La morte una storia senza fine

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La morte in epoca Prehispanica

La morte nel mondo Andino, Bolivia

Il dramma dell’incognito


La percezione della morte nel mondo moderno differisce fortemente dalla percezione della morte nel mondo sudamericano. Nel mondo moderno i concetti di vita e di morte sono legati all’idea imposta dalla religione ebraico-cristiana. L’approccio è lineare: si nasce, si cresce, ci si riproduce e si muore; dopodiché si può andare in paradiso o all‘inferno, ma si tratta di un’impostazione sostanzilamente punitiva. D‘altra parte, per il mondo sudamericano, dove si conservano fortemente le antiche tradizioni, la morte è circolare, vale a dire che dopo la morte si rinasce, ci si riproduce e si muore di nuovo. La morte ha anche, nel mondo andino, un forte legame con l’inizio del periodo di fertilità agricola.

Mettere le mani nella terra Visual communication Unibz – Design and Art 2021 Studente Verena Metz Zumarán Docenti Mauro Bubbico, Marcello Barison, Michele Galluzzo


LA MORTE IN EPOCA PREHISPANICA Per i Moches, in natura, la morte era necessaria per far posto alla vita. Le cerimonie funebri erano di grande importanza ed eseguite per la sepoltura di un individuo di alto rango o per il sacrificio umano come offerta agli dei e agli spiriti. Il sacrificio umano consisteva nell’offrire una vittima per placare l’ira degli dei, degli spiriti o delle forze cosmiche. Tutto ciò ricopriva un

ruolo molto importante per l’equinozio di primavera, il passaggio dall’inverno alla primavera, un momento importante nel calendario agricolo, essendo l‘annuncio della stagione delle piogge. Si facevano sacrifici umani in cambio della pioggia e di un buon raccolto.

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HUACAS RIOS

PERU

MOCHE NORTE AMERICA DELL SUD

Senor de Sipán

San José de Moro

Huaca del Brujo

MOCHE SUD

I Mochica (chiamati anche Moche) si svilupparono come stati indipendenti e interattivi nelle valli settentrionali della costa peruviana (nel dipartimento di La Libertad e Lambayeque) tra il 200 e l’850 d.C. Come la maggior parte delle società costiere, i Mochica possono essere intesi come un adattamento veramente riuscito all’ambiente costiero, dove le risorse marittime erano combinate con un’agricoltura avanzata basata sulla tecnologia dell’irrigazione. I Mochicas hanno ereditato una lunga tradizione culturale. Questo ha vissuto una storia di successi e fallimenti, di adattamento ambientale e catastrofi, di padronanza tecnologica nella metallurgia e nell’irrigazione, e di grandi conquiste nell’arte e nell’architettura religiosa.

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RITUALI FUNEBRI Per la società Moche, dopo la morte si passava ad altra vita. Ecco perché i rituali di morte erano per i Mochica tra le attività cerimoniali più importanti e strettamente regolate. In essi veniva investita una grande quantità di ricchezza generata socialmente e la partecipazione delle persone e dei gruppi sociali era proporzionale alla posizione degli individui. Il ruolo fondamentale dei rituali d’élite era quello di dare continuità alla comunità dopo la rottura dell’ordine determinata dalla morte di un individuo importante. A livello familiare, si dovevano celebrare versioni più piccole di questi rituali. La ricreazione delle identità cerimoniali degli individui era parte integrante del cerimoniale funerario. Queste identità non sono solo quelle di individui identificati come sacerdoti o divinità, ma anche quelle di semplici guerrieri e corridori. Identità e posizioni sociali sono state ricreate nella tomba attraverso la combinazione di artefatti, il trattamento dei corpi e la costruzione delle tombe.

Le cerimonie che portavano alla sepoltura di un individuo importante erano molto elaborate e complesse, e coinvolgevano la partecipazione di molte persone. Al contrario, le cerimonie riservate ai membri più poveri della società erano estremamente semplici e disadorne. Una parte importante delle cerimonie era. costituita da sfilate e altre attività con musicisti e ballerini, il bere chicha e l’offerta di prodotti. Questi rituali sembrano anche essere stati legati ad atti di sacrificio di animali o di esseri umani. È importante sottolineare che i rituali di morte erano tra le attività cerimoniali più significative e regolate per i Mochica. Una grande quantità della ricchezza prodotta è stata investita e un gran numero di persone ha partecipato a queste funzioni. La rappresentazione del ruolo sociale dell’individuo veniva intimamente ricreata nella sua tomba.

