Supplemento all’édizione di “SARDONIA“ Dicembre 2022 S’ARTI NOSTRA Foto dolores mancosu Della rivoluzione sarda Orazio Satta Puliga Satta e l’Alfa Romeo Cagliari tra ‘800 e ‘900 Ottone Bacaredda Metti una sera a casa di Mirella Mibelli Immagini d’autrice Giochi di verità S’Ozzastru a Luras DOLIA E’ Mulino Garau Alla ricerca di Pietrina Atzori La Porta dei Leoni Genna Maria Quarant’anni Sandra Deiana
S’Arti Nostra
Programma Televisivo OnLine di Diffusione d’Arte Contemporanea a cura di Vittorio E. Pisu
Prolungamento editoriale
Pubblicazione irregolare supplemento del mensile Sardonia
Vittorio E. Pisu Redattore Capo Direttore Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/cagliarijetaime
SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Partecipa alla redazione Luisanna Napoli Angelo custode Dolores Mancosu
Supplemento al numero del Dicembre 2022 in collaborazione con PALAZZI A VENEZIA Publication périodique d’Arts et de culture urbaine Correspondance palazziavenezia@gmail.com https://www.facebook.com/ Palazzi-A-Venezia https://www.vimeo.com/ channels/palazziavenezia Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS vimeo.com/unisvers Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale
ino all’8 gennaio 2023 nel ristorante più emblematico di Cagliari, situato nella Piazza Yenne, centre non si può più centrale della movida cagliaritana, già rifugio antiaereo durante la IInda Guerra Mondiale, poi pasticcieria rinomata ed oggi ristorante riconosciuto tra i primi 100 migliori ristoranti italiani, trentacinque viste di Cagliari linoleografate da Vittorio E. Pisu che potrete contemplare degustando una cucina sopraffina servita con professionalità ed eleganza. Tel.: +39 070 094 9981
uesta fotografia di Dolores Mancosu é assolutamente esplicita e ci indica che la sola via d’uscita ai diversi conflitti (attualmente trenta in corso di cui quello in Siria dura da undici anni nell’indifferenza quasi generale, alimentando inoltre un numero importante di rifugiati che approdano in Europa, senza dimenticare l’ultimo in data che sotto mentite spoglie di operazione speciale avrebbe dovuto durare nenache una sttimana, mentre ormai abbiamo superato il decimo mese) non può essere che la pace, ed in qualsiasi modo si voglia rigirare la frittata in ogni conflitto non ci sono vincitori ma solo perdenti, ed in prima linea le popolazioni civili.
Dalla guerra Franco Prussiana del 1870 il numero dei civili deceduti durante i conflitti ha incominciato a superare quello dei militari morti le armi alla mano, ed in modo esponenziale, come si può notare in questi ultimi giorni durante i quali la gloriosa armata rossa già sconfitta e dall’inizio, non trova di meglio che bombardare centrali elettriche ed altre sorgenti di approvvigionamento in energia ed acqua.
Una strategia che ricorda dolorosamente quella messa in atto dalle armate naziste ormai perdenti sui territori francesi, italiani, russi, eccetera.
Una strategia di “mauvais perdant”.
All’inizio di questa tragedia si sono trovate delle persone pronte a parteggiare per questo criminale, arrivando fino ad insignirsi sui socialmedia della Zeta brandita dall’esercito russo come segno distintivo. Mi chiedo se ancora oggi sono fieri di essere i partigiani di simili carnefici.
Nonostante tutto credo che “à quelque chose malheur est bon” ed il risultato di questo conflitto, di cui stiamo soffrendo le conseguenze fino in casa nostra, dovrebbe convincerci, se ne fosse ancora necessario, che la delocalizzazione delle attività non solo manifatturiere ma anche agricole in paesi con salari di fame, non sia effettivamente una delle più grandi stupidità che non può nascere che nel pensiero di qualche addetto alla finanza che non vede più lontano di oggi e se ne frega altamente del domani.
Ricordo che le telefonate che ricevevo per convincermi di investire nel trading delle monete (sic) incominciavano sempre con la frase (How are you today?) Come sta oggi ? appunto come dire che domani non esistesse.
Dall’inizio degli anni ottanta, grazie ai vari Reagan et Tatcher, l’equilibrio tra azionisti e salariati fu rotto a discapito degli ultimi e tutte le attività industriali, commerciali, agricole, eccetera, furono ormai dirette da specialisti della finanza alla ricerca del profitto più grande a scapito anche della conservazione del savoir faire di numerose attività umane.
Da più di diecimila anni, quando i gruppi umani si sono sedentarizzati ed hanno incominciato a organizzare l’agricoltura e l’allevamento, abbiamo vissuto in piena armonia con la natura, e neanche la rivoluzione industriale era riuscita a rompere questo connubio, ed oggi ci si vorrebbe convincere che qualche decennio di finanziarizzazione dell’economia, che visibilmente sta distruggendo il pianeta e mettendo in serio pericolo la soppravvivenza stessa della specie umana, sarebbe l’unica via possibile e praticabile ?
Se basta un solo conflitto a impedire la libera circolazione non solo delle mercanzie fondamentali come il grano, l’acciaio, il petrolio, il gas, eccetera, come non capire che la globalizzazione é un errore madornale, peggio, criminale?
Saremo capaci di imparare la lezione ? Mentre assistiamo all’incapacità patente dei nostri governanti (sic) ad affrontare e risolvere i problemi che oggi ci assillano particolarmente, che come gli eserciti di tutto il mondo, per altro particolarmente inutili, sono sempre in ritardo di una guerra e che solamente le somme spese per finanziare la produzione di armi, proiettili, bombe ed altre diavolerie sarebbe più che sufficiente a risolvere non solo la fame che ancora oggi afflige un terzo dell’umanità ma anche la loro istruzione e la fornitura di elementi primordiali come acqua potabile, energia ed utensili e macchinari per l’artigianato, l’agricoltura e l’industria.
La fine dell’anno, con le sue festività natalizie che ci ricordano la speranza insita nella nascita del Gesù e l’albore dell’anno nuovo che immaginiamo e speriamo migliore del precedente e capace di metterci in condizioni di realizzare non solo la Pace tanto necessaria ma anche una concordia più generale fra noi tutti e la capacità di capire che dobbiamo cambiare sistema. Me lo auguro. Buone Feste. Vittorio E. Pisu
F Q S’ARTI NOSTRA 2 Fino all’8 gennaio 2023 Arrubiu Art Gallery Cafè Via Giuseppe Mazzini 88 Oristano tel +33 347 1342 452 vedi i video vimeo.com/776461105 vimeo.com/776718462 SARDONIA S’ARTI NOSTRA VITTORIO E. PISU Le strade della mia Città Linoleografie Piazza Yenne 26, Cagliari Stampace Grotta Marcello Tél.: +39 070 094 9981 Tel. +39 350 044 2249 grottamarcello17@gmail.com vimeo.com/unisvers sardonianoprofit@gmail.com Foto vittorio e.pisu Projet Graphique Maquette Mise page L’Expérience du Futur SONO LIETI DI PRESENTARVI
ggi vorrei ricordare un personaggio celebre amico di Gio Maria Angioy e di Michele Obino che, a causa delle sue idee liberali, lasciò la Sardegna dove su di lui incombevano calunnie e sospetti.
Si tratta di Francesco Carboni, un abate, ex gesuita e valente letterato nato a Bonnanaro il 12 marzo 1746 e morto a Bessude il 22 aprile 1817.
Fu un apprezzatissimo poeta latino al punto da essere definito il “Catullo di Sardegna”.
Apprese i primi rudimenti grammaticali e retorici presso il collegio gesuitico di Sassari. Compì gli studi universitari nella stessa città ma li abbondonò prima di conseguire la laurea. Divenne sacerdote dedicandosi allo studio della Letteratura.
Insegnò ad Alghero e fu insignito nella Regia Università di Cagliari per la sua singolare dottrina ed erudizione, nonché per i suoi meriti in qualità di professore di retorica, vice prefetto e prefetto delle scuole inferiori. Nel 1792, tuttavia, su di lui si addensarono sospetti di sentimenti filofrancesi e di eterodossia, dai quali l’abate si scagionò andando a Torino e rimanendo nel continente ove intrecciò una vasta rete di relazioni culturali. Indubbia la sua amicizia con
Angioy di cui frequentava la casa.
D’altra parte, nelle carte trovate in casa del marchese di Planargia era schedato fra i “giacobini ecclesiastici sparlatori contro il governo”.
“La storia dei torbidi” lo accusa di spiegare “alla gioventù le massime della viziosa libertà, e dell’immaginaria eguaglianza”.
Per distruggerlo, i reazionari insinuarono un’eccessiva simpatia per la figlia del bidello delle scuole di Santa Teresa delle quali era prefetto, direttore spirituale e docente di retorica. La sua produzione fu vastissima e l’amicizia coll’Angioy comprovata da due epigrammi a donna Annica Belgrano per le nozze con Gio Maria e un altro sulla resistenza oppostagli a Macomer.
Scrisse anche un componimento latino per Napoleone Bonaparte, ma lo strappò quando l’imperatore andò contro Pio VII. Un altro personaggio da non dimenticare.
Si sono trovate sue notizie anche in Francia, per darvi la misura delle sue indubbie capacità letterarie e della sua intelligenza. Aveva origini modeste, il che aggiunge merito alla sua brillante carriera.
Luisanna Napoli
Quando Michele Obino vide il giorno a Santu Lussurgiu, il 19 gennaio 1769, i genitori, don Lorenzo e donna Cecilia Massidda, non avrebbero mai sospettato che avrebbe finito i suoi giorni a Parigi e lì avrebbe riposato nel più celebre cimitero della capitale francese, il Père Lachaise.
Amico e fedele seguace di Angioy (come i fratelli Agostino e Raffaele) Michele condivise la sua lotta contro il feudalesimo e lo protesse, rischiando la vita, ospitandolo quando l’amico era ricercato.
Costretto anch’egli alla fuga, venne protetto ad Alghero dai Peretti, amici di origine corsa, e dai Simon.
S’imbarcò probabilmente per la Corsica il 31 dicembre 1800 con i due fratelli, Giovanni Bonu e altri, dove frequentò il salotto della madre di Napoleone fino al 1803 circa.
Dalla Corsica raggiunge Parigi passando per la Svizzera, dopo una sosta a Milano, e là vivrà fino al 6 gennaio 1839, data della sua morte avvenuta al suo domicilio parigino sito al numero 342 della rue Saint Honoré, all’età di 76 anni.
Il 20 febbraio 2022, Michele Obino, figura maggiore della Sarda Rivoluzione, esce uffi-
DELLA RIVOLUZIONE SARDA
cialmente dall’anonimato del Cimitero Père Lachaise di Parigi, collocandosi con una biografia da noi personalmente curata in francese, corredata da fotografie e localizzazione nella pianta del vastissimo camposanto parigino, nel sito APPL (Amis et Passionnés du Père Lachaise) che v’invitiamo a consultare (https://g.co/kgs/ RB7ycm)
La tomba, da noi scoperta nel 2019 dopo accurate ricerche archivistiche che contrastavano la sua sedicente sepoltura al Cimitero di Montmartre, appartiene oggi alla Città di Parigi che ne decretò lo stato di abbandono sul finire degli anni ottanta.
La folta vegetazione spontaneamente cresciuta, l’ha tuttavia resa inviolabile, preservandola.
La biografia del sito rimanda inoltre a tre noti personaggi francesi frequentati da Michele Obino durante gli anni parigini: il giudice Guy Jean-Baptiste Target, il poeta Pierre Louis Ginguené e il geologo Louis Constant Prévost.
Foto chiara cossu
Tre celebrità dell’epoca che testimoniano l’alto valore di questo personaggio lussurgese riuscito mirabilmente a inserirsi nell’alta società parigina napoleonica.
Con Target, che perfino il re Louis XVI aveva voluto come avvocato per il suo processo, collaborò nello studio notarile omonimo e, alla morte di questi, lo rilevò.
Quanto al Prévost, don Obino lo nominò suo esecutore testamentario raccomandandogli la sobrietà per le sue esequie nonchè l’elemosina di cinque franchi a dodici povere vedove con figli a carico.
Nel testamento olografo, rogato il 5 dicembre 1838, Obino nominò suoi eredi, oltre che i parenti sardi, gli amici francesi che avevano condiviso il suo quotidiano durante lunghi anni: Mme Clarisse Bourgoin, che lo aveva ospitato come pensionante, il figlio del giudice Target, tre sorelle Target e il Prévost, la cui moglie era una delle citate sorelle Target.
Concludiamo augurando che altri personaggi di spicco della Sarda Rivoluzione escano pian piano dall’ombra collocandosi, a giusto titolo, anche all’estero, come patrioti sardi le cui vicende umane sono degne di sempre maggior luce e crescente interesse storico.
www.tottusinpari. it/2022/02/23/un-personaggio-di-spicco-della-sarda-rivoluzione-sepolto-a-parigi-michele-obino-amico-e-fedele-seguace-di-angioy/
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NOSTRA 3
S’ARTI
razio Satta Puliga (Torino, 6 ottobre 1910 –Milano, 22 marzo 1974) è stato un ingegnere italiano specializzato nel settore automobilistico, che ha legato particolarmente il suo nome all’Alfa Romeo.
Laureato in Ingegneria meccanica al Politecnico di Torino nel 1933 e una seconda volta in ingegneria aeronautica nel 1935, entrò all’Alfa Romeo dopo il servizio militare nel 1938.
Nel 1946 venne nominato direttore della progettazione e delle esperienze, nel 1951 divenne direttore centrale e nel 1969 vice direttore generale.
La progettazione della 1900, della Giulietta, della Giulia, della 1750, dell’Alfetta e delle loro derivate si deve a lui e ad altri tecnici sotto la sua direzione: Giuseppe Busso, Rudolf Hruska, Filippo Surace e Domenico Chirico, solo per citarne alcuni.
A questi tecnici gli Alfisti devono la loro passione per le Alfa Romeo, auto pensate e costruite guardando all’eccellenza tecnica.
Colpito da un male incurabile, morì nel 1974.
Nel corso del 2007 la città di Ozieri, dalla quale proveniva la famiglia, gli ha dedicato una via cittadina, grazie anche al locale Club Ferrari promotore dell’iniziativa.
Nel 2010, in occasione del centenario dell’Alfa Romeo, l’Associazione Automoto d’epoca Sardegna ha portato ad Ozieri una trentina di vetture storiche Alfa, per ricordare la sua opera. Qui il testo commemorativo : A 100 anni dalla nascita era doveroso ricordare l’ing. Orazio Satta nella sua città di origine: Ozieri.
Alcuni anni or sono l’Amministrazione Comunale gli dedicò una strada: l’idea fu lanciata dal locale Club Ferrari e, per l’occasione, vennero dal Piemonte anche il figlio ed i nipoti del progettista.
Questa volta gli organizzatori erano , oltre all’Amministrazione Comunale, l’Amministrazione Provinciale di Sassari ed il Gruppo Sport Motori Ozieri.
Il giorno prima il quotidiano “La Nuova Sardegna” ha dato notizia dell’evento ricordando Orazio Satta.
La nostra Associazione ha collaborato coordinando l’arrivo di circa 25 vetture Alfa Romeo da tutta la Sardegna.
Fra le vetture più interessanti una GTA ed una Giulia sprint; fra le più vecchie le immancabili Giulietta, in varie versioni.
«L’Alfa Romeo non è una semplice fabbrica di automobili: le sue auto sono qualche cosa di più che automobili costruite in maniera convenzionale. Ci sono molte marche di automobili, e tra esse l’Alfa occupa un posto a parte. È una specie di malattia, l’entusiasmo per un mezzo di trasporto. È un modo di vivere, un modo tutto particolare di concepire un veicolo a motore.»
Orazio Satta Puliga https://youtu.be/ qYmn5TNcA8s
Le macchine , dopo un breve giro in città, sono rimaste esposte nella centrale piazza Garibaldi, mentre gli equipaggi hanno effettuato, a piedi, una breve ma interessante visita guidata nel centro storico.
E’ stata, per molti, una piacevolissima sorpresa: Ozieri è infatti ricca di monumenti, interessante dal punto di vista urbanistico e, soprattutto, molto gradevole. Quasi tutto hanno deciso di ritornarvi, autonomamente o, ancor meglio, organizzando un prossimo raduno turistico di alcuni giorni.
Al momento del pranzo, tenutosi presso un bel ristorante ubicato nei locali di un vecchio teatro, le autorità presenti ed i convenuti hanno brevemente ricordato la vita e l’opera dell’ing. Satta.
Ci si è ripromessi di approfondire ulteriormente la conoscenza di questo illustre concittadino, ampliando, nel tempo, le notizie riportate in questo sito.
Al ritorno, per i molti residenti a Cagliari, altri 200 chilometri percorsi piacevolmente accompagnati dal rombo dei bialbero sempre scattanti anche se cinquantenni.
