SARDONIA Ventinovesimo anno/Vingtneuvième année Dicembre 2022/ Décembre2022 https://www.vimeo.com/groups/sardonia https://www.facebook.com/sardoniaitalia Foto antoniotarquini Manca Spazio alla Nuvola MURA Maria Assunta Volpi Nannipieri Tea C. Blanc Artisti a Casa TripleF Filippo Nissardi Macho non abbastanza bonobo Sara Collu Architetto Al Volo Restaurant Gestuability Andrea Ferrero Mileva Maric Einstein Reinas e Tesori a Villacidro Mara Damiani Fuoco Debole e Vita Centenaria Domus de Janas La Rocca Intervista a Rosita D’Agrosa Gramsci Ales 5.0 Sui tramonti della mia Terra Mara Damiani Luisanna Napoli e su Bogginu Bogino e la Sardegna Giovanni Battista Lorenzo Bogino I Savoia dal 1718 a Sa Die de sa Sardigna Flotta Francese attacca Cagliari Omaggio a Wilma Labate
Cagliari Je T’aime
Programma di creazione di Esposizioni e Manifestazioni Artistiche nella città di Cagliari a cura di
Marie-Amélie Anquetil Conservateur du Musée du Prieuré Directrice de la revue “Ici, Là bas et Ailleurs” Espace d’exposition Centre d’Art Ici, là bas et ailleurs 98 avenue de la République 93300 Aubervilliers marieamelieanquetil@ gmail.com https://vimeo.com/channels/ icilabasetailleurs
Vittorio E. Pisu Fondateur et Président des associations SARDONIA France SARDONIA Italia créée en 1993 domiciliée c/o UNISVERS Elena Cillocu via Ozieri 55 09127 Cagliari vittorio.e.pisu@email.it http://www.facebook.com/ sardonia italia https://vimeo.com/groups/ sardonia https://vimeo.com/channels/ cagliarijetaime
SARDONIA Pubblicazione dell’associazione omonima Direttore della Pubblicazione Vittorio E. Pisu Ange Gardien Prof.ssa Dolores Mancosu Maquette, Conception Graphique et Mise en Page L’Expérience du Futur une production UNISVERS Commission Paritaire ISSN en cours Diffusion digitale
uesto numero di Sardonia, che conclude quest’anno che è stato anche quello di qualche assenza, giustificata da un surplus di impegni, sia per l’organizza zione di esposizioni che per la ricerca di nuovi spazi espositivi.
La Via San Domenico, che ha accolto tutto il ciclo della pri ma serie di “Meglio una Donna” ed anche la Via Santa Mar gherita, non ci sono più accessibili.
Questo non ci ha impedito di organizzare non solo le mostre di Tiziana Marongiu e delle sorelle Sara & Stefania Pedoni all’Arrubiu Art Gallery Cafè, ad Oristano, spazio espositivo gestito da Chiara Cossu, insieme alla quale abbiamo organiz zato la Collettiva di Fotografia con il sostegno di Ici,là-bas et ailleurs, associazione parigina di cui sono anche il redattore della rivista omonima e che ci ha inviato Jean Sebastian, che espone attualmente a Parigi, e ci ha inoltre permesso di invitare non solo Jean Turco, che ci fa l’amicizia e l’onore di partecipare con i suoi favolosi clichés di nature mortes, ma anche Sophie Goullioux , Yannick Perrin e Benjamin Au dour, ed il concorso di Palazzi A Venezia, il mitico mensile arrivato al suo trentaquattresimo anno di pubblicazione Il vernissage é stato un vero successo e la mostra é visibile fino all’8 gennaio prossimo. All’occasione della presentazione del catalogo, altre sera te saranno organizzate con la sperimentazione di proiezioni immersive ma aspettiamo di conoscere i dettagli. Nel frattempo a Cagliari potete sempre vedere trentacinque scorci della città attraverso le linoleographie che espongo alla Grotta Marcello, notissimo locale della Piazza Yenne, ultimamente coronato fra i migliori ristoranti d’Italia. Questo numero, comporta non meno di settantasei pagine, sia perchè é difficile scegliere fra le informazioni sia dell’at tualità che ormai storiche che ci piace di proporre alla vostra curiosità sperando soddisfarla.
Nonostante la situazione non tenda veramente a migliorare, tra come back della pandemia e ormai dieci mesi di guerra in Ucraina, senza parlare degli altri conflitti che alliettano il pianeta, la conferenza sul clima é stata come al solito inca pace di prendere delle decisioni serie e sia in Russia che in Cina la popolazione incomincia a dare segni di insofferen za rispetto al regime che gli é imposto, aggiungendo quindi all’inquietudine ambiente motivata dalla penuria di materie prime, dall’inflazione e dalle catastrofi naturali sempre più frequenti.
Nonostante tutto continuiamo a credere che se l’Arte non salverà il mondo ci permette almeno di migliorare il nostro quotidiano fornendoci le ragioni di sperare in un migliora mento della situazione sia generale che personale. Augurandovi di finire quest’anno in corso nella pace e la serenità vi diamo appuntamento per qualche manifestazione prè natalizia e naturalmente per il supplemento S’Arti Nostra che, suffragando le trasmissioni diffuse sul web vi propone altre interessanti scoperte. Vittorio E. Pisu
Q
Le strade della mia Città Linoleografie Piazza Yenne 26, Cagliari Stampace Grotta Marcello Tél.: +39 070 094 9981 Tel. +39 350 044 2249 grottamarcello17@gmail.com vimeo.com/unisvers sardonianoprofit@gmail.com Foto vittorio e.pisu Projet Graphique Maquette et Mise en page L’Expérience du Futur SONO LIETI DI PRESENTARVI
SARDONIA S’ARTI NOSTRA
VITTORIO
E. PISU
Foto lanuovasardegna.it
Per Artribune (piattaforma di contenuti e ser vizi dedicata all’arte e alla cultura contem poranea) il suo è tra i dieci stand più interes santi, Segnoline (edizione web della storica rivista del settore) sceglie e cita (tra le centi naia di espositori ) la sua proposta per Arte in Nuvo la: Chiara Manca ritorna vincente nella sua Nuoro dalla grande fiera d’arte contemporanea di Roma. Kermesse, chiusa ieri con più di 20 mila presenze, arrivata alla sua seconda edizione, ospitata nel padiglione progettato da Fuksas con l’obiettivo di crescere e spostare verso il sud il mercato dell’arte di oggi che, tradizionalmente, ha sempre visto nel nord della Penisola il suo centro più vivo. «Sì certamente soddisfatta è il termine giusto, an che se “strafelice” darebbe meglio il senso» precisa Chiara Manca, trentenne, laureata in storia dell’Ar te specializzata in Museografia e curatela d’Archi vi d’Artista, anima e motore inarrestabile della sua piccola galleria Mancaspazio, in pieno Santu Predu, nel cuore del cuore di Nuoro e, quindi, dell’isola. «Il luogo è importante perché a pochi metri dalla storica Chironi 88, mi sento orgogliosa di continua re la tradizione di attenzione per l’arte di Sandra Piras, racconta Chiara, ricordando la storica galle ria e la straordinaria donna e intellettuale che portò l’arte contemporanea a Nuoro e i talenti sardi all’at
tenzione del mondo . È stata proprio Sandri na a guidarmi in questo mondo, a insegnarmi a guardare e a capire. Sono partita nel 2018 come spazio indipen dente per poi aprire la galleria e interessar mi anche del mercato dell’arte. Oggi sono 50 le mostre che Manca Spazio ha ospitato e 46 quelle di cui ha prodotto anche il catalogo».
