il bacio del lago, Sunny Valerio, giallo

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In uscita il 30/4/2018 (1 , 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine aprile e inizio maggio 2018 ( ,99 euro)

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SUNNY VALERIO

IL BACIO DEL LAGO

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni

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IL BACIO DEL LAGO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-199-0 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Aprile 2018 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


Ad Angelina, donna senza tempo.


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«Hai preso tutto Roberto?» ripeté per la seconda volta Eva, intenta a infagottare la piccola bimba dai boccoli rosso Tiziano. Una volta convinta che l’aria non avrebbe mai oltrepassato la spessa armatura di stoffa, prese il visetto serio e rosato della sua bimba e le pose un bacio sulla guancia. Brigitte era troppo taciturna e tranquilla per opporsi a quell’opprimente rituale che ogni giorno, per tutta la lunga stagione invernale, si ripeteva estenuante, nonostante le giornate mostrassero il primo tiepido tepore che precede la primavera. «Allora?» continuò la giovane donna che ancora non aveva ricevuto una risposta esaustiva dal marito. «Sì, ho preso tutto. Possiamo andare» rispose quasi polemico Roberto. Eva, stizzita per il tono del marito, socchiuse gli occhi e indurì le morbide labbra rosa ciclamino, sottolineando la disapprovazione che provava. Completò l’operazione di “ermetizzazione” su Brigitte infilandole un cappellino verde menta con paraorecchie incorporato. I due simpatici pompon bianchi furono la magra consolazione della bambina, che con la manina destra ne mosse uno facendolo dondolare; sorrise impercettibilmente. La giornata era limpida. La sera prima avevano accuratamente controllato le previsioni meteo, assicurandosi che il tempo avrebbe accompagnato senza intoppi la loro gita domenicale al lago di Santa Sofia. La giovane famigliola, salita sulla modesta utilitaria di seconda mano, si avviò verso la destinazione. Non distava molto, giusto il tempo di far vagare lo sguardo ammirando il bellissimo panorama di una natura ancora incontaminata e selvaggia, ma perfettamente ordinata e in sintonia. Roberto sospirò profondamente, rilassato. «Cosa c’è amore?» chiese Eva preoccupata per quel sospiro improvviso. Con la mano cercò le dita del marito, intente a guidare la vettura.


6 «Niente, sono felice che sia domenica e che la nostra bella giornata sia cominciata» rispose sorridendo Roberto. Eva sorrise a sua volta; trovava fondamentali quei momenti di condivisione con la sua amata famiglia. Da un paio d’anni quel posto tranquillo e poco frequentato era divenuto una piacevole tradizione per il tempo libero. Si girò in direzione di Brigitte. «Tutto bene tesoro mio?» si accertò. «Sì mamma» rispose la piccola con una vocina sottile e delicata. Una mandria di mucche interruppe il loro percorso. Brigitte, incuriosita da quel piacevole incontro, si sporse in avanti, le movenze un po’ impacciate da quell’abbigliamento a prova di era glaciale. «Mamma guarda! Che belle, possiamo guardarle da vicino?» «No tesoro, perché non si scende dalla macchina fin quando non siamo arrivati al lago. Non sappiamo se poi si arrabbiano queste mucche, se andiamo loro vicini…» provò a spiegare la mamma. Delusa, Brigitte si accontentò di ammirarle da dietro al parabrezza, con la boccuccia lievemente socchiusa e gli occhi sgranati che cercavano di recuperare ciò che non poteva fare toccandole. La mamma, intenerita da quell’espressione angelica e innocente, le sfiorò con l’indice il nasino all’insù. Pensò che lei da bambina non si sarebbe arresa alla giustificazione che aveva dato a sua figlia, e ammirò il carattere tranquillo e mansueto della piccola. I grandi occhi verdi, frangiati da un ventaglio di ciglia chiare, li aveva ereditati da lei, mentre i capelli rossi erano una prerogativa della famiglia di suo marito, anche se lui aveva una folta chioma corvina. Rappresentava l’esatta immagine di come l’aveva tanto immaginata durante tutta la gravidanza, anche prima di conoscerne il sesso. Sentiva che sarebbe stata una femminuccia. Vivevano in una piccola casetta indipendente, leggermente isolata dal centro abitato del paesino di montagna in cui lavoravano: Cadria. La loro accogliente abitazione sembrava uscita da una cartolina natalizia, di quelle che si mandano per gli auguri accompagnando i doni: una struttura a due piani con graziose finestrelle bianche, un porticato in legno, il tetto spiovente e il comignolo del camino sempre fumante da ottobre ad aprile. Il giardino d’estate era rivestito di un brillante verde sempre ben curato, punteggiato casualmente da fiorellini spontanei; la siepe intorno ne delineava il perimetro e da alcuni anni avevano piantato degli abeti che


7 cominciavano a essere di notevoli dimensioni, dando carattere all’insieme. Lo spettacolo cambiava colore durante la stagione fredda. Una bianca coperta soffice e immacolata abbracciava tutto ciò su cui riusciva a posarsi, salvo il vialetto che veniva spalato abitualmente. Il resto manteneva quell’aria onirica e fiabesca che solo la neve è in grado di regalare ai paesaggi e alla natura, e il loro giardino non faceva eccezione. Quella casa solitaria in mezzo a tanta bellezza rappresentava un sogno realizzato per la giovane famigliola. Roberto, agente della forestale, aveva proseguito la tradizione di famiglia. Ben tre fratelli erano suoi colleghi e quindi necessariamente la loro vita aveva preso anima in quel paesaggio compreso a fondo da pochi, lontano dalle grandi città e dalla frenesia che le caratterizza. Eva però ne era stata felice. La sua famiglia aveva tutt’altra origine; radicata sulle sponde marine, il mondo che aveva vissuto era l’esatto opposto di quello sereno e silenzioso della montagna. Eppure non aveva faticato ad ambientarsi una volta sposato Roberto. Lavorava come maestra di scuola primaria insegnando italiano, storia e geografia. Quando poi nacque Brigitte, sentì di avere avuto tutto ciò che potesse desiderare. Avvertiva il piacere della perfezione che passo dopo passo aveva messo piede nella sua vita. Ogni giorno ringraziava per essere così fortunata e nella sua dimensione perfetta godeva appieno i bei momenti che l’accompagnavano. *** Raggiunto il lago di Santa Sofia, quasi del tutto libero dal ghiaccio col sopraggiungere delle prime tiepide giornate di marzo, gli occhi furono invasi dalla bellezza. Il sole rifletteva i suoi raggi sulle quiete acque verdi-azzurre, che non perdevano occasione di brillare. Alcuni uccellini cantavano allegri i loro richiami, e Brigitte ammirava il lago racchiuso da un abbraccio di alberi e natura incontaminata. In varie misure, tutti i membri del trio rinsavivano ogni volta che vivevano il loro tempo in quel posto. Vederlo in tutte le fasi dell’anno rappresentava poi il cambiamento, la mutazione temporale che spinge a tornare in un luogo, osservare i suoi


8 progressi e le sue metamorfosi durante le stagioni, trasformazioni che si ripetono ciclicamente simili ma mai identiche. Le belle giornate andavano via via avviandosi, l’inverno non era stato molto rigido, ma nonostante ciò neve e ghiaccio non erano mancati all’appello. Dalla volta precedente il paesaggio del lago aveva cambiato ancora faccia, mostrando un nuovo bel vestito ai suoi visitatori, come se si fosse preparato per loro. Non parlavano molto quando erano lì. Tirarono fuori dal retro dell’auto le sdraio che per comodità Eva insisteva a portarsi dietro tutte le volte. “Ho bisogno di rilassarmi Roberto!” diceva ogni volta che il marito le caricava in macchina con aria torva. “Non mi pare che quando ci stai su ti dispiaccia tanto…” polemizzava come solo le donne sanno fare. Un bel libro, un termos pieno di cioccolata calda, un ciambellone ai frutti rossi preparato la mattina presto, e la domenica al lago poteva avere inizio. Brigitte aveva scelto di portare con sé la sua bambola preferita, quella con il vestitino a righe strette bianche e celestine, e una palla per giocare con il suo adorato papà. Eva non perse tempo, si immedesimò subito nel suo momento REM. Afferrò il romanzo cominciato durante le sere precedenti e lasciò che Roberto e Brigitte giocassero sereni alle sue spalle. A guardarli, il lago. *** Quando Eva si svegliò dal sonno ristoratore sotto al cielo limpido e luminoso, con l’aria frizzantina che le pizzicava le guance scoperte, la prima cosa che vide fu l’acqua serena, con il suo ritmico suono che riempiva la mente e gli occhi. Distolse lo sguardo, si voltò in cerca di Brigitte e Roberto, non li vide. Più vigile osservò meglio e in più direzioni, ma di loro nessuna traccia. “Si saranno allontanati per una passeggiata.” concluse. Passò circa un’ora, che trascorse leggendo e ascoltando la vitalità della natura. Roberto e Brigitte non si decidevano a far ritorno da lei. Stizzita, si alzò e prese a camminare sull’erba umida e profumata. Erano le uniche persone a godere di quel posto meraviglioso, nessuno a parte loro vagava su quelle sponde e fra quegli alberi. L’unica testimonianza


9 umana era una piccola casetta in legno che pareva disabitata da un po’, a giudicare dell’aspetto desolato e triste. Eva cominciò a chiamare ad alta voce la sua famiglia. Chiamava e girava addentrandosi persino nei meandri della boscaglia che circondava il lago, ma di loro nessun segno. «Eva!» sentì finalmente chiamare. Si girò di scatto e scorse la figura slanciata di suo marito. Sorrise provando sollievo, ma in una frazione di secondo realizzò che accanto a lui non c’era la bambina. Non ebbe la pazienza di raggiungerlo, lanciò la voce correndogli incontro. «Dov’è Brigitte?!» Si rese conto dell’angoscia che attraversava il viso di Roberto. Non poté che provare un vuoto allo stomaco. *** Sparita. La loro bambina era sparita. Eva in preda allo shock aveva vagato tutto il tempo dopo aver appreso la terribile notizia dal marito. La cercava senza sosta chiamandola a squarciagola, fino a sentire la voce diventare afona. Scesa la notte nulla poté impedirle di continuare a vagare piangendo stremata con il nome di sua figlia bloccato in gola. Il gelo fu il compagno delle ricerche sfrenate da parte della polizia e dei forestali, colleghi di suo marito. Furono giorni di ricerche estenuanti, irrefrenabili. Per settimane setacciarono l’intera zona; burroni, scarpate, spingendosi anche oltre il raggio in cui era stata avvistata l’ultima volta. I sommozzatori perlustrarono il fondo del lago, ma nessun corpo fu rinvenuto. Sembrava essere sparita nel nulla. Il padre testimoniò di averne perso le tracce mentre giocavano a nascondino. Dopo venti giorni senza Brigitte, la vita della sua famiglia era distrutta per sempre.