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CULTURA MOCHICA

SEPOLTU RA TIPICA

Accompagnatore Ceramica con cibo Ceramica con motivi di cerimonie funerarie Offerte di oro e argento

Seppellivano i loro morti in posizione di decubito dorsale, con le gambe distese e con una o entrambe le mani sulla regione sacrale. Le tombe erano o fosse allungate o sarcofagi fatti con pietre allineate; di canna, ceramica o adobe con armadi, in cui si mettevano le ceramiche, il cibo e altre offerte. La principale offerta votiva era la ceramica. Circondavano i

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cadaveri con queste offerte e collocavano indistintamente, o la rappresentazione dell’effigie di uno dei loro grandi capi, quella della loro massima divinità, o la messa in scena di qualche motivo che faceva parte della vita del soggetto, o la messa in scena di animali, frutti o utensili.


Cittadino

Soldato

Agricoltori

Pescatore

Agricoltori

RECREAZIONE DELL’ IDENTITÀ DEL DIFUNTO La sepoltura di un individuo richiedeva la ricostruzione di un’identità, cioè bisognava decidere se il defunto era sepolto come padre o come guerriero, come vasaio o come attore di una cerimonia importante. Questa identità ricreata accompagnerebbe l’individuo

nella sua prossima vita. Se gli individui hanno avuto più di una funzione durante la loro vita, è possibile che la loro tomba includa elementi che permetteranno loro di assumere più di una identità nell’aldilà.

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STATO SOCIALE L’ubicazione delle tombe e la selezione del tipo di manufatti differivano a seconda della posizione sociale dell’individuo. Le sepolture delle persone di classe sociale inferiore erano molto più semplici e più povere di offerte. Gli antichi Mochicas costruivano piccole e fragilissime stanze in cui preparavano la chicha direttamente sopra le tombe dei loro antenati. Le paicas e le pentole trovate indicano che parallelamente al rituale di sepoltura c’erano cerimonie che consistevano nella preparazione della chicha di mais, che veniva poi consumata ritualmente dai par-

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tecipanti. Man mano che si sale nella scala sociale e gli individui presentano un’identità più complessa ed elaborata, con più funzioni alternative, maggiore sarà il numero e il tipo di componenti che verranno aggiunti ai loro beni di sepoltura. Allo stesso modo, quando gli individui diventano più potenti, maggiore è il numero di unità dipendenti che contribuiscono alla costruzione dell’identità, e di conseguenza, più ricca è la sepoltura.


TOMBA DEL SIGNORE DI SIPAN I Signori di Sipan venivano sepolti con molti abiti (tessuti decorati) e vestiti, che corrisponderebbero ai molteplici strati di identità, e alle molteplici funzioni che svolgevano nella loro vita.

Gli oggetti d’oro e di rame dorato ci parlano di una società molto ricca, dove lo stato era in grado di sostenere gruppi di artigiani specializzati nella preparazione di tali oggetti e in cui le funzioni rituali dei signori erano certamente elementi importanti della loro funzione.

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HUACAS, LE PIRAMIDI MOCHICA

Le huacas nella cultura Mochica erano costruzioni monumentali che servivano alle élite Mochica come luoghi per rafforzare e diffondere la loro concezione del cosmo e del divino. La parola “huaca” in quechua significa luogo o oggetto sacro.

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Gli scavi a Sipan hanno rivelato che nella società mochica c’erano piattaforme funerarie dedicate alla sepoltura di individui di così alto rango che potevano essere considerati re o governanti, insieme ad altre di individui d’élite che potevano essere membri del loro entourage.

Gli edifici contengono esempi di arte murale, un’espressione artistica molto importante che permetteva di trasmettere una codificazione simbolica del potere dell’élite. Inoltre, essendo luoghi sacri, le huacas nella cultura mochica svolgevano anche la funzione di cimiteri per i leader o personaggi importanti delle classi dominanti mochica.

All’interno di questi edifici sono stati sepolti anche i corpi degli adolescenti che hanno partecipato alla Mochica. I sacrifici fatti nelle huacas nella cultura Mochica facevano parte della visione del mondo delle élite e del loro tentativo di controllare la natura.

