Contemporary art for dummies

CONTEMPORARY ART FOR DUMMIES (tutto quello che hai sempre voluto sapere ma che non hai mai osato chiedere)

VLADY

CAPITOLO 1. CAPIRE L’ARTE CONTEMPORANEA paragrafo 1. “Non capisco l’arte contemporanea” Analizziamo bene il contenuto di questa frase, così comune. Con arte contemporanea s’intendono i movimenti e le tendenze artistiche sorte dopo il secondo dopoguerra. Essa non è da confondere con l’arte moderna, che è invece precedente, cioè quella a cavallo tra il XIX il XX secolo.

Non capire = non apprezzare. Chi non apprezza, molto spesso non conosce.

Non capire l’arte contemporanea è normale: è il default e non occorre provare imbarazzo. Da stabilire poi se chi sostiene di non capirla, ha un problema solo verso la contemporanea, oppure verso tutta l’arte in generale. Tuttavia, restiamo ancora nella più totale normalità: se per capire occorre sapere, va detto che sono pochissimi a saperne di storia dell’arte. Questi studi riguardano pochissime persone, anche meno di cinque su cento.

Ognuno ha la sua arte del cuore, ma non significa necessariamente “capirne”. L’arte non è un catalogo dove andare a prendere quel qualcosa che ci piace, o che detestiamo di meno.

Per iniziare a capirne d’arte è essenziale comprendere che “arte” significa “storia dell’arte”. Ecco perché ci viene presentata così a scuola.

La storia dell’arte è l’evoluzione del pensiero umano a proposito del gusto, dell’estetica. Il gusto cambia, è sempre cambiato nella storia; se teniamo a mente che il concetto di bellezza (e di arte) è sempre variato, potremo capire la storia del costume e delle arti in generale. Non a caso, neppure la nostra etica o la morale, è ferma nel tempo.

Non c’è quindi arte senza storia e non c’è storia senza arte. Ma come si può comprendere una storia così lunga, fatta di tanti episodi?

Per capire l’arte occorre vedere tutte le puntate, come se fosse una serie. Usando questa metafora, possiamo dire che la contemporanea è la più difficile perché è uscita da poco: pochi l’hanno vista, pochi l’hanno metabolizzata. Essa supera e si rifà al suo passato; alza l’asticella intellettuale ancora più in alto. Come una sentenza di tribunale, può invalidare vecchi scenari e stabilire nuove interpretazioni. Capirla senza una buona comprensione di tutte le puntate precedenti è virtualmente impossibile. L’arte è una serie TV più difficile che bella: non ti permette di saltare troppe puntate o di addormentarti regolarmente sul divano.

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paragrafo 2. Perché presumiamo di capire di più l’arte del passato?

Perché presumiamo di capire di più l’arte antica, la forma classica, come Michelangelo o gli impressionisti? Sarà perché meramente figurativi e più semplici? Non esattamente. Più verosimilmente, è perché, rispetto al presente, il passato ci ha dato tutto il tempo di farsi capire e non è più in evoluzione. La ragione per cui l’arte del passato ci sembra più plausibile, è legata al concetto di “ritardo”, cioè lo stare al passo con i tempi.

Siamo tutti un po’ in ritardo o disattenti in materia di gusto. Essere in ritardo è normalissimo.

Gli anziani non riescono a capire i gusti dei giovani perché hanno perso tutte le ultimissime: sono come rimasti anni indietro.

In ogni epoca la gente ha avuto problemi nel capire la propria arte contemporanea. Servono decenni affinché il grande pubblico (come la parte più conservatrice della critica) possa riconoscere e apprezzare la novità. Negli anni ’60 pochi riuscivano a “seguire” le esperienze di Lucio Fontana o di Piero Manzoni. Anche Andy Warhol era osteggiato, nonostante i suoi temi così “pop”. Marcel Duchamp non fu neppure compreso dai suoi colleghi. Gli impressionisti affrontarono una dura opposizione da parte della comunità artistica francese. Gli espressionisti furono aggrediti dalle dittature populiste. La Torre Eiffel fu considerata uno sfregio architettonico e se ne chiese più volte la distruzione!

Il contemporaneo è dunque qui ostico perché necessità chiavi di lettura di cui potremmo non disporre. Del passato invece, è più facile recuperare queste chiavi. Il passato è stato analizzato, metabolizzato e reso più commestibile, attraverso letture accessibili a tutti.

paragrafo 3. L’arte contemporanea è complicata?

Tanti insomma dicono di non capire l’arte contemporanea. Perché però dovrebbe essere un problema dell’arte, e non del singolo, che non la capisce?

L’accusa più comune è di essere “complicata”. Siamo sicuri che lo sia e perché pretendiamo che l’arte sia, nel XXI secolo, facile da capire? Siamo arrivati fin qui attraverso un lungo percorso evolutivo e anche il nostro pensiero contemporaneo è divenuto via via più complesso. Perché proprio l’arte dovrebbe rimanere semplice, in un mondo così avanzato e tecnologico? Siamo circondati dalle tecnologie Wi-Fi, Bluetooth e 5G, di cui non comprendiamo assolutamente il funzionamento, eppure ci irritiamo perché l’arte sembra funzionare attraverso codici incomprensibili.

L’arte non è una banale diatriba su ciò che piace a me o a te, ma è una densa materia umanistica

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che richiede tanti anni di studi. Se intendiamo capirla, dobbiamo accettare che si tratta di qualcosa di colto, piuttosto che di superficiale. Alla pari della tecnologia o di ogni modernità, anche l’arte è l’espressione del nostro mondo contemporaneo, che è tutt’altro che semplice.

L’arte contemporanea non è difficile, è solo spiegata male. Si tratta di un grosso problema di comunicazione ed è un peccato che se ne parli così poco. A proposito di questo, il curatore Massimiliano Gioni ha detto: “L’arte contemporanea non è una truffa, non è idiota… o meglio, è idiota perché è il luogo dove ci si può permettere la gioia e la libertà di essere diversi e di essere idioti, di non essere inquadrati nella razionalità. Se la pensassimo in questi termini, molte più persone - e molti più giovani - si sentirebbero attratti dall’arte contemporanea”.

CAPITOLO 2. COSA È ARTE paragrafo 1. Cosa è l’arte?

Facciamo un passo indietro. L’arte, nel suo significato più ampio, indica quasi ogni attività umana – svolta pure collettivamente – che prevede creatività ed espressione estetica. Alla larga quindi, il termine può includere l’arte pasticciera o la danza artistica su ghiaccio.

Tuttavia, poiché serve abilità, gusto estetico e una certa genialità in tantissime attività umane, sarà corretto parlare di arte di fronte un vecchio barcone da fiume rinnovato e reinterpretato in un ristorante? Questo genere di capacità artistica coincide oggi con il concetto di artigianato o “arte applicata”. Torno su questo punto più avanti, spiegando perché l’arte ha assunto un significato diverso dal passato e cosa è l’arte applicata o l’artigianato. A noi interessa invece specificare cosa sia l’arte figurativa, escludendo dunque il ballo, la musica, l’arredamento o tutto quello che non appartiene alle “belle arti”.

Wikipedia offre una buona descrizione, secondo la quale, per le belle arti, (pittura o scultura, per esempio), l’arte è: “l’espressione estetica dell’interiorità e dell’animo umano, che rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri dell’artista nell’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico”. Attenzione alla definizione “periodo storico”. Non c’è arte con l’A maiuscola che possa o debba uscire dal proprio periodo storico. Qualcosa fuori dal tempo, irragionevolmente, risulta anti-storica; rivolta al passato. L’arte è una lunga storia orizzontale che segue l’asse (del piano cartesiano) del tempo. Chi esce o non percorre questa strada, non sta facendo un discorso rigoroso o di buon valore artistico. Ripercorrere strade già battute, nei temi, nei metodi, nelle tecniche, nelle composizioni, si chiama “manierismo”

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(dipingere alla “maniera” di qualcuno o del passato).