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Venti anni dopo. Quel bisogno di abbandonare tutto e tutti, andare via, dove niente e nessuno avrebbe mai potuto infangare la sua vita. Anja aveva sbagliato ogni cosa. Aveva permesso ad altri di scegliere per sé, sempre e comunque. Non era stata in grado di prendere in mano la situazione, decidere del suo futuro, interpretarne le opportunità. In fondo non poteva dare la colpa solo alla sua famiglia, perché una scelta l’aveva fatta: dar loro carta bianca. Cosa studiare, dove andare, per cosa era più predisposta e cosa le poteva occorrere per una carriera brillante. Ma quella vita da bambolina sballottata ovunque, sempre in virtù del “è per il tuo bene tesoro…” ormai aveva rotto gli argini della sua traboccante sopportazione. Aveva bisogno di conoscere se stessa, pensare, scavare dentro alla sua personalità; non aveva più la forza di continuare a sentirsi guardare dall’alto verso il basso. A cominciare da suo fratello, il figlio dei grandi successi. «Perché non raggiungi tuo fratello tesoro. Sono sicura che ti potrà aiutare a trovare un lavoro, con tutte le conoscenze che ha» fu l’ultimo disperato tentativo di manipolazione di sua madre. «No. Non intendo andare da nessuna parte che non sia voluta da me» aveva obiettato per la prima volta in ventidue anni di remissione, tanto da far affiorare sul volto della donna un’espressione basita e sconcertata. Anja non aveva mai pensato di essere in grado di contraddirla. Ma forse era arrivato il momento di riflettere: per cosa si sentiva in grado? Voleva trovare uno scopo. ***


11 «Come sarebbe a dire “vado a lavorare in una famiglia come dama di compagnia”? Cosa siamo nel medioevo?» aveva esordito Bruno, il padre di Anja, alla notizia del suo nuovo lavoro. «Sì, hai capito bene. Infermieristica non è per me. Penso che dopo tre anni di studi inutili tu te ne sia accorto papà. Ho bisogno di andare via da casa e fare le mie esperienze. Ho trovato un lavoro, da sola, senza che nessuno mi abbia aiutata. Potresti anche complimentarti con me» disse Anja, esasperata ma determinata come non mai. Bruno serrò i pugni e ritirò le labbra, Anja temette di sentirsi da un momento all’altro bruciare la guancia, ma non accadde. Temendo una reazione del genere, la madre afferrò delicatamente il braccio del marito e cercò di farla ragionare al posto suo. «Ma non sai chi siano queste persone. Sarai lontana duecento chilometri da casa tua, che futuro speri di costruire andando a fare compagnia a due anziani rincitrulliti? Se vuoi fare la badante puoi farla anche qui, nella tua città. Vediamo insieme cosa potresti studiare; se infermieristica non ti piace, ci sarà qualcos’altro. Ti piaceva così tanto quando hai cominciato! Cosa è successo?» Anja capì che le cose non sarebbero mai cambiate rimanendo lì. Non sapeva bene neanche lei a cosa andasse incontro. Era stata tutta una fatalità. In fila all’edicola, attendeva che il cliente in coda prima di lei scegliesse i sette quotidiani che gli avrebbero raccontato le notizie del giorno in tanti brodi diversi. Le serviva un semplice biglietto dell’autobus, ed era anche piuttosto tardi. L’occhio le cadde su un giornale di annunci appeso a un filo di spago teso con due pinzette metalliche, dove altre riviste giacevano sospese in mostra. Forse il verde sgargiante dei titoli, i caratteri fitti di tutti quelli che avevano voluto far scrivere le caratteristiche delle persone che cercavano, fatto sta che la sua mano decise per lei; se non erano i suoi genitori, era il suo corpo. Lo sganciò e puntò l’attenzione nel preciso punto in cui lesse: Cercasi ragazza tra i 20 e i 25 anni per ruolo di compagnia in rispettabile famiglia. Previsto vitto alloggio e modesto compenso mensile. Non ci pensò due volte, afferrò il cellulare e digitò il numero di telefono fisso riportato insieme a quelle due righe. Prima ancora del primo squillo, sentì gridare:


12 «Signorina ma dove va senza pagare?» L’edicolante uscì fuori dal suo chiosco inseguendola. Incapace di spiegare che non aveva intenzione di rubare il giornale di annunci, abbassò il telefono e glielo restituì; l’uomo si allontanò furente dopo averlo afferrato con poca cortesia. Intanto l’altro cliente, prima in fila davanti a lei, la guardava sprezzante. “Questi giovani di oggi; tutti ladri, drogati e maleducati”, sembrava volesse urlarle. Abbassando la testa si allontanò, e avviò nuovamente la chiamata al numero dell’annuncio. Una voce maschile pacata e matura le rispose. «Pronto, salve. Ho letto un annuncio in cui cercate una ragazza per compagnia. Vorrei propormi…» si presentò Anja impacciata. Dall’altra parte la voce si prese del tempo per pensare, un paio di secondi, il tempo di intuire che persona avesse al telefono. «Sì, io sono Roberto, piacere. Tu ti chiami?» chiese l’uomo. «Anja. Mi chiamo Anja» rispose sempre più impacciata. «Anja. Noi cerchiamo una ragazza tranquilla, di buona compagnia, pulita ed educata. Mia moglie non sta bene e ha bisogno di una persona che le stia vicina durante il giorno quando io non ci sono. La paga non è altissima, ma è previsto vitto e alloggio. Tu sai cucinare? Quanti anni hai?» disse la voce al telefono. Parlarono per dieci minuti, e alla fine entrambi si accordarono. Avrebbe fatto dieci giorni di prova retribuita. Anja si stupì di aver dato consenso a un estraneo, accettando un lavoro alla cieca senza prima parlarne con i propri genitori; ma in fondo non era quello che voleva? L’indipendenza di scegliere per sé. Decise che quell’avventura l’avrebbe aiutata a crescere e a schiarire le idee. Aveva un lavoro. Il posto in cui sarebbe andata era in montagna. Nonostante non distasse tantissimo da casa sua, era comunque diverso dalla città a cui era abituata, e non ci era mai stata prima. L’estate appena cominciata avrebbe agevolato le cose, non c’era la necessità di acquistare abbigliamento adatto alla neve per il momento. Quando fu tutto pronto per la partenza, in mano il biglietto dell’autobus che l’avrebbe portata a Cadria, il padre si rifiutò di accompagnarla al terminal dei pullman. La madre con gli occhi bassi non fece niente per aiutarla.


13 «Sei una delusione Anja. Va’ da sola a buttare il tuo futuro nel cesso!» fu il saluto della sua famiglia. Partì. Il viaggio sarebbe stato piacevole se non fosse stato per i tanti pensieri che la tormentavano. Timorosa di affrontare una nuova realtà, l’incognita del suo futuro. “Forse hanno ragione, sto sbagliando a partire” pensò Anja. Ma ormai era troppo tardi; l’autobus si era fermato al capolinea di Cadria dove avrebbe trovato Roberto, il marito della donna per cui avrebbe lavorato. *** “L’aria è diversa” fu la prima cosa che constatò non appena il suo piede fu saldo sul cordolo della fermata. Sola, con le sue forze come unica risorsa, era intenta a trovare il coraggio di non scappare via a gambe levate con la prossima corriera, ma una voce smontò ogni piano di fuga che attraversò la sua giovane mente. «Sei tu Anja?» Un uomo sulla cinquantina le sorrideva affabile. Era di bell’aspetto, non assomigliava per nulla a suo padre: vecchio, in sovrappeso e con pochi capelli. Roberto non lasciava all’immaginazione quanto doveva essere stato affascinante da ragazzo. Alto, capelli neri che cominciavano a farsi brizzolati. Occhi scuri che tendeva a tenere socchiusi, conferendogli un’aria alquanto impenetrabile. Labbra sottili con su stampato un sorriso impacciato ma accogliente. Portava la divisa da agente della forestale; gli stava proprio bene, concluse Anja mentalmente. Anche Roberto doveva averla scrutata a fondo, perché nonostante fosse in attesa di ricevere una risposta, lasciò che i tempi avessero modo di spiegare l’un l’altra chi fossero. «Sei proprio come ti avevo immaginata» disse Roberto andandole incontro con la mano aperta per stringere la sua e ufficializzare la presentazione. «Sì?» chiese esitante Anja «piacere di conoscerla. Se avessi saputo che lavorava avrei preso un autobus più tardi.» Con la stretta robusta dell’uomo Anja sentì quasi dolore alla mano. «Ma no, assolutamente! Ho finito da poco. La macchina è lì.»


14 Puntò con l’indice in direzione della sua Jeep. «Andrei direttamente a casa, ma se ti occorre andare a prendere qualcosa al supermarket ci passiamo strada facendo» propose Roberto. «No grazie, ho tutto con me in valigia» rispose garbatamente Anja. Si avvicinò al suo bagaglio, ma lui l’anticipò aiutandola. In macchina la giovane si sentì in trappola. L’uomo faceva del suo meglio per tranquillizzarla e dimostrarle che non aveva niente da temere con la sua presenza, ma dopotutto era completamente sola con un perfetto estraneo, e le parve di sentire meno ossigeno intorno a lei, con una sensazione di oppressione al petto come conseguenza. Tentò di non darlo a vedere tanto apertamente, forse fu solo grazie a questo pensiero che riacquisì un vago autocontrollo, dopo i primi minuti che il veicolo proseguiva sulla sua rotta. Non aveva riflettuto abbastanza sulla sensazione che avrebbe provato andando in un posto circondata da gente totalmente nuova. L’università che frequentava era nella sua stessa città, l’aveva sempre accompagnata l’idea di essere più povera di esperienze rispetto alle sue coetanee. Roberto, percependo il suo disagio, provò a rompere il ghiaccio tentando di sapere qualcosa in più su di lei. «Ti piace la montagna?» «Non ci sono abituata. Solitamente quando andiamo in vacanza mia madre preme per affittare una casa al mare per l’intera estate, e d’inverno non viaggiamo mai. Però il paesaggio è bellissimo, sono sicura che mi piacerà» concluse Anja fiduciosa. La loro destinazione sembrava distare un po’ dal terminal dell’autobus, così Anja ebbe modo di guardarsi intorno e scrutare quello che per almeno dieci giorni sarebbe stato il suo nuovo ambiente. Avrebbe tanto voluto provare quel senso di familiarità che tranquillizza, che rende sereni. Conoscere ciò che ci circonda è rassicurante. Lei non era mai stata avvezza ai cambiamenti e alle novità, ma se intendeva scoprire la sua personalità doveva mettersi alla prova. «Mia moglie non parla molto. La nostra situazione potrà sembrarti particolare. Abbiamo perso nostra figlia vent’anni fa; è scomparsa, non è mai stato ritrovato il suo corpo.» Quelle parole le piombarono addosso pesanti come una valanga. Non aveva informazioni sulla famiglia, sapeva solo che la donna a cui avrebbe fatto compagnia durante le giornate era malata. Il termine malata


