Sardonia Ottobre 2022

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SARDONIA Ventinovesimo anno/Vingtneuvième année Ottobre 2022/ Octobre2022 https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitaliaFoto silviaserafi Gavino Sanna Cagliari ti amo Lucido Sottile Amelia Camboni Isaku Yanaihara Vagina L’arte(figurativa)é ancora contemporanea Vito Ansaldi Roberta Vanali Rinascimento a Bologna Terre rare in Sardegna Giuseppe Carta a Mougins Giovanni Ozzola Scars Patrizia Zanotti Corto Maltese Carloforte Kilometro 0 Dalla Puls punica al Couscous

Cagliari Je T’aime

Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di

Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@ gmail.com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs

Vittorio E. Pisu

Fondateur et Président des associations

SARDONIA France

SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime

SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione

Vittorio E. Pisu Ange Gardien Prof.ssa Dolores Mancosu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production

UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale

uesto numero che conferma la ripresa delle pub blicazioni dopo una pausa generata da un sovrapporsi di diverse attività (mostre da produrre, monografie da completare, creazione di nuove linografie, eccetera) arriva in un momento un pò particolare della storia politica italiana dove finalmente un insieme di partiti che si voglion considerare di centro destra ma che sono piuttosto di destra ed anche di destra estrema arrivano al potere.

Al momento il nuovo governo non é stato ancora formato anche se le notizie le più improbabili o le più impossibili circolano allegramente.

Vedremo, nel frattempo ci interessa sempre di occuparci dell’Arte e quello che vi proponiamo oggi, come al solito un passaggio di palo in frasca che spero apprezzerete, cer ca sempre di trovare nell’attualità dei motivi di speranza, di riconoscenza, di felicità, sia tra i personaggi ancora in azione sia tra quelli che ci hanno lasciato e dove spesso primeggiano le donne, volontariamente dimenticate che mi faccio un piacere di riscoprire ogni volta e proporre alla vostra memoria.

Tra gli artisti viventi le Lucide di Lucido Sottile che sono state all’origine di una incredibile ed assolutamente unica (almeno per Cagliari) manifestazione che si é svolta su diversi quartieri periferici per la nostra più grande gioia. Qualche numero precedente di Sardonia avevo rispo sto ad una disamina espressa da una dottoressa e critica dell’Arte che deprecava la presenza delle sculture di Giu seppe Carta nelle vie principali di Cagliari, dove per altro le sculture hanno sempre brillato per la loro assenza.

Mi chiesi “Pourquoi tant de haine” e difesi le opere del nostro artista senza conoscerle più di tanto e approfittando della chiusura della sua pantagruelica mostra di scultu re nella cittadina francese di Mougins, andai a studiare il personaggio, scoprendo non solo le sue qualità indeniabili di scultore e pittore ma anche musicista, riconosciuto, in vitato e premiato nel mondo intero, “nemo profeta in pa tria” direte voi, ma continuo a non capire tanto ostracismo (invidia, gelosia così particolarmente sarde ?).

Ai posteri l’ardua sentenza.

Troverete anche qualche intervista interessante ed un te sto ad opera di una ricercatrice installata in una Università francese che ci parla della “nouvelle vague sarda”.

Per finire non resisto all’idea di invitarvi a visitare la Grotta Marcello dove circa una quarantina di linoleografie che illustrano la città di Cagliari ad opera del sottoscritto adornano le mura irregolari della grotta, senza dimentica re un’altra mostra antologica delle mie opere che si terrà ad Iglesias all’associazione RemoBranca a partire dal 21 ottobre. Avete inoltre fino a domenica 9 ottobre per contemplare le opere di Sara e Stefania Pedoni all’Arrubiu Art Gallery Cafè di Oristano. Sarete informati del seguito in tempo utile. Grazie per l’attenzione. Vittorio E. Pisu

Q Foto sarastefaniapedoni Projet Graphique Maquette et Mise en page L’Expérience du Futur SARDONIA SONO LIETI DI PRESENTARVI LA VENTUNESIMA ESPOSIZIONE DELLA SERIE Meglio una donna ARRUBIU ART GALLERY CAFE’ Via Giuseppe Mazzini 88 Oristano 09170 +33 347 1342 452 +33 350 044 2249 chiara@arrubiuartcafe.com arrubiuartcafe.com vittorio.e.pisu@email.it vimeo.com/unisvers sarapedoni@gmail.com stefaniapedoni@gmail.com a cura di Chiara Cossu & Vittorio E. Pisu dal 10 settembre al 9 ottobre 2022 Finissage domenica 9 ottobre 2022 dalle 18 h 30 SARA & STEFANIA PEDONI https://www.sarastefaniapedoni.it
VITTORIO E. PISU Le strade della mia Città Linoleografie Piazza Yenne 26, Cagliari Stampace Grotta Marcello Tél.: +39 070 094 9981 Tel. +39 350 044 2249 grottamarcello17@gmail.com vimeo.com/unisvers sardonianoprofit@gmail.com Foto vittorio e.pisu Projet Graphique Maquette et Mise en page L’Expérience du Futur SONO LIETI DI PRESENTARVI vedi i video https://vimeo.com/channels/ arrubiuartgallerycafe/749303508 Photo vittorio.e.pisu Projet Graphique Maquette et Mise en page L’Expérience du Futur LINOLEOGRAFIE di VITTORIO E. PISU dal 21 al 31 ottobre 2022 Vernissage 21 ottobre 2022 dalle 19 alle 21 Ingresso Libero Associazione REMO BRANCA Via Roma 68 IGLESIAS Sala Esposizioni remobranca.ass@tiscali.it 345 569 6130 www..remobranca.org SARDONIA SONO LIETI DI PRESENTARVI

Allievo di Andy Warhol, ha stu diato negli Usa, lasciando giova nissimo la sua Sardegna, dove è nato (Porto Torres) nel 1942. Le ossa se le è fatte ne gli Stati Uniti, poi dagli Anni Settanta è stato l’art director di spicco italiano imprimendo una svolta radicale al modo di con cepire gli spot.

Ha vinto sette Clio, oscar della pubblicità in Ame rica, sette leoni a Cannes e si è aggiudicato l’uni co telegatto assegnato ai pubblicitari.

Celebri le sue pubblici tà per Fiat e Barilla: sua l’invenzione del Mulino Bianco e di mille altre campagne anche di im pronta sociale.

Un murale per dare sfogo a un nuovo linguaggio arti stico che sgorga da una mai sopita vena creativa.

Gavino Sanna, il pubbli citario, grafico e scrittore di fama internazionale, non finisce di stupire e a 82 anni fa il suo debutto nel mondo del murali smo a Orgosolo, in Bar bagia, il paese diventato la patria dei muri dipinti e considerato un museo a cielo aperto.

In un pomeriggio assola to di giugno il pubblicita rio di origini sarde segue i lavori del suo progetto artistico realizzato in un’abitazione di Corso Repubblica da un team di muraliste orgolesi, Maria Luisa Monni e Alessan

dra Pira, coordinate da Teresa Podda.

Il dipinto racconta il chiaroscuro dei tempi attuali in cui compare il viso iconico di Gavino Sanna con la caratteristi ca capigliatura lunga che si si staglia su uno sfondo completamente nero, ma sopra il suo volto tutto fiorisce in un fogliame colorato per dare un mes saggio di gioia e di spe ranza.

GAVINO SANNA

“Mi sono inventato una trama per raccontare l’attualità di questa terra e ho voluto realizzare un dipinto che sia un inno alla gioia, all’amicizia, alla forza di un popo lo (spiega all’ANSA il pubblicitario in occasio ne dell’inaugurazione dell’opera nell’ambi to della manifestazione “Orgosolo Joviada” pro mossa dall’amministra zione comunale ). Purtroppo viviamo in un mondo nero, di pande mie, guerre e violenze contro le donne e i bambi ni. Nel murale ho voluto rappresentare il mio viso per lasciare una traccia del mio legame alla co munità e ho immaginato una vita a Orgosolo fatta di fiori, di piante colo rate, un fogliame quasi caravaggesco a rappre sentare una vita gioiosa. Questo il messaggio che ho voluto lanciare ai gio vani: ho detto loro che non devono sprecare la vita al bar a fumare e a bere ma devono viverla scoprirla coglierne tutte le opportunità”. (ANSA).

www.ansa.it/sito/notizie

Foto ansa.it
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SSi è appena con clusa una manifestazione che possiamo con siderare unica nella storia della Cultura cagliaritana e forse anche europea.

Finanziata dal comune di Cagliari attraverso un progetto Mibac e dalla Fondazione Sardegna, completamente ideata, organizzata, diretta da Lucido Sottile, una or ganizzazione creata da Michela Sale Musio e Tiziana Troja due attri ci, ballerine, autrici, re giste, direttrici di teatro, coreografe, eccetera, due vulcaniche produttrici di spettacoli teatrali e digi tali che hanno presenta to non solo in Italia ma anche a New York, in Marocco ed altri luoghi fatidici in Italia, (Roma, Milano, eccetera) all’oc casione di festival dove sono state premiate per le loro produzioni. Solamente alla lettura del programma siamo sbalor diti perché le istituzioni (sic) delegate alle mani festazioni culturali arri vano si é no a produrre tre esposizioni all’anno spes so e volentieri pubbliciz zando artisti stranieri e già ammortizzati da tem po, nonché forniti chiavi in mano da organizzazio ni continentali non certa mente gratuitamente. Altre iniziative recenti fanno veramente una fi gura pellegrina in con fronto a questo centinaio di palchi che appunto scelgono di diffondere le loro manifestazioni in

tutto il territorio comunale e specialmente nelle zone che non solo, spesso e volentieri, non dispongono di strutture atte ad accogliere spettacoli ed altre mani festazioni culturali, ma che lo snobismo cagliaritano considera come marginali ed appunto periferiche.

Non solo gli spettacoli sono principalmente teatra li dove sia one woman/one man show si esprimono ma anche produzioni che comportano più personaggi e che, prendendo spunto dalla nostra quotidianità, ci propongono non solo di riderne ma anche di interpre tarle a nostro uso personale ponendoci qualche do manda legittima.

Non mancano naturalmente i gruppi musicali sia a cappella che strumentali ed anche quelli che mescola no teatro, musica, danza ed acrobazia.

Una proposta fondamentalmente teatrale.

Ma che cosa é il Teatro ?

Penso che come la Pittura, ritornata in gran forza dopo anni di arte contemporanea priva di significante e tutta condensata nel significato, spesso e volentieri comple tamente abscons, che serve a farci notare quello che il nostro occhio distratto spesso non percepisce, così il Teatro non fa altro che mostrarci, sia attraverso del le storie mitologiche o triviali, o dei monologhi che confessano amori e turpitudini, quello che siamo e che forse non vogliamo vedere o quello che vogliamo di

ventare senza confessarcelo ancora.

Un’Opera d’Arte é veramente tale quando parla di Noi, di ciascuno di Noi, e sia nella Pittura che nel Te atro possiamo sempre riconoscerci, se non succede si tratta semplicemente di abile trattamento tecnico un pò come avviene nelle pubblicità che non parlano di Noi, ma di quello che il commercio vorrebbe che di ventassimo perennemente insoddisfatti e come bambi ni capricciosi bisognosi di sempre nuovi giocattoli per rimpiazzare gli altri già obsoleti e resi inutilizzabili ad arte.

Così Lucido Sottile ha portato il Teatro nei quartieri detti periferici, meglio li ha trasformati in un luogo che può diventare, spesso con due luci ed un microfo no, un palcoscenico, un luogo assolutamente magico, dove la semplice parola può evocare dei mondi affa scinanti o spaventevoli, e raccontarci non solo il pre sente ma come, anche dalle peggiori situazioni, si può rinascere e ricominciare.

Ci sono spettacoli cinematografici costati centinaia di milioni che spesso sono incapaci di creare la stessa emozione che un’attrice, un attore, semplicemente con la loro presenza e la loro parola, sono capaci di evocare, suscitare, aiutati da qualche luce e una chi tarra o una tastiera.

Una menzione particolare merita il corpo di ballo di

Lucido Sottile, quattro ragazze e due ragazzi che hanno costituito il sotti le filo rosso che ha unito tutte queste manifesta zioni disperse sul terri torio, facendoci inoltre attraversare e praticare delle strade e dei luoghi che spesso, anche se abi tanti della città, ci erano sconosciuti e forse anche agli stessi abitanti dei quartieri, abituati che sia mo a percorrere sempre gli stessi sentieri che ci conducono dall’abitazio ne al lavoro, allo svago e che spesso non vogliamo lasciare per altri percorsi appunto sconosciuti. Una menzione particola re merita il costume della troupe di danza, comple tamente anche se parzial mente vestita d’oro, inco ronata da un diadema che ricorda l’iconica figura di Nettuno, passando na turalmente dalla statua della Libertà newyorkese ed una citazione di Star sWar, già esistente per al tro nell’abbigliamento. Anche le coperte dorate generalmente utilizzate dai pompieri ed altri se curisti partecipano di una messa in scena che intro duce così dell’oro anche nei luoghi più improba bili ma non per questo legittimi ad accogliere queste preziosità. Al ritmo di un lancinante soundtrack tecnoelectro le soste del balletto in terpretano subitamente la “Barcarolle” de Les Com tes de Hoffmannn, con una grande abilità sotto la direzione di Tiziana Troja (segue pagina 6)

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(segue dalla pagina 5) che ne ha curato la coreografia, ma sopra tutto in troducendo della bellezza nei luoghi più improbabi li eppure assolutamente capaci di accogliere que sta espressione, ad esem pio in un cortile tra due case popolari, spoglio di ogni vegetazione e dove tre automobili di cui una particolarmente ridotta a rottame, costituiscono l’unico decoro, oppure vicino alla chiesetta di Santa Rosalia, un muro colorato evoca addirittura l’architettura di Luis Bar ragan ed i suoi caldi ed accesi cromatismi.

Una menzione speciale meritano gli utensili che la troupe brandisce tra sformando scope dorate in scettro o bastone di commando e le palette in martello di Thor unita mente agli immancabili sacchi per rifiuti che ven gono inoltre utilizzati per raccogliere gli inevitabili detriti che incontrano sul loro percorso e l’introdu zione, dopo la Barcarol le, di un brano di musica più muscolosa, doppiata da commenti radiofonici che trattano del problema della plastica nel mondo e come essa ci stia letteral mente soffocando.

Una contrapposizione quindi tra le eleganze sofisticate di Joseph Of fenbach e le dure realtà attuali di distruzione pla netaria.

Non resisto a precisa re che la danza ha avuto sempre un carattere sacro e fino a Louis XIV, il Re Sole, che sulle musiche

di Gian Battista Lulli, si esibiva in danze sofisticate e propriamente regali.

Gian Battista Lulli fu anche l’autore di un brano mu sicale creato per celebrare la guarigione da una fistu la anale patita dal re, e che oggi risuona alle nostre orecchie all’occasione dell’incoronazione del re Char les III d’Inghilterra, in effetti il brano si chiama oggi “God Save the King” e sicuramente molti ignorano le origini propriamente scatologiche e nondimeno riconoscenti per la guarigione del regale posteriore. Questi abiti che indossano le ballerine ed i ballerini sono naturalmente preziosi ed inusuali ma come non pensare alle immagini che numerose fotografie dei tempi passati ci mostrano e dove la popolazione ca gliaritana sia femminile che maschile era particolar mente elegante e di un aspetto estremamente curato. Non si tratta qui di proporre di indossare calzemaglie e corpetti e shorts aderenti dorati o argentati e di in coronarsi di diademi, ma di ritrovare forse un modo di vestirsi che è decaduto ultimamente in un casual trasandato. sia a causa dell’afa ultima, forse più facile da indossare, ma per di più lacerato e sfrangiato come se una rissa con qualche leone avesse completato lo stile vestimentario. Sicuramente Lucido Sottile ci invita a non acquista re più le porcate di Desigual o simili, ma di ritrovare

quelle che erano le pratiche di un tempo di prima del pret-à-porter (che oggi produce 100 miliardi di indu menti ogni anno per poco più di 7 miliardi di indivi dui) quando la confezione del proprio guardaroba era effettuata sia personalmente che con l’aiuto di qualche sarta domestica che all’epoca non mancava di certo, utilizzando tessuti pregiati quali lino, lana, cotone e non i poliestere attuali e sopratutto capaci di esprime re le personalità individuali lungi dai diktat degli improvvisati/e influencer che spopolano attualmente. Direi che si tratta quasi di una proposta politica che tiene anche conto della necessaria economia non solo di materie prime, ma anche della sorte dei rifiuti sia tecnologici che vestimentari sotto i quali stiamo pian piano affogando. Come non essere poi particolarmente accattivati dal la storia che Elio Turno Arthemalle aiutato da Andrea Deidda, dipana di bar in bar, raccontandoci di come l’eroismo dei Seuesi che, appena alla fine del conflitto mondiale ed arrivati in una Cagliari distrutta dai bom bardamenti angloamericani, crearono praticamente dal nulla degli esercizi commerciali, bar, trattorie, mini market ed altre attività come la fabbricazione e vendita di insegne al neon, anticipando quella che oggi è praticata dai cinesi, la famosa tontina, che, evi tando le banche, comunque sorde ad ogni richiesta,

si prestavano le somme necessarie alla creazione dei loro commerci, unica mente sulla parola ed una stretta di mano, prestiti regolarmente rimborsati con interesse, contando come qualche defaillance sia finita tragicamente nel suicidio del malcapitato debitore che nel espro prio puro e semplice di tavoli e sedie sgomberati manu militari.

Tra questi bar, alcuni dei quali particolarmente famosi, non sono pochi quelli che hanno parte cipato alla ricostruzione non solo fisica ma anche sociale dei quartieri ca gliaritani, installandosi anche nelle zone non an cora raggiunte dall’urba nizzazione che segnò gli anni 50 e 60.

Quante storie potrebbero raccontarci i vari Seue si ed anche Orrolesi che hanno costruito anno dopo anno delle attività che furono la struttu ra portante del quartiere appena nato ed in pieno divenire, cosa potrebbero raccontarci i loro gestori, forse molto più che quel lo che contano gli storici e gli accademici di me stiere.

Come non sottolineare inoltre l’estrema gene rosità di Lucido Sottile d’offrire ad una sessanti na di commedianti, can tanti, contastorie ed altri saltimbanchi una tale occasioni di presentare a strettissimo contatto con un pubblico che si é rivelato entusiasta e estrema mente ricettivo alle pro poste (segue pagina 8)

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(segue dalla pagina 7)

teatrali e musicali, in un mondo artistico spesso e volentieri narcisistico ed egoista e non disponibile alla condivisione del suc cesso e neanche dell’in successo.

Visionando le rushes dei filmati realizzati all’oc casione di queste gior nate sono stato colpito dall’incredibile trasfor mazione di Michela Sale Musio e di Tiziana Troja, certo giovani e belle ma che in questi giorni sono diventate due ragazzine sbarazzine e impertinen ti che, pur dirigendo di man di ferro in guanto di velluto tutte le manifesta zioni con una precisione tutta svizzera e di tempo e di prestazione, si diver tono da matte ad appunto offrire, donare, regalare sia alla popolazione che agli attori ed attrici degli spettacoli, questo incre dibile, suntuoso, generoso, spassoso, divertente, commovente, esilarante, feroce e veritiero nei suoi risvolti drammatici eppur comici, un festival come credo senza paura di es sere smentito, Cagliari non aveva mai visto e che spero ardentemente di ri vedere l’anno prossimo e, siccome sono goloso ed ingordo di bellezza, di poesia, di armonia, di musica, di invenzione, di introspezione, anche più volte all’anno.