Se,mpre nel 2010, dal 10 al 22 dicembre, nell’ambito della manifestazione “Fiera NataleLa Provincia di Cagliari produ-
ce” l’Amministrazione provinciale ha concesso uno spazio espositivo che è stato naturalmente utilizzato per celebrare il centenario Alfa romeo, esponendo 20 vetture di intereresse storico, che coprivano il periodo dagli anni ‘50 agli anni ‘80. Erano presenti 3 Giulietta prima serie, in versione berlina e spider; 5 Giulia Berlina, 4 GT in diverse versioni, 3 spider, una 1750 berlina e quattro rappresentanti dei modelli “transaxle” (Alfetta berlina e GTV, nuova Giulietta, 75).
Infine l’ultima nata, la Giulietta attuale. Alcuni modelli erano veramenti inconsueti, quali la rarissima Giulia Giardinetta carrozzeria Colli nella ancor più rara versione “civile” che dispone della terza luce laterale in vetro e non oscurata come nelle versioni ex Polizia; la GTC, cioé GT Cabriolet prodotta solo in mille esemplari, e la Zagato 1600, anch’essa prodotta in alcune centinaia di esemplari.
Infine era presente una Giulia in versione Gazzella dei Carabinieri, attualmente di proprietà privata e non più dell’Arma: una vettura che, dopo anni di servizio attivo, è stata anche adoperata per girare scene di film polizieschi, in quanto di proprietà di una società di no-
leggio veicoli cinematografici. C’era quindi quanto necessario per attirare l’attenzione di più esperti, che non si sono lasciati sfuggire i modelli più rari, e dei meno esperti che hanno ammirato tutte le vetture, e si sono soffermati a lungo presso la Gazzella, universalmente conosciuta.
Si è consegnato a tuti i presenti la ricostruzione cronologica dei 100 anni intitolata “Giulia, Orazio e il vento di maestrale sopra riportato e scaricabile in formato pdf pronto per la stampaa partire da questo link:
http://www.aaesardegna.org/ vecchiosito/cento%20anni%20 alfa%20romeo/giulia%20orazio%20libretto.pdf
ed anche qualche poster a documentare la produzione diversificata dell’Alfa romeo fino alla produzione di cucine
http://www.aaesardegna.org/ vecchiosito/cento%20anni%20 alfa%20romeo/posteraereo.pdf
http://www.aaesardegna.org/ vecchiosito/cento%20anni%20 alfa%20romeo/posteraereo.pdf
http://www.aaesardegna.org/ vecchiosito/cento%20anni%20 alfa%20romeo/posteraereo.pdf
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Foto automobilclubd’italia
Giulia: la ha disegnata il vento” diceva, negli anni ’60, una famosa campagna pubblicitaria della nuova vettura Alfa Romeo, riferendosi alla sua aerodinamicità: un coefficiente CX pari a 0,34, strepitoso per una berlina e uguagliato, nel periodo, solo dalla sportivissima Porsche.
A guardare la Giulia, però, si intuiva che il vento che l’aveva disegnata doveva essere un po’ impetuoso: una raffica si era portata via un pezzo di coda, lasciandola tronca, un’altra raffica aveva portato via gli spigoli superiori, lasciandoli incavati, per ridurre una parte non essenziale dellala sezione maestra che si opponeva al moto.
Era probabilmente il maestrale che soffia in Sardegna, visto che il “padre” della Giulia, e di tutte le Alfa del dopoguerra, si chiamava Orazio Satta Puliga, nato a Torino genitori ozieresi.
L’ing. Satta nacque nel 1910, lo stesso anno di fondazione dell’ Alfa Romeo, e quest’anno ricorrono entrambi i centenari: noi, appassionati di autostoriche, desideriamo ricordarli parlando di questo geniale progettista assieme alla storia della “sua Alfa”.
”Sua” perché l’Alfa Romeo, non è stata, come le altre grandi marche automobilistiche italiane, una azienda di proprietà di una famiglia, ma una azienda mutevole, che ha vissuto grazie a chi, come Satta, si è succeduto alla sua guida con capacità, tenacia ed attaccamento. Vogliamo ricordare gli “uomini” Alfa” e non solo le “automobili” Alfa (anche perché Alfa non ha prodotto solo automobili), intrecciando cronologicamente le vicende di Satta e della sua azienda.
1906
Alexandre Darracq, industriale francese, fonda la Società Italiana Automobili Darracq, con sede prima a Napoli e poi a Milano.
La società si propone di produrre e vendere anche in Italia le omonime vetture francesi: ma gli affari non vanno bene.
La famiglia Satta é trasferita da Ozieri in Piemonte: infatti il padre deve lavorare presso l’ospedale di Biella.
1909
La Darracq italiana è posta in liquidazione.
1910
Un gruppo di industriali lombardi costituisce l’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).e rileva la Darracq, compreso lo stabili-
mento del Portello, a Milano. Alla fine dell’anno inizia la produzione della 24HP, una 4 cilindri con oltre 4000 cc di cilindrata: è la prima Alfa progettata interamente in Italia, la ha ideata Giuseppe Merosi, già progettista presso la FIAT, che ha appena iniziato a lavorare in ALFA come capo dell’Ufficio progettazione.
Il 6 ottobre nasce a Torino Orazio Satta, secondo di tre figli.
1912
Le potenze delle autovetture crescono in fretta: si produce il modello 40-60 HP che, in versione corsa, sfiora i 150 chilometri orari.
1914
Merosi progetta la Grand Prix, un esemplare unico da 88 cavalli che, potenziato a 102 cavalli, gareggerà fino al 1921. Per la prima volta la distribuzione è realizzata con due alberi a camme in testa, la stessa architettura dei motori Alfa Romeo di oggi.
1915
Il 2 dicembre l’ing. Nicola Romeo, titolare di una società che fabbrica motocompressori ed altre apparecchiatura per l’industria mineraria, riceve una sostanziosa commessa per l’esercito : poiché le sue officine non sono in grado di
produrre in quantità idonea quanto richiesto, diviene azionista e prende la direzione dell’azienda: allo stabilimento Alfa del Portello assume nuovi operai, portandane il numero da 100 a 1200.
Romeo era nato in un paese vicino a Napoli nel 1876, da famiglia modesta, che lo fece studiare con grandi sacrifici: si era laureato in ingegneria meccanica a Napoli e, successivamente, in ingegneria elettromeccanica a Liegi; aveva lavorato poi in Francia, Germania ed Inghilterra ed aveva ottenuto la rappresentanza esclusiva per l’Italia della ditta Ingersoll Rand, famosa per i motocompressori. Inoltre Romeo costruiva materiale ferroviario e locomotive a vapore.
Durante la guerra i compressori Romeo del modello “Piccolo Italiano” sono utilizzati soprattutto per lo scavo delle trincee e delle gallerie sul fronte. Romeo produce inoltre munizioni, lanciafiamme, motori a 6 cilindri per aerei.
1918
Alla fine della prima guerra mondiale Romeo ha acquisito altri stabilimenti, fra cui le “Officine Ferroviarie Meridionali” di Napoli e le “Costruzioni Meccaniche” di Saronno, le potenzialità nel settore ferroviario sono notevoli. E tuttavia egli, arrivato all’Alfa per i motivi di cui si è detto, si è appassionato di automobili: ne ricomincia la produzione, per la prima volta con la scritta “Alfa Romeo” e con il marchio rotondo che tutti conosciamo, caratterizzato dalla croce rossa simbolo di Milano e dal biscione visconteo.
1921
Esordisce la RL, una vettura a 6 cilindri che sarà prodotta fino al 1923 in alcune migliaia di esemplari.
1923
Vittorio Jano, grande progettista proveniente dalla FIAT, sostituisce Merosi: realizzerà delle vetture celebri, come le 6 cilindri.
Tuttavia l’azienda versa in gravi difficoltà: il principale azionista, che è la “Banca di Sconto”, proprietaria anche di Ansaldo, fallisce.
1924
Esordisce la prima vettura di Jano, la P2 da corsa: cilindrata di 2 litri, 8 cilindri in linea, compressore volumetrico, potenza da 140 a 175 cavalli. Costruita in 6 esemplari continua a vincere quasi dovunque, fino alla Targa Florio del 1930.
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Foto automobilclubd’italia
SATTA E L’ALFA
E’ ormai affermato il “mito” Alfa Romeo.
1927
Nasce la 6 cilindri 1500, capostipite di una dinastia di vetture con motori a 6 ed 8 cilindri in linea, prodotte fino a dopo la seconda guerra mondiale.
Già dall’anno successivo la versione Sport adotta la distribuzione bialbero, fino ad allora riservata alle Alfa da competizione. La prestigiosa rivista inglese Autocar commenta: “si tratta di un vero gioiello della meccanica”.
1928
Nicola Romeo, in gravi difficoltà finanziarie, è costretto a cedere la sua quota azionaria e lascia l’ALFA; l’azienda naviga, finanziariamente, in cattive acque.
Campari su Alfa vince la Mille Miglia.
Un motore dotato di motore Alfa costruito su licenza Bristol conquista il record mondiale di altezza.
Orazio Satta si iscrive alla facoltà di ingegneria.
1929
Nasce la 6C 1750, in versione Turismo e Sport: derivata dalla precedente 1500: è una pietra miliare nella storia della fabbrica.
Quest’anno è però contraddistinto dalla catastrofica crisi mondiale.
1930
Tre 1750, condotte da Nuvolari, Varzi e Campari, conquistano i primi tre posti alla Mille Miglia.
1931
Il motore 6C acquista altri 2 cilindri e nasce la 8C 2300.
Nasce la Scuderia Ferrari: l’ex corridore e concessionario delle vendite elabora le Alfa per le corse e le fa gareggiare con i suoi piloti.
E’ presentato l’autocarro Bussing 50, con motore Deutz diesel.
1933
La crisi peggiora, i dipendenti sono meno di 1000, la produzione è al minimo; la società ha 93 milioni di debiti, a fronte di un capitale di 100 milioni.
Il regime fascista istituisce l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) nel quale fa confluire l’Alfa.
Per rimettere in sesto l’azienda nomina come direttore Ugo Gobbato.
L’azienda si ritira dalle corse, Ferrari continua a far correre le macchine ma con il suo stemma giallo nero al posto del classico quadrifoglio.
L’Alfa inizia a produrre veicoli industriali e motori per
aerei in grande quantità. Il giovane Orazio Satta si laure in ingegneria meccanica presso il Politecnico di Torino, e decide di proseguire ulteriormente i propri studi.
1934
Record dell’aria: si raggiungono i 14.500 metri con un aereo dotato di motore Pegasus da 810 cavalli.
1935
Orazio Satta consegue una seconda laurea in ingegneria aereonautica presso il Politecnico di Torino ed inizia ad operarvi come Assistente.
1937
Jano esce dall’Alfa, che ormai produce ben poche automobili: veicoli industriali e motori aereonautici per i militari sono predominanti.
1938
Presso la Scuderia Ferrari viene progettata la vettura da competizione tipo 158, più nota come “Alfetta”: il motore ad 8 cilindri sovralimentato ha solo 1.500 cc, ma vince dappertutto L’ingegner Satta viene assunto all’Alfa Romeo.
1939
Inizia la costruzione di uno stabilimento aereonatico a Pomigliano d’Arco, presso Napoli: è una struttura modernissima, dotata di aereoporto,
collegato alla stazione ferroviaria con una galleria sotterranea.
Vi sono 600 alloggi per i dipendenti con famiglia e 700 posti letto per gli scapoli, un asilo nido, un cinema, una biblioteca, una azienda agricola. Nel 1943 vi lavoreranno 6000 operai.
Il 1 settembre la Germania inizia ad invadere la Polonia. E’ l’inizio della seconda guerra mondiale.
1940
Negli ultimi 6 anni (1934 –1940) sono state prodotte solo 1.400 automobili Alfa Romeo.
Il 10 giugno l’Italia entra in guerra.
1943
Dal mese di febbraio iniziano i bombardamenti aerei sul Portello.
Il 30 maggio gli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, ideati senza prevedere qualsiasi difesa, attiva o passiva, sono distrutti quasi completamente. L’8 settembre l’Italia sottoscrive l’Armistizio.
1944
Il 4 giugno gli americani entrano a Roma.
Il 20 ottobre lo stabilimento del Portello è raso definitivamente al suolo da un massiccio bombardamento aereo inglese.
1945
Il 25 aprile Milano e Torino vengono liberate dai Partigiani.
Il 28 aprile Ugo Gobbato, dopo essere stato processato dal tribunale del popolo in quanto sospettato collaborazionismo ed essere stato pienamente assolto, riprende il lavoro: ma tornando verso casa viene assassinato. Scompare con lui un tecnico di grande valore e si chiude definitivamente l’era dell’Alfa Romeo anteguerra.
1946
Anno cruciale per la ripresa dell’Alfa. Vengono prodotte solo 3 autovetture!
Ma si producono finestre e cucine. Orazio Satta diviene direttore della progettazione e delle esperienze: inizierà ad operare significativamente per la rinascita della fabbrica.
1947
Vengono recuperate le 158 “Alfetta” del 1938, nascoste durante la guerra in luoghi segreti, e vincono il campionato del mondo di Formula 1: è un messaggio di rinascita della marca.
Si producono ancora, fino al 1952, le 6 cilindri anteguerra. 1950
Esordisce la 1900, prima creazione di Satta: è una vettura
(segue
dalla pagina 5)
S’ARTI NOSTRA 6
Foto automobilclubd’italia
moderna a carrozzeria portante. Sono già inconfondibilmente definite le caratteristiche tecniche e funzionali delle nuove Alfa Romeo che perdureranno per parecchi decenni successivi.
1951
L’ingegner Satta diviene direttore centrale.
1952
Giuseppe Luraghi, un artista che scrive poesie, dipinge e scolpisce, ma è conosciuto perché manager industriale di rara bravura, diviene presidente di Finmeccanica, la finanziaria IRI che controlla le industrie meccaniche del gruppo.
Inizia uno dei migliori periodi Alfa che durerà due decenni, la sintonia con Satta è ottima.
Lavorano in azienda grandi progettisti: Giuseppe Busso, Rudolf Hruska, Filippo Surace, Domenico Chirico.
1954
Esordisce la Giulietta sprint, con motore bialbero di cilindrata 1290: nasce prima della berlina per sottolinere il carattere sportivo.
1955
Viene messa in commercio la Giulietta berlina. Sarà un grande successivo, la prima macchina che supererà i 100.000 esemplari.
Numerose le successive versioni sportive: spider, SZ di Zagato, SS di Bertone.
1957
La 2000 berlina, erede della 1900, è un’auto di lusso di grandi dimensioni; vengono prodotte anche le spider e le sprint.
Dal 1961 verranno equipaggiate anche con un 2600 a 6 cilindri.
1960
Luraghi diviene presidente Alfa. 1962
Viene lanciata la Giulia, una macchina fortemente innovativa concepita da Orazio Satta: compatta, confortevole ma sportiva, dotata del bialbero di cilindrata 1570 che sarà equipaggerà anche i modelli successivi per oltre 32 anni, fino all’ultima Alfa 75 del 1994 (record italiano di durata di produzione). In seguito adotterà anche il motore 1290.
1963
Nasce la Giulia in versione coupé, denominata GT e, nella versione da corsa, GTA. 1966
Nasce la Giulia in versione Spider: per trovarle un nome si bandisce un concorso, il risultato sarà “Duetto”. Con la classica coda ad “osso di seppia” spopola anche ne-
gli USA. Sarà prodotta, con le successive serie a coda tronca, per 30 anni. 1968
Nasce la berlina 1750 1969
Orazio Satta diviene vice direttore generale. 1970
Viene lanciata la Montreal, coupé dalla linea avveniristica spinto da un motore 8 cilindri a V di 3,5 litri. 1971
Preceduta da lunghe discussioni nasce l’Alfasud: sia una vettura che uno stabilimento, situato nei pressi dello storico insediamento aeronautico di Pomigliano d’Arco. L’uomo a cui è affidato l’intero progetto è l’austriaco Rudolf Hruska, ed il risultato tecnico è fortemente innovativo: trazione anteriore e motore a cilindri contrapposti, in una carrozzeria moderna e spaziosa.
Grosse difficoltà iniziali di produzione legate anche a problemi di elevata conflittualità in stabilimento e scarso controllo di alcuni parametri qualitativi appannano, all’inizio, la validità del progetto (in particolare, una inadeguata protezione dalla ruggine) che tuttavia, col tempo, dimostra la propria validità, evolvendo-
si con l’Alfa 33 e con le successive 145 e 146. 1972
Il difficile compito di proseguire la tradizione delle berline a trazione posteriore viene affidato all’Alfetta, ultimo capolavoro di Orazio Satta: una berlina sportiva senza compromessi che, per ripartire i pesi nella maniera più equilibrata, ha frizione e cambio spostati indietro in blocco con il differenziale, e la sospensione posteriore a ponte De Dion: una soluzione inconsueta, ripresa, in parte, dalla famosa lancia Aurelia e da alcune vetture sportivissime, fra cui le prime “Alfetta” da corsa 158 e 159 degli anni ’30, ’40 e ’50.
La soluzione fa discutere ma, per 20 anni, caratterizzerà tutte le Alfa classiche (Nuova Giulietta, 90 e 75).