15 le aveva fatto pensare a una malattia fisica, non mentale. Solo allora vide i segni di una vita crudele sulle rughe del viso di Roberto. Dopo un paio di minuti Anja ebbe il coraggio di parlare: «Quanti anni aveva?» chiese. L’uomo sorrise tra sé, amareggiato e sconfitto. «Solo tre.» «Mi spiace. Davvero.» Non c’era molto che potesse dire. Non era da lei perdersi in inutili e frivole parole. Ce n’erano poche adatte a descrivere il proprio dispiacere per una circostanza simile. Non poteva neanche immaginare come si potesse sentire la famiglia che aveva perso una figlia. L’unica figlia, apprese dopo. Erano quelle notizie che si sentono distrattamente ai notiziari durante l’ora di cena o che si leggono nelle colonne di cronaca nera dei quotidiani. Ma conoscere di persona qualcuno che avesse provato un dolore simile faceva tutto un altro effetto. «Mia moglie si chiama Eva. Non si è mai ripresa da quel giorno, passa da momenti di lucidità a momenti di allucinazione; ogni tanto crede di sentire e vedere Brigitte. È sotto terapia psichiatrica da tanti anni ormai. Ci vuole una persona paziente e amorevole. Ho cercato una ragazza che avesse più o meno l’età di nostra figlia oggi, se fosse ancora viva, per cercare di darle conforto e rompere la dimensione in cui ogni tanto si rifugia. Non sono certo che sappia bene che sono passati tanti anni ormai.» «Tu sei molto giovane, potrebbe spaventarti la cosa. Ovviamente sei libera di andare via quando vuoi, sarebbe solo utile saperlo qualche giorno prima per organizzarmi. Pensi di farcela?» chiese in ultimo Roberto. Pensava di farcela? E chi lo sapeva. Se avesse potuto sarebbe andata via il giorno stesso, quello era certo.


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La casa che si trovò davanti contrastava enormemente con il peso che si era abbattuto sulla vita di quella famiglia. Con in mano la valigia, Roberto cercò comunque di essere garbato aprendole il cancelletto in legno nel recinto che separava della proprietà dall’esterno. La deliziosa abitazione le parve uscita da una pubblicità di merendine, o da una di quelle fiabe di cui ammirava le immagini da bambina sfogliando grandi tomi. «È bellissima, complimenti» le uscì fuori spontaneamente senza rendersene conto. Dall’esterno nessuna tragedia sembrava opprimere quelle mura. Il giardino appariva curato e allegro, con un grande abete bianco alto almeno trenta metri che primeggiava in quella cornice. Intorno: fiori arancio, stelle alpine, gerani rosa e fucsia e margherite. Sul portico erano state posizionate per la bella stagione due sedie a dondolo bianche, un tavolino e altre sedie in vimini. Lesse sulla targhetta in ottone ossidato il cognome della famiglia: Becchen. Roberto infilò la chiave nella toppa della serratura che si aprì facilmente. E Anja fu dentro alla sua nuova casa. «Roberto sei tu?» domandò una voce incerta. Prima che potessero raggiungerla, fu lei ad andare incontro a Roberto e Anja. «Ciao cara, sei una collega di mio marito?» disse affabile Eva rivolgendosi alla giovane estranea. Il marito precedette la sua risposta, togliendole l’incombenza di presentarsi. «No, lei è Anja. Starà con noi per un po’, ti farà compagnia quando io non ci sono. Ti va tesoro?» le chiese baciandole dolcemente una guancia e prendendole una mano.


17 Eva sembrava più anziana di Roberto. Doveva essere giovane tutto sommato, ma ogni sua piega di dolore del viso pareva aggiungerle dieci anni in più. «Certo tesoro, se va a te!» acconsentì la moglie. Anja non capiva se in quel momento fosse nella fase lucida o nel suo mondo parallelo. Di certo nella tragedia era fortunata ad avere un marito come Roberto, pensò. Si presentò porgendole la mano e cercando di sorriderle gentile e dolce, come immaginava avesse bisogno quella donna il cui cuore era stato ridotto in un cumulo di macerie. «Piacere cara, io sono Eva. Sei una bambina, quanti anni hai?» domandò Eva. «Quasi ventitré signora» rispose Anja. Eva le sorrise. I suoi occhi verdi, un tempo sicuramente i gioielli di quel viso, si strizzarono debolmente tentando di ricreare un sorriso felice; trasudava tristezza anche quando rideva. Anja era davvero incerta se sarebbe riuscita a reggere quella situazione. Intuendo il momento di debolezza, Roberto la invitò a mettersi comoda. Le voleva mostrare la camera in cui avrebbe dormito e che poteva considerarsi sua per quel periodo. La giovane ebbe modo di guardarsi intorno anche all’interno di quell’abitazione da fiaba. L’arredamento in legno dalle linee rustiche confermavano l’aspetto fiabesco che trasmetteva da fuori. Era difficile capire se avessero rinnovato qualcosa negli ultimi anni o se fosse tutto fermo a quando si erano sposati. La tappezzeria era bianca, punteggiata di delicati fiorellini rossi. La cucina bianca con graziose tendine a quadratini e un vaso con fiori freschi posizionato al centro del tavolo con quattro sedie. Anja si innamorò del salotto, che aveva un camino in pietra con un bellissimo quadro appeso sopra di esso. Il quadro ritraeva tre giovani donne vestite di leggiadri abiti bianchi, che prendevano il tè su una terrazza sorridendo affabilmente tra loro. Metteva di buon umore. Il grande tappeto bordeaux, il divano bianco a fiorellini e la poltrona completavano quell’ambiente accogliente; con le fiamme del camino in inverno doveva essere davvero perfetto, immaginò mentalmente la giovane.


18 Ogni finestra aveva deliziose tendine, da cui filtrava debolmente la luce del giorno. La scala in legno portava al piano disopra, dove si trovavano le camere da letto, il bagno e la mansarda. Scoprì subito che la sua camera sarebbe stata quella che un tempo era stata di Brigitte, e ciò la turbò. «Potrei dormire in mansarda se vuole» propose timidamente Anja. «No, non devi preoccuparti; questa stanza sarà molto più utile a te che ai nostri ricordi. In più la mansarda per il momento non è abitabile e non ci sono altre camere. Le lenzuola sono nuove e pulite. Gli asciugamani sono sul letto e se hai bisogno di qualcosa non hai che da chiedere» disse gentilmente Roberto. Dovette arrendersi. Come al solito. *** Stabilirono degli orari in funzione dei turni di Roberto. Anja giunse alla conclusione che avrebbe avuto molto tempo libero. Per muoversi autonomamente poteva usare la bici da donna in garage; Roberto le avrebbe dato un’occhiata prima di fargliela usare. Per quel pomeriggio non doveva preoccuparsi, era libera di sistemarsi e ambientarsi. Avrebbe cominciato l’indomani. «Mangi così poco Anja» osservò Roberto a cena. La ragazza aveva comunque cercato di aiutare a preparare la portata serale e ad apparecchiare. Era un modo per cominciare a muovere i primi passi in quella casa e capirne meglio le abitudini. Niente di strano l’aveva ulteriormente turbata. Si poteva dire una coppia normale a prima vista, se non si osservava con attenzione i loro visi e se li si guardava con uno strato di superficialità parato davanti agli occhi. «Sì non ho molta fame, ma è tutto molto buono» rispose Anja. La stanchezza vinse sul suo giovane corpo. Una stanchezza accumulata per via del viaggio, del cambiamento, delle grandi novità e della realtà in cui era atterrata in modo tanto repentino. Si era così concentrata sul voler lasciare l’università e muoversi con le proprie gambe che ciò che aveva scelto in alternativa agli studi era passato in secondo piano. A quel punto doveva però fronteggiare la sua decisione con le relative conseguenze. Per prima cosa era importante allontanarsi dall’ala dei suoi genitori, che mantenevano il controllo


19 supremo sulla sua vita. Una volta spezzato parte di quel rapporto, era in grado di andare avanti da sola? Decise di provarci. La cena passava da momenti di silenzio a scostanti secondi di dialogo. Sentiva un vuoto in quella casa, un vuoto che lei aveva il compito di riempire con la sua compagnia. Eva la scrutava, studiandola. A tratti sorrideva; Anja non ne comprendeva la ragione, ma forse una logica non c’era. «A Brigitte piace Anja» disse a un certo punto la donna. Il boccone di mela che aveva appena messo in bocca per poco non le andò di traverso. Roberto l’aveva avvertita di quei suoi momenti di confusione, quindi subito si rifece a quella spiegazione e l’affermazione di Eva le parve meno assurda. «Hai ragione tesoro, a Brigitte piacerebbe Anja. Adesso finisci di mangiare il formaggio, noi siamo già alla frutta» rispose Roberto. La dolcezza e la premura che le riservava era paragonabile a quella che avrebbe usato per una bambina. «Va bene. Però a Brigitte piace; ed è d’accordo che dorma nel suo letto» disse ancora Eva. Doveva reputare tutto normale, era stata avvisata. Eppure Anja ebbe i brividi quando la moglie parlò ancora. Se le avesse dato troppo credito non sarebbe durata un solo giorno. «Mi fa piacere Eva. Tratterò con cura la camera di sua figlia, vedrà» rispose assecondando la donna che, soddisfatta di quella affermazione, sorrise e portò alla bocca la forchetta. Roberto le lanciò uno sguardo di approvazione, come a ringraziarla e a confermare che aveva fatto bene a risponderle in quel modo. Finita la cena, sparecchiarono e si prepararono per la notte. «Potresti darmi del tu se vuoi Anja. Mi farebbe piacere se lo facessi» disse Roberto prima di andare a dormire. Anja ci pensò e acconsentì dapprima annuendo. «Grazie mille. Buonanotte.» «Buonanotte Anja.» Si rifugiò in quella stanza sospesa nel tempo. Una camera destinata a un’altra persona. Si addormentò pensando a come la loro vita sarebbe stata diversa se Brigitte non fosse sparita in una giornata di vent’anni prima.


