardo è messo sempre più da parte, così, molti ragazzi si trovano nella condizione di non saper padroneggiare la lingua della propria terra e di non poter, dunque, comprendere e stimare i prodotti letterari espressi in tale lingua.

del Tenore Santa Sarbana, link risorsa: <www.tenore-santasarbanasilanus.it/old/html/a_franziscu.html>.

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Bibliografia

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Sitografia – ENCICLOPEDIA TRECCANI, <www.treccani.it/enciclopedia>.

versione

online:

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PILOSU S., Interviste poeti logudoresi. Montaggio di interviste a poeti professionisti dell'ottava logudorese, anno 2011, consultabile sul sito Incontro Transfrontaliero, link risorsa: <http://www.incontrotransfrontaliero.com/scheda.php? cat=9&id=73>.

Versione in formato mp3 o pdf di numerose gare poetiche consultabile sul sito Sardegna DigitalLibrary, link: <www.sardegnadigitallibrary.it/audio/garepoetiche.html>.

Video della gara poetica disputata a Silanus dai poeti M. Masala, B. Zizi, T. Cappai, il 09/08/2009, consultabile sul 117


sito Incontro Transfrontaliero, link <www.incontrotransfrontaliero.com/scheda.php? cat=9&id=29>. –

Tenore Santa silanus.it>.

Sarbana:

risorsa:

<www.tenore-santasarbana-

– ZEDDA P., La poesia estemporanea in Sardegna, il documento è consultabile sul sito internet della facoltà di Lettere dell'Università degli Studi di Siena al link: <docenti.lett.unisi.it/files/27/7/13/1/>.

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Ringraziamenti

Il lavoro è stato realizzato anche grazie alla collaborazione di alcune persone che, con grande disponibilità e gentilezza, hanno dato informazioni preziose e utili per la buona riuscita dell'elaborato. Un grazie va a Tiu Marieddu Masala, la chiacchierata che ho potuto fare con lui mi ha permesso di comprendere più a fondo i meccanismi della poesia improvvisata e di venire a conoscenza di aneddoti interessanti e anche divertenti riguardanti se stesso e i colleghi poeti. Grazie a Gavinu Mura, il figlio di Tiu Frantziscu, perché attraverso quello che mi ha raccontato su suo padre, con tante curiosità interessanti, ha fatto in modo che potessi conoscerlo meglio, non avendo avuto la possibilità di incontrarlo personalmente a causa della prematura scomparsa. Grazie ad Alessandro, mio cugino, poeta dilettante e grande appassionato, perché, gentilmente, si è preoccupato di fornirmi materiale e dati utili, nonchè indispensabili consigli e indicazioni da intenditore.

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