Senza

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Alessandro Lattarulo

Alessandro Lattarulo

Sen za

WIP Edizioni



SpazioTempo

Collana di Narrativa e Poesia/1

curata da Alessandro Lattarulo



ALESSANDRO LATTARULO

Senza


Edizione novembre 2012

ISBN 978-88-8459-238-5 WIP Edizioni Srl Via Capaldi, 37/A - 70125 Bari tel. 080.5576003 - fax 080.5523055 www.wipedizioni.it - info@wipedizioni.it

In copertina: Autunno, fotografia di Manlio Ranieri In quarta di copertina: Orme di vita, fotografia di Luigi Nicassio

è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, senza l’autorizzazione dell’Autore e dell’Editore.


Indice Considerazioni a margine . .............................. 9 di Ruggiero Stefanelli Sistole e Tempo: un’ipotesi sulla Forma e sul Tema ................ 19 di Renato Nicassio Senza ................................................................. 31 di Alessandro Lattarulo Ringraziamenti................................................. 37 Appigli inconsapevoli..................................... 39 Attimi fugaci..................................................... 40 Bambini sfrattati............................................... 41 Barbugliamenti arcani..................................... 42 Cassetti di perchÊ ............................................ 43 Ceneri sparse.................................................... 44 Chiusi nel forziere............................................ 45 Ci sono giorni................................................... 46 Corridoi stretti.................................................. 46 Corridoio di cielo............................................. 47 Curvo................................................................. 48 Esiste l’abisso.................................................... 49 Evanescenze...................................................... 50 Futuro acefalo................................................... 51 Guizzante luce.................................................. 52 Interrogativi abrasivi....................................... 53


Iridescenti ombre.............................................. 54 Mani duttili....................................................... 55 Nel ventre dei ricordi....................................... 56 Nessi imperscrutabili....................................... 57 Nomi fittizi........................................................ 58 Papaveri............................................................. 59 Piovono fiocchi................................................. 60 Ponti in fiamme................................................ 61 Potrebbe essere................................................. 62 Precaria la notte................................................ 63 Presente liquefatto........................................... 63 Rincorse di tuoni.............................................. 64 Se adesso non ci sei.......................................... 65 Senza.................................................................. 67 Si alzano faville................................................. 68 Silenzi sospesi................................................... 69 Sinergie di colori............................................... 70 Sole obliquo....................................................... 70 Sorrisi affilati..................................................... 71 Sortilegi rammendati....................................... 72 Stuoie distese.................................................... 73 Sulle panchine.................................................. 74 Trangugio note danzanti................................. 75 Un passo prima................................................ 76 Un sorso di caffè............................................... 77 Zattere nomadi................................................. 78


Considerazioni a margine di Ruggiero Stefanelli1 Se oggi, dopo ben cinquant’anni di letture e studi, mi dico convinto che un secolo di produzione poetica ha conseguito l’effetto, attraverso la fioritura di tutti gli “ismi” possibili e immaginabili, di una dilatazione oltre misura della corrente-madre, il Decadentismo, ho le mie buone ragioni, le quali mi accompagnano ogni qualvolta sono invitato a uno sforzo di storicizzazione dei fenomeni letterari contemporanei. L’operazione, che non è mai priva di rischi, perché non esiste un metodo di analisi perfetto, non coinvolge se non marginalmente le letterature occidentali, considerate dal punto di vista del doppio versante linguistico, quello del blocco sassone e quello del blocco ispano-americano, perché esse hanno maturato percorsi e sviluppi a cui la poesia nazionale è restata a lungo estranea. Questo, se da un lato ha permesso ai nostri poeti di confermare, sia   Ruggiero Stefanelli (Bari, 1941), già Professore Ordinario di Letteratura italiana, Presidente del Corso di Studi in Scienze della comunicazione e Direttore dell’ex Dipartimento di Linguistica, letteratura e filologia moderna dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, insegna attualmente a contratto Lingua italiana. Tra le sue principali pubblicazioni numerosi studi su Dante, Petrarca, Boccaccio, sul petrarchismo femminile del Cinquecento, Foscolo, Leopardi, sulla questione della lingua nell’Ottocento, sulla narrativa fra Otto e Novecento, Ungaretti, Montale, sulle tecniche dell’espressione letteraria nel Novecento.