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CERAMICA: UNA RAPPRESENTAZIONE ICONOGRAFICA DELLE CERIMONIE FUNERALI

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(3) La rappresentazione di questa sepoltura consiste in quattro sezioni segnate e delimitate da linee doppie: la sepoltura, l’assemblea, il trasferimento delle conchiglie e il sacrificio: 1. La sepoltura: una bara rettangolare con una maschera funeraria ad un’estremità viene calata in una fossa profonda con corde spesse che vengono manipolate dall’Ai-Apaec, o Faccia da Ruga, e dall’Iguana Antropomorfizzata. Nella camera sepolcrale la bara poggia su un grande Strombus ed è circondata da vasi e bottiglie di ceramica e altre offerte.

2. Assemblea: un gruppo di figure umane e animali partecipa all’evento funerario. Da un lato ci sono donne con bastoni e vestite con gonne, una cintura spessa e un copricapo composto da elementi laterali, che sono molto simili alle donne che troviamo sulle zattere di canna di totora o mezzelune. Dall’altra parte vediamo rappresentazioni di cervi, felini e volpi antropomorfizzate che portano, come le donne, grandi bastoni. Infine, su entrambi i lati dell’Assemblea vediamo l’Iguana antropomorfizzata e l’Ai-Apaec con grandi sonagli.

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Le immagini dipinte e modellate sulla ceramica mochica, più di qualsiasi altra fonte iconografica preispanica, ci offrono rappresentazioni di complesse cerimonie funerarie, illustrazioni dettagliate dei partecipanti in cui sono mostrati in grande dettaglio il loro abbigliamento e gli ornamenti, l’ordine seguito dalle azioni e dagli interpreti e le relazioni gerarchiche dei personaggi coinvolti.

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3. Il trasferimento delle conchiglie: un personaggio apparentemente umano con un costume da guerriero molto elaborato riceve un’offerta di conchiglie di Strombus dall’Ai-Apaec, l’iguana antropomorfizzata e una sacerdotessa. Questa azione si svolge in cima a una lunga scala che sale verso una piccola struttura.

4. Il Sacrificio: dove l’Ai-Apaec appare portando un oggetto su una struttura a gradini. C’è anche l’iguana antropomorfizzata, un uccello legato a un tronco trappola, una Porra antropomorfizzata che tira una corda a cui sono legate delle folaghe e una donna nuda beccata dagli uccelli. La donna, in una rara rappresentazione frontale, sembra essere morta. È raffigurata senza un occhio, con la faccia tagliata e forse desolata, le braccia e le gambe aperte e i capelli rasati.

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GLI DEI E SIMBOLI MOCHICAS In natura, la morte è necessaria per far posto alla vita. È probabile che il sacrificio umano rappresentato in questa bottiglia sia associato all’equinozio di primavera, il passaggio dall’inverno alla primavera. Questo è un momento importante nel calendario agricolo, poiché è l’annuncio della stagione delle piogge. La sezione inferiore mostra il sacrificio. Nella sezione superiore, abbiamo gli dei: il Dio Radioso che riceve la coppa del Falco pescatore, che collega il mondo secco, superiore, con il mondo interno, umido. A seguire la Dea della Luna che porta la coppa dal mondo notturno al mondo dove regna il Dio Radioso. Infine, il Dio Gufo, chiamato anche il Dio della Via Lattea, per la sua connessione con il cielo notturno, le stelle e la pioggia.

La conchiglia Strombus aveva un ruolo importante nelle cerimonie funerarie.

Il felino è la divinità astratta che governa e armonizza i destini dell’universo.

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Il defunto è circondato da offerte tra umani, la conchiglia Strombus e vari felini.


Ai-Apaec: è la divinità che governa i destini del mondo che hanno concepito e ha la particolarità di condurre la sua vita come gli uomini.

Prigioniero divorato dagli uccelli

La divinità striata siede su una predella sotto una struttura inclinata e riceve offerte di conchiglie da un essere antropomorfo chiamato Ai-Apaec.

Sacerdote che porta il calice con il sangue

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L’iguana siede su una predella sotto una struttura inclinata e riceve offerte di conchiglie da un essere antropomorfo chiamato Ai-Apaec.