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*** La luce della mattina addolciva le incertezze e le inquietudini del primo giorno. Anja appena sveglia si domandò confusa dove fosse. Niente le era familiare della stanza in cui si trovava, ma quasi contemporaneamente la risposta le giunse limpida. Ributtò la testa sul cuscino, concedendosi ancora un paio di minuti prima di separarsi dal letto. Sbirciò il quadrante dell’orologio al polso. Le lancette, posizionate ben oltre le sue aspettative, le gridarono il suo ritardo. Avrebbe dovuto essere operativa già da mezz’ora. Tirandosi su bruscamente, cercò di ignorare il giramento di testa per i movimenti troppo improvvisi. Stava giusto infilandosi una maglietta, quando qualcuno bussò alla porta. «Buongiorno Anja» la salutò sereno Roberto. Anja provò a capire se fosse infastidito dal ritardo che già dimostrava, promise a se stessa di non farlo più accadere. «Buongiorno Roberto. Mi spiace, non mi è suonata la sveglia. Da domani non succederà più» pronunciò la sua voce rauca e mortificata. La giovane riparava il suo corpo dietro all’anta della porta, lasciando alla vista dell’uomo in divisa solo la testa con la folta chioma riccia ramata totalmente scompigliata. Roberto sorrise impercettibilmente. «Sì lo immaginavo. Per oggi non importa, Eva è con Clarissa giù in cucina a fare colazione. Io sto andando via. Ci vediamo questo pomeriggio» e lasciò Anja nella sua stanza, intenta a prepararsi velocemente. La camera in prestito era ferma in un limbo infantile; le pareti celestine a contrasto con il bianco candido dei mobili in legno, un letto con la testiera in midollino, alti scaffali con bambole e peluche di ogni genere. I libri di favole erano ordinatamente posizionati in fila in senso numerico; gli adesivi fluorescenti al soffitto dovevano aver consolato la bimba nel buio della notte. Sotto alla finestra era stata ricavata una seduta, i cuscini bianchi e celesti con fili argentati intrecciati la rendevano confortevole. In un angolo primeggiava discretamente una meravigliosa casa delle bambole a tre piani. Le sarebbe piaciuto molto aver avuto una stanza come quella, da bambina.


21 Appesi a una bacheca facevano bella mostra i disegni che Brigitte aveva realizzato nella sua breve vita. Le si strinse il cuore. Niente avrebbe potuto portare indietro la sua infanzia rubata, anche se fosse stata ritrovata viva dopo tanti anni. Brigitte sorrideva felice tra i suoi genitori che la reggevano dai polsi facendola dondolare sospesa; tutti i componenti della famiglia ridevano sereni. Anja da quella foto poté osservare la bellezza di Eva vent’anni prima, di Roberto che confermava il suo fascino anche a distanza di così tanto tempo, e della piccola, che era davvero incantevole. Notò molti tratti in comune tra se stessa da bambina e Brigitte. Ricordando quanto fosse tardi non perse ulteriore tempo. Sistemò velocemente il letto e si avviò verso le scale, da cui risuonarono indistinte le voci delle due donne che le fecero accelerare ulteriormente il passo. «Oh ciao!» la salutò cordiale la figura che associò al nome di Clarissa. Leggermente in imbarazzo, conscia di non fare una bella impressione con il suo ritardo e non sapendo che ruolo avesse la donna nella vita di quella famiglia, si presentò educatamente. «Buongiorno Eva» salutò Anja dopo le presentazioni. Eva le sorrise dolcemente. «Roberto mi ha accennato qualcosa di te. Così vieni dalla città…» chiese gentilmente la donna. «Sì, infatti.» Clarissa intuì la sua timidezza e non la costrinse a un estenuante interrogatorio. Aiutava quella famiglia da ormai così tanti anni che si considerava un membro di essa. Era una cugina di secondo grado di Roberto, ma a parte la debole parentela Clarissa sentiva di essere legata a lui e alla moglie da un legame speciale, a maggior ragione dopo la tragedia che li aveva colpiti. Anja cercò di rendersi utile sbrigando un po’ di faccende in casa, ma con Clarissa che aveva già fatto quasi tutto, rimaneva poco a cui poter provvedere; così si spostarono sul portico in legno all’aria aperta. Eva parlò molto meno del giorno prima. Anja osservò come la donna si prendesse cura di lei; le acconciava i capelli dopo averli spazzolati, la truccava leggermente per cercare di conferire a quel volto provato un’aria più salubre, la accarezzava e le parlava dolcemente.


22 Si sorprese della regressione di Eva. “Se ho intenzione di rimanere qui a lavorare, dovrò abituarmici” pensò. Clarissa era una bella donna sulla cinquantina: bionda, con grandi occhi azzurri espressivi, labbra piene e dalle linee dolci. Il suo fisico arrotondato le conferiva un aspetto solido e affidabile, come a conferma della sua presenza stabile nella vita della famiglia Becchen. Faceva tutto con estremo amore e tenerezza, Anja pensò che forse non potesse più prendersi cura di Eva, perché in alternativa non comprendeva la ragione di pagare una ragazza come lei per svolgere gli stessi compiti. «Sono sicura che ti troverai bene qui. Almeno fino a quando non comincerà l’inverno. Il freddo sarà un qualcosa a cui dovrai abituarti, e anche alla solitudine delle montagne. Ma una volta che le comprenderai non ti sembrerà così dimenticato da Dio questo posto, solo silenzioso» esordì a un certo punto Clarissa. Poi continuò: «Come mai una ragazza bella come te ha cercato un lavoro del genere?» chiese con leggerezza e disinvoltura. Anja trovava fosse una persona piacevole, nonostante la timidezza ponesse dei limiti alla sua loquacità. «Diciamo che ho bisogno di tempo per capire cosa voglio fare davvero. Questo lavoro mi è piovuto addosso e ho pensato che ricominciare in un luogo diverso da casa mia sarebbe stato il modo migliore per riprendere la vita in mano» ammise Anja. «Sì, posso capire. Anche io mi sentivo persa alla tua età; non è mica facile decidere cosa essere da grande. Diciamo che qui non troverai molte opportunità, a meno che tu non voglia una vita fatta di cose semplici. Ma staccare la spina dalla solita routine ti sarà utile» rispose la donna comprensiva. Anja le sorrise, si sentì capita. «Ti consiglio di girare i dintorni quando avrai del tempo libero, ci sono scorci davvero meravigliosi. Sai, ho un figlio della tua età, magari un giorno potreste conoscervi e fare amicizia» propose Clarissa. «Hai controllato Brigitte? Non la vedo da un po’. È su che dorme?» chiese a un certo punto Eva. Anja si stranì a quella domanda. Invece notò la disinvoltura con cui l’altra donna la rassicurò, spiegandole che fosse tutto a posto. Vide il viso di Eva rilassarsi.


23 Quando furono dentro, Anja trovò il coraggio di porgere a Clarissa una domanda. «Ma non sarebbe più giusto dirle la verità? Perché illuderla?» Clarissa sorrise dolcemente. «È quello che abbiamo provato per i primi anni, ma non ha mai accettato la cosa. Si è rifugiata nel suo mondo. È l’unico modo che ha trovato per sopravvivere. Anch’io pensavo come te che la verità fosse la soluzione più giusta, che prima o poi avrebbe preso consapevolezza e con il tempo dalla sua parte sarebbe riuscita a reagire, ma Eva non è stata molto forte. D’altronde come biasimarla? Il dolore per la perdita di una figlia è imparagonabile a qualsiasi sofferenza.» «Tu Anja sii dolce con lei e assecondala, è l’unico modo per rasserenarla. Non ti spaventare quando la vedrai piangere e disperarsi, la sua mente attraversa momenti bui in cui rivive il giorno in cui la piccola è scomparsa. Non è una situazione facile, e mi verrebbe da consigliarti di trovare un altro lavoro, ma se deciderai di rimanere imparerai da sola cosa è più giusto fare quando sei con lei.» Anja annuì debolmente. Le sembrava tutto più grande rispetto alle sue forze. Era sempre in tempo per andare via, si consolò.


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4

Roberto baciò dolcemente la fronte di Eva. «Com’è andata oggi tesoro mio?» Anja invidiò e ammirò l’amore che ogni giorno dedicava a sua moglie, nonostante la crudeltà della vita. Eva si illuminò al suo arrivo e gli strinse la mano. «Tutto bene, oggi sono stata con Clarissa e Anja. Brigitte è su che dorme» rispose. «Bene tesoro» l’uomo spostò la sua attenzione «e tu Anja? Com’è stata questa prima giornata?» chiese guardandola dritta negli occhi, con le labbra disegnate da un caldo sorriso. La giovane, che aveva cominciato a essere a proprio agio grazie a Clarissa, con la presenza di Roberto si sentì nuovamente insicura. Fu assalita dall’imbarazzo e allo stesso tempo si sentì felice vedendolo rientrare. «Bene, mi è stata d’aiuto Clarissa! Conosce tutto di questa casa e mi sarà più facile lavorare senza combinare guai.» Si pentì immediatamente di quelle parole. L’impressione che trasmetteva continuava a essere poco professionale. Strappò un sorriso all’uomo, conscio delle sensazioni della giovane. Anja si ripromise ancora una volta di tenere a freno la lingua. «Vedrai che te la caverai benissimo. Poi trovo che a Eva sei molto simpatica e questo è fondamentale. Clarissa ci è stata di enorme aiuto per tanti anni, è normale che sappia come muoversi; imparerai anche tu se vorrai rimanere.» Anja fu grata per la gentilezza con cui l’uomo la trattava. I suoi tratti le cominciavano e diventare familiari. Durante la giornata si era ritrovata spesso a rimettere insieme i pezzi di quella figura maschile così affascinante, cercando di ricordarne i particolari, e avendolo di fronte si rendeva conto che era ancor meglio che nella sua mente. «La camera è comoda? Hai dormito bene?» chiese Roberto osservando i tratti pensierosi della ragazza.


25 Anja, che in quella stanza si sentiva un’intrusa, non voleva sbilanciarsi ancora con commenti che dimostrassero quanto avesse curiosato la mattina prima di scendere. Si limitò ad annuire e a confermare di aver riposato bene, così bene che aveva dormito indisturbata, fino a ritardare. Eva sembrava caduta in uno stato di trance, fissava il vuoto estraniata da tutto. Il marito non pareva dar peso alla cosa, chissà quante volte glielo aveva visto fare. I genitori di Anja non avevano accennato a telefonarle, non si erano sincerati che stesse bene e che fosse arrivata sana e salva in quel nuovo mondo. Lei di rimando non aveva fatto in modo che avessero sue notizie, trovava ingiusto il loro comportamento. Suo fratello, Christian, aveva avuto carta bianca riguardo il suo futuro, non aveva subìto la prepotenza delle decisioni imposte dalla famiglia; sembrava che ogni cosa che gli balzasse in testa assumesse un alone di genialità, anche se il più delle volte Anja trovava fosse solo un parassita nullafacente. In quel periodo il giovane cercava di farsi strada come rappresentante di abbigliamento, il mese prima gli era venuta l’ispirazione rap e passava giornate intere componendo brani orribili di cui andava fiero, mentre mamma e papà provvedevano a pagare l’affitto durante il suo momento artistico. Tre mesi prima si era convinto che avrebbe spaccato come fotomodello, quando a dirla tutta lei lo trovava quasi anonimo e per nulla di bell’aspetto. Christian aveva preso da suo padre: basso e dai lineamenti banali. Come avessero potuto pensare che raggiungere il fratello sarebbe stata la cosa giusta per il suo futuro, rimaneva un mistero agli occhi di Anja. Aveva l’impressione che i suoi genitori in fondo sapessero che il loro figlio maggiore era un inetto. Non lo avrebbero mai ammesso apertamente, né gli sarebbero mai stati contro, ma parallelamente riversavano su di lei tutte le aspettative che il fratello non era riuscito a soddisfare, e di rimando la durezza che sarebbe stata utile con lui cadeva tutta sulle spalle della sorella. “Per lo meno io ho trovato un lavoro che sia pagato!” rifletté amaramente Anja. Come se Roberto le leggesse nel pensiero, le porse una domanda: «I tuoi sanno che stai bene? Immagino che siano in apprensione sapendoti in casa di estranei.»