Qualche anno fa avevo re alizzato un’intervista del le due splendide, attratto dalla loro brillante intelli genza scenica e vedo che la mia intuizione é stata

ricompensata più che avrei potuto immaginare perché oltre agli spettacoli diciamo seri quali “Spanker Ma chine” e ‘Pirati’, un libro di poesie dal titolo “Polvere d’ossa e molta materia” e la trasmissione “TVShow” e ‘La conosci Giulia?’, altre creazioni come “Tanya e Mara”, “Darla e Farla”, “Tanya e Prouska” (di cui i sexshops parigini commercializzano le cuissardes blanches diventate cult) non solo dimostrano la loro incredibili capacità a raccontarci tali quali forse non ci vediamo, ma sopratutto a generare una manifesta zione così diciamolo enorme, grandiosa, terribilmente necessaria per i tempi grami che viviamo e che si an nunciano ancora più cupi, ma che supereremo sicura mente grazie anche e sopratutto all’incredibile azione capillare e sociale che le loro manifestazioni coltivano con successo nella popolazione tutta, riconoscente e felice di possedere nel suo seno un tale strumento. Alcune immagini ritraggono gli spettacoli ed il deam bulare del balletto nelle strade dei quartieri ma niente vale l’esserci stati in persona e vi consiglio, non solo di precipitarvi agli spettacoli di Lucido Sottile, ma so pratutto di non mancare la prossima edizione di Ca gliari ti amo. Se te lo sto dicendo ! Vittorio E. Pisu lucidosottile@gmail.com https://www.lucidosottile.com/

Foto lucidosottile
vedi i video https://vimeo.com/ channels/cagliaritiamo

Nella storia dell’arte sono assenti le grandi arti ste e il problema rimane, anche se oggi molte donne si sono affacciate sul panorama artisti co internazionale. La nostra post-modernità è caratterizzata dal disorientamento, dallo spa esamento, dalla perdita di un “dove” certo.

Finito il predominio dell’artista maschio, bianco, oc cidentale, si scoprono le tante artiste del passato, che nella storia dell’arte di Gombrich e dell’Hauser non erano nemmeno nominate.

Molte di queste sono state donne viaggiatrici, non sempre volontarie, donne in fuga, donne che sono andate a vivere in un paese diverso dalla loro patria d’origine, dove hanno costruito nuove identità.

Amelia Camboni era nata nel 1913 a Villamassargia, piccolo centro nella provincia di Carbonia-Iglesias, che oggi conta poco più di 3000 abitanti. Orfana a nove anni, conobbe l’esperienza di figlia stra; trascorse poi un periodo a Cagliari, dove apprese l’arte dallo scultore Francesco Ciusa, che si ispirava al realismo del Fattori e ai suoi ideali socialisti; qui cominciò ad esporre alla mostra Regionale Sarda e si legò d’amicizia ad un’altra scultrice sarda, Maria Crespellani.

Si trasferì nel 1946 a Roma, città in cui lavorò per molti anni in uno studio a Porta Pinciana.

Venne nella grande cit tà a percorrere la strada dell’arte, e dette vita ad un’intensa produzione artistica, contrassegnata da opere di grande rilie vo, che Enti Pubblici e privati le commissiona vano.

A quei tempi fare arte per una donna non era facile, richiedeva la capacità di confrontarsi e farsi vale re in un mondo dominato dal genere maschile.

CAMBONI

Amelia Camboni nel suo lavoro ha saputo relazio narsi con l’umile conta dina di Villamassargia, ma anche con i nomi sa cri dell’arte e della lette ratura italiana: da questi incontri traeva l’ispira zione per realizzare opere che, superato il contesto regionale, si sono posi zionate agli alti livelli di uno scenario nazionale.

Nelle sue sculture la materia è plasmata con morbidezza, i chiaroscuri sono delicati e modulano con garbo i valori lumi nistici, evitando pesanti linee di demarcazione, anche se a volte emergo no prepotentemente trat ti decisi ed energici, sia quando l’artista fonde il bronzo che quando mo della l’argilla.

Tra le sue opere più co nosciute è il busto di Grazia Deledda, a Roma, al Pincio, inaugurato nel dicembre del 1947 e il ritratto della poetessa Mercede Mundula, zia di Maria Crespellani.

Numerose sono state le manifestazioni e rasse gne artisticheregionali e nazionali (segue pag 10)

Foto cronachenuoresi.it
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AMELIA

(segue dalla pagina 9)

a cui l’artista ha partecipato, tra queste diverse Quadriennali romane.

Nel 1948 espose nel la “Rassegna Nazionale delle Arti Figurative” in sieme ad altri ottocento artisti, in una ricognizio ne a tutto tondo delle arti figurative in Italia che se gnò il distacco dalla cul tura del ventennio.

Nel 1955 con oltre mille espositori partecipò alla VII Quadriennale Nazio nale d’Arte di Roma che riscosse grande consenso di pubblico e di critica.

Molte sue opere figurano in collezioni private e in istituzioni pubbliche, in Italia e all’estero.

Nel 1981 scrisse anche una sua autobiografia in titolandola “ I figliastri di Dio: una vita e altre vite”. Amelia è morta a Roma nel 1985.

La società Interattiva nel 2000 ha ordinato tutta la collezione delle ope re dell’artista sarda, ed ha allestito la mostra a lei dedicata, intitolata “Amelia Camboni Scul trice”, con le opere che gli eredi hanno donato al Comune di Villamassar gia.

Nello stesso comune sar do è intitolata ad Amelia Camboni la Biblioteca Comunale, dove hanno trovato posto le opere del nucleo principale della collezione; nella chiesa parrocchiale sono esposte due formelle in bronzo della Via Crucis, mentre nella scuola elementare c’è una statua, sempre in bronzo, di un bambino a

Foto wikipedia

grandezza naturale (Ragazzo pronto alla corsa, 1976). Nell’aprile 2010, una mostra e un convegno nella sala conferenze di Casa Fenu a Villamassargia han no ricordato il venticinquesimo anniversario della sua scomparsa, con l’obiettivo di riportare alla memoria la figura di questa scultrice e scrittrice di talento poco conosciuta, nonostante i successi riscossi dalle sue opere.

Oltre al maestro Francesco Ciusa ebbero per lei espressioni di apprezzamento Renato Guttuso, Corra do Cagli, Lionello Venturi, Vincenzo Cardarelli. Nel 2003, la capitale ha dedicato alla scultrice un lar go nel XII Municipio, in località Mezzocammino, per gran parte adibito a parcheggio: è il solo riconosci mento odonomastico del Paese. Il suo nome, sulle strade sarde, darebbe lustro al gene artistico dell’isola che le ha dato i natali.

L’artista, nelle sculture, cerca i chiaroscuri con estre mo garbo, plasma la materia con morbidezza, evitan do linee nette di demarcazione, anche quando emer ge, nella fusione in bronzo di alcuni ritratti, il segno vivo dello strumento che incide la creta.

Renato Guttuso disse di lei: «Apprezzo molto le quali tà di scultrice di Amelia Camboni, il rigore e la sem plicità del suo modellato e l’acuta capacità di pene trazione psicologica che risalta dai suoi ritratti”.

Non oggetto, ma soggetto.

Essere donna e sfidare l’arte. Divenire scultrice nonostante tutto. C’è un’artista sarda la cui vita perigliosa merita di essere raccontata.

Coraggio e forza di volontà la aiutarono a vin cere resistenze, la vocazione a creare le servì, invece, per rompere gli argini di un mondo che non sembra va accettare la sua vena dirompente. Amelia Camboni è stata una delle poche scultrici del panorama artistico italiano.

Nata nel 1913 a Villamassargia - paese dell’iglesiente in cui si fondono tracce di passato e antiche miniere - è la prima di tre figli di una coppia agiata.

La ricchezza di casa Camboni è fatta di vigne, terreni, buoi, pecore, servi e mezzadri. Amelia cresce in una fa miglia felice, ma a nove anni la madre muore e l’infan zia della giovane finisce di colpo. È una bambina speciale con i segni della creazione nell’anima.

Osserva i più piccoli particolari e ascolta attentamen te ogni cosa le viene detta per trovare contraddizioni e chiedere spiegazioni. La chiamano «la signorina dei perché».

Concluse le elementari, il padre, maestro, prova a man darla in collegio. Amelia oppone resistenza.

Vive di immaginazione, ha uno spirito libero e non può

neanche pensare di poter tollerare una vita scandita da obblighi e divieti.

Quando il padre le chiede cosa voglia fare da gran de, ha pronta la risposta, la stessa che ripete da quan do è piccina: «Voglio fare l’artista».

Nonostante il genitore in gaggi una battaglia contro la figlia perché prenda al meno il diploma, Amelia non mette da parte il suo sogno, ma cerca di colti varlo.

Quando il padre si risposa la vita di Amelia cambia di nuovo.

La matrigna è la giovane donna di servizio, rimasta incinta, che tratta male lei e la sorella Ida.

Spadroneggia e obbliga le due ragazzine a lavare la biancheria o a pulire ingi nocchiate per terra tutta la casa.

Un giorno presa da un atto di ribellione, Amelia deci de di sottrarsi ai compiti imposti dalla donna.

Sopporta le liti in casa e obbliga la matrigna a cer care una serbidora.

Continuano anche i tor menti paterni e le pres sioni perché frequenti un istituto che le assicuri un titolo di studio.

Amelia è sempre recalci trante e ribadisce la sua volontà di fare arte. Il voler diventare artista è un qualcosa di quasi inau dito, la scultura è infatti un campo dove alle donne è proibito entrare.

Amelia è considerata paz za, poi è ancora minorenne e non le è concesso poter decidere autonomamente. (segue pagina 12)

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(segue dalla pagina 11)

Non è religiosa, ma a quindici anni, spinta dal le amiche perché canti nel coro della chiesa, Amelia si avvicina all’ambiente ecclesiale.

Entra in contatto grazie a quell’ambiente, con una realtà a lei sconosciuta.

Le viene chiesto di accom pagnare una dama della carità che deve portare assistenza a una famiglia indigente.

La miniera di Monteponi ha chiuso e molti capofa miglia sono disoccupati, senza cassintegrazione e assistenza sociale.

I più derelitti abitano in tuguri bui e umidi che non possono essere rischiara ti dalla luce delle candele perché non ci sono i soldi per comprarle.

Insieme alle amiche Ame lia prende l’iniziativa e decide di creare un’or ganizzazione che possa soccorrere quella povera gente.

Le ragazze, capitanate dal la signorina Camboni, pre parano pasti e danno con forto ai figliastri di Dio, gli ultimi, i dimenticati. Per capire la miseria, cam mina senza scarpe nel fan go e rimane senza mangia re per conoscere la fame.

La pena di non poter re alizzare il proprio sogno d’arte si attenua un poco nell’impegno che spinge Amelia a dare vita a tante manifestazioni.

È una rivoluzionaria ribel le che cambia le regole del paese e restituisce umani tà, predica ai poveri di non rubare e cerca di attenuare le ingiustizie.

Nel frattempo decide di cercare materiale per incomin ciare a mettersi alla prova.

Va a zappare in un campo vicino al paese e trova della creta che trasporta in una corbula. È troppo granulosa per essere manipolata, cerca quindi di setacciarla coi crivelli della cucina, mischia l’argilla con la farina e usa per i travasi le pentole di casa.

Riesce così a modellarle la sua prima testa e la fa vedere a un professore di Iglesias che insegnava disegno ed era pittore e xilografo.

Il docente rimane di stucco.

Secondo il maestro, è nata per fare scultura.

Con grandi sacrifici realizza il suo primo busto dal vero.

Il soggetto è zia Marianna, una vecchina che faceva da mezzana ai giovani innamorati.

L’opera viene portata a Francesco Ciusa che definisce Amelia “una meraviglia di autodidatta”.

Il celebre arista non le impartisce lezioni, ma le chiede di scolpire sotto i suoi occhi, perché incredulo davanti a quel talento.

La sua passione conquista anche il padre.

Amelia se ne accorge quando il genitore va a trovarla nello studio improvvisato, in casa della vecchia gover nante di famiglia.

Mentre lei è immersa nella creazione, il padre la con templa commosso.

Foto biblioteca cronachenuoresi.it

Non solo lavoro, ma anche i primi battiti del cuore. Ame lia conosce Enea Marras, un giovane pittore di Iglesias. Si innamora di quell’artista irrequieto e delicato e deci de di sposarlo.

La coppia progetta di trasferirsi in una città “continenta le” per poter vivere insieme d’arte.

Allo scoppio della guerra, Enea parte per il fronte e non risponderà più alle lettere convinto che il conflitto li avrebbe separati per sempre. Muore infatti durante un bombardamento lasciando Amelia sconsolata.

Nel ‘45 finita la guerra, la scultrice si trasferisce a Ca gliari. Un’amica le trova un’aula di un istituto privato. È fredda e poco illuminata, ma Amelia può dedicarsi alla sua attività .

Alla mostra regionale di Arti Figurative del capoluogo sardo vince il premio per l’opera migliore intitolata “Ri tratto di Cristina”.

Le sue sculture vengono acquistate dal Comune di Ca gliari, dalla Galleria d’Arte Moderna e dall’Università. Sbucata da un paese di provincia, subito attira l’atten zione dei giornali che la soprannominano la nuova Gra zia Deledda perché ha imparato l’arte da sola ed è dotata di una preziosa creatività.

Si forma intorno a lei una cerchia di estimatori e amici. Frequenta le famiglie migliori della città, dialoga con Joyce Lussu nel salotto di Maria Baldessari, moglie di

Bachisio Zizi, stringe ami cizia con Maria Crespellani, frequenta Nicola Valle e “Gli amici del libro”. Trova poi un posto da di rettrice nell’Istituto dei ciechi dove non rimane indifferente alla miseria e alla sofferenza che vi tro va.

Accantona momentane amente l’arte per farsi travolgere da un moto di umanità.

Nel periodo in cui sta all’Istituto riesce persino ad allontanare uno de gli amministratori, uomo che senza scrupoli abu sava delle bambine ospiti dell’edificio.

Nel giugno del ‘46, Ame lia arriva a Roma in cerca di uno studio.

Conosce uno scultore che le promette uno spazio tut to per lei e lavoro. Carica di entusiasmo torna a Cagliari vende le opere realizzate e si trasferisce nella Capitale. Occhi verdi magnetici e ricci color ebano, è bellissima, ma non punta sul suo aspetto per avere agevolazioni. L’unica arma che vuole sfoderare è il talento. L’ar tista che gli aveva promes so la felicità le fa una pro posta indecente: il lavoro in cambio di compiacenza. Tenta di baciarla e Amelia lo prende a schiaffi. La giovane non è disposta a vendersi, né a scendere a compromessi.

Non rinnega se stessa e perde studio e lavoro in sieme.

Ovviamente non contempla l’idea di tornare in Sar degna sconfitta. (segue pagina 14)

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(segue dalla pagina 13)

Si sistema in un soppalco poi in una misera stanzet ta.

Salta i pasti pur di rispar miare e prolungare la sua permanenza capitolina.

Grazie all’interessamen to di Nicola Valle, che la invita a recarsi all’amba sciata ungherese da un suo amico, Amelia trova final mente uno studio in affitto a palazzo Falconieri sede dell’Accademia d’Unghe ria.

Pur di partecipare alla Quadriennale cerca di ra cimolare soldi nei modi più disparati.

Vende calzini, allestisce una piccola bancarella per tentare di riuscire a paga re i fornitori e realizzare il gruppo statuario che ha in mente.

Un amico presta la cifra per realizzare il progetto “I superstiti”, tre figure che esprimono il dram ma dei sopravvissuti alla guerra.

È la sensibilità di Amelia che emerge, la grande spi ritualità che le appartiene. Molti critici si fermano da vanti alle statue e ammira no la sua arte, fatta da una donna con la forza dentro, “un’artista da seguire”.

Persino Renato Guttu so dice di lei: «Apprezzo molto le qualità di scultri ce di Amelia Camboni, il rigore e la semplicità del suo modellato e l’acuta capacità di penetrazione psicologica che risalta dai suoi ritratti».

Amelia decide di continuare a costo di sacrifici incredibili. Non riesce a trovare lavoro.

Foto bibliotecavillamassargia

Essere donna le preclude persino le commesse d’arte religiosa. Prova a cercare un impiego a mezza giornata per sopravvivere, ma nessuno la vuole assumere perché troppo bella ed è un’artista .

Nel ‘49 partecipa e vince il bando nazionale dell’Uni versità di Cagliari per il ritratto a Grazia Deledda inti tolato “Chiesa della solitudine”(attualmente conservato nella biblioteca Universitaria di Cagliari), il secondo da lei realizzato dopo quello per il Pincio del ‘47. Que sta volta la Divina conterranea è immortalata con un’ espressione pensosa e astratta, immersa nel suo mondo così ricco di verità e poesia.

Al ritorno a Roma l’amara sorpresa. È infatti scoppiata la guerra tra comunisti e il Pontificio Istituto ungherese che occupa il terzo piano del Palazzo Falconieri, aspra contesa che coinvolge tutti gli inquilini dello stabile. Lo studio diviene prigione, senza acqua, corrente elet trica e riscaldamento.

Nel ‘50 è la volta di un’altra mostra, la rassegna d’ar te sarda contemporanea, ma le condizioni in cui versa Amelia sono sempre critiche.

Cerca di sollecitare il mondo politico.

Fa esposti, scrive lettere e si rivolge persino all’Udi, ma neanche l’intervento di Nadia e Velio Spano riesce a smuovere la critica situazione.

«È la forza che ho dentro, non può restare inespressa, mi farebbe scoppiare cuore e cervello. È la vita per me.

Sono condannata a fare questo e continuerò a farlo. Mi costa tanto, ma quando metto le mani sulla creta e realizzo qualcosa....la felicità è tanto grande che mi ricompensa di tutto», scrive nella sua autobiografia “I figliastri di Dio”.

Riesce nel 1952 a farsi assegnare fortuitamente uno stu dio comunale in via Campania n. 2 vicino alle Mura Au reliane.La sua battaglia è tutt’altro da essere conclusa. Combatte con chi vorrebbe usurparle lo spazio fatiscen te che occupa.

Le viene assegnata per pochi mesi la cattedra di scultura al liceo artistico e partecipa nel ‘55 alla VII Quadrien nale Nazionale d’Arte di Roma.

Sono gli anni dell’esecuzione della via Crucis per conto dell’Inps e della realizzazione del ritratto del poeta Vin cenzo Cardarelli.

Periodo felice in cui ristruttura lo studio e lavora. Nel ‘59 le commissionano il gruppo statuario raffigu rante il battesimo di Cristo che finirà in Eritrea.

Intanto lotta senza quartiere per non essere sfrattata. La vita, piena tormenti, viene illuminata all’improvviso da uno sguardo grigio azzurro.

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Amelia incontra a casa di amici, Giovanni Grosso e si innamora della sua anima pura e limpida. Un sentimento bellissimo che le dona pace dopo le tribo lazioni di un’esistenza in tempesta.

“Abituata sempre a difen derm, sempre a lottare mi sentivo tante volte come un riccio tutt’a spine. Par lare con lui mi distendeva, mi rendeva felice” raccon tava .

Nel 1985 le viene attri buito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il Premio per la cultura. Consacrata come una sa cerdotessa alla creatività, Amelia con un ardimento straordinario ha sfidato l’arte animata dal sacro fuoco della passione.

Dal 1945 non ritornò più in Sardegna, un esilio vo lontario mai del tutto chia rito in cui si può scorgere la volontà di aprire le ali e saggiarle oltre i confini isolani, lontano da ricor di che l’avevano spezzata dentro. Il suo paese non l’ha mai dimenticata.

A lei è dedicata la Biblio teca Comunale e un pre mio culturale.

È certo che fu una femmi nista antelitteram.

Una donna che percorse strade inesplorate perché scrive Donata Francescato nella rivista Effe:

“E proprio questa fatica di vivere da donna, di di ventare persona (in questo caso persona-artista) al di là del sesso, che la storia d’Amelia s’identifica con la storia di metà dell’uma nità”. Federica Ginesu

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saku Yanaihara, pensatore, critico d’arte e poeta giapponese si era recato a Parigi nel 1954 grazie a una borsa di studio presso la Sorbona per approfondire le sue co noscenze sulla filosofia esi stenzialista.

