4C

I.S. A. NIFO LICEO SCIENTIFICO

"ETTORE MAJORANA"

UGO FOSCOLO classe 4C a cura della Prof.ssa M.F. Di Palo impaginazione a cura di: C. Lettieri e M. Zarro

Dedichiamo questo lavoro a coloro che hanno ancora un briciolo di speranza e che continuano a lottare.

Lo dedichiamo alla nostra insegnante, che ci ha permesso di esprimerci a modo nostro e che ci indirizza sempre verso nuovi obiettivi; e lo dedichiamo a noi, alla 4C, che sta crescendo lontana, ma pur sempre vicina.

INDICE ""La Vita in un click" pag. 1 A. Di Bernardo, L. Di Cola, A. Colantuono Linea del tempo e Quiz" G. Marchegiano

pag. 1 -2

"Mappa concettuale "Ugo Foscolo" M. Caimano, S. D'Itri

pag. 3

"La Bellezza" F. Di Donato e P. Sparagna

pag, 4-7

"Le ultime lettere di Jacopo Ortis" M. Di Bello e G. De Fusco

pag. 8-10

"Odi e sonetti" L. Fusco e M. D'Arcangelo

pag. 11-13

"Le Grazie" G. Bevellino e G. Bevellino

pag. 14-17

"Dei Sepolcri" G. palmieri e A. Maliziano

pag. 18-23

"La Critica" L. Giacometti e N. Mastrantuono

pag. 24-27

Linea del tempo della vita Giulio Marchegiano

Tutta la sua vita a portata di click https://prezi.com/view/tv2O9yMe7CYq7Yl5szwF/

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Linea del tempo delle opere Giulio Marchegiano

Conosciamo meglio l'autore con alcuni test! https://docs.google.com/forms/d/1NoCASZoSEu2jEoalZA_Z uQ1CPFJH-aSBS_OArsZ4rOc/viewform?edit_requested=true

https://quizizz.com/admin/quiz/604cf22594c44f001fee798c

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Mappa Concettuale "Ugo Foscolo"

di Mauro Caimano e Simone d'Itri

https://mm.tt/1795061049?t=XQA0bmKcpd

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La poetica Ugo Foscolo è il poeta nelle cui opere si avverte l’eco più profonda della differenza di idee (Neoclassicismo, Illuminismo, Romanticismo) e dei turbolenti avvenimenti (la rivoluzione francese, la coalizione delle potenze europee etc) che caratterizzarono l’età napoleonica e quella ad essa immediatamente seguente.

Egli appartenne a quei poeti che cercarono, tramite il paragone con altri autori, di superare il momento di stallo in cui la letteratura italiana si trovava ormai dal ‘700. Dunque, ricorrendo alla razionalità del mondo classico, alla minuziosità neoclassica e prendendo anche spunto dai geni riconducibili al periodo del Petrarca, riuscì a far emergere la sua personalità e ad elevare la letteratura suddetta. Concentrandosi sul suo io interiore e dando spazio a passioni e dolori, precorse l’inquietudine e la drammaticità, caratteristiche proprie del Romanticismo.

Egli ebbe due visioni della poesia: contemplativa e attiva. Secondo la prima, essa fornisce la possibilità di evadere dalla crudele realtà, raggiungendo la tanto agognata «Bellezza», mentre la seconda considera la poesia uno strumento educativo, di civilizzazione e di educazione morale. All’interno delle sue opere ritroviamo uno stile sublime che ricorre ad un lessico raffinato, all’utilizzo costante di figure retoriche e alla ricerca estenuante dell’armonia nella forma.

ILLUMINISMO Il poeta, figlio del suo tempo, abbraccia molti elementi della cultura dei Lumi. Difatti, egli possiede una prospettiva materialistica e meccanicistica della realtà, secondo la quale, ogni elemento, e l’uomo compreso, è ridotto ad essere pura materia, soggetta anch’essa a leggi meccaniche e altrettanto rigide per cui la vita consiste solo in un moto incessante di nascita, sviluppo e morte.

Quanto detto è dedotto dalla filosofia del sensismo, adottata da Foscolo, per la quale è vero solo ciò di cui si fa esperienza, in quanto riconducibile ai sensi stessi. In questa concezione della realtà si ritrova il più pessimistico pensiero del poeta che, a differenza dei suoi predecessori e contemporanei, crede che l’uomo non abbia ragion d’essere dato che tutti i dolori provati, tutte le sofferenze, tutte le angosce si risolvano nel niente. In seguito a questi pensieri l’autore matura l’idea che l’unica via d’uscita sia il suicidio, siccome rappresenta sia la liberazione dai mali della vita, sia una ribellione nei confronti della natura malvagia.

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»

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Neoclassicismo Foscolo aderisce al movimento del Neoclassicismo, corrente nata in seguito al risveglio della coscienza nazionale che, essendo priva di veri valori, suscita una sempre più accentuata nostalgia del passato e il desiderio di evadere dal presente.

A dispetto della sezione dei poeti che celebrano e innalzano il Medioevo, con la sua natura incontaminata, il Nostro appartiene a coloro che lodano il senso di acquietamento proprio del mondo greco. Quest'ultimo rappresenta il regno della giovinezza eterna, dell’armonia, della grazia e del decoro e possiede come ideale supremo la Bellezza. Essa è più volte richiamata dal poeta il quale ne decanta la capacità di portare rasserenamento all’animo umano e di placarne le sofferenze provocate dalle passioni e dai dolori terreni. Dunque, la Bellezza intesa come grazia femminile, come dolcezza di un paesaggio naturale, come perfezione di un’opera d’arte, non è eterna e spetta al poeta renderla tale attraverso la poesia stessa.

Inoltre, il mondo dell’ Ellade viene considerato come una terra mitica, cioè un modello insuperabile di libertà, moralità e giustizia, valori che risultano essere condivisibili dai cittadini «moderni» e che forniscono uno strumento per raggiungere la sperata identità nazionale, base di una possibile unione politica.

Quanto detto è trattato da Foscolo come impone la poetica neoclassica, dunque in forma elaborata, armoniosa e perfetta che richiama la massima «con pensieri nuovi facciamo versi antichi».