26 La giovane pensò per un momento di falsare la risposta, ma sentiva di voler sapere cosa ne pensasse Roberto. «In realtà non li ho ancora sentiti. Non l’hanno presa molto bene, ma ho capito che ciò che stavo studiando non faceva per me, così ho pensato che questo lavoro fosse l’inizio di qualcos’altro» ammise senza remore. Anja vide l’uomo riflettere. «Ai loro occhi sarai sempre piccola, è comprensibile che non siano d’accordo; neanche io lo sarei se fossi mia figlia. Però capisco anche il tuo punto di vista; stai cercando la tua strada e penso anche che perdere tempo con un qualcosa che non ti piace non sia la cosa giusta. La vita è troppo breve per sprecarla perseguendo percorsi che già sappiamo non essere adatti a noi,» disse «vedrai che capiranno, lascia che passino un po’ di giorni.» Anja si sentì ancora una volta compresa, quelle parole le avevano riscaldato e consolato il cuore. In fondo ci soffriva molto per la mancanza di interesse da parte della sua famiglia, nonostante covasse della rabbia. Quando raggiunsero le proprie camere per lasciare posto al sonno, si salutarono con un sorriso sincero. Anja si infilò a letto e cercò di leggere un po’ il romanzo che aveva tirato fuori dal bagaglio e riposto sul comodino, poggiato sul quale c’era anche un abatjour in ferro battuto con il paralume in delicata stoffa bianca merlettata. Lesse le prime tre righe della pagina, ma poi si lasciò rapire dalle immagini di quella giornata che le saltellavano in mente vivaci. Il posto le trasmetteva serenità, trovava quella natura circostante così rilassante e piena di personalità; la natura si esprimeva appieno se lasciata libera di farlo. In fondo la città, anche se era stata casa sua sino ad allora, l’aveva sempre fatta sentire in disarmonia con se stessa, non sapendo bene neanche il perché, finché non aveva messo piede a Cadrìa. Si assopì pian piano, abbandonandosi al sonno che permise all’inconscio di prendere il sopravvento. *** Suonava una melodia nella mente di Anja; come la colonna sonora di un film, accompagnava il suo viaggio onirico. Sembrava provenire da un


27 carillon; ne aveva avuto uno anche lei da bambina, e nel sogno una piccola figura infantile dai capelli rossi le teneva la mano stringendola forte. Il buio fitto della notte era attenuato solo dalla flebile luce che la luna donava a quel paesaggio selvaggio e sconosciuto. La bambina si voltò lentamente verso di lei e Anja sentì il viso irrorarsi di lacrime scorgendo la malinconia che attraversava quel bellissimo viso innocente. Con l’altra mano le indicò ciò che avevano di fronte: il lago. Una nube coprì la pallida luna, facendo calare le tenebre senza alcuna pietà per loro. La giovane si svegliò con gli artigli dell’inquietudine addosso. Non le aveva fatto bene osservare tanto il volto di Brigitte prima di coricarsi, aveva finito per suggestionarla. Qualcosa non andava però; la melodia del carillon continuava a vibrare nell’aria, nonostante il sonno avesse lasciato completamente la sua mente. Abituati gli occhi all’oscurità, intravide la sedia a dondolo in fondo alla camera muoversi e cigolare ritmicamente insieme alle note che si domandava da dove provenissero. Il bel tempo del giorno prima era stato sostituito da un forte temporale, la pioggia batteva incalzante sul vetro della finestra e contribuiva a turbare Anja. Quando un lampo illuminò per una frazione di secondo l’intera camera, vide una donna, una figura spettrale, seduta sulla sedia che dondolava indisturbata. Aveva in grembo il carillon dal quale proveniva la sinfonia. Eva cominciò a piangere sommessamente e, ormai totalmente lucida, la ragazza capì che la donna nella sua camera era la madre disperata della piccola Brigitte. Non sapendo esattamente cosa fare, Anja chiamò delicatamente il suo nome: «Eva. Sta’ tranquilla…» disse. Sentì le mani della donna ridare la carica al carillon, che riprese a far vibrare la sua unica melodia. La giovane si sentiva turbata e spaventata. Avrebbe voluto chiamare Roberto, ma era lì per lavorare, non per fare l’ospite. Non poteva continuare a lasciare che fossero gli altri a pensare ai suoi compiti, ed Eva aveva bisogno di lei. Provò ad accendere l’abatjour, timorosa che l’elettricità fosse saltata con il maltempo, ma il debole chiarore illuminò lo scenario che aveva intravisto.


28 Eva era vestita di una camicia da notte color cipria, scalza e con il capo chino coperto in parte dalle ciocche dei capelli liberi. Le sue mani avvinghiavano strette la giostra che girava con i suoi cavalli bianchi, mentre la musica accompagnava il loro volteggiare. Piangeva in silenzio. La ragazza si sentì chiudere lo stomaco. Provò ad avvicinarsi lentamente. «Eva va tutto bene. Ora ci alziamo e andiamo a letto.» Provò a toglierle il carillon per posarlo da dove l’aveva preso, ma quelle mani lo strinsero ancora più forte. «Dov’è la mia bambina?» chiese con un filo di voce Eva. Anja non era ancora pronta per affrontare una simile situazione, ma immaginava, anche se solo vagamente, il tormento di quella madre. Voleva darle sollievo, se sollievo ci poteva essere per lei. Pensò a ciò che le aveva raccomandato Clarissa e provò a metterlo in atto. «La tua bambina sta bene, dorme.» Vide Eva alzare lo sguardo, puntarle addosso gli occhi verdi inquisitori e dar vita a un’espressione di rabbia selvaggia. «Bugiarda! Non sta dormendo. Mi ha detto che voleva stare con te, dove l’hai portata?» rispose rabbiosamente la donna. Anja, spiazzata da quella reazione, ebbe timore che la colpisse. «Non è con me Brigitte, Eva. Andiamo a letto, è tardi. Vedrai che domani mattina andrà tutto meglio» propose dolcemente, reprimendo l’angoscia che cominciava a salirle sempre più velocemente. Eva si levò in piedi e con ancora la giostra fra le mani accennò a scagliarla sul pavimento, ma prima aggiunse: «Brigitte si fidava di te, dove l’hai portata?» Il carillon colpì rovinosamente le assi in legno scuro scricchiolanti, provocando un improvviso schianto che spaventò entrambe. Anja tentò di prenderle un braccio per rassicurarla. Non aveva funzionato la falsa verità che solitamente la consolava. «Vi ho viste, vi tenevate la mano poco fa!» gridò Eva. E i brividi passarono veloci sul corpo di Anja. Roberto fece capolino nella stanza. Il peso sullo stomaco della ragazza si alleggerì improvvisamente. L’uomo prese rapidamente coscienza della situazione e si precipitò verso la moglie, riparando la ragazza. Si girò verso Anja e con aria interrogativa le domandò cosa fosse successo.


29 «È entrata in camera e l’ho trovata qui sulla sedia» provò a giustificarsi la giovane, temendo che la incolpasse di qualcosa. Ma non ce n’era bisogno, Roberto era più interessato a capire cosa avesse turbato Eva. «Tesoro va tutto bene, vieni con me» disse dolcemente il marito. Eva si divincolò e liberò le braccia. Piangeva senza freni. «Che cosa ha fatto alla mia bambina? Che cosa le ha fatto?» si disperava tra le lacrime. Cercarono di consolarla entrambi con pazienza, senza alcun successo. «Questa ragazza le teneva la mano prima! Perché ora è sparita?!» continuò la madre inconsolabile. Roberto, non prendendola troppo sul serio, le racchiuse le mani tra le sue grandi e affidabili, cercando di condurla con l’aiuto di Anja verso la camera matrimoniale. La rimisero a letto e ancora una volta la ragazza osservò il marito accudirla con devozione e pazienza. Le baciava la fronte accarezzandole i capelli, mentre le teneva la mano. Anja non se la sentiva di andare via, quindi aspettò sull’uscio della porta che Roberto le dicesse qualcosa. Quando il pianto si acquietò sommessamente, insieme al sonno che ne prese il posto, l’uomo si voltò verso la giovane ancora un po’ scossa dalla scena. «Mi spiace Anja, era da un po’ che non accadeva in modo così violento» giustificò la situazione. Anja, che temeva potesse dar credito alle parole della moglie, aveva atteso in tutti quei minuti lunghi e lenti una reazione adirata dell’uomo. Era molto scossa, nel suo sogno la bambina le teneva davvero la mano e non si spiegava come la coincidenza potesse aver preso realtà nelle affermazioni di Eva. Solo allora si rese conto che la sua tenuta notturna consisteva in una semplice maglietta bianca, nient’altro le copriva le cosce bianco latte e punteggiate da lentiggini rossicce; in forte imbarazzo cercò il modo di accelerare il suo congedo. «Sono mortificata, spero si riprenda dormendo. Io tornerei in camera se non ti dispiace» e senza attendere la risposta di Roberto, corse al riparo. ***


30 Ritrovare il sonno fu un’impresa per entrambi. Eva, al contrario, dopo il grande stress emotivo si riaddormentò serena, il suo volto non era più segnato dal dolore come lo era stato solo poco prima. Roberto non faceva altro che chiedersi se avesse fatto bene a coinvolgere una ragazza tanto giovane e, soprattutto, inesperta. Le difficoltà erano palesi anche per lui che ci conviveva ogni giorno della sua tormentata vita, nonostante cercasse di alleggerirne le apparenze; a maggior ragione credeva rappresentasse una montagna troppo pesante sulle spalle di Anja, per quanto non volesse fare a meno di lei. La sua sorpresa era stata enorme; quella ragazza era la proiezione futuristica della sua bambina scomparsa. Quando si era convinto, dopo giorni e giorni di ripensamenti, a inserire un annuncio di lavoro in cui cercava una giovane che riempisse la solitudine della sua amata moglie, mai avrebbe immaginato che la vita gli giocasse un simile scherzo. Alla fermata dell’autobus di Cadria, trovarsi davanti quella ragazza spaurita, anch’ella vittima del destino ironico, lo aveva sconvolto. Sentì il cuore accelerare, e si rese conto che perfino per Eva qualcosa era cambiato; le ricordava la loro piccola Brigitte, non in modo conscio come per lui, tuttavia nella sua perduta ragionevolezza una sensazione molto simile aveva fatto capolino. Si chiese cosa fosse successo quella notte; lui non aveva sentito nulla. Eva silenziosamente si era introdotta nella camera di Anja e non era riuscito a impedire che sua moglie manifestasse in modo aggressivo una delle sue allucinazioni, terrorizzando la ragazza. Si convinse che sarebbe andata via l’indomani stesso, e il solo pensiero gli provocava dolore. Non aveva forse già sofferto abbastanza? Non era fin troppo ciò che aveva dovuto passare con la scomparsa di sua figlia e la perdita di sua moglie che, per quanto viva, da quell’orribile giorno di vent’anni prima aveva smesso di essere la donna che amava? Vedere Anja nella camera della loro bambina aveva scatenato in lui una serie di emozioni; riscoprirla vuota significava ricadere nel buio totale, un buio che dopo tanti sforzi era riuscito ad allontanare almeno in parte dalle sue giornate. Lavorare lo aiutava molto, ma non bastava. C’era sempre un pensiero fisso che gli diceva sommessamente quanto sarebbe stato duro tornare a casa, vedere Eva in quello stato, fingere che fosse tutto normale, accudirla come una malata mentale e non farle mai mancare l’amore di