Non immaginava che avreb be intrapreso un viaggio verso l’ignoto pur restan do letteralmente immobi le (proprio lui, entusiasta girovago del mondo), né tantomeno di assistere, in qualità di modello eletto, al gesto creativo di uno degli artisti ritenuti all’epoca più strambi e che solo qualche anno dopo avrebbe iniziato a ricevere importanti rico noscimenti: nel 1955 l’Arts Council Gallery a Londra e il Museo Solomon R. Gug genheim di New York gli dedicano memorabili retro spettive, nel 1961 riceve il Premio per la scultura del Carnegie International di Pittsburgh e, l’anno seguen te, il Premio per la scultura alla Biennale di Venezia.

Altre mostre vengono alle stite nel 1965 alla Tate Gal lery di Londra, al Museum of Modern Art di New York. “I miei giorni con Giaco metti” (Giometti & Antonel lo editori, Macerata 2021) è il resoconto dettagliato che Yanaihara fa di questa sua eccezionale esperienza ini ziata con sporadiche visite all’atelier dell’artista che viene folgorato dal suo vol to e desidera farne un ritrat to.

Il proposito sembra richiedere qualche ora di posa, il tempo di lasciare un sou venir al visitatore, ma i due

YANAIHARA &

si annulleranno ben presto nell’opera fino a definirsi l’uno schiavo dell’altro al fine di raggiungere la somiglianza as soluta alla realtà, (“Il suo obiettivo era quello di dipingere il mio volto come gli appariva […]

E poi cosa vediamo, in realtà, quando guardiamo qualco sa?”, “La natura straripa di meraviglia. Al contrario, le forme di espressione che l’uomo può concepire sono estre mamente limitate”).

Giacometti prova a trattenere ciò che sfugge e ciò che è invisibile, che si rinnova e che ci espone con violenza ai nostri limiti, (“Oh, Yanaihara, profeta della mia dispera zione e della mia miseria. Grazie a te ho scoperto quanto è profonda la mia nullità”).

Il giapponese poserà dal 2 ottobre al 30 novembre 1956, e poi nelle quattro estati successive, assistendo a un atto disperato perché teso verso qualcosa di teoricamente irrea lizzabile che condurrà il pittore a cancellare quanto creato alla fine di ogni seduta.

“Proprio quando il ritratto era quasi perfetto, ecco che il mio volto veniva distrutto”.

“Se solo avessi un altro po’ di coraggio, sospirava. Vedo distintamente il tuo volto, ma mi manca la capacità di osare di più […] Cancellare, cancellare tutti i dettagli che ho già disegnato […]

Ma se cancello i dettagli, non rimane più nulla e questo mi fa paura”.

I Foto http://libellus.over-blog.com

& GIACOMETTI

“La verità è che non c’è mai una vera e propria fine. Devo dipingere come se tu non dovessi mai abbandonare Parigi […]

Lavorare col pensiero di portare a termine qualcosa è dav vero inutile”.

Queste preziose memorie contengono anche intuizioni e riflessioni sull’atto creativo che risuonano come piccole lezioni e consigli applicabili a tutto l’insieme delle forme simboliche.

Dice l’artista: “Tentare di rappresentare la realtà che si percepisce con i colori o tentare di esprimerla a parole, in fondo è la stessa identica cosa”.

Lo spazio della pagina come quello della tela è un campo di battaglia. Esercizio continuo a vedere oltre quello che si ha davanti.

Del resto scrive Danilo Kiš ne L’ultimo bastione del buon senso (Wojtek Edizioni, 2022): “Chi sono io? Una persona che osserva, non abbiatene a male.

Osservo ciò che si può vedere a occhio nudo, e che tuttavia le persone stentano a vedere. Dunque, osservo un’erosione …” Creare, distruggere e continuare, questo è forse il messag gio più profondo di questo procedere, di questo modo di stare al mondo; continuare e lavorare, credere fino a quando qualcosa di ciò che si va cercando affiora, (“Bisogna aspet tare che gli occhi e le orecchie si materializzino da soli”).

Forse ancora più intima è la condivisione dei pensieri del modello, il coraggio di confessare la stanchezza di testa e membra, i dolori avvertiti come per la pri ma volta in ore infinite di posa, la tensione causata dalla preoccupazione di es sere all’altezza della visione dell’artista, la delusione nel vedere il suo volto annullato a ogni seduta, i dubbi intor no all’esilio dalla sua quoti dianità per servire l’opera, mentre rinviava il suo viag gio di ritorno in Giappone di settimana in settimana.

Yanaihara comprende che il punto non è la realizzazione del ritratto, bensì riuscire a cogliere anche solo un po’ l’essenza della realtà.

Giacometti, amico di André Breton (farà parte del grup po dei surrealisti dal 1930 al 1935), Jean Genet (che pure scrive Lʼatelier di Giacomet ti), Sartre, Beckett, Mirò, Picasso o scrittori come Prévert, Aragon, Bataille e Queneau, influenzerà molto il pensiero del filosofo giap ponese che riporta in queste pagine le loro conversazioni sull’idea di progresso, mor te, scena artistica, delusioni, sesso e amore, ossessioni, politica, denaro, sui periodi di povertà.

La lotta dell’artista con la realtà e la ricerca di una tec nica per trasfigurare il visivo lasceranno in lui un senso infinito di libertà: “Non ho solo appreso come lavora un vero artista, ma ho anche capito che cosa sia davvero la libertà umana.

La realtà ha assunto ai miei occhi una profondità e una grandezza (segue pagina 18)

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(segue dalla pagina 17) che non avevo mai imma ginato potesse avere e la verità, che fino a quel mo mento avevo ricercato nella filosofia e nell’arte, mi si è manifestata prepotentemen te davanti in tutta la sua in dubitabile materialità.

In poche parole, il princi pio fondamentale che acco muna la vita quotidiana e l’arte è l’infinita ricchezza della realtà e averne piena coscienza coincide con la libertà più assoluta”.

La bellezza di un esercizio liberatorio attraverso il qua le la mente si lascia penetra re dai movimenti della stes sa materia che tocca i sensi; materia a cui cerca di dare una forma.

La verità e la forma a cui Giacometti anela non sono date dalla realtà così come si mostra: la somiglianza di cui parla non è la restituzione dell’apparenza visiva, mi metica, tanto che una volta, racconta Yanaihara, l’artista ritocca la foto di un’attrice sulla copertina di una rivi sta con la penna stilografica, (“Che falsità, il volto uma no non appare certo così”), suggerendo che anche la fotografia richiede, come la pittura, una ricerca, laddo ve nessuna isoformia corri sponde al nostro sentire.

Si è ben lontani dall’idea di conformità esterna tra la rappresentazione e il rappre sentato.

Si apre la questione della mimesis, della sua insuffi cienza e dell’interpretazione dell’arte come accrescimen to, in quanto essa non duplica il mondo, ma lo restitui sce sotto altra luce.

La verità intrinseca dell’im

magine si enuclea a partire dall’immagine stessa nella sua maniera di offrirsi allo sguardo libero dal supporto di un modello di riferimento.

Memorabili le parole di Balzac che si scagliava contro l’os sessione mimetica sottolineando che se l’arte fosse ripro duzione di un modello, non sarebbe che il modello di un cadavere.

Proprio il genere ritratto ci aiuta a ragionare sull’esperienza dello sguardo estetico.

Si pensi semplicemente alla volontà di rappresentare l’inte riorità del soggetto: come imprimere su tela, far emergere in superficie l’intimità di quel volto?

Ma questa disperazione nasce proprio da una profonda pas sione per la realtà che tuttavia è manchevole, tanto da spin gere verso la dissoluzione dei principi mimetici nell’arte, a tracciare un segno sempre come se fosse la prima volta attraverso una ricerca non condizionata da preconcetti sti listici ed estetici.

Grazie a queste pagine abbiamo il privilegio di assistere da vicino al lavoro dell’artista, in uno spazio angusto e povero come lo studio di Giacometti, “delimitato da tre muri, ave va una sola finestra, i cui vetri erano coperti dalla polvere accumulata negli anni”; spazio che risultava per questo es sere buio anche in pieno giorno.

https://poetarumsilva.com/2022/09/29/88302/

Questo il messaggio comparso in un campo sardo: è un’opera d’arte.

Il titolo racchiude alla perfezione lo spirito dell’istallazione: Unknown, sconosciuta.

Il paradossale e provocatorio intento è evi dente: parola internazionale, utilizzata in più di 50 lingue nel mondo, la vagina è ancora oggi un tabù. Persino le donne faticano ad utilizzare la parola e scelgono sinonimi, vezzeggiativi, espressioni delicate o colorite, sfuggendo da un imbarazzo collettivo che la società ha creato negli anni e non ha mai abban donato. AMADAMA non è nuovo a questa forma di provocazione essendo un artista che ama reinventarsi negli stili e nel linguaggio (passando dalla street art, alla grafica fino al design e alla musica), creando sem pre un dialogo polemico e stimolante con il pubblico.

Qui si inserisce la provocazione dell’artista, che in un mix di satira e dadaismo sfida lo spettatore con un’o pera spiazzante sia per il contenuto in sé, sia per il luogo scelto.

Il campo diventa parte dell’opera, luogo all’attenzio ne del mondo dell’arte. La scritta mira ad una valo rizzazione della forza generatrice della terra non col tivata.

Il terreno agricolo vessato dalla siccità causata dall’incuria delle reti idriche italiane ed europee ri

lancia un messaggio al diritto materno della terra che chiede la possibilità di compiere il suo ruolo naturale.

Sineddoticamente, il campo sta alla terra come la vagina sta alla madre, creando un urlo al cielo della madre terra, calpe stata, metaforicamente e non, dall’uomo.

L’artista rimarca e con ferma come elemento centrale dell’opera una parola potente, universa le, che si legge dal cielo alla terra, che si rimarca di un femminismo sem plice ed estraneo alla re torica comunicativa, pia ga sociale di oggi.

Natura ed estro si incon trano in modo inaspettato lontano dalle grandi città d’arte, segnando una ri nascita in un luogo im prevedibile.

Unknown è un’opera po tente perché attuale ed ancestrale, provocatoria ma naturale. Incuriosisce e mette a disagio, svol gendo quindi il compito che storicamente la gran de arte ha avuto nella sto ria.

La rottura con il passato, togliendo la sacralità al solco nel terreno e ren dendo sacro non più il mezzo, ma il contenuto semantico e metaforico, rompe ogni seriosità che il mondo dell’arte vanta come mezzo arroccante ed esclusivo.

AMADAMA.

L’artista gioca con l’am biente dell’arte contem poranea e la necessità di incasellare ogni opera mostrando il contrasto fra (segue pagina 20)

Svelato il mistero del campo di San Gavino Monreale.
Nei giorni scorsi era comparsa una enorme scritta riportante la parola
“VAGINA”
incisa nel terreno.
Si tratta di un’istallazione artistica ad opera dell’artista
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(segue dalla pagina 19) semplicità formale e potenza di contenuto, lanciando un’istigazio ne allo spettatore con la stessa potenza sintetica di una prima pagina di giornale.

E, come le più belle cose, svanisce.

Il tempo, le piogge, il vento la consumano, cre ando un’opera estranea dal circuito della grande arte compra e vendi, del le sue speculazioni eco nomiche e snaturanti.

Le viene incontro solo la tecnologia che ripren dendola con droni, foto, video la rende potenzial mente eterna.

Quel L’Origine du mon de che rese iconico e im mortale Gustave Courbet, da oggi rivive nell’arte di AMADAMA, artista che ama reinventarsi ne gli stili e nel linguaggio (passando dalla street art, alla grafica fino al design e alla musica), creando sempre un dialogo pro vocatorio con il pubblico. Nel solco degli antenati, o del più contemporaneo Andrew Rogers, AMA DAMA scava nella terra per costruire un’opera dalla multiforme lettura dall’intento quasi dadai sta.

La scritta opera una valo rizzazione della forza ge neratrice della terra non coltivata, incavata al suo interno come un grembo pronto a partorire infinite nuove vite.

www.vistanet.it/caglia ri/2022/09/29/video-gran de-scritta-vagina-in-un-cam po-in-sardegna-lopera-darte-pro vocatoria-dellartista-amadama/

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L’arte(figurativa)é an

La definizione di “arte figurativa contempo ranea” fa riferimento a un settore dell’arte guardato con sospetto e persistente pregiudi zio.

In effetti, tutto il campo dell’arte contempo ranea, di per sé assai fluido e come tale difficile da ordinare criticamente, è soggetto a fraintendimenti e luoghi comuni.

Sulla definizione stessa di “arte contemporanea” potremmo soffermarci chiarendo, prima di tutto, che l’arte è sempre stata contemporanea, ovviamente ri spetto al momento storico in cui si è sviluppata.

Michelangelo era un artista contemporaneo per il pubblico del Cinquecento e questo vale anche per Ca ravaggio rispetto a quello del Seicento. È poi vero che, quando si parla di arte contempora nea, il pubblico fa normalmente riferimento a quella prodotta a partire dagli anni Settanta del Novecen to, laddove quella degli anni Cinquanta e Sessanta (dall’Espressionismo astratto alla Pop Art) è comune mente indicata come arte moderna.

Quello che colpisce è come la “modernità”, la “con temporaneità” dell’arte vengano strettamente identifi cate non solo con un preciso momento storico, quello del secondo Novecento, ma con alcuni caratteri spe cifici dell’arte novecentesca, in un modo così radicale

Giotto, Il bacio di Giuda, dalle Storie di Cristo, 13035. Affresco, 2 x 1,85 m. Padova, Cappella degli Scrovegni.

ancora contemporanea

da fare risultare anacronistico tutto quanto non è ri conducibile a tale ambito.

È sicuramente vero che l’idea di modernità viene istintivamente collegata a quella di novità.

Ciò che è nuovo è anche moderno.

Il resto, ciò che non viene percepito come nuovo, ap pare fatalmente vecchio. È sempre stato così.

Cennino Cennini, un trattatista del Trecento, scrisse di Giotto: «rimutò l’arte del dipignere di greco in lati no e ridusse al moderno».

Secondo Cennini, Giotto ebbe il grande merito di abbandonare i modi dell’arte bizantina (greca) per abbracciare quelli dell’arte classica (latina), che il trattatista, da uomo certamente colto e attento agli sviluppi culturali del suo tempo, già percepiva come “moderna”.

Era la prima volta che questa definizione veniva ap plicata all’arte. Come dare torto al Cennini?

L’arte di Giotto era rivoluzionaria, dunque nuovissi ma e come tale modernissima.

Tanto moderna da essere moderna ancora oggi. Altrettanto rivoluzionari e come tali modernissimi sarebbero poi stati Michelangelo con le sue sculture non finite e Caravaggio con le sue tante trasgressioni artistiche.

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Ora, è indiscutibile che il XX secolo è stato segnato da molte rivoluzioni nel campo dell’arte, a partire da quelle provocate dalle cosiddette Avanguardie storiche del primo Nove cento: Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Astrattismo e Dadaismo. E che di rivoluzione in rivoluzione si è afferma to in questo secolo tra vagliato, segnato da una grande inquietudine e da una profonda disillusio ne, un nuovo concetto di creatività: è stata eletta l’originalità a requisito fondamentale del fare arte, è stata relegata in secondo piano l’abilità manuale, il “mestiere”, è stata esaltata la forza del le idee.

Sono stati utilizzati ma teriali poveri, come le pietre, il ferro o il legno, sono stati eletti alla di mensione di opere d’arte oggetti o combinazioni di oggetti, perfino scrit te, sono state prodotte opere dal significato non sempre palese e di norma destinate a una élite di in tenditori.

Gli esiti dell’arte nove centesca sono stati spesso assai radicali e come tali al centro di violente pole miche: tanto che permane una valutazione piuttosto negativa sull’arte con temporanea così intesa, che moltissimi faticano ancora oggi a capire.

Resta il fatto che quando si pensa all’arte del No vecento vengono immediatamente alla mente le figure scomposte di Pi casso, (segue pagina 22)

Pablo Picasso, Les demoi selles d’Avignon, 1906-7. Olio su tela, 2,43 x 2,34 m. New York, The Museum of Modern Art.
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(segue dalla pagina 21)

i ready made di Duchamp, i gocciolamenti di Pollock, i tagli di Fon tana, i sacchi di Burri, la Merda d’artista di Man zoni oppure, spingendosi alle soglie del XXI seco lo, gli squali in formal deide di Hirst.

Opere straordinarie, in tendiamoci, la cui forza “rivoluzionaria”, o for se sarebbe meglio dire “esplicitamente rivolu zionaria” ha fatto nascere l’equivoco, nel pubblico, che l’arte moderna e con temporanea siano espres se solo dai loro caratteri. Un equivoco che, peral tro, comporta anche una contraddizione di fon do: perché da una parte queste forme d’arte non vengono capite e addi rittura vengono da molti rifiutate, giudicate come una presa in giro, dall’al tra si tende a riconoscere ad esse, e solo ad esse, lo status di modernità per eccellenza, proprio in forza dei loro caratteri di novità.

Ora, se indiscutibil mente i tagli di Fonta na incidono con grande forza sull’immaginario collettivo, non per que sto è giusto consentire un approccio tanto superfi ciale allo studio dell’arte novecentesca, la quale non è fatta solo di orina toi, pennellate violente, sgocciolature di colore, tagli, sacchi, cumuli di stracci o di spazzatura, performances. L’arte del Novecento è stata anche figurativa L’arte del Novecento è

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Marcel Duchamp, Fontana, 1917 (replica dell’originale perduto, 1964).

Ready-made, orinatoio in porcellana bianca, altezza 62,5 cm. Collezione privata.

stata anche figurativa, orgogliosamente e moderna mente figurativa.

Si sono espressi attraverso l’uso di figure i pittori e gli scultori delle avanguardie (espressionisti e cubisti in primis), quelli del primo dopoguerra (metafisici, sur realisti), quelli del secondo dopoguerra (pensiamo a Bacon, ai pittori della Transavanguardia).

L’arte del Novecento è popolata di figure: anzi, esse superano per numero i tagli e i sacchi.

Quindi, è indubbio che anche l’arte figurativa, in quanto tale, ha diritto ad essere definita moderna e contemporanea.

Però il rischio è che anche in questo caso la “moder nità” venga identificata esclusivamente con i caratteri di esplicita novità.

Le figure espressioniste di Kirchner, quelle cubiste di Picasso, quelle contorte e tormentate di Giacometti o di Bacon, con le loro deformazioni, le proporzioni di storte, i colori antinaturalistici, sono comunque frutto di una idea nuova, dunque moderna, di fare arte.

Esse non sono armoniche, non sono equilibrate, non sono realizzate con una tecnica accademica, in altre parole non sono classiche, e in ciò starebbe la loro modernità.

Ed è questo, sicuramente, il luogo comune più duro da sfatare: quello secondo cui la modernità, la con

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temporaneità si debbano esprimere prima di tutto con forme d’arte informali e concettuali, poi anche attra verso la creazione di figure ma a condizione che que ste siano marcatamente anticlassiche.

La figura classica, anzi proprio una certa idea di bel lezza classica, non apparterrebbero al Novecento, non sarebbero moderne (meno che mai contemporanee) e in quanto tali sarebbero “anacronistiche”. Nulla di più falso.

Le Avanguardie si sono proposte come una alternati va alla tradizione classica ma in alcun modo l’hanno cancellata.

Picasso fu assai sensibile ai richiami della cultura ri nascimentale e neoclassica: nei suoi capolavori cu bisti Les demoiselles d’Avignon e Guernica coglia mo citazioni da Michelangelo, Raffaello, Guido Reni e Ingres; egli stesso, negli anni Venti, abbandonato temporaneamente il Cubismo, tornò a una pittura fi gurativa di stampo quasi accademico.

Nel corso del primo dopoguerra si riaffermò in Euro pa un Neoclassicismo quasi purista ben esemplificato dall’opera di Arno Breker in Germania; e pazienza se i regimi adottarono questo linguaggio classicistico come arte di stato, in definitiva i destini di arte e pote re sono sempre stati allacciati.

Ciò che colpisce è che, negli stessi anni, anche nel

Roberto Ferri, L’attesa, 2011.