Romanticismo Ugo Foscolo precorre il Romanticismo in quanto, nonostante abbia accolto sul piano teoretico la concezione meccanicistica della realtà, avverte ugualmente l’esigenza di superarla attribuendo alla vita un significato e uno scopo, quali l’amore, la bellezza, la patria, la poesia, l’eroismo e l’immortalità. Tutti questi valori, identificati come illusioni, vengono considerati dal Nostro essenziali all’elevazione in ambito civile, politico, sociale e culturale di tutti i popoli e di tutte le genti. Tra tutte le illusioni, la più importante è la gloria che per Foscolo è sinonimo di immortalità, poiché garantisce che la morte del corpo non corrisponda alla fine della grandezza dell’uomo. Infatti, ciò che non è imperituro non è l’anima dell’individuo, bensì le azioni benevole e magnanime da esso compiute. Dunque, ritroviamo in quanto detto, nel senso spiccato della sua individualità e nella tendenza ad abbandonarsi a dolori e passioni, l’animo preromantico del grande Foscolo, che con i suoi versi rieleva la letteratura italiana.

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FOSCOLO ...

Classicista

o

Romantico

?!

Nonostante il Classicismo e il Romanticismo siano due realtà completamente contrastanti, il poeta viene definito «classicista romantico».

Questa denominazione scaturisce dalla capacità del Foscolo di essere riuscito a conciliare due generi letterari opposti. Infatti da una parte c’è la più pura razionalità e simmetria, dall’altra il prevaricamento della fantasia e delle emozioni, che il poeta è in grado di far coesistere all’interno delle proprie opere.

Questo contrasto rispecchia anche la sua personalità, dominata costantemente da una forte instabilità che lo spinge alla ricerca di un equilibrio che effettivamente non possiede.

ono non s i n o i ass gli stre p onto che o n e c ni.»

«L e del lusio l n i i f e r in ost elle n d i t t e eff

I TEMI

Ugo Foscolo risulta essere un poeta molto selettivo per quanto riguarda la scelta delle tematiche da utilizzare all’interno delle sue opere. In queste ultime vi è sempre un senso di nostalgia e di frustrazione, generato dalla lontananza delle cose a lui più care. Ricorrente, nelle poesie del Foscolo, è la mancanza per la sua patria, quell’Italia ormai da tempo perduta che non riesce a liberarsi dall’oppressione straniera e che è sede dell’unico affetto familiare rimastogli, ovvero la madre. Ancora, possiamo trovare la nostalgia del mondo greco e della sua perfezione, dimora dei veri valori, della stabilità e serenità politica, che appaiono scomparse agli occhi del poeta. Tutto ciò che vede è la legge che legittima il più aggressivo e il più violento a sottomettere coloro che a confronto risultano più deboli. Questa realtà, apparentemente insostenibile, può essere lenita dalla Bellezza, che diventa eterna grazie alla poesia. Secondo il poeta queste ultime, assieme ad altri «fattori» quali l’amore, l’arte e il valore civile, permettono alla vita di assumere un carattere pieno di colore che la lasciano essere vissuta serenamente dagli uomini.

Ma... cos'è la BELLEZZA?

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La Bellezza

La “Bellezza” è un concetto astratto che, venendo a contatto con l’animo umano, suscita compiacimento, ammirazione e piacere. Molti, oltre Foscolo, si sono cimentati nel trattare questo tema e i primi sono stati i pilastri della filosofia greca, ovvero Platone e Aristotele. Questi ultimi, ispiratori della concezione foscoliana, sono anche stati la matrice di una corrente che si è concentrata su questo stesso argomento, estendendolo a svariati e molteplici campi, quali il campo estetico, religioso, etico, artistico, fino ad applicarlo alla conoscenza vera e propria.

La concezione di Bellezza è infatti dominante in alcune delle più importanti opere di Platone, tra cui il “Fedro” e il “Simposio” ove egli afferma che la Bellezza stessa coincide con l’amore, con l’Eros platonico, e con la medesima idea che è posta alla base dell’Iperuranio, dunque il Bene Assoluto. Pertanto, amare significa apprezzare l’estetica, amare significa ammirare lo spirito umano, ancor di più vuol dire amare le scienze, la giustizia, la politica, per poi giungere al suo stato più elevato, che corrisponde all’ episteme del Bene Assoluto.

Per Aristotele invece la Bellezza è sinonimo di armonia, è sinonimo di forma, di utilità …

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Egli è convinto che essa risieda nella natura stessa, in quanto tutto ciò che si va a creare possiede già una finalità, uno scopo e soprattutto è conforme alle due caratteristiche che un oggetto deve avere per essere considerato bello.

Queste ultime sono: la disposizione corretta delle parti che compongono l’oggetto in questione e l’armonia che si genera dalle sue proporzioni. Dunque, per Aristotele, la Bellezza è estetica ma anche intelletto; infatti, è solo quest’ultimo che può coglierne i “tratti” e, in alcuni casi, può scongiurare la prima impressione riguardo l’elemento in esame. Dunque, la suddetta prima impressione non è sempre positiva, anzi alcune volte, a primo impatto, qualcosa può sembrare disarmonico nelle forme, arrivando ad essere ritenuto ripugnante; bene, è proprio in questo contesto che la ragione deve intervenire, per superare il superficiale (quindi l’aspetto fisico) e cogliere la vera essenza dell’essere.

Ma torniamo al Nostro. Foscolo, oltre a trattare il tema della Bellezza, le conferisce un ruolo cardine nella vita di ciascuno, in quanto è capace di rasserenare gli animi, di placare i dolori terreni, di attenuare le sofferenze propriamente umane… Ancora, egli utilizza frequentemente la Bellezza come tema centrale della sua poetica, affermando che il mezzo per renderla eterna è scriverne. Solo così essa non sarà persa nel tempo e potrà svolgere il ruolo curativo che è insito dentro di lei.

E’ proprio per tutto questo che lo stupore, la meraviglia, la curiosità devono costantemente essere vive nelle persone per spronarle e per non lasciarle abituarsi all’idea del “Brutto”.