L’ Alfetta evolverà poi nelle versioni GT e GTV, dotate anche del motore a 6 cilindri derivato dalla successiva Alfa 6. 1974
Il 22 marzo muore Orazio Satta.
Lo stesso anno Giuseppe Luraghi lascia la presidenza. E’ terminata un’epoca.
Il decennio successivo sarà burrascoso: si continueranno a produrre modelli validi, ma tutti basati sulle eccellenti realizzazioni del periodo precedente.
In qualche caso non avranno il successo sperato.
Gli standard qualitativi di produzione saranno, in alcuni casi, carenti, la conflittualità in Alfasud sarà pesante, la situazione finanziaria dell’azienda peggiorerà costantemente ed occuperà spesso le prime pagine dei giornali
1977
La nuova Giulietta si propone come erede della Giulia: lo schema tecnico è quello dell’Alfetta.
1979
Con ritardo si propone l’ammiraglia Alfa 6, in studio da anni, con un nuovo motore a 6 cilindri a V di 2,5 litri, progettato da Giuseppe Busso.
Non sarà un grande successo commerciale, ma il motore è eccellente: verrà prodotto anche in cilindrata ridotta a 2000 cc, ed incrementata a 3.000 cc: equipaggerà l’Alfetta GTV, la 90, la 75, la 156.
L’ultima versione, di 3.200 cc, equipaggerà, dal 2002 al 2005, la 156 GTA da 250 cv. 1983
La 33 sostituisce l’Afasud, mantenendone invariato lo schema tecnico.
(segue pagina 8)
7 S’ARTI NOSTRA 7
Il classico motore boxer giungerà fino a 1.700 cc.
E’ prodotta anche con la trazione integrale.
Viene anche lanciata l’Arna, alternativa più economica e dotata di una carrozzeria, di produzione Nissan, meno accattivante: ma non riscuote molti consensi.
1984
L’Alfa 90 sostituisce l’Alfetta, esaltandone le doti di confort, rispetto alla sportività: ma non sarà un successo in quanto la successiva 75 sarà nettamente preferita dagli automobilisti.
1985
Per celebrare i 75 anni della fondazione viene lanciata l’Alfa 75: pur ricalcando le Giulietta e la 90, sarà una macchina molto apprezzata dagli Alfisti, soprattutto nella versione con il motore Twin Spark, a due candele per cilindro e con variatore di fase.
La FIAT acquisisce l’Alfa Romeo. Inizia un nuovo corso, in cui le esigenze di produzione porteranno ad una parziale unificazione dei prodotti del gruppo.
1987 - 2007
L’Alfa passa alla trazione anteriore anche sulla grandi berline, con la 164, un progetto sviluppato su una piattaforma comune su cui si basano la FIAT Croma, la Lancia Thema e le berline SAAB.
I motori sono sempre i classici bialbero ed i 6 cilindri “Busso”.
Il bialbero raggiunge l’eccellenza con le versioni “Twin Spark” (dopppia candela) della 75.
Negli anni successivi anche i motori boxer di derivazione Alfasud verranno sostituiti dai Twin Spark e la trazione sarà anteriore. Solo la 75 e la sportiva SZ manterranno la trazione posteriore, ancora oggi rimpianta dagli “alfisti” più irriducibili fino ai primi anni ‘90. Nascono la 145, 146, 147, 155, 156, 166, GTV e Spider, e, di recente, 159 e Brera, tutte a trazione anteriore. La 156 sarà uno dei modelli più apprezzati in quanto di estetica molto gradevole.
2007
Ritorna, in edizione limitata a solo 500 esemplari, un’Alfa “classica”: la 8C, con motore 8 cilindri a V da 4.700 cc e trasmissione di tipo transaxle.
2010
Per l’ultima nata, di media cilindrata, si utilizza di nuovo un nome storico: Giulietta. Il suo moderno motore multiair consente prestazioni sorprendenti.
Dal 2010, la Giulietta rappresenta la Casa del Biscione tra le auto di dimensioni compatte.
Fu presentata ufficialmente al Salone di Ginevra del 2010, mentre il primo restyling (più leggero) risale alla fine del 2013 e il secondo (più marcato), all’inizio del 2016.
Attualmente, la gamma della Alfa Romeo Giulietta comprende il motore a benzina 1.4 TB proposto in tre declinazioni: ‘base’ da 120 CV anche per la versione a GPL o MultiAir nelle versioni da 150 CV e 170 CV, quest’ultima esclusivamente con il cambio sequenziale TCT a doppia frizione. Inoltre, sono previste le motorizzazioni diesel 1.6 JTDm da 120 CV (anche nella versione TCT) e 2.0 JTDm da 150 CV o 175 CV (solo nella versione TCT). Il top di gamma è rappresentato dalla declinazione sportiva Veloce, con l’unità a benzina 1750 TBi da 240 CV, anch’essa solamente nella versione TCT.
Per quanto riguarda gli allestimenti, la Alfa Romeo Giulietta è proposta nelle configurazioni ‘base’ e Super, nonché nell’allestimento speciale Sport e nell’allestimento Business dedicato all’omonima clientela. Sono disponibili anche i pac-
chetti Pack Veloce, Pack Lusso, Pack Comfort e Pack Visibility, per la massima personalizzazione.
In passato, la Alfa Romeo Giulietta aveva la gamma declinata negli allestimenti standard Impression, Progression, Distinctive ed Exclusive.
Il top di gamma, invece, era rappresentato dalla versione sportiva Quadrifoglio Verde che, inizialmente, prevedeva la motorizzazione 1750 TBi da 235 CV di potenza.
Sono trascorsi centodieci anni da quel 24 giugno 1910 quando, alla periferia di Milano, nasceva un marchio capace da subitodi distinguersi nell’ancor giovane panorama automobilistico dell’epoca: l’Alfa Romeo.
Un nome divenuto negli anni sinonimo di automobili, tanto importante è stata la sua presenza sia sul piano industriale che su quello sportivo. In questo lungo lasso di tempo, la celebre Casa italiana ha dato vita a vetture entrate nella storia, come la 1900, la Giulietta, la Giulia o l’Alfetta e, nello stesso tempo, ha saputo scrivere indimenticabili pagine di sport, imponendosi in tutte le più importanti competizioni sportive: dalla Mille Miglia a Le Mans, dal Tourist Trophy
al Mondiale Marche.
Se l’Alfa Romeo ha raggiunto 112 anni, una vita lunga e movimentata, lo deve ai suoi “uomini”, lo deve alle intuizioni tecniche dei suoi progettisti, alla tenacia dei suoi manager, alla “meridionalità” che la ha contraddistinta fin dai primi tempi ed anche, in misura fondamentale per la sopravvivenza ed il rilancio nel dopoguerra, ai 36 anni di vita che Orazio Satta le ha dedicato.
Un sardo geniale, tenace e modesto, da conoscere, ricordare e prendere ad esempio: grazie, Ingegnere, per le favolose vetture che abbiamo potuto guidare o, magari, solo sognare!
Alfa Romeo Dal 1910 ad Oggi Apparso per la prima volta nel 2010 (con il titolo “Alfa Romeo 1910-2010”), quando l’Alfa Romeo celebrò i suoi primi cento anni di vita, fu firmato da Maurizio Tabucchi, autorevole conoscitore della storia del Marchio, scomparso alcuni anni fa.
L’opera viene oggi nuovamente aggiornata con tutti gli ultimi modelli prodotti dal 2017 ad oggi, come la Stelvio o la Giulia Quadrifoglio Verde. www.aaesardegna.org/vecchiosito/cento%20anni%20 alfa%20romeo/100alfa.htm
(segue da pagina 7)
Foto alfaromeovirtualclub.it
Nasce a Cagliari nel 1849.
Nel 1871 si laurea in giurisprudenza, dedicandosi all’attività giornalistica tra Roma e Firenze.
Nel 1875 rientra in città, insegna diritto commerciale all’Università e diventa membro attivo in alcuni movimenti politici di tendenza liberal-democratica come “Uomini Nuovi” e “La giovine Sardegna”.
Con le elezioni comunali del 1886 diventa assessore.
Nel 1887 è nominato presidente dell’Ospedale civile di Cagliari.
Dal 1890 ricopre per cinque legislature la carica di sindaco, che porta avanti sino al 1921, anno della sua morte.
Nel 1900 viene eletto deputato al Parlamento.
Al nome di Ottone Bacaredda resta legata, inoltre, la costruzione di diverse scuole elementari e superiori, la rete idrica e le fognature, la radicale trasformazione degli impianti di illuminazione, il “mercato vecchio” del Largo Carlo Felice, la “palazzata” e i portici di via Roma, il nuovo Municipio di via Roma e il Bastione di Saint Remy.
Si intitola Ottone Bacaredda e il sogno della città nuova. Cagliari tra Ottocento e Novecento il progetto che il Comune di Cagliari propone in città sino al 27 dicembre.
Una quarantina di appuntamenti in tutto, per ricordare l’importante figura storica del sindaco di quella “Belle
èpoque”, che aveva contaminato la capitale sarda e che sotto il suo governo ambiva a cambiare volto per diventare una città europea. Ricco dunque il programma. Coinvolge direttamente l’Assessorato alla Cultura, affiancato da numerose associazioni, che contribuiranno con progetti inseriti nei cosiddetti “bandi a tema” dei contributi ordinari, a diversificare le proposte. Le celebrazioni si svolgeranno nei luoghi che caratterizzarono le fasi della vita, del lavoro e dell’operato di Bacaredda. Tra questi, il Bastione di Saint Remy, la Passeggiata coperta, il Palazzo Civico, per citarne solo alcuni. Si inizia il 4 dicembre con un Gran Galà Ottone Bacaredda, un sindaco, una città, un’epoca.
Omaggio in musica e bellezza, che si terrà alle 17:00 nella Passeggiata coperta del Bastione di Sant Remy, e che vede la collaborazione tra il Comune di Cagliari e Venus Dea.
Una sfilata di abiti di scena, messi a disposizione dal Teatro Lirico, relativi alle principali opere liriche appartenenti al periodo in cui visse Bacaredda: La Traviata di Giuseppe Verdi (prima esecuzione 1853), La Bohème (prima esecuzione 1896) e la Tosca (prima esecuzione 1900) di Giacomo Puccini.
Se buona parte degli abiti di scena di queste importanti opere liriche verranno indossati e fatti sfilare da modelle professioniste, nelle due navate laterali potranno essere ammirati altri
abiti di scena afferenti alle medesime opere, mostra fotografica d’epoca e oggettistica inerente a quegli anni.
Il tutto accompagnato dalle musiche di questi capolavori del genio musicale fiorito nel Belpaese all’epoca in cui Ottone Bacaredda attraversava la storia.
All’interno delle arcate ci saranno delle esposizioni di abiti di collezionisti; alcuni di questi abiti saranno indossati dai legittimi proprietari.
Ci saranno inoltre delle esposizioni fotografiche della Cagliari degli anni fini ‘800 primi ‘900.
Il giorno 7 dicembre alla MeM - Mediateca del Mediterraneo, inaugurazione della mostra Ottone Bacaredda, il sindaco di una città en marche.
Nelle giornate del 13, 16 e 18 dicembre, sempre con inizio alle ore 18:00, alla Passeggiata coperta del Bastione, grande protagonista sarà la musica classica con tre concerti eseguiti dagli allievi del Conservatorio “Pierluigi da Palestrina” di Cagliari. Inoltre visite guidate, laboratori, mercatini a tema e molto altro.
Insomma, sono una quarantina gli appuntamenti in programma sino al al 27 dicembre quando. al Palazzo Civico, l’Amministrazione comunale conferirà l’onorificenza della Città di Cagliari “Medaglia d’Onore Ottone Bacaredda”, che venne istituito nel 2004, a un cagliaritano che si è particolarmente distinto per l’impegno civile in città. Totale riserbo per il momento sul nome del prescelto.
Si intitola Ottone Bacaredda e il sogno della città nuova. Cagliari tra Ottocento e Novecento il progetto che l’Assessorato alla Cultura e Spettacolo del Comune di Cagliari propone in città tra novembre e dicembre per ricordare l’importante figura storica del sindaco che fu alla guida dell’amministrazione comunale per ben cinque legislature e che diede avvio a una grande opera di modernizzazione cittadina a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Il nome di Bacaredda è infatti strettamente legato alla costruzione di molte opere pubbliche, scuole elementari e superiori, la rete idrica e le fognature, gli impianti di illuminazione, il mercato del Largo Carlo Felice, i portici di via Roma, il nuovo Palazzo Municipale e il Bastione di Saint Remy. Un ricco programma di iniziative che vede coinvolto direttamente l’Assessorato affiancato da numerose associazioni che contribuiranno, con progetti inseriti nei bandi a tema dei contributi ordinari delle associazioni, a diversificare le proposte.
Le celebrazioni si svolgeranno nei luoghi che caratterizzarono le fasi della vita, del lavoro e dell’operato di Ottone Bacaredda (1848-1921), come il Bastione di Saint Remy, la Passeggiata Coperta, il Palazzo Civico, per citarne solo alcuni. La figura dell’ex sindaco verrà rievocata attraverso mostre di arti visive, proiezioni di immagini storiche, convegni, visite guidate, attività laboratoriali creative e letterarie, spettacoli teatrali e musicali, sfilate di costumi storici e automobili d’epoca e originali produzioni radiofoniche, che coinvolgeranno tutti in una grande festa collettiva, partecipata e aperta a tutti.
Non solo, inediti documenti d’archivio, filmati,vecchie fotografie consentiranno una ricostruzione fedele di questo periodo storico e racconteranno delle contraddizioni di un’epoca che da un lato guardava con speranza ed entusiasmo ai sogni, allo splendore e agli stimoli della Belle Époque francese, dall’altra doveva fare i conti con la crisi economica di fine secolo, che ebbe profonde ripercussioni anche nell’isola.
L’obiettivo è quello di rinnovare la memoria di questo illustre intellettuale, ritrovare la sua personalità e quelle vicende politiche, sociali e culturali che animarono Cagliari tra fine Ottocento e inizi del Novecento, con l’affermazione della borghesia locale e la sua visione di sviluppo, con la trasformazione della città fortificata e lo spostamento verso il mare, e ricordare quell’entusiasmo che attraverso Cagliari a cavallo di due
Maria Dolores Picciau
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secoli.
OTTONE BACAREDDA IL SOGNO DELLA CITTA’ NUOVA CAGLIARI TRA OTTOCENTO E NOVECENTO 4 dicembre 2022 Omaggio in Musica e Bellezza Passeggiata coperta 7 dicembre 2022 Ottone Bacaredda il sindaco di una città en marche MEM 13, 16 e 18 dicembre 2022 Musica Classica Passeggiata coperta 27 dicembre 2022 Medaglia d’onore Ottone Bacaredda Palazzo Civico vedi il video youtu.be/tYsZVZ6-x1o
u il titolo del lungo articolo che il sindaco di Cagliari Pietro Leo pubblicò su L’Unione Sarda a direzione Crivelli, il 5 febbraio 1956: “L’indimenticabile sindaco di un’epoca indimenticabile”.
Lo ripropongo oggi io anche in onore di quel benemerito lontano successore e ammiratore del mitico Bacaredda, oggi che del mitico Bacaredda celebriamo il centenario della morte.
Evento che sopravvenne nel giorno di Santo Stefano, incuneatosi, estraneo, nelle atmosfere del Natale, a tre anni appena dalla fine della grande guerra e mentre Cagliari soffriva delle ancora incomposte risoluzioni ai mille problemi postbellici: dal carovita alla penuria degli alloggi, alla disoccupazione aggravata dalla smobilitazione militare, nella elaborazione anche e ancora dei trecento lutti cittadini.
«I suoi funerali furono veramente imponenti per concorso di popolo: quando la bara circondata da un folto gruppo di studenti universitari sboccò dalla Via S. Giovanni in Viale Regina Elena la folla qui radunata faceva spavento: mai più ho visto un tale spettacolo: tutta la città aveva voluto salutare il suo Sindaco.
Io che seguivo la bara non potei fare a meno di pensare allora quanta verità vi fosse nel pensiero dettato da Bovio per una lapide collocata nell’atrio dell’Università: “La giustizia postuma è rimorso”.
«Un giorno mentre visitavo gli uffici delle Imposte di Consumo, la mia attenzione fu irresistibilmente attirata da un tavolo lasciato in un angolo, in deplorevoli condizioni ma che pur rivelava una linea di nobiltà e di decoro.
Lo feci trasportare al Palazzo Comunale per farlo restaurare: un vecchio impiegato appena lo vide esclamò: ma questo è il tavolo di lavoro di Bacaredda!
«Lo feci collocare nel mio ufficio, nella parete davanti al mio tavolo, rimane così sempre davanti ai miei occhi a ricordo, ad ammonimento, a conforto. Sic transit gloria mundi».