Olio su tela, 100 x 80 cm. Collezione privata.

la democratica America veniva celebrata la sontuosa bellezza del corpo atletico, attraverso l’ope ra dei fotografi, i quali, pensiamo solo a Robert Mapplethorpe negli anni Ottanta, hanno rilancia to il genere artistico del nudo in una chiave di let tura che non esitiamo a definire classica.

Se dunque arriviamo ai nostri giorni, non ci appa re per nulla anacronistica l’opera di pittori come Roberto Ferri (1978), che attraverso l’esaltazione della figura vuole ripro porre con la sua pittu ra i temi della bellezza, dell’amore, del dolore, del male e della morte.

Ferri viene definito dal la stampa, che si sta ac corgendo di lui, come un caravaggista; ma questa definizione, necessaria mente semplificatoria, può diventare riduttiva e sviante.

L’artista cita, è vero, Ca ravaggio, come anche, peraltro, Michelangelo, Bernini, David, Bougue reau: ma ogni classicista che si rispetti lo fa e lo ha sempre fatto.

Caravaggio citava Mi chelangelo, come peral tro faceva anche Raffa ello, a sua volta citato da Annibale Carracci.

E d’altro canto Miche langelo citava la scultura antica e si potrebbe con tinuare a lungo con gli esempi.

La bellezza ideale lo ri chiede: per costruirla, si deve cogliere il meglio dalla natura e dall’arte stessa. (segue pagina 24)

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(segue dalla pagina 23)

Quindi Ferri è un classicista e nel suo essere tale è assolutamente contem poraneo: perché celebra una idea di bellezza che non è mai tramontata (come dimostra, banal mente, il successo plane tario di attori e modelli che ostentano fisici scul torei) e perché lo fa in modo del tutto originale, reinterpretando i conte nuti e le forme della bel lezza classica in chiave delicatamente surrealista.

I quadri di Ferri, che sono dipinti magistral mente, con una tecnica eccellente (tutt’altro che ripudiata, in quanto tale, dagli artisti del Novecen to), raccontano chi siamo noi oggi, quanto siamo smarriti, in cosa ci stiamo trasformando.

La sua è una ricerca al ternativa a quella di tan ti informali, concettuali, neodada o post dada che producono opere del tut to diverse dalle sue e al trettanto efficaci (anche se talvolta di minore im mediatezza comunicati va).

Ma d’altro canto, la ma gia dell’arte sta proprio in questo: nel saper parla re sempre e comunque al cuore dell’uomo, con tut ti i linguaggi di cui essa è capace.

https://www.artesvelata.

it/author/giuseppe-nifosi/

https://www.artesvelata.

it/arte-figurativa-contem poranea/

Siciliano di nascita e torinese d’adozione, Vito Ansaldi, classe 1981, attinge dal web ma soprattutto dai social network per esplorare il mondo, quel mondo che ama tradurre in pixel.

Perizia e capacità di sintesi sono congeniali a elabora re una lucida e attenta critica alla società contempora nea. Talvolta con ferocia, altre con ironia, ma sempre con quella delicatezza capace di veicolare concetti complessi che diventano universali.

Descrivi la tua personalità con tre aggettivi. Curioso, entusiasmabile e perfezionista (a volte in dosi controproducenti).

Quali sono i tuoi illustratori di riferimento? Tanti. Ferenc Pintér, Emiliano Ponzi, Christoph Nie mann, John Holcroft e molti altri. Credo che inevita bilmente si venga influenzati da tantissimi artisti in generale e spesso per motivi differenti, come il potere narrativo, la palette colori o la genialità nell’uso del concettuale.

Cosa ti incuriosisce maggiormente della realtà che ti circonda?

Da persona creativa, la risposta è tutto. Sono estre mamente curioso, in generale. Una pubblicità, il tito lo di un giornale o la forma di un lampadario, di un albero o di un sasso hanno più o meno la stessa chan

Vito Ansaldi

ce di attrarre la mia curiosità. Capita che, banalmen te camminando per strada, un dettaglio mi rapisca e mi faccia fare minuti di elucubrazioni mentali.

Possono essere anche dettagli apparentemente irri levanti o in cui sono incappato già altri miliardi di volte. Succede spesso che quel pensare porti poi a un’idea per un’illustrazione.

Le scintille della creatività a volte scoccano casual mente.

Come si sviluppa il processo creativo delle tue illu strazioni?

Li distinguerei in due tipi, almeno per il modo in cui hanno inizio. Per le illustrazioni personali, non com missionate, l’inizio è spesso pressoché casuale e ad aver dato il via potrebbe essere stata proprio una di quelle elucubrazioni di cui parlavo prima.

Se sono in giro e non voglio perdere l’idea che ho avuto, registro un memo vocale sullo smartphone. È un processo più indisciplinato all’inizio, ma poi du rante l’esecuzione mi riporta verso dei personalissimi automatismi essenziali al completamento del lavoro.

E nel caso delle commissioni?

Dopo il briefing con il cliente, prendo un foglio bian co e scrivo tutte le parole che sciamano nella mia mente riguardo al tema.

Ne scrivo più che posso, sparse sull’area del foglio.

Poi le rileggo affinché nella mia testa si creino delle scene diverse, ma sovrapponibili, o comun que collegabili.

Mi entusiasma molto in serire elementi di con trasto, dissonanti tra di loro e provare a fonderli insieme, e dargli (almeno ci provo) una chiave di lettura efficace.

La richiesta più singolare che hai ricevuto.

Onestamente non ho an cora ricevuto richieste particolarmente strane.

In linea di massima però mi spiazzano quelle che, oggettivamente, non han no nulla a che fare con il mio stile. Chi ingag gerebbe un cantante rap per cantare lo yodel o vi ceversa?

Cosa sogni di illustrare?

VITO ANSALDI

Mi piacerebbe disegnare la mia prima copertina per un libro. Oltre a que sto, c’è anche un “per chi” sogno di illustrare. È un famosissimo maga zine che non nomino per scaramanzia.

Ultimo libro letto e ulti mo film visto.

L’ ultimo libro è Figure di Riccardo Falcinelli, che consiglio a chi fa il mio lavoro: molto forma tivo. Guardo pochissimi film, preferisco le serie tv perché spesso richiedo no meno attenzione e mi fanno compagnia mentre disegno senza distrarmi troppo. In ogni caso, l’ul timo film che ho visto è Green Book e sono felice di averlo visto.

Quali tecniche ti sono più congeniali? (segue pagina 26)

Foto vitoansaldi
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(segue da pagina 25)

Il digitale mi rende più sicuro e lo trovo più fun zionale specialmente per i lavori commissionati.

Quando voglio scaraboc chiare qualcosa di per sonale invece una buona vecchia matita ha un non so che di terapeutico.

A cosa lavori in questo momento e quali progetti hai per il futuro?

Al momento sto cercando di produrre e raggruppa re una selezione di mie il lustrazioni da poter ven dere online come stampe fine art, da incorniciare.

Per il futuro vorrei po ter aumentare le colla borazioni con l’editoria.

Le illustrazioni sui ma gazine sono quelle che mi regalano le maggiori soddisfazioni personali, soprattutto per la sfida di trovare soluzioni illustra te per sintetizzare argo menti sempre diversi.

Per me è molto stimolan te.

Intervista realizzata da Roberta Vanali https://www.artribu ne.com/professio ni-e-professionisti/ who-is-who/2022/09/in tervista-vito-ansaldi/ https://www.vitoansaldi. com/

Foto christiancastelnuovo

ROBERTA VANALI

Roberta Vanali è critica e curatrice d’arte con temporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Ca gliari.

Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione col labora con Artribune, per la quale cura due rubriche: Laboratorio Illustratori e Opera Prima.

Per il portale Sardegna Soprattutto cura, invece, la rubrica Studio d’Artista. Orientata alla promozione del la giovane arte con una tendenza ultima a sviluppare ambiti come illustrazione e street art, ha scritto oltre 500 articoli e curato circa 150 mostre per gallerie, musei, centri comunali e indipendenti.

Tra le ultime: la doppia mostra di Carol Rama in Sar degna, L’illustrazione contemporanea in Sardegna, Archival Print. I fotografi della Magnum.

Nel 2006 ha diretto la Galleria Studio 20 a Caglia ri. Ha ideato e curato la galleria online Little Room Gallery (2010-13). Ha co-curato le mostre del Museo MACC (2015-17), per il quale nel 2018 è stata cura trice.

Ha scritto saggi e testi critici per numerosi cataloghi e pubblicazioni.

Il cinema è l’altra sua grande passione. http://robertavanali.blogspot.com

Ilcelebre Ritratto di Papa Giulio II a opera di Raffaello (il dipinto che il Vasari definiva “tanto vivo e verace, che faceva temere […] a vederlo, come se proprio egli fosse il vivo”), eccezionalmente in prestito dalla National Gallery di Londra, sarà il protagonista in discusso del progetto espositivo intitolato Giulio II e Raffaello.

Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna, in arrivo dal prossimo 8 ottobre alla Pinacoteca Nazionale del capoluogo emiliano.

La mostra, curata da Daniele Benati, Maria Luisa Pa celli ed Elena Rossoni, fornirà all’istituzione bologne se anche l’occasione per riorganizzare l’intera sezione museale dedicata al Rinascimento e inaugurare, così, un nuovo percorso di visita rivolto, in modo più appro fondito, all’arte cittadina dall’epoca dei Bentivoglio sino all’incoronazione di Carlo V.

La stagione rinascimentale bolognese spicca infatti il volo nel 1506, quando Papa Giulio II della Rovere an nette la città allo Stato della Chiesa.

A quel punto, numerosi grandi artisti locali come Fran cesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Lorenzo Costa, Francesco Francia e Amico Aspertini, attivi durante il dominio dei Bentivoglio, si trovano a misurarsi con ar tisti del calibro di Michelangelo, Raffaello e Bramante.

Raffaello Sanzio, Ri tratto di Papa Giulio II, 1511-1512. Tavola, 108 x 80,7 cm. National Gal lery, Londra]

E, più tardi, anche con Parmigianino, rifugiatosi per qualche anno nel capoluogo emiliano dopo il Sacco di Roma del 1527. Attraverso l’e sposizione delle opere di questi artisti si giunge così a narrare un fonda mentale momento per la storia di Bologna, quel lo dell’incoronazione di Carlo V da parte di Cle mente VIII, cui è dedi cata la conclusione della rassegna.

La mostra, in program ma fino al 5 febbraio 2023, e realizzata in collaborazione con l’U niversità degli Studi di Bologna e l’Accademia di Belle Arti della città, si articola, dunque, lun go tutta l’ala della Pina coteca dedicata al Rina scimento, in un percorso che pone in dialogo i ca polavori permanenti del museo con gli importanti prestiti.

Una parte dell’esposi zione viene inoltre riser vata a quelle opere che, per diverse vicissitudi ni, sono andate perdute per sempre, come, ad esempio, il monumento a Giulio II di Michelan gelo, la Cappella Gar ganelli con gli affreschi dei ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, il Palazzo dei Bentivoglio e gli inter venti architettonici del Bramante.

https://arte.sky.it/news/ mostra-pinacoteca-bo logna-raffaello-rinasci mento

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Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna dall’8 ottobre 2022 al 5 febbraio 2023 Pinacoteca Nazionale Bologna Via delle Belle Arti, 56 40126 Bologna Tel.:+39 051 420 9442 https://www.museidibologna. it/pinacoteca-nazionale/

Università di Ferrara ha scoperto nella cava di marmo di Buddusò, in provincia di Sassari, uno dei più im portanti potenziali giaci menti di materie prime critiche in Europa.

È una delle prime rica dute del progetto Regs II “Recycling of granite scaps II” finanziato con fondi europei Life e del progetto di ricerca dal titolo “Waste treatment: reperimento di Critical Raw Materials dalle di scariche di sfridi di rocce ornamentali granitoidi”, sostenuto dal program ma di finanziamento na zionale Pon React-Eu e svolto nell’ambito del Dottorato in Architettura e Pianificazione Urbana dell’Università di Ferra ra. I primi risultati dello studio sono presentati in questi giorni in fiera a Ferrara dove è in corso RemTech Expo dedicato alle tecnologie ambien tali.

“Dalle prime analisi del nostro progetto è emerso che le discariche del di stretto lapideo di Buddu sò e della Gallura potreb bero consentire all’Italia e all’Europa di superare le difficoltà di attuazione del Green Deal Europeo causate dalle limitazioni di reperimento dei me talli critici necessari per la transizione ecologica e digitale” spiega Elena Marrocchino, ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione di Uni

Foto ansa.it

TERRE RARE IN SARDEGNA

fe e co-responsabile del progetto.

«I graniti di Buddusò sono composti per l’80%85% di quarzo e feldspa ti, materie utilizzate per il comparto ceramico e del vetro. Contengono anche elevate percentuali (fino al 15%) di allanite, un minerale magmatico raro che si caratterizza per essere ricco di terre rare (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Samario e Neodimio) e interessanti quantità di Ferro, Tanta lio e Niobio.

Si distinguono da altri graniti per concentra zioni utili di Germanio e Gallio, elementi impor tanti per la produzione di componenti green come ad esempio pannelli so lari», specifica il dottor

Antonello Aquiliano, dottorando Unife che sta lavorando al progetto Pon React-Eu.

«Le materie critiche, osserva Carmela Vac caro, professoressa del Dipartimento di Scien ze dell’Ambiente e della Prevenzione di Unife e responsabile del progetto, sono metalli e materiali di strategica importanza economica per l’Europa, caratterizzati da alto ri schio di fornitura, la cui necessità è emersa in re lazione alla rivoluzione tecnologico-industriale che stiamo attraversan do, alla transizione ener getica/ecologica e alla rivoluzione digitale, che durante il lockdown ha subito un’accelerazio ne».

Queste terre rare sco perte in Sardegna sono immediatamente dispo nibili, perché vengono trovate facilmente tra la parti ritenute “difettose” nella lavorazione di cava di granito: i ricercatori hanno, infatti, osservato un’alta concentrazione di elementi rari di facile re perimento.

Le materie critiche rare, che provengono qua si esclusivamente dalla Cina, oggi vengono usa te per le loro proprietà magnetiche e conduttive non solo in televisori, computer, telefoni cellu lari, ma anche nelle tur bine eoliche o pannelli fotovoltaici e auto elettri che. (ANSA)

https://www.lanuovasar degna.it/sassari/

L’

E’nella poetica del dialogo che lo scultore Giusep pe Carta va ad incontrare la nostra affascinante città di Mougins.

Ispirandosi al paesaggio architettonico del la città, l’artista diffonde e divulga le sue strade e piazze con un’abbondante e varia instal lazione di opere monumentali.

Rappresenta e interpreta le sue creazioni di frutti in germi nazione come sculture, come icone universali della vita. della vita, le sue creazioni di frutti germoglian ti. Frutti scultorei, vivi e pulsanti, impregnati di simboli che oltrepassano i confini terreni e materiali per raggiungere una visione mistica che che idealmente com prende tutti i popoli della Terra.

La germinazione, come atto di nascita e rinascita della na tura e della terra, è per Giuseppe Carta la sua ragione di essere Uomo e Artista, la sua perpetua ragione di essere. vita e di espressione.

I suoi frutti scultorei celebrano la vita e abbrac ciano la Terra attingendo a tutti i suoi colori. colori: il rosso vivo dei peperoni e dei me lograni, il rosso intenso delle fragole, il rosso vivo dei peperoncini e dei melograni, il rosso intenso delle fragole, il giallo corposo e luminoso dei li moni, il verde brillante delle olive e delle cipolle, il viola dell’uva, l’arancio e l’oro intenso delle arance.

GIUSEPPE CARTA A MOUGINS

Impregnate di un for te realismo naturalistico, le sculture di Giuseppe Carta si rivelano con una morbidezza di dettagli. si rivelano con una morbi dezza di dettagli, anche nelle forme monumentali, perché l’artista proviene dal mon do finemente realistico della natura morta, che dipinge da oltre 40 anni. Giuseppe Carta celebra la natura e la biodiversità del pianeta Terra con valori di salvaguardia ambientale e sociale. Perché la certezza che la protezione del piane ta Terra dipende dalla vita dell’uomo e di tutti gli esse ri viventi è ormai radicata in ognuno di noi.

Giuseppe Carta è un pittore e scultore italiano di fama internazionale.

Dalla musica classica e dal canto corale, che ha inse gnato a lungo, è passato alla pittura a olio, in cui è un vertiginoso interpre te dell’iperrealismo, quasi esacerbato nelle trasparenze e nelle velature delle nature morte.

Lo stesso realismo, tota le e palpabile, che l’artista traspone nella scultura ca ricandola di un fertile sim bolismo e trattando gli spazi urbani come una e trattare gli spazi urbani come luo ghi di germinazione.

Il filo conduttore della sua arte è la natura e i frutti della terra, che ritrae nei momen ti di massimo splendore ma anche in quelli di effimero, evoluzione e decadenza.

Per Carta la natura, la terra e la germinazione sono simboli di bellezza, vita, spe ranza e rinascita.

(seguepagina 30)

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(segue dalla pagina 29)

La carriera artistica di Carta negli ultimi 40 anni è stata segnata da importanti mo stre e partecipazioni, ed è stata riconosciuta in nume rose occasioni dalla critica nazionale e internazionale. Le sue nature morte dipinte e le sue Germinazioni scol pite, veri e propri inni alla natura e ai frutti della terra, sono state esposte all’Arte Fiera di Bologna, all’Art International di New York, alla Jacob K. Javits Con vention Center e il New World Art Center, il Grand Palais e l’Espace Eiffel Branly di Parigi, il Teatro alla Scala di Milano, il Te atro Lirico di Cagliari, l’I stituto Italiano di Cultura di Copenaghen, il Consolato Generale d’Italia a Roma, il Teatro della Scala di Mi lano, l’Istituto Italiano di Cultura di Roma. Istituto di Copenaghen, il Consolato Generale - Istituto di Cul tura di Amburgo, l’Istituto Italiano di Cultura di Am burgo. Istituto di Lisbona, l’Istituto Italiano di Tripoli, Monte Carlo, la Maison de l’Amérique latine di Mo naco, alla Biennale di Ve nezia nel 2009 e nel 2011, all’Expo di Milano 2015. nei padiglioni Cina e Kip Onu, a Euroflora Genova per tre edizioni, per la per la Direzione Regionale Musei della Puglia e per il Mini stero dei Beni Culturali al i castelli di Bari, Trani, Man fredonia, Gioia del Colle e il Museo Archeologico di Canosa di Puglia, per la Direzione dei Musei Statali della città di Roma, pres so il Museo Boncompagni Il Museo Ludovisi, l’Isti

tuto Etnografico Regionale della Sardegna, il Museo del Costume di Nuoro...

Per le Cantine Reali di Fontanafredda, su in vito di Oscar Farinetti, ha realizzato un monumentale grappolo d’uva per celebrare il famoso viti gno Nebbiolo.

In Toscana, nella città di Pietrasanta, un luogo emblemati co per la scultura mondiale dove Carta crea e realizza le sue sculture con l’antica tecnica della cera persa, la viene presentata la grande mostra “Gardens of Germination”.

In Lombardia, per la città e il lago d’Iseo, viene presentata la mostra “Germinazioni della terra”.

In Australia, importanti opere sono esposte alla Borsa di Brisbane, al Seymour Theatre Center di Sydney e a Mel bourne presso Anz Australia e New Zeeland Banking Group.

In Cina, l’Ambasciata d’Italia a Pechino e il Consolato d’I talia a Chongqing espongono le sue impressionanti instal lazioni scultoree di peperoncini rossi nelle città densamen te popolate di Chongqing e Chengdu.

La sua scultura Germination - Grenade (alta più di 9 metri), che nel 2012 è diventata lo scenario del Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli a Lajatico (Toscana), rappresenta il suo lavoro di 2 anni.

In Cina, l’Ambasciata d’Italia a Pechino e il Consolato d’I talia a Chongqing espongono le sue impressionanti instal

Foto giuseppecarta

Foto giuseppecarta

lazioni scultoree di peperoncini rossi nelle città densamen te popolate di Chongqing e Chengdu.