Quindi, affermare che

“la Bellezza salverà

Oltre agli autori sopra citati, questa tematica è stato sviluppato, nel tempo, anche da molti altri studiosi, tra cui, l’esempio che ci è più vicino, è Peppino Impastato. Quest’ultimo, giornalista condannato dalla mafia e assassinato nel 1978, ha eseguito un’analisi molto critica riguardo la realtà che persiste in alcune zone del mondo. Egli si è opposto allo sfacelo creato dalle organizzazioni criminali, invocando la Bellezza come strumento educativo e come arma contro la paura, la rassegnazione e l’omertà, affermando che se qualcosa non funziona ed è normalità che non funzioni, non è detto che quest’ultima debba rimanere tale per sempre.

il mondo”

è ciò che meglio descrive il fattore per cui, se ci impegnassimo a preservare il nostro patrimonio artistico, culturale e anche spirituale, potremmo determinare un cambiamento nella società odierna che, non assopendosi e non assuefacendosi più, imparerebbe a vivere nella tanto agognata Bellezza cioè nel Bene. Siamo d’accordo con il grande Dostoevskij quando, nel romanzo "L'idiota", dice che non si deve lasciare che sia il Brutto a trionfare sul Bello, né il Male a trionfare sul Bene.

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Sparargna e Di Donato

OPERA "Le Ultime lettere di Jacopo Ortis" Le “Ultime lettere di Jacopo Ortis” è un’opera di Foscolo redatta tra il 1798 e il 1816. L’autore, dopo essersi arruolato nel contingente della Repubblica cisalpina, si trova a Bologna.

Qualche mese prima, il suicidio di uno studente a Padova lo ha scosso a tal punto da portarlo a scrivere il romanzo epistolare.

Nel 1798 un editore procede a stampare l’opera ma Foscolo deve partire per una spedizione militare interrompendo tutto.

Lo stesso editore, Marsigli, affiderà gli scritti a un collaboratore, pubblicandoli all’oscuro di Foscolo, il quale diffiderà, in seguito, le persone che attribuiranno a lui il libro. Nel 1802 verrà finalmente pubblicato, a Milano, il romanzo originale, con il titolo di “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, che comprende le quarantacinque lettere iniziali e le avventure del protagonista, fino alla sua morte.

Durante l’esilio in Svizzera, l’autore divulga una nuova edizione fingendo di averlo scritto in un luogo e in un momento diverso, e senza l’aggiunta di nuovi contenuti politici, che invece erano presenti nel romanzo, con toni di pessimismo nei confronti dell’Italia. Inserisce un’ulteriore lettera di carattere politico, cercando di far capire il suo pensiero e le cause del suo esilio. L’opera percorre un lasso di tempo che va dal 1797 al 1799, anno del suicidio dello studente.

Al cognome di quest’ultimo corrisponde parte del titolo del libro, mentre il nome probabilmente è ispirato a un autore francese, Jean-Jacques Rousseau.

Le lettere erano indirizzate a un amico del ragazzo, Lorenzo Alderani, che porge al lettore una fonte di esempio e di conforto. Foscolo sceglie il genere epistolare, perché non apprezza nessuna altra forma di romanzo italiano, ma preferisce prendere ispirazione dai modelli europei che consentono di spaziare in più temi e stili.

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Inoltre, è proprio nelle epistole che si può scrivere in modo più spontaneo e vero, nelle quali gli eventuali bruschi passaggi vanno di pari passo con i mutamenti dello stato d’animo del protagonista. Anche se Foscolo è solo l’autore dell’opera, esaminando le vicende di Jacopo riviviamo alcune delle sue esperienze di vita, come la delusione politica, gli spostamenti di città in città e il pensiero insistente del suicidio. È proprio per queste similitudini che il libro ha il carattere di un romanzo-verità, anche se è pur sempre una semplice costruzione letteraria. Due sono le passioni che dominano lo stato d’animo del protagonista. La prima è quella per la patria della quale giudica l’immaturità civile e politica dei cittadini, che non sono stati capaci di prendere in mano la situazione, reagendo al tradimento di Napoleone e alle persecuzioni degli austriaci. La seconda passione è quella dell’amore per una donna, che passerà dall’essere l’unica ragione di vita di Jacopo Ortis, all’essere ciò che lo ha distrutto, portandolo al suicidio. Infatti, la donna di cui è innamorato era già promessa a un altro uomo. Secondo il parere di alcuni critici, come quello di Matteo Palumbo, viene evidenziata la crisi storica tra l’io e gli altri, infatti non c’è fiducia nei legami familiari e nei legami della vita civile. Un esempio ci è dato dal matrimonio che viene sempre considerato in modo negativo e mai in grado di portare amore e felicità. Nelle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" il suicidio viene esposto come l’unico provvedimento possibile per salvarsi dalle indegne crudeltà della vita umana: nel romanzo, infatti, la figura del protagonista è oppressa fin dall’inizio da un’angoscia estrema e la scelta del suicidio, come unico rimedio alle avversità della vita, è avanzata anche da vari personaggi. Ad esempio, troviamo la figura addolorata di Lauretta (giovane amica di Jacopo, impazzita e poi morta di dolore per la scomparsa del suo amato), e l’incontro con un uomo deperito in un paese ai piedi delle Alpi Marittime, esule veneziano anch’egli per ragioni politiche.

L’uomo consunto è la rappresentazione di ciò che il protagonista diventerebbe se sposasse ad ogni costo Teresa: Jacopo si è congiunto ad una povera donna amata, con cui ha avuto una figlioletta, ma talune controversie con un amico gli hanno causato la perdita del lavoro, riducendolo in una condizione di assoluta miseria e prostrazione. Per Jacopo è inaccettabile condurre un’esistenza nella mediocrità e trascinare con sé, in questo infimo status, anche l’amata. Il girovagare per l’Italia gli risulta, sin dall’inizio di questa sua scelta, un inutile espediente per rinviare il disonorevole destino di morte che lo attende. Ma nel momento in cui il matrimonio tra Teresa e Odoardo giunge a compimento, per Jacopo il suicidio approda tempestivamente. Codesto atto si configura come una protesta estrema: il protagonista si rifiuta di appartenere ad un mondo in cui la libertà per la patria e l’amore per una donna amata appaiono desideri irraggiungibili. Nel romanzo, il rito con cui egli si dà la morte è costruito con sfumature teatrali: il giovane si veste con abiti eleganti, sceglie come arma un pugnale e compie l’ultimo gesto di baciare il ritratto dell’amata. Le descrizioni dei paesaggi rispecchiano la mutevolezza dello stato d’animo di Jacopo.