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pure attraverso caratteristiche più o meno variabili, le profonde radici liberamente coltivate lungo il ventesimo secolo e nate dalle ceneri dei linguaggi poetici del secondo Ottocento, dall’altro li ha vincolati tirannicamente a proseguire lungo un alveo solido ma prevedibile. Senza dare l’impressione di cercare le sorgenti della nostra contemporaneità, che mi porterebbe lontano, ritengo utile rammentare ai lettori di questa raccolta di Alessandro Lattarulo che il Decadentismo vive e anima ancora molte voci poetiche di oggi che, numerose, chiedono di farsi ascoltare e apprezzare nel modo giusto. Ciò non significa che ci si debba limitare alla solita domanda se ancora la poesia abbia oggi qualcosa da dire, perché comunque si sa che l’unica risposta possibile è positiva, ma che l’impegno della lettura deve andare nella direzione di un reciproco accompagnamento dell’autore e del critico, come voleva l’indimenticato Macrì, se si desidera aiutare il lettore a capire la natura, per così dire gnoseologica, del far poesia. Ecco perché posso (non devo) ancora mettere la mia esperienza al servizio della comprensione dei testi poetici che affollano le vetrine dei librai, pur sempre consapevole che di poesia nessun poeta è mai vissuto, ove si eccettuino i pochi casi che finiscono sempre col confermare la regola. Constatato che finalmente, dopo almeno trent’anni, non ci si affanna più a sostenere l’esistenza di una “linea” pugliese all’interno 10


di quella nazionale sulla base di una presunta continuità antropologica, ambientale e cromatica, prendo atto che, rispetto alla penultima generazione (degli Angiuli, Giancane, Greco, Lisena e altri), quest’ultima cui anche Lattarulo appartiene ha maturato ormai un percorso, significativo di ciascuna esperienza, il quale, se per un verso testimonia di una vivacissima partecipazione alla dialettica delle energie intellettuali nella nostra regione, per un altro verso conferma che le singole voci si esprimono a livello di uno spinto soggettivismo con qualche denominatore comune. Ecco perché citavo il Decadentismo. Ho l’impressione che l’attuale fenomenologia poetica si collochi all’estremo di una parabola (rammento che Decadentismo fu il “decadere” dell’io in un abbandono a se stesso, non “decadenza” nel senso storico e morale) che, partita dal frammentismo sintattico dei vari Ungaretti, Quasimodo, Solmi e Bigongiari, va attestandosi sulla conquista ed uso, altrettanto esclusivi, di una lessicalità giocata sui timbri più che sui toni e sforzata a tradurre in parole la sostanziale ineffabilità di tutti i disagi esistenziali. Per dirla in breve, siamo passati da m’illumino d’immenso ad asmatici respiri telefonici, da docile fibra dell’universo a vita anestetizzata, da una ricerca del “sé” oltre i limiti della disarmonia alla denuncia del “sé” abbandonato ai flussi di un sensitismo esasperato: non è che l’epilogo del soggetto che introita tutto l’universo possibile 11


delle sensazioni e ne constata l’inconciliabilità con qualsivoglia documento della ragione; restano barbugliamenti arcani, resta un Prometeo che fallisce, cadono gli schermi protettivi, si certifica la catastrofe dell’anima. Tutto sembra volgere ad una declinazione senza veli della solitudine spirituale. E proprio Lattarulo, questo poeta giovane eppur già “vecchio”, interpreta con solitaria ostinazione la discrasia totale dell’universo umano rispetto all’apparente aritmeticità che ci circonda (presente liquefatto,/ dalla cui mappa/ è stata trafugata/ l’aritmetica del vivere) e per la quale anche le sensazioni affogano fradice di ragione. Ciò che contraddistingue lui e i suoi coetanei è la frattura tra l’interiore e l’esteriore, dove la prima dimensione si autorelega nel più profondo circuito sensoriale e, non trovando possibilità esplicite di connessione con la realtà oggettiva ma disturbata, finisce col vivere, ed esprimere, baluginanti captazioni oftalmiche, olfattive, saporiali, auditive, raramente tattili: il soggetto recalcitra a tentativi di dialogo con l’altro ma lo sottintende dentro un monologo arduo e strenuo. Non è questione di “male di vivere”; qui la soglia del dolore e del tedio montaliano rimane nel retroterra del cervello, gli risparmia la fatica dell’analisi ma anela ad espressione simbolica ed allora si proietta oltre il livello della fruizione puramente linguistica, nell’atemporalità onirica dove il rélais ammutisce, non funziona più: Quando la luce/ drappeggia fortezze/ orlate 12