La stessa Unione Sarda, il 29 dicembre 1921, nella dettagliatissima cronaca dei funerali svoltisi nel pomeriggio del giorno precedente, aveva scritto: «Alle 14 già lungo tutto l’itinerario che il corteo seguì, la folla era enorme. Il terrapieno, il Bastione, la Passeggiata Coperta, le sca-
OTTONE BACAREDDA
lee della Pass. Coperta, tutte le finestre dei palazzi siti in Piazza Costituzione, quelle della lunghissima Via S. Giovanni erano letteralmente e paurosamente gremite di gente… crediamo di non andare errati affermando che la folla che stazionava nei migliori punti di vista, ascendono alle dieci o dodici mila persone… Alle 15 precise gli studenti universitari sollevano la pesante e bellissima cassa… Il corteo si muove… Più in là l’eco delle trombe e le preci dei sacerdoti.
Ancora più in là le vergini preghiere degli innumerevoli bimbi, delle bimbe, e dei vecchi che l’Estinto col suo spirito umanamente e profondamente buono, aveva beneficato…
Il corteo impiega due ore per arrivare al Camposanto… Il rombo secco dell’aeroplano che gitta l’ultimo fiore allo Scomparso si dilegua rapidissimo».
Immaginiamo d’esser presenti anche noi fra la folla ai lati della strada e nel seguito del carro.
Un film emozionante, sequenza dopo sequenza.
Emozionante ancora dopo cento anni.
E meriterà ritornare in argomento, recuperare dalla crona-
ca questo o quel particolare (la prima tumulazione non lontana dal colombario in cui, nel 1910, fu sepolta la madre Efisia Poma e da quello che già prima, nel 1894, aveva accolto il padre Efisio (nella parte inferiore dei gradoni Cima, oggi non transitabili a causa di vari smottamenti) e recuperare anche le promesse o gli annunci mancati circa una più solenne custodia («… Ma da indiscrezioni subito raccolte, possiamo assicurare i lettori che il nostro Comune, traverso la sua rappresentanza, provvederà all’erezione d’una Cappella in cui troverà più degno riposo la salma del diletto figlio di Cagliari»).
Immaginiamo d’esser presenti alla scena descritta da Pietro Leo, anche da lui, fra piazza Marghinotti e palazzo Valdès, e di poter un giorno riammirare la scrivania di Ottone Bacaredda.
Immagino d’esser anch’io, giusto lì, in quel punto preciso, fra quelli in affaccio dalla balaustra bianca della terrazza Umberto I, la terrazza del nostro Bastione.
E per associazione di… luoghi ripenso al bastione di Saint Remy in altre due circostanze (direi circostanze pubbliche, rivelate dalla letteratura) nello
stesso 1921. Non m’interessa oggi ripensare al raduno popolare e al comizio delle opposizioni nel maggio 1906, il nostro “maggio rosso”, quando il municipio (accusato di non aver saputo regolare il calmiere dei prezzi) era ancora a Castello.
No, penso alla terrazza del Bastione in quell’A.D. 1921 che s’era aperto, nel giorno dell’epifania, con la visita cagliaritana di David H. Lawrence e quasi concluso con un’altra visita, a fine ottobre: quella di monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII.
«Ed ecco, d’improvviso, Cagliari: una città nuda che sorge ripida, ripida e dorata, ammucchiata nuda dalla pianura verso il cielo, al vertice della vuota insenatura informe. E’ strana e un po’ incantata, non ha nulla di italiano.
La città si ammucchia alta e nobile e quasi in miniatura, e mi fa pensare a Gerusalemme: senza alberi, senza riparo, sorge così un po’ nuda e fiera, remota come nel passato della storia, come la città di un messale monastico miniato…. E’ una città ripida e solitaria; senz’alberi, come in un’antica alluminatura.
Ma ha, anche, qualcosa del
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gioiello: un nudo gioiello d’ambra che si apre improvviso, a rosa, nel profondo dell’ampia insenatura. L’aria soffia fredda e pungente, il cielo è tutto grumi...
«Il solito lungomare con alberi scuri sulla passeggiata e, dietro, imponenti edifici, non rosa e allegri, qui, ma più reticenti, più severi, di pietra gialla.
Il porto è un piccolo bacino d’acqua nel quale scivoliamo cauti, mentre tre chiatte cariche di sale bianco come la neve strisciano intorno da sinistra, tirate da un minuscolo rimorchiatore.
Nel bacino ci sono soltanto altre due navi abbandonate… «Passiamo dalla Dogana, poi dal Dazio.
Infine siamo liberi. Ci avviamo per un’ampia, ripida strada nuova fiancheggiata da alberelli.
Ma è di pietra, arida, ampia pietra nuova, giallastra sotto il cielo freddo... e come abbandonata.
Benché, naturalmente, vi sia gente in giro. Il vento del nord soffia, pungente.
Ci arrampichiamo su per un’ampia gradinata, salendo sempre, su per l’ampio ed erto viale desolato con accenni d’alberi. Cerchiamo l’albergo
e siamo morti di fame.
Finalmente lo troviamo, l’Albergo Scala di Ferro: e in fondo a un cortile con alberi verdi…
«Dopo un ottimo pasto uscimmo a vedere la città.
Erano passate le tre e tutto era chiuso come di domenica in Inghilterra.
Fredda Cagliari di pietra d’estate devi essere infocata come un forno, Cagliari.
Gli uomini se ne stavano intorno a gruppi, ma senza la sfacciata attenzione degli italiani che perseguita ogni passante.
«Strana Cagliari di pietra. Ci arrampicammo per una strada che pareva una scala a chiocciola
Leggemmo manifesti che annunciavano un ballo in maschera per bambini.
Cagliari è molto ripida. A metà salita c’è uno strano posto che chiamano i bastioni: un’ampia spianata come una piazza d’armi alberata, stranamente sospesa sulla città, da cui parte una specie di viadotto, lungo e ampio, il quale passa sopra la scala a chiocciola che monta ripida. Sopra questo bastione la città sale ancora, erta, fino alla Cattedrale e al forte.
La cosa curiosa è che questa terrazza, o bastione, è così
vasta, come un enorme campo da gioco, da essere quasi desolata, e non si riesce a capire perché sia così sospesa a mezz’aria.
Giù in basso c’è il piccolo cerchio del porto. A sinistra una bassa piana marina dall’aria malarica, con ciuffi di palme e case d’aspetto arabo.
Di lì parte la lunga striscia di terra verso il forte bianco e nero, e la strada bianca prosegue.
A destra, curiosissima, una lunga, strana striscia di sabbia attraversa, come un terrapieno, la parte meno profonda dell’insenatura, con il mare aperto da un lato e dall’altro ampie lagune che sembrano la fine del mondo.
Dietro, s’innalzano irte, scure montagne, così come oltre l’ampia insenatura sorgono malinconiche colline.
E’ uno strano, strano paesaggio: come se qui finisse il mondo».
Ancora: «Dalla terrazza proprio sotto la fortezza, sopra la città, non dietro, ci fermiamo a guardare il tramonto.
E’ terribile questo tramonto che si svolge dietro gli aggrovigliati monti dal profilo serpentino che sorgono, azzurri e vellutati, oltre le ampie lagune. Scuro, opprimente,
cremisi-carico, è l’occidente, sinistro così solcato da barriere e banchi di fosche nuvole azzurre.
Tutto dietro le vette fosco-azzurre si stende il sipario rosso-acceso, sinistro, fino al mare. Sotto, profonde, si aprono le lagune marine…». Il Bastione e i bastioni.
E giù altre descrizioni, come quelle che già altri visitatori stranieri o italiani della penisola hanno fissato sulla carta e altri non mancheranno di porgere ai loro lettori del continente.
… e da un futuro papa La terrazza attraversata da monsignor Roncalli, accompagnato dall’arcivescovo Piovella, suo corregionale lombardo, il 29 ottobre di quel 1921.
Di passaggio fra la cattedrale e il santuario di Nostra Signora di Bonaria dove deve dire messa e lasciare un appunto autografo per la storia.
Ripensa a quell’attraversata: «Anzitutto, il ricordo di Cagliari, come è ancora nei miei occhi e nei sentimenti del mio cuore.
Rammento di essere andato discendendo dalla collina, perché la Cattedrale sta su, in alto; verso sera, credo, mi venne indicata una Chiesa, alla memoria di San Lucifero cagliaritano.
Guarda un po’ che nome, che contraddizione! Quello che fu dato a una stella che prevaricò, è restato invece come uno splendore per un gran Santo...».
Il 9 luglio 1960, ricevendo una folta delegazione di chierici diocesani accompagnati dal nuovo arcivescovo Paolo Botto e da diverse autorità regionali, il pontefice ritorna con la memoria a quasi quarant’anni prima, a quella passeggiata fra la città alta e quella a valle, per la risalita finale sul colle di Bonaria.
Direi che è una suggestione, soltanto una suggestione questa immagine del Bastione che il sindaco Bacaredda e gli uffici tecnici del Comune da lui amministrato avevano realizzato ricomponendo fra loro quei secolari manufatti militari che erano serviti, lungo i secoli, per la difesa di Castello-Callari e che ora potevano divenire un luogo di collegamento fra le parti dislivellate della città, luogo simbolico della unità cittadina, mentre il municipio scendeva esso a valle, collocandosi di fronte al porto, polmone economico della Cagliari moderna. (segue pagina 12)
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Photo lanuovasardegna
(segue dalla pagina 11)
Ho cercato di preparare ed accompagnare il centenario bacareddiano con alcuni articoli usciti su L’Unione Sarda nei mesi scorsi e, su Giornalia. com, richiamando alcune pagine mie stesse che al grande sindaco avevo dedicato negli anni tanto più in diversi libri (così dalla fine degli anni ’80: si pensi a L’Edera sui bastioni. I repubblicani a Cagliari nell’età di Bacaredda oppure a Cagliari 1889. Chiesa, politica, società all’esordio dell’Unione Sarda, e naturalmente anche in numerosi altri lavori fra libri e riviste come Sardegna Economica).
Qui appresso richiamo soltanto i brevi interventi apparsi sul quotidiano che sorse cocchiano ed avversario di Bacaredda e, dopo i moti del 1906 e nel quadro delle riconquistate armonie interne alla galassia liberale, del sindaco e leader civico divenne invece convinto sostenitore.
Ce la possiamo immaginare la Cagliari di cento anni fa, dopo la fine della grande guerra costata la vita a 298 dei suoi, i cui nomi sarebbero stati riportati in due bande marmoree nella basilica mercedaria allora ancora cantiere.
A dicembre il censimento della popolazione quantificò in 65.666 i suoi abitanti che, valicando i confini dei quattro quartieri storici, iniziavano a prender casa, come a raggera, verso San Benedetto, la piana di Bonaria ed oltre il Corso in direzione di Sant’Avendrace e quindi di Is Mirrionis.
All’indomani di quel Natale tutti avrebbero pianto il sindaco Ottone Bacaredda, spentosi alla fine di un anno della sua amministrazione rilanciata nell’autunno 1920.
Bisognerà celebrare Bacaredda ora che s’approssima il centenario della sua scomparsa e ricordare alcuni episodi, parimenti centenari, rimasti nel calendario della ripresa postbellica, magari mischiati alle crescenti tensioni sociali per le dimensioni della disoccupazione (aggravatasi con la smobilitazione dei ranghi militari) ed il carovita. Fonti esse stesse di quei turbamenti che sarebbero stati progressivamente anche politici, per lo spazio acquistato dal movimento fascista e le esplosioni di violenza di cui avrebbe presto fatto prova l’assassinio di Efisio Melis militante sardista.
La stessa Unione Sarda, con la nuova proprietà di Ferruccio Sorcinelli, dopo un posizionamento in area radicale fra
Foto giornalia
1920 e 1921, si sarebbe collocata sul fronte di quel fascismo “duro e puro” che il prefetto Gandolfo ed i fasciomori avrebbero sconfitto negli anni seguenti, presentando alla scena pubblica un nuovo ceto dirigente.
Superato lo sbarramento anagrafico, Emilio Lussu trentenne proprio nel 1921 poté essere eletto alla Camera ed avviare la sua carriera politica destinata a molte evoluzioni anche ideologiche, passando dal sardismo al socialismo, soffrendo la cella e il confino e poi l’esilio, le fatiche dei governi di CLN e della Costituente ed infine del Parlamento repubblicano.
Esordì da deputato poche settimane dopo che ad Oristano la militanza dell’Associazione Combattenti formalizzò la propria costituzione in partito politico, il PSd’A appunto. Raggiunse Montecitorio con Pietro Mastino, Paolo Orano e Umberto Cao, questi ultimi due successivamente transitati nelle schiere dei governativi in dittatura.
Sembra interessante ricordare che per sostenere la conferma dell’uscente avv. Mauro Angioni, venne in Sardegna il gran maestro della Massoneria Domizio Torrigiani, che alcu-
ni anni dopo si sarebbe trovato ristretto, con Lussu, a Lipari: qui per cinque anni, fino alla perdita della vista e, può dirsi, della vita.
Venne a Cagliari e raggiunse poi Sassari e Caprera, il gran maestro: nella sede di via Barcellona celebrò la democrazia massonica che ritornava a Mazzini e Garibaldi, a Bovio e Carducci – tutti effigiati in busti di gesso e pietra fra i Passi Perduti e il Tempio.
Da Iglesias e da Oristano gli assicurarono obbedienza elettorale Fratelli di sponda liberale o socialista, uomini che erano… nomi importanti in quelle città.
Angioni però non riuscì e alcuni mesi dopo aprì la sequenza delle migrazioni sardiste verso il fascismo.
Pochi mesi dopo, ad ottobre, raggiunse Cagliari, e pure lui anche Sassari, monsignor Angelo G. Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, incaricato allora di promuovere, con iniziative di sensibilizzazione, le opere missionarie.
Parlò nella chiesa di Sant’Antonio abate della via Manno e colse l’occasione per celebrare con i giovani dell’associazionismo cattolico, il 300° anniversario della traslazione dei resti mortali di San Saturnino.
Accompagnato a piedi dall’arcivescovo Piovella attraversò tutta la città passando per le terrazze del Bastione e il viale Regina Margherita, raggiungendo il santuario di Nostra Signora per celebrarvi la messa e firmare il registro degli ospiti.
Sarà inevitabile, celebrando nelle prossime settimane, il centenario della morte di Ottone Bacaredda portarci dietro quel tanto di mitologico che sul nome del grande sindaco di Cagliari (e per tre anni anche deputato) si è aggrumato.
Sarà inevitabile ma, credo, non necessariamente sconveniente, perché la stessa mitologia riflette il sentimento che la città, anche quella parte d’essa che gli era politicamente avversa, ha nutrito per lui e che invero gli stessi funerali del dicembre 1921, con il tributo largo anche dei socialisti e repubblicani (speculare a quello dei primi fascisti), rivelarono. Il mito e il sentimento comunque non soffocheranno né altereranno mai il profilo alto, amministrativo e civile, che il nome stesso di Bacaredda evoca nella rappresentazione di quella Cagliari “en marche” che uscì dall’Ottocento per entrare nel secolo nuovo godendone degli sviluppi sociali
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e tecnologici, dal primo telefono al primo cinematografo, dai primi cimenti dello sport collettivo (ciclismo e atletica, calcio e nuoto) all’esordio de “gli” automobili a motore nella via Roma, e soffrendone però anche i luttuosi strappi della grande guerra.
Bisognerà ricollocare Bacaredda in quella prima prevalente missione ch’egli si diede, a un quarto di secolo dalla dismissione di Cagliari da piazzaforte militare: fare dei quattro quartieri richiamati oltre mezzo millennio prima da Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo e rappresentati graficamente da Sigismondo Arquer alla metà del Cinquecento nella famosa Cosmographia del Munster, una città unitaria, che pur non umiliasse gli antichi orgogli di quartiere.
L’imponente scalinata, per salire e per scendere, dalla piazza Costituzione alla terrazza Umberto I dei bastioni unificati significava questo e fu un passo decisivo per ogni successivo piano urbanistico, per individuare poi le zone di espansione, fra San Benedetto e Is Stelladas e Bonaria o, all’opposto, verso Sant’Avendrace e Is Mirrionis.
Una simbologia della storia incalzante la trovavi anche nel
municipio che dal concerto con la cattedrale e il Viceregio scendeva a valle, in area portuale, non soltanto per valorizzare nella via Roma (porticata) la prima direttrice dello sviluppo viario già pensato dal Todde Deplano, ma per affermare che i comandi amministrativi non potevano disgiungersi da quelli economici presenti, in una città di mare, negli scagni e nei traffici fra moli e banchine.
Tanto più il porto diventava, dopo l’abbattimento delle mura, la porta della Sardegna intera, porta d’accoglienza e porta di collegamento con l’universo mondo: non soltanto per l’economia ma anche per il costume.
Quel municipio significava anche il riconoscimento della funzione sociale, economica e quindi anche amministrativa, della borghesia mercantile, in definitivo ricambio del ceto patrizio (tardo feudale) castellano.
Se ne potrà dire, così come dell’originaria inimicizia con Cocco Ortu, risolta soltanto dopo i moti del 1906 (quando la borghesia liberale si compattò per tema dei socialisti) ed anche del complesso rapporto di Bacaredda con la Chiesa degli arcivescovi di
lungo pastorato, fra Berchialla, Serci-Serra e Balestra e di un clero numeroso e… combattente, ancora ostile allo Stato liberale che era allora quello di Crispi e poi di Zanardelli e Giolitti.