Donna dai tratti soprannaturali (sacerdotessa o dea) che naviga su una zattera a forma di luna


T’anta wawas, il giorno dei Morti

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IL GIORNO DEI MORTI LA MORTE NEL MONDO ANDINO La festa di Tutti i Santi che si celebra a Potosí è il risultato della sopravvivenza del culto dei morti che si eseguiva in tempi precedenti all’arrivo degli spagnoli. Nel 1787, quando arrivò la celebrazione di Ognissanti, gli indiani mitayos, yanaconas e criollos si riunirono nella chiesa della misericordia, negli ospedali e nei cimiteri, per dissotterrare i corpi delle persone che erano morte l’anno precedente. I resti di queste persone

furono portati in altri luoghi per venerarli con grandi feste e ubriacature. Anche se all’inizio ci fu una fervente opposizione da parte della religione cattolica e della popolazione non indigena, con il passare del tempo queste celebrazioni furono accettate dalla maggioranza della popolazione di Potosí. Spagnoli, indiani, creoli e meticci facevano parte di questa celebrazione unica.

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IL AYA MARCAI QUILLA La morte nelle Ande non implica una fine assoluta, ma piuttosto il passaggio da uno spazio terreno a uno spazio superiore, in cui gli Ajayus o energie vitali del defunto sono strettamente legati alle divinità della natura e del cosmo, mantenendo una relazione di reciprocità con i vivi. Il mese di novembre si costituiva in uno spazio-tempo in cui i morti tornavano ad abitare i loro corpi inerti e riuscivano così a interagire con i vivi in modo diretto. I morti erano trattati con singolare attenzione, attribuendo loro le virtù e i bisogni degli esseri viventi. Potevano pertanto partecipare alle feste, mangiare cibo, bere e conversare in un dialogo simbolico con i

vivi. Secondo Guamán Poma de Ayala, il mese di novembre era chiamato Aya Markay Killa o il mese del trasporto dei morti. Secondo questo cronista, in questo mese i defunti venivano portati fuori dalle loro tombe funerarie, chiamate “pucullos”, e venivano poi portati per le strade, le piazze e di casa in casa dove la gente dava loro cibo e bevande oltre a cantare e ballare con i defunti. Le mummie avevano un’intensa vita sociale partecipando a varie celebrazioni e cerimonie rituali dove mangiavano, bevevano, mangiavano, ballavano, ecc. insieme ai vivi.

Ajayu: Anima, spirito, energia, aura: quella forza che non è visibile a occhio nudo ma esiste come una parte essenziale che unisce il corpo alla vita, un corpo sottile. Viene dalla cultura andina, propria della lingua Aymara.

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LA PROIBIZIONE DEL CULTO DEI MORTI E L’ORIGINE DELLA CELEBRAZIONE DI TUTTI I MORTI Con l’arrivo dei colonialisti, nel primo consiglio linense del 1551, si ordina di seppellire i morti nelle chiese o nei cimiteri, evitando che questi siano sepolti con più vestiti del necessario o con utensili. Vengono inoltre veietate le offerte di cibo e bevande. Fu ordinato di distruggere le torri funerarie e di seppellire i resti umani in una tomba comune. Tuttavia, gli indiani dissotterravano segretamente i morti dalle chiese o dai cimiteri per metterli nelle loro vecchie tombe, sulle colline, o per portarli nelle loro case dove davano loro da mangiare e da bere, ballando e cantando con i loro morti.

di sincretismo religioso, con la celebrazione cattolica di Tutti i Santi, dando origine all’attuale manifestazione culturale che abbiamo a Potosí. Quando arrivò la celebrazione di Ognissanti, gli indiani mitayos, yanaconas e criollos si riunirono nella chiesa della misericordia, negli ospedali e nei cimiteri, per dissotterrare i corpi delle persone che erano morte l’anno precedente. I resti di queste persone furono portati in altri luoghi per venerarli con grandi feste e ubriacature. Si usava portare nei cimiteri grandi brocche di chicha e al suono della musica si beveva e si mangiava allegramente in memoria dei defunti, mentre i bambini mangiavano di tomba in tomba, Dopo il 1545 un gran numero di indiani arrivò nella per recitare una frettolosa avemaria e ricevere in città di Potosí per formare la forza lavoro del grande cambio un pasticcino o una specie di bambola fatta sistema minerario. Questi indiani portarono con sé di buccia di pesca arrotolata in un pezzo di legno. le loro pratiche religiose e culturali, tra cui il culto dei morti. Questo è così profondamente radicato Al termine di questa celebrazione, i corpi venivano nell’uomo andino che viene praticato nonostante le deposti nei loro luoghi di sepoltura abituali. Sicuraproibizioni. Inoltre, alla fine del XVIII secolo, questa mente con il passare del tempo le sepolture furono festa non era celebrata solo dagli indigeni, ma an- proibite e si raggiunse un processo di sincretismo che dai meticci creoli e dagli spagnoli. D’altra parte religioso e culturale, il cui risultato è l’attuale celequesta celebrazione andina, entra in un processo brazione di Ognissanti.