come menzogne; Guaiti sinistri/ secernono visioni malariche/ nella luce lattiginosa; Zampilli di futilità/ cavalcano fiochi/ rimandi canonici; Serpentine di fessure/... sciorinano pensieri. Nel contesto di questa proiezione si aprono i mondi del potrebbe essere, in cui gli accadimenti, assolutamente delogicizzati, vanno a costituire un alfabeto della mente del tutto alternativo a quello della pratica normale. Se il secolo precedente s’era aperto nel segno del “correlativo oggettivo” di eliotiana memoria (cui ricorse non solo Montale ma anche Quasimodo e il primo Sinisgalli), bisogna accettare che esso si sia chiuso, o che si stia ora chiudendo, nel segno opposto di una definitiva sconnessione tra l’effetto e la sua causa, lì dove s’insinua il dubbio neotomistico dell’“accidente eventuale”, come paventava Maritain, del “potrebbe non essere accaduto”, giusto per sottrarsi al rendiconto della coscienza. Eppure il Novecento le ha quasi tentate tutte per evitare la défaillance, dal titanismo cerebrale di un D’Annunzio alle illusioni ideologiche (futurismo compreso), dal prosciugamento neorealistico di Pasolini poeta al sovversivismo decostruzionista del Gruppo ‘63, dal laicismo tematico del “postmoderno” al solidarismo etico, infine alla superfetazione etnicista; si è trattato sempre e comunque della stessa battaglia condotta più o meno radicalmente dal nostro “io” storico nel nome di una ricerca dell’identità individuale dopo tutte le fasi ri13


flessive generate dal monstrum (nell’accezione puramente latina) dell’esistenzialismo. Siamo dunque davvero al capolinea? Difficile dirlo. Stiamo rispolverando la guerra alle plutocrazie, stiamo sperimentando la disgregazione dei sistemi sociali e produttivi, la perdita dei parametri morali e tanto altro; dobbiamo meravigliarci se l’io profondo vaga entro la pura precognizione delle cose e si costruisce un mondo parallelo, in cui perdura la caccia ostinata alla percezione della propria sensorialità? È proprio a questo punto che Lattarulo e la sua generazione si rifugiano (ed è veramente un rifugio?) nella poesia, nella sola forma che di conseguenza essa può assumere, cioè di una proiezione del linguaggio oltre le cortine gnoseologiche, lì dove i tempi sintattici conosciuti si disfano spontaneamente sottraendosi a qualsiasi violenza della volontà e si affidano ad un presente continuatamente immobile. Abbiamo seguito, sia pure di lontano, il percorso “alessandrino”, giacché altre prove questo poeta ha esibito, nelle quali gli esiti della presente raccolta trovano tutti i semi che l’hanno condotta fin dove riteniamo d’aver spiegato. Difficilmente egli potrà andare oltre, considerato che per questa via ha già dato il meglio. Eppure la poesia ha le sue ragioni che pascalianamente la ragione di solito non conosce, e stranamente sono ragioni di numeri, di cadenze interne che impongono la necessità di una struttura: come dire che una configurazione 14


plausibile, cioè misurabile secondo prevedibili parametri, Lattarulo l’ha impostata comunque per non far torto né all’orecchio, né all’occhio (come si sosteneva fin da Dante e Petrarca ma a proposito di rime); così, cacciata dalla porta principale, la “ragione” della poesia ha finito col rientrare dalla finestra. Si badi allora alla composizione dei testi: essi realizzano un sistema lessicale binario, per il quale ogni verso poggia pressoché esclusivamente su una coppia di vocaboli, siano sostantivi o aggettivi o verbi, che ne costituiscono la nervatura metrica, considerando tale la sillabazione trocaicodattilica (Mani duttili/ per plasmare di cera/ ali cobaltine) o talvolta quella anapestica (È melodia che s’arrampica/ trafiggendo sacrilega), più raramente quella giambica (Tra le distratte cronache), sulla quale sono modulati i ritmi prevalenti del settenario e dell’ottonario. Ne viene una serrata concentrazione d’immagini che risolve, come in tanti archetti voltaici, i lampeggiamenti del tessuto sensoriale; e volutamente si evita di parlare di emozioni, perché l’impressione è di una sollecitazione estrema delle nostre papille periferiche, tese a scandire il protrarsi di unità microsintattiche, il cui segnato destino è di reiterare quasi fino all’apnea un estenuato tentativo di discorso; si chiama sistema segnico ad accumulo e si regge sulla dilatazione per nessi relativi o causativi o temporali e sulla perdita allusiva di orientamento, che conduce ad una certa saturazione degli spazi lirici. Vero è 15