Una scommessa, in una città viva culturalmente, col suo vivace museo Man, lo Spazio Ilisso della importante casa editrice, il vicino Nivola di Orani, per citare solo il mondo delle arti visi ve, ma forse un po’ de centrata.
«Posso affermare con sicurezza, che le nostre proposte suscitano in teresse in tutta l’isola e non solo. Gli acquirenti arrivano da tutto il mon do, sottolinea Chiara Manca .
Il sito, naturalmente, aiuta molto e abbatte le barriere di spazio». Impegno, cultura e col po d’occhio ma come arriva Chiara fino ad Arte in Nuvola.
«Intanto sorretta dai sei anni di lavoro per l’Archivio Maria Lai. Esperienza che mi ha insegnato molto e dato un riconoscimento pro fessionale.
Poi la Fondazione Ma xxi ha riconosciuto Mancaspazio fra gli spazi indipendenti più innovativi d’Europa, (segue pagina 4)
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Manca nella top ten della Nuvola: “L’arte sarda a Roma piace e vende” Successo della Galleria Manca Spazio alla fiera di Roma del contemporaneo Manca Spazio Via della Pietà 11 Nuoro https://www.mancaspazio.com/
Chiara
(segue dalla pagina 3) grazie al lavoro di ri cerca e di esposizione in collaborazione con l’Archivio Mirella Ben tivoglio, la Fondazione Filiberto e Bianca Men na, l’Archivio Michele Perfetti.
La mostra da Blocco 13 a Roma, presentazione della Bottega Artigiana Asinorosso di Orosei, ha creato il contatto con Valentina Ciarallo, cu ratrice dei progetti spe ciali di Arte in Nuvola». Un percorso di ricono scimento tra professio nisti prima di tutto, in un mondo, quello del mercato dell’arte, che appare complicato, gui dato da regole a volte incomprensibili, dove certamente la provincia ha difficoltà ad arrivare, specie con artisti gio vani, non storicizzati e perfino del tutto scono sciuti.
«È un percorso lungo, ma la scoperta è ancora un elemento essenziale. Nell’isola il mercato e, a volte, molto concen trato sui nomi noti, il collezionista cerca “un Ballero” o l’ultimo Bia si sul mercato, piutto sto che innamorarsi di un’opera e desiderarla, spiega la gallerista. Ma gli affari si fanno con coraggio e con il cuore. Il lavoro del mercante è essenziale, una galleria ha successo quando la sua scelta, i nomi e le opere che propone, sono sinonimo di qualità». Quello che sta accaden do per Manca Spazio.
Foto artribune
«Spero proprio di sì. Comunque il gusto sta cam biando, c’è molta curiosità». Tutto confermato a Roma, quindi...
«L’offerta era di portare solo quattro nomi. Ho fatto una scelta diversa, un nome solo: Sarde gna.
Ho portato 40 artisti e creato una wunderkammer, una camera delle meraviglie, piena della nostra creatività.
L’interesse per le opere degli artisti sardi era molto evidente.
I visitatori erano soprattutto stupiti della ricerca nel campo della fotografia ma hanno apprezzato le opere di tutti.
Non c’è stato un artista di cui non abbiano chiesto maggiori informazioni. Alcuni erano già noti. È stata apprezzata la varietà di tecniche e la qualità delle opere nonostante il formato ridotto.
L’unico limite che ho notato è nei confronti della Fiber Art, sempre e solo legata al nome di Maria Lai e ancora letta in maniera troppo superficiale”. Paolo Curreli
https://www.lanuovasardegna.it/tempo-libe ro/2022/11/22/news/chiara-nella-top-ten-della-nu vola-l-arte-sarda-a-roma-piace-e-vende
Un incidente che forse non fu tale, con il so spetto di un coinvolgimento del duce.
Così si chiude l’esistenza di Maria Assunta Volpi Nannipieri, in arte Mura.
Varie volte, direttamente o indirettamente, la scrittrice incrociò sulla sua strada Mussolini, ma a segnarla per sempre fu un caso di censura che ha dell’incredibile.
Il duce si espose infatti in prima persona ordinando di ritirare dal mercato «con la massima urgenza» un romanzo che a ben vedere anticipava i canoni razzisti da lui stesso imposti di lì a poco. Che cosa provocò quella condanna senza appello? Il carisma che l’aveva resa autrice di punta della casa editrice Sonzogno e seguitissima firma dei settimana li, attraverso cui influenzava pensieri e costumi delle lettrici?
O rimase impigliata nelle maglie di un intrigo più grande di lei?
È questo interrogativo, tra i tanti nella breve e tumul tuosa vita di una personalità fuori dal comune, a for nire a Marcello Sorgi lo spunto per un’indagine dagli esiti ben più fecondi del pretesto iniziale: seguendo gli sviluppi del «caso Mura», si imbatterà in un inso spettabile cortocircuito del regime. Tra ingerenze politiche e vicende sentimentali, riva
lità letterarie e scherzi del destino, in un crescendo di colpi di scena, l’azione si sposta dalla provincia italiana a una rampante Milano, dalla Parigi di Joséphine Baker alla Roma delle adunate, dall’Africa coloniale alla Sicilia, laddove, insieme all’aereo su cui viag gia Mura, si infrangono le grandiose aspettative sull’esordiente aviazione civile italiana.
Nella riscoperta di questa figura a lungo dimentica ta rivivono tutte le con traddizioni di un paese da una parte proteso verso la modernità, dall’altra alle prese con una difficile transizione a una società laica e dinamica.
«Chi vuol studiare la donna italiana dei pri mi del Novecento dovrà necessariamente partire dai suoi libri»: questo si diceva di Mura, popola rissima autrice di romanzi sentimentali ed erotici, rivale di Liala e protago nista indiscussa della na scente editoria periodica, inspiegabilmente con dannata all’oblio.
Passione ed erotismo, po litica e destino, giornali smo e società letteraria: la clamorosa vicenda di un’artista libera nell’Ita lia sospesa tra moralismo perbenista ed emancipa zione femminile
«Non voglio vedere quel lo che di solito viene mo strato. Voglio conoscere ciò che quasi sempre si deve indovinare. Amo le donne.
Mi appassionano. Le stu dio. Se posso le perverto»
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MURA
romanzo rosa, che in Italia aveva avuto un’an tenata diretta con la prolifica Carolina Invernizio, ha il suo periodo culminan te subito dopo la Prima guerra mondiale, quan do cultura e lettura co minciano ad avere una diffusione di massa. È culminante per più motivi, sia sul piano edi toriale dove gli editori ne arguiscono l’enorme potenzialità economica, sia per linguaggio, mo dello narrativo e rappor to tra autrice e pubblico femminile.
Rapporto che porterà da parte del pubblico a per cepire le scrittrici anche come personaggio, una sorta di esempio o mo dello a cui tendere. Le donne cominciano a guardarsi intorno svin colandosi progressiva mente dall’unico ruolo, quello della maternità, che possa loro offrire una realizzazione perso nale o sociale. E questo bisogno comincia a es sere sentito non più solo da un’élite, ma anche dalla maggioranza delle donne normali: casalin ghe, impiegate, adole scenti.
Questo è anche il mo mento in cui nascono i primi periodici femmi nili, dove le autrici ver ranno ospitate spesso con rubriche proprie. Nel romanzo rosa mo derno, cioè quello successivo alla guerra, si delineano due filoni: uno pedagogico e uno
Foto fondazionemonteprama
VOLPI NANNIPIERI
MARIA ASSUNTA
trasgressivo.
A quello trasgressivo aderisce Mura, di cui ne è l’autrice più rappresentativa.
La prosa di Mura è scanzonata, a volte addirittura libertina, vincente.