Nature selvagge e minacciose sono alternate ad ambienti idilliaci sublimati dalla forza dell’amore, condizioni di serenità in cui Ortis anela la pace, dove i rapporti degli uomini sono regolati dalla concordia, e vivere non è mai stata una sensazione così rasserenante per lo spirito umano. Tuttavia, si tratta di illusioni caduche e precarie che non possono asservire la violenza della storia e l’intensità irrimediabile del dolore personale. Il romanzo epistolare di Foscolo presenta molti punti di contatto con "I dolori del giovane Werther" di Goethe. Il romanzo tedesco, pubblicato nel 1774, è composto dalle lettere che il giovane borghese Werther invia all’amico Wilhelm, e racconta le sofferenze amorose del protagonista per Charlotte (soprannominata Lotte), già promessa in sposa di un uomo gentile e avveduto, Albert. Werther, nonostante sia tormentato dall’amore per Lotte, nutre considerevole rispetto e amicizia per il suo contendente.

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Su proposta di Wilhelm, accetta un incarico diplomatico per ricominciare una nuova vita, ma l’ipocrisia delle classi aristocratiche lo annichilisce, tanto da indurlo a rinunciare all’impiego. Tornato in patria, viene a conoscenza delle nozze tra Lotte e Albert, ed è subito sgomentato dall’amore e dalla malinconia.

Approfittandone dell’assenza di Albert per motivi diplomatici, Werther riprende nuovamente a frequentare l’amata. Un giorno, si lascia travolgere dalla passione e la bacia, ma Lotte, pur mostrando affetto per lui, non lo asseconda, poiché desidera rimanere fedele al marito. Estremamente angosciato per l’impossibilità di conciliare le proprie passioni, e avvilito nei confronti del mondo, Werther obbliga Albert a farsi prestare le pistole e si spara alla tempia.

Nella Notizia bibliografica Foscolo sostiene che la sua opera è nata in totale autonomia e indipendenza dal romanzo di Goethe, che all’epoca ancora non aveva letto. Venuto poi a conoscenza dell’opera, Foscolo rimane allibito dalle inconcepibili somiglianze, tant’è che dubita se affidare o meno alle stampe il suo romanzo. Foscolo, però, continua a rivendicare la propria autonomia, ribadendo che entrambi gli scrittori hanno fornito, con le proprie capacità e sensibilità, un simulacro della natura umana. Tuttavia, il poeta decide di affinare e proseguire la stesura della sua opera assumendo come modello Goethe. Ma tra i due romanzi passano in rassegna alcune differenze: il destinatario delle lettere del romanzo tedesco è esclusivamente un nome, invece Lorenzo è un uomo che interagisce, compiange e condivide le emozioni del suo triste amico; la donna amata da Werther è felicemente sposata, mentre Teresa è una donna che soffre per un matrimonio non voluto e non contraccambia l’amore di Jacopo per fedeltà verso la famiglia; l’amore in Werther è un veleno che si insinua nell’anima, l’amore in Foscolo è, invece, un espediente utilizzato come distrazione da una passione più violenta; Werther si affeziona ad Albert, mentre Jacopo disprezza Odoardo dal primo incontro; il suicidio in Werther nasce improvvisamente, come un assalto di nervi, in Ortis si configura come un’inclinazione che sentiva da tempo. In particolare, nel romanzo di Foscolo viene messa in risalto l’importanza del tema politico: la narrazione è ambientata nel 1797, anno in cui si verificavano frequentemente persecuzioni politiche, esili e cambiamenti drammatici. Nel romanzo di Goethe è, invece, del tutto assente: compare soltanto una riflessione del protagonista in cui avverte un senso di estraneità nei confronti dell’ambiente sociale.

Foscolo fa affluire nel suo romanzo tutte le sue conoscenze filosofiche e letterarie e inserisce moltissime espressioni tratte da innumerevoli autori (Plutarco, Dante, Petrarca, Machiavelli, Tasso, Alfieri, Ossian, Goethe, Montaigne, Rousseau, Laurence Sterne e tanti altri). Per quanto riguarda i riferimenti, nella Notizia bibliografica Foscolo spiega di aver voluto porsi nell’antica maniera dell’imitatio, ovvero la reinterpretazione e la rielaborazione di altri modelli letterari, intesa come omaggio e non come plagio.

Inoltre, l’intellettuale Maria Antonietta Terzoli ha messo in evidenza l’importanza dei numerosi rimandi al modello biblico, da cui Foscolo trae una veemente carica di passioni; vi sono anche parecchi elementi che assumono valenze religiose simboliche e stabiliscono un legame tra Jacopo e Cristo. Ad esempio, la prima lettera sia apre con l’espressione «Il sacrificio della patria nostra è consumato» che fa riferimento alla frase evangelica Consummatum est, ovvero “tutto è compiuto”, pronunciata da Gesù prima di morire; Jacopo si arreca la ferita mortale al petto, come la lancia che trafigge il costato di Gesù; il suicidio di Jacopo avviene il venerdì santo, giorno in cui i cristiani ricordano la crocifissione. Come Gesù, anche Jacopo è una vittima che paga per colpe altrui; allo stesso modo Foscolo spera che il suo addolorante esilio possa essere motivo di salvezza per altri.

Secondo Terzoli, infatti, Foscolo auspicava che il suo esilio non venisse visto come conferma di una sconfitta, ma come condizione necessaria di una futura, anche se lontana, redenzione politica dell’Italia.

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M. Di Bello e G. De Fusco

ODI E SONETTI di Lucia Fusco e Maria d'Arcangelo Nel 1803 Foscolo pubblica a Milano una raccolta intitolata poesie che contiene numerosi componimenti, alcuni dei quali già pubblicati nei mesi precedenti. L’edizione definitiva comprende due odi e dodici sonetti e si ispira ai modelli di Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri. Si tratta di una raccolta breve, che dimostra la tendenza dell’autore a selezionare rigorosamente i suoi testi secondo il suo motto “il peggio è scriver troppo”, che compare per la prima volta in una lettera all’amico Niccolini. Oltre ai già noti Parini e Alfieri, Foscolo si ispira anche ai classici e ad autori greci pseudoomerici, come Callimaco.

LE ODI Le "Odi" di Foscolo, composte contemporaneamente all’"Ortis", possono essere considerate serene esaltazioni della bellezza.

Esse sono “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All’amica risanata”, pubblicate entrambe in edizione definitiva nel 1803.