La sfida dell’arte è raccontare il proprio tempo, in modo diretto o indiretto, attraverso linguaggi, temi o tecniche ben rappresentative del presente. Questo pilastro che vuole l’arte sempre indaffarata nell’investigare il contemporaneo o l’inesplorato, la accomuna con la scienza. Lo scienziato che vince un Nobel non è il secondo, o il terzo ad aver scoperto qualcosa. Solo il primo è premiato. L’arte ha quindi il compito di occuparsi del nuovo, mentre lo storico, attraverso la conservazione, si occupa del tempo già trascorso.

Che l’arte debba stupire portando avanti un discorso nuovo (o quantomeno non vecchio) e inedito, è sempre stata un’ambizione. Il già visto è confortante, ma la novità è strabiliante.

Giotto o Caravaggio non avrebbero stupito nessuno se le loro rappresentazioni fossero state meno innovative.

Abbiamo adesso alcuni elementi fondamentali per definire cosa sia propriamente arte.

paragrafo 2. Arte nella storia Nell’antichità il termine “arte” significava la capacità di fare qualche oggetto, attraverso la conoscenza e il rispetto di alcune regole, anche tecnico-manuali. Oggi nessuno farebbe passare questa definizione. Difatti, per lunghi secoli, l’arte è stata artigianato, cioè la creazione di monili, utensili o decori che erano pensati per la funzione di qualcosa, o che potessero aiutare l’uomo alla comprensione di qualcosa. Pensiamo al manico di una spada vichinga o un sarcofago etrusco: oggi l’arte non serve, cioè non asserve, non viene per servire una funzione (spada o sarcofago), ma è un’espressione creativa non finalizzata al suo uso pratico.

Per i primi greci, né musica né architettura erano specificatamente delle “arti”. In seguito, nel periodo ellenistico, le arti furono divise in “comuni” e “liberali”, a seconda che lo sforzo fosse fisico o intellettuale. Oggi nessuno si sognerebbe di includere il culturismo e la poesia sotto l’ombrello unico delle arti.

Nel medioevo si comincia un poco a fare chiarezza. Le arti “meccaniche” erano qualcosa di simile, per i coevi, alle arti applicate. Esse servivano all’uomo nella vita di tutti i giorni. Oggi queste arti sono il design, la decorazione, la grafica. Le arti “liberali” invece rappresentavano uno sforzo – e quindi un piacere – unicamente intellettuale.

Il rinascimento vide nascere una separazione delle arti dalla scienza, e pure un innalzamento del prestigio dell’artista come figura nella società. L’illuminismo, grazie anche al forte impegno filosofico dei tanti, vide le prime riflessioni moderne sull’estetica e sul “bello” nell’arte. Nacque il concetto di “belle arti”, che all’epoca includeva cinque rami: musica, poesia, danza, pittura e

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scultura.

Nell’ottocento con l’avvento della fotografia, saltano alcuni rigidi standard. L’arte si svincolò dal concetto di “opera d’arte” e incominciò a identificare l’insieme di cose che non sono in sé delle opere, come foto o fotogrammi, oppure pensieri e parole. Inoltre, l’architettura entra prepotentemente nell’idea di arte, benché punti anche alla funzionalità.

paragrafo 3. Arte in età moderna Con il 900 si apre la stagione della libera sperimentazione e se avessimo dubbi a riguardo, basti ricordare i dadaisti o i futuristi. L’arte cessa di indicare solo l’esecuzione di manufatti e il talento non è più una virtù tecnica: l’arte diviene estro e intelletto, ricerca, provocazione e avanguardismo a tutti i costi.

La fotografia sostituisce la pittura nel ruolo di ritrarre la natura “così com’è”, sebbene già Man Ray ne facesse un uso molto artistico; l’uomo poteva finalmente liberarsi dal tentativo di replica della natura (mimèsi) e dedicarsi alla visione fantastica, ideale o, come per Pablo Picasso, alla rappresentazione del ricordo.

Non mancarono di certo coloro che si opposero al vento del cambiamento. Il nazismo mise al bando moltissima produzione artistica contemporanea, incluse le scuole d’architettura e design (la Bauhaus).

Nel 1964 avvenne l’ultima delle catalogazioni a riguardo delle belle arti (l’ultima ma a oggi non di certo definitiva), quando il critico francese Claude Beylie aggiunse due voci alla fine della lista che fu già di Ricciotto Canudo, datata 1923: 1.

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Architettura Pittura Scultura Musica Poesia Danza Cinema Radio-televisione Fumetto

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paragrafo 4. Cosa s’intende per arte oggi?

I numerosi distinguo e catalogazioni sono serviti a definire più chiaramente ogni aspetto delle varie arti. Tendenzialmente, oggi per arte s’intende una libera espressione che abbia propositi creativi e che non debba svolgere alcun compito o ordine materiale, dove dovrebbe iniziare, infatti, il design (oggetti o soluzioni funzionali). L’arte è dunque qualcosa di fine a se stessa, ma non futile, poiché tutti riconoscono all’arte un elevato valore sociale e culturale. Le arti sono performative, installative, pittoriche o plastiche. Le nuove arti includono il cinema, la fotografia, le arti digitali e i nuovi media. L’architettura è collocata in uno scomparto separato, ma non meno artistico.

Quando l’arte si presta a svolgere una funzione, cioè quando l’arte è in risposta ad un ordine, uso o ruolo, si può parlare di arte applicata. La grafica è sempre applicata, così come spesso lo è l’illustrazione o il fumetto, ma anche la pittura può esserlo quando diventa decorativa (“abbellire” qualcosa).

Nel senso più spinto delle più attuali posizioni, l’arte è vista superiore a ogni sua forma applicata e totalmente svincolata dall’opera d’arte (prodotto). Ecco dunque che le belle arti attuali (la definizione cambia in base alla cultura e alla lingua) si stringono solo attorno a poche discipline artistiche, escludendo musica, danza, poesia, grafica, design, cinema o fumetto, che generalmente si studiano separatamente (e presso altri istituti). Alle arti applicate infatti, che sono devote al mercato comune del lavoro, ci si può arrivare con precise nozioni tecniche e corsi specialistici, non propriamente artistici (esempio: corsi per grafica pubblicitaria o per videogames).

paragrafo 5. L’artista è un lavoro?

Se l’artista sia o no un mestiere, è un argomento assolutamente opinabile. Il riuscire a vendere o guadagnare come freelance o da privato può dare sicuramente questa idea, ma tutto dipende da cosa intendiamo per “lavoro” (cioè per mestiere). L’Artista (come il filosofo) in sé, non è un lavoro ma può generare certamente dei profitti, ed è del resto noto come alcuni artisti siano divenuti ricchissimi, grazie al commercio e guadagno generato dalla propria arte e immagine.

L’arte diventa un lavoro più spesso quando si applica alle esigenze commerciali della società contemporanea, ma in nessun modo si può stabilire una relazione di ferro tra soldi e carriera d’artista (i soldi non sono il metro, poiché più ci si adatta alle necessità commerciali e più si rischia di guadagnare, sebbene si possa compromettere l’arte stessa). L’artista può guadagnare

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anche attraverso la sua conoscenza. In quel caso, il mestiere assumerà ogni volta un nome diverso (per esempio: il professore, il curatore, lo scrittore).

Se per lavoro, un artista decora una scuola, i soldi andranno a pagare l’artista fattosi pittoredecoratore, perché è irrealistico che la scuola sia l’opera d’arte. Il pittore, che può anche essere un artigiano decoratore, è il nome di un mestiere, al contrario di “artista”. Il pittore non è necessariamente un artista; questo concetto è parecchio distante dal passato, dove l’arte stava nell’esecuzione passo passo di metodi e prassi. Oggi il dipingere insegne e saracinesche è un mestiere, ma l’artista indica tutt’altra figura.