La sua vena irriverente e trasgressiva incontrerà il favore del pubblico femminile e le darà un successo che supererà perfino quello di Liala. Dice Eugenia Roccella nel suo saggio “La letteratura rosa” (Editori Riuniti, 1998): “I suoi romanzi posano infatti le prime pietre, quelle fondanti, per la costruzione di una sorta di diga antisconfitta. L’obiettivo è arginare il dilagante senso di frustra zione prodotto dai romanzi sentimentali (…). Niente più punizioni e finali mesti per le protagoni ste, nemmeno se peccano, anzi: soprattutto se pec cano. Rovesciando con malizia leggera la morale della favola, le eroine di Mura trionfano senza esse re affatto brave ragazze”.
Mura è lo pseudonimo della scrittrice e giornalista Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri. Nativa di Bologna (1892), morirà giovane in seguito a un in cidente aereo avvenuto nel 1940 a Stromboli, men tre tornava da Tripoli dove era andata a raccogliere materiale per il suo nuovo romanzo.
La sua carriera inizia a Milano come giornalista per
IL
il Touring Club Italiano, per giornali e per alcune testate dell’editore Sonzogno, di cui diventerà l’au trice di punta.
Tiene rubriche per più di una rivista e comincia a pubblicare romanzi.
Scrive anche copioni teatrali e cinematografici, oltre a libri per bambini scritti a quattro mani con Alessandro Chiavolini, redattore del quotidiano Il Popolo d’Italia.
Esordisce nel 1919 con il coraggioso romanzo Per fidie, che innescherà tra gli scrittori e i cineasti del periodo rilevanti cambiamenti su più fronti. Il successo commerciale arriva con lo spregiudicato “Piccola” del 1921.
Nel 1934, con il romanzo “Sambadù, amore negro”, riesce ad attirare l’attenzione di Benito Mussolini che ne dispone il sequestro.
Continua a scrivere e a pubblicare fino alla morte prematura.
Verranno poi dati alle stampe alcuni romanzi postu mi, il primo dei quali nel 1941, Camelia fra le fiam me, con la prefazione della scrittrice Flavia Steno, nella quale affermerà, con ragione: “se qualcuno vorrà studiare la donna italiana nei primi anni del Novecento, devastati da guerre e rivoluzioni, dovrà ricorrere ai libri di Mura”.
Questo breve preambolo che non può dare la giusta prospettiva a una per sonalità così complessa e decisiva, tra l’altro di menticata, vuole solo es sere una introduzione a leggere qualcosa di suo, in fondo la miglior cosa per capire dove stanno i suoi punti di forza.
In proposito, ho cercato sulla rivista “Le Grandi Firme” un suo breve rac conto.
Le Grandi Firme, sot totitolata “quindicinale di novelle dei massimi scrittori, diretto da Piti grilli”, è stata una rivista di successo pubblica ta a Torino dal 1924 al 1939, le cui pagine han no ospitato i maggiori scrittori della giovane letteratura, nonché molti tra i migliori disegnatori e umoristi.
Fondatore e direttore è stato Pitigrilli, pseudo nimo di Dino Segre, che fu anche promotore di altri fortunati periodici. Tratto distintivo della ri vista sono state le coper tine, con le donne sen suali disegnate da Gino Boccasile.
Il divertente racconto di Mura che ho scelto si in titola Precisamente. Appare nel Numero 33 del 1° Novembre 1925, inserito nella rubrica Manie di donna dove venivano pubblicati suoi racconti È stato trascritto inte gralmente e nel rispetto dei segni grafici originali. Signori e signore, benvenuti negli anni Venti. (segue pagina 8)
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Precisamente
Pomeriggio d’ottobre sul dolcissimo golfo li gure. Il Grand Hôtel tutto bianco, sembra un sogno di vergine appol laiato nella fantasia ver de della giovinezza. Nella sala da pranzo, spaziosissima, bian co-giallo una giovane straniera vestita di mor bida flanella candida affaccia la testa bionda dal volto roseo nel vano della porta, volge attor no un’occhiata curiosa e scompare. Giungono soltanto le sue parole, pronunciate in un fran cese gutturale come un raffreddore e ricompa re seguita lentamente da un vecchio signore che rassomiglia a Gio suè Carducci, eccettuata la rosetta ardente della Legion d’Onore all’occhiello della giacca nera. In un angolino, sola sola, sto studiando il «menu» mentre l’appetito scom pare inavvertitamente.
La giovanissima stra niera seguita da quella specie di can barbone sorride con soddisfazio ne quando il maître le indica la tavola presso la mia.
È appena giunta dal suo freddo paese nel sole d’Italia, non ha cono scenze, non ha amiche, ed ha un gran desiderio di mettere a cuccia quel suo cane barbuto per godere un po’ di spensiera tezza, il sole o il nuovo sconosciuto paese.
Foto lucidosottile
Mi sorride due o tre volte con timidezza, poi, rin francata, giunge le manine inanellate, indicando con gli occhioni azzurri l’azzurro più cupo del mare. “Come è bello!”
Il barbone brontola un momento e si accuccia di nuovo tranquillo con i gomiti sulla tavola e gli occhi fissi sul «menu».
La giovanissima bionda mi rivolge qualche doman da sul paesaggio, sull’Italia, e con molta circospezione, sugli italiani.
Italiani in calzoni, giovani, intraprendenti. Italiani da flirt. Rispondo con la stessa circospezione per non risvegliare il can barbone che dorme con un oc chio solo.
Il maître si avvicina alla straniera, indica la mia ta vola e pronuncia il mio nome e le mie attribuzioni. Uno sguardo di simpatia mi compensa della tristez za che mi nasce nell’anima tutte le volte che accanto al mio nome viene pronunziata quella attribuzione di scrittrice.
Ho proprio la sensazione che mi invecchi, e che mi addossi responsabilità che non voglio avere nella vita.
Non appena la colazione è terminata e il grosso bar bone si sdraia in una poltrona del «bar» per facilitare la digestione con una collezione di liquori, la giova
/segue dalla pagina 7)
Foto cronachenuoresi.it nissima e curiosissima bionda mi si avvicina. Parla un delizioso italiano sgrammaticato, senza né capo né coda, con i verbi buttati là a caso, tanto per far vedere che ci sono e che servono in qualche modo.
“Che fortuna! Che fortuna! Capitare in Italia e co noscerla subito… Lei mi dirà… mi suggerirà… mi consiglierà… Si ferma ancora in questo hôtel per molto tempo?”
“Parto fra poche ore.”
“E non si può rimandare a domani? Passeremo la sera insieme, dopo aver messo a nanna il mio gros chien noir!”
“Che accento! Eppure mi sembra così mansueto no nostante il brontolio.”
“Oh, non vi fidate delle apparenze! È come un cane furioso… sempre, o quasi sempre…”
“Brrr! Lo fate inquietare?”
“No! È geloso!”
“Oh, povera bambina!… È vostro marito?”
“Marito. (sospiro) Per tutta la vita!” Sorrido, accennando con gli occhi alla possibile bre vità della vita del can barbone geloso; ma la bionda scuote il capo e mormora, stringendosi nelle spalle e sospirando di rassegnazione:
“Oh, no… Vecchio, brutto, brontolone, geloso… ma
una salute di ferro! Que sto matrimonio è stato il primo grande errore della mia vita!” ”Bisognava riflettere prima!”
“Oh, riflettere! Si può riflettere forse a diciotto anni? Ho fatto riflettere a tutte le mie amiche! Ho domandato consiglio a tutte, le ho pregate di mettersi nei miei panni e di consigliarmi coscien ziosamente se era prefe ribile per me un matri monio col cane barbone o con mio cugino: un cugino di venti anni, uf ficiale di cavalleria, non troppo ricco… ma un tipo!”
“E vi hanno consigliato il can barbone?