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31 OTTOBRE FESTA DI TUTTI I SANTI OGGI

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Mercato Principale Potosi, Bolivia


In questo giorno le persone che hanno perso una persona cara procedono anzitutto con l’assemblaggio delle tombe disponendo sopra un altare l’immagine della persona cara circondata dai piatti di cibo, le frutta e le bevande che il defunto in vita amava di più. Oltre a mettere i tradizionali t’anta wawas, la frutta secca, i fiori, il Cristo, la chicha con panala, i rosoni, le scale e altri elementi.

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I t’anta wawas (pani in forma di persone), che sono in un certo senso un sostituto degli antichi corpi mummificati dei defunti e svolgono la funzione di servire da corpo fisico per le anime che visitano i vivi. Questo giorno è anche dedicato alle anime dei bambini. Mercado Principal, Potosi, Bolivia

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1 NOVEMBRE

2 NOVEMBRE

Si crede che le anime dei defunti ritornino nelle loro case per convivere con i vivi. A partire da mezzogiorno, la gente visita le tombe di persone conosciute e sconosciute. Entrando nella tomba, offrono le loro preghiere e le loro condoglianze all’anima del defunto. In cambio, i parenti del defunto offrono ai visitatori un piatto di masitas (frutta secca) e una varietà di bevande tra cui vino, chicha con panala (pane di zucchero) e cocktail singani. È comune vedere gruppi di bambini che entrano nelle tombe per eseguire “Resachicu”, cantando resos e lodi tradizionali.

Le persone più vicine alla famiglia si riuniscono per smantellare la tomba. Gli oggetti che erano a disposizione della tavola del defunto vengono distribuiti tra i presenti in cambio delle loro preghiere. In questo giorno si nominano i padrini di t’anta wawa che diventeranno compagni dei parenti del defunto. Si assaggiano piatti tipici come achacana, mondongo, piatti a base di quinoa, ecc.

Alli viene un perrito Le daremos un huesito Pa’ que gane la carrera, Si no gana la carrera, Les daremos un balazo En su cuerpo Cada vez He lavado 5 platos Ni si quiera me han pagado, Me han pagado un balazo En mi cuerpo cada vez Alli viene picapiedra, Con su auto de madera, Le daremos gasolina, Pa’ que gane la carrera Sino gana la carrera Le daremos un balazo En su torso cada vez

In questo giorno molte persone, soprattutto nelle zone rurali, decidono di spostare la celebrazione nei cimiteri, dove la famiglia del compianto si riunisce nell’assemblea delle tombe, disponendo tutto il cibo che poi sarà distribuito tra i partecipanti in cambio delle loro preghiere. Gli altari funerari della zona rurale presentano una serie di elementi simbolici, come il sole, la luna e le colombe nella parte superiore, hanch pacha, il t’anta wawa e gli animali nella parte centrale e le scale che rendono possibile l’unione di questi spazi spirituali. Oltre a poter osservare una serie di animali o elementi corrispondenti al mondo dei morti.

3 DE NOVEMBRE Si chiama Alma Kacharpaya (addio dell’anima). Fin dalle prime ore, la gente si riunisce nella casa della famiglia in lutto dove ci sono giochi tradizionali come il Sapo, la toq’ola e la taba perché si crede che l’anima del defunto debba tornare a Dio ma debba partire felice.

Alli vienen dos palomas, Una blanca y una negra La blanquita representa a la virgen de maria Y la negra representa a la muerte de jesus Ave maria, sin pecado concedido, Ave Maria, sin pecado concedido.