31 cui aveva tanto bisogno. E l’amore di cui aveva bisogno lui? Chi glielo avrebbe dato? Pensò per un momento di andare a sbirciare nella camera di Anja e controllare se fosse ancora sveglia o se fosse riuscita a trovare la serenità persa in quelle ore; ma concluse che avrebbe solo peggiorato le cose se la giovane lo avesse visto. Non voleva spaventarla ulteriormente. Anja, dal canto suo, finì per continuare a tormentarsi in dormiveglia. Sapeva di essere sveglia, ma le continue immagini confuse si mischiavano e sovrapponevano senza un filo logico. Rivide Eva su quella sedia a dondolo in camicia da notte, con la melodia del carillon che si sentiva forte in tutta la casa; Brigitte che le era sempre accanto e la madre che le urlava di lasciarla stare. Il carillon continuava a suonare all’infinito nonostante giacesse distrutto sul pavimento. Provò a sbatterlo ancora per farlo smettere, ma più lo scaraventava per terra, più la sinfonia si amplificava.


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5

L’unica cosa che riuscì a interrompere quell’incubo cosciente fu la sveglia. Anja si sentiva a pezzi, non credeva di potercela fare, ma nonostante tutto si costrinse ad alzarsi. Quando Roberto la vide giù in cucina, già pronta, ma con un’espressione così seria e pensierosa, temette anche solo di dirle “buongiorno”. «Buongiorno Roberto, come sta Eva?» chiese Anja non vedendo la donna. «È ancora su che dorme, tu fa’ pure colazione.» Si voltò verso la porta. «Pensi di andare via?» aggiunse l’uomo non riuscendo a nascondere la sua preoccupazione. Quasi si pentì di averlo chiesto, non era certo di volerlo sapere, preferiva temporeggiare. Vide Anja abbassare lo sguardo e prendere tempo. La ragazza messa davanti a quella domanda chiese a se stessa cosa volesse fare. Come aveva potuto pensare di trovare un lavoro così impegnativo in alternativa allo studio? Si rese conto che la situazione era fin troppo per lei. L’altra faccia della medaglia però le mostrava la panoramica di ciò che l’aspettava a casa sua: anzitutto il fallimento, la ripresa del controllo totale da parte della sua famiglia e una vita di inutilità. Sentiva invece di poter dare un contributo lavorando in quella casa. Decise che avrebbe scelto definitivamente dopo i dieci giorni di prova. «No, se per te va bene resterei ancora qui» disse infine Anja. L’espressione tesa di Roberto si alleggerì d’improvviso. Non credeva che la risposta di una persona conosciuta da neanche tre giorni potesse contare tanto per lui, ma era così. L’inaspettato sollievo spinse l’uomo ad abbracciare la giovane che, spiazzata da quel gesto, rimase impietrita tra le sue braccia. Si separarono. «Grazie Anja» disse senza aggiungere altro. Poi andò via, e la lasciò in attesa che sua moglie si svegliasse e avesse bisogno di lei.


33 Anja sperava nell’arrivo di Clarissa, ma Roberto non le aveva anticipato nulla, quindi non ci contò. Sentiva il bisogno di una figura amichevole diversa dall’ uomo, voleva confrontarsi e chiedere consiglio. L’essere stata abbracciata da Roberto, sentire il suo contatto, l’odore fresco e maschile che emanava il suo corpo, non le permise di rispondere alla stretta, troppo presa dalla voragine di sensazioni nuove e contrastanti. La sorpresa la colpì. Non si aspettava certo contentezza per la sua permanenza; al contrario, temeva che lui potesse dar credito alle parole confuse della moglie. Un sorriso sorgeva sulle labbra di Anja ogni volta che spingeva la mente a rievocarne il ricordo vivo. Anja aveva voglia di esplorare i dintorni in solitaria, ma temendo che Eva si svegliasse e si ritrovasse sola, placò la sua curiosità. Così si accontentò di prendere un po’ d’aria nel giardino da sogno che circondava la proprietà. La donna dopo un lungo riposo scese al piano inferiore e salutò la giovane. Aveva già pensato lei a vestirsi. Roberto le aveva accennato che c’erano giorni in cui il tempo le passava tranquillo e risultava più indipendente, e altri invece in cui richiedeva l’attenzione in tutto e per tutto. La sorprese che dopo una nottata come quella appena trascorsa la sua mente le permettesse di mantenere un alone di normalità, si aspettava una donna più turbata e provata. «Buongiorno Eva, come stai? Dormito bene?» provò a chiedere Anja. Eva le sorrise dolcemente e dopo un lungo sospiro le disse: «Sì grazie, ho riposato proprio tanto oggi. Tu stai bene?» chiese la donna. La giovane si sentì spiazzata da quel cambio di atteggiamento, appariva infatti quasi più cosciente dei giorni precedenti. «Sì sto bene, è una bellissima giornata» rispose Anja sorridendole dolcemente. Eva socchiuse gli occhi e parve inspirare a fondo l’aria profumata estiva che aveva ancora l’odore della pioggia notturna, intrecciata nell’erba e posata sulle foglie degli alberi. Riaprì gli occhi. «Sì davvero. Mi piacerebbe fare una passeggiata; ti andrebbe?»


34 Anja acconsentì di buon grado, e per un attimo fece mente locale sulle indicazioni di Roberto, ma non ricordava le avesse detto qualcosa a riguardo. Le due si incamminarono. Entrambe mantennero il silenzio, immerse nei loro pensieri. Presero a percorrere un piccolo sentiero che cominciava poco dopo aver svoltato la curva dalla loro abitazione. Gli alberi proteggevano dai caldi raggi solari dell’ora di punta, e alcuni ciclisti passavano indisturbati come loro presi dallo svago all’aria aperta. Anja continuava a notare quanto l’aspetto di Eva fosse diverso da quello che aveva conosciuto, sembrava una donna come tutte le altre. Il paesaggio rapì ancora una volta lo sguardo curioso di Anja; le sue vacanze marittime non avevano mai permesso di vedere posti simili; il cinguettio degli uccellini, lo scricchiolare delle scarpe sui rami secchi e le foglie, il linguaggio della natura la meravigliarono senza eguali. I profumi - l’odore della montagna, della resina degli alberi - le arrivarono vividi imprimendosi nella memoria. «Ti va di fermarti un po’ Eva?» propose la ragazza pensando che potesse diventare faticoso come percorso; era pur sempre una semplice passeggiata, anche se lei avrebbe continuato volentieri per ore ammirando e scrutando ogni dettaglio che madre natura regalava. Vide Eva voltarsi in sua direzione con uno sguardo diverso da quello che aveva solo fino a poco prima, uno sguardo in cui la riconobbe di più. Anja si preoccupò. «Da quando ci sei tu, Brigitte non fa che stare vicino a te» disse la donna con voce dura e bassa. La giovane sentì il sangue ghiacciarsi; si pentì di essersi allontanata da casa con Eva in quello stato. Pensò a una risposta da darle, ma la verità era che non sapeva cosa fosse più giusto, e temeva di pronunciare parole che l’avrebbero provocata ulteriormente. «Allora ci sediamo qui, che ne dici?» rispose cercando di sviare. Eva si bloccò attirando l’attenzione di Anja, che la guardò cercando di anticiparne le intenzioni. «Lascia stare mia figlia, è mia!» disse Eva in tono crescente. Sul suo volto si dipinse un’espressione che aveva conosciuto la notte appena passata, e quella nota animalesca turbò Anja; sapeva che non sarebbe seguito niente di buono. Provò a tranquillizzarla.


35 «Ma Eva, io non ho fatto niente, né ho intenzione di portati via Brigitte. Ti prego, sta’ tranquilla, rilassiamoci qui…» disse pacatamente la ragazza tentando di mitigare l’ira della donna. Forse per pura coincidenza, ma dopo quelle parole la giovane osservò ogni sua fibra tramutarsi in qualcosa che abbandonava totalmente le sembianze umane, razionali e ragionevoli. I suoi occhi verdi, diventati quasi grigi per uno strano gioco di luce e di emozioni, dal fissare il terreno ricoperto di fogliame secco e ghiaia passarono con un rapido scatto alle pupille di Anja, che invece aveva il volto spaurito e incerto per ciò che le sarebbe accaduto. Un secondo dopo le fu addosso. Le unghie di Eva puntavano a sfregiare la pelle della ragazza, mentre ella con le braccia tentava futilmente di proteggersi dalla furia selvaggia e felina di quell’essere che aveva smesso di avere l’aspetto di una madre tormentata dal dolore. Finirono rovinosamente per terra, Anja tentò di gridarle di smetterla e le fu sotto fino a quando non sentì un forte dolore alle radici dei capelli, che le venivano brutalmente tirati fino a strapparne interi ciuffi. «Brigitte è solo mia! Mia! Non l’avrai mai brutta strega!» prese a bramirle Eva mentre con il dorso delle mani ossute colpiva ripetutamente gli zigomi della sua vittima. «Brigitte scappa, va’ via di qui! Corri!» pronunciò nel vuoto agitata mentre continuava a pestare Anja. Anja realizzò che se le avesse ancora lasciato carta bianca in quel combattimento animalesco non avrebbe potuto raccontarlo tanto facilmente. Prima che Eva la colpisse alla testa con una grossa pietra ricoperta di verde muschio, senz’anima come la mano che la stringeva, riuscì a raccogliere le poche energie rimaste, che mischiate all’adrenalina le permisero di scaraventare la bestia sovrastante lontana dal suo corpo. Il calcio che accompagnò l’azione, spinse la donna di schiena contro a una roccia sotto a un grande pino, e la sua nuca ne colpì la superficie troppo dura. Lo stordimento regalò ad Anja pochi secondi per riuscire ad alzarsi, ferita e dolorante. Raggiunse più velocemente che poté la piccola borsa finita ad alcuni metri di distanza da lei e afferrò il telefono con il quale avrebbe chiamato Roberto per chiedere aiuto, ma il segnale assente le impedì subito qualsiasi possibilità. Si voltò per controllare lo stato di Eva e la vide con gli occhi semiaperti, la mano vicina al capo dolente.


