Sguardi dalla strada. Un progetto di fotografia partecipata a Bolzano.

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SGUARDI Un progetto di fotografia partecipata a Bolzano

DALLA STRADA

A cura di Christian Albertin


Questo fascicolo vuole presentarsi come una possibilità di mostrare in breve il progetto di fotografia partecipata da me svolto nel corso dell’anno 2017, inserito all’interno del lavoro di tesi triennale in Educatore Sociale presso la Libera Università di Bolzano. Dopo una prima introduzione contestuale e teorica, il focus verrà posto sulle immagini prodotte poichè le fotografie hanno acquisito significato solamente nel momento in cui sono state osservate, descritte e discusse.

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A PROPOSITO DEL PARTICOLARE CONTESTO SOCIALE SCELTO PER QUESTA RICERCA

stenza di strada. Il loro coinvolgimento in una ricerca attiva di ciò di cui hanno effettivamente bisogno non aiuterà solo loro ma assumerà un certo valore anche sul piano istituzionale. Saranno infatti i migranti a diventare ricercatori andando a produrre il materiale fotografico che farà da stimolo nei momenti di dialogo, riflessione e confronto.

Nel famoso saggio sul dono, Marcel Mauss sostiene che “il dono non ricambiato rende tuttora inferiore colui che lo ha accettato” (1965, p. 269), perché quando un’offerta non viene ricambiata genera una situazione di debito che si trasforma a sua volta in una dipendenza umiliante. La fondatrice del prestigioso Centre for Refugee Studies di Oxford, Barbara Harrel-Bond (2005) propone di applicare questa teoria anche nella relazione di aiuto umanitario verso i rifugiati. Secondo l’antropologa statunitense, l’assistenza è senza dubbio un’attività necessaria nella maggior parte delle situazioni di aiuto che si presentano. Non è invece convinta dell’utilità dell’assistenza cosi come finora è stata concepita, mettendo in discussione le forme di aiuto attuali le quali rendono i beneficiari utenti passivi e impossibilitati a ricambiare. Harrel-Bond si chiede dunque se non sia proprio la struttura del sistema di aiuto, che abbiamo costruito e su cui facciamo affidamento, che indirettamente stia generando una nuova sofferenza ai migranti. “Come dire che, se i richiedenti asilo sono pensati e trattati come vittime inermi bisognose di tutto perché hanno perso tutto, allora qualsiasi aiuto si potrà offrire dovrà necessariamente andare bene” (Sorgoni, 2013, p. 6). Cambiando punto di vista invece si potrebbero riconoscere i migranti come “adulti che pur in condizioni di enorme difficoltà, tentano di ricucire una nuova vita, allora sarà necessario ripartire da ogni singola persona, ogni singola storia”. La domanda che nasce da questa nuova posizione sarà allora: di che cosa hanno veramente bisogno? La sfida per le istituzioni e le attività assistenziali diventa quindi quella di offrire a queste persone un’occasione di ricostruirsi una vita, mostrando a sé stessi e agli altri le proprie capacità per poterle applicarle al bene della società intera. Anche se in forma ridotta il progetto da me proposto si inserisce in questo discorso, poiché intende costruire un dialogo tra alcuni migranti e un’attività di assi-

DATI DEL CONTESTO DI STRADA A BOLZANO L’immigrazione in Europa è un tema che da parecchi anni rimane all’ordine del giorno. Bolzano è una città che, come tante altre in Europa, si sta impegnando ad accogliere e ad assistere tutti i giorni migranti che fuggono da situazioni difficili per trovare un luogo in cui poter ripartire. La richiesta di aiuto da persone di strada è un fenomeno che negli ultimi anni è sempre andato crescendo, soprattutto a causa dei recenti flussi migratori. Alcuni dati statistici degli arrivi di migranti nella Provincia di Bolzano ci vengono forniti dai report pubblici annuali e mensili dell’Associazione Volontarius che da anni monitora la situazione nel territorio altoatesino grazie al lavoro degli streetworkers dell’equipe di Oltre La Strada. Nel 2015 sono state contate 1707 persone nuove, nel 2016 sono arrivati a Bolzano 1893 migranti e l’anno scorso il numero degli arrivi ammonta a 2639. Dai dati raccolti nel periodo che intercorre tra il 2015 e il 2018 è stato possibile determinare che da una parte è aumentata la provenienza da paesi come l’Asia, l’Africa Centrale e del Nord e dall’altra si sono ridotti gli arrivi di persone italiane. I dati numerici si presentano in questo modo: asiatici da 330 a 397, africani dell’Africa Centrale 342 a 751, africani dell’Africa del Nord da 505 a 719 e italiani da 122 a 58 (Oltre La Strada, 2017).