“Oh, no! Mi hanno con sigliato, tutte, il cugi no… Precisamente! Ma, all’ultimo momento, quando si è trattato di decidere, non so perché, ho scelto il can barbo ne. ”
“Probabilmente è più saggio!”
“ Credete? Avete forse ragione! Però sarebbe stato meglio se avessi sposato il cugino! Ma ormai non c’è rimedio ed è inutile lamentarsi!2 “Ecco: è inutile lamen tarsi. Bisogna via via adattarsi alla vita secon do come è stata predi sposta.”
“Precisamente. Bisogna ribellarsi alle imposizio ni della vita.”
Non era «precisamen te» lo stesso concetto di quella semplice filoso fia, ma non ribattei per (segue alla pagina 10)
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(segue dalla pagina 9) non sentirmi trasportare verso un’altra improvvi sa contraddizione.
Avete scelto questo ri fugio tiepido perché vi è stato consigliato, oppure perché lo avete preferito voi stessa?
“Mi avevano consigliato la Sicilia come soggior no invernale, allora ho scelto la Liguria.” “Non è la stessa cosa, credo!”
“
Precisamente! Credo che come temperatura, sia identica!” Avevo una voglia irresi stibile di chiudere nelle mani quella testolina maniaca di contraddi zione e di ripeterle sugli occhi troppo azzurri, che quel suo voler far sem pre tutto il contrario di quanto si faceva consi gliare, era una sua deli ziosa particolarità.
E volevo domandarle quale tragedia accadeva nell’intimo del suo rifu gio, quando le calde sere di luna e di stelle invita no all’amore anche gli spiriti ribelli.
Parve ch’ella avesse intuito il mio pensiero nell’improvviso silen zio che era seguito alle rapide battute di prima. Domandò fra il serio e il ridente, offrendomi una sigaretta del suo paese: “Vi sono dispiaciuta?” ‒”Ma no… Sto pensan do con malinconia al tempo troppo breve che ci conosciamo, ed alla mia prossima partenza. Il soggiorno in questo angolo di sole allietato dalla vostra compagnia,
Foto fondazionemont’eprama
sarebbe incantevole.”
“Siete molto gentile.”
“Vorrei diventare una vostra amica, starvi molto vi cina, capire un poco la vostra vita e la vostra ma niera di vivere attraverso tutti questi vostri «preci samente» che dicono sempre il contrario di quanto pensate.”
Mi spalancò sul volto due occhioni così grandi. ”Io?!
‒”Voi. Ma non importa. Non sarete tanto deliziosa se non foste così, ed anche il vecchio gros chien non vi amerebbe tanto.”
”Povero gros chien! È molto buono, ma ha la mania di suggerirmi tutto quello che devo e che non devo fare, momento per momento!”
“E voi lo ubbidite?”
“Io?! “parve interrogarsi scrupolosamente, poi ri spose con un sorriso luminoso: Io seguo sempre i consigli degli altri! Precisamente! Posso offrirvi qualcosa che vi piaccia?”
“Permettetemi piuttosto di offrire a voi qualche cosa di Italiano! Volete?”
“Ma certo!”
E quando il «barman» fece per avvicinarsi ad un cenno di richiamo, ella ordinò tranquillamente due coktail il cui miscuglio apparteneva alla più genuina
ricetta americana.
Non sorrisi, ma carezzai con dolcezza le due manine bianche e inanellate che ridevano per conto loro con rapidi gesti del tiro involontario che la loro padrona mi aveva giocato.
“E adesso che abbiamo bevuto insieme questo ot timo miscuglio, volete permettermi qualche indi screzione sulla vostra maniera di vivere? Sui vostri gusti? Sulle vostre preferenze?”
“Ma io permetto tutto… e spero di poter essere in grado di rispondere.
Non temete di essere indiscreta: fra donne, e fra una donna come voi e una donna come me in particola re, non esistono indiscrezioni e tutto ciò che nella vita è chiamato così, diventa, per noi, una attrattiva ed un piacere.
Precisamente! Potete interrogare, vi sto ad ascol tare con molta silenziosa attenzione e vi prometto di rispondere con la maggiore precisione a tutte le vostre domande.
Però dovete lasciarmi il gusto di indovinare quali domande state per rivolgermi… Scommetto che volete sapere come ho potuto sposa re un così gros chien tanto buono; poiché non avrete creduto affatto ch’io lo abbia sposato soltanto per ché le amiche mi avevano consigliato il cugino…
Invece proprio sì! Io non rifletto mai troppo, ve l’ho detto; però credo fermamente che sia otti ma cosa fare tutto il con trario di quanto ci viene consigliato.
Forse sbaglio, ma non ne posso fare a meno!
È come una mania della quale non so guarire!
Ed è una mania che mio marito alimenta conti nuamente con quel suo volermi consigliare da vicino come se fossi una bambina! Indovino? Vo levate sapere questo? No? Qualche cosa di più indiscreto?”
Accennai di sì, senza nemmeno tentare di par lare, soffocata ormai da quel diluvio di parole della mia interlocutrice che un attimo prima ave va promesso di ascoltar mi con molta silenziosa attenzione.
“Allora volete sapere che differenza passa fra l’amore d’un vecchio gros chien barbuto, e quello d’una ragazza di quasi diciannove anni? Questo? Ebbene, vi pre go di non ridere, ma non c’è proprio differenza. Credo che prevalgano in tutti e due gli stessi gusti e gli stessi desideri.
Non fate quel musetto sarcastico ed ambiguo! Non c’è nulla di male se io non ho ancora trenta anni e se dell’amore pre ferisco ancora ciò che è una parure di seta la guarnizione di pizzo di Bruxelles! Adesso ride te? Preferisco questa vo stra risata all’ambiguità (segue pagina 12)
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(segue dalla pagina 11) della vostra espressione di dianzi!
Del resto mio marito è felicissimo, ed io non domando di più!
Direi quasi che ne ho di troppo! È incredibi le, mia signora amica, come gli uomini un poco gros chien come mio marito amino l’amore… “Per questo, forse, sono tanto gelosi…
“
Precisamente! Perché ormai temono l’altro amore, quello che hanno dovuto dimenticare…” Parve arrossire lieve mente, ma subito quel tentativo si dissipò e scuotendo il capo ripre se:
“Meglio così.”
Chiusi nelle mie le sue mani per impedirle di parlare ancora e doman dai rapidamente, prima che un’altra valanga di parole me lo impedisse: “E contate di essergli fedele?”
“Certamente. A condi zione.” ”Di tempo?”
“Ecco: di occasione.” “L’occasione la si cerca quando il peccato ten ta…
“Precisamente: io l’a spetto.”
“E non avete paura della burbera gelosia del gros chien?”
“Una paura terribile, precisamente. Ma non importa: nella vita non c’è stato nulla che ab bia potuto intimorirmi… Nemmeno il matrimo nio!” “Un peccato italiano?”
“Certo: con qualche
Foto biblioteca cronachenuoresi.it
straniero in cerca di sole e di bellezza come me.” “E perché non uno dei nostri bruni giovani della Si cilia che non avete voluto conoscere, ardenti come la loro terra e passionali fino alla tragedia…”
“Chi sa… Vedete come è difficile vivere per me! Una bufera nell’acqua tranquilla del mio ménage sarebbe come un terremoto capace di distruggere… E non voglio distruggere nulla.” “Quando il cuore comanda…”
“Appunto: non si ascolta. Anche quando come me si è un poco schiave del proprio cuore…” “Non mi sembra.”
“Chi vi dice che non abbia amato anch’io questo vecchio gros chien che è mio marito?” “Scusate. Questa volta sono andata oltre l’indiscre zione.”
“Oh, no, no! Dacché vi assicuro che non sono mai stata fedele e che non sarò mai fedele a questo ma rito!”