In sé, l’arte non è una professione, ma tanti mestieri sono e possono essere svolte da artisti. Se in una tale professione ci sia dietro un artista, dipende anche dal “prodotto” in questione.

Il prodotto, essendo molte volte generato e condizionato dalla committenza (non un libero arbitrio), può non coincidere al significato di arte attuale. Il concetto di arte attuale è dunque assai distante dall’epoca di Michelangelo e questo processo non è contestabile perché appartiene all’evoluzione che è avvenuta alla figura dell’artista nella storia.

Oggi un artista si muove in totale indipendenza dalle richieste commerciali o dagli ingaggi. Un artista per certi versi, produce proprio a prescindere dalla committenza. L’arte sarà la sua espressione; il lavoro sarà pure la sua espressione, ma condizionata dalle esigenze commerciali del caso, un condizionamento inevitabile (senza committenza il lavoro-opera può pure non nascere). Soprattutto, un artista che ha un mestiere ben definito tra le mani fa prima a definirsi attraverso la sua professione: regista, illustratore, cantante ecc.

Curiosità: una delle prime opere d’arte che conosciamo, opera d’arte “moderna”, cioè prodotta indipendentemente da terzi, è stata la Gioconda di Leonardo da Vinci. Pare che Leonardo, intenzionato a viaggiare e a mostrare qualcosa di suo, realizzò questa piccola tela proprio come portfolio. Ecco perché non rappresenta forse alcuna donna realmente esistita, perché non gli fu chiesto di dipingerla. È la sua arte, la sua libera espressione intesa come la intenderemmo oggi.

CAPITOLO 3. CHI È L’ARTISTA paragrafo 1. L’artista oggi L’arte, cambiando, ha inevitabilmente fatto mutare l’immagine, il ruolo e il senso dell’essere artisti. Per molti secoli l’artista era colui (NB: più generalmente un colui) che aveva talento nel disegno e nella pittura; diciamo un campione della sua disciplina. L’artista era il bravo esecutore materiale di manufatti. Uno scultore era un artista, ma nell’antichità egli rispondeva di solito a

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una domanda e non presentava un’offerta; non si muoveva in anticipo, ma solo su commissione.

La figura dell’artista era quindi più vicina all’artigiano, sebbene fosse capace di lavori di fino e buon gusto.

L’artigianato si occupa di produrre per lo più qualcosa di utile o d’uso comune, atta a decorare e/o celebrare qualcosa o qualcuno. Questo non è ciò di cui l’artista si occupa oggi.

Tendenzialmente, l’artista non produce su commissione e non esegue copie, cover o rappresentazioni d’altri artisti. Un videomaker che si possa definire artista non produce videoclip. L’artista non produce nulla per la musica (per terzi), almeno non senza produrre nel frattempo video arte fuori da qualsiasi commessa.

paragrafo 2. Chi è artista Il mondo ha milioni di artisti. Non sono artisti solo i grandi artisti, come non solo i grandi campioni sono dei veri sportivi. Del resto tutti gli umani hanno, almeno sulla carta e in partenza, lo stesso potenziale per diventare artisti.

L’artista è un creativo consapevole, cioè che consapevolmente ha pensato e creato qualcosa in modo che sia un’opera. L’opera d’arte richiede un artista e un artista non può essere il pincopallo alla quale è venuto bene di fare qualcosa in un preciso istante. Tutti possiamo segnare un goal, ma tutto dipende dove, quando e soprattutto a chi. L’artista deve riuscirne a segnare parecchi in una carriera e quindi non può fare affidamento (solo) sulla fortuna.

L’artista non è solo chi riesce a vivere della propria arte: questo riesce meglio agli artisti che hanno un mestiere tra le mani ed è più comune che gli artisti fatturino poco, piuttosto che il contrario. Inoltre, vendere non rappresenta una medaglia in senso assoluto; dipende cosa si vende, a chi si vende. Dipende dove si espone, grazie a quale curatore e in che spazi espositivi.

Dipende chi scrive di te, come artista. Non è quanti ti seguono ma perché e chi ti segue. Anche gli idioti possono avere un grosso seguito. Dipingere non rende automaticamente artisti, come scattare foto non rende fotografi.

L’artista è ed ha un valore per una comunità: devi essere considerato tale, come punto di partenza. Non basta un tale a sminuire un artista, non basta un tale neppure a elevarlo.

L’artista è niente e nessuno senza un curriculum, senza una storia. L’artista è un grosso diesel: lunga percorrenza e resistenza.

L’artista lo sei, non lo puoi fare o inscenare. L’artista è più tipico che si muova attraverso varie espressioni, e non essere relegato alla sola pittura o scultura, per esempio. Perché l’artista è un’attitudine, un modo d’essere; ecco dunque che si potrà trovare a scrivere, a scattare foto, a recitare o dedicarsi alla ceramica.

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L’artista non è un prevedibile borghese facile da inquadrare, anche lavorativamente. Pare che non sia una questione di volontà: agli artisti non riesce altrettanto bene nulla che sia al di fuori dell’arte.

L’artista è un’attitudine alla vita. L’artista è principalmente un pensatore; uno spirito critico. La sua produzione può materializzarsi o meno, ma questo non andrà a influire sulle sue capacità o qualità.

paragrafo 3. Cosa rende un artista un grande artista?

I giudizi più pertinenti arrivano da persone che hanno maturato un profondo senso critico e un’ampia conoscenza specifica; questo vale per tutto. Vale a dire, gli insider del mondo dell’arte sanno fiutare meglio e distinguere, mentre i non addetti ai lavori si lasciano attrarre spesso in inganno. Fama, soldi e una bella immagine possono far provare un senso di soggezione o ammirazione, ma quello che conta veramente è lontano dai numeri e dall’apparenza.

Listo alcuni dei parametri (requisiti) più dibattuti, non in ordine di rilevanza e senza la pretesa che non ve ne siano altri: 1.

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Ricerca Conseguimenti Storia / background / percorso Educazione / formazione Poetica / tematica Popolarità / successo Qualità Riconoscimenti Originalità

paragrafo 4. Eccellere in qualcosa rende artisti?

Ovviamente no. Oggi, alcuni tra i più dotati pittori al mondo sono cinesi e sono dediti ai falsi e/o copie d’arte. La loro bravura è strabiliante. Siete sicuri di poter sostenere che la bravura in sé, sia condizione sufficiente?

Poiché per lungo tempo l’artista è stato un esecutore, il bravo esecutore di un mestiere manuale e artistico, determinava il bravo artista. Tanto più bravo, tanto più artista.

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Tutto questo vecchio mondo è andato, è finito circa nella metà del XIX secolo. Oggi con la tecnologia, è divenuto tutto tecnicamente possibile: proiettori, fotografia, stampanti 3D, plotter, computer. Padroneggiare una tecnica e esserne dei virtuosi è comunque apprezzato, ma costituisce solo uno dei parametri e neppure il più determinante. La bravura è dell’artigiano e del tecnico, non dell’artista. Gli artisti d’oggi non sono tecnici ma bensì creativi, visionari e ricercatori.

In quest’epoca contano le grandi idee; idee capaci di rapire gli spettatori, di coinvolgerli, colpirli e condizionarli. E’ finita l’epoca dove l’artista era qualcuno sempre più bravo di noi, capace quindi di realizzare qualcosa meglio di noi. Difatti, il mondo è pieno di gente che disegna e dipinge egregiamente, ma questo non basta più per balzare alle cronache o all’occhio degli esperti.

L’arte contemporanea con le sue opere, non è necessariamente fatta dall’artista stesso, perché appunto contano le idee, i concetti; contano i progetti, non le esecuzioni. Non deve sorprendere se Christo non abbia cucito o installato i suoi chilometri di teli di plastica o che Maurizio Cattelan non abbia scolpito il dito medio di Piazza Affari. L’esempio è ancora più chiaro per gli architetti: trovatemi una “archistar” che sia pure il muratore delle sue opere. Se pensate che il paragone sia esagerato, sbagliate. Siete forse legati al concetto che l’artista debba faticare, come nell’arte “meccanica”, o che debba produrre manufatti materiali piuttosto che farsi venire idee astratte. Come se Andy Warhol fosse stato dietro ogni serigrafia, dietro ogni sua stampa.