Entrambe nascono da una precisa occasione, ma non si riferiscono né a nozze, né a circostanze private come solitamente avveniva nel ‘700: “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” trae spunto da un incidente occorso a una nobildonna genovese, che aveva riportato gravi ferite al volto, mentre “All’amica risanata” è rivolta ad Antonietta Fagnani Arese, all’epoca amante di Foscolo e reduce da una seria malattia.

La prima è una lirica galante: le strofe sono composte da settenari piani e sdruccioli e il lessico è caratterizzato da numerosi aggettivi. Segue un procedimento tipicamente neoclassico, un fatto di cronaca di per sé impoetico viene nobilitato da molteplici riferimenti mitologici e da un linguaggio elaborato e prezioso; il poeta accosta l’infortunio della nobildonna a quello subito da Venere, alla quale una spina ha trafitto il piede, e poi a un incidente occorso a Diana, la dea della caccia.

L’ode “All’amica risanata”, al contrario, non si limita a porgere un omaggio galante, ma attribuisce un significato più profondo alla poesia come generatrice di miti. Il ritmo è più mosso e il linguaggio non ha mai soltanto lo scopo di abbellire.

In entrambe è centrale il tema della bellezza femminile, mostrata attraverso immagini di divinità greche; la mitologia, infatti, viene vista come una creazione artistica che custodisce la verità profonda.

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I SONETTI Il sonetto è una forma metrica che ha alle spalle una lunga tradizione e Foscolo si collega in particolare al modello petrarchesco: se nel "Canzoniere" il numero dei testi rimandava ai giorni dell’anno, nelle rime il dodici suggerisce il numero dei mesi.

Nel primo si coglie il fascino della fatal quiete, in grado di placare uno spirito inquieto.

Nel secondo il poeta è incerto sulla propria identità e tentato dal suicidio.

Nel terzo l’autore difende la tradizione classica messa a repentaglio dalle nuove leggi della repubblica cisalpina.

Dal quarto al sesto l’io lirico è dominato dall’amore.

Il settimo è ispirato alla Roncioni e scritto dal poeta mentre si trovava in Liguria aggregato alla Cisalpina, risente ancora di quei risultati disuguali osservate in "Perché taccia...". Esso si apre con un'apertura decisa e vibrante ma si avvertono alcune forzature del tono e un atteggiamento di tipo oratorio.

L’ottavo e il nono sono dedicati ai luoghi amati.

Il decimo rievoca la triste sorte del fratello.

Negli ultimi due sonetti emerge la fine della creatività poetica. In essi vengono ripresi i temi centrali dell’"Ortis": la presenza di un eroe sventurato, il conflitto con il presente, la morte come unica soluzione l’impossibilità di trovare un rifugio e il valore della poesia.

A Zacinto Il dolore dell’esilio è il tema foscoliano per l’eccellenza e anima il ritmo inquieto del sonetto “A Zacinto”, che Foscolo compose negli ultimi mesi del 1802 e nei primi del 1803.

Il titolo della poesia è chiaramente una dedica; si tratta di un'isola greca del Mar Ionio vicina al Peloponneso, luogo di nascita dell’autore e oggetto di numerose citazioni omeriche, a cui egli si ispira.

Anche qui, infatti, il poeta si rispecchia in una figura eroica sventurata e tormentata, si sente in conflitto con il proprio tempo e vive l’esilio come una condizione sia politica che esistenziale.

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Emerge, dunque, il confronto tra l’eroe antico Ulisse e il poeta: Ulisse è l'eroe greco per eccellenza, il viaggiatore sfortunato dall'esilio lunghissimo, che però alla fine si riscatta per perché riesce a ritornare a Itaca e le sue gesta furono cantate dal sommo poeta Omero, Foscolo invece, nonostante la vita agitata e passionale, ricca di viaggi e fughe, non potrà mai ritornare alla sua terra natale, né sarà ricordato da nessuno dopo la morte.

Questa contrapposizione permette al poeta di collegare direttamente la propria vita a quell'ideale classico da lui inseguito, e a presentarsi in qualche modo al lettore come l'ultimo erede di una lunga tradizione poetica che risale fino agli antichi greci.

Troviamo, inoltre, un’introduzione al pessimismo foscoliano: il tema dell'inquietudine, dell'esilio dalla propria Patria, e quelli, importantissimi, della morte e della memoria.

Il sonetto costituisce una perfetta sintesi della dominante tradizione neoclassica e degli innovativi orientamenti romantici dell’autore ed emerge il pensiero di una vita avversa, che va affrontata secondo una concezione materialistica e che esclude un possibile rifugio nella religione. Tra le due componenti, è l’anima romantica a prevalere, infatti l’errare senza meta che si conclude con la morte dell’eroe in terre lontane è un tema tipicamente romantico e coincide con l’impossibilità di identificarsi con i valori della società in cui il poeta vive.

Proprio perché si sente estraneo, smarrito e ribelle, l’eroe romantico ama rappresentarsi come un esule, costretto ad un perenne vagabondaggio, destinato a concludersi tragicamente.

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Le Grazie Quella raffigurata è la copertina della prima storica pubblicazione de «Le Grazie» nella ricostruzione completa. Infatti del poemetto composto da Foscolo in onore dello scultore Antonio Canova, mai completato, vennero pubblicati solamente alcuni stralci e fu grazie allo studioso Francesco Saverio Orlandini che il testo venne ricomposto e pubblicato nel 1848.

Il progetto non è stato per nulla facile, rendendo necessario l’utilizzo di molti metodi diversi per rendere coerente il testo.

la prima stesura

la stesura

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Le Grazie sono una delle opere incomplete di Foscolo, che iniziò e revisionò più volte tra il 1803 e il 1822. La sua stesura è stata molto lenta e discontinua, caratterizzata da riprese e interruzioni, fino al decisivo abbandono dell’opera.

Nel 1803 Foscolo pubblicò il «Commento alla Chioma di Berenice», elegia greca di Callimaco tradotta in latino da Catullo, in cui inserì alcuni frammenti delle Grazie che definì testi greci ritrovati e tradotti.

Qualche anno più tardi, nel 1822, inserì altri 184 versi, definendoli «frammenti di un inno greco dedicato alle Grazie».