E così sarà interessante ritornare al Bacaredda giovane (cronista del goliardico A Vent’anni) che aveva celebrato Porta Pia, nel 1870, spedendo due telegrammi: uno a Mazzini recluso a Gaeta, l’altro a Garibaldi in domicilio coatto a Caprera.
L’Apostolo non ebbe forse mai il messaggio, mentre al mittente tornò indietro quello indirizzato al Generale con rimborso della tariffa, allora destinata dal prossimo sindaco ai feriti del 20 settembre.
Nel nostro immaginario di cagliaritani la figura di Ottone Bacaredda, di cui è imminente il centenario della morte, si pone come un indistinto modernizzatore ferito soltanto, né fu poca cosa, dai moti popolari del 1906 contro il carovita che il sindaco non avrebbe saputo prevenire né fronteggiare.
Si tratta di una vulgata inevitabile perché, dovendosi andare per sintesi, del trentennio nel quale si dipana quella leadership civica si colgono in positivo gli elementi della
tendenza generale ma anche le contraddizioni, pagate dai ceti umili della popolazione, delle scelte politiche che, ai piani di costruzione delle case operaie, avevano preferito gli onerosi investimenti per i bastioni e il municipio.
Naturalmente tutto è più complesso di come si rappresenta. Dell’intero ciclo gli anni di effettiva presenza del Nostro in giunta furono poco più della metà, seppur sia anche vero che le sindacature “di collegamento”, quelle di Picinelli e Marcello, in parte anche di Nobilioni, e altresì i commissariati prefettizi venuti a supplire a consigli e giunte dimissionari rispondevano essi pure agli indirizzi amministrativi impostati fin dall’origine.
II partito della “casa nuova” che portò Ottone Bacaredda dalla sedia di presidente dell’Ospedale civile a quella di sindaco fu la risposta ai seguaci di Cocco Ortu (che il Comune governavano da molti anni) cui si imputava una certa connivenza con i responsabili del crollo bancario del 1887.
Fu l’agonia civica identificata con le amministrazioni Ravot e Orrù, speculari ai primi trionfi ministeriali di Cocco Ortu esordiente sottosegretario di Stato.
Consigliere e assessore comunale lui stesso da qualche anno, Bacaredda esordì da sindaco alla fine del 1889 e con la sua squadra godette, giusto alla fine del suo primo mandato, della fortuna di poter spendere una montagna di soldi (tre milioni e mezzo di lire, pur non giunti tutti in una volta) per la vittoria di una trentennale causa che aveva opposto il Comune all’Erario circa alcuni diritti tributari rivendicati da ambe le parti. Quei fondi furono massivamente volti alle grandi infrastrutture che dovevano ammodernare la città ma anche dar lavoro al ceto operaio cittadino che soffriva la doppia concorrenza della mano d’opera dell’hinterland e dei “forzati” di San Bartolomeo (a minor costo).
Non solo bastioni e municipio, però, anche scuole nei quartieri (dal Satta a Santa Caterina, in vista il Riva di Villanova) e chiaviche e strade.
Nel 1900 Bacaredda si illuse di poter sostenere gli interessi di Cagliari da deputato, candidandosi con i ministeriali di Pelloux (ma votando poi i più avanzati governi Saracco e Zanardelli).
(segue pagina 14)
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(segue dalla pagina 13)
La cosa non funzionò e dopo tre anni si dimise da Montecitorio.
Rimasto comunque in giunta, a Cagliari, da assessore di Picinelli, si ripresentò nel 1905 e per un anno, fino alla rivolta popolare, anticipata da un crescente malumore anche di certa piccola borghesia impiegatizia e di lavoratori autonomi, governò la cosa pubblica nuovamente da sindaco.
Eletto e rieletto ancora nel 1907 non accettò di tornare in partita se non per pochi mesi concentrandosi in un processo che lo oppose ad Umberto Cao (l’ “anima nera” della rivolta) conclusosi con una sentenza di condanna per quest’ultimo.
Toccò al sindaco Giovanni Marcello amministrare Cagliari per tre anni, fino al 1910 e procedere alla pubblicizzazione dei servizi acqua-gas e all’avvio delle costruzioni delle case popolari di Campo Carreras.
Dal 1911 e per sei anni, marcando il passaggio dal liberalismo alla democrazia e il tratto laico della coalizione, riapparve in scena il prim’attore che avrebbe replicato, per un anno soltanto, a guerra finita: 19201921.
C’è stato naturalmente un Bacaredda prima… di Bacaredda su cui meno si insiste quando si biografa il grande sindaco.
Il Bacaredda semplice assessore, presidente dell’Ospedale civile, professore universitario, avvocato, notista collaboratore dei giornali.
Più conosciuto è il novelliere e il poeta (e memorialista, a ripensarlo autore di quell’Ottantanove cagliaritano, riflessione ex post sui moti del 1906).
Sarà forse utile, comunque gradevole, vederlo, il grande sindaco, protagonista di queste altre scene.
Cagliaritano “integrale”, figlio di un Efisio e di una Efisia (!) e, per di più, nato stampacino, egli ebbe la cattedra universitaria e (fino al 1914) l’ufficio di amministratore civico a Castello ma l’abitazione (con lo studio legale) mobile sempre e soltanto fra tre le “appendici”, in quella città che progressivamente andava attenuando le sue separazioni interne.
Da via Angioy si trasferì in via Manno (abitava a sa Costa quando era parlamentare, all’inizio del Novecento), e poi nel viale Regina Margherita ed anche, insistendo sulla Marina (da dove veniva la madre di cognome Poma), in via Barcellona, e infine in quella via San Giovanni, quasi
Foto lucidosottile
nell’innesto di Villanova con Is Stelladas – nella quale visse negli anni della grande guerra e dove morì.
Nato nell’anno dello statuto albertino e della “perfetta fusione” amministrativa dell’Isola con il Piemonte fu, come intellettuale, giurista e politico, un liberale che, prima di altri, intuì la necessità storica della evoluzione democratica: il suo discorso al nuovo insediamento sindacale del novembre 1911 fu un inno alla democrazia.
Dedicò alla “dottrina della libertà” il corso universitario che tenne nel 1881-82 e ancora si ricorda il suo appoggio ad Ignazio Cogotti, il futuro sindaco di Villacidro e celebrato poeta popolareggiante, che discusse la sua tesi di laurea nel 1894 su Lo stato d’assedio prendendosi i rimbrotti del reazionario giornale diocesano. Lui s’era laureato nel 1871 ed aveva impegnato gli anni di studio anche nel giornalismo, cofondando il periodico “A Vent’anni” e collaborando con varie effemeridi ed i quotidiani “Il Corriere di Sardegna” e “L’Avvenire di Sardegna”, con puntute analisi politiche ma anche con gustose cronache esplorative di vita cittadina. Di penna rapida e vivace, mol-
to avrebbe scritto anche per il teatro così da esser considerato un commediografo vero e proprio, oltre che tutto il resto…
Seguendo il padre (funzionario delle Finanze e lui esordiente, ma scontento, alle Dogane) a Firenze e Genova non mancò di inviare, piuttosto frequenti, le sue corrispondenze.
A Genova sposò una giovane esperta in letteratura russa che, col primogenito Ottorino, poi musicista e prefetto!, portò a Cagliari, al suo definitivo rientro, nel 1875, qui allargando la famiglia con due femmine. Aggregato a Giurisprudenza (La donna di fronte alla legge penale il suo dottorato, Del voto politico della donna la prossima tesi del figlio), ebbe l’incarico di diritto commerciale dal 1882, ed iniziò allora a pubblicare studi giuridici di qualche peso.
Entrò in Consiglio comunale 36enne, e fu presto in giunta (Amministrazione Ravot); dal 1887 – l’anno del terribile crac bancario – fu anche consigliere provinciale nonché presidente dell’Ospedale civile. Sotto la sua gestione il nosocomio arrivò a 140 posti letto ed accolse la prima clinica medica universitaria. Finalmente si decise per il
gran salto municipale all’insegna degli “uomini nuovi”, alternativi all’establishment cocchiano.
Lo supportò il giornale “La Giovine Sardegna”, di cui era firma principale Emanuele Canepa, il fratello minore, e ateo (e garibaldino), di un prossimo vescovo e di un prossimo canonico.
A Palazzo di città dal novembre 1889.
Si potrebbe scrivere una storia del privato di Ottone Bacaredda che forse sarebbe non meno interessante della sua biografia pubblica centrata sulle sue cinque sindacature e la breve e deludente deputazione (19011903).
Perché se quest’ultima, tanto più con le sindacature, 18891900, 1905-1906, 1907 (pochi mesi), 1911-1917, 1920-1921, è stata molte volte evocata e anche minuziosamente raccontata, di quella privata si sa quasi nulla: cioè che veniva da Efisio Baccaredda (con le due c, di cui solo lui si sarebbe privato) intendente di finanza e autore di quel magnifico reportage Cagliari ai miei tempi che è come un grandangolo della città dalla “perfetta fusione” ai primi anni ’80 dell’Ottocento; che suo nonno Baccaredda (Gaetano) era un
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commerciante di larghi traffici Sardegna-Continente già al tempo di Napoleone; che suo bisnonno pure Baccaredda (Agostino) ed il prozio Raffaele erano conciatori del quartiere della Marina prima della… Rivoluzione francese o durante.
Se ne potrebbe dire, delle sue ascendenze e dei collaterali.
Lui agnostico ebbe un prozio ed uno zio religiosi: il primo, Antonio, morì nella tempesta colerica del 1854-55 (riferendosi ad Ottone, allora bimbo di cinque anni, aveva consigliato: «Questa cara creatura è piena di grazia e di spirito ma troppo vivo per cui vuole a tempo essere moderato»), un altro, Agostino, pupillo del can. Spano, gli fu sempre vicino anche come parroco collegiato di Sant’Eulalia.
Da parte della madre Efisia Poma ebbe rimbalzi di glorie patriottiche: lo zio Cosimo, due volte decorato con l’argento, cadde a San Martino, nella 2.a guerra d’indipendenza; ma seminò benemerenze militari anche uno dei consuoceri, Francesco Boy (mai conosciuto per la prematura scomparsa), tenente dei bersaglieri sullo sfortunato campo di Custoza (3.a guerra d’indipendenza), restando grave-
mente ferito e menomato.
Tanti fotogrammi d’una pellicola associante momenti di vita privata a scene sociali, nazionali addirittura.
Da Gaetano in poi la residenza dei Baccaredda fu in piazza Yenne: qui visse anche il figlio Efisio e nacque il nipote Ottone, qui Ottone tornò dopo quel lustro trascorso fra Firenze e Genova (al seguito del padre promosso a sedi più importanti), quando nel 1876 volle ricominciare nella sua città: adesso con moglie italo-russa (Rosa Rossi nata a Taganrog come anche la madre e la nonna) e primogenito (Efisio Ottorino, prossimo prefetto e provetto musicista).
A Stampace crebbero anche Katia (sposata poi con il giudice Tiana) e Antonina (sposata con quel Giovanni Leonardi, dei Leonardi della futura Vinalcool, che l’avrebbe invedovata appena un anno dopo: andata a seconde nozze con il giovane avv. Imperi avendone altra discendenza, sarebbe stata stroncata dalla spagnola nel 1918!).
Qui perse Aldo, il quartogenito.
Ai tempi dell’università, a Cagliari, aveva scritto decine e decine di articoli, di costume soprattutto, sui giornali
sardi, e aveva proseguito con numerose corrispondenze dal continente: ora però, neppure trentenne padre di famiglia e avvocato esordiente, volle cominciare anche con la carriera universitaria.
Gli sarebbe riuscito molto bene, in mix agli impegni in municipio.
Concludendola nel 1920-21. Una contestazione degli studenti avverso il rettore gli impedì però di tenere il discorso inaugurale dell’anno accademico (tema La gioia di vivere, quanto mai significativo dopo quattro anni di guerra!) e pochi mesi dopo dovette arrendersi a una cancrena che gli costò l’amputazione di una gamba. I funerali, tre giorni dopo il Natale 1921, furono di popolo. Cagliari li avrebbe conosciuti, quarant’anni dopo, soltanto per fra Nicola da Gesturi e per don Mondino De Magistris.
Fonte Gianfranco Murtas
https://giornalia.com/articoli/lindimenticabile-sindaco-di-unepoca-indimenticabile-cento-anni-fa-la-morte-di-ottone-bacaredda/ https://www.comune.cagliari.it/portale/it/notizia.page?contentId=NVT130671
www.cagliariturismo.it/it/eventi/ ottone-bacaredda-e-il-sogno-della-citta-nuova-cagliari-tra-ottocento-e-novecento-21566
METTI UNA SERA A CASA DI MIRELLA MIBELLI
a quando, il 31 agosto del 2015, Mirella Mibelli è venuta a mancare, la sua casa/studio nei vicoli del centro storico di Pirri è rimasta così com’era quando ci viveva, lavorava e studiava, con gli oggetti di uso quotidiano e gli strumenti di lavoro, i suoi libri d’arte e le numerose fotografie. Venerdì 2 e sabato 3 dicembre scorsi, i figli di Mirella, Alberto e Paolo Massidda, insieme all’amico di famiglia Mario Palomba, hanno aperto le porte della casa/studio dell’artista, con una mostra evento – 1^Mostra dei Collezionisti di Mirella Mibelli – che ha coinvolto alcuni dei collezionisti delle opere di Mibelli, prestatori di acquarelli e stampe che si sono aggiunte a quelle già presenti, di proprietà dell’artista.
Il risultato di questa felice operazione sono state due giornate di incontri che somigliavano a un lungo ritrovo tra amiche e amici in nome di Mirella, e la magia scaturita da questo appuntamento è che lei sembrava presente, era il filo rosso che legava i visitatori e le visitatrici, mossi da un profondo affetto per la persona brillante che è stata, ma soprattutto per omaggiare la sua arte, il suo talento sfaccettato, il suo valore reso ancora più evidente dallo sguardo retrospettivo che questa mostra ha messo in risalto. Nata a Olbia nel 1937, Mirella Mibelli si era diplomata a Roma all’Istituto d’Arte Zileri, dove si è formata anche un’altra nostra grande artista, Rosanna Rossi.
Nel 1958 approda a Salisburgo alla Sommerakademie, l’accademia estiva nella Fortezza Hohensalzburg, fondata nel 1953 da Oskar Kokoschka come Scuola del vedere, nella quale approfondisce lo studio e la pratica delle tecniche incisorie, la xilografia, la calcografia, la litografia utilizzando anche materiali inconsueti come le superfici di plexiglass, e la serigrafia, che saprà padroneggiare magistralmente negli anni a venire.
Pur continuando a utilizzare le tecniche tradizionali quali l’olio e la tempera ha ben presto prediletto l’acquerello, cercando e trovando risultati assolutamente originali sia nel campo del figurativo che dell’astrattismo.
Ma la sua tecnica preferita, che le ha dato una notorietà a livello internazionale, è stata l’acquerello, come dimostrano i numerosi acquarelli che sono stati esposti alla 1^Mostra dei Collezionisti di Mirella Mibelli, lo scorso fine settimana, sulle pareti della sua casa/ studio, che hanno evidenziato i punti nevralgici della sua carriera, mettendo in evidenza la sua predilezione per tre generi artistici: il nudo femminile, il paesaggio e le nature morte, (segue pagina 16)
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D
(segue dalla pagina 15) in particolare floreali.
Da non dimenticare, infine, la sua attività di insegnamento di Discipline Pittoriche, dal 1968 al 1996, al Liceo Artistico Statale “Foiso Fois” di Cagliari, che le deve davvero tanto, e attendiamo che le tributi un omaggio, insieme alle sue colleghe Annalisa Achenza e Lalla Lussu, come lei prematuramente scomparse.
Caterina Ghisu
erché di rosso fuoco e acqua verde sono fatte le sue sillabe”. Le sillabe di Mirella Mibelli sono le pennellate dei suoi acquerelli, e il rosso fuoco e il verde acqua due fra le componenti cromatiche dominanti. In questo verso di Pablo Neruda, c’è tutto il senso della ricerca che Mirella Mibelli porta avanti da quando fece l’incontro, a Salisburgo, con Oskar Kokoschka e la sua “scuola del vedere”. Questa esperienza, intrapresa dopo avere condotto gli studi all’Istituto d’Arte di Roma, ha offerto alla Mibelli l’opportunità di capire a fondo il linguaggio dell’acquerello, di poterlo fare suo per riporvi l’emozione del proprio sguardo sul mondo. La lezione è stata quella di imparare a cogliere l’attimo, proprio come nella vita per Orazio. «Kokoschka insisteva, dice Mirella, che si fermasse l’istante con una pennellata precisa quanto definitiva: il margine per l’indugio doveva essere assolutamente eliminato in una tecnica che chiede di trasmettere, in ogni singolo tocco, il tremito vibrante della vita che pulsa. Per questo i modelli che Kokoschka proponeva ai suoi allievi erano sempre in movimento, mimavano azioni precise». Per questo il movimento, assieme al colore, diviene, negli acquerelli di Mirella Mibelli, un elemento di forte impatto: i blu sono chiari quando emergono dalla tela, scuri quando sprofondano negli abissi del mare o della mente. E così per i verdi, gli aranci, i rossi, colori di una natura che non smette mai di vivere e di far sentire.