Ovviamente no. L’artista contemporaneo ha spesso uno staff in grado di lavorare per lui. È una piccola impresa, dove l’artista è il direttore.

L’artista non deve essere più “bravo”; deve essere giusto intelligente. L’arte contemporanea è una gara d’intelligenza (espressa in numerosi modi) e la gara è tutta nel concepire un pensiero, un oggetto o una situazione per tempo, prima degli altri.

Nel passato si doveva essere bravi. Oggi si deve essere geniali. I bravi non sono per forza geniali, e non c’è di peggio di un bravo senza genio.

CAPITOLO 4. L’OPERA D’ARTE paragrafo 1. Potevo farlo anch’io Dice così, di solito, il deluso dopo aver visto un’opera d’arte contemporanea. A dire il vero la frase più corretta dovrebbe recitare: “potrei rifarlo anch’io”. Se potevi farlo pure tu, allora chiediti perché tu non lo hai fatto prima di lui o lei, in modo da essere magari tu al posto di

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quest’artista, a esporre in questo posto. Adesso, poiché è stato fatto, a te toccherà il ruolo, semmai, di rifarlo. Rifare qualcosa è un esercizio vano che non darà alcuna gloria. Il primato dell’arte è arrivare per primi, come nello sport.

Il complottista dell’arte vi dirà poi che quest’artista e quest’opera sta qua, in questa bella sala, unicamente perché è riconosciuto, perché ha “la fama”, mentre altrettanta gente comune sta a casa, magari con idee migliori. Sorvolando casi estremi di reale e provata corruzione o truffa (come in tutti gli ambienti, è logico), ogni cosa ha in verità una spiegazione, è che alla spiegazione, non propriamente semplice, si preferisce una propria scorciatoia di pensiero personale. Se il pincopallo ha, a casa o nel proprio computer, idee o opere altrettanto geniali e pure temporalmente precedenti, può comunque farlo presente, in modo che la sua storia sia notata. In genere non c’è nessun genio nascosto. E’ vero che ci sono talenti inesplosi o inespressi come mediocri sotto i riflettori, ma non solo questo riguarda ogni ambito ma questo difetto di taratura non è direttamente imputabile all’arte stessa.

paragrafo 2. L’arte è una tr-fuffa Attenzione a non confondere l’arte, i luoghi dell’arte e il mercato dell’arte: ogni critica va indirizzata al giusto destinatario. Ciò che riguarda il ruolo dei musei, dei curatori o il mercato “folle” dell’arte contemporanea, non è un problema dell’arte stessa, ma rispettivamente riguarda i musei, i curatori o il libero mercato.

Si può essere amanti degli immobili e dell’architettura moderna pur trovando completamente folle il libero mercato immobiliare.

In troppi ancora accusano l’arte di costare “immeritati” milioni di euro. Ragionando con le regole del libero mercato, con metri quindi assolutamente capitalistici, sappiamo che le cose valgono esattamente quanto tira la loro domanda. Gli oggetti estremamente ricercati perché unici o importanti diventano carissimi, le cose poco apprezzate tendono invece a costare poco.

E’ il mercato, baby.

Se c’è uno sciocco disposto per collezionismo o passione a pagare un milione di dollari per l’orecchino di Diego Armando Maradona, l’orecchino varrà subito un milione.

Come in tutte le aste e settori, certamente anche nell’arte non mancano le truffe, i falsi o le gare artificialmente “dopate” (falsi compratori o scommettitori). Ma siamo sicuri sia un problema degli artisti o dell’arte? Questo si chiama mercato. Gli artisti non amano gli speculatori e questo gioco non riguarda (solo) l’arte. Non confondiamo le vacche con il loro mercato.

Abbiamo detto già che nell’arte contemporanea contano le idee. Ebbene, le idee si devono avere per prima, prima degli altri. Certe idee hanno talmente sconvolto l’opinione artistica che, per

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quanto idiote ci possano apparire, sono state pietre miliari della storia e oggi hanno un valore, anche altissimo. Non è una truffa, non è fuffa.

paragrafo 3. Non c’è più l’arte bella di una volta “Non si fa più arte bella come una volta. Dove è finita la bellezza. Non ci sono più gli artisti bravi di una volta”.

Qualche malumore del genere l’abbiamo sentito tutti almeno una volta. Da cosa deriva questa percezione e c’è un fondo di verità?

L’arte è ancora “bella”, ma non è come una volta; non deve esserlo. Noi tutti non ci vestiamo più come una volta, non parliamo e pensiamo come una volta. Non ascoltiamo la stessa musica, non abbiamo gli stessi gusti. Poiché l’arte è la storia del nostro gusto, l’arte segue la nostra stessa evoluzione. Siamo tutti liberi di vestirci come Luigi XIV, ma se non per ridere, quale senso potrebbe avere oggi. Ecco perché seriamente, non troverete più delle mostre di pittura barocca, per mano di artisti contemporanei. Sappiamo tutti apprezzare Caravaggio o Vivaldi, ma il passato è passato. La sfida è stare nel presente e l’arte si occupa anche di anticipare il prossimo futuro. Guardare indietro è un esercizio scolastico, oppure conservativo. I musei conservano, per poterci poi parlare del passato. Queste non sono le intenzioni di chi invece è ancora in vita e s’impegna nelle arti.

La bellezza è ancora una preoccupazione, sebbene non si faccia più arte con quest’unico obiettivo. Ci sono voci roche molto affascinanti, jeans strappati molto belli, come pure fantastici quadri scrostati. Tutto impensabile per l’uomo medio del passato.

Un bravo artista “come una volta” potreste trovarlo tra i restauratori o i falsari; altrimenti non serve assolutamente manifestarsi precisamente come un artista del passato. Quale architetto progetterebbe oggi un tempio greco. A che pro dovrebbe farlo? Nell’arte il passato è archiviato per la consultazione: giusto ammirarlo, ma sbagliato replicarlo.

paragrafo 4. L’arte è per pochi L’arte è per pochi e pochi vogliono che resti tale? Accusare l’arte d’essere elitaria, è un grande tormentone.

Se parliamo d’arte come un bene di lusso, è evidente che il mercato del lusso sia appannaggio di pochi. Questo dubbio appartiene quindi alle controversie del mercato. È per pochi, molti asseriscono, perché è complicata. Questo dubbio l’ho già trattato. Chiediamoci seriamente: l’arte

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contemporanea dovrebbe essere per tutti? L’arte è già per tutti, ma per ognuno c’è la propria arte, quella che ci si merita o che ci possiamo permettere, come se fossero mobili o vestiti.

Sostengo che l’eduzione scolastica debba essere per tutti; l’arte dipende, non necessariamente.

Tutti noi scegliamo qualcosa anche sulla base del nostro gusto personale: la cover di un telefono, gli occhiali da sole, la bicicletta per il tempo libero. Il contemporaneo (e il buon contemporaneo) però non deve essere la preoccupazione della persona comune, né tutti devono sentirsi in dovere di scegliere il gusto più contemporaneo che ci sia.

Chi si occupa di arte poi, può riconoscere a qualcosa un valore storico o artistico, anche senza porsi il problema di comprarlo o metterlo in casa. Non tutta l’arte è acquistabile o esponibile come oggetto di piacere “take away”: non si produce arte necessariamente con questa intenzione, cioè d’essere venduta tanto al kilo o al centimetro.

E’ normale apprezzare artisti di cui non s’intende comprare nulla. Può pure piacerci quel nuovo grattacielo in centro città, ma non significa che lo vorremmo abitare.