Le Grazie è un poema mitologico diviso in 3 inni e di forte ispirazione neoclassica,per l’utilizzo di miti e di modelli della poesia greca. Ogni inno è dedicato a una delle 3 dee, figlie di Zeus e portatrici di civiltà: Venere (dea della bellezza), Vesta (dea del focolare domestico), Pallade (o Atena, dea delle arti e dell’ingegno).

La disorganicità dell’opera rende molto difficile Raffaello Sanzio, Tre Grazie, 1503-1504, olio su tavola, Chantilly, Musée Condé l’organizzazione dei versi, rendendola quindi molto frammentata e in alcuni L'inno a Venere e la dedica casi abbozzata.

Il primo inno è composto da 299 versi ed è dedicato a Venere, dea della bellezza e dell’amore.

Narra dell’arrivo delle grazie sulla terra per portare civiltà e migliorare la condizione degli uomini, che le accolgono con le urla e le armi. Per questo Venere farà sprofondare la terra dando vita così all’isola di Citera, luogo in cui avrebbero vissuto i cosiddetti «barbari». Le grazie, quindi, attraverseranno la Grecia per far conoscere la civiltà agli uomini.

Nel primo Inno inoltre è presente una dedica a Canova.

La struttura

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Il secondo inno è dedicato a Vesta, dea del focolare domestico. È ambientato in Italia sulla collina di Bellosguardo, dove 3 donne: Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti, Maddalena Bignami (probabilmente amanti del poeta), recitano dei riti in onore di Vesta accompagnati da musica, poesia e danza, esaltandone i valori educativi e nobilitanti.

L'inno a Pallade

L'inno a Vesta

Il terzo inno è dedicato a Pallade, dea delle arti e dell’ingegno. A causa della violenza degli uomini e delle forti passioni umane, le Grazie sono costrette a rifugiarsi nella leggendaria Atlantide.

Pallade quindi, offesa dal comportamento degli uomini, tesse un velo sottilissimo con cui proteggere le Grazie. Per la realizzazione sarà aiutata da molte dee, tra cui Flora, dea della primavera e Erato, musa del canto. Una volta realizzato il velo, continuarono la loro missione civilizzatrice.

Gli esseri umani nelle grazie sono esseri barbarici, segnati dalla violenza e dalla lotta ai propri simili. Ma Foscolo rappresenta gli uomini in quel modo riferendosi al suo particolare periodo storico, segnato dalle guerre napoleoniche e dalla violenza verso i propri simili, a cui le divinità nell’opera provano a porvi rimedio.

Quindi Foscolo condanna l’atteggiamento degli uomini, esaltando invece i valori dell’humanitas al di sopra degli istinti violenti.

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I temi dell'opera

Le Grazie di Canova

Le rappresentazione delle Grazie era un tema molto ricorrente all’epoca del poeta: una delle più celebri è sicuramente quella del contemporaneo Antonio Canova, a cui è dedicata l’intera opera.

Le Grazie nell'arte

Antonio Canova, Le tre Grazie, 1813- 1816, marmo, altezza 182 cm, San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage

Canova non è l’unico, infatti sono tantissimi i riferimenti alle Grazie anche in periodi precedenti, attribuiti ad artisti del calibro di Botticellie Raffaello e tanti altri.

Ma non finisce qui, infatti si sono ritrovate raffigurazioni delle Grazie risalenti ad epoca romana, capiamo così quanta importanza avevano queste figure.

Gaia Bevellino e Gabriele Bevellino 17

"Dei Sepolcri" G. Palmieri & A. Maliziano

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Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento negli ambienti culturali europei si discusse molto sul tema delle sepolture tanto che in ambito letterario si diffuse addirittura il “gusto della poesia cimiteriale” grazie a poeti inglesi come James Hervey, Thomas Gray ed altri. I ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei diedero, poi, maggiore vitalità a dibattiti sul tema della morte e delle rovine e a tutto ciò si aggiunsero anche pubblicazioni in Francia, alla fine del XVIII secolo, sulla gestione dei cimiteri, su come edificare le tombe, dove collocarle, per confluire, poi, in considerazioni sulle funzioni morali e civili dei sepolcri. Tutto questo fermento nacque dal desiderio di ristabilire, in particolare, i culti tradizionali dopo l’ondata rivoluzionaria francese che aveva dissacrato i riti religiosi e favorito la diffusione di fosse comuni in nome di un radicale egualitarismo che moralmente avrebbe portato alla cancellazione dei ricordi e del legame tra vivi e morti.

In un primo momento Foscolo ha rispecchiato abbastanza le idee rivoluzionarie tant’è che, nella primavera del 1806, a Venezia, ospite di Isabella Teotochi Albrizzi, il poeta si scontrò dialetticamente con il suo amico e poeta, Ippolito Pindemonte, sostenendo la sua visione materialistica della morte e delle sepolture contro le ragioni morali e religiose sostenute da Pindemonte.

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Quando, poi, il 5 settembre del 1806, venne esteso anche all’Italia il famoso Editto di SaintCloud di Napoleone, che vietava la sepoltura dei defunti nelle chiese e nei centri abitati e l’uso di tombe “personalizzate” a favore di sepolture tutte uguali e senza nome, il poeta cambia parere e compone una lunga epistola in versi dedicata al Pindemonte, nella quale egli mostra chiaramente il suo nuovo pensiero ed il suo avvicinamento alle tesi del suo amico: nasce così il carme “Dei Sepolcri”, un’opera composta di 295 endecasillabi sciolti che viene pubblicata a Brescia nel 1807.

Molti, compreso il Pindemonte, non apprezzarono appieno il valore del componimento giudicandolo alquanto pesante e di difficile lettura, ma ci furono anche numerose recensioni entusiasmanti che misero in evidenza la forza delle immagini del carme, la ricchezza di esempi antichi e contemporanei, l’intensità delle riflessioni. Oggi l’opera è un riferimento imprescindibile non solo per la letteratura nazionale ma anche per la cultura popolare.

I temi de Dei sepolcri sono diversi e tutti sviluppano un unico ragionamento, per così dire, filosofico secondo il quale partendo dalla domanda retorica iniziale si arriva all'affermativa conclusione: la poesia rende eterne le tombe dei grandi uomini e dei grandi eroi che un popolo esprime nel corso della propria civiltà.