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LE TORRI FUNERARIE


Le culture alto-andine della Bolivia hanno lasciato una traccia visibile del culto dei morti attraverso la costruzione di varie camere di sepoltura, resti archeologici e umani. Secondo Ramos Gavilán, “gli indiani Colla seppellivano i loro morti fuori dal villaggio, nei campi, utilizzando tombe a forma di piccole torri, dove insieme al defunto racchiudevano alcuni cibi e bevande e i vestiti che avevano. In generale, tutti cercavano di conservare i corpi dei loro defunti e, per fare questo, scolpivano volte o sepolcri a forma di piccole scatole, dove, dopo aver

rimosso gli intestini del defunto, mettevano dentro un grande pezzo di quinoa o cañagua e con altre unzioni li imbalsamavano affinché i corpi si conservassero”. In questo modo, la morte di una persona lasciava nelle mani dei vivi una grande responsabilità che implicava la costruzione delle torri funerarie, la mummificazione del corpo, il deposito accanto al defunto di molteplici oggetti di grande valore, in modo tale da decorare il corpo con i più bei vestiti e infine venerarlo.


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LA MORTE NEL MONDO

IL DRAMMA DELL‘INCOGNITO Per una società capitalista come la nostra, la morte non fa più parte della realtà con la quale siamo direttamente in contatto. Viviamo in un ambiente in cui vogliamo costantemente essere sempre più felici attraverso l‘acquisizione di beni materiali, ma che allo stesso tempo ci allontana e dissocia drasticamente da un processo naturale della vita: la morte. L‘essere umano è alla continua ricerca della vita e della felicità eterna. Ci si aspetta che

raggiunga la cura di tutte le malattie e di ogni dolore. Direi che si tratta del processo di materializzazione della vita. Stiamo conducendo una vita sempre più artificiale. Da un atto che una volta era una festa, una cerimonia celebrata collettivamente, siamo arrivati al punto che la morte è diventata un atto angosciante, doloroso e che l‘individuo vuole evitare a tutti i costi.

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LA DECOMPOSIZIONE DEL CORPO E LA CITTÀ DEGLI MORTI Come ha detto Vanni Codeluppi nel suo libro “La Vetrinizzazione Sociale“, l‘uomo attraverso i secoli si è distaccato dalla morte in modo assurdo, creando piccole città fuori dalla città, evitando di doverla affrontare. Lì i corpi si decompongono lontano dalla vita frenetica dell‘uomo: sono i cimiteri, nel mondo moderno, l‘unica cosa che ci lega alla morte e ai nostri morti.

Ehrenfriedhof di Heidelberg 09.04.2021, Germania

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Cimitero comunale di Mesagne (Puglia) Italia, 09.04.2021

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L’ALDILÀ ATTRAVERSO LA FOTOGRAFIA TRASCEDENTAL, UN DIBATTITO ESISTENZIALISTA La grande preoccupazione dell’umanità è sempre stata quella di sottrarsi completamente alla morte. I materialisti sostengono che l’ultimo giorno entriamo nel nulla. Gli spiritualisti, invece, sostengono che non siamo solo materia, che abbiamo un’anima e che essa è immortale. Mentre gli scrittori e i filosofi ci portano nel mondo invisibile attraverso i loro pensieri, la fotografia ci offre scorci positivi e tangibili di esso, compensando così l’imperfezione dei nostri sensi fisici di relazione. Purtroppo fino ad oggi certe condizioni sono state indispensabili per ottenere immagini fotografiche dell’occulto. Era ed è necessario che l’operatore sia un individuo dotato di speciali facoltà psichiche – che sia un medium, in una parola – affinché gli esseri dell’ombra possano vedere la luce.

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TRA DUE REALTÀ: PARLANDO CON I MORTI Sempre più la società moderna ci spinge a razionalizzare le cose. Tutto ciò che non è scientificamente provato, non è giustificabile ed è quindi implausibile, inducendo l’uomo a volersi distaccare completamente da quelle sensazioni scomode che questa incertezza crea in lui. E cosa succede con un’incertezza come la morte? Credo che la morte non si lasci razionalizzare, che essa si basi unicamente sulla magia dell’incognito e sia quindi puramente soggettiva. L’uomo moderno non è mai riuscito a staccarsene, per quanto si sia sforzato. Arriverà sempre un momento nella vita in cui si vorrà prendere contatto con coloro che non sono più presenti nel nostro mondo e rivivere i ricordi e le esperienze attraverso oggetti, foto o semplici parole.