36 Anja si sentì in trappola in quel posto dimenticato dalla civiltà, isolata da qualsiasi possibilità di implorare aiuto. Si allontanò zoppicando, con i polpacci rigati di sangue a causa dello sfregamento con il terreno e delle unghiate della sua aggreditrice. Le vibrazioni che avvertì sotto alle suole di gomma le indicarono che qualcuno era nei paraggi e si stava avvicinando. Esattamente un paio di istanti dopo una bicicletta spuntò sul percorso. Si sentì fortunata e ringraziò mentalmente Dio. Cominciò a gridare aiuto; il ragazzo in bici non esitò a fermarsi vedendo lo stato pietoso in cui era ridotta Anja. «Cos’è successo?» disse come prima cosa il ciclista. «Ti prego aiutami, c’è una donna ferita che ha sbattuto la testa» rispose la giovane in preda al panico. Non parlarono oltre, raggiungessero Eva dove l’aveva lasciata. Anja si guardò spaesata intorno, non vedendola più lì. Ma la voce del ragazzo le rispose prima che potesse formulare domande ad alta voce. «È lei?» Indicava le spalle di una figura femminile che la giovane riconobbe essere quella di Eva. Era seduta tranquillamente sul bordo del crepaccio poco distante. «Sì» confermò. Era incerta sulle intenzioni di Eva, imprevedibile come un leone in libertà. Temeva di avvicinarsi, ma doveva farlo; non poteva rischiare di tornare indietro senza la donna. «Eva…» tentò di chiamarla. Eva non accennò a rispondere. «Eva, perché sei lì? Allontanati, è pericoloso» continuò Anja impaurita. La donna prese a dondolare vigorosamente le gambe nel vuoto. I due giovani si guardarono complici e consci del pericolo che correva. «Dai su andiamo. Lentamente spostati da lì, spingiti indietro con le mani» disse il ragazzo, ormai coinvolto in quella singolare vicenda. Intanto continuarono ad avvicinarsi, cercando di non far sentire i passi. «Mi dispiace se ti ho fatto male.» La voce di Eva, unita a quelle parole colme di mortificazione, fecero capire ad Anja che la follia da cui pareva essere stata impossessata era andata scemando. «Sto bene Eva, sta’ tranquilla. Andiamo a casa a bere qualcosa di fresco» propose la giovane cercando di mantenere un briciolo di normalità nel tono.


37 Le caviglie le dolevano pulsanti, insieme alle radici dei capelli ormai disastrate, ma di certo non desiderava che la donna facesse gesti insensati come quello che tanto temeva. «Merito una punizione. Da bambina quando sbagliavo ne avevo sempre una.» La voce di Eva suonò cantilenante, quasi infantile. «Ma non hai fatto niente di male. Andiamo a casa» fece una breve pausa, poi provò un ultimo gesto disperato «Brigitte ti sta aspettando.» Voleva sperare che il suono del nome di sua figlia le togliesse dalla mente qualsiasi pensiero di lasciarsi cadere nel precipizio. Non si aspettava minimamente che funzionasse, ma ne rimase stupita. «È lì con te? Ho visto che andava via, poi più nulla» chiese Eva, regredita di quarant’anni. Intanto il ragazzo le fu alle spalle e con uno sguardo d’assenso confermò ad Anja che la bloccava da sotto le braccia. «Vieni a vedere tu stessa» azzardò la giovane. La donna si girò. Scrutò il ragazzo del quale non aveva sentito il contatto. Ne rimase sorpresa e gli sorrise. «Ehi Stefano, hai visto Brigitte?» chiese sorridendo al giovane. Come risposta, Stefano le sorrise amorevolmente e la trascinò più lontano che poté dal pericolo imminente del vuoto sottostante.


38

6

Anja si domandò se stesse scontando la punizione per aver cercato di prendere in mano la sua vita, sottraendola da quelle dei suoi genitori. Un incubo, non c’era altra parola che potesse descrivere meglio gli eventi che in così poco tempo le si erano accaniti contro. Il ragazzo, Stefano, che le aveva soccorse sul sentiero, scoprì essere proprio il nipote della coppia, il figlio di Clarissa. A primo impatto Anja trovò bizzarra la coincidenza, ma gli abitanti di quel posto non erano numerosi come nella città a cui era tanto abituata. E se non fosse capitato lui nel momento giusto e nel punto esatto in cui si trovavano, probabilmente sarebbe finita molto peggio. «Ho avvisato i tuoi genitori Anja» disse Roberto a voce bassa, temendo la reazione che sarebbe seguita a quelle parole. Si era sentito in dovere di farlo, lui avrebbe voluto sapere se sua figlia avesse subìto un’aggressione, anche se significava sollevare un polverone contro sua moglie e mettersi contro la ragazza che ne sarebbe stata probabilmente contrariata. Lo sguardo della giovane, timoroso e duro allo stesso tempo, gli confermò prima di ogni altra cosa ciò che pensava. I suoi grandi occhi chiari erano come un libro aperto per lui; erano giorni che lo tormentavano. Tutto di quel fresco volto di ragazza gli si era insidiato dentro: il mento minuto e arrotondato che si congiungeva alla stretta bocca dalla forma piena, le due rughe di espressione laterali che la incorniciavano, la fossetta sulla guancia sinistra… quest’ultima rappresentava per lui la più deliziosa delle caratteristiche; il naso piccolo e paffuto che portava i segni della sua giovane età; e infine gli occhi. Neanche gli occhi magnetici di sua moglie erano riusciti a stupirlo come quelli di Anja: verdi-azzurri come le acque del lago che conosceva tanto bene, frangiati da un ventaglio di ciglia castane, che con la forma allungata e all’insù, rendevano impossibile non restare a fissarla per scrutarli a fondo. «Lo immaginavo» rispose Anja.


39 La giovane si sentiva trattata come una bambina anche dall’uomo per cui lavorava. Avrebbe potuto chiederle prima se voleva che venissero avvisati; era sua intenzione ovviamente, ma non si sentiva ancora pronta, e far conoscere gli eventi da un estraneo rappresentava un danno maggiore. Si trattenne dall’esprimergli la sua disapprovazione, in fondo sapeva che non lo aveva fatto con cattive intenzioni. Ma mentre la sua voce taceva, lo sguardo esprimeva incontrollato ogni sillaba. Era stata in ospedale solo il giorno stesso. Le ferite e i tagli superficiali, i lividi al viso, l’assenza di fratture e nessun danno di natura più seria, non avevano dato motivo di trattenerla oltre. La stessa cosa valeva per Eva, che nonostante il colpo alla testa non riportava conseguenze più complicate. Anja riposava nel letto della camera di Brigitte, un nome che più di ogni altro le ribalzava nei pensieri. «Cosa hanno detto i miei genitori?» chiese. «Li ho rassicurati che a ogni modo stai bene e dopo lo spavento iniziale si sono rasserenati. Ho chiesto se volessero parlarti, ma non hanno voluto» rispose Roberto. La ragazza voltò il viso deturpato da chiazze violacee dalla parte opposta sul cuscino, per non far vedere tanto chiaramente quanto l’ultima frase le avesse provocato delusione, ma si aspettava anche quello. Roberto dopo essersi presentato era riuscito a inquadrare alla perfezione il padre di Anja, e non gli era piaciuto affatto. Quella famiglia non capiva l’importanza che aveva la loro figlia; immedesimandosi non riuscì a giustificarli in nessun modo. «Puoi restare qui quanto desideri Anja, se non vuoi tornare a casa dai tuoi. Una volta ripresa del tutto deciderai cosa fare, che ne pensi?» Dopo una breve pausa aggiunse: «Grazie per non aver denunciato Eva; credimi, non sa quello che fa.» Voleva dar conforto a quel volto indifeso e deluso per la mancanza di affetto da parte dei suoi cari. Avrebbe voluta abbracciarla, ma si trattenne; non voleva metterla a disagio. Si sentiva colpevole per averla coinvolta nella sua vita. Eva, cosciente in parte o totalmente di ciò che aveva fatto ad Anja, era nella stanza da letto seduta sul bordo del letto in silenzio e mortificata.


40 Roberto era stato chiamato durante il turno di lavoro per una questione urgente che riguardava sua moglie, e alla notizia gli mancò il respiro temendo il peggio. Con Clarissa non era mai accaduto nulla di così grave, ma da quando esisteva Anja nella loro casa, la donna aveva subìto qualcosa, un cambiamento forse. Sapeva che la ragazza le ricordava in qualche modo Brigitte, nonostante il tempo le si fosse fermato da vent’anni. Stefano era ancora al piano inferiore. Era un caro ragazzo pensò Roberto e, sapendo la dinamica degli eventi, gli riconosceva un ruolo fondamentale nell’aver evitato che precipitassero in tragedia. «Come sta zio?» chiese Stefano una volta che l’uomo fu tornato da lui. «Penso bene. Dolorante magari, ma bene. È solo molto scossa» gli rispose. Considerava Stefano come un nipote, anche se effettivamente era un cugino di terzo grado. Aveva più o meno l’età di Anja; benché venissero da mondi completamente differenti, potevano avere molto in comune. Lavorava come istruttore di rafting e viveva ancora con la madre, vedova da tanti anni. *** Passarono alcuni giorni; agli occhi di Anja quella casa sconosciuta cominciava a diventare più familiare. La camera in cui passava gran parte del tempo, aspettando con pazienza che il suo corpo si risanasse, aveva cambiato aspetto; gli oggetti che la circondavano sembravano ora avere un corpo fisico, a differenza delle prime volte in cui li scrutava curiosamente, quando le parevano composti di materia impalpabile, pronti a scomparire da un momento all’altro. I suoi genitori si ostinavano al silenzio, e a un suo tentativo di chiamata fu ignorata senza pietà. Provava rancore verso di loro; non credeva di meritare un simile trattamento. Non si era poi macchiata di un crimine terribile, ma doveva imparare a convivere con quella consapevolezza. Dopo quella mattina Anja aveva avuto modo di riflettere e vedeva le cose con più lucidità. Eva dopo la scomparsa della bambina aveva abbandonato ogni traccia della donna che era, rifugiandosi in un mondo presente solo nella sua mente alterata; soffriva di allucinazioni.