Fissai gli occhioni azzurri con uno sguardo che evi dentemente esprimeva la mia incapacità di capire. “Non avete capito?” “No!”
“Mio Dio!” esclamò, alzando le mani con un gesto di implorazione. “Mio Dio come è difficile capire per voi Italiani!”
“Grazie!”
“Oh, non vi offendete, vi prego! Non capire, qualche volta, è buon segno! Non faccio questione di intelli genza, faccio questione di vita… D’amore.”
“D’amore? Con un giovane, italiano, o straniero, in vece che con un vecchio gros chien?”
“Ma no! Se vi dico che amo il suo amore e che non ho ancora trent’anni!”
“Con… Con un uomo non più giovane o non ancora del tutto gros chien?”
“Precisamente!” scattò, prendendomi la testa fra le mani e baciandomi rapidamente e morbidamente sulle labbra.
“È difficile capire… Ma sentite, capite, indovinate, signora… Tradire, peccare… È così delizioso quando anche nell’amore il piacere diventa una contraddizione…” “Un giovane, giovanissimo?”
“Precisamente! Una donnina, per esempio, come voi… “
Gavirate, ottobre ’25. Mura
Tea C. Blanc
https://www.giornalepop.it/mura-scrittrice-di-donne-vincenti/
TEA C. BLANC
Tea C. Blanc è nata e abita a Como.
Si occupa attiva mente di narrativa, saggistica e grafi ca.
Si interessa di libri d’epoca, incisione, arte applicata.
E’ del 2018 il suo primo racconto di genere fantasti co pubblicato.
Nel 2019 ha esordito nel la narrativa lunga con il romanzo “Mondotempo” (Ed. Watson).
Collabora scrivendo saggi, racconti e articoli per rivi ste digitali o cartacee (qui è possibile visionare la sua feconda attività).
Date le peculiarità riflessi ve di Tea in questa conver sazione abbiamo deciso di spaziare in vari argomenti inerenti l’arte e la lettera tura.
Ti posso anzitutto chiedere cosa ti affascina di un libro o di un autore?
Diciamo che il baricentro, indipendentemente se un li bro o uno scrittore mi sia o non sia piaciuto (entrano in gioco devianze personali, a volte), sta nel riconoscere la qualità del libro o dello scrittore.
Alcuni mi hanno sfasciato il cervello. Intendo dire che hanno distrutto convinzio ni e aperto nuove visioni, anche da un punto di vista tecnico e stilistico. Forse un buon modo per sapere se un libro letto sia valido è pensarci a distanza di anni, spesso occorre molto meno: se non lo si ricorda ci sono buone possibilità che sia dimenticabile. Che rapporto hai con le va rie forme di arte? (segue pagina 14)
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(segue dalla pagina 13)
Per tutta la vita sono sta ta a stretto contatto con il passato, scoprendolo attra verso l’oggetto e la carta. L’incisione d’epoca ma anche contemporanea, la piccola carta (quest’ulti ma rientra in categorie che spesso sfociano nel colle zionismo) e l’arte applicata mi hanno sempre appassio nato. Ho scritto, per esem pio, parecchi articoli sugli ex libris, perfino una storia dell’ombrello, ma è solo una minima parte di quello che riesce a incantarmi. Passiamo alla tua scrittu ra e specificamente al tuo romanzo “Mondotempo”, pubblicato nel 2019. Lo hai definito di genere specula tivo. Vuoi chiarirci questo concetto?
Semplice. Esiste una lette ratura di finzione che al cuni chiamano mainstream o realistica ed esiste una letteratura di finzione fan tastica.
Definisco la prima mimeti ca e la seconda speculativa. In “Mondotempo”, comun que, l’una e l’altra a tratti si intrecciano e il confine dove inizia la prima e fini sce la seconda, e viceversa, appare labile.
Come è stato giudicato dai lettori, in particolare da quelli di science fiction? Ho avuto critiche riguar do al fatto che non sia un romanzo fantascientifico, come si suppone dalle co ordinate editoriali: è vero, almeno in parte. Non è fan tascienza classica, o hard come alcuni la definiscono. Dunque il termine specula tivo è migliore. Sull’intreccio delle due let
terature, d’altronde, l’inconsistenza del confine tra reale e non reale lo sperimentiamo tutti i giorni, anche senza esserne consapevoli.
Basti pensare al virtuale: esiste o non esiste? Esiste, però dipende dal nostro approccio soggettivo il grado di realtà oggettiva che riusciamo a imprimergli. Quali sono i temi che ti piace maggiormente sviluppare nelle tue pubblicazioni?Dimensione CosmicaLostAndro medaTales
Mi metti in crisi. Fino a un paio d’anni fa riuscivo a pub blicare la media di due o tre articoli e/o saggi brevi al mese su riviste di varia natura, unito a lavori di redazione come possono essere la scelta e la revisione di lavori al trui o tenevo rubriche continuative.
Ora non posso più e quindi mi focalizzo per esclusione. Facci un esempio… Sì. Un mese fa mi sono capitate per le mani due pubbli cazioni del fumettista belga Hergé, del quale solitamente si incontrano solo testi riguardanti la produzione fumetti stica. Queste invece sono splendide pubblicazioni divul gative di storia della tecnologia, interamente illustrate da lui, che avevano preso forma poco prima della Seconda guerra mondiale e poi apparse in vari volumi subito dopo la fine del conflitto. Un’ottima occasione per scriverne, ho pensato.
Foto effemeridiamo.forumfree.it
Ho cominciato a fare raccolta dati ed ero già a buon punto quando ho incontrato in rete un sito che ne parlava diffu samente.
Non solo, metteva a disposizione l’intera sequenza delle tavole illustrative.
A quel punto ho lasciato perdere.
Questo per dire che, di solito, cerco di scrivere solo su argomenti di cui esistono notizie incomplete o nessuna no tizia.
Cosa ti proponi di raggiungere attraverso la scrittura?
Non me lo chiedo. Non ho nulla da raggiungere. Diciamo che quando scrivo/ho scritto, ho già raggiunto. Quanto ritieni che gli scrittori oggi abbiano ascendente nella società?
Non lo so. Se pubblichi in rete il riscontro avviene attra verso i social network, per lo più, e nel social network la descrizione del lettore tende a ridursi a un segno afferma tivo come può essere il mi piace.
Pochi ti raggiungono in via diretta per dirti cosa ne pensa no. Se pubblichi su cartaceo è anche peggio.
Questo per quanto riguarda la letteratura di finzione. Per testi divulgativi e saggi le cose migliorano un po’, per ché a volte nascono commenti articolati.
In ogni caso, l’influenza dello scrittore mi pare minima, rispetto alla corrosione mediatica a cui siamo sottoposti.
E qual è a tuo parere la cau sa?
Forse l’attenzione del let tore attuale, inondato da dati e pubblicazioni, è più rivolta a discriminare oce ani di informazioni che non a leggere.
Una domanda classica per chiudere.
Cosa stai scrivendo?
C’è un romanzo fantascien tifico in corso di revisione.
Ho scritto un romanzo fan tastico per ragazzi, ma non è ancora pubblicato, e per il quale sto contrattando con un disegnatore circa le illustrazioni.
Foto
Sono in dirittura di arrivo per un saggio a corredo di un romanzo fantascientifico del primo Novecento che ho scoperto in una delle mie ricerche, e di cui si è per sa traccia sia nella lingua originale, il francese, sia nella traduzione italiana che era apparsa nel primo Novecento.
Che mi risulti, al momento sono in possesso dell’unica traduzione italiana: sareb be un contributo alla lette ratura fantastica riportarlo in superficie.