La sua scultura Germinazione - Melograno (alta più di 9 metri), che nel 2012 è diventata la scenografia del Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli a Lajatico (Toscana), dal 2014 rappresenta il Premio Umanitario Andrea Bocelli assegnato annualmente dalla Andrea Bocelli Foundation a personaggi famosi come Sophia Loren, George Clooney, Lionel Richie, Sharon Stone, Nicolas Cage e la principessa Rania di Giordania.

L’anno scorso, il melograno di Giuseppe Carta è stato pre sentato da Andrea Bocelli a Papa Francesco.

Il legame dell’artista con il Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli e la Andrea Bocelli Foundation è proseguito nel 2017 con l’esposizione al Colosseo di Roma di “Germina tion - Giant Pomegranate” e al Teatro del Silenzio di un set traboccante di peperoncini rossi, uno dei quali lungo ben 18 metri.

Giuseppe Carta è stato insignito del titolo di Ambasciato re del peperoncino nel mondo dall’Accademia Italiana del Peperoncino de Diamante e dal 2018 è cittadino onorario della città di Tropea per aver magnificato la cipolla rossa di Tropea con un’imponente scultura

https://www.mougins.fr

https://www.artcotedazur.fr/actualite,109/art-contempo rain,34/l-artiste-giuseppe-carta-invite-de-mougins-monumental

Giuseppe Carta è pittore e scultore italiano ricono sciuto a livello internazionale.

Nasce nel 1950 in Sardegna a Banari, un pic colo e caratteristico paese della provincia di Sassari. L’interesse per la pittura si manifesta in lui sin dall’in fanzia. Ancora adolescente rivela una forte passione per la musica, decide così di iscriversi al corso di pia noforte presso il Conser vatorio Nicolò Paganini di Genova.

Alla fine degli anni Sessan ta passa al Conservatorio Statale Antonio Vivaldi di Alessandria, qui prosegue e ultima nel 1972 gli studi in pianoforte e al contempo si dedica allo studio dell’or gano e della didattica della musica.

Dal 1973 inizia una serie di attività artistiche: prepa ra e dirige un coro di voci bianche e uno polifonico, intraprende l’insegnamen to di educazione musicale e frequenta, quale allievo di interpretazione e lettura di spartito d’opera, i Corsi musicali estivi “Città di Va rallo”.

Maestro di organo e piano forte, ancora molto legato alla musica, frequenta pres so l’Istituto Regionale di Ricerca Sperimentale e Ag giornamento Educativo di Genova, corsi di tecniche di musicoterapica che conclu de nel 1988 con una tesi dal titolo “Elementi di musico terapia e sindrome di Down in contesto scolastico”.

In quegli anni lavora anche per la collana Ivaldi Edito re collaborando, tra gli al

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tri, con Mino Milani, Hugo Pratt, Attilio Micheluzzi e (segue pagina 32) (segue dalla pagina 31)

Giacinto Gaudenzi alla rea lizzazione dei volumi “Sol dati di ventura” e “Storie di un altro evo e di altre real tà”.

Scrive due romanzi e una ventina di racconti e colla bora sporadicamente per il Corriere del Pomeriggio.

Nei primi anni Ottanta ma tura in Giuseppe Carta il desiderio e la volontà di dedicarsi totalmente alla pittura, decide così di rinun ciare all’insegnamento per impiegare il suo tempo allo studio e alla ricerca di un re alismo pittorico sempre più reale.

A tale periodo risale l’in contro fra Carta e il galleri sta genovese Rinaldo Rotta, che si rivela molto impor tante per la sua evoluzione pittorica, e con il quale in staura una profonda amici zia.

«Fu un incontro che se gnò profondamente il mio percorso artistico (afferma Carta) Rinaldo Rotta mi fece capire la differenza fra un quadro d’arredo e un’o pera pittorica».

Fil rouge dei suoi lavori è la Natura: frutti vivi, vivis simi, sono ritratti tanto nei loro momenti di massimo splendore quanto in quelli di caducità, evoluzione e maturazione.

La Natura è per Giuseppe Carta foriera di bellezza e di nuova vita anche laddove apparentemente la vita non c’è più.

“Nelle mie opere cerco di raccontare la vita nel suo lento trascorrere e in tutto

vi è Bellezza, quella bellezza che però non corrisponde a Perfezione perché la realtà non è perfetta, noi non siamo perfetti, la Natura stessa non lo è.

Amo dipingere ogni piega, ogni ruga, ogni imperfezione perché il dato reale, su tutti i possibili contesti di confron to, è sempre quello che mi appaga di più”.

Le nature morte che dipinge sono di commovente realismo, sonda con attenzione quasi maniacale la realtà che lo cir conda, cogliendone i minimi dettagli e mettendo in eviden za le specificità dei singoli soggetti dipinti siano essi calici, bicchieri, tovaglie finemente ricamate, tavole imbandite di luce e colore, cesti, libri, civette, zucche, limoni, melagra ne, cipolla, uva, patate, fichi e quanto altro la Natura possa a lui regalare in visioni che lo stesso artista rende vive con la Luce, elemento vitale e funzionale in tutta la sua opera. E tutto ciò accadde anche nella scultura che Carta ama chiamare Germinazioni perché sono come la Natura fonte di vita e di speranza.

Le realizza con l’antica tecnica della fusione a cera persa a Pietrasanta, luogo emblematico della scultura a livello mondiale.

Nella scultura l’artista va nel cuore della materia, inse guendo un dialogo ancora più realista, quasi cercando l’abbraccio con ciò che realizza: melagrane, peperoncini, limoni, fragole, pomodori, olive e grappoli d’uva. Si spin ge oltre compone, indaga, plasma e forgia la materia sino

Foto nicematin

a generare, con un sapiente uso del colore, scattanti visioni pop scenografiche.

Giuseppe Carta realizza le sue sculture con l’antica tecnica della fusione a cera persa a Pietrasanta , rinomata cittadina toscana e luogo emblematico della scultura a livello mon diale, e predilige realizzarle oltre che in bronzo, in allu minio, in resina e in marmo di Carrara. Le sue sculture, dal tratto immediatamente riconoscibile e indiscusso, sono presentate ed esposte in numerosi ed importanti luoghi di cultura e in eventi di grande richiamo internazionale. Nel 1994 inizia a collaborare con la galleria Guidi di Geno va, nello stesso anno incontra lo scrittore Giorgio Soavi che segna la svolta nella sua carriera.

L’attenzione di Soavi per le opere di Carta è tutta volta ver so i calici di finissimo cristallo che emergono tra le prezio se tovaglie e le raffinate ceramiche dipinte. Disse che non aveva più visto, ormai da tanti anni, vetri dipinti.

A partire dal 1994, e per i due anni successivi, Carta si de dica interamente alla realizzazione di tele raffiguranti, per l’appunto, nature morte feconde di luce emanata dai cri stalli, che trovano una scena id eale nella mostra “A tavola con Giuseppe Carta” allestita, con il catalogo curato dallo stesso Soavi, alla galleria d’arte Antonia Jannone di Milano (con la quale collabora fino agli inizi degli anni 2000).

Fin dai primi anni Novanta si registra la partecipazione di

Carta all’importante Arte Fiera di Bologna.

Nel 1996 è allestita al Ca stello di Pralormo (Torino), su iniziativa dei conti Be raudo, la mostra Fragile, fragilissimo a cui segue, per iniziativa del Presidente della Provincia di Sassari, la mostra antologica itine rante Il peso leggero della luce a cura di Marco Goldin che lo invita due anni dopo ad esporre a Conegliano Ve neto nella mostra Palazzo Sarcinelli 1988/1998. Nel 1997 su invito della gal leria Rinaldo Rotta di Ge nova espone tredici quadri nella mostra Cinque pittori della realtà, insieme a Gior gio Balboni, Luigi Benedi centi, Paola Campanella e Jonathan Janson.

Nel 1998 un altro fortunato incontro con il critico d’arte Federico Zeri segna la sua evoluzione artistica: ne se gue il testo “Pittura cristal lina” per una mostra perso nale alla galleria Rinaldo Rotta di Genova, mostra che non fu mai realizzata a causa della scomparsa del gallerista genovese.

Le opere che il pittore rea lizza alla fine di questo de cennio sono ispirate al rit mo musicale delle sinfonie di Mozart.

Gli anni che seguono sono quelli che portano Giuseppe Carta a fare una scelta sia professionale sia estetica; ne sono frutto le esposizioni al Gran Palais e all’Espace Branly della Tour Eiffel, a cui seguono gli inviti delle gallerie Robin-Leaudouze e Caplain Matignon, sempre nella capitale francese. Vengono poi gli inviti a Ginevra, a Gand e Londra

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e quindi ancora in Francia (segue pagina 34) (segue dalla pagina 33)

a Saint Paul de Vence (Ga lerie Vendôme), mentre continua sempre il lavoro in Italia, soprattutto fra la Lombardia, l’Emilia e la Toscana.

Nel 1998 con la galleria la Spirale di Milano parteci pa all’Art International di New York con due persona li presso il Jacob K. Javits Convention Center e presso il New World Art Center. Seguono le esposizioni al Gran Palais e all’Espace Branly della Tour Ei ffel, a cui seguono gli inviti delle gallerie Robin-Leaudouze e Caplain Matignon, sempre nella capitale francese. Vengono poi gli inviti a Ginevra, a Gand e Londra e quindi ancora in Fran cia a Saint Paul de Vence (Galerie Vendôme), mentre continua sempre il lavoro in Italia, soprattutto fra la Lombardia, l’Emilia e la Toscana.

Nel 1999 una sua grande antologica “La magia delle cose” è promossa al Foyer del Teatro Lirico di Cagliari con catalogo a cura di Ada Masoero.

La mostra La dinamica dei volumi inerti è tenuta alla galleria EloArt a Forio d’I schia (NA) con catalogo a cura di Teresa Coppa, par tecipa alla collettiva Sulle ali della seduzione ai Musei di Palazzo dei Pio a Carpi (Modena).

Nel 1999 è discussa da Ma ria Grazia Sassu una tesi di laurea dal titolo “L’opera pittorica di Giuseppe Carta” alla Facoltà di Lettere e Fi losofia dell’Università degli

Studi di Sassari.

Nel 2000 e nel 2002 è invitato all’importante rassegna europea della natura morta The annual still life Show dell’Al bemarle Gallery di Londra.

Sempre nel 2002, su invito della galleria La Solo Arte di Milano illustra, insieme ad altri importanti artisti, il pre zioso volume d’arte dedicato alle opere di Giuseppe Verdi con presentazione ed esposizione al Museo del Teatro alla Scala di Milano e partecipa alla mostra “L’Arte a tavola, la natura morta nell’immaginario artistico italiano” promossa dal Comune di Piombino nella Galleria Comunale. Nel 2003 una importante mostra antologica itinerante Vi sioni di Carta è esposta al palazzo della Frumentaria di Sassari, all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen, alla galleria Stefano Forni di Bologna, al Consolato GeneraleIstituto di Cultura di Amburgo e al Castello San Michele di Cagliari, nel 2004 all’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona e nel 2005 a Montecarlo alla Maison dell’Amerique Latine de Monaco.

Nello stesso anno l’importante rivista russa MEЗOHИH dedica all’opera di Carta un ampio servizio di otto pagine. Nel biennio 2006 e 2007 sue opere sono oggetto di im portanti mostre internazionali: Sedici sguardi una rassegna. Sardiniae Corpus Sardiniae Figura. Discovering Sardinian Painting (Australia: Brisbane, Stock Exchange - Sydney, Seymour Theatre Center - Melbourne, Anz Australia e

New Zeeland Banking Group) - Il Filo conduttore all’Isti tuto Italiano di Tripoli, la personale alla Galerie Alexandre Leadouze di Cannes, al Magic Market Place di Las Vegas e all’Hidden di Santa Monica, California, mentre in Italia una grande mostra antologica Vetro precario e fragile è al lestita, su iniziativa dei Bormioli, nello scenografico Palaz zo della Reggia di Colorno di Parma. con catalogo a cura della storica e critica d’arte Rossana Bossaglia, e partecipa alla mostra Filo Conduttore n. 2 al Museo Fioroni di Legnago. Sempre Nel 2007 è promossa al Museo Archeologico e Storico Et nografico delle Tenute Sella & Mosca di Alghero la mostra Libiam ne’ lieti calici, mentre una grande antologica I se ducenti percorsi della luce è allestita al Complesso Mu seale Francesca Sanna Sulis di Muravera (Cagliari) con catalogo a cura del critico Luciano Caprile. Con l’opera Equilibri precari in rosa proveniente dalla collezione del la Fondazione Ca’ la Ghironda di Bologna partecipa alla mostra “Identità e Differenze del ’900” curata del critico d’arte Claudio Cerritelli.

Nel 2008 partecipa ad ArtVerona con la galleria Arte e Arte di Bologna e sue opere sono esposte nella collezione del Museo di Arte Contemporanea Italiana in America di Costa Rica.

Nel 2009 è invitato alla 53esima Biennale di Venezia, dove espone una complessa installazione scultorea La rinascita

della foresta dopo l’incen dio in alluminio specchiante di frutti e un asino che ra glia di felicità.

Nel 2010 a Bologna sono promosse le mostre Germi nazioni alla galleria Arte e Arte e Mimesis e alla gal leria Stefano Forni di Bolo gna, mentre a Milano è pro mossa alla galleria Arcoit Giuseppe Carta.

La parola della luce con catalogo a cura di Beatrice Buscaroli. Alla fine dell’an no è presente nella mostra San Francesco e Chiara d’Assisi. Maestri di Dialo go promossa al Palazzo Du cale di Massa Carrara.

Nel 2011 espone all’Eu roflora a Genova una im portante installazione scul torea di elementi bronzei e in alluminio.

In Sicilia a Racalmuto nel Castello Chiaramontano è promossa la mostra Giu seppe Carta. “Sul filo della memoria”.

Su invito di Vittorio Sgarbi è alla 54esima Biennale di Venezia con l’installazione pittorica “Rosso Sardo” ed “Equilibri precari”.

Partecipa alla mostra “L’ar te di amare l’arte” promossa dalla Fondazione CittàItalia al Palazzo Reale di Tori no e alla Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato di Roma.

Nel 2012 riceve l’invito del Teatro del Silenzio di An drea Bocelli a realizzare la scenografia del Teatro: una scultura di oltre 9 metri, “Germinazione Melagra na”.

La scultura è esposta per un anno nella valle del Teatro, mentre suoi dipinti e scultu re sono allestite a Lajatico,

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il paese natio di Bocelli.

La Banca d’Italia lo chiama a realizzare il ritratto (segue pagina 36) (segue dalla pagina 35) del Prof Mario Draghi, già governatore della Banca d’Italia e Presidente del la BCE.Nel 2013 riceve l’incarico dalla CEI di rea lizzare il corredo pittorico e scultoreo per il Nuovo Complesso Parrocchiale della Provincia di Lanusei (Sardegna), partecipa alle mostre “100 Ventagli di corte d’autore dalla colle zione di Aldo Dente” alla Rocca di Dozza e “Sarde gna Arte Contemporanea 01 Leap and Land” allestita al Masedu di Sassari dall’Ac cademia di Belle Arti Mario Sironi.

Nel 2014 Carta è protagoni sta in Cina di un importante progetto espositivo itine rante: a Chongqing, su invi to dell’Ambasciata Italiana a Pechino e del Consolato Generale d’Italia a Chongqing, è promossa nel pre stigioso spazio espositivo Changjiang Art & Culture Center la mostra “Verso la luce”, una personale di se lezionati dipinti, la mostra è proposta alcuni mesi dopo in un altro importante spa zio espositivo, la galleria Aura Art Space di Cheng du. Carta viene invitato dal Consolato Generale d’Italia a Chongqing a realizzare una scultura per l’inaugura zione della nuova sede del Consolato.

Idea e realizza quale simbo lo della città cinese Capsica Red Light una installazione scultorea in bronzo policro mo di cinque peperoncini di rosso vivo squillante. Nello

Foto giuseppecarta

stesso anno su invito dell’associazione “I mondi di carta” espone a Crema nella rassegna culturale ed enogastrono mica “Imondidicarta2014” le sue sculture raffiguranti dei frutti che ben si legano al tema del Cibo.

La sua Cipolla in cristallo policromo e oro è consegnata come premio a Gualtiero Marchesi.

Alla fine dell’anno gli è dedicata a Milano alla Fondazione Stelline un’importante antologica “La luce e il suono”, pro mossa dalla galleria Arcoit e curata dal critico Ivan Quaroni.

Nel 2015 è all’EXPO Milano 2015 nel padiglione Kip Onu e su invito del Governo Cinese nel padiglione Cina, dove a fine anno nella affollata città di Chongqing è installato un peperoncino alto oltre 7,50 metri in una delle più piazze più grandi e moderne della città, Guan Yin Qiao.

Partecipa a Venezia alla mostra Il grande canale della Pace allestita al Palazzo Bollani.

È esposta a Biella nel Selvatica Natura in Festival nei splendidi giardini all’italiana del Palazzo Cromo-Losa una sua grande installazione scultorea in alluminio specchiante.

A Volterra nella mostra Rosso Fiorentino Rosso Vivo, cu rata da Vittorio Sgarbi con la regia di Alberto Bartalini, presenta una installazione scultorea dalla serie I piccantoni Capsica Red Light.

È inaugurata al Museo dell’Arte Vetraria di Altare Giusep pe Carta. Trasparenze dipinte.

Nel 2016 a Milano a Eataly, il tempio dell’eccellenza ita liana in fatto di cibo e produzione enogastronomica, è pro mossa la mostra Giuseppe Carta. “Germinazioni. I diari della terra”.

La mostra è poi allestita nelle sedi di Eataly di Torino, di Bologna e poi nel 2017 di Roma.

Nel 2017 a Pietrasanta, in Toscana, è inaugurato il grande evento Giuseppe Carta. Orti della Germinazione, con la re gia di Alberto Bartalini e la cura di Luca Beatrice.

Ad aprire l’evento “The Red Giant”, un imponente pepe roncino rosso di 18 metri posto nella piazza del Duomo di Pietrasanta che sembra nascere dalla terra.

“The Red Giant”, insieme ad altri 20 splendidi peperoncini rossi, diventa poi l’imponente scenografia del Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli.

La collaborazione con Bocelli continua a Roma col charity event “Celebrity Fight Night” con l’esposizione al Colos seo dell’imponente Melagrana, già simbolo del Teatro del Silenzio 2012 e dell’Andrea Bocelli Humanitarian Award, premio conferito a celebrità e personalità quali Sophia Lo ren, la principessa Rania di Giordania, George Clooney, Sharon Stone, Nicolas Cage, Lionel Richie, Carlos Slim Helù.

Su invito di Oscar Farinetti, un altro grande peperoncino è esposto ad Alba (Piemonte) nelle reali cantine vitivinicole di Fontanafredda, patria del famosissimo Barolo. Sue opere

sono esposte nell’estate ai Bagni Alpemare di Andrea Bocelli (Forte di Marmi).

Nel 2018 continua l’impor tante collaborazione con la Cina e le città di Chongqing e Chengdu tanto che è chia mato a ideare e realizzare per la prestigiosa World Chilli Alliance (WCA) il simbolo internazionale del peperoncino.

Per la città di Chongqing, su incarico di uno dei più gran di colossi imprenditoriali cinesi, realizza un impo nente peperoncino simbolo della città.

In Italia conquista il pub blico di Euroflora Genova 2018 con i suoi peperoncini rossi, 25 esposti a Genova nei giardini dei Parchi di Nervi e al Porto Antico.

Dall’inizio del mese di giu gno domina nelle cantine reale vitivinicole di Fon tanafredda un gigantesco grappolo d’uva voluto da Oscar Farinetti e creato da Carta quale Monumento al Nebbiolo, mentre alla fine dello stesso mese “The Red Giant”, il peperoncino lun go 18 metri esposto prima a Pietrasanta e poi al Tea tro del Silenzio di Andrea Bocelli, trova quale luogo ideale di esposizione Fico Eataly World di Bologna, la fabbrica italiana del cibo più importante del mondo. Sempre nello stesso anno in Toscana la gigantesca Melagrana è collocata nel la città di Pontedera quale installazione permanente.