però che la qualità linguistica e la marginatura tecnica rendono giustizia all’affanno di fondo che risiede tutto nella spinta a spostare sempre più in là la suggestione del “mai detto così”. Tuttavia la rarefazione del lessico non sorpassa mai la tentazione del rabesco, ma rimane al di qua di una liquida e puramente esibitoria esposizione di suoni. Chi volesse a tutti i costi rintracciare in tale elegante e vibratile ragnatela un ascendente parnassiano o una soggezione calligrafica, probabilmente non sarebbe un eretico, ma non dovrebbe ignorare il dolente gareggiamento del poeta con la sua abbandonata voglia di dissoluzione del suo scontato patrimonio genetico, in favore di una rinascita dell’anima dalle ceneri del suo hic et nunc (piuttosto non basta/ quest’attimo sospeso/ per capire l’intorno, oppure ...spasimi/ che rullano tra le fronde/ di questa monotonia), che coincide col fascino del solipsismo. E qui è la chiave di lettura più idonea: la frammentazione del repertorio onirico trova umana resistenza nell’aggregazione compatta della griglia stilistica, di cui Lattarulo mostra, per sua fortuna, di non saper fare a meno, nel nome di un sedimentato influsso della nostra migliore tradizione, troppo difficile da ignorare. Ciò lo distingue dal liberismo espressivo di troppi suoi contemporanei, cui nuoce l’idea che le parole in poesia debbano scorrere impetuose come fiume che, sfrenato, straripa. Invece la poesia ha bisogno di sue leggi, magari non scritte (Ungaretti, dopo la 16


rottura con la tradizione, confessò che si era rimesso alla ricerca del bel canto della poesia italiana!), ma a tutela della legittimità delle fonti ispirative. In realtà Alessandro Lattarulo ha via via appreso l’arte di gestire la parola dandole segno e significato sull’onda di una macerata partecipazione alla vita, ma soprattutto ha già offerto, nel cuore della raccolta, una prova della sua ansia di coltivare una poesia capace di attingere a sentimenti profondi e universali che nobilitano l’umana sofferenza interiore senza nulla togliere alle inquiete turbolenze delle nostre percezioni. Con Bambini sfrattati (ma anche per esempio con Esiste l’abisso) siamo infatti al di là delle illusioni epifaniche, che non risolvono i grumi della separatezza e della nostra voglia di alibi (il sensorialismo come ultimo irrinunciabile approdo), delicatamente sospinti con straordinaria sollecitazione a pensare che l’orizzonte della sofferenza va comunque popolato di lirica pietà. Forse poesie come questa possono aiutare gli altri poeti di questi violentati anni a sfuggire ai tentacoli mai domi del decadentismo ermetico e aprire ad Alessandro medesimo una stagione diversa, fiorita di più aperti colloqui con l’io e col mondo, da cui è lecito attendersi sviluppi e nuovi incantamenti; ma intanto godiamo di questa, ch’è già satura di raffinati risultati, e affidiamola all’intelligenza solerte dei suoi lettori, ai quali auguriamo di non smettere mai gli strumenti dell’esplorazione, pena inesorabile imbarbarimento. 17



Appigli inconsapevoli Appigli inconsapevoli infrangono le illusioni sospese nel muschio dei pensieri giovanili pregni di sogni senza volti giĂ noti. Esitazioni solitarie guizzano nel pozzo dove attingo ai ricordi dissipati tra luoghi non piĂš uguali senza preavviso.

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Attimi fugaci La notte chiedo chi sono alla pioggia. Attimi fugaci, sogni scivolosi, colori alterati. Ăˆ un invisibile campo di battaglia che sutura il pallore di pedine devote attraverso sensazioni fradice di ragione, appiccicose come ragnatele di suoni. Una parentesi di senso si chiude sui rintocchi di una campana che sfuma discorsi ricamati sul cuscino.

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