È interessante vedere come si ritrovino immutati, dal grande al piccolo formato, quei valori cromatici e di dinamismo interno che nei grandi acquerelli sembrano prorompere grazie anche alle dimensioni delle tele. Nei lavori piccoli è come se il colore, compresso dalla limitatezza dell’area a disposizione, ne superasse il limite fisico per diventare assoluto, rispondendo solo all’esigenza della sua natura-di acquerello-mutevole e sempre in divenire. Ciò che Mirella Mibelli descrive è capace di dare emozioni a chi sa cogliere, della vita, l’appagamento estetico dell’attimo, la risposta ermetica al senso del colore, e quindi, del creare.”
Raffaella Venturi
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Foto mirellamibelli
P Vedi il video https://vimeo.com/777537091
Tutto pronto a Thiesi per l’apertura della settima edizione della rassegna fotografica “Immagini d’autrice” in programma nel centro del Mejlogu a partire da giovedì 8 dicembre e sino a martedì 27 dicembre 2022.
Apertura ufficiale in occasione della conferenza dibattito “La Donna e la luce”, ore 17.30 di giovedì 8 dicembre negli spazi della sala “Aligi Sassu” in via Garau 21 -, evento diffuso, apprezzato, partecipato e condiviso immaginato e voluto e realizzato dalla Cooperativa sociale Synergò, dal Comune di Thiesi e dalla Confcooperative Sassari Olbia.
A indirizzarle verso un comune intento, la sensibilità di Marco Sanna fotografo sassarese e fondatore dell’associazione fotografica “Mastro de Lughe”.
La forza dell’immagine.
La potenza ispiratrice che muove l’animo della fotografa.
La figura femminile, al centro del progetto.
Thiesi, centro di Sardegna (Mejlogu) che fa da sfondo e galleria d’arte e sentimento agli scatti di 9 autrici: storie di vita differenti, difficili, diverse ma capaci di dare una stra-
ordinaria spinta espressiva al loro raccontare in foto, anche quando il tema è complesso (malessere, malattia, bipolarismo, Alzheimer), anche quando tutto si complica, anche quando fissare in uno scatto il sentito d’una vita o d’un secondo è impresa titanica. Ma non impossibile. “Immagini d’autrice” sarà presentata ufficialmente nella conferenza dibattito “La donna e la luce”: momento di scambio e confronto che vedrà al tavolo 4 donne chiamate a offrire spunti e punti di vista differenti ma in linea con il progetto: la presidentessa della Commissione Donne Cooperatrici Confcooperative Anna Manca (vive a Genova ma è isolana doc), Sabrina Fiori della Cooperativa Sociale Synergò, la fotografa e archivista isolana ma domiciliata a Milano Laura Loi e l’artista Visuale – sarda anch’essa -Moju Manuli.Suggestione proposta da Maria Giulia Berardi: “Una passante sorride e si ferma qualche istante, un signore tira dritto imperterrito… Ma per i bambini non è possibile provare indifferenza. E così, mentre un piccoletto entra timidamente in una pozza, una bambina si diverte a
saltare per vedere gli schizzi…”.
Suggestione proposta da Mèlanconie: “Ho scoperto di essere borderline e bipolare 6 anni fa .
Durante il tempo ho imparato ad accettare la mia malattia e a non etichettarmi da sola con essa.
C’é ancora tanta paura e tanto stigma verso le malattie mentali . Ma confido ancora nell’empatia delle persone e in un mondo migliore”.
Suggestione proposta da Giusy Scanu: “Un mostro subdolo che ti ruba pelle, corpo e anima l’Alzheimer.
Un mostro che ha consumato quelli che “un tempo” erano mio padre e mia madre, ciò che erano non lo sono più, la loro voce, i loro occhi e il loro sorriso hanno smesso di brillare”.
Giovanni Dessole
+39 334 8964232
giovannidessole@hotmail.com
Facebook: John McSun (Giovanni Dessole) Twitter: @GioDessole Instagram: john_mcsun https://www.sassarinotizie. com/2022/12/03/immagini-dautrice-a-thiesi-una-rassegna-fotografica-con-al-centro-la-figura-femminile
Rassegna fotografica VIII^ edizione **ALCUNE VOCI
DELLE ATTESE PROTAGONISTE**
dall’8 al 27 dicembre 2022
“La donna e la luce” / esposizioni fotografiche / integrazione / inclusione
La figura femminile al centro del paese e del progetto
Synergò, Comune di Thiesi, Confcooperative e Mastros de Lughe
Sala Aligi Sassu Torre Prigione Thiesi (Mejlogu, Sardegna) Tel.+39 334 896 4232
https://youtu.be/pIQa2a9Q9BQ
aria Giulia Berardi nasce a Nuoro, vive a Firenze dove insegna , la fotografia è una delle lingue che parla.
Con la sua terra d’origine, fonte inesauribile di spunti e suggestioni, ha un costante e intenso rapporto.
La sua fotografia è caratterizzata da un tipo di ispirazione onirica, che si esprime di volta in volta con l’attenzione alle forme, la suggestione delle ombre, la fascinazione per l’acqua, le doppie esposizioni che rendono visibili dei mondi immaginari e immaginati. Ha tenuto delle personali in Italia e all’estero e partecipa a esposizioni e progetti fotografici collettivi.
Collabora con delle case editrici, alcune sue fotografie sono in vendita presso dei bookshop e sono diventate copertine di libri.
Tiene un corso di educazione all’immagine per bambini e adolescenti .
Crede e sperimenta il gesto fotografico come gioco dell’anima, e riconosce nel gesto fotograficoun valore terapeutico.
ilvia Sanna, nasce nel 1986, Isola su un’Isola, in Sardegna dove vive e lavora. Studia fotografia presso l’Istituto d’Arte di Alghero e poi si laurea all’Accademia di Belle Arti di Sassari con una tesi sull’autoritratto fotografico femminile. Tra il 2021 e il 2022 partecipa al workshop SPEX – Self Portrait Experience con Cristina Nunez.
Silvia Sanna subisce costantemente il fascino della fotografia che descrive come una magia e si muove tra fotografia digitale, fotografia analogica istantanea e tecniche alternative.
Tra i temi che indaga ricorrono le condizioni, le ossessioni, la quotidianità e le relazioni tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e la natura.
Lavora soprattutto con l’autoritratto ma questo non la rende indifferente al paesaggio, tanto che spesso unisce le due cose.
Nel 2018 viene selezionata, da una galleria di New York, tra i migliori venti giovani talenti nel mondo e nello stesso anno espone a Seoul e vince il premio Runner Up assegnatole dal Bio–Convergence Research Center,Seoul National University,Seoulin Bio–Science. Il suo percorso espositivo continua in Italia e all’estero e nel 2022 (segue pagina 18)
IMMAGINI D’AUTRICE
M S
Foto giusycalia
(segue dalla pagina 17)
viene premiata al Sapixel International Photo dalla Sapientia Hungarian Univeristy of Transylvania di Cluj – Napoca in Romania e le viene assegnato il Premio dell’Accademia di Fotografia Julia Margaret Cameron di Benevento al Premio Nazionale Gargiolli di Fivizzano.
Negli anni le sue foto sono state pubblicate su riviste e webmagazine italiane e straniere.
Giusy Scanu. Trasferitasi da Siliqua a Nuoro, coltiva la passione per la fotografia dal 2015.
Nel capoluogo della Barbagia entra in contatto con la cultura artistica del luogo e si fa notare per le sue doti comunicative e legate all’immagine scritta con la luce, dedicandosi principalmente alla fotografia di ritratto e autoritratto.
La fotografia diventa subito usata come valvola di sfogo per raccontare il suo stato d’animo diventando una sorta di terapia percepibile quasi immediatamente attraverso i moderni canali di comunicazione.
Dopo aver frequentato gli studi di base, frequenta anche un workshop di reportage fotografico e fotografia di ritratto a Nuoro, ampliando le sue conoscenze su questo argomento.
aura Loi nasce in Sardegna, nel Sulcis Iglesiente. Dopo la laurea in Beni Culturali con indirizzo archeologico - conseguita presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino - si trasferisce a Milano dove si diploma in fotografia alla Riccardo Bauer - ex Umanitaria - specializzandosi in Archivistica e Catalogazione Fotografica e Stampa argentica fine-art.
Ha collaborato con il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e con l’Archivio Cesare Colombo di Milano.
Al suo lavoro di fotografa, affianca quello di archivista, occupandosi con particolare attenzione e su commissione dello studio, riordinamento e rigenerazione di archivi familiari privati.
Il fascino e l’amore per la fotografia familiare ha portato Laura ad intraprendere, da qualche anno, un percorso di approfondimento su questo genere fotografico.
Nasce, così, nel 2019, da una sua iniziale collezione priva-
ta, Archivio CasaStudio, un fondo che conta, al momento, oltre 16.000 fototipi tra albumine, stampe cartonate, stampe in bianco e nero e colori, polaroid, negativi e diapositive kodachrome.
Sono immagini abbandonate e recuperate da una distruzione certa e un inevitabile oblio; ritraggono volti, raccontano eventi, scene di vita quotidiana, viaggi, vacanze e sperimentazioni amatoriali; vanno dagli ultimi anni dell’800 fino ai giorni nostri. Grazie alle continue acquisizioni (e alle gentili donazioni) l’Archivio è in costante crescita.
Laura ha collaborato nel 2019 alla realizzazione del volume Ultima Edizione. Storie Nere dagli archivi de La Notte, di Alan Maglio, Luca Matarazzo, Salvatore Garzillo; nel 2021 con la Fototeca Gilardi, ospitando la mostra di fotografie inedite tratte dagli album
di famiglia di Ando Gilardi, in occasione del Centenerario dalla nascita, curando, insieme a Elena e Patrizia Piccini, il catalogo a corredo “Ando Gilardi cent’anni dopo. 1921 - 2021”; ha, inoltre, partecipato all’edizione 2021 e 2022 di Archivi Aperti organizzata da Rete Fotografia e all’ultima edizione di Archivissima 2022 ne La Notte degli Archivi. Venti stampe a colori di Archivio CasaStudio, degli anni 70/2000, sono state esposte nella recente mostra “GUSTO! Gli italiani a tavola. 1970-2050” all’M9, Museo del 900 di Mestre - Venezia, conclusasi il 25 ottobre 2022. Laura, attualmente, vive a Sesto San Giovanni (Milano), nel suo spazio dedicato alla fotografia, alla memoria e alla ricerca: CasaStudio, un piccolo atelier e uno spazio culturale in cui si svolgono iniziative sociali, artistiche e didattiche rivolte ai suoi ospiti.
Giusy Calia nasce nel 1971 a Nuoro.
Dopo essersi laureata in Lettere, Filosofia, PhD in Letterature Comparate, nel 2006 si è trasferita a Milano per studiare fotografia alla John Kaverdash School: moda, reportage, camera oscura, still life. Nel 2007 ha frequentato un corso di videomaker con la New York Academy.
Attualmente sta per concludere i suoi studi in Psicologia Clinica.
Ultime mostre personali: • Basta guardare il cielo, Museo Mart, Rovereto, Project Wall, coordinamento Veronica Caciolli, 2014 • Alchimia dell’immagine, Museo MART, Rovereto, coordinamento Veronica Caciolli, 2013/2014 • Di là dai confini del giorno, Lodè, a cura del MAN – Museo d’Arte della Provincia di Nuoro, 2009. lunadigas.com
Foto artribune L
Egle Dessole Affascinata dalla fotografia fin da bambina, inizialmente studiata da autodidatta, seguendo poi diversi corsi svolti da fotogra professionisti a partire dall’anno 2008, cambiando la sua visione dell’immagine. Dopo avere esposto in diverse mostre collettive, dall’anno 2012 inizia un percorso personale con diversi progetti fotografici. Dall’anno 2008 al 2010 si affianca a diversi fotografi professionisti come assistente nell’ambito della fotografia di cermonia per specializzarsi nel settore, campo in cui progue successivamente per conto proprio. Ha partecipato a varie mostre collettive ed esposto personali. egledessole.it
S’intitola Giochi di verità. Rappresentazione, ritratto, documento la grande mostra promossa dal Comune di Soliera e dalla Fondazione Campori all’interno del Castello Campori di Soliera (MO) per dare spazio alla fotografia e alle autrici italiane.
Curata da Marcella Manni con oltre 80 opere provenienti dalla Collezione Donata Pizzi, l’esposizione ripercorre la storia della fotografia italiana dal 1965 ad oggi, mettendo in luce le evoluzioni concettuali, estetiche e tecnologiche che si sono sviluppate negli ultimi decenni. Centrali sono il tema del corpo, il rapporto tra memoria privata e collettiva, le dinamiche e i riti della vita familiare: elementi costitutivi e identitari che si leggono oltre le singole voci delle artiste e i momenti storici in cui sono vissute o vivono e operano.
Il percorso espositivo non si sviluppa, pertanto, in senso cronologico, ma per assonanze tematiche e formali, in un continuo gioco di sguardi e di rimandi, dove vero e falso si contaminano, dando vita ad una riflessione che disancora l’idea di realtà da quella di verità e spinge verso l’idea di libertà.
Opere di: Paola Agosti, Meris Angioletti, Martina Bacigalupo, Isabella Balena, Liliana Barchiesi, Betty Bee, Mariella Bettineschi, Silvia Bigi, Tomaso Binga, Marcella Campagnano, Silvia Camporesi, Lisetta Carmi, Monica Carocci, Elisabetta Catalano, Francesca Catastini, Daniela Comani, Agnese De Donato, Erminia De Luca, Martina Della Valle, Paola Di Bello, Ra di Martino, Eva Frapiccini, Simona Ghizzoni, Bruna Ginammi, Nicole Gravier, Gruppo del Mercoledì, Adelita Husni-Bey, Giulia Iacolutti,
Luisa Lambri, Elisa Magri, Lucia Marcucci, Allegra Martin, Paola Mattioli, Malena Mazza, Libera Mazzoleni, Gabriella Mercadini, Ottonella Mocellin, Verita Monselles, Brigitte Niedermair, Lina Pallotta, Giulia Parlato, Beatrice Pediconi, Francesca Rivetti, Silvia Rosi, Marialba Russo, Marinella Senatore, Shobha, Alessandra Spranzi, Sofia Uslenghi, Francesca Volpi, Alba Zari.
L’esposizione, accompagnata da un catalogo edito da Metronom Book, è realizzata con il supporto di Regione Emilia Romagna e Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e il contributo di Esselunga, Le Gallerie Shopping Center, Reinova e Porfirea Srl.
Sabato 3 e domenica 18 dicembre, alle 15.30 e alle 17.00, sono in programma visite guidate gratuite alla mostra.
www.solieracastelloarte.it.
Giochi di verità Rappresentazione, ritratto, documento Opere della Collezione Donata Pizzi a cura di Marcella Manni Fino al 15 gennaio 2023 Orari di visita: sabato e domenica dalle 9:30 alle 13:00 e dalle 15:00 alle
19:30. Aperto venerdì 8 dicembre e sabato 31 dicembre dalle ore 9:30 alle 13:00, 1 gennaio ore 15.00-19.30, chiuso 24, 25 e 26 dicembre Castello Campori, Piazza Fratelli Sassi 2, 41019 Soliera (Mo) T. +39 059 568580 info@fondazionecampori.it www.fondazionecampori.it www.solieracastelloarte.it
iaggio esperienziale nelle meraviglie della Sardegna. Programma eventi dall’8 al 30 dicembre 2022
La Sardegna è un’isola ricca di siti e di risorse di molteplice valenza: storico archeologica, ambientale, culturale e identitaria.
Scopo del progetto è quello di offrire modalità di fruizione di questo immenso patrimonio tali da permettere di vivere esperienze uniche e indimenticabili.
Vogliamo fare in modo che il turista utilizzi tutti i 5 sensi.
Dopo il successo della scorsa edizione proponiamo un nuovo progetto che, coinvolgendo i residenti e le organizzazioni locali, permetta di trovare nuove opportunità di partecipazione e di socializzazione del pubblico, attraverso delle chiavi di lettura del nostro passato e delle nostre radici, tra tradizione, natura e cultura.
Vogliamo evocare suggestione, sorpresa, meraviglia ed emozione nei visitatori che parteciperanno alle nostre attività esperienziali.
Lasciando un buon ricordo. Saranno giornate intense ed emozionanti, tutte da vivere, tra laboratori, visite guidate e attività varie, con lo scopo di immergersi per viverle profondamente come vere esperienze e non limitarsi semplicemente a trascorrerle.
IMPORTANTE: la partecipazione alla manifestazione di norma è libera, previa prenotazione.
Non tutti gli eventi si svolgono però con la stessa formula, consigliamo perciò di contattare sempre i nostri partner locali per avere tutte le informazioni del caso e prenotarsi.
Trovate i contatti alla fine del post dedicato ad ogni singola località.