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Il tema centrale del carme è, dunque, quello dei sepolcri, cioè delle tombe viste e giustificate da vari punti di vista: da quello igienico a quello privato, da quello sociale a quello civile, da quello della civiltà a quello poetico, da quello simbolico a quello filosofico.

Devo precisare, tuttavia, che Foscolo non viene mai meno alla sua visione meccanicistica della morte ed egli la rappresenta in tutta la sua cruda materialità, come distruzione inesorabile della vita e dei corpi; ma le tombe, corredate dal nome del defunto, rendono ancora possibile il dialogo tra vivi e morti, fungono da slancio ad emulare le imprese virtuose dei defunti e sono di ispirazione per i poeti. La tesi più importante e propositiva del carme è in effetti, la considerazione di Foscolo che le tombe sono importanti più per i vivi che per i morti, perché i vivi ricevano dalle tombe il ricordo e l’esempio di chi non è più.

La composizione viene di

solito divisa in quattro parti.

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Nella prima parte (vv 1-90) egli affronta chiaramente il tema dell’utilità della tomba e dei riti funebri. La tomba, da un punto di vista materialista, non è importante ma diventa una corrispondenza di amorosi sensi.

Essa ha un forte valore affettivo per le persone care che ricordano il defunto. Quando i vivi si recano sulla tomba dei loro cari avvertono ancora un collegamento con essi. Per questo trovano un momento di pace per l’animo.

Nella seconda parte (vv 91-150) egli fa una specie di ricognizione di tutte le concezioni della morte nel corso del tempo. Il modello di sepoltura cattolico viene considerato sorpassato, mentre viene osannato il modello classico. La tomba viene considerata, quindi, da un punto di vista storico come espressione della civiltà del mondo.

Nella terza parte (vv. 151-212) Foscolo indaga sul significato pubblico della morte: vengono infatti ricordate le tombe dei grandi personaggi, tra cui il Machiavelli e l’Alfieri, sepolti nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Egli insiste, in particolare, sul fatto che le tombe dei grandi stimolano i caratteri più virtuosi a continuare l’opera dei primi.

Visitando le sepolture di personaggi illustri si è portati, secondo il poeta, ad imitare il loro buon esempio. L’invito dell’autore è, quindi, quello di ritrovare la dignità dei grandi ideali trasmessi dalle personalità del passato grazie al valore della tomba.

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Nella quarta parte (vv. 213-295) egli arriva a conferire valore morale alla morte: essa ricompensa tutte le ingiustizie subite in vita. Questa conclusione è fondamentale perché, a partire da questa tematica, l’autore afferma il concetto di poesia eternatrice. Anche la tomba è soggetta all’usura del tempo: soltanto la poesia può conservare la memoria di una persona per sempre.

Infine il poeta cita l’autore per eccellenza, Omero, che ha cantato la guerra di Troia e ha permesso di ricordare il valore di tutti i personaggi, vincitori e vinti. La poesia, quindi, assume lo stesso significato delle tombe: preservare il ricordo.

Ma è molto più potente di esse perché è in grado di durare per sempre e resistere al trascorrere del tempo.

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LA CRITICA - UGO FOSCOLO Essendo Ugo Foscolo uno dei principali poeti, scrittori e letterati italiani (nonché un notevole esponente del neoclassicismo e del preromanticismo, durante l'età napoleonica e la prima Restaurazione), fu soggetto a numerosi apprezzamenti e svariate critiche da parte dei suoi contemporanei e divenne oggetto di riflessione letteraria da parte dei suoi successori.

- - In questo contesto, il sonetto di Odoardo Samueli e l’ode di Fernando Vaini, nell’'Anno Poetico” del 1797, concorrono nel darci un ritratto preromantico ed e sasperato del giovane Foscolo, a cui indubbiamente cooperavano il suo aspetto fisico, il suo atteggiamento ispirato e insieme la sua prima prestazione poetica.

- Attraverso alcuni versi dell’opera “Ritratti” di Isabella Teotochi Albrizzi, l’autrice rappresenta un ritratto squisito e pieno di ammirazione nei confronti di Ugo Foscolo, un ritratto romantico e neoclassico di rara efficacia, prima dei ritratti più tesi ed eroici di Francesco Maggini e di quelli caricaturali e malevoli di Nicolò Tommaseo e di altri critici avversi.

- Nonostante molti manifestassero questo stessa considerazione verso il Foscolo, egli fu sottoposto a un odio e un disprezzo notevoli: ad esempio, gli attacchi di Vincenzo Monti (noti per la frase “io farò ballare lui sulla polvere dei suoi Sepolcri”) e quelli di Luigi Lampredi, in cui il poeta viene presentato come “promotore del romanticismo nella sua parte meno sana”.

- Tuttavia, le vere e proprie critiche si manifestarono in seguito alla pubblicazione della sua opera intitolata “Dei Sepolcri” nel 1807, dove non avvenne l’uniformità di accoglienza dai lettori; nonostante la presenza di numerose recensioni entusiaste, in cui si esaltavano la forza delle immagini, l’inserimento di esempi dell’antichità oppure della modernità e l’intensità delle riflessioni e delle esortazioni, spiccavano alcune critiche (in particolar modo quelle dell’amico Ippolito Pindemonte, di Melchiorre Cesarotti, e di Saverio Bettinelli), in relazione a questo testo e al testo di “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis”, considerati troppo complessi e oscuri.

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- Mentre la reazione di Ippolito Pindemonte mantenne toni molto consoni e si servì della formula cortese della preterizione, le opere di Cesarotti e Bettinelli furono quelle che attrassero maggiormente l’attenzione dei contemporanei.

I loro giudizi sono molto interessanti, perché rappresentano bene lo stato di incertezza e di divisa ammirazione dei letterati del tempo di fronte alle pubblicazioni di Foscolo, troppo romantiche in una certa direzione, troppo neoclassiche in un’altra, troppo decise ed aspre nei confronti del tradizionalismo ideologico e del compromesso italiano tra credenze tradizionali, razionalismo illuministico e spiritualismo romantico.