Asserire che l’arte (contemporanea) sia per pochi equivale ad alludere che ci siano campi del sapere più democratici, più aperti. Non credo sia un’analisi corretta. È vero invece che, comodamente seduti sul sofà di casa, si ha la pretesa di capire la politica, il calcio giocato e la finanza, fino a credere di poter essere capaci di fare i primi ministri, gli allenatori o i banchieri internazionali. Non possiamo e non dobbiamo tutti essere esperti d’arte. Anche l’arte non è un’opinione. Con i “secondo me” non si va lontano nelle accademie e nelle università.

paragrafo 5. Quali sono le opere d’arte che valgono?

A valere sono tutte quelle opere che sono assai ricercate. Le regole non sono diverse e si fondano sulla domanda e l’offerta. L’uomo comune può invece non capire come i critici possano valutare gli artisti o l’arte in generale.

Esistono due-tre tipi di valore; arte e artisti possono avere un valore storico oppure un valore popolare-commerciale.

Un’artista che ha un valore storico è stato un pioniere in uno specifico campo o genere o ha rappresentato qualcosa in un determinato momento, insieme alle sue opere, anche per una comunità non planetaria, ma più ristretta. Ci sono artisti di buon peso storico che non hanno un grande successo di mercato, o non di mercato popolare. Dall’altra parte, un’artista o un’opera possono avere un valore popolare e un buon mercato, ma non essere di peso in senso storico; non essere per dire, in nessun libro di critica o di storia. Altri, non pochi, invece possono dire di stare a cavallo, tra la storia e il buon successo popolare e commerciale.

Pensiamo al cinema, per esempio. Ci sono film “d’autore” che convincono quasi unicamente la

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critica o i pochi conoscitori di quest’arte. Poi c’è il cinema popolare, quello magari dei film drammatici tratti da libri o storie già famose, con attori superstar. Esiste inoltre il cinema commerciale, che può pure non dare i risultati sperati al botteghino ma che ci prova, ed è commerciale perché punta unicamente a staccare biglietti, piuttosto che a rappresentare uno sforzo artistico.

James Jarmusch o Wim Wenders sono autori di cinema artistico, con buona considerazione da parte della critica. Non possiamo di certo asserire che siano popolari in senso assoluto, ma nemmeno pensare che non abbiano guadagnato adeguatamente. Esiste poi il cinema di Steven Spielberg: molto popolare, molto commerciale, di buona fattura e ricco di accorgimenti tecnici ed effetti speciali. Esiste poi altro cinema, quello che esce solo per Natale, o solo in TV. Medesime considerazioni si possono fare in ambito musicale. I Sonic Youth o i Velvet Underground di Lou Reed hanno avuto un grande valore per gli addetti ai lavori e sono stati molto apprezzati dalla critica musicale. Indubbiamente sono riusciti a vendere parecchio, sebbene questa non sia musica popolare e le loro vendite non si avvicinano minimamente ai record di Michael Jackson o Madonna, che hanno fatto musica pop (“popular”). C’è poi qualcosa di ancora più commerciale, il quale intento non è nemmeno così nascosto, ovvero vendere e fare muovere la gente. Questa musica esce poco prima dell’estate e punta a divenire un tormentone. Non è detto che ci diventi, ma nasce unicamente con queste ambizioni.

L’arte è uguale. Esiste arte che smuove la critica, arte che smuove il grande pubblico, arte che smuove il commercio spicciolo, leggero e passeggero.

Più in generale, l’arte che vale corrisponde ad artisti che valgono, e non s’intende solo commercialmente, anzi!

CAPITOLO 5. IL GIUDIZIO paragrafo 1. Tutti abbiamo un gusto A nessuno piace sentirsi dire di avere un cattivo gusto. Ecco forse perché, non amiamo dare spiegazioni e non vogliamo neppure sentirle. Non vogliamo insegnanti di gusto, di moda, di classe, di arte. “A me piace”, risponde indispettito il tale che viene sottoposto a una critica di natura estetica. Tutti difendiamo le nostre scelte e siamo territoriali su certi argomenti.

Anche per ciò che riguarda il gusto, non dobbiamo provare imbarazzo; il gusto si affina con la conoscenza e il gusto più diffuso è quello cattivo. È assolutamente normale non capirne e non sapere distinguere; non basta avere un paio di occhi.

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Per giudicare occorre conoscere, ovvero avere una vista educata. Senza una vista educata, l’uomo rischia di non vedere. Chi non vede, non sa, non apprende.

Tanta gente non ha basi estetiche per giudicare ciò che lo circonda e se interpellata tirerà fuori ragioni assolutamente personali, o sentimentali. Abitiamo palazzi discutibili, spesso in città orribili, fatte male e senza verde o servizi. Eppure tanti credono di vivere nel “bello”, perché il bello è ciò che ci è familiare, ciò a cui siamo affezionati e con cui ci troviamo comodi. Il bello è ciò che a noi pare giusto.

Può mai un esperto procedere sentimentalmente, empaticamente e se “ogni scarrafone è bello a mamma soja”, come procedere verso giudizi più universali?

Gli esperti hanno logicamente altri parametri e non sono di genere affettivo ed emozionale.

Guarda caso, tutti tendiamo ad amare ciò che è nostro, ciò che ci appartiene, come la religione, la patria o la famiglia. La nostra squadra, la nostra città, il nostro gruppo. Occorre fare uno sforzo superiore per andare a criticare le fondamenta delle nostre certezze.

A questo processo ci si abitua maturando un senso critico, ponendosi domande e facendosi porre delle domande; sottoponendo e sottoponendosi a processo.

paragrafo 2. Il metro Non esiste poi un giudizio senza un metro. Non possiamo stabilire se qualcosa è corto o lungo, in assoluto, senza specificare “rispetto a cosa”.

Anche il cosiddetto senso di normalità è assai relativo. La norma esiste solo se conosciamo innumerevoli esempi; servono dati in quantità per ogni qualsiasi statistica o analisi. Qualcosa è più bello, qualcuno è più bravo o più geniale ma rispetto a chi, a quali e a quanti esempi? Tanto più vasta sarà la nostra conoscenza, tanto più preciso sarà il nostro giudizio.

Anche sparare a zero sull’arte contemporanea può fare nascere un dubbio; quanta arte contemporanea hai visto e quali precisi esempi hai in mente?

paragrafo 3. È meglio la birra o lo champagne?

Cose diverse, che stanno in categorie diverse, non andrebbero mai paragonate. Olio e acqua non si mescolano. Infatti, anche se apprezziamo tutti il valore e il sapore di un buon champagne, non sarà sempre opportuno preferirlo alla birra, e non solo per questioni di prezzo, ma di occasione.

Lasciamo i paragoni a chi tanto ne sa, perché per fare buoni paragoni servono numerosi parametri e voci da tenere in conto. Non si può stabilire cosa sia meglio tra X o Y quando questi

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valori sono in due insiemi diversi. Le cose non sono spesso né migliori né peggiori, ma diverse.

Nell’arte è meglio rigettare le classifiche per gusto, bravura o qualità, perché non sono parametri misurabili numericamente. Non si può mettere a paragone Alberto Giacometti a Frida Kahlo. Le classifiche si possono fare invece per quotazioni di mercato e sulle vendite alle aste.

paragrafo 4. Cosa ci piace e perché?

La neuroscienza o la psicologia non hanno una risposta definitiva. C’è molto interesse nel voler risolvere questa matassa, specie da parte di chi sta creando la cosiddetta “intelligenza artificiale” (AI, in inglese). Sapere prevedere con certezza numerica il successo o l’insuccesso di qualcosa è il sogno di ogni industria, perché i cilecca sono prima di tutto delle grosse perdite economiche.

Ciò che ci piace stimola i centri del piacere. Ciò che ci piace ci fa stare bene e questa sensazione va molto oltre l’oggettività dell’esperienza. Siamo esseri complessi e siamo assai soggettivi. La nostra persona si forma durante una lunga e lenta crescita (come mammiferi siamo lentissimi nella maturazione che ci porta all’indipendenza) e tutte le esperienze che facciamo durante il nostro percorso ci aiutano a plasmare la nostra conoscenza e sviluppare il nostro gusto.

paragrafo 5. Esiste un bello universale?