Per pasti e trasporto, se non disposto diversamente, ogni visitatore dovrà provvedere da se. (segue pagina 20)
Foto isula2022
CALEDARIO EVENTI ISULA 2022
Giovedì, 8 dicembre 2022 Gonnosfanadiga https://www.facebook.com/events/1455523421643709/ Sabato, 10 dicembre 2022 Masullas https://www.facebook.com/events/3430146083873174/ Domenica, 11 dicembre 2022 Pau https://www.facebook.com/events/1583890828711025/ (max 30 partecipanti) Sabato, 17 dicembre 2022 Siddi https://www.facebook.com/events/706617637342065/ Domenica, 18 dicembre 2022
Lunamatrona https://www.facebook.com/events/1480152315804010/
Venerdì, 23 dicembre 2022
Gadoni Martedì, 27 dicembre 2022 Pompu Giovedì, 29 dicembre 2022 Genoni Venerdì, 30 dicembre 2022 Ortacesus
PER INFO E PRENOTAZIONI:
Fare riferimento ai post e agli eventi dedicati a ogni singolo appuntamento. Oppure inquadrate il QR Code inserito nel manifesto con il vostro smartphone per leggere subito tutti i programmi!
V
L’albero più antico d’Italia si trova nel nord Sardegna, esattamente nel comune di Luras, in provincia di Olbia Tempio, non lontano da Tempio Pausania.
È un antichissimo olivo, il nonno di tutti gli alberi italiani: più precisamente, si tratta di una Olea europaea, la specie dalla quale derivano appunto le varietà delle piante da olio. Da noi in Sardegna viene chiamato il Patriarca o S’Ozzastru (cioè, l’Olivastro) e le sue dimensioni sono veramente imponenti, basta dire che la circonferenza del tronco è di undici metri e mezzo, mentre il diametro della chioma ne misura 21 ed è alto ben 14 metri.
Un gigante.
Il primato è stato riconosciuto dal ministero delle Politiche agricole e forestali (Mipaaf), dopo un censimento degli alberi monumentali d’Italia, previsto dalla legge 10/2013, che ha istituito la Giornata Nazionale degli Alberi ogni 21 Novembre.
Il Patriarca, orgoglio della Sardegna, segnato dal tempo ma con le radici ancora ben piantate sulla terra, dal 1991 è stato dichiarato Monumento Naturale.
Quello che fa più sorridere è che questo meraviglioso albero, scolpito da nodi, piccole e grandi cavità, ha realmente l’aspetto di un saggio anziano. Non è comunque il solo albero antico di quella zona, la località di Santo Baltolu di Carana, sulle sponde del lago Liscia, ci sono anche altri alberi millenari che fanno buona compagnia a S’Ozzastru.
Pensate che a pochi metri di distanza da lui c’è un altro olivo di circa 2000 anni.
La tutela di questi alberi e di questa magica e antichissima località è doverosa.
Se siete curiosi di vedere il Patriarca, l’albero più antico d’Italia e fra i più antichi d’Europa, una cooperativa gestisce delle interessantissime visite guidate, che vi faranno scoprire una zona poco conosciuta della Sardegna, ma decisamente bellissima. S’Ozzastru è un esemplare di olivo selvatico (Olea europaea) a cui vengono attribuiti secondo l’Università di Sassari tra i 2500 e i 4 000 anni di età, che ne fanno uno degli alberi più antichi d’Italia. Si trova nell’agro del comune di Luras, in provincia di Sassari, nel nord della Sardegna, in località Santu Baltòlu di Karana, presso la chiesetta di campagna dedicata a
san Bartolomeo. Secondo le ipotesi del botanico piemontese Bruno Peyronel, S’Ozzastru potrebbe avere superati i 5.000 anni, ma non vi sono dati scientifici ad avvalorare queste ipotesi, così come per altri alberi di cui il Peyronal ha potuto solo ipotizzare l’età.
S’Ozzastru, nome proprio in lingua sarda inteso come “l’olivastro patriarca di tutti gli olivastri” o su babbu mannu (il grande padre) come altri sardi lo chiamano, ha una circonferenza del tronco di undici metri e mezzo, mentre il diametro della chioma ne misura 21 e raggiunge un’altezza di 14 mt. Dal 1991 è stato dichiarato monumento naturale. La Sardegna è la regione che conta il maggior numero di alberi monumentali d’Italia, potendovi infatti contare ben 285 alberi monumentali viventi, sul totale di 2407, censiti e certificati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF) per il tramite del Corpo forestale dello Stato e dei corpi forestali regionali[2]. Solo nella stessa area dove si trova S’Ozzastru vi sono diverse altre piante tutte plurimillenarie e anch’esse censite dal MIPAAF. wikipedia.org/wiki/SOzzastru
S’OZZASTRU A LURAS
Luras
È la patria dei dolmen: ne conserva quattro integri esemplari dei 78 totali dell’Isola. Luras, paese di duemila e 500 abitanti, si adagia a 500 metri d’altezza su un poggio granitico all’estremità nord-orientale del monte Limbara.
Nonostante sia in piena Gallura, vi si parla il logudorese. Due ipotesi sull’origine: colonia etrusca o di ebrei deportati dall’imperatore Tiberio (19 d.C.).
Dal Medioevo al XVIII secolo era Villa Lauras, a metà del XIX visse il suo splendore, grazie a commercio e attività agropastorale. Oggi coltivazioni e artigianato sono basi dell’economia, specie la lavorazione di sughero e granito e le produzioni vitivinicole, vermentino e nebiolo.
Il territorio è abitato dalla preistoria. L’età del Bronzo è testimoniata dai ruderi di sei nuraghi, quella precedente, prenuragica, ha lasciato quattro dolmen (o allée couverte), ritrovati nelle immediate vicinanze dell’abitato, risalenti a 3500-2700 a.C., che si confrontano con analoghe sepolture collettive (e luoghi di culto) basche, catalane, francesi, corse e delle Baleari.
ranea.
I suoi medium sono le fibre naturali, artificiali e di recupero.
Pietrina Atzori realizza opere d’arte con il filo, fibre, tessuti … per da corpo alle sue visioni, al suo immaginario alle suggestioni che agitano la sua sensibilità partendo dal contemporaneo.
Attraverso il “filo” dà corpo alle sue visioni, al suo immaginario alle suggestioni che agitano la sua sensibilità.
Assemblaggio, ricamo, tessitura, annodamenti, manipolazioni di fibre e tessuti sono inseriti a pieno titolo nella sua ricerca artistica.
Con il suo lavoro realizza opere di installazione anche urbane, performance e arte partecipativa.
Pietrina Atzori, da autodidatta, tesse e feltra manipolando la lana con tecniche tradizionali e non.
Predilige l’uso delle lane grezze rivolgendo un’attenzione speciale alle lane sarde, con le quali sperimenta e crea oggetti e forme dai possibili usi non convenzionali.
Presente anche all’ultima edizione di “Verona Tessile”, le sue istallazioni realizzate per l’occasione insieme a Sheila Rocchegiani (“strati-Layers”) hanno suscitato grande interesse per la peculiarità delle proposte: qualcosa di unico, con una eco ricca di significati che vale la pena di fermarsi ad ascoltare.
Pietrina, a Verona hai esposto un chimono ispirato alla tradizione dei Boro giapponesi. Perché un chimono?
Le cose che realizzo non sono mai premeditate, nascono da una suggestione e dal cuore.
La ricerca e la sperimentazione vengono sempre dopo. È capitato così anche per il chimono esposto a Verona.
Volevo immedesimarmi nella vita di un pescatore giapponese che ha bisogno di cucire un abito per coprirsi e a questo scopo utilizza tutto, ogni singolo pezzetto di stoffa.
Volevo conoscere ed entrare nel presente di una storia, sentire il sapore e il dolore del passato in contrasto con la condizione di abbondanza, di superfluità del consumismo, che caratterizza la nostra epoca.
Come hai proceduto?
Il mio pescatore avrebbe cercato di trovare quello che gli serviva ovunque.
Così ho fatto io. Via Facebook e tramite email ho chiamato a
ALLA RICERCA DI PIETRINA ATZORI
raccolta “i mercanti di stracci” contemporanei, cioè tutte quelle persone che avrebbero potuto contribuire a realizzare il mio progetto.
Ho lanciato un appello affinché mi fossero spediti dei pezzi di cotone blu e gugliate di filo dismesse.
Per tre mesi ho cucito punto dopo punto minuscoli ritagli di stoffa con gugliate a volte lunghe appena 20 cm, materiali arrivati da tutta Italia.
Ho lavorato fino a perdere la sensibilità dei polpastrelli, ma volevo vivere sulla mia pelle quest’esperienza, vedere cosa ne avrei tratto.
Che cosa ti ha insegnato questo percorso?
Ha ribadito un qualcosa che mi era già chiaro da tempo. Ossia che anche un pezzo di tessuto può avere una sua sacralità.
Dipende da come lo usi, dal valore che dai al tuo gesto.
Le tue sperimentazioni partono a monte dalla ricerca sulla tessitura a mano, una tradizione tuttora viva e sentita nella tua isola…
La tessitura è un processo molto articolato, che parte dalla coltivazione delle fibre e arriva al prodotto finito passando attraverso diverse varie fasi di lavorazione.
Non è per niente uno scherzo, tant’è che in Sardegna prima di cominciare a tessere tradizionalmente si usava pregare per assicurarsi il buon risultato del progetto.
La tessitura a mano era considerata un lavoro sacro.
Da quello che mi racconti, mi pare di capire che tra quest’ultima tua installazione di Verona e la tessitura, che è stata un po’ il tuo inizio, c’è una consequenzialità, un filo conduttore…
Alla base di ogni mia esperienza ci sono i concetti di “sacralità” e “parsimonia” di cui ti dicevo prima, oggi sicuramente in controtendenza.
E poi c’è il concetto di “valore”: valore delle cose e valore del lavoro.
E perciò anche il “rispetto” a 360° per tutto ciò che facciamo e che ha una ricaduta nella comunità in cui viviamo.
Sei nata e cresciuta a San Sperate, famoso in tutto il mondo per essere il paese dei murales e degli artisti.
Anche se hai soggiornato a lungo fuori dalla tua isola, immagino che l’imprinting del bello in ogni strada, su ogni muro, sia stato molto forte, determinante…
Lo è stato: l’arte mi ha nutrito e “contaminato” fin da piccola.
La luce, i colori dei murales, le installazioni…
A San Sperate esiste ancora oggi un movimento di muralisti molto vitale che attrae artisti e studenti da tutte le Accademie d’Europa.
E poi c’è Pinuccio Sciola, scultore di fama internazionale, diventato celebre soprattutto grazie alle sue “pietre sonore”…
L’attaccamento alla tua terra è molto profondo. Natura, tradizioni, riti: perfino il chimono di Verona racconta della tua Sardegna.
Il parallelismo c’è, non fosse altro per il fatto che sia la Sardegna sia il Giappone sono isole.
Ma non è soltanto questo. Come in Giappone, anche in Sardegna le tradizioni sono molto radicate.
Perlomeno per il momento lo sono ancora, anche se le cose stanno purtroppo cambiando rapidamente.
La nostra isola è una terra di forti contrasti, aspra e dolce, misteriosa: noi sardi ne portiamo il segno con orgoglio. Il mio stesso nome, Pietrina, non è casuale.
Ogni volta che mi allontano dalla Sardegna e poi ci ritorno provo emozioni fortissime, incredibili, quasi irraccon-
ietrina ATZORI è una Fiber artist contempo
P
Foto pietrinaatzori
tabili… Che forse solo chi è nato qui può veramente capire.
A proposito di tradizioni sarde… La tua linea di gioielli “Prendas de Pannu” (gioielli di tessuto) si ispira proprio alla tradizione degli “scrapolarius”.
Come è nata questa idea?
La tradizione di “is scrapolarius”, a metà strada tra il sacro e il profano, è molto diffusa in Sardegna.
Non è una nostra esclusiva, perché la si ritrova comunque in molte altre tradizioni del mondo.
Per esempio in quella musulmana.
Anche i musulmani usano confezionare, come noi, dei sacchettini in tessuto.
Loro ci conservano versetti del Corano, noi oggetti diversi.
Gli scrapolarius sono una sorta di “amuleti” che non si devono aprire.
Qualche anno fa ho ereditato lo scrapolarius di mia nonna.
Avevo passato l’infanzia a chiederle cosa contenesse, ma né lei né mia madre hanno mai voluto dirmelo.
Dopo la sua morte ho potuto finalmente aprirlo.
Dentro c’era un fiore di elicriso secco e un pezzettino di
immagine.
L’idea di creare dei gioielli in tessuto mi è venuta di lì, dalla mia infanzia, dalle mie radici. Da molto lontano.
Per le tue creazioni hai utilizzato broccato, velluto, seta e bottoni in lamina d’acciaio.
I ciondoli “scrapolarius” contengono elicriso e lavanda…
Anche questa è una storia che ci riporta ai concetti di parsimonia e di sacralità che in fondo improntano sempre le mie ricerche e i miei lavori.
Quando ho compiuto tredici anni mia madre mi ha incoraggiato a entrare in un gruppo folcloristico.
Però non avevo il costume tradizionale, e dato che non c’erano negozi dove acquistarlo, ho dovuto confezionarmelo da sola.
I ricami per lo scialle, il colletto a uncinetto, i 16 m di seta operata per la gonna plissettata…
Di costumi ne ho fatti due: uno per me e uno per mia sorella.
Quello è stato il mio primo, vero incarico importante: una sfida e una responsabilità.
A più di trent’anni di distanza quei costumi mi sono ritornati in mano, mi è tornato indietro qualcosa, proprio come era accaduto per l’amuleto di mia
nonna.
Allora con quei pezzi di broccato, di velluto, di seta che avevo indossato da ragazzina ho iniziato a esplorare la tradizione degli “scrapolarius”. Qualche volta tieni dei corsi.
Per esempio hai tenuto dei corsi sul feltro allo IED (Istituto Europeo di Design) di Cagliari.
Il feltro è un altro medium che conosci bene. Per la tua installazione con i “vasi feltrati” nel centro storico di Cagliari sei stata notata e chiamata a partecipare a “Filo lungo filo”, dove hai vinto anche un premio…
Il feltro si presta molto bene all’uso del design: per i ragazzi è una scoperta sconvolgente.
Mi dà molta soddisfazione lavorare con loro.
In fondo la mia presunzione in sordina è quella di educare al tessuto e alla manualità, che per me sono sempre metafore di autenticità.
La mia felicità è stare bene con me stessa, con le cose che faccio, con le persone che ho intorno, la mia comunità.
“Filo lungo filo” è stato una sorpresa, non mi aspettavo di essere invitata e meno che mai di vincere un premio. Com’è fare ricerca così come
la fai tu, cioè farla in un paese che sta in un’isola, abbastanza lontano da certi circuiti settoriali?
Se le cose le fai sinceramente, col cuore, non ci sono problemi.
E se sai qualcosa di te, non devi mai rinunciare.
Certo, mi è successo di passare dei periodi difficili in cui mi sono interrogata sul senso del mio lavoro, in cui mi sono domandata se non fosse tutta una perdita di tempo.
Le persone che avevo attorno, anche quelle che mi volevano bene, non riuscivano a comprendere, mi chiedevano a cosa servisse tutto quel mio darmi da fare.
Perché apparentemente non serviva a niente, non aveva una funzione precisa.
E io non riuscivo a spiegare le ragioni delle mie ricerche. Confrontandomi invece in altri ambiti, con professionisti e non davvero interessati alle mie cose, non ho avuto difficoltà: si è sempre creata un’immediata sintonia sia con l’ambiente che col pubblico e lo stimolo creativo, l’energia che ne ho riportato, sono stati fortissimi.
In questo momento a che cosa stai lavorando?
Sto lavorando sui “segni” del ricamo. Ero arrivata a detestarlo, il ricamo, così ripetitivo, noioso. Poi ho scoperto per caso l’enorme potenziale di libertà insito in questa tecnica attraverso le opere di Arthur Bispo do Rosário, un artista brasiliano dalla vita tragicissima, passata dentro e fuori dai manicomi. Arthur era dotato di una creatività eccezionale, che mi ha colpito profondamente. Le sue opere sono il prodotto di un lavoro di cucito, ricamo e assemblaggio di oggetti: per me sono state una specie di folgorazione.
Quanto tempo dedichi alle tue ricerche?
Tutto quello che posso.
Per portare a termine un progetto, a volte mi chiudo in casa per quattro, cinque giorni senza mai uscire.
Per me la ricerca è sempre stata di vitale importanza: quello che cerco sono spazi di libertà.
https://blog.iodonna.it/uncinetto-puntocroce/2015/07/28/ dal-giappone-a-is-scrapolarius-i-percorsi-artistici-di-pietrina-atzori/
Ho perso per strada Pietrina Atzori ed ho pensato che per ritrovarla devo ricominciare da capo ma la foto dell’albero é recentissima dicembre 2022.
Foto blog.iodonna.it
na grande civiltà antica, non identificata fin quasi all’inizio del sec.XX, rappresentava un mistero per gli storici.
Solo dopo la scoperta delle rovine di Hattusa, e di un documento che si riferisce al “Grande Re” degli Ittiti, archeologi e storici trovarono conferma dell’esistenza di questo popolo, fino ad allora conosciuto solo per qualche citazione nella Bibbia.