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OBIETTIVI, FINALITà E FASI DEL PROGETTO

dei quali sono stati organizzati un totale di diciotto incontri individuali e due finali di gruppo. In generale la struttura del piano di lavoro può essere suddivisa in sette fasi principali: • intercettazione partecipanti; • presentazione del progetto ai partecipanti, raccolta dati personali e consegna fotocamera; • produzione materiale fotografico: • ritiro rullini e sviluppo; • analisi, selezione e riflessioni personali; • workshop finale conclusivo; • restituzione risultati a livello istituzionale .

Per quanto riguarda la dimensione pedagogico-sociale, il progetto agisce in particolare su coloro che hanno partecipato in modo diretto alle attività di produzione e analisi fotografica secondo una logica di co-producing e co-researching. L’intero processo è strutturato in un’ottica di empowering finalizzata alla maturazione dell’identità individuale e sociale, attraverso la creazione di una relazione di fiducia tra ricercatore e partecipante. Mira quindi alla crescita personale di ogni partecipante in vista di un miglioramento della propria situazione di vita, della conoscenza di sé e della qualità delle relazioni con gli altri. A tal proposito è molto importante promuovere momenti di libera espressività per dar loro l’occasione di sentirsi parte attiva alla cittadinanza. Partendo dalla produzione di immagini questo progetto ambisce, seppur in forma ridotta, alla creazione di un’azione sociale volta al cambiamento e alla sensibilizzazione di alcune situazioni difficili della vita di strada presenti sul territorio. Il punto di forza, che ne delinea l’aspetto educativo-pedagogico, consiste nel costruire uno spazio d’ascolto e di confronto con i partecipanti, partendo dalle immagini che proprio loro hanno deciso di produrre. È proprio per questo motivo che le fotografie prodotte, accompagnate dalle riflessioni costruite attorno ad esse, acquisiscono per il territorio un valore sociale unico nel momento in cui raggiungono le istituzioni che si occupano della gestione assistenziale di strada. La finalità sociale del progetto diventa allora quella di creare un canale comunicativo alternativo tra utenti (cittadini) e istituzioni, attraverso il quale i partecipanti possano denunciare e raccontare secondo il proprio punto di vista le loro condizioni di vita. Approcciandosi alla realtà attraverso una fotocamera e raccontandola servendosi del linguaggio visuale, i partecipanti avranno l’occasione di approfondire e migliorare la propria conoscenza della pratica fotografica riscoprendone il proprio potenziale espressivo. Il progetto ha avuto una durata di circa 4 mesi (da gennaio ad aprile 2018) all’interno