Una persona parla con la sua defunta moglie. I ricordi sono sempre conservati. Staccarsi da una persona cara non è un passo facile. È necessario trovare un modo per comunicare con questa persona. Lasciare le routine nel passato, nei ricordi, e crearne di nuove per mantenere vivi i vostri morti nella vita quotidiana. Quest’uomo fa esattamente questo, crea una routine per comunicare con la sua defunta moglie.

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Gerlinde Metz Mi ricordo dei miei defunti soprattutto quando li sogno. Ricordo anche situazioni in cui mi hanno aiutato. Sogno spesso il nonno. Spesso sono mezza sveglia e lui è seduto sul bordo del letto, presto dopo aver fatto la doccia, e dice: “Dai, alzati!” e mi sveglia. A volte mi sveglia e parliamo. All’inizio, poco dopo la sua morte, mi rendeva triste, ma ora ci sono abituato. Mi manca molto. Non credo che voglia contattarmi quando lo sogno, ma non lo so. Credo che siano più i miei sentimenti, quando penso a lui. Non credo che sia ancora vivo in qualche modo. Eppure, è bello pensare che ci si promette delle cose prima di morire. Ci siamo promessi che quando uno di noi fosse morto, saremmo andati a trovare l’altro. Il nonno è presente nella mia vita quotidiana, anche se non vado sempre sulla sua tomba. Ho ancora la tazza di caffè del nonno che mi ricorda lui. Parlo spesso con lui nei miei sogni. A volte lo sgrido (sorride) quando ha fatto qualcosa di sbagliato o quando non sono d’accordo con qualcosa. A volte è come se fosse ancora qui, è una bella sensazione. Vorrei che fosse ancora qui. Mi manca soprattutto parlare con lui, parlavamo molto insieme.

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Gerlinde Metz è nata nel 1935, nella Repubblica Ceca. Quando aveva 24 anni, si è trasferita in Germania, a Francoforte, per sposarsi. Lì ha avuto 3

figli, due maschi e una femmina. Ha lavorato come bibliotecaria per tutta la vita.

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Luigina Quando mia madre è morta, sono andata sulla sua tomba due volte alla settimana per 5 anni. I primi anni, mi sedevo vicino alla sua tomba e leggevo. Ora non ci vado più, perché ho lavorato e non ho più bisogno di andarci. All’inizio fai queste cose perché ne hai bisogno. Naturalmente ci si prende ancora cura della tomba, ma in un modo diverso, perché si possono interiorizzare i ricordi più serenamente. Quegli anni in cui andavo ogni settimana mi era impossibile accettarlo. Soprattutto perché mia madre è stata malata per 10 anni e mi sono occupata molto di lei, poi mi sono ritrovata sola e non sapevo cosa fare. Improvvisamente ho avuto del tempo libero, tempo che ho usato per investire in mia madre. La separazione è stata molto difficile. Penso a lei ogni giorno e dentro di me non ho più bisogno di andare a cercare, razionalmente, un corpo che si sta sciogliendo. Mia madre è dentro di me, non importa dove vive o dove si trova, lei è dentro di me. Si sedeva lì, a volte mentre stavo mangiando mi sembra di vederla lì (indica il divano). Non ho più questo dolore, il dolore è passato, adesso è come se accettassi che quello che c’è stato tra me e lei nessuno me lo può portar vi; so che mi appartiene. Un’altra persona importante è mia zia, la sorella di mia nonna, una zia molto importante nella mia vita. È stata la mia insegnante per molti anni. Rispetto a mia madre, era molto severa e mi ha guidato nel mio percorso di vita.

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Luigina è dal Veneto, una regione al nord di Italia. Da picola ha vissuto con sua madre e sua sorella. Non ricorda l’immagine del volto paterno, perché suo padre è morto prima che lei

nascesse. Fortunatamente, non ha mai dimenticato la presenza di suo padre, perché è creciuta in una famiglia molto amorevole.