Ni; a parametri rimasti indiscussi, si osservano pure dei parametri che sono notevolmente cambiati nel tempo. Per Platone il bello era un concetto calato dall’alto, vicino al divino, per nulla relativo: “È bello ciò che è bello”. Quest’approccio oggi è superato, perché troppo rigido e classico.

Kant è chiaramente più moderno: “Il bello è “ciò che piace”. Per Kant, il bello deve essere “disinteressato”. Ovvero, non possiamo avere alcun conflitto d’interesse a riguardo del giudicato (non deve appartenerci, servirci o riguardarci). Il bello deve essere a prescindere, non considerando i canoni, i ricordi, le emozioni o le categorie. Il bello non deve avere uno scopo. Il bello è ciò che piace fino al punto di diventare per noi necessario. Il bello deve poter essere universale e rispondere a canoni molto condivisi, come armonia, simmetria, proporzionalità.

Kant annoverava tra le cose belle la musica (classica, s’intende).

La Bellezza (o bruttezza) non è solo relativa nel tempo, ma è relativa anche alla nostra cultura o comunità di riferimento. Il gusto cinese può non trovare ampio consenso tra gli occidentali; il gusto occidentale può non essere capito tra gli artisti dell’Africa equatoriale.

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paragrafo 6. Oh che bello!

Per quanto riguarda i giorni nostri e i nostri gusti rispetto all’arte, cosa ci porta a farci dire che qualcosa è bello? Sorvolando le cause di natura soggettiva, oggettivamente ci piacciono i colori, specie quando si accostano bene (teoria dei colori) e sono tanti. Ci piacciono le raffigurazioni della realtà, anche in chiave leggermente fantasiosa, quindi il figurativo e il surreale. Ci piace principalmente il formato rettangolare, disposto orizzontalmente. Ci piace un paesaggio profondo, che rappresenti un campo aperto, con un’atmosfera pacifica e serena, con uno o più soggetti sullo sfondo e con qualcosa in primo piano (un albero, una dimora, una roccia: teoria della savana). Nell’opera d’arte si cerca ancora una simmetria che rispetti il nostro corpo, che sia bilanciata nei “pesi” visivi. Il pesante deve stare in basso e il leggero nella parte alta. Il soggetto, se unico, non può stare troppo ai margini. Ci piace vedere qualcosa di “naturale”, di salubre e di fresco. La natura e i bambini, piacciono tantissimo. Ci piacciono anche gli altrui cuccioli di mammiferi. Ci piace, ci diverte e ci conforta vedere facce umane e umanizzare qualsiasi cosa (pareidolia; riconoscimento facciale). Ci piace il movimento, le cose che si muovono veloci (come ai gatti). Ci piace vedere altra gente e filmati di altra gente (siamo un poco come i cani).

Ci piace e ci fa dire “wow” la dimensione con la doppia X: la XXS, la XXL. Quando si tratta di arte, la pittura vince sulle altre forme; la tela vince sugli altri supporti. Amiamo i fiori, i cuori, il sole, l’amore.

Ci colpisce ogni abilità che sia superiore di molte volte alla nostra. Ci colpisce che qualcuno abbia dei poteri e delle qualità non comuni, capaci di creare composizioni ricche e complicate o da prevedere il futuro, anche solo precedendo le nostre emozioni o parole. Ci stupisce qualcosa che ci sembri reale e ci piace provare il nostro errore (siamo come i gatti che vanno a vedere dietro lo specchio).

Naturalmente per gli esperti dell’arte, questi parametri così ancestrali (o animali) non bastano e appaiono quasi dei cliché da evitare e combattere.

Alle persone più colte, intelligenti o semplicemente più tormentate, non piacciono le banalità e il senso di marcia corrente, a tal punto che aspettano di verificare quanto le cose piacciano e in che direzioni si muovano, per scegliere di andare contro corrente.

paragrafo 7. Il gusto perverso Siamo così complessi poi, da maturare anche delle perversioni, cioè delle deviazioni sul percorso più comune (dal latino perversionis, scovolgimento, deviazione). L’essere umano può sviluppare

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delle affezioni del tutto atipiche, pure opposte al gusto più diffuso. Esiste ad esempio anche un’attrazione verso ciò che per la maggioranza rappresenta il male o l’orribile.

Siamo inoltre mossi da un sistema complesso di preferenze, ricordi e giudizi che può pure portarci a scegliere qualcosa per una sola variabile o caratteristica. Può piacerci un quadro, una donna o una casa solo per una precisa peculiarità. Tanto più forte e irrazionale sarà questa spinta, tanto più si potrà parlare di perversione.

La perversione non è insanità mentale e non costituisce un problema fin quando non risulta invalidante per se stessi e di disturbo per gli altri.

paragrafo 8. Fa così tanto schifo da essere fantastico Non rientra tra le perversioni, ma esiste pure un collezionismo di materiale kitsch o trash: perché? È un po’ come fare “0” in una schedina, come non azzeccare neppure un numero in una tombola. È possibile? Certi insuccessi sono così rari da costituire un vero motivo d’interesse.

Certe cose sono così brutte da aver fatto scuola e storia.

Il collezionismo non conosce confini: ogni cosa curiosa può finire in una collezione; attorno a ogni passione, c’è una collezione. Questo vale anche per i quadri o le suppellettili bruttissime. A quel punto, il metro sarà ribaltato: lo zero indicherà 100, il 100 lo zero. Tocco questo argomento velocemente e solo come monito: il ridicolo piace tantissimo, raccoglie molti consensi. È un mondo parallelo a quello ufficiale e richiede un tantino di visione oltre la staccionata dell’ordinarietà. Ricordatevi di questo paragrafo e approfondite privatamente il tema quando troverete commenti ironici tipo “capolavoro assoluto” o “genio indiscusso”.

Una regola di base e alcuni ingredienti sul kitsch però posso darveli subito, convinto che siano semplici abbastanza: mentre nell’arte l’artista è una persona consapevole, il kitsch è solo quello che viene fuori dall’inconsapevolezza. In altre parole, il kitsch non si può creare di volontà ma esce per errore o per ignoranza di base. Chi ottiene un risultato kitsch molto spesso aveva l’intenzione opposta, cioè di fare un buon prodotto. Esempi di kitsch possono essere l’arte sacra da centro commerciale, il souvenir deforme e di bassa qualità, un servizio fotografico matrimoniale di cattivo gusto, un arredamento datato o completamente fuori target, una campagna pubblicitaria pretenziosa. Il fac-simile, il surrogato, la brutta copia, il simil-pelle, marmo o oro, sono tutti percepiti come elementi grotteschi, pacchiani, kitsch. Il voler essere, o “wannabe-ism”, cioè l’atteggiarsi a star, a vip, a santone, sono tutti comportamenti “trash”.

Chi intende consapevolmente creare del cattivo gusto potrà al massimo arrivare alla parodia, ma non al kitsch. Il kitsch autentico esce solo dall’ingenuità e dalle intenzioni migliori.

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CAPITOLO 6. IL CONTEMPORANEO, QUESTO SCONOSCIUTO paragrafo 1. Cosa è contemporaneo?

Il periodo “contemporaneo” indica il momento storico attuale, periodo che per definizione non si è ancora concluso (altrimenti mancherebbe un termine per indicare il presente).

Contemporaneo nell’arte è tutto quello che è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. Si può anche ragionare per esclusione: tutto quello che è aggrappato in qualche modo al passato, non è contemporaneo.

L’espressione “arte contemporanea” non si riferisce a un movimento o a un genere. Il fraintendimento nasce dal fatto che molta contemporaneità ancora oggi fa capo all’arte concettuale, che invece è definibile come movimento.