Le fotografie e i temi di rilevanza sociale mostrati Quasi tutte le immagini che i partecipanti hanno prodotto rispettano la domanda a cui ho chiesto loro di rispondere e perciò il compito eseguito dai “fotografi” è stato positivo e soddisfacente. Le fotografie consegnate si sono infatti trasformate in preziosi stimoli visuali che hanno permesso la creazione di momenti di riflessione e confronto non solo per gli autori stessi, ma per tutti coloro che hanno partecipato alle fasi del progetto: il ricercatore, i fotografi durante la fase del workshop collettivo in cui hanno dovuto leggere le foto altrui ed infine gli operatori sociali della Volontarius. In questo senso le immagini, ricche di informazioni visuali, sono state da sé in grado di esprimere emozioni, raccontare storie e vissuti e documentare una parte della realtà che molte persone non conoscono. Rafforzate poi dalle parole dei partecipanti, le immagini sono capaci di trasportare l’osservatore direttamente all’interno della narrazione, stimolando un sentimento d’empatia. In complesso sono state prodotte 67 fotografie, scattate da tre partecipanti differenti. Durante la quinta fase (“analisi, selezione e riflessioni personali”) ne sono state selezionate 20, le quali rappresentano una risposta visuale alla domanda che ho posto inizialmente: “Cosa 4


BOLZANO è UNA BUONA CITTà CHE HA MOLTO DA OFFRIRE

ci trovi di bello a Bolzano? Che cosa di brutto?”. Ciò che maggiormente è stato fotografato sono i luoghi che nel bene o nel male hanno contraddistinto l’esperienza di strada vissuta dai partecipanti nei primi mesi del loro arrivo in città, ovvero quando hanno dovuto affrontare le difficoltà della vita di strada. Una buona parte delle foto potrebbe infatti diventare una vera e propria raccolta dei posti principali dove le persone di strada vivono o in cui si riuniscono e trascorrono il loro tempo. Ad ogni posto che i partecipanti hanno deciso di fotografare, corrisponde una tematica, sulla quale è stata posta la maggior attenzione durante la fase analitico-riflessiva. Attraverso la macchina fotografica i partecipanti hanno denunciato alcune situazioni critiche della vita di strada bolzanina. Gli scatti che hanno prodotto rientrano nella categoria delle immagini di denuncia, e per tanto possono prendere parte alla tipologia delle fotografie sociali. Nello scattare queste immagini i partecipanti si sono sentiti chiamati in causa ad agire in prima persona, mettendoci nella foto una parte di sé. Questo è un elemento chiave molto importante che rientra nel percorso educativo perché lavorare su questo tipo di foto significa lavorare indirettamente anche sulla propria persona. I partecipanti hanno espresso la volontà di rimanere nell’anonimato, per questo motivo l’autore delle fotografie verrà indicato solamente con la lettera iniziale del proprio nome (C, D e M).

Non sono numerose, ma molte immagini sono state prodotte per mostrare alcuni luoghi della città a cui i partecipanti hanno assegnato un valore positivo. Le mense in cui le persone di strada possono ricevere un pasto caldo gratuitamente, sono per le persone di strada luoghi molto importanti per sopravvivere, e la loro numerosa presenza sul territorio contribuisce a valorizzare la città in senso positivo. Ciò che è emerso però è che spesso le persone non si recano lì per mangiare ma più che altro per incontrare altra gente ed intrattenersi socialmente. In questi scatti rientra anche l’edificio, situato nei pressi del teatro Comunale, chiamato “Ex Agip” in cui opera la Volontarius. Oltre alla preparazione quotidiana di pranzi e cene, offre due volte alla settimana un servizio di “Infopoint” e durante i mesi invernali si occupa della distribuzione di coperte (foto in basso a sinistra). Per questo motivo risulta essere anche questo un punto della città fondamentale in cui tante persone si riuniscono ad ogni ora del giorno. Anche la foto grande nella pagina seguente è stata catturata nello stesso locale e rappresenta per M un lato positivo di Bolzano perché questo è uno dei pochi posti in cui le persone di strada possono trovarsi senza dare “fastidio” agli altri. Negli orari dei pasti, soprattutto in inverno quando fa molto freddo il locale si affolla ed è per questo motivo che la foto prende anche il nome di “Movida” nonostante trasmetta una sensazione di solitudine e silenzio. M mi racconta che spesso le persone non vanno li per sfamarsi, ma più che altro per stare al caldo e in compagnia di altri coetanei o degli operatori con cui possono chiacchierare. Il fotografo si è recato li molto presto ed è entrato per catturare l’immagine poco dopo l’apertura perché voleva evitare di includere nel fotogramma altre persone per paura di essere giudicato male. Per scattare ha infatti aspettato il momento in cui l’unica persona che era all’interno fosse girata.