Vedremo se qualche editore si interesserà al primo, al secondo o a quest’ultimo. Ancora non ho contattato nessuno.
Grazie, Filippo. Non so quanto le mie attività meritino un’in tervista, ma è stato un pia cere pensare alle tue do mande!
E per noi è stato utile e pia cevole ascoltare le tue ri flessioni! A presto Tea!
Filippo Radogna
https://www.worldsf. it/?p=4068
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il muro tea c. blanc
Casa TripleF ospi ta il suo primo evento “artisti”, mostra fotogra fica di Cristina Ghergo.
Un excursus nel mondo degli artisti della lettera tura, del cinema, del te atro, della musica, della moda e della fotografia.
“Lo stupore è la molla di ogni scoperta”, scriveva Pavese.
L’atto dello stupore sta alla base dell’insoli ta mostra fotografica di Cristina Ghergo, il cui sguardo sui protagonisti del mondo della cultu ra e dell’arte è in primo luogo improntato alla cu riosità nei loro confronti. “Artisti”, questo il titolo dell’esposizione, è una raccolta apparentemente caotica di volti e situa zioni
Alberto Moravia nell’at to di tracciare con il dito un cerchio sulla sabbia; Claudia Gerini incor niciata in una finestra a forma di oblò; Carmelo Bene immortalato men tre ripropone l’intensità verbale del Poeta avan guardista per eccellenza, Majakovskij; l’architetto della sartoria, Capucci impegnato a giocare con le prospettive delle sue creazioni; le sofisticate mises del couturier vo gherese Valentino Ga ravani che hanno fatto sognare donne di ogni classe sociale; la croc cante gonna gialla sul la longilinea figura di Sabrina Colle, adagiata esausta sul sofà accanto al sempre vigile Vittorio
Sgarbi. Ebbene, quale il comune denominatore di questi ritratti e momenti, se non la curiosità di inca stonarli come gemme nello spazio conchiuso del fra me fotografico?
RFotografa inconsapevole, così si definisce Cristina Ghergo, donna con alle spalle studi di filosofia e so ciologia che si è occupata negli anni anche dell’archi vio del padre, Arturo Ghergo, fotografo che meglio aveva incarnato nell’Italia degli anni 40 e 50 il concetto di glamour. Nel corso della sua attività creativa Cristina Ghergo non si è limitata ad un unico genere, ma ha indagato diversi ambiti - moda, interior design, ritratti, speri mentazioni - con un approccio speculativo che indub biamente trae origine dai suoi studi umanistici e filo sofici. Ed è in questo spazio ottico, aperto e al tempo stesso strutturato, che si crea lo stupore di chi osserva il frutto della ricerca iconografica della fotografa ro mana. Olga Strada omana, figlia del famoso fotografo ritrattista Arturo Ghergo, Cristina Ghergo comincia a fotografare per passione prima ancora di laurearsi in filosofia, riprendendo uomini di genio vario fra i suoi amici quali Alberto Mo ravia, Carmelo Bene, Mario Ceroli, Piero Dorazio, Tano Festa, Dado Ruspoli.
Foto triplef
I suoi ritratti suscitano l’interesse di diversi periodici italiani e stranieri che le chiedono di realizzare servizi specifici, portandola in questo modo ad affrontare un fervido periodo di lavoro in cui fotografa, fra gli altri, Bernardo Bertolucci, Virna Lisi, Michelangelo Anto nioni, Monica Vitti, Terence Stamp, Richard Burton, Elizabeth Taylor.
Dal 1976 si dedica alla fotografia di moda, collabo rando con riviste internazionali quali Harper’s Bazaar, Vogue, Amica, Moda, Donna. Per dieci anni, fra gli anni Ottanta e Novanta, alterna la sua attività fra lo studio di Roma e quello di New York, dove è assidua frequentatrice del Caffè Condot ti dell’amica Emy Heather (58th Street e Park Av.), luogo di ritrovo di personaggi eccellenti della vita mondana e culturale della Grande Mela come Andy Wharol, Divine e Bianca Jagger. Fra i suoi ritratti più riusciti e significativi nel periodo in cui lavora, fra le altre, per Vogue Deutsch, L’Offi ciel, Uomo Vogue, European Travel & Life, Max e Interview, quelli a Nastassja Kinski, Isabelle Huppert e Grace Jones.
Dopo che l’editore Sandro Gennari le affida la dire zione del settore moda della rivista La Corte di Man tova, ha modo di realizzare numerosi servizi con le più importanti top model del momento, in particolare
con quelle legate all’a genzia Ford di New York. Diverse le partecipazioni di Cristina Ghergo a mo stre personali grazie alla stretta collaborazione con Lanfranco Colombo e la sua galleria milanese Il Diaframma e colletti ve, fra cui la Biennale di Venezia del 2011 (Padi glione Italia) e il progetto Parlando con voi (Milano e Firenze, 2015).
Negli ultimi anni si è de dicata all’organizzazione dell’archivio storico del padre Arturo, del qua le ha curato le mostre monografiche di Milano (Palazzo Reale, 2008) e Roma (PalaExpo, 2012).
Dal 2015 è promotrice, in qualità di presidente, del Premio fotografico Artu ro Ghergo presso il mu seo omonimo di Monte fano (MC), paese nativo del padre, riconoscimen to che viene conferito a giovani talenti del mondo della fotografia e, come premio alla carriera, a fi gure di primo piano del panorama nazionale e non solo quali, tra gli al tri, Ferdinando Scianna, Piero Gemelli, Giovanni Gastel, Maurizio Galim berti.
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ARTISTI fino al 10/12/2022 CASA TRIPLEF Via delle Mantellate 15 Roma triplef@triplef.it www.triplef.it/
llievo di Giovan ni Spano, stimato collaboratore del Mommsen e di Antonio Ta ramelli, Filippo Nissardi (Cagliari 1852-1922) ha operato all’interno del la Direzione degli Scavi di Antichità della Sar degna a partire dal 1877 fino al pensionamento per raggiunti limiti di età (1921)…
La sua formazione tec nica – era infatti perito agrario agrimensore, una sorta di geometra –gli consentì di effettuare pre cisi rilievi e disegni di ar chitetture e di reperti che rimangono ancora oggi documenti attendibili e preziosi.
Quanto appena scritto fa parte della presenta zione di Filippo Nissar di (al tempo considera to il “massimo esperto” dell’età nuragica) con tenuta nella collana “I Tesori dell’Archeologia” a cura di Alberto Mora vetti, edita dall’editoriale Carlo Delfino nel 2011. Lo stesso volume com prende un capitolo scrit to dal Nissardi nel 1903 e titolato “I nuraghi non sono tombe”, da cui ab biamo tratto il brano che segue: “Talora il Nuraghe si trova presso i centri me talliferi (omissis); il che indicherebbe l’industria metallurgica esercitata da quella tribù.
Ciò che è confermato per alcuni di essi, per esservisi trovati prodotti propri dell’arte fusoria. Final mente il Nuraghe sorgeva
Convegno Filippo Nissardi
2 e 3 dicembre 2022 in modalità mista su Piattaforma Teams
Citadella dei Musei Cagliari Castello
https://people.unica.it/eikonikos https://www.microsoft/teams
in seno alle ridenti vallate ed in fertili pianure, irrigate da fiumi e ruscelli, ricche di limpide fonti e laghetti, molti dei quali oggi trasformati in paludi e pantani, a causa delle azioni lente e continue della natura. (Per sincerarsi di questo asserto vedansi i Nuraghi di ‘Campu Giavesu’ e tutta la vallata di Bonorva e Torralba e si fissi l’attenzione al nuraghe di ‘Santu Antine’ ed a quello di ‘Oes’, i quali Nuraghi furono rilevati in parte dal Della Marmura e di recente anche da me.