Tutt’oggi, sono tanti gli artisti che fuoriescono per linguaggi e ambizioni dall’arte contemporanea e possono essere quindi associati al termine solo per ragioni anagrafiche. Tanti quindi sono sì contemporanei per nascita, ma non rappresentano l’arte moderna o postmoderna.

paragrafo 2. Basta con queste provocazioni!

Che l’arte contemporanea sia provocazione o solo provocazione è una lamentela piuttosto comune, che non è del tutto falsa. È importante però specificare chi provoca e cosa.

Come tutti noi, anche l’artista nutre dei dubbi nei riguardi dell’arte contemporanea o del suo sistema. Esiste quindi anche l’arte che si prende gioco di se stessa. Queste sono sì provocazioni, ma non verso di noi, non direttamente, ma verso quest’arte contemporanea che è tutto e niente, tutto e il suo contrario. Quindi, non siamo gli unici a nutrire perplessità o voler ragionare per assurdo, per concetti estremi: gli artisti già lo fanno e lo mettono in mostra dove e quando possono. Tanto più assurdo o paradossale, tanto più interessante.

paragrafo 3. Arte contemporanea vs arte concettuale L’arte contemporanea è caratterizzata da opere prodotte con tecniche e linguaggi interdipendenti, multidisciplinari. Non c’è un media prediletto.

Da circa 200 anni la bellezza non è più tra le preoccupazioni centrali dell’artista. Abbiamo

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cominciato a vedere le inquietudini, il dramma interiore, le emozioni dell’essere umano.

Quest’emotività è stata espressa in forme anche assai lontane dalla “bellezza”.

Durante il XX secolo ha assunto sempre più peso il pensiero, il concetto, l’idea. Joseph Kosuth ha detto che l’arte non è a proposito di forma e colore, ma a proposito di significati. Una dichiarazione così estrema può sembrarci troppo rigida e forse castrante nei riguardi di tutti gli altri artisti, tuttavia se il pensiero artistico negli anni ’60 attraverso Kosuth (ma non solo) era arrivato già a queste conclusioni, possiamo anche dire che cercare di invalidarle è una operazione senza senso. Sentenze come queste spostano d’improvviso tutte le fatiche intellettuali umane verso ambizioni superiori. Gli artisti concettuali hanno posto l’asticella su livelli più alti, sfidando chiunque a superare questo limite saltando più forte, non passarci sotto.

Ecco dunque che se ricordiamo che la storia è orizzontale e unidirezionale, non ci sarà possibile procedere a ritroso: non sarà possibile tirarsi indietro, ma converrà semmai aggirare l’ostacolo o provare altri metodi. Kosuth è del ’45 ed è ancora un nostro contemporaneo, benché molti degli avanguardisti come lui, allineati su posizioni simili, ci abbiano già lasciato.

L’arte concettuale, ovvero gran parte della contemporanea, necessita di informazioni per essere capita, perché non sempre essa ci potrà risultare immediata. Solo attraverso i testi si può stabilire la giusta atmosfera tra il fruitore (noi) e l’opera. Talvolta, l’arte contemporanea va così all’essenziale, che diventa minimale. Ecco dunque che il testo diviene l’opera stessa.

paragrafo 4. Istruzioni per l’uso Non so se vi è mai capitato, ma una didascalia può davvero cambiarci tutta l’idea di un lavoro, anche solo leggere il suo titolo. Io cerco sempre di avvicinarmi fino a leggere i testi, piccolissimi.

Recentemente mi è capitato di visitare una mostra di un’artista contemporanea sudafricana. In una grande sala buia, un gigantesco schermo proponeva un video musicale che s’interrompeva nello stesso punto, in loop. Dopo quel brano, altri brani si sono susseguiti e si sono interrotti, inceppandosi continuamente in un punto preciso. Il volume era alto; l’inquadratura era fissa sul volto delle cantanti. L’artista sudafricana Gabrielle Goliath ha così messo in scena il sentimento femminile di dolore nei riguardi dello stupro (“This song is for…”, 2019), interpellando varie vittime e chiedendo loro una canzone a piacere. Da precedenti domande, l’artista aveva già capito che da quel trauma molte faticavano a uscire e che le loro regolari vite si fossero come fermate di botto. Gabrielle Goliath ha deciso di toccare così una brutta piaga che affligge il suo paese, che detiene il triste primato degli abusi sessuali.

L’artista avrebbe potuto chissà, fare un dipinto. Sarebbe stata arte contemporanea? Sarebbe stata concettuale? Avrebbero riscontrato oggi lo stesso eco?

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Io, se non avessi letto all’ingresso almeno metà del testo, sarei uscito senza alcuna emozione.

Invece, non appena ho capito di cosa si trattasse, sono rimasto letteralmente rapito, particolarmente dall’inaspettata rappresentazione di un tema così delicato.

paragrafo 5. Andare oltre Alcuni portano avanti una battaglia democratica nei confronti dell’arte contemporanea. Eppure dagli anni ’60, l’arte è più libera e anarchica che mai: è accessibile da tutti e una volta dentro, si può fare ciò che si vuole. Non spetta a nessuno poi, lasciarti l’ingresso aperto. Si può fare arte a prescindere che ci aprano o meno. Il sistema dell’arte, accusato d’essere chiuso, non è l’arte stessa.

Da circa 60 anni l’arte ha abbandonato la bidimensionalità e si è presa possesso dello spazio; ha preso possesso della terra, dell’aria. L’arte è sempre più immateriale. Anche quando al coperto, è lo spazio ciò che più interessa agli artisti contemporanei. Se il discorso regge, se sei capace di convincere, puoi davvero mettere in scena quello che vuoi, e farai tanto rumore quanto più saprai stupire. Come fanno quindi a coesistere alcune forme artistiche che sono inquadrate in una tela, finita? E parlando di tele, dopo Mark Rothko, Jackson Pollock e senza dimenticare Lucio Fontana, come giustificare le cose ancora ancorate al classico? Beh, così come non tutti i mobili prodotti oggi sono effettivamente oggetti d’arredo contemporaneo. Non tutte le idee sono nuove; esistono ancora i tagli di capelli classici e le persone non alla moda.

Ogni minuto nel mondo vengono prodotte tonnellate di arte che non avrà nulla da aggiungere alla storia, il cui valore storico non sarà sorprendente, ragioni speciali a parte (provocazioni o volontà particolari). È arte che non compete, arte fuori concorso. Essa non si pone alcun obiettivo d’essere innovativa. Ha senso? Generalmente, possiamo dire che guardare indietro è semplice, ma guardare avanti è la vera sfida.

L’arte può essere oggi qualsiasi cosa e può essere vissuta e concepita ovunque. Se questa non è libertà.

CAPITOLO 7. DULCIS IN FUNDO 1. La moda r-esiste Avete mai sentito di gente che abbia detto di ripudiare la moda, di non volerla seguire? Io sì. La moda, così come il tempo, non si può fermare. Il tempo scorre, segnato non tanto dai nostri

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orologi, quanto dal decadimento delle cose, idee e ideologie incluse. Nulla è eterno. Non si tratta e non si può trattare di ripudiare la moda. Se non la segui, la moda ti lascia indietro, come la tecnologia o il sapere. Perché parlo di moda? Perché se non è chiaro, anche l’arte è, in senso lato, “moda”. Non si può rimanere ancorati alle giacche di velluto sagomate e ai dolcevita attillati che salgono su fino al collo.

Esiste arte alla moda, d’avanguardia; esiste arte fuori moda. A voi il vestito preferito.

2. Ho capito che non vi piace È normale non apprezzare qualcosa. A me non piace quasi più niente; ricordo invece quando avevo dei gusti più popolari. Erano gusti più semplici, ma sono felice così: più si sa e meglio si sta.

L’arte è, come la vita, un percorso; chi rimane fermo farebbe bene a preoccuparsi.