C, Un prezioso punto di riferimento

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M, Movida & Infopoint

La foto in basso invece, rappresenta la proiezione dell’autore nel futuro, ovvero quello che vorrebbe diventare qualora dovesse rimanere a vivere a Bolzano. Essa mostra infatti la stazione degli Autobus SAD ed è stata scattata da C perché uno dei suoi sogni è quello di riuscire ad ottenere la patente per guidare mezzi pesanti. Raccontandomi di questo scatto C era molto determinato perché pensa che questa

M, Entrata Museion

C, Pensando al mio futuro 6

città sia in grado di offrirgli la possibilità di realizzare il suo sogno e di diventare un autista di autobus. Il Museion di Bolzano (sia nella foto sopra che nella pagina seguente) da dieci anni rappresenta una meta turistica molto ambita, sia per la particolarità architettonica con cui si presenta, sia per le mostre ed esposizione d’arte moderna e contemporanea che ospita. Esso è stato percepito come “qualcosa di bello” della città: “se dovessi consigliare a qualcuno di venire a Bolzano sicuramente gli direi di


D, Architettura, turismo e gioventù

andare a vedere il Museion”. Oltre agli aspetti culturali che il museo offre, ci sono anche altri motivi per cui questo luogo è molto apprezzato dalla città. Il bar di questo edificio è infatti conosciuto per organizzare eventi che attirano molti giovani e studenti, e anche il partecipante che ha scattato una sua foto ogni tanto, quando non ha scuola, va lì con gli amici per stare in compagnia. Esso rappresenta dunque anche

D, Monumento alla Vittoria

un importante aspetto, ovvero la possibilità di socializzare e sentirsi parte della città. Altri luoghi di questo genere che compaiono nelle foto dei partecipanti sono Piazza Walter (a sinistra), ovvero la piazza centrale di Bolzano e il Monumento alla Vittoria (qui sopra), opera architettonica che celebra la vittoria italiana della prima guerra mondiale. D, La piazza delle persone 7


MANCANZA DI DORMITORI E SITUAZIONI DI VITA DIFFICILI A tal proposito M ha portato una serie di scatti (tra cui quelle presenti in questa pagina), per mostrare il luogo dove ha vissuto i primi mesi a Bolzano, ovvero sotto “Ponte Virgolo”. In particolare, la foto ritrae la “cucina e il salotto” dove le persone che ci vivono solitamente si ritrovano per cucinare. Facendo molta attenzione è possibile intravedere tra i rifiuti fotografati anche una padella abbandonata, contenente una bottiglia di Coca Cola. M mi ha raccontato che oltre alla cucina “in questo posto normalmente si fa di tutto: si dorme, ci si fa la doccia nel fiume e si va in bagno un po’ ovunque”. Gli altri due ragazzi C e D, invece hanno portato due foto molto simili del ponte Talvera (pagina seguente) in cui è possibile notare un cartone incastrato a circa cinque metri di altezza che indica un posto letto molto pericoloso e precario dove molte persone dormono per parecchio tempo.