- Nonostante fosse amico e consigliere di Ugo Foscolo, Melchiorre Cesarotti reagì energicamente all’opera “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis”, in cui il suo preromanticismo saggio e letterario veniva superato da una profonda e decisa posizione spirituale e lirica. Egli si lamentò dell’eccessività delle idee, delle oppressioni e degli affetti presenti, dichiarando di provare contemporaneamente compassione, ammirazione e ribrezzo nei suoi confronti. Il suo discorso nacque dal bisogno di distinguere il preromanticismo estero, in cui era lecita ogni audacia, da quello patriottico italiano; infatti, l’opera foscoliana avveniva in una zona di maggiore profondità sia nella direzione neoclassica che in quella preromantica.

- Invece, in relazione a questo argomento, il vecchio Saverio Bettinelli si meravigliò molto di “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis” e cercò di prenderlo e reintegrarlo per allegre imitazioni oraziane o per canzonette vittorelliane, a maggior ragione che il giovane Foscolo aveva dato, precedentemente, esempi di una simile versatilità. Tuttavia, egli si lamentò molto dell’eccessiva tensione iniziale dell’opera e della mancanza di un fenomeno catastrofico tale da far tenere costantemente in ansia il lettore. Riguardo l’opera “Dei Sepolcri”, egli sostenne di essersi trovato disorientato a causa del ritmo inaudito, delle immagini straordinariamente eccessive e della difficile verificabilità razionalistica. Sempre in relazione a quest’opera, il tema dell’oscurità si fonde con l’accusa di spiritualismo cattolico, di incredulità e di ateismo, come, d’altra parte, con l’accusa di eccessiva malinconia.

- In riferimento a “Dei Sepolcri”, l’attacco più diretto ed esplicito viene rivolto dall’abate Aimé Guillon, attraverso la pubblicazione di un articolo sul “Giornale Italiano” nel giugno 1807, in cui egli condanna la sua struttura, le sue idee e il suo stile. Peraltro, era criticata l’eccessiva diversità di concetti, l’illogicità di alcuni accostamenti di idee e l’incomprensibilità del linguaggio.

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- Ciò determinò una vera e propria risposta da parte di Ugo Foscolo, attraverso la scrittura della “Lettera a Monsieur Guill… per la sua incompetenza a giudicare i poeti italiani”, articolata in varie idee: ·

l’originalità del lavoro rispetto al genere della poesia sepolcrale (rappresentato da Edward

Young, James Hervey e Thomas Gray) e la funzione politica dell’opera; ·

la necessità di ampiezza delle dimensioni spazio-temporali (e, dunque, il bisogno di potersi

orientare in una grande diversità di epoche e luoghi), a causa della rilevanza dell’obiettivo prefissato; ·

il valore della concentrazione delle idee e della ricercatezza dello stile all’interno di una lirica

sublime, priva di effetti elegiaci; ·

la libertà di interpretazione dei vari concetti, dovuta all’espressione delle sole idee principali e

non della spiegazione/contestualizzazione di esse; ·

la presenza di connessioni logiche e di numerose transizioni (ossia, connettivi logici).

- Invece, nel corso del Risorgimento, l’opera di Ugo Foscolo è oggetto di considerazioni altrettanto contrastanti: la critica cattolica del materialismo e del pessimismo del poeta si oppone all’esaltazione del romanticismo cristiano, rappresentato da Manzoni. Di diversa opinione era Giuseppe Mazzini (laico e democratico), che propose il poeta come un mito alla gioventù italiana impegnata nella lotta.

Il suo giudizio positivo contribuì, durante gli anni risorgimentali, ad affermare una celebrazione di Foscolo come profeta della patria risorta, cantore delle glorie nazionali e modello di comportamento civile e patriottico. E ciò accentuò l’apprezzamento delle sue opere maggiori.

- Attraverso il saggio “Ugo Foscolo poeta e critico”, scritto nel 1871, Francesco De Sanctis riprese le interpretazioni risorgimentali, dandole una sistemazione critica. “Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis” fu considerata come un’opera a sfogo drammatico - lirico e come espressione di una crisi storica, in cui, al crollo dei vecchi modelli culturali sconvolti dalla Rivoluzione Francese, se ne sostituiscono altri più astratti che impediscono al protagonista, animato da forti passioni, di adattarsi alla realtà. Contrariamente, egli esalta i “Sonetti” e le “Odi”; essi rappresentano il processo di assoluzione che culmina nell’opera “Dei Sepolcri”, priva di astrazioni e testimone della concretezza di un mondo interiore.

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- In seguito, negli ultimi anni dell’Ottocento, si afferma la cultura positivistica e il metodo storico della lirica letteraria che si preoccupa della ricostruzione filologica dei testi, ma non si delinea alcuna interpretazione del pensiero di Foscolo.

- Invece, il periodo neoidealistico, che caratterizza i primi decenni del Novecento, rivaluta in chiave estetica l’opera di Foscolo: Eugenio Donadoni ricostruisce il mondo interiore del poeta, esaltandone la passionalità, sullo sfondo di una cultura divisa tra Illuminismo e Romanticismo; Mario Fubini individua il centro dell’ispirazione foscoliana nella lirica-riflessione che si attua nella liberazione del poeta dalle passioni e nella conquista di una contemplazione, fonte di serenità.

- Infine, la critica novecentesca rivalutò "Le Grazie", poco apprezzate nell’Ottocento. In particolar modo, Francesco Flora considerò la ricerca poetica di Foscolo come “religione e consolazione della parola” che termina nell’opera appena nominata, in cui l’oggetto del canto è il canto stesso.

In contrapposizione a queste considerazioni che svalutavano l’impegno storico del poeta, considerato esclusivamente come esteta della parola, le tendenze di ispirazione storicistica di Luigi Russo si concentrarono sul rifiuto del contrasto tra gli uomini e della violenza oppressiva del potere, a causa di un più alto livello di umanità. Nel secondo dopoguerra e in tempi più recenti, la figura di Foscolo è stata finalmente storicizzato, considerando il poeta come un intellettuale inserito in un periodo di trasformazioni sociali e politiche.

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di Leonardo Giacometti Noemi Mastrantuono

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4C: Bevellino Gabriele Bevellino Gaia Caimano Mauro Colantuono Antonio D'Arcangelo Maria D'Itri Simone De Fusco Guido Di Bello Maria Di Bernardo Andrea Di Cola Luigi Di Donato Francesca Morgana Fusco Lucia Giacometti Leonardo Lettieri Carmen Maliziano Alessandro Marchegiano Giulio Mastrantuono Noemi Palmieri Giulio Armando Sparagna Patrizia Maria Zarro Marzia