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L‘INIZIO E LA FINE

Omega è la ultima lettera dell’alfabeto greco (Ω). È spesso assunta simbolicamente a significare la fine, il compimento, la morte, soprattutto in contrapposizione ad alfa (A), il principio.

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Sono loro che hanno appena iniziato la vita che si sentono più lontani dalla morte, i giovani e bambini. I giovani non si chiedono spesso cosa viene dopo la morte o qual è il senso della vita. L’esperienza più vicina è stata forse una famiglia o amici dei genitori. Sono ancora molto concentrati sul vivere nel momento, o come dice il moto che è diventato di moda tra i giovani, you live only ones. Ma come vedono davvero la morte i giovani? Attraverso un esperimento, un gruppo di giovani ha dovuto rispondere alla domanda attraverso delle illustrazioni: cos’è per te la morte e come la disegneresti? Questo ha dato la possibilità di osservare come le nuove generazioni del mondo moderno vedono la morte. Provi tristezza o ti senti calmo? Lo metti in relazione con i tuoi cari o non ci pensi? È triste o fa solo parte della vita? C’è qualcosa dopo la morte o dopo non c’è niente ? Lo interpreterebbe in modo soggettivo o totalmente razionale? Hai paura di pensare alla morte? Queste sono tutte domande che possono venire in mente. In molti casi per alcuni è stato difficile disegnarlo, sia personificarlo, basarsi sulla scienza o sulle credenze della propria religione o cultura, o interpretarlo astrattamente. Per la maggior parte è interessante notare che essere così giovani in molti casi non è visto come qualcosa di negativo o positivo, ma qualcosa di inspiegabile, qualcosa di astratto e difficile da interpretare in un solo modo.

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Julia, 20 anni Questo è un simbolo astratto di come viene rappresentata la morte. La parte superiore, con le linee sottili rappresenta la vita. La vita ti porterà sempre alla morte. La parte scura, rappresenta la morte, che in realtà è qualcosa di nero più scuro, ma non si saprà mai cosa succederà dopo la morte. D’altra parte è parte di un tutto, parte dello stesso cerchio, parte della natura ed è per questo che non lo vedo come qualcosa di negativo o positivo, ma parte di un tutto.

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Valentina, 21 anni La morte è come un buco indefinito. Non penso molto a come sia la morte. Sembra ancora molto lontano e irreale. Penso che la morte sia più astratta e difficile da capire.

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Matteo, 19 anni Quando penso alla morte, questo è ciò che mi viene in mente. Sono gli oggetti e i ricordi che i nostri morti lasciano, è ciò che rimane di loro, che ci fa pensare a loro.

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Luke, 19 anni Questa illustrazione rappresenta ciò che viene dopo la morte. Ogni pezzo è ciò che ti rimane nella vita, i ricordi. I primi anni avrai la tua famiglia e i tuoi cari, che si ricorderanno di te, ma col tempo quei ricordi saranno lentamente diminuiti.

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Julia, 20 anni A sinistra, le linee intrecciate rappresentano la vita. Una lunga vita in cui ogni giorno succedono cose diverse. La linea della vita ti porterà sempre alla morte. Due realtà che sono divise da una spessa linea verticale. Quella linea è tagliata, che sono le porte della morte. Ma dopo la vita, quando si muore, c’è anche qualcosa, qualcosa che non conosciamo, ma che continua nell’eternità. Un momento di calma e tranquillità.

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Margherita, 21 anni La vita è circolare. Quando moriamo e ci decomponiamo, diventiamo compost. Da questo compost crescono nuovi esseri viventi. È così che la morte non è la fine delle cose, ma dopo la morte vengono altre vite. È il secolo della vita.

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LA MORTE UNA STORIA SENZA

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Museo Larco www.museolarco.org Harvard Library https://images.hollis.harvard.edu/ Dumbarton Oaks https://www.doaks.org/ Los Mochicas Rafael Larco Hoyle Los Rituales Mochicas de la Muerte Luis Jaime Castillo Butters Complejo Arqueológico El brujo https://www.elbrujo.pe/ Spectropia by James G. Gregory redesigned by Rohrhof La Photographie Transcedantale Librairie Nationale redesigned by Rohrhof Origen y Celebración de Todos los Santos en Bolivia Periódico el Potosí Fotografia Matteo Falcone Ruth Velasco Garrón Verena Metz Zumaran


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