M, Cucina e salotto

M, La mia vecchia casa 8


D, Dormire è pericoloso

C, Nascondersi per dormire 9


MANCANZA DI UN IMPEGNO CHE OCCUPI IL TEMPO LIBERO L’eccessiva quantità di tempo libero e la mancanza di un’occupazione (di qualsiasi tipo: lavoro, studio, sport, volontariato) è una delle problematiche che, sebbene con punti di vista differenti, ho riscontrato in tutti e tre i partecipanti, e rappresenta uno dei temi più discussi. C ha scattato una foto al di fuori di uno dei campi da calcio che spesso vengono utilizzati dalle persone (e anche da alcuni suoi amici) scavalcando il recinto e quindi senza permesso. D invece ha portato una foto (in basso) che ritrae della gente al Parco della Stazione, un luogo di Bolzano in cui le persone di strada si riuniscono e fanno gruppo. Inizialmente l’immagine appare poco chiara, ma grazie alla sua descrizione è possibile intravedere in lontananza un gruppo di persone. Il ragazzo non ha voluto avvicinarsi troppo a loro perché molto spesso bevono troppo e diventano aggressivi. Per questo motivo ha preferito starsene alla larga perché aveva paura di farsi vedere con la fotocamera in mano. Raccontandomi della situazione dei ragazzi del Parco Stazione, D mi ha spiegato che “molti di loro sono nelle strutture si, però non fanno niente nella vita”, e poi ha aggiunto “io anche sono stato uno di quelli che passava il tempo li, però solo finché cercavo di sistemare le cose principali”. Una frase come questa indica un’alta consapevolezza della propria esistenza e del proprio vissuto e parlarne agli altri favorisce un rafforzamento della propria autostima. Nella logica di creare possibilità per impegnare persone di strada che non hanno altro da fare, un’attività di Photovoice potrebbe risultare una buona occasione per impegnare un po’ del loro tempo libero. Un altro problema emerso da un colloquio con D è che molti bravi ragazzi arrivano a Bolzano e frequentando il Parco Stazione finiscono per lasciarsi andare. D infatti ha visto alcuni suoi amici che purtroppo hanno iniziato a fumare e a bere da quando sono arrivati qui.

Anche M ha portato alcune foto del Parco della Stazione e come D le ha scattate con dovuta distanza, sempre per evitare di essere colto nell’atto del fotografare.

C, Scavalcare o non scavalcare?

D, Pomeriggi al Parco Stazione

M, Parco Stazione 10


MANCANZA DI STRUTTURE CHE OFFRONO BISOGNI “PRIMARI” E AFFOLLAMENTO DI LUOGHI SPECIFICI Un’altra tematica emersa è la questione delle biblioteche del centro che sono diventate una delle mete più ambite in cui passare il tempo per chi non ha nulla da fare. In effetti è abbastanza normale entrare e non trovare posto per sedersi. Le biblioteche di per sé rappresentano per i migranti una grande risorsa che permette di soddisfare molti dei loro bisogni. Chiamare le proprie famiglie, studiare la lingua italiana o tedesca, leggere, andare in bagno, riposarsi, cercare lavoro online, scrivere il proprio curriculum sono tutte attività che si consumano ogni giorni in questi luoghi di studio. È quindi normale che esse diventino un punto di riferimento per chi non ha nulla e quindi assumono un valore positivo. Dall’altro lato però, grazie ai servizi che offrono, diventano dei veri e propri punti di

M, Biblioteca Eurac

aggregazione, dove molto spesso nascono disagi dovuti al sovraffollamento. Negli ultimi mesi infatti ci sono stati molti problemi soprattutto dovuto allo sfruttamento eccessivo delle reti WIFI, che ha portato a lamentarsene una buona parte della cittadinanza. M in particolare avendo vissuto in prima persona questa situazione ha dichiarato: “anche io solitamente andavo in biblioteca civica, ma adesso è da tre mesi che non vado più perché ormai ho un lavoro, ho un posto, vado a casa, a me non serve