41 Continuava a pensare che assecondare le sue fantasie su Brigitte fosse sbagliato, perché in quel modo si attizzava un fuoco che altrimenti avrebbe potuto spegnersi lentamente da solo. Roberto agli occhi della giovane era un uomo come pochi; aveva cercato una ragazza come lei che desse conforto al cuore di Eva, una ragazza che potesse avere l’età della figlia persa per sempre. Magari la strategia era sbagliata - viste le conseguenze Anja lo credeva possibile - ma allo stesso tempo l’amore che aveva ispirato quel gesto ripagava di tutto. Clarissa era tornata ad aiutare quotidianamente quella famiglia e non perdeva occasione per fare visita alla ragazza e mettersi a disposizione anche per lei. Era fiera del suo ragazzo, Stefano, che aveva permesso di evitare il peggio. Quest’ultimo passava da lì quasi tutti i giorni e ad Anja faceva piacere poter parlare con un ragazzo della sua età; lo trovava simpatico e di piacevole compagnia. «Mi dispiace cara per quello che è successo. Avevo suggerito a Roberto di restare con te per i primi giorni, anche per far abituare Eva alla tua presenza, ma non mi ha dato ascolto» disse Clarissa un pomeriggio di fine agosto. Anja aveva ripreso ad alzarsi normalmente; era rivolta al sole con le palpebre chiuse, assaporandone il calore piacevole. Eva sonnecchiava sulla sua sedia imbottita di morbidi cuscini bianchi. Clarissa continuò: «Andrai via immagino…» «Sì. La tua presenza per i primi giorni sarebbe stata utile, ma ormai le cose sono andate in questo modo. In fin dei conti è finita bene» rispose Anja. Non sapendo cosa avrebbe fatto nei giorni successivi, non confermò la supposizione di Clarissa. Avrebbe voluto chiederle il perché lei non potesse più prendersi cura della famiglia, preferì però non sollevare polveroni inutili; magari la motivazione sarebbe uscita da sola. Inizialmente temeva il contatto con Eva, ma poi si rese conto che la donna sapeva cosa aveva fatto e, pentita delle sue azioni, cercava il modo di ottenere il suo perdono. Una mattina, al risveglio, Anja trovò una gerbera rosa poggiata sul suo comodino. Il gesto la colpì molto ed era quasi certa che fosse opera di Eva, che sempre nel suo strano modo tentava con dolcezza di avvicinarsi a lei.


42

*** Anja si era ormai ripresa del tutto. Portava addosso solo i residui di quel bizzarro combattimento per cui non covava alcun risentimento. Aveva deciso di tornare a casa, anche se casa non la sentiva più. Il padre alla notizia, che era riuscita a dargli solo chiamando insistentemente la madre, aveva acconsentito purché pagasse le sue spese di sostentamento. Si sarebbe quindi messa alla ricerca di un lavoro, qualcosa di più semplice e più alla sua portata. Magari sarebbe anche riuscita ad andare via e affittare una piccola casetta tutta sua. Quanto avrebbe voluto continuare a far parte di quel posto fermo nel tempo, con la natura che conviveva pacificamente con l’uomo, senza che quest’ultimo ne prendesse il sopravvento come da sempre faceva. Anja, malinconica, si ripromise che sarebbe tornata lì prima o poi. Non aveva il coraggio di continuare a vivere in casa di estranei e cercare un lavoro alternativo lasciandoli alle prese con la vita tormentata di Eva. Roberto le parve afflitto nell’apprendere la notizia, per quanto ne fosse consapevole. Pensò che stesse per dirle qualcosa, magari voleva pregarla di rimanere, ma si bloccò prima che ne scaturisse un discorso inutile e patetico. Aveva scelto, ritardare la partenza non sarebbe stato utile a nessuno. Con un peso sul cuore Roberto cenò per l’ultima volta insieme ad Anja. Il silenzio regnava sovrano su quella tavola, nessuno aveva il coraggio di dire niente, di interrompere i pensieri dell’altro. «Anja vai via?» chiese Eva rompendo i muti discorsi. Gli occhi di Roberto sembrarono enfatizzare la frase di sua moglie, detta con genuina tristezza. «Sì, ritorno a casa» rispose il più dolcemente possibile Anja. La sua decisione aveva conseguenze che l’affliggevano ancor prima di partire, ma non c’era altro che potesse fare, concluse mentalmente la ragazza. «Non vogliamo che vai via. Brigitte ha bisogno di te, mi dispiace di averti fatto male» disse senza freni la donna. Arrivò l’ora di andare a dormire. L’indomani Stefano l’avrebbe portata alla fermata dell’autobus prima di recarsi al lavoro. Anja ne era contrariata, anche se in fondo desiderava che ad accompagnarla fosse


43 proprio lui. D’altronde che cosa cambiava? Sarebbe andata via e non li avrebbe più rivisti, sarebbe stato molto meglio farsi bastare il saluto della sera precedente e chiuderla lì. Anja si chiuse la porta della camera alle spalle, osservò la valigia aperta in attesa di essere conclusa con le ultime cose. Girò per la stanza sfiorando tutti gli oggetti a portata di mano; era il suo modo per salutare quel luogo e imprimerne il ricordo nella memoria. Sentì quasi le lacrime salirle in volto, ma non ne conosceva neanche il vero motivo; era stata solo male in quella casa, nonostante il calore di Roberto. Poi arrivò davanti a lei: la foto di Brigitte. Quella bambina sparita con il suo grande segreto rimasto all’oscuro di tutti. Si mise a letto e provò a dormire. *** Correva. Un passo dopo l’altro, senza sapere verso cosa o per che cosa. Sentiva solo il forte bisogno di correre, la necessità, l’urgenza, la frenesia. Correva, il fiato non stava al ritmo e rischiava di farla crollare da un momento all’altro. Il buio, le ombre alte, sottili e vive dei grandi abeti, che parevano anime radicate per sempre lì. Una bassa nebbia aleggiava come una coperta di fumo, copriva il terreno umido, scricchiolante ai passi di Anja. La voce infantile le parlò, onnipresente; arrivava forte e chiara qualunque direzione prendesse. Dall’alto la voce chiamava il suo nome. Anja voleva raggiungerla, accelerava il passo anche se sentiva le forze cederle sotto ai piedi. Non riusciva a seguire una via, la voce le sussurrava, ma non sembrava appartenere al suo mondo. Era con lei. «Anja.» Si fermò un secondo girando la testa a scatti, cercando di capire dove proseguire. «Dove sei?» gridò la ragazza in preda al panico. «Anja. Non puoi» rispose la voce di bambina sull’orlo del pianto. «Dimmi dove sei!» insistette Anja. Scorse un luccichio; qualcosa in fondo brillava. Non ci pensò molto e riprese la corsa convulsa in quella direzione.


44 «Non puoi» continuava la voce bianca. Anja avvertiva scenderle in viso dalla fronte gocce di ansia e sudore. «Aiutami a trovarti!» Sentì la voce abbandonarla. Un’ombra la sostituì. Le acque dell’immenso lago, luccicanti alla pallida luce della luna, le furono davanti. Un silenzio surreale calò intorno a lei. Avvertiva i polmoni bruciare, prede di un calore infernale. «Anja, non puoi.» La piccola bambina le era accanto, vicina al suo corpo. «Brigitte, sei tu?» La bimba la fissava con lo sguardo dritto verso il suo, penetrante, come nient’altro al modo avesse mai visto. Prese la mano della ragazza e il contatto con la sua morbida pelle provocò in Anja un brivido. Le sembrava tutto così assurdo. Si abbassò per avvicinare il viso a quello della piccola figura. Si guardarono mute; un lungo attimo che durò però un solo secondo. L’una si riconobbe negli occhi dell’altra. Anja sentiva il profumo infantile di quella piccola creatura; niente della spensieratezza che avrebbe dovuto avere sembrava far parte di lei. Poi Brigitte parlò: «Non puoi.» La bambina non c’era più. Un fiore sulla sponda la sostituiva: una gerbera rosa. *** Anja dopo quello strano sogno sentì la necessità di andarsi a rinfrescare il collo e il viso bagnati di sudore. Le tempie le pulsavano, la voce della piccola continuava a risuonarle in testa. Capì dal sapore salato sulle labbra di aver pianto. “Prima vado via da questa casa, prima smetterò di star male” pensò. Era la seconda volta che faceva un sogno strano, l’ultimo ancor più del primo. Quella bambina la inquietava e tormentava; si rese conto di essere troppo suggestionata da ogni cosa di quel posto. Solitamente si svegliava senza neanche ricordare il sogno che aveva riempito la notte; concluse che non era un buon segnale per lei.


45 Stanca e frastornata, si alzò e raggiunse il bagno. Dopo il contatto con l’acqua, che la svegliò del tutto da quell’incubo, si diresse nel buio verso la sua stanza. Una figura vestita di bianco le parlò nell’oscurità. «Non puoi Anja. Ha bisogno di te.» Anja gridò, spaventata e sorpresa da quell’incontro. Cercò l’interruttore della luce per far chiarezza su quell’immagine in ombra. «Eva, che ci fai sveglia? È notte fonda, vai a letto!» disse duramente alla donna in camicia da notte. Lo sguardo di Eva era supplichevole, fuori da ogni ragionevolezza, ma implorante. «Non puoi» disse piano la donna. Brividi veloci corsero lungo la schiena della giovane. Le stesse parole della bambina in sogno. “È assurdo” pensò. Provò a giustificare la coincidenza; quelle espressioni erano piuttosto comuni in fin dei conti. «Va’ a dormire Eva» ripeté più dolcemente Anja. «Hai il suo odore. Mi manca così tanto…» parlò ancora Eva. Due lacrime pesanti caddero dai suoi grandi occhi verdi arrossati. Anja sentiva girarle la testa, una confusione senza rimedio che tentò di ignorare. Ma sapevano entrambe di parlare di ciò che aveva appena sognato. I capelli arruffati della donna, il corpo vinto e segnato dal dolore, il viso contratto in una smorfia priva di normalità; tutto parlava di sua figlia e della sofferenza che pativa da vent’anni. Provò ad abbracciarla cercando di darle conforto. Si sentiva troppo giovane per essere mamma, ma provò a immedesimarsi e ciò che banalmente immaginò, solo una piccolissima percentuale delle sensazioni di quella madre, la costrinsero a una stretta al cuore e allo stomaco. Eva si arrese a quel gesto di affetto e conforto, senza tentare di farne a meno. Restarono ferme per alcuni secondi, intrecciate nel loro tepore corporeo. Poi la donna disse ancora a bassa voce sulla sua spalla: «Non puoi.»


46 Si staccò dalla giovane e raggiunse la porta della camera patronale, alla cui soglia c’era Roberto che aveva assistito a tutto in religioso silenzio. Anja, immobile nel punto in cui l’abbraccio aveva terminato il suo tempo, guardò gli occhi del marito. Confusi, come i suoi. Tornò nella sua camera senza dirgli niente. Sul tappeto accanto al letto c’era qualcosa che ruppe ogni fugace tentativo di archiviare il tutto come una banale coincidenza. Una gerbera rosa. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO: In occasione del suo 10° anniversario, la 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio "1 Giallo x 1.000" per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2018) http://www.0111edizioni.com/

Al vincitore verrĂ assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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