Abbiamo imparato che non capire l’arte contemporanea è normale e già capirne d’arte in generale è qualcosa di raro tra la gente. Non si tratta di difficoltà; la ragione è perché come altri campi, anche l’arte richiede anni di studio e di continui aggiornamenti. Sono pochi a completare studi artistici, eppure sono già troppi per le esigenze di mercato attuali. Va bene così.

3. Tutto cambia. Perché l’arte dovrebbe restare immobile?

L’arte contemporanea ha preso le distanze dal passato e non perché il passato sia detestabile, ma perché è passato. Gli artisti normalmente intendono portare il discorso avanti. So bene che a voi piace ancora Edvard Munch e Salvador Dalì, però vi invito a muovervi un passo avanti, come provano a fare gli artisti.

4. L’arte del passato non è più semplice (e non ci rappresenta più) Più semplice? Cosa, quel groviglio di corpi umani con i veli su per le parti intime? Forse, ma dovete conoscere interi passi della Bibbia e i vangeli. Se ci credete fate pure, ma sappiate che quell’arte fu prodotta per la Chiesa Cattolica. Non so quanto vi rappresenti o quanto sia vicina oggi a voi.

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5. Arte e artista Quando dico “arte”, non dico “grandi capolavori della storia”, né “artista” significa “grande artista”. Nel mondo ci sono milioni di opere e di firme. Piantatela di tirare in ballo il nome di Michelangelo per indicare il “non plus ultra”. A causa e grazie dei parametri attuali, Michelangelo non è più rappresentativo.

6. L’arte non è una cosa seria Poniamo il caso che sia vero, quale migliore occasione di giocare allora, di crearsi un alter ego e di fare finalmente quello che ci pare? Che male c’è? Ci si può pure guadagnare.

7. Nessuno vuole importunarti per i tuoi gusti Non si tratta di prendersi gioco di chi ha gusti un po’ vecchi e una conoscenza a singhiozzo. Si tratta di prendere atto che avete gusti un po’ vecchi e una conoscenza a singhiozzo.

8. A te ti piace E so bene che a te ti, come a me mi. Parlare di arte però non è stabilire chi di noi ha ragione.

Conoscere è più importante di “piacere” o “non piacere”. Il piacere di conoscere è il vero piacere.

9. Contrastare l’egemonia culturale dominante L’arte contemporanea è un fenomeno globale. Il linguaggio postmoderno si è fatto internazionale e non riguarda solo noi occidentali. Malgrado questa confluenza di visioni, tutt’oggi l’essere uomo, bianco e anglosassone, rappresenta un indiscusso vantaggio. Agli artisti è richiesto un requisito su tutti: l’inglese e una cultura filo-occidentale. Chi non parla inglese oggi, fatica pure a figurare come artista. Facciamo insieme uno sforzo affinché non vi siano veramente barriere di questo genere, lasciando che sia unicamente l’arte a fare la differenza.

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Q&A Cosa vuole dirci l’artista?

Non c’è una regola su questo. Ognuno può dare all’arte il significato che vuole e ci sono mille ragioni per farla. Non capirne il significato non è reato.

L’arte non è solo comunicazione, non è solo “significato”. L’arte è un discorso non per forza semplice, sensato o indirizzato ad altri; essa può significare niente, come il testo di una canzone.

L’arte è espressione e può essere molto personale, intima, come un pensiero ad alta voce. Non tutta l’arte è pubblica, aperta al nostro giudizio. L’arte è un modo per conoscere l’artista; l’arte è il tramite con cui l’artista ama dirci qualcosa o mostrarci qualcosa. Più di “cosa significa”, chiediamoci: “Che emozione mi suscita, che reazione mi provoca?”.

Perché spendere tutti questi soldi?

Dipende; poniamo pure il caso di trovarci di fronte a qualcosa di costoso perché molto grande o elaborato. I finanziatori del progetto possono essere le istituzioni, i privati o gli artisti stessi.

Opere anche costose possono portare più benessere del loro valore grazie ai visitatori o alle vendite di stampe, libri e articoli correlati.

Che senso ha tutto questo?

Ha senso scrivere poesie, giocare a bocce o ai videogames? L’arte è solo l’ennesima attività ludica o di pensiero. Il senso può essere grande per l’artista e chi lo sostiene, incluso il suo pubblico, chiaramente.

Perché non si ritorna a dipingere o disegnare come una volta?

Per la stessa ragione per cui non ci vestiamo “come una volta”; come una volta non facciamo quasi più nulla. Perché è stato già fatto.

Mi volete dire che ciò che a me piace non è giusto o bello?

Nessuno ci prova veramente. Qualcuno però può insegnarti qualcosa. Forse ti si vuole solo dire che dovresti informarti di più e meglio.

Come si valuta il costo di un’opera d’arte?

I prezzi li decidono il mercato. Si può provare a vendere qualcosa a caro prezzo, ma più alto si fa il rischio che rimanga invenduto. Esistono tuttavia alcuni parametri, sicuramente conta l’autore

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dell’opera d’arte. Conta la roba firmata. Conta anche il costo di produzione (esistono opere fatte di diamanti), la sua grandezza, la sua “scarsezza” (pezzo unico?), la sua originalità, importanza o popolarità. Talvolta, la sua “bellezza”.

È importante capire o seguire l’arte?

Per nulla importante. È più importante seguire i telegiornali e le ricette di cucina. Ma non si vive di solo pane.

Sicuri che non sia una presa in giro?

Che importa. Purché non ti rubino i soldi, le prese in giro possono essere divertenti. Che poi, non è l’arte a non valere il suo prezzo, ma chi impone il suo prezzo (spazio espositivo, cinema, teatro, eventi ecc.).

Perché l’arte è così elitaria?

Tutto il sapere è elitario. L’arte non è ciò che dici tu, o ciò che piace a te: l’arte è un sapere molto ricco di date, fatti, nozioni e concetti. Non tutti ne sono a conoscenza.

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INDICE 1. Capire l’arte contemporanea.......................................................................................pagina 2 1.1 “Non capisco l’arte contemporanea” 1.2 Perché presumiamo di capire di più l’arte del passato?

1.3 L’arte contemporanea è complicata?

2. Cosa è arte..............................................................................................................................pagina 4 2.1 Cosa è l’arte?

2.2 Arte nella storia 2.3 Arte in età moderna 2.4 Cosa s’intende per arte oggi?

2.5 L’artista è un lavoro?

3. Chi è l’artista.......................................................................................................................pagina 8 3.1 L’artista oggi 3.2 Chi è artista 3.3 Cosa rende un artista un grande artista?

3.4 Eccellere in qualcosa rende artisti?

4. L’opera d’arte.....................................................................................................................pagina 11 4.1 Potevo farlo anch’io 4.2 L’arte è una tr-fuffa 4.3 Non c’è più l’arte bella di una volta 4.4 L’arte è per pochi 4.5 Quali sono le opere d’arte che valgono?

5. Il Giudizio............................................................................................................................pagina 15 5.1 Tutti abbiamo un gusto 5.2 Il metro 5.3 È meglio la birra o lo champagne?

5.4 Cosa ci piace e perché?

5.5 Esiste un bello universale?

5.6 Oh che bello!

5.7 Il gusto perverso 5.8 Fa così tanto schifo da essere fantastico 6. Il contemporaneo, questo sconosciuto.................................................................pagina 20 6.1 Cosa è contemporaneo?

6.2 Basta con queste provocazioni!

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6.3 Arte contemporanea vs arte concettuale 6.4 Istruzioni per l’uso 6.5 Andare oltre 7. Dulcis in fundo.................................................................................................................pagina 22 7.1 La moda r-esiste 7.2 Ho capito che non vi piace 7.3 Tutto cambia. Perché l’arte dovrebbe restare immobile?

7.4 L’arte del passato non è più semplice (e non ci rappresenta più) 7.5 Arte e artista 7.6 L’arte non è una cosa seria 7.7 Nessuno vuole importunarti per i tuoi gusti 7.8 A te ti piace 7.9 Contrastare l’egemonia culturale dominante 8. Q & A......................................................................................................................................pagina 25

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