M, Studio, Wi-Fi, traduttore, ricerca lavoro, chiamare famiglia 11


M, Biblioteca Università

più. Se ho bisogno di fare una ricerca al computer allora si vado, però vado solo per quello ma appena ho finito la ricerca esco”. Con quanto detto M alludeva al fatto che molta gente invece va lì perché non ha nient’altro da fare. Quest’ultimo tema, soprattutto per quanto riguarda i luoghi di studio, può essere ricollegato alla carenza di strutture in grado di offrire alle persone di strada ciò di cui hanno bisogno come per esempio una connessione Wi-Fi, una presa di corrente o la possibilità di farsi una doccia. Una foto che riconduce a questa tematica è posta nella pagina precedente, in cui appare ben chiaro e riconoscibile il portone della biblioteca “Cesare Battisti” di Bolzano. Sapendo che è una biblioteca, ciò che una persona comune potrebbe pensare è la disponibilità di libri o di spazi per lo studio, niente di più. Per M, e in generale per le persone di strada, essa è indice di molte altre cose. Questa immagine è stata infatti selezionata tra una serie di altre foto (vedi biblioteca Eurac e l’Università di Bolzano), scattate dallo stesso autore con le quali ha voluto rappresentare biblioteche più conosciute e frequentate di Bolzano. Mi ha raccontato che: “se devi riposarti qualche ora, trovare un posto caldo e asciutto, allora l’unico posto che hai è la biblioteca”. Poi ha aggiunto: “piuttosto che altri luoghi come bar, sala giochi o altri posti più “brutti”, tanti preferiscono le biblioteche”. Il risultato è che questi luoghi di silenzio si sono trasformati in posti molto frequentati perché aperti e liberi a tutti. L’affollamento delle biblioteche è una problematica molto sentita dalla cittadinanza perché molto spesso queste persone non vanno lì per stu-

M, Biblioteca Museion

diare, e disturbano chi invece è lì per cercare la concentrazione. La biblioteca viene intesa quindi positivamente come un rifugio (soprattutto in inverno) in cui trovare un po’ di pace. Allo stesso tempo mette in risalto un problema che colpisce l’intera città, ovvero la mancanza di una struttura adeguata in cui le persone di strada possono recarsi per trovare quelle poche cose di cui hanno bisogno. Dietro la prima foto riportata nella pagine successiva, si nasconde un piccolo racconto di una scena a cui il fotografo ha assistito. Stava piovendo e durante il temporale il fotografo si stava riparando sotto quel porticato. Poco dopo il suo arrivo è giunto un altro signore: un senzatetto che purtroppo non era riuscito a trovare riparo in tempo e perciò era fradicio. Per non soffrire il freddo si è dunque dovuto cambiare i vestiti bagnati, e lo ha fatto proprio lì in quell’angolo senza paura di essere visto. I calzini che indossava emanavano un cattivo odore e quindi ha deciso di abbandonarli perché sapeva che non avrebbe avuto modo di lavarli. M ha voluto quindi fotografare quel posto con quel calzino perché in quel momento per qualcuno non ha rappresentato un semplice portico ma è diventato letteralmente uno spogliatoio.

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M, Spogliatoio

SENTIRSI DIVERSI E NON ANCORA SOCIALMENTE INTEGRATI In generale ho potuto osservare un rifiuto nello scattare fotografie a persone, accompagnato da un grande senso di ansia e un sentimento di essere giudicati male solo perché diversi, che purtroppo significa che non hanno superato il sentimento di “sentirsi diversi”. Sono infatti solo quattro le foto in cui le persone sono state fotografate di proposito (a destra in alto una di queste). Chiedendo ai fotografi il perché di tale scelta le risposte sono state: “ho paura del giudizio altrui”, “preferisco non farmi vedere con la fotocamera in mano”, “se chiedo a qualcuno di posare o se mi vedono scattare una fotografia, poi c’è il rischio che vengano a farmi domande”. Questo fattore ha sicuramente influenzato il momento dello scatto.

M, 4 Chicchiere

D, Mensa “Ex Agip” 13


SOFFERENZA NEL RIVEDERSI NEGLI ALTRI Tutti i ragazzi hanno mostrato fin da subito di essere riusciti in parte a diventare padroni della propria esistenza. In qualche modo si mantengono sempre impegnati attraverso piccoli impieghi lavorativi, attività di volontariato oppure corsi di lingua o percorsi scolastici, e questo li aiuta anche a non pensare a ciò che di negativo è ancora presente nella loro vita. Spesso mi confidavano che dentro soffrono molto, ma che l’unica soluzione è quella di tenere duro e non mollare mai. Nonostante le brutte situazioni che si sono trovati a vivere la loro determinazione li ha ripagati. In loro nascono momenti di tristezza anche quando incontrano per la città persone che a differenza di loro non ce l’hanno fatta e la sensazione di non poterli aiutare per la mancanza di risorse a disposizione li demoralizza. Una testimonianza di tale sentimento la troviamo nello scatto qui in alto, in cui di nascosto sono stati fotografati alcuni senzatetto che presidiano quotidianamente il piccolo parco tra