Quest’ultimo nuraghe serba il dolce ricordo del com pianto nostro Re Umberto, addì 18 Aprile del 1899, volle calcare quei vetusti ruderi assieme alla sua de gnissima consorte Margherita).
Questo genere di nuraghe rappresenterebbe, secondo me, il centro di una colonia agricola che dalle biade e dalle altre coltivazioni in genere traeva sostentamento e ricchezza.
D’ordinario questi ultimi tipi erano di vasta mole e molto complessi, perché disponevano di un’area cir costante più comoda di quelli posti in luoghi scoscesi, e perché appunto quivi le industrie agrarie più svi luppavano e richiedevano uno spazio maggiore per custodirne il frutto.
Può dirsi perciò che i medesimi rappresentavano il vero centro del villaggio o dei villaggi riuniti in con
Foto citadelladeimusei
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federazione con gli altri che occupavano le alture; i quali tutti aspiravano ad uno stesso scopo di reciproca difesa e di mutuo ausilio.
Per lo più attorno a questi Nuraghi, o da lì poco disco sti, trovansi altri ruderi e fondazioni in grosso pietra me, che accennano a muri di capanne e ad altri recinti circolari e quadrangolari che io ritengo opere coeve all’edificio principale.
Questi ruderi nel loro complesso col Nuraghe, conservano tuttora la denominazione di ‘biddazza’ (pic colo villaggio).
Si direbbe che tale denominazione data dal popolo sia la conferma della primitiva loro destinazione. La ‘Biddazza’ era composta, oltre che dal Nuraghe o castello, di una riunione di capanne e di recinti, atti a contenere tanto la servitù dipendente dal capo, quanto il bestiame grande e minuto, costituente la sostanza della colonia agricola.
Questi deboli casolari, ricoperti di frasche, pelli o cor tecce d’alberi , dovettero cedere naturalmente nel cor so di tanti secoli alle ingiurie del tempo o dell’uomo, solo lasciando superstite, quale scheletro colossale, l’enigmatico Nuraghe, con attorno quelle preziose re liquie inosservate e non curate dall’occhio profano.
In varie di queste ‘biddazzas’ della Nurra ho raccol to, oltre ai rifiuti di pasto, macine, macinelli, ed altri
oggetti inerenti alla vita dell’uomo all’epoca dei Nuraghi.
Gli attuali ‘stazzi’ (sta zioni) della Gallura e delle Nurre, gli ‘oddeus’ o ‘furriadroxius’ del Sul cis, rappresenterebbero per l’appunto tali antiche ‘biddazzas’, trasformate dai tempi e dai costumi in veri centri d’industria rurale…”
Foto nur net.it
LGiorgio Valdes a figura di Filip po Nissardi rap presenta ancora oggi un punto di riferimento per l’archeologia sarda; la sua instancabile attività, svol ta tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento all’interno degli uffici delle Antichi tà e Belle Arti, ha toccato numerosi importanti siti sardi e tematiche centrali nello studio del patrimo nio archeologico dell’i sola. Nella ricorrenza dei 100 anni dalla scomparsa, si terrà un convegno in centrato sulla sua attività e sul contributo dato agli studi di archeologia sar da, nella convinzione che l’analisi delle fonti docu mentarie relative alla sto ria delle ricerche risulti imprescindibile per una ricostruzione corretta di contesti, siti e collezioni museali.
Il convegno, organizzato congiuntamente dai due Atenei sardi e dal Segreta riato regionale, si terrà nei giorni 2 e 3 dicembre 2022 a Cagliari, nella Cittadella dei Musei, in modalità mi sta in collegamento sulla piattaforma Teams.
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n “Comment la modernité ostracisa les femmes”, il pa leoantropologo ripercorre la storia delle relazioni di genere dise guali fin dalla preistoria e traccia un parallelo con le società delle scimmie. Pur avendo letto altre opere di Pascal Picq, in particolare la sua ulti ma, “Et l’évolution créa la femme” (2020), rima niamo comunque sbalor diti dal quadro finale del “soggetto donna” intessu to attorno a uno “sfondo antropologico misogino che va oltre la ragione”. “Dovremmo considerar lo un difetto dell’umani tà?”, aggiunge l’autore. Sembra di sì, dopo aver letto queste due opere. La dimostrazione, sup portata da mille esempi, sembra scorrere come se il nostro paleoantropolo go particolarmente ispirato avesse il tema della sua carriera, della sua vita.
Dire che è un femminista è un eufemismo...
Non per ideologia, ma quasi “travolto” dall’ac cumulo di prove dalla preistoria al XXI secolo. Anche i ringraziamenti che non sono di conve nienza rivolti alla sua casa editrice, creata e di retta da una donna... Inoltre, il pensiero di Si mone de Beauvoir lo ha accompagnato per tutti questi due libri, fino alle regressioni che troviamo a ogni crisi sociale contro cui Beauvoir ci aveva messo in guardia.
In questo nuovo libro, Pascal Picq cerca di capire e spiegare le cause del destino delle don ne nelle società umane moderne. Alla luce degli insegnamenti dell’an tropologia sulla lunga storia dell’evo luzione, mette in discussione il passato prossimo e familiare della modernità e mette in luce, a partire da alcuni temi emblematici - la contesa femminile, la caccia alle streghe, le donne tonsurate alla Liberazione - il difficile percorso compiuto dalle donne tra la fine del Medioevo e l’epoca contemporanea.
Per Pascal Picq, la modernità non ha alleggerito il peso del la dominazione maschile in Oc cidente. Al contrario, nonostante Al contrario, nonostante l’umanesimo, l’Illuminismo e le scienze, le donne sembrano condannate a una lotta an tropologica senza fine per l’uguaglian za. La modernità, infatti, ha sviluppato forme ideologiche che pretendono di basarsi sulla ragione e si basano sulla presunta natura delle donne, mante nendole in una condizione di suddi tanza sessuale, economica e politica nei confronti degli uomini.
Manifestation en faveur de l’égalité des salaires hommes-femmes.
Cominciamo dall’uomo preistorico, che non esiste rebbe se non ci fosse la donna preistorica, l’unica su cui abbiamo informazioni serie (cfr. la famosa Lucy, cinquanta pagine nel primo libro di Pascal Picq), ma anche Maria in Africa orientale, e molte altre. Sia i fossili che le sepolture (una donna di 37 anni, la Dama di Cavillon, fu sepolta con oggetti funerari 24.000 anni fa) testimoniano maggiormente le tracce delle donne rispetto agli uomini.
Per quanto riguarda le pitture rupestri del Paleoliti co che si possono ammirare nelle grotte di Lascaux, Chauvet e Cosquer, si tende a pensare che siano anche e soprattutto opera di donne. (é stato scientificamente provato che all’85 % lo furono)
Nel XVII secolo, particolarmente misogino, il quadro non era molto gradevole: in piena epoca coloniale, i “negri” dovevano essere vicini alle grandi scimmie. Ma il peggio deve ancora venire durante il “terribile XIX secolo” da cui non siamo ancora usciti: l’ideo logia del dominio maschile si insinua nelle scienze come se “la questione femminile fosse un punto cieco oscurato da un pregiudizio così radicato e condiviso da diventare invisibile” (pag. 175), frase emblematica di tutto il libro.
Sia l’Ottocento che il Novecento rimangono molto segnati, dal Codice Napoleonico a Freud, dall’imma
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gine del padre mediterraneo. Di sfuggita, alcuni psi coanalisti arcaici vengono giustamente additati come critici della MAP, in particolare per il fatto che mette rebbe in pericolo l’immagine del padre e della legge! Pascal Picq risparmia la psicoanalisi a pat to che esca dalle beghe scolastiche e si apra alle discipline neuroscientifiche (l’autore sem bra non sapere, però, che questo movimen to è in atto tra gli psicologi da diversi decenni). Vecchi demoni Ci sono alcune pagine brillanti sull’evoluzionismo, il cui scopo non è negare la specificità umana, ma deter minare ciò che la caratterizza sulla base delle nostre origini comuni con le grandi scimmie.