In Calabria, a Diamante, è insignito dall’Accademia Italiana del Peperoncino del titolo di Ambasciatore del Peperoncino nel mondo.

Su invito del Museo di

Foto giuseppecarta
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Monsummano Terme (Pi stoia) espone una installazione (segue p 38) (segue dalla pagina 37) di dipinti e sculture nella mostra Oasi.

Alla fine dell’anno il Polo Museale della Puglia e il MIBAC celebrano l’An no del Cibo Italiano con le opere di Giuseppe Car ta promuovendo il grande evento espositivo Giuseppe Carta “Epifania della terra” nei Castelli Svevi di Bari, di Manfredonia, di Trani e di Gioia del Colle.

Iniziano le riprese del film CARTA del regista Dado Martino, che affascinato dalle opere e dalla vita di Carta così ricca di espe rienze e di contaminazioni vissute in giro per il mondo dall’Occidente all’Oriente, decide di girare il film tra la Sardegna, a Banari nel paese dove Carta è nato e cresciuto, la Liguria dove si è formato prima come mu sicista e poi come artista, la Toscana e l’Emilia Roma gna. Nel 2019 altri importanti eventi e riconoscimenti at tribuiscono a Giuseppe Car ta il titolo di Maestro della Luce e dei Grandi Frutti della Terra, su invito della Direzione del Polo Museale della Puglia la sua scultura “Germinazione della Pace”, che rappresenta un ramo di ulivo quale simbolo univer sale di unione e di conviven za tra i popoli della terra, è esposta alla presenza del ministro Bonisoli al Museo Archeologico Nazionale di Canosa di Puglia, mentre è esposta per l’evento “Libri d’artista. L’arte da leggere” al Castello svevo di Bari la

scultura “Sul filo della memoria”.

In Liguria il Comune di Genova, nel salone di rappresen tanza di Palazzo Tursi, presenta ufficialmente in anteprima nazionale il film CARTA.

In Calabria per la città di Tropea realizza una scultura del suo frutto più conosciuto e apprezzato in tutto il mondo: la Cipolla Rossa di Tropea.

Con la comunità calabrese s’instaura un intenso rapporto di ricambiata stima che culmina con il conferimento a Giuseppe Carta della cittadinanza onoraria di Tropea.

In Toscana a Pontedera è tra gli artisti protagonisti della mostra, diretta da Aberto Bartalini, “I moti dell’anima”. “Tributo a Leonardo Da Vinci” e altre sue opere sono espo ste ai Bagni Alpemare di Andrea Bocelli (Forte dei Marmi).

In Sardegna a Sassari le sue germinazioni scultoree diven tano la scenografia che celebra la Natura per l’evento “Che gusto!.

In tale occasione Carta è insignito dal quotidiano regionale

La Nuova Sardegna del premio La Nuova Sardegna quale Artista celebre che porta alto il nome della Sardegna nel mondo, dall’Occidente all’Oriente.

Sempre in Sardegna, a Nuoro, è l’Istituto Superiore Regio nale Etnografico a promuovere l’opera di Giuseppe Carta al Museo del Costume con il grande evento espositivo “Orti di Grazia” con la presentazione affidata a Vittorio Sgarbi e la direzione artistica ad Alberto Bartalini.

Foto giuseppecarta

Foto giuseppecarta

Per l’importante impegno sociale profuso in Italia e nel mondo con le sue opere dedicate ai frutti della terra, la re gione Sicilia e il comune di Priolo Gargallo riconosce e consegna a Giuseppe Carta il premio nazionale Ambiente e Società.

Nel 2020 l’arte di Giuseppe Carta è ancora una volta ogget to di grande interesse nazionale ed internazionale. Il preoccupante diffondersi in tutto il mondo del virus Co vid-19 sconvolge l’umanità intera e ogni attività e progetto viene cancellato o reso on-line, la priorità di tutti e per tutti è quella di salvare vite umane e porre fine alla grave emer genza sanitaria che imperversa in ogni nazione.

Dopo un lungo periodo di lockdown generale in tutto il territorio nazionale e non solo, vi è la volontà di infondere nuova speranza in tutti i contesti sociali traumatizzati dalla pandemia e anche l’arte partecipa a questa importante ri presa, Giuseppe Carta è così invitato dal Comune di Tropea ad intervenire alla conferenza on-line del festival “Tropea Cipolla Party” in qualità di artista che con le sue opere ce lebra la Natura e la Rinascita.

Carta è legato alla città di Tropea non solo per la Cipolla alla quale ha dedicato una sua scultura ma anche per esser ne diventato nel 2019 cittadino onorario.

È con l’obiettivo di favorire una ripresa sociale e cultu rale post lockdown che il 18 luglio è inaugurata a Porto Rotondo la Porto Rotondo Art Gallery, voluta dal Conte

Luigi Donà dalla Rose e da Leonardo Donà dalle Rose e dallo stesso diretta, con oltre 25 opere di Giuseppe Carta dedicate ai frutti della terra quale simbolo di ger minazione e di rinascita.

È dai primi di luglio che Carta inizia a collaborare con la Galerie Jedlitschka di Zurigo dove espone, nel parco delle sculture della galleria, due grandi pepe roncini dal colore rosso squillante e dalle forme vi branti.

In Toscana Carta aderisce all’iniziativa di solidarietà, promossa dal Comune di Pietrasanta a favore dell’O spedale Versilia e delle realtà imprenditoriali e fa miglie in difficoltà a causa del Covid-19, donando una sua opera per l’asta di be neficenza battuta dalla casa d’aste londinese Sotheby’s il 12 settembre nel chiostro di Sant’Agostino della città pietrasantina.

È invitato dalla Sgaravatti Group, storica e prestigiosa azienda vivaistica italiana operante a livello interna zionale e altamente specia lizzata nella progettazione e realizzazione di giardini e spazi verdi, ad arricchi re con le sue germinazioni scultoree i festeggiamenti per la celebrazione dei 200 anni di attività dell’azienda tenutasi nel garden di Capo terra (Sardegna).

A fine settembre si conclude con grande successo l’espo sizione a Porto Rotondo.

Dal 6 novembre la città to scana di Pontedera, attivo e riconosciuto polo italiano dell’arte contemporanea, inaugura l’evento Natale ad Arte, diretto da Alberto

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Bartalini, con importanti in stallazioni scultoree.

“L’Orto dei Sogni” di Giu seppe (segue pagina 40) (segue dalla pagina 39) Carta celebra la vita con una complessa installazione di germinazioni scultoree colorate e dal forte valore evocativo.

È una installazione profusa di frutti scultorei a Cagliari ad aprire l’attività espositi va di Carta nel 2021: dal 6 marzo al 2 giugno all’Orto Botanico dell’Università di Cagliari, uno dei giardini botanici più belli d’Italia, sotto il titolo “Natura e Ar tificio” le sculture di Carta germogliano nello spazio naturale offrendosi al dia logo con le spettacolari e centenarie specie arboree e arbustive presenti nell’orto. L’evento, simbolo della ri nascita e della ripartenza, evidenzia il particolare con nubio tra natura, arte, studio e scienza botanica.

Dopo il successo in Puglia, nelle sedi dei castelli sve vi di Bari e di Copertino, la mostra “Libri d’Artista. L’arte di leggere” approda a Roma, sotto la Direzione dei Musei Statali della Città di Roma, dove è inaugurata al museo Boncompagni Lu dovisi con l’opera di Giu seppe Carta Sul filo della Memoria scelta anche per il manifesto dell’evento. In occasione dell’impor tante evento “Maestro d’O lio”, promosso a Pietra santa dall’11 al 13 giugno, Giuseppe Carta espone una Oliva gigante quale sim bolo della manifestazione, accompagnata da un Orto della Germinazione, instal lazione colorata di frutti

Foto giuseppecarta

scultorei su prato verde. Inaugura il 26 giugno ad Iseo l’evento mostra “Giuseppe Carta.

Germinazioni della Terra”. Nello scenario incantato del lago Iseo e nella Fondazione L’Arsenale della rinomata cittadina lombarda, sono alle stite 100 opere che raccontano la storia artistica di Carta. Tre giganti scultorei aprono il percorso del lungolago: un Peperoncino rosso, un Pomodoro rosso e una Oliva verde. Seguono altre importanti sculture fino a giungere ad un Limone giallo che splende sul lago. Installazioni profuse di allumini specchianti e peperoncini colorati sono invece ospitate nei giardini di Casa Panella e del Castello Oldo fredi.

Nel centro storico una grande Arancia indica il continuo del percorso alla Fondazione l’Arsenale, dove è allestita una selezione di dipinti di estremo realismo, aventi a sog getto le nature morte, e ancora degli Orti della Germinazio ne dove idealmente germinano dei frutti scultorei. L’evento, voluto e promosso dal Comune di Iseo con il pa trocinio della Regione Lombardia e in collaborazione con la Fondazione l’Arsenale, è aperto al pubblico fino al 5 set tembre.

Il 2022 è un anno particolarmente significativo per Giu seppe Carta: è invitato in Francia ad esporre i suoi giganti scultorei dedicati alla Natura e alla Terra nell’antica città di

Mougins, in Costa Azzurra. Scelto dal Comune di Pietrasanta quale artista rappresenta tivo della scultura realizzata a Pietrasanta, Giuseppe Carta è invitato dal Comune di Mougins alla settima edizione di Monumental, importantissimo evento espositivo all’aperto di grande richiamo che ogni anno vede protagonista uno scultore selezionato.

Nel segno della Germinazione, Carta dà vita a Mougins ad una scenografia vivace e colorata allestendo nelle vie e nelle piazze del borgo antico 70 sue sculture tra peperon cini rossi, ma anche blu e bianchi in omaggio alla bandiera francese, limoni, olive, melograni, ciliegie, cipolle e uva.

La sua fragola scultorea dalle dimensioni giganti (quasi 5 metri di altezza) viene scelta da Mougins come simbolo dell’intera esposizione inaugurata il 2 aprile e aperta al pubblico fino al 25 Settembre.

Alla fine degli anni Ottanta Giuseppe Carta acquista nel suo paese natio, Banari un piccolo e caratteristico borgo del Nord Sardegna, un antico palazzo nobiliare di grande fascino che diviene, (segue pagina 42)

(segue dalla pagina 41)

dopo un accurato recupero e una attenta ristrutturazione nel rispetto della memoria del tempo, la sua casa, il suo labora torio, il suo atelier d’arte.

Negli anni si fa promotore e organizzatore di importanti

iniziative artistiche e cultu rali tra le quali BanariArte e la Fondazione Logudoro Meilogu.

La sua arte, insieme alla sua casa-museo-atelier e all’an tico palazzo, meglio cono sciuto come il Palazzo Ton ca, conquistano il grande pubblico e diventano ogni anno oggetto di attrazione per visitatori proveniente da ogni parte del mondo.

Per capacità comunicativa e suggestione le opere di Giuseppe Carta che ripro ducono i frutti della terra sono un veicolo ecceziona le a traghettare il valore dei prodotti della terra all’inter no del messaggio universale dell’Arte, a farli diventare da elementi irrinunciabili della nostra vita oggetti vivi e preziosi, fino a concepir li, come dei veri e propri monumenti contemporanei della nostra esperienza arti stica collettiva. Il percorso che Carta segue non è solo intuitivo e immaginifico, ma è soprattut to perizia tecnica, il livello raggiunto di interpretazione del vero della natura con il vero della pittura e con quello della scultura. Quello di Giuseppe Car ta è uno sguardo attento e preciso tanto all’insieme quanto al particolare, ma anche all’ambientazione e alla sapiente scenogra fia della summa dei singoli pezzi, perché anche in na tura i frutti dell’orto sono ognuno identico a se stesso, ma costituiscono un insie me armonico, in equilibrio visivo. Occhio, intelletto e cuore, oltre all’abilità tec nica della realizzazione, dominano i frutti giganti di

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Carta, amati, accarezzati, sognati, resi presenze attive dall’artista.

Dal punto di vista del gene re artistico, potrebbe trattar si (segue pagina 42) (segue dalla pagina 41) certo di “natura morta”, ma a ben vedere essi vogliono essere “natura vivente” in perfetta sintonia con le tra duzioni del termine che il lustrano il genere, still life in inglese, stillleben in te desco.

Germinazione è la nascita improvvisa, quasi magica e abnorme di grandi frutti realizzati in resina policro ma, in bronzo o in alluminio specchiante – peperoncini, pomodori, limoni, ciliegie, fragole, melagrane – im provvisamente alla ribalta del nostro immaginario col lettivo, testimoni e inter preti di un mondo atavico, eppure concreto, che ha at traversato i millenni con la discrezione silenziosa di ciò che è normalmente prezioso alla vita dell’uomo e quindi in qualche modo scontato. Questi frutti, parte fonda mentale della storia dell’e conomia rurale dell’intera Italia, diventano attraverso le mani di Giuseppe Carta, Arte e si offrono a noi come “personaggi illustri” omag giati dal nostro tempo. I grandi Peperoncini sono stati concepiti da Carta per la città cinese di Chongqing nella regione del Sichuan, dove ancora adesso popola no la piazza principale qua le simbolo dell’intera regio ne. I frutti in alluminio con il loro Asino “guardiano”, capaci di catturare sulla pro pria superficie specchiante i riflessi dell’ambiente che

li circonda e di chi curioso vi si guarda dentro, sono stati esposti nella piazza del Duomo di Pietrasanta.

Le Melagrane, frutto simbolico per eccellenza perché le gato alla passione di Cristo, sono il simbolo del Teatro del Silenzio voluto da Andrea Bocelli nella sua città natale di Lajatico, in Toscana.

Molti di essi hanno popolato i Castelli pugliesi in occasio ne della celebrazione dell’Anno del Cibo del 2018.

Tutti insieme questi frutti si offrono a noi come apparizione meravigliosa, spettacolo, coinvolgimento emotivo. Anche se non immediatamente percepibile, è evidente in tutte le opere di Carta, l’intenzione di creare vere e proprie sinfo nie di accordi.

Le installazioni di sculture, come la disposizione degli og getti nei quadri dipinti, seguono ritmi precisi, ponderati e “cantano” all’unisono, diretti da un abile Maestro del Coro (e Carta lo è stato davvero nella sua prima vita), una me lodia impalpabile eppure udibile. Queste opere sono infatti vitali, si relazionano tra loro, dialogano.

Dal prodotto della natura più semplice, che l’uomo ha sa puto addomesticare all’interno di una piccola area di sussi stenza, nel rispetto dei cicli delle stagioni e per assicurarsi gli elementi vegetali della propria evoluta alimentazione, Carta trae un insegnamento esemplare, quello della rico noscenza ai simboli della semplicità del generarsi e del crescere.

Di cosa si parla quando si discute di nouvelle vagu sarda? È necessaria una riflessione su questo fenomenoletterario, il cui termine a quo è incerto, esaltato dalla stampa, ma dai confini poco netti.

Gli scrittori inseritiin tale definizione (si pensi a Mar cello Fois, Salvatore Niffoi, Michela Murgia, Milena Agus o, ancora,Francesco Abate, giusto per citare i più famosi), che concentrano quasi tutte le proprie narrazioni sullaSardegna, utilizzano, di preferenza, il genere giallo o noir e una lingua che fa incontrare ita liano e sardo, informe sempre diverse.

Ma si può realmente parlare di una vague unitaria o anche solo di novità?

E quali sono le ragioni dell’innegabile successo ot tenuto dagli autori isolani negli ultimi quindici anni?

1.Nascita della vague : datazione incerta

Se si vuole affrontare il tema di una nuova geografia letteraria, limitatamente allaSardegna, è necessario interrogarsi su chi, attualmente, disegni una nuova to pografiadell’isola, sia agli occhi dei sardi, ma soprat tutto agli occhi di un pubblico esterno.

Nouvellevague, Sardinian wave rinascimento sardo boom letterario: questa è solo una breve serie di defi nizioni utilizzate per descrivere l ultima generazione, in ordine di tempo, di autorisardi, una realtà che gior

Un’onda infranta?

Laura Nieddu (Université Lumière Lyon II)

Rhesis Unica

E lo fa con la sua arte per fetta.

nalisti e studiosi di lette ratura contribuiscono a evidenziare.

Mariastella Margozzi https://www.giuseppecarta. net

Fissare un termine a quo per tale fenomeno lettera rio è operazione già deli cata, inquanto la maggior parte dei critici lo fa risa lire a cavallo tra Nove cento e Duemila, mauna data precisa non esiste. Lo scrittore Giulio An gioni sceglie il 1975, data di pubblicazione di “Pa dre padrone” di Gavino Ledda, che, secondo lui, mette fine al vecchio at tegiamento degli scrittori che offrono l’esotico che ci si aspetta da un Sardo cha racconta la Sardegna. Di cosa si parla quando si discute di nouvelle vague sarda?

È necessaria una rifles sione su questo feno menoletterario, il cui termine a quo è incerto, esaltato dalla stampa, ma dai confini poco netti.

Gli scrittori inseritiin tale definizione (si pensi a Marcello Fois, Salvatore Niffoi, Michela Murgia, Milena Agus o, ancora, Francesco Abate, giusto per citare i più famosi), che concentrano quasi tutte le proprie narrazioni sulla Sardegna, utilizza no, di preferenza, il ge nere giallo o noir e una lingua che fa incontrare italiano e sardo, informe sempre diverse.

Ma si può realmente par lare di una vague unitaria o anche solo di novità?

E quali sono le ragioni dell’innegabile successo ottenuto dagli autori iso lani negli ultimi quindici anni? (segue pagina 44)

Considerazioni sulla parabola della nouvelle vague sarda
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(segue dalla pagina 43)

1.Nascita della vague : datazione incerta

Se si vuole affrontare il tema di una nuova geo grafia letteraria, limita tamente alla Sardegna, è necessario interrogarsi su chi, attualmente, disegni una nuova topografia dell’ isola, sia agli occhi dei sardi, ma soprattutto agli occhi di un pubblico esterno.

Nouvellevague, Sardi nian wave rinascimento sardo boom letterario: questa è solo una breve seriedi definizioni uti lizzate per descrivere l’ultima generazione, in ordine di tempo, di au torisardi, una realtà che giornalisti e studiosi di letteratura contribuisco no a evidenziare.

Fissare un termine a quo per tale fenomeno lettera rio è operazione già deli cata, inquanto la maggior parte dei critici lo fa risalire a cavallo tra Nove cento e Duemila, mauna data precisa non esiste.

Lo scrittore Giulio An gioni sceglie il 1975, data di pubblicazione di Padre padrone di Gavino Led da, che, secondo lui, met te fine al vecchio atteg giamento degli scrittori che offrono l’esotico che ci si aspetta da un sardo che racconta la Sardegna 1. Tuttavia, è più tardi che emergerebbe una sor ta di particolarità isolana, nel 1988, in occasione dell’uscita proprio di un romanzo di GiulioAngioni, L’ oro di Fraus, e di Procedura di Salvatore Mannuzzu, quando Ore

ste delBuono parla di «scuola sarda di giallo»

2. È inoltre opinione diffusa che Sergio Atzeni sia un importante capostipite della nuova generazione di scrittori, e dunque bisognerebbe prendere in consi derazione, come ipotetico momento di nascita della cosiddetta vague, l’apparizione di Atzeni sulla scena letteraria, ovvero la metà deglianni ‘80.

Quello che è certo è che il boom, così come viene presentato da giornalisti ecritici, arriva al suo apice, almeno mediatico, all’inizio degli anni 2000.

2.Una novità?

In tale ottica, il primo aspetto che salta agli occhi è l’entusiasmo generale che si ècreato intorno alla re cente generazione di scrittori, che con le loro opere narrative hannosorpreso il pubblico nazionale, così come sottolinea il titolo di uno dei saggi recenti sul laquestione, di Amalia Maria Amendola, “L’isola che sorprende” appunto

3. Lo stupore nasce da una sorta di epifania agli oc chi della critica riguardo alla produzione letteraria in Sardegna, come se la situazione precedente fosse una sorta di deserto.