C, C’è chi aiuta e chi ha bisogno d’aiuto

il parcheggio auto di Piazza Vittoria e il Monumento alla Vittoria. “Ho scelto di fare la foto a queste persone in piazza Vittoria perché penso che ad oggi siano quelli che vengono più ignorati e quindi penso che siano quelli che abbiano più bisogno”. Le stesse emozioni hanno portato C a scattare la foto qui di fianco, in cui una squadra di infermieri sta prestando soccorso ad una persona di strada. Fortunatamente tutti e tre i fotografi hanno espresso un giudizio molto positivo della

D, Ciò che nasconde il monumento 14


città e, se le condizioni glielo permetteranno, hanno intenzione di rimanerci. In loro ho visto molta positività e sicurezza in sé stessi già nei primi incontri e questo mi ha rassicurato e garantito la giusta motivazione per condurre con determinazione il progetto.

UNA PRIMA VERIFICA DEGLI OBIETTIVI I risultati fin qui raggiunti risultano essere solamente una prima verifica degli obiettivi educativi, dal momento che si tratta di una prima valutazione avvenuta subito dopo il termine del progetto, e in quanto tale non tiene conto degli effetti e delle conseguenze che potrebbero presentarsi lasciando passare un po’ di tempo. Le fotografie che sono state scattate indicano senza dubbio che i partecipanti hanno partecipato all’attività individuale di produzione con grande impegno e dedizione. Non solo durante il momento dello scatto, ma anche negli incontri successivi i partecipanti hanno dimostrato di aver preso sul serio il loro ruolo all’interno del progetto. La costanza con cui si sono messi a disposizione durante l’intero percorso, ma soprattutto negli incontri di analisi e riflessione è la testimonianza che sono riuscito ad instaurare relazioni di fiducia, le quali hanno trasmesso una sensazione di sicurezza. La nascita di questo tipo di legame è stato il presupposto fondamentale per attivare lo spazio d’ascolto in cui si sono consumati momenti di libero confronto e libera espressività. Grazie a tutto ciò è stato possibile, partendo dalla valorizzazione delle informazioni visuali, sviluppare riflessioni critiche e pensieri costruttivi che hanno stimolato lo “sguardo critico” dei partecipanti nei confronti delle proprie fotografie. Gli scatti, che loro stesso hanno prodotto, rappresentavano una porzione del mondo in cui loro hanno vissuto e tutt’ora vivono. Questo fattore ha motivato e spinto i partecipanti a riflettere su sé stessi e sulla propria vita, promuovendo cosi processi di empowering personale che si traducono, crescita positiva dell’identità individuale e sociale, aumento della stima di sé

ed essere consapevoli della propria situazione di vita e delle risorse positive da poter sfruttare per sostenere il miglioramento della propria vita. Il legame nato tra ricercatore e partecipante, che con il tempo ha acquisito sempre più stabilità, ha contribuito, anche se in piccola parte, ad un miglioramento della qualità delle relazioni con gli altri. Saper relazionarsi positivamente e nel giusto modo è sicuramente una competenza che porta ad uno sviluppo vantaggioso della propria vita sociale. Inoltre, attraverso i momenti di confronto e di riflessione attorno alle immagini, i partecipanti hanno potuto migliorare la conoscenza del sistema socio-culturale che li circonda e di cui loro stessi ne sono cittadini. Partire da temi scelti autonomamente è stato di grande vantaggio perché ha reso i partecipanti, fin dall’inizio, conduttori del colloquio. Il sentimento di padronanza unito alla possibilità di essere ascoltati sono stati i fattori fondamentali per mantenere costante un alto grado di coinvolgimento e partecipazione attiva. Attraverso la restituzione dei risultati all’èquipe di OLS si è potuto creare un canale tra i partecipanti (che genericamente rappresentano il gruppo degli utenti dei servizi di strada) e le istituzioni assistenziali che possa promuovere un cambiamento della struttura socio-assistenziale e quindi un’azione sociale. La consapevolezza di questo ultimo passaggio ha conferito ai partecipanti un sentimento di responsabilità che ha sicuramente favorito la sensazione di chi vi ha partecipato nel sentirsi parte attiva alla cittadinanza.