Tuttavia fu il popolo degli Hatti, attorno al 2000 a.C., a fondare Hattusa, conquistata dagli Ittiti nella metà del sec. XVIII a.C.
Per più di cinquecento anni fu la capitale del potente regno che dominava ampie porzioni del Medio Oriente e dell’Anatolia, fino alla sua quasi repentina scomparsa, attorno al 1200 a.C., testimoniata dalle rovine bruciate di Ḫattuša e di altre importanti città dell’Anatolia centrale.
L’impero degli Ittiti viene più volte citato nella Bibbia come uno dei più potenti regni dell’antichità, ma gli storici avevano sempre ritenuto che si trattasse di una leggenda, perché non era mai stata trovata alcuna prova della sua esistenza.
I primi viaggiatori europei, che a metà del sec.XIX trovarono delle monumentali rovine nei pressi del villaggio di Bogazkőy, nella Turchia centrale, non potevano certo conoscere l’identità dei misteriosi costruttori.
Solo dopo qualche decennio gli archeologi capirono che si trattava di Ḫattuša, l’antica capitale degli Ittiti.
Furono rinvenute circa 30.000 tavolette di argilla, che documentano molte delle attività diplomatiche dell’impero.
Il documento più importante è il trattato di pace firmato da Ittiti ed Egizi, dopo la battaglia combattuta a Qadeš, intorno al 1283 a.C.
Nella storica battaglia, gli Ittiti si scontrarono con le forze del Grande Faraone Ramses II: fu la battaglia più grande che il mondo avesse conosciuto fino ad allora.
La storia dice che Ramses uscì vincitore, ma il trattato firmato dai due “grandi Re” dimostra che gli Ittiti si imposero agli egiziani, portando le loro frontiere molto più a sud, fin quasi all’odierno stato di Israele.
Ramses II e Hattusili III firmarono il primo trattato di pace della storia, suggellando l’alleanza con un diplomatico
HATTUSAS
matrimonio tra il faraone e una delle figlie del re ittita. Hattusa, la splendida capitale circondata da fertili campi e ricchi pascoli, fu distrutta nel sec.XII a.C.
Gli scavi archeologici dimostrano che la città fu rasa al suolo e bruciata, ma solo dopo che i suoi abitanti l’avevano abbandonata, portando via oggetti preziosi e simboli dell’impero: gli archeologi scoprirono i resti di una città fantasma, che però nel suo periodo di maggior splendore vantava grandi edifici amministrativi, templi, il palazzo reale, e possenti mura difensive, abitata probabilmente da circa 40.000 persone.
Nessuno sa dove andarono gli abitanti di Hattusa e comunque gli Ittiti scomparvero dalla storia tra il 1200 e il 1150 a.C., durante quello che viene indicato da molti storici come il “collasso dell’età del bronzo”, “il peggior disastro nella storia antica”, secondo Robert Drews.
Dopo la partenza degli ittiti da Ḫattuša, il sito della città venne occupato a più riprese da popolazioni primitive che non conoscevano la scrittura.
Le zone della città, popolate da varie tribù, vennero conquistate più volte e passarono
di mano in mano attraverso i diversi regni che si susseguirono, dai Lidi ai Persiani, dai Romani ai Bizantini.
Fu solo nel sec.XX che si ebbe piena consapevolezza del ruolo della città nella storia.
La città fu sempre esposta agli attacchi delle popolazioni che abitavano le montagne più a nord, i Kaska, che non furono mai assoggettati dagli Ittiti. Probabilmente essi però non furono la causa del declino avvenuto durante il collasso dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro in Anatolia.
Il sito archeologico si trova nella provincia di Çorum in Turchia, circa 145 km a nord-est di Ankara, e nei suoi pressi sorge il villaggio di Boğazkale.
Il sito è stato inserito tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO nel 1986.
La parte più estesa del sito è costituita dalla Città Alta che si estende a sud per circa 1 km², ed è cinta da mura con porte ornate di rilievi raffiguranti guerrieri, leoni e sfingi. All’esterno delle mura si trova la necropoli, contenente vari sepolcri.
Le stime attuali indicano una popolazione tra i 20 000 e i 40 000 abitanti nel periodo d’oro. Le case comuni erano costrui-
te in legno e mattoni di fango, e per questo motivo non restano altre testimonianze che le mura in pietra dei templi e dei palazzi.
Con più di 30 000 tavolette cuneiformi riportate alla luce dall’inizio degli scavi, Ḫattuša rappresenta il sito dal quale proviene la maggior parte delle nostre conoscenze sulla civiltà ittita oltre che notevoli testimonianze, grazie all’importanza del regno, sulla situazione di tutto il Vicino Oriente antico.
Una tavoletta riporta i dettagli del trattato di pace fra Ittiti ed Egizi stipulato nel 1259 a.C., ventiquattro anni dopo la battaglia di Qadeš avvenuta attorno al 1283 a.C., esempio di uno dei primi trattati di pace internazionali.
La città venne distrutta poco dopo il 1200 a.C., alla caduta dell’impero ittita, durante il periodo storico chiamato Collasso dell’Età del Bronzo. Anche dopo la caduta del regno ittita il sito fu regolarmente occupato nel corso dei secoli successivi, fino all’attuale villaggio turco, senza più avvicinarsi però allo splendore della antica città.
Luisanna Napoli
wikipedia.org U
wikipedia.org
LA PORTA DEI LEONI
Foto
Villanovaforru è un paese che dista circa 50 km da Cagliari e Oristano, situato tra i rilievi della Marmilla è agevolmente raggiungibile percorrendo la Statale 131 e svoltando al bivio segnalato . Villanovaforru è uno di quei paesi , che ha concentrato le proprie energie nella valorizzazione delle risorse del suo territorio riuscendo a trasformare il piccolo centro agricolo, che conta circa 700 abitanti, in un punto di riferimento culturale e archeologico di importanza internazionale.
Il paese, conta monumenti,palazzi e testimonianze archeologiche degne di attenzione.
Tra questi, la parrocchiale di San Francesco (sec. XVII) e, di fronte, l’ex edificio del Monte Granatico, di fine Ottocento, dove trova sistemazione il museo archeologico.
Qui si trovano reperti che consentono di ricostruire il passato preistorico e storico della Marmilla.
Nei dintorni dell’abitato è interessante la chiesetta campestre di Santa Marina (sec. XIII), tappa d’obbligo è, a pochi metri dalla ultime case, il villaggio nuragico di Genna Mària, sovrastato dal suo nuraghe bastionato.
Rilevante la disponibilità alberghiera: i due alberghi a tre e a quattro stelle e un residence a tre stelle offrono oltre 210 posti letto.
Presenti anche Case tipiche e B&B
, capaci di far rivivere il gusto per la vita semplice e l’atmosfera del focolare.
Chi volesse invece conservare souvenir della visita i laboratori artigiani propongono una vasta gamma di coltelli prodotti artigianalmente (loc. S. Marina), mentre nelle case private, a richiesta, si posso acquistare scialli ricamati, intagli lignei, ceramiche e produzione hobbistica di buona qualità.
ILMuseo Archeologico di “Genna Maria” si trova nel centro storico del piccolo paese di Villanovaforru, di circa 700 abitanti, centro abitato della regione storica della Marmilla.
Per arrivarci, percorrendo la S.S. 131 “Carlo Felice” al chilometro 50 circa, si prosegue per la Strada Provinciale 52, che si inerpica per circa 6 Km, con leggere curve, attraversando un paesaggio ondulato di coltivi a cereali, oliveti e vigneti.
Il Museo Archeologico di Genna Maria è posizionato in un’elegante palazzina ottocentesca, utilizzata anticamente come “Monte di soccorso”. In esso sono esposti i reperti rinvenuti nell’omonimo complesso nuragico, rispettando le associazioni originarie che arredavano e rendevano funzionali i vari ambienti del villaggio.
Le vetrine espongono un vasto repertorio di vasi, strumenti litici e
metallici riferibili alle attività legate alla sussistenza della comunità stanziata sulla collina.
L’esposizione documenta il fermento delle attività quotidiane legate all’agricoltura e all’allevamento nonché alla caccia di una piccola comunità rurale del X-IX sec. a. C..
Nel piano superiore sono esposti i reperti provenienti dai siti del territorio della Marmilla compresi in un arco di tempo che va dal Neolitico all’età Bizantina.
La scelta espositiva dei reperti esalta il rapporto tra gli oggetti d’uso e gli ambienti di rinvenimento, ricostruendo la vita all’interno di un’abitazione di tremila anni fa.
Tra i reperti fittili più significativi gli strumenti di dominio del fuoco quali fornelli portatili, portabraci, alari, coppe di cottura sostitutive del forno. Le brocchette askoidi si confrontano con reperti analoghi rinvenuti nella Toscana marittima, a Creta e (frammentari) in altre località del Mediterraneo (Cartagine) e della Costa Atlantica (Cadice).
Servizi Visite guidate al Parco archeologico e per i gruppi su prenotazione al Museo, ai laboratori tecnici (grafico, restauro ceramico, restauro osteologico). Sono presenti le audio guide anche in lingua straniera. Non vi sono barriere architetto-
GENNA MARIA QUARANT’ANNI
niche ed esiste un percorso tattile con reperti fuori e dentro vetrina. All’interno del Museo sono utilizzabili e consultabili alcune postazioni multimediali, inoltre è presente un bookshop.
La biblioteca archeologica è consultabile su richiesta.
Tra qualche giorno, il museo di Villanovaforru compie quarant’anni. È stato il primissimo museo civico della Sardegna e per me, che sono nato e cresciuto altrove e vivo qui da appena nove anni, l’occasione è buona per un pensiero su cosa significhi avere, gestire, comunicare un parco archeologico, un museo e una storia di tale complessità, di tale magnificenza. La faccio breve. Il lavoro che svolgiamo sul tema in Sardegna non è mai abbastanza.
E riguarda prima di tutto l’alfabetizzazione storica dei nostri conterranei.
Gli scavi, la tutela, il restauro, la sovrintendenza, le borse del turismo, i rapporti politici ecc. ecc., sono tutti affari molto importanti. Ma la cosa più urgente, efficace, costruttiva, è raccontare ai sardi il loro passato, perché in troppi ancora non lo conoscono. Per questo trovo incomprensibili le gelosie e le polemiche che ricorrentemente investono il campo dei beni archeologici e museali isolani.
A mio parere, è utile il lavoro di tutti: dall’ultima delle cooperative di gestione di un sito alla più ricca delle fondazioni, siamo impegnati insieme a dare dignità al passato comune.
A farlo grande, a portarlo al mondo. Prima di tutto, lo ripeto, ai sardi. E l’obiettivo è talmente importante da rendere sciocco accapigliarsi sul resto. Non si tratta di essere ecumenici. Si tratta di essere pratici. Non voglio più incontrare ragazzini che sanno tutto sulle dannate piramidi e non sanno di avere torri megalitiche a pochi chilometri da casa.
Abbiamo da fare un lavoro enorme sui bambini e gli adolescenti in età scolare.
L’obiettivo è far entrare i nuraghi, e poi tutto ciò d’altro che di buono (e cattivo) la storia sarda offra, nell’immagine di sè di quei ragazzi.
Immagine in costruzione oggi, per avere domani adulti più consapevoli del loro posto nel mondo. E siccome è un lavoro inesausto, non possiamo né fermarci né, tanto meno, perdere tempo in schermaglie.
Questo è il mio e nostro primo dovere.
P.S.: l’invito ad essere qui il 18, quarantennale del museo, è ovviamente esteso a tutti e tutte.
Maurizio Onnis
Foto prolocovillanovaforru
ei è Sandra.
È di Settimo San Pietro. È il 1996, ha 6 anni. Sta facendo un giro con il papà.
Per terra c’è una piccola buca. Il papà fruga con la mano e trova un’antica moneta d’argento. Sandra ne resta affascinata.
Cresce e pensa a quella moneta. “Un giorno ne vorrei disegnare una bellissima”.
È il 2012, c’è un concorso per entrare alla scuola dell’arte della medaglia, dentro la Zecca di Stato.
A Roma.
I posti sono solo 12. Ammessa.
Studia, si specializza. Poi parte per gli Stati Uniti. Diventa una delle più apprezzate “Coin designer”.
Ma non dimentica la Sardegna.
È il 2019, a Shangai disegna una medaglia con le maschere del carnevale sardo. Vince un premio.
Poi un altro, in Giappone. “Spero anche così di riuscire a far conoscere e apprezzare la mia Sardegna nel mondo”.
Pochi mesi fa le viene affidata la Britannia 2022, la moneta che la zecca reale del Regno Unito emette ogni anno per celebrare la nazione.
L’ultima con l’effige della Regina Elisabetta.
Il sei dicembre 2022 a Montecitorio Sandra ha ricevuto lo Standout Woman Award, il riconoscimento internazionale destinato a figure femminili dotate di speciali talenti.
Un premio che è ormai divenuto tradizione e che nasce nell’ambito dell’Expo 2015 da un’idea dell’americano Beau Toskich il quale ha sempre considerato il genere femminile “una risorsa fondamentale per il mondo intero, in famiglia, nel lavoro, ovunque”.
Il prestigioso riconoscimento vuole essere, secondo gli organizzatori, la voce di donne che nella loro “ordinarietà” fanno cose straordinarie.
C’è anche una sezione maschile del premio, nata nel 2016 per dare rilievo anche a uomini eccellenti, nonchè ad aziende che sviluppano progetti innovativi e di welfare.
Così, dopo due anni di sospensione causa pandemia, il 6 dicembre sono state premiate ventuno donne, tre uomini e altrettante aziende; sono stati inoltre attribuiti un premio alla memoria e riconoscimenti speciali con menzione a tre soggetti.
Le organizzatrici Anna Maria
SANDRA DEIANA
Gandolfi e Loretta Tabarini sono riuscite anche quest’anno a far emergere figure di alto profilo per capacità, competenze, determinazione e sensibilità nel raggiungere gli obiettivi della loro vita.
Tra loro Sandra Deiana, giovane coin designer già affermata a livello internazionale e apprezzata artista che, negli ultimi anni, si è misurata sia nella creazione di monete che di medaglie per committenti istituzionali e privati.
Visibilmente emozionata, Sandra Deiana nell’accettare il premio ha dichiarato: “Mi sento onorata del fatto di essere stata considerata ‘una donna semplice che fa cose’, nello spirito dello Standout Woman Award. La semplicità è infatti una delle caratteristiche fondamentali che permettono alla moneta, segno istituzionale e identitario di ogni nazione, di trasformarsi da mera forma tangibile di denaro in mezzo di comunicazione, veicolo di valori, oggetto d’arte e generatore di emozioni.
Non considero questo premio un punto di arrivo ma uno stimolo ulteriore nel proseguire nella mia attività creativa e professionale, tenendo ben saldi gli esempi e gli insegna-
menti di persone tra le quali il maestro Uliana Pernazza, mia docente di incisione e modellazione presso la Scuola dell’arte della medaglia della Zecca di Stato, il maestro Heidi Wastweet, grazie alla quale ho approfondito la mia tecnica negli Stati Uniti, e Chiara Principe, non solo mie colleghe, ma soprattutto amiche dalle quali ogni giorno apprendo molto”.
La prima moneta modellata da Sandra Deiana è stata per l’Irlanda nel 2016: una 10 euro per è stata una Eileen Gray, designer di mobili e un’architetto, considerata una pioniera dell’International Style Già numerosi i riconoscimenti per Sandra Deiana, del resto, ultimo dei quali in ordine di tempo il premio Coin Constellation 2022 nella categoria Coin Classic, senza contare il gradimento e le positive critiche ottenute dalla sua Britannia – declinata per la Royal Mint attraverso le tre età della donna – che segna il ritorno di un’artista italiana alla zecca di Londra dai tempi, ormai lontani, del grande Benedetto Pistrucci (leggi qui).
I progetti di Sandra Deiana: la Royal Mint e… E per quanto riguarda il futuro? Cambiano i sovrani ma
Sandra Deiana resta, è il caso di dire, dato che nel 2023 firmerà un’altra moneta per il Regno Unito “di cui non posso svelare i dettagli”, dice, anche se stavolta sarà con l’effige di Carlo III sul dritto. “Lavorare per la Royal Mint –aggiunge – è un onore, è una delle zecche più prestigiose al mondo assieme a quella degli Stati Uniti, chissà che un giorno…”.
Fra le altre figure femminili insignite dello Standout Woman Award 2022 esponenti del terzo settore, della cultura, dell’imprenditoria, donne attive nel sociale e nei diritti umani. E fa piacere che questo riconoscimento sia andato anche a una giovane artista che si è fatta conoscere anche e soprattutto all’estero e che perpetua la miglior tradizione creativa e di innovazione della numismatica italiana.
Chiara Pasqui
Da Settimo San Pietro in tutto il mondo.
Complimenti, Sandra! #storiedisardegna #raccontaciunastoria #milicenzioetornoinsardegna
Il libro Mi licenzio e torno in Sardegna lo trovi qui https://amz.run/4WB0
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