E, in effetti, se percomprendere che tipo di letteratura sia nata e si sia sviluppata sull’isola ci si dovesse basa re solo sui manuali di diffusione nazionale, si avrebbe l’impressione di un vuototemporale storico-letterario

Foto wikipedia Gavino Ledda

la, all’improvviso; come ha sottolineato Giovanna Cerina, «ha alle spal le esperienze che han no aperto la strada alla nuova ondata di scrittori, contribuendo a creare ne gli editori sardi […] e na zionali un interesse per la loro narrativa»

5.Un’onda infranta?

A quasi quindici anni dall’articolo di Goffredo Fofi sulla nouvelle vague e dopo ifiumi di inchio stro versati sull’argo mento, è importante dare risalto a una peculiarità chefa da spartiacque tra i diversi scrittori facenti parte della vague e che potrebbe aiutare aspiega re il perché del successo prorompente di alcuni di loro.

notevole negli ultimi secoli, durante il quale poco o niente dirilevante sarebbe stato prodotto.

In “Romanzieri sardi contemporanei”, Giuseppe Marci denuncia un’opinione corrente, per la quale «si ritiene che i sardi abbiano lasciato una traccia nel campo architettonico e monumentale o nel campo pittorico: ma mai e poi maiin quello della scrittura e particolarmente in quello della creazione letteraria»

4.Si comprende meglio, dunque, perché il gran numero di critici non sardi, che si sonooccupati della que stione nouvelle vague, abbiamo messo l’accento pro prio sull’aspettodi novità rappresentato da romanzieri come Marcello Fois, Salvatore Niffoi, MilenaAgus o Francesco Abate.

Detto ciò, se con ‘novità’ si intende l’eclatante suc cesso degli ultimi anni rappresentatodagli autori iso lani sulla scena nazionale, la definizione può essere condivisa,sottolineando che si tratta di un fenomeno anche (e in alcuni casi, soprattutto)commerciale e editoriale.

Invece, se si considera l’aggettivo ‘nuovo’ in contrap posizione aun supposto vecchio e superato, così come il termine‘rinascimento’ lascerebbe sottintendere un medioevo precedente, oscuro e negativo, non si può che dissentire.

La letteratura sarda attuale, infatti, non nasce dal nul

Amalia Maria Amendola

Per farlo, si prenda come punto di partenza un commento del gior nalista e scrittore Gian franco Pintore, postato suun forum letterario del Corriere della Sera, nel 2008, nel quale, parlando dei“furbi”.

Note

1Giulio ANGIONI, “La nouvelle vague sarda”, «La Nuova Sardegna», (18 settembre 2007).

2 Oreste D EL BUONO, “L’isola del mistero”, «Pa norama», (17 luglio 1988).

3.Amalia Maria AMENDO LA L’isola che sorprende. La narrativa sarda in italia no (1974-2006) , Caglia ri,CUEC, 2006.

4.Giuseppe MARCI Roman zieri sardi contemporanei, Cagliari, CUEC, 1991, p. 9.

5 Giovanna CERINA, “Una stagione di straordinaria vi vacità”, «Liberazione», (3 luglio 2005)

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idea di questa intervista nasce per me dall’ope ra presentata da Giovanni Ozzola (Firenze, 1982) quest’an no all’Arsenale di Vene zia. Le antiche rotte delle navi che viaggiavano alla scoperta di nuovi terri tori, si sovrappongono all’idea del segno, della cicatrice sulla pelle, che è insieme memoria del do lore e sua guarigione. Sono partita da qui, in questa intervista, dove l’opera è diventata l’oc casione di approfondi re un percorso artistico come quello di Ozzola: denso, pieno di sfumatu re e ricchissimo di senso.

Maria Cristina Strati: Giovanni, ti ringrazio tantissimo per aver accet tato questa intervista. Sti mo molto il tuo lavoro e in particolare sono rima sta colpita dall’opera che hai presentato a Venezia, alla mostra De Rerum natura, curata da Mara Sartore. Vorrei comincia re da qui, se vuoi, anche perché trovo quell’opera molto attuale…

Giovanni Ozzola: “Sì, io partirei proprio dal tito lo (Scars – towards our selves), forse, perché c’è questa idea del cammino, della cicatrice. Adoro James Hillman e Mar tin Buber. Il cammino dell’uomo di Buber per me è un riferimento, mi ha salvato. Tu conta che io ho fatto tutto da auto didatta: facevo “forca” a scuola, come si dice a Fi renze, per andare a sen tire le lezioni di filosofia

OZZOLA SCARS

all’università.

Poi ho interrotto gli studi, ma ho continuato in manie ra addirittura più densa, sempre come letture, anche se non ho delle basi.

Però L’ Apologia di Socrate o il Fedro, li ho letti con passione. Mi addormentavo con quei libri fra le mani e mi svegliavo con il desiderio di arrivare a sera per poter andare avanti e rileggere ancora.

Non è stata un’imposizione scolastica.

Per me la cicatrice, questo segno che marca la pro va, racconta che sei riuscito a sopravvivere a qualche cosa: ha in sé l’idea del ricordo, una cicatrice in un inconscio collettivo.

Ci sono dei momenti, nella storia delle persone, in cui ciascuno di noi è chiamato a compiere il proprio pezzettino della catena.

E poi ci sono delle persone che, per una serie di ra gioni, oltre a compiere un pezzo della propria catena, fanno anche qualcosa per tutti.

Quelle rotte lì, nell’opera, sono le linee del viaggio di un esploratore. Ho provato a raccogliere tutto il materiale possibile, in tutte le culture e in tutti i docu menti storici di cui abbiamo traccia, a proposito degli esploratori che hanno viaggiato verso l’ignoto.

Per me l’ignoto è il domani, ha a che fare con l’impa rare a fronteggiare le nostre paure.

Foto collezionedatiffany.com
L’
GIOVANNI

Gli esploratori sono state persone che hanno spinto piano piano l’ignoto lontano da noi.

Prima si condivideva uno spazio con l’ignoto, le per sone avevano dei luoghi e condividevano il loro tem po e il loro spazio con qualcosa di sconosciuto.

Ma è trasversale a tutte le culture questo bisogno di spingere l’ignoto lontano da noi, in modo da fronteg giare le paure e camminare verso quel simbolo così forte che è l’orizzonte, a cui non si arriva mai.

Questo tema è sempre presente nelle mie opere, men tre la figura umana è totalmente assente, perché è rappresentata piuttosto da chi guarda l’opera.

Un’altra cosa importante è il metodo con cui ho fatto il lavoro: l’incisione, qui, è una sorta di graffio, di cicatrice, simile ad un’incisione rupestre.

È il bisogno ancestrale di segnare il nostro passaggio come individui sulla terra, marcare la nostra indivi dualità.

Il segno, nel lavoro, viene fatto sull’ardesia, una pie tra sedimentaria che è un po’ come la memoria.

Strato dopo strato, memoria dopo memoria, quel graffio, quell’incisione rimane, segna: è appunto una cicatrice.

Il nero dell’ardesia rimanda invece all’inconscio col lettivo, all’universo, ma anche al mare.

A me piace molto andare a vela: viaggiare di notte

è completamente diverso che viaggiare di giorno.

È appassionante, perché si è costretti a confron tarsi con le proprie paure costantemente.

C’è questa relazione tra un desiderio e una paura.

Il desiderio fondamental mente è vita, è la tensione a cercare di diventare ciò che veramente sei. È la paura che è mortifera e non ti permette di diven tare te stesso.

In quel lavoro ci sono tut te queste rotte, una sopra sopra l’altra.

Le ho collezionate, le ho cercate nei musei, colle zionando tutto il mate riale che va da 3000 a C fino al 1926, mi sembra, quando fu scoperta l’ul tima isola nel Pacifico.

Le varie rotte che si so vrappongono finiscono per formare una mappa.

Una mappa che è pro fondamente umana, che riguarda tutti noi come umanità. Non contano le differenze tra est, ovest, tu, io.

L’intersecarsi delle varie rotte racconta il modo in cui, come umanità, ab biamo mappato il mon do, come abbiamo spinto l’ignoto lontano da noi, anzi, oramai fuori dalla terra e ora il nostro nuo vo orizzonte è l’universo.

Ma poi a me interessa ri portare tutto questo alla storia individuale: ognu no di noi credo dovrebbe cercare di conoscersi, di mapparsi, di capirsi, di prendere coscienza di sé. Per poi guardare fuori, intorno a sé”. (segue pagina 48)

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(segue dalla pagina 47)

M.C.S.: Come dice Buber…

G.O.: “Sì, certo. C’è un percorso dentro sé stes si, ma è necessario non prendersi come fine di tutto il percorso, bensì guardare fuori, agli altri. Credo che quando si raf forza il singolo e metti più singoli insieme hai un gruppo. Ma se l’indi viduo non ha coscienza di sé, se non hai un sin golo, alla fine non hai più un gruppo, ma un gregge. Per me tutto parte dall’individuo, dalla con sapevolezza di sé stessi, da noi, ma non in chiave individualistica.

Perciò, in quel lavoro, la geografia fisica è total mente assente, si vede per assenza. Ma quello che si vede è la nostra geogra fia, la narrazione di come ci siamo mossi nel corso dei secoli, come gruppo e come anima”.

M.C.S.: Questo è mol to bello. Vuol dire che il fine è fuori di noi, ma nello stesso tempo è cer cando noi stessi che lo troviamo, e troviamo gli altri… G.O.: “Sì, credo che cer cando di diventare noi stessi abbiamo anche la capacità di vedere l’al tro. Se no, per paura, per incapacità e mancanza di coscienza di sé stessi e della propria individuali tà finiamo per aver paura del diverso.

Se io so chi sono, che tu sia bianco, nero, gial lo, che ti piaccia questo o quell’altro, io non mi sento minacciato, riman

go io. Il problema nasce quando tu con il tuo essere mi turbi, perché io magari non ho un centro e non conosco me stesso, e fondamentalmente tu allora rap presenti una mia paura…”.

M.C.S.: Mi fai venire in mente un libro che ho letto di Y. Mounk che parla del grande esperimento della società multietnica, del tentativo delle grandi demo crazie di far vivere insieme armoniosamente gruppi diversi, nel rispetto delle differenze reciproche, all’in terno di una visione democratica dei rapporti tra per sone e non una visione populista. Ritornando a quello che dicevi prima, in una prospettiva populista il po polo è visto come gregge, mentre quando il singolo conosce sé stesso e si realizza come individuo, impara anche a relazionarsi proficuamente con gli altri, pure se sono diversi per cultura, religione o etnie. C’è una libertà che viene dall’individualità ben coltivata e non dal suo annullamento.

G.O.: “Certo, poi c’è sempre quella linea che sono le leggi, stando sulla politica, c’è una legge e si ap plica, nel senso che c’è tutto un grande oscillare tra idee e paure diverse, paura di far rispettare una cosa o metterla in discussione… C’è veramente un mondo tutto bloccato dalle paure, legato anche a cose che bisogna dire anche se non ci si crede, oppure cose che andrebbero dette, ma che non si possono dire…”.

Foto collezionedatiffany.com

M.C.S.: Ma fortunatamente le opere d’arte aprono sempre prospettive infinite! Il viaggio verso sé stessi permette di conoscere e accettare l’altro…

G.O.: “Proprio così. Perciò nei miei lavori l’essere umano, che è il visitatore, diventa l’unità di misura del paesaggio. È come quando Hillman parla di mito di Psiche, nel Fedro di Platone, e dice che noi siamo dentro la psiche, ne facciamo parte. C’è questa rap presentazione in cui sei dentro a un tutto…”.

M.C.S.: Protagora diceva che “l’uomo è misura di tut te le cose, di quelle che sono in quanto sono e quelle che non sono in quanto non sono”.

L’idea di ritrovare il senso attraverso la strada traccia ta dalle antiche rotte delle navi è qualcosa di profon damente poetico e intensissimo, che davvero ci dice qualcosa di profondo. Perciò non mi ha sorpreso che Buber fosse tra i tuoi riferimenti…

G.O.: “Sì, e questi temi sono tanto più importanti in questo momento…. Oggi il mondo si è ristretto. Il mio mondo una volta era più grande oggi, dopo il covid è diventato più piccolo. Prima avevo un’altra percezio ne del mondo, del mio spazio. Andavo tre quattro volte l’anno in Asia, in sud Africa, ero sempre in viaggio e in aereo. Oggi tutto è cam biato, anche nelle relazioni umane. Per esempio non vedo più i miei amici cinesi, i miei contatti orientali.

Se penso al mio inverno è limitato all’Europa…”. M.C.S.: Questo anche a causa degli eventi geopo litici che si sono verifica ti…

G.O.: “Certo, sono suc cesse e stanno succeden do cose pazzesche e ora pensare, come diceva Hillman, che siamo uno, come umanità, non è ba nale, per me. È vero che nel lavoro ci sono più tracce e scritti di viaggi e rotte di navi, conquista tori e storie di scoperte europee, ma fermarsi a questo è veramente come guardare il dito e non la stella… La mappa è no stra, racconta un bisogno che è di tutte le culture, qualcosa che ci riguar da tutti come umanità. Siamo vicini, fratelli, an che se in questo periodo storico ci stiamo di nuo vo dividendo tra nazioni e sovranismi… Ci sono memorie e fantasie con divise, sempre. Ognuno si sente diverso, ma in re altà l’umanità è una sola, siamo un unico gruppo e una sola umanità”. M.C.S.: Quello che dici è poetico, ma anche etico. Ci dice qualcosa della nostra vita personale, ol tre che collettiva. Nella fine c’è l’inizio, come recita il titolo di un libro del teologo tedesco Jürg en Moltmann… Come dire che l’inizio si vede veramente solo alla fine del percorso, solo alla fine del cammino si vede chi sei.

E se la fine scopre il sen so dell’inizio, allora tutto è sempre aperto verso il

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futuro, è pervaso di un entusiasmo profondo…

In più tu vedi queste rotte come cicatrici, quindi c’è anche il senso della gua rigione…

G.O.: “Sì, è l’dea del su peramento della prova, o se vuoi la prova di un superamento… Dice che qualcosa che prima era sospeso ora ha trovato una soluzione…”. M.C.S.: È sempre bellis sima la cicatrice che mi ricorderà di essere stato felice, cantava Samuele Bersani. Ma questi temi ritornano anche in altri tuoi lavori… Per esem pio, parliamo della tua mostra a Pechino, inau gurata a gennaio…

G.O.: “Quella è una mo stra sull’idea delle tracce del vento.

Tu hai citato Samuele Bersani e io lì in un’o pera cito De Gregori, quando dice “e qualcosa rimane delle pagine chia re…”, pensando alla luce e all’oscurità, alla dialet tica tra luce e ombra.

Le tracce del vento sono qualcosa che succede… E poi rimane. Là la Gal leria Continua ha uno spazio enorme, 1200 me tri quadrati, e io in quello spazio creo una dialetti ca di giorno e notte, una sorta di respiro.

Hai presente quelle giare con dentro le piante che diventano un sistema a sé stante, una sorta di mi crocosmo o microsistema vitale, un sistema indi pendente? Avevo in men te qualcosa del genere. Noi camminiamo nello spazio espositivo, passia

mo attraverso delle epifanie, attraverso dei momenti di leggera chiarezza, di intuizione, dove per un mo mento intuisci magari una verità, e passi da un’opera all’altra, da un inizio all’altro…

Ogni volta non sai mai se è una fine o un inizio, se è un tramonto o un’alba, come dicevamo prima, c’è questo continuo chiudersi ed aprirsi di nuovo. Si tratta di lavori diversi tra loro.

È stata una cosa abbastanza strana.

Nelle opere si sperimenta una perdita dell’individua lità dentro un orizzonte infinito, ma anche qualcos’al tro.

Perché, come in tutti i miei bunker, poi c’è tutta una serie di contrasti, anche tra mare e cielo e a livello cromatico, in alcune occasioni.

La mostra parte da una grandissima sala, dove c’è una parete di 18 metri per 21, che altro non rappre senta che uno dei miei bunker.

Ci sono graffiti sui lati e c’è l’orizzonte, questo sim bolo potentissimo. Ci troviamo in un luogo chiuso, eppure la sensazione è molto diversa…

Dall’esterno, tu entri in una galleria, ti aspetti di sen tirti in un luogo chiuso e invece hai questa apertura su un luogo altro.

Ti trovi di fronte al mare, di fronte all’orizzonte. Questo è un simbolo che è quasi un sogno.

Foto collezionedatiffany.com

L’allestimento aveva una dimensione naturale, e cre ava perciò nei visitatori un senso di spaesamento ri spetto allo spazio.

Esci dalla città… Tu sei a Pechino, che è un mostro di asfalto, e di colpo ti ritrovi di fronte al mare. È questa l’esperienza del paesaggio in cui perdi in dividualità.

Poi nello spazio ci sono anche delle frasi in neon. In un altro lavoro il neon dice una frase in spagnolo che tradotta in italiano dice: “la tua bocca è la mia misura.”

La frase è rivolta da me allo spettatore, perché, dopo la dispersione, la perdita di riferimenti spaziali, vole vo riportare lo spettatore in un punto preciso. In quel punto lì.

Nel punto preciso del corpo e dell’individualità, per poi mettersi in gioco rispetto all’altro, e all’opera d’arte.

La tua bocca diventa la mia unità di misura, vuol dire che il tuo essere, il tuo verbo, la tua parola, in altre parole tu, diventi l’unità di misura della mostra, di tutto quello che vedrai.

Non è un lavoro estremamente facile. Molti lo leggono superficialmente, si fermano alla prima vernice del significato e lo vedono come qual cosa di romantico.

Certo, c’è anche quella leggerezza, il riferimento a una relazione di amore, di attrazione.

Ma per me il lavoro ha un valore un po’ più den so, riporta proprio all’in dividualità, al tuo pensie ro, al logos.

Tu diventi il metro con cui fare esperienza di quello che hai intorno. Mentre nell’altro lavoro al neon c’è quell’altra frase che dicevo prima, in cinese…. E qualcosa rimane. E tra le due ope re c’è un rapporto”.

M.C.S.: Per te è sempre molto importante la pre senza dello spettatore… G.O.: “Sì, le opere sono belle con le persone che le abitano. E in que sto caso è andata molto bene. Ci sono state mil le persone al giorno nei weekend, ha avuto molto successo, c’è stato molto general public, centinaia di persone al giorno con la fila fuori dal museo come per la Kusama…”. M.C.S.: Non mi stupisce. Il tuo lavoro va a smuo vere delle corde profon de, qualcosa che tocca tutti e non solo gli addetti ai lavori…

G.O.: “Ma nella mostra ci sono anche altri lavori. Per me sai, i lavori sono parole compiute, perciò se li metti l’uno accanto all’altro crei qualcos’al tro, una sorta di discorso o di poesia.

Per esempio, per le scale tutto il soffitto è una stel la.

È un omaggio a Giotto, un cielo stellato che ho fotografato durante il

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lockdown qui nell’isola di Tenerife, dove si vede davvero la volta celeste perché siamo a 3800 me tri sul livello del mare. È una foto quasi scienti fica, che però sottolinea il rapporto con la storia dell’arte e della pittura, ma è anche il tentativo di mostrare la relazione tra l’io, lo spazio che occupa il mio corpo e il cosmo intero. C’è la dialettica tra luce e buio, scono sciuto e stella guida, noi dove ci troviamo e la pos sibilità di andare verso la luce, orientando il nostro cammino. Il tema è anco ra quello delle rotte del le navi. Sono lavori fatti su vetro con una tecnica particolare, hanno due lati da cui possono essere guardati, perciò c’è an che un dentro e un fuori: è spaesante”.

M.C.S.: C’è anche una dialettica tra aperto chiu so, luce buio, artificiale e naturale…

G.O.: “Sì, perché per me la cosa importante è sempre andare verso un’armonia, in questo sguardo. Questi lavori sono bun ker, cioè luoghi dove non potresti vivere, perché saresti schiacciato dai segni, dalla memoria. Non potresti sostare in questi posti se non ci fos se la finestra, aperta su uno spazio infinito. Eppure anche questo orizzonte infinito può es sere pauroso. Saresti in una sorta di perenne indistinto, se non avessi il bunker che ti protegge.

https://collezionedatiffany.com/

collezionedatiffany.com

Qui è la dialettica, e anche l’armonia. E va letto su più livelli.

Voglio dire che tutte le tue cicatrici, le tue rughe, tutto ciò che hai, da un lato ti protegge, ma dall’altro ri schia di chiuderti.

È un po’ come stare dentro una scatola cranica, saremmo schiacciati se non ci fosse ciò che viene dall’altro, il desiderio, la forza, la vita.

Eppure tutto ciò che è segno, cicatrice, memoria, sca tola cranica, è anche quello che ti dà una forma, una struttura: non puoi vivere senza l’uno e senza l’altro dei due termini, scatola cranica e infinito, hai biso gno di un’armonia.

Perciò dico che tuta la mostra è una sorta di microco smo, perché in tutti questi contrasti si crea una linea di armonia o, meglio, di bilanciamento, dove l’assen za di una presenza umana viene fullfilled, colmato, da chi guarda.

E qui si ritorna a quello che dicevamo…”. M.C.S.: Mi ha colpito quando dicevi che la tua bocca è la mia misura, nel senso della misura della mostra, delle opere esposte.

Lo spettatore è la misura della mostra, di tutto ciò che vede. È lui o lei che porta un bilanciamento… G.O.: “Vero, ci sono delle forze e lo spettatore diventa il fulcro”.

scars-towards-ourselves-inter vista-a-giovanni-ozzola/ Foto

M.C.S.: Tutto ciò è bellissimo. Stai lavorando a nuovi progetti, in questo momento?

G.O.: “Ci sono molti progetti in lavorazione, ma an cora non ne posso parlare. Sto però pensando a un progetto che prende spunto da San Mao. Ma dal mio punto di vista non conta nulla né che sia una donna, né che sia cinese. San Mao è un personaggio mol to popolare in Cina. Lei è stata nelle Canarie e tutti hanno viaggiato con la fantasia con i suoi scritti. Lei è un essere umano che ha rotto tutte i clichè e che ha sempre viaggiato verso l’orizzonte. Vorrei rendere in un video il suo viaggio, che dal Sahara la portò alle Canarie. Un essere umano che continua a cammina re per sempre, verso quel luogo dove non si tornerà mai…”.

M.C.S.: Così torniamo a Buber, alla fine c’è l’inizio!

G.O.: “Proprio così. Poi ci sono tanti altri progetti, ma ancora sono in embrione. Dovremmo partire dal titolo…“

Maria Cristina Strati

Vive e lavora a Torino. Studiosa indipendente di filoso fia, è critica e curatrice di arte contemporanea, nonché autrice di libri, saggi e racconti. Convinta che davvero l’arte sia tutta contemporanea, si interessa al rapporto tra arte, filosofia e quelli che una volta si chiamavano cultu ral studies, con una particolare attenzione alla fotografia.

PATRIZIA ZANOTTI/CORTO MALTESE

Corto Maltese è senza ombra di dubbio uno dei personaggi più amati e iconici del fumetto mondiale, ma anche un vero e proprio mito letterario del Nove cento.

Antieroe che alla ricchez za preferisce libertà e fantasia, questo moderno Ulisse si presentò per la prima volta ai lettori nel 1967, con la storia Una ballata del mare salato, graphic novel anti-lit teram che avrebbe fatto scuola.

Da quel momento in poi il marinaio gentiluo mo nato dalla penna di Hugo Pratt avrebbe sol cato mari e combattuto nemici, per un totale di trentatré avventure di va ria lunghezza, pubblicate senza una periodicità fis sa per più di sei decenni. In vista del prossimo li bro della collana (dal titolo Notturno Berlinese, in uscita per Rizzoli il 27 settembre) una nuo va rassegna celebra la storia e il mito di questo eccezionale personaggio simbolo della nona arte nazionale.

Succede al Palazzo di Città di Cagliari, dove fino al prossimo 4 di cembre oltre duecento opere saranno proposte al pubblico con lo scopo di ripercorrere i viaggi del celebre marinaio.

Sono nove nel complesso i “capitoli” che scandi scono la mostra, dal titolo Corto Maltese – Verso nuove rotte. (segue pagina 54)

53 Foto collezionedatiffany.com

(segue dalla pagina 53)

Curato da Patrizia Zanotti, il percorso di visita presenta disegni, acque relli, tavole originali e rarissime, in parte pre sentati lo scorso anno al Palazzo Ducale di Geno va.

Accompagnate da instal lazioni multimediali, le opere puntano a indagare aspetti diversi dell’im maginario legato all’av venturiero.

Si passa dal focus sulle terre africane (dove Pratt trascorse l’adolescen za) a quello sulle donne (muse, amanti e figure mitiche della letteratura omaggiate da Pratt in ma gnifici acquerelli), fino all’“episodio” espositivo Mari del Sud, che inclu de anche uno scafandro da palombaro di proprie tà della Marina Militare. Organizzata da CMS Cultura, la mostra sarà arricchita nel corso dei prossimi mesi da nume rosi appuntamenti ed eventi collaterali legati ai linguaggi del fumetto e dell’illustrazione.

Il tuo rapporto con Hugo Pratt è speciale, e risale agli Anni Settanta. Per lui sei stata colorista sin dalla giovane età, e da oltre dieci anni curi mo stre dedicate al suo lasci to. Com’è nato l’incontro con il disegnatore? Ho conosciuto Hugo Pratt e Corto Maltese quasi nello stesso mo mento, a Milano, nel 1978. Una domenica Pratt venne a pranzo dai miei genitori e mi regalò un suo libro:

Una ballata del mare salato.

Regalandomi quello splendido volume delle Edizioni Albatros, un pezzo di storia editoriale, Pratt mi portò lontano dal classico mondo di una normale studen tessa liceale milanese, mi fece scoprire la sua “let teratura disegnata” e mi propose di colorare le sue storie.

In pratica mi offrì di entrare nel suo mondo e di par tecipare concretamente al suo universo artistico.

Non ci pensai molto, presi la decisione al volo e ini ziai a lavorare per lui pensando a una semplice espe rienza di mesi e invece mi ritrovo, a distanza di 40 anni, a gestire la sua opera.

Una grande fortuna umana e professionale… Ho avuto il grande privilegio di passare molto tem po con Pratt, in viaggio, nelle ore di lavoro, durante il girovagare per librerie sparse in tutto il mondo, e questo mi ha permesso di avere con lui un rapporto di vera amicizia.

Pratt era una persona curiosa, aveva un modo di ve dere la vita aperto e pronto a mettersi sempre in di scussione, non dava mai niente per scontato e quan do trovava qualche argomento che lo intrigava non si fermava alla prima interpretazione, andava a fondo con passione, confrontava sempre altre risorse per arrivare soltanto alla fine al suo punto di vista.

giorgiomarturana
Foto

Pratt diceva che ci sono tredici modi di raccontare la stessa storia, e che bisogna sempre cercare di trovare quella più vicina alla verità. Secondo lui bisogna partire da basi storiche e reali per poi inventare qualcosa che pur essendo una fin zione abbia l’aria di essere possibile. Questo era il gioco in tutte le sue creazioni, mischiare realtà e fantasia, storia e sogno.

Corto Maltese è certamente il personaggio simbolo della sua produzione. Che rapporto aveva Hugo Pratt con il marinaio?

Corto e Pratt avevano una relazione amichevole e mai antagonista: possiamo immaginare che la loro fosse un’amicizia fra due marinai che ogni tanto s’incon trano in un porto e partono per un’avventura insieme. Pratt diceva spesso che il suo rapporto con Corto era estremamente rispettoso: “lo lascio in pace per lun ghi periodi nei quali può andare dove vuole e io mi posso dedicare a raccontare altro”.

Sicuramente non faceva parte del carattere di nessu no dei due prevaricare l’altro e, in generale, gli altri. Eppure in un certo senso Corto è diventato ancora più famoso del suo creatore nel corso degli anni… Certo, perché rappresenta un’icona di libertà e di ri spetto verso le altre culture. Di questo Pratt sarebbe orgoglioso e felice, non certo geloso.

Per un autore, aver cre ato un personaggio che continua a vivere in ma niera autonoma è quanto di meglio si possa deside rare e, in ogni caso, era quello che Pratt ha sem pre desiderato per Corto. Corto è un personaggio che viene letto anche da chi solitamente non legge fumetti, è un personaggio trasversale e trova ap passionati in diversi am biti della cultura.

E tu, invece, che rapporto hai avuto e hai oggi con Corto Maltese?

È stato un rapporto e un incontro che hanno stra volto la mia vita.

L’avventura che mi è ca pitata incontrando Pratt in un’età di formazione mi ha portata a vivere esperienze importanti che mi hanno cambiata e aperta al mondo in ma niera differente.

É stata e continua a esse re una bellissima avven tura, per questo mi sento privilegiata ad aver po tuto far parte di un trat to della vita di un artista straordinario come Hugo Pratt.

Di sicuro, manca il con fronto quotidiano, la sua presenza era una sicurez za e la sua assenza mi ha lasciata orfana di questo, ma i suoi insegnamenti sono stati fondamenta li per portare avanti nel modo più coerente possi bile la sua opera anche con la ripresa delle nuo ve storie di Corto Malte se.

La mostra di Cagliari ar riva come tappa successi va (segue pagina 56) (se

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gue dalla pagina 55)

alla rassegna dello scorso anno al Palazzo Ducale di Genova.

Quanto i due progetti espositivi si discostano, e in cosa sono simili?

La mostra di Genova era stata incentrata sul la nascita di Corto Mal tese avvenuta proprio in quella città nel 1967 col debutto della rivista Sgt. Kirk, che ospitava nel primo numero le prime tavole di “Una ballata del mare salato”.

A Cagliari, come sempre succede quando si arriva in un luogo diverso, l’i dea di prediligere il mare ci è sembrata naturale e in linea con lo spirito di Hugo Pratt che, crean do un marinaio usava il mare come elemento di unione e di contatto con usi e costumi di tante al tre culture.

Abbiamo anche eviden ziato come Pratt avesse toccato la cultura sarda facendo incontrare Cor to Maltese con un antico marinaio Shardana nella sua ultima avventura dal titolo Mū il continente perduto.

La scelta di esporre il progetto ancora una volta in una città di mare non sembra casuale. La corni ce di Cagliari e dell’iso la sembra infatti perfetta per evocare e far assapo rare al pubblico l’imma ginario prattiano.

Penso che Pratt avesse scelto un marinaio, in nanzitutto perché era il tipo di personaggio che scaturiva nella manie ra più naturale dal suo

mondo di ricordi giovanili e dal suo universo cultu rale, ma anche perché attraverso le avventure di un marinaio avrebbe potuto raccontare le cose che ama va di più: l’importanza e il senso del vero viaggiare, il lento trascorrere del tempo a bordo di un veliero, i silenzi, la possibilità di raggiungere isole lontane anche nel senso metaforico del termine; lo scoprire culture e abitudini esistenziali sconosciute; l’amicizia e la necessità di complementarietà di ciascun mem bro dell’equipaggio.

La leggerezza delle storie di Pratt è come lo scivolare di un veliero sul mare, o come il volo di un gabbiano: ci porta lontano e senza rendercene conto ci può aiu tare a capire meglio noi stessi e quello di cui abbiamo davvero bisogno. Da quasi sessant’anni Corto solca i mari della lettera tura, e la sua fama non accenna a placarsi. Cosa rende un personaggio di questo genere ancora così attuale? Cos’ha ancora di insegnarci, oggi? L’aspetto più interessante dell’intera opera di Pratt è dato dal fatto che continua a suscitare interesse nelle nuove generazioni. Corto è diventato un’icona: è un marinaio apolide e senza confini, è un classico atemporale per i valori che rappresenta, primo fra tutti la libertà, ma anche il rispetto e l’apertura verso gli altri e verso le altre

Foto giorgiomarturana

culture.

Hugo Pratt inventa Corto Maltese nel 1967 e oggi, a distanza di più di 50 anni, il suo personaggio è attuale e l’opera intera di Pratt rappresenta un compendio di arte, fumetto e letteratura.

Forse Corto è diventato un mito perché non ha mai voluto esserlo, è un personaggio che cerca semplice mente di essere se stesso, è libertario, un po’ anarchi co e un po’ individualista, ma resiste impavido al tempo e alle mode perché non le cerca e non le insegue. Corto è un amico che ci spinge senza parole né spie gazioni a essere noi stessi, per questo è bello conti nuare a viaggiare con lui.

C’è un filo rosso che collega le avventure e gli incon tri di Corto, è una geografia nuova, è la mappa dello spaesamento dove scompaiono distanze e confini che si trasformano in liberi, liquidi, transiti. Corto è come un mare aperto, pieno di possibilità. Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Cor si di perfezionamento in Arts and Heritage Manage ment (Università Bocconi) e Arts and Culture Strate gy (Università della Pennsylvania). Tra le istituzioni

con cui ha collaborato in questi anni: ZachetaNational Gallery of Art di Varsavia, Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, Padiglione Polacco - 16. Mostra Internazionale di Architettura Biennale di Venezia, Fondazio ne Benetton (catalogo “Imagus Mundi”), Adam Mickiewicz Institute. Nel 2017 è stato curatore della “Biennale de La Bi che”. Dal 2014 scrive di arte per Artribune. Sem pre per Artribune cura “Fantagraphic”, la ru brica di fumetti del sito. Suoi articoli e testi critici sono apparsi su cataloghi e testate di settore nazio nali e internazionali. http://www.alexurso.com https://www.artribune. com/editoria/2022/09/fu metti-corto-maltese-hu go-pratt-cagliari/

Corto Maltese

e Hugo Pratt

sbarcano a Cagliari

La città di Cagliari rende omaggio a uno dei per sonaggi più iconici del mondo del fumetto con temporaneo : corto Mal tesde, il celebre marinaio creato da Hugo Pratt. Una mostra ne racconta il mito, con oltre duecento opere tra disegni e acque relli originali.

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fino al 4 dicembre 2022 Piazza Palazzo, 6 09124 Cagliari Tel. 070
6482 https://sistemamuseale. museicivicicagliari.it/ palazzo-di-citta/Patrizia Zanotti vedi video https://youtu.be/ Nz6Ek8XTm9Q

Dopo diciotto anni la sagra del Cuscus si trasforma in un Festival In ternazionale dedi cato al piatto tipico di un isola dalle profonde radici tabarchine.

Dopo il successo dello scorso anno, con oltre 40 mila visitatori, torna a Carloforte per la seconda volta il Festival Interna zionale del Cous Cous, il piatto tipico di un isola dalle profonde radici ta barchine.

Lo annuncia l’associa zione “Ciao Carloforte” che intende realizzare un evento capace di va lorizzare le potenzialità enogastronomiche carlo fortine, partendo proprio dal suo piatto principe il “Cascà”, come qui viene chiamato, ma che trova corrispondenze in tutto il Mediterraneo.

Partendo da questo pre supposto gli organizzatori intendono far confluire nell’isola di San Pietro cuochi provenienti da tutto i Paesi nei quali il Cous Cous viene con sumato; dalla Sicilia al Magreb, dal Marocco alla Tunisia e naturalmente dalla Sardegna per dar vita a laboratori e scambi culturali, eventi enoga stronomici, esposizioni di utensili e prodotti legati a questa particolare pasta. “Il profumo del Cous Cous – dicono gli orga nizzatori – deve impre gnare l’aria dell’intera isola per dare valore a un prodotto che accomuna e unisce così tanti popoli ”. L’appuntamento con il fe

stival Internazionale “Cascà22” è dal 1 al 2 ottobre e l’organizzazione “Ciao Carloforte” si è impegnata per ospitare al meglio i visitatori e mostrare tutta la bellez za di un isola che in questo periodo autunnale è ancora più suggestiva.

Un intenso programma attende gli ospiti, ma l’ottobre tabarchino non finisce qua, tra il 15 e il 16 ottobre l’i sola ospita la manifestazione “Carloforte a KM0, dal campo alla tavola”, degustazioni, artigianato e divertimento a KM0.

Dopo il fantastico Festival Internazionale del CASCÀ 2022 vi aspetteremo per altre giornate ricche di sapori, colori e profumi.

Queste giornate termineranno domenica 16 ottobre e oltre il villaggio espositivo avremo laboratori, anima zioni e delle degustazioni di prodotti carlofortini.

CHI SIAMO

Il Consorzio Arcobaleno Carloforte e’ un insieme di operatori commerciali, artigianali e dei servizi che ope rano in modo comune ed organizzato per migliorare le loro attività valorizzandole e riqualificandole, pertanto rivitalizzando il centro urbano e l’Isola di San Pietro al fine di migliorarne l’accoglienza in un contesto di sostenibilità ambientale. Commercializza prodotti di eccellenza del territorio come il tonno rosso di qualità. iò che è certo è che la puls fosse una delle ricette più

TUTTI A CARLOFORTE PER #CARLOFORTE KM0 DAL CAMPO ALLA TAVOLA. Degustazioni, artigianato e divertimento a km0 CONSORZIO ARCOBALENO CARLOFORTE Corso Cavour 35, 09014Carloforte (SU) Lunedì—Sabato: 09:00–18:00 Tel.:0781/855298 consorzioarcobaleno@tiscali.it https://www.cascafestival.it/news/

Cdiffuse e apprezzate dell’Antica Roma. Per semplificare l’immaginazione di questo piatto potremmo descriverlo come una sorta di polenta, la cui consistenza, però, poteva richia mare anche quella del porridge inglese a secon da degli ingredienti usati.

La puls era generalmente a base di cereali: gli antichi Romani raccoglievano e macinavano il grano, oppure il miglio, o ancora il farro, e ne facevano una farina non finissima che veniva poi lasciata bollire fino ad acqui stare una consistenza morbida.

All’inizio, per via del fatto che bastavano pochi ingre dienti per farne grandi quantità, la puls era un cibo de stinato ai soldati.

Veniva preparata in un grande paiolo in metallo e poi distribuita all’interno del contubernio, la tenda dove i soldati vivevano.

Con il passare del tempo divenne invece un cibo piut tosto comune, amato sia dai Patrizi che dai Plebei. Ciò che cambiava, ovviamente, erano gli ingredienti: se le classi povere si accontentavano di condire il puls con verdure o scarti di animali, per i Patrizi le varianti erano molte di più.

Durante i banchetti la puls poteva essere servita con pe sce appena pescato, carne d’agnello, verdure freschis sime e, ovviamente, con una grande quantità di spezie.

Non era raro nemmeno l’accostamento con il moretum, un tipo di formag gio cremoso con erbe e noci.

La variante più pregiata della puls era la cosiddet ta puls punica: il cereale utilizzato per fare la fari na di base era il farro me dio, chiamato alica, che veniva poi unito in cottura a uova, miele e formaggio dolce.

Qualsiasi fosse la varian te, di sicuro era una vera golosità che si gustava in famiglia, attorno al tavolo e immancabilmente ac compagnata dal vino.

Puls:

un’antica ricetta della cucina romana la puls antica roma

Questa ricetta sussiste an cora oggi nel Nord Afri ca, dove si erigono ancora oggi le vestigia dell’archi tettura romana e non ulti me le terme che furono immediatamente incluse nella loro cultura dagli Arabi che inventarono i cosidetti bagni turchi, gli Hammam diffusi non solo in tutto il Mewditerraneo ma oggi anche in Europa. La ricetta romana sotto il nome di couscous vie ne preparata secondo che ci si trovi in Marocco, in Algeria, in Tunisia oppure in Libia con delle varian ti, ma la base rimane sem pre la semola grossolana condita con un brodo di legumi e carne, accompa gnata da uva passa, ceci, fagioli, cotolette d’agnel lo e spiedini di manzo arrostite alla brace, salsic cie d’agnello piccanti dite merguez e naturalmente la salsa piccante chiamata harissa, poi da Tabarka fu importata dai Pegliesi a Carloforte.

Si dice che fosse cremosa e dal profumo delicato e invitante.
Si dice anche che potesse essere sia dolce che salata.
La puls punica anche con carne diventata poi couscous
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