RIFLESSIONI PEDAGOGICHE FINALI Il Photovoice si pone come fine ultimo la promozione di un cambiamento sociale. Per le sue dimensioni ridotte, il progetto qui proposto non sarà probabilmente in grado di dar vita ad un’azione sociale vera e propria, e per questo motivo gli obiettivi principali che voleva raggiungere si riferiscono perlopiù ad uno sviluppo positivo e guidato dei partecipanti. 15


Nel nostro caso è bene dunque enfatizzarne i tratti che hanno contraddistinto il loro percorso educativo. Il Photovoice nasce dai principi metodologici della ricerca-azione, la quale ha lo scopo di individuare e migliorare situazioni problematiche attraverso un processo educativo che coinvolge tutti coloro che ne prendono parte. A tal proposito esso sembra essere uno strumento di ricerca-azione partecipata, che per mezzo di momenti di riflessione attorno a fotografie, riesce a coinvolgere i partecipanti in un processo attivo capace di costruire una conoscenza individuale e collettiva. Il sapere che ne deriva è orientato all’azione, e se gestito in modo adeguato può dare vita in seguito ad un cambiamento sociale. Un aspetto pedagogico fondamentale della metodologia è l’alto livello di partecipazione e collaborazione: essa infatti promuove il totale coinvolgimento di tutti coloro che hanno preso parte al progetto. Il ricercatore dunque non deve essere un personaggio esterno che osserva e dirige il gruppo di lavoro dall’alto, ma deve essere parte integrante della ricerca sul campo, interfacciandosi e collaborando in prima persona con i partecipanti come se fosse uno di loro. In questo progetto si è cercato di mantenere questi due fattori costanti, e proprio grazie a ciò è stato possibile creare un senso di equilibrio ed uguaglianza condiviso che ha favorito la nascita di un contesto positivo di lavoro. Il lavoro di analisi individuale che essi hanno svolto sulle proprie foto ha dato loro una possibilità di rifleTtere allo stesso tempo su di sé, sui loro vissuti e sulla loro condizione di vita presente, passata e futura. All’interno dei momenti di riflessione, il mio contributo è servito per organizzare e gestire i vari pensieri al fine di creare nuove prospettive nelle quali i partecipanti stessi potessero identificarsi. Ascoltare e valorizzare tutto ciò che in un’attività di Photovoice viene detto, aiuta a rafforzare l’autostima e la consapevolezza di sé. Se come abbiamo già affermato, “educare” significa “tirare fuori ciò che uno ha dentro di sé”, questa metodologia si allinea con tale definizione e ne determina a tutti gli effetti un processo educativo.

BIBLIOGRAFIA Harrel-Bond, B. (2005). L’esperienza dei rifugia ti in quanto beneficiari di aiuto. Annuario di Antropologia, 5(5), 15–48. Mauss, M. (1965). Teoria generale della magia e altri saggi. In Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche. Torino: Einaudi. Oltre La Strada. (2017). Relazione annuale 2017 Progetto Oltre la Strada. Associazione Volontarius ONLUS. Singhal, A., & Devi, K. (2003). Visual Voices in Participatory Communication. Communicator, XXXVIII(2). Sorgoni, B. (2013). Prima di valutare la gente ti devi prendere il tempo di conoscerli. In Sehen un gesehen werden. Visti ed essere visti. Ora: Varesco.

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