Il paleoantropologo è lì, nel suo campo di riferimento, la preistoria, dove saluta di sfuggita il lavoro di André Leroi-Gourhan.
Il lettore scoprirà bellissimi passaggi su Engels che pubblicò, nel 1884, un libro importante: “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”.
Le donne ottennero il diritto di voto in URSS già nel 1917, dopo dieci anni di militanza nel movimento so cialista.
Purtroppo, dice Picq, i vecchi demoni antropologici e misogini sono riusciti a dirottare e persino a rafforza re le ideologie di dominio maschile.
In URSS e poi in Russia, la condizione delle donne ha continuato a peggiora re.
Concludendo, disilluso, il “terribile XIX secolo”, Pascal Picq scriveva: “Se gli uomini pensano di es sere usciti dalla preisto ria, le loro rappresenta zioni delle donne non lo sono”.
La speranza è stata ripri stinata con l’arrivo del XX secolo, il secolo del la liberazione delle don ne con il diritto di voto in Francia “concesso” nel 1944 (siamo gli ultimi in questo senso), la contrac cezione, la depenalizza zione dell’aborto, ecc. Deludente perché, secon do Picq, “questo secolo ha liberato i corpi, non le menti”.
Le due ondate di fem minismo sono finemente analizzate con un ritorno alle rivoluzioni conser vatrici degli anni ‘80, di cui le disavventure del secolarismo in Turchia e naturalmente in Iran sono sinistre eredi.
Stiamo appena iniziando ad ammettere che sono esistiti molti altri esperi menti sociali più eguali tari, dice l’antropologo. Un formidabile ritorno ai nostri antenati, bonobo e scimpanzé, fa utilmente luce sul lettore.
Geneviève Delaisi de Parseval, Psicanaliste Pascal Picq “Comment la mo dernitè ostracisa les femmes Edition Odile Jacob.
https://www.liberation. fr/culture/livrepascal-pi cq-des-machos-pas-as sez-bonobos
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hommes-femmes. Herstal (Belgique), 1966. (Janine Niepce/Roger-Viollet)
a giovane Archi tett@ sarda Sara Collu dopo il suo primo libro ” Lost in Karalis ” tra fotografia e architettura dedicato alla citta del Sole , Cagliari, si prepara per la sua nuova pubblicazio ne indipendente.
Il nuovo lavoro per nootempo x books sarà disponibile da Dicembre in data ancora da definire.
Il nuovo progetto è una ricer ca che ci porterà nei paesi della Terra cruda in Sardegna, un viaggio attraverso archi tetture, materiali, sostenibilità dell’abitare e del costru ire con la terra, l’acqua e la paglia. Come sempre questo lavoro sarà accompagnato e arricchito da suggestioni fotografiche che riporteranno scorci, frammenti, dettagli, strutture, textures della Terra che respira.
Nel nuovo libro di Sara Collu Architect, di cui non sve liamo ancora il titolo e che verrà presentato in uno speciale tour nei comuni sardi, sarà dato ampio spazio alla parte scritta con l’intento di trasportare il lettore verso la conoscenza di questa tecnica costruttiva cosi antica ma mai così moderna e sostenibile tra storia e innovazione. Un’altra testimonianza delle donne sarde che resistono e progettano percorsi culturali Residenti.
Architetto, originario del sud Sardegna, con segue la laurea magistrale in Architettura nel 2015 presso la facoltà di Ingegneria e Archi tettura dell’Università degli Studi di Caglia ri con il progetto di tesi “Piazza nel Campo. Progetto di spazio pubblico per il margine nord di Vallermosa”.
La tesi indaga e propone sul tema del margine rurale/ urbano nei contesti minori della Sardegna.
Le prime due esperienze lavorative nello studio di ar chitettura e urbanistica VPS, a Cagliari e nello studio di architettura e ingegneria QArchitettura, ad Asse mini sono fondamentali per lo sviluppo di capacità e competenze nella progettazione preliminare, esecuti va e nel disegno/illustrazione in ambito architettoni co, nonché nell’ambito urbanistico con la progetta zione dei Piani Particolareggiati del Centro Storico di alcuni paesi della Sardegna. Attualmente si alterna tra la libera professione, le col laborazioni e la ricerca personale.
Le sue esperienze e ricerche spaziano dagli studi sui sistemi rurali e urbani nei contesti minori della Sar degna a quelli sulla pianificazione dei centri storici, fino alle ricerche più recenti sul territorio e sulle spe rimentazioni tra arte e architettura. Gli studi e gli interessi personali, nonché il contesto
Foto saracollu
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Foto saracollu
in cui è cresciuta, l’hanno portata a sviluppare una forte sensibilità verso i temi della tradizione e della sostenibilità, verso il territorio, la cura per il paesag gio e l’attenzione per le piccole realtà/comunità, in particolare quelle isolane.
La comprensione del contesto, del luogo e della sua cultura, nonché la ricerca di relazioni tra il passato e il presente, l’innovazione, l’operare in termini qualitati vi piuttosto che quantitativi e la collaborazione sono le parole chiave del suo approccio verso l’architettura e la comunità.
Nella sua tesi di laurea “Piazza nel Campo” Progetto di spazio pubblico per il margine nord di Vallermosa esemplifica il suo approccio in questi termini : Con un approccio analitico-critico e reinterpre tativo degli elementi locali preesistenti, la tesi af fronta il tema del progetto del margine nei conte sti minori della Sardegna mediante un progetto di suolo e di spazio pubblico, che mira a recuperare il rapporto tra l’insediamento e la campagna. Rapporto che l’uomo, attraverso il controllo del territorio e il dialogo col paesaggio, ha reso un quadro equilibrato in cui ogni sua azione lascia un segno e una traccia sul suolo nel tempo.
Al giorno d’oggi, nella dimensione globale che favorisce la quantità a discapito della qualità,
SARA COLLU
questi contesti vengono messi in crisi e assistia mo al generarsi di ten sioni e contraddizioni. È necessaria un’inver sione di rotta intelli gente per contrastare le conseguenze e le modificazioni radicali e a volte irreversibili di questi processi di al terazione dei caratteri peculiari del territorio.
Le aree di margine di ventano oggetto di ri flessione, luogo in cui ricercare significati e introdurne consapevol mente di nuovi.
In un’ottica strategica più ampia, il progetto rilegge il rapporto cen tripeto della struttura insediativo-territoria le del paese, basando il progetto di margine sulla ricucitura tra il centro e l’agro.
Gli assi viari e la ma glia poderale preesi stenti diventano gli ele menti regolatori della struttura, le matrici costitutive dell’agro strumento diretto di progetto e il rapporto uomo-naturalità-prod uttività-socialità il nuovo valore dal quale ripartire.
Sara
Collu
https://www.instagram. com/sara.collu_architect/ http://www.saracollu. com/
https://www.nootem po.net/nootempo-x-bo oks-il-respiro-della-ter ra-nel-nuovo-libro-dellarchitett-sarda-sara-col lu-architect-in-usci ta-a-dicembre/
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Licenzio e torno in Sardegna è una raccolta di storie pubblicate sulla pagina Facebook “Sardegna”. C’è Luca, per esempio, giovane laureato di Mamoiada che sogna il posto fisso. Vince un concorso e viene assunto a tempo indeterminato dal Comune di Milano, in Piazza Duomo. Solo allora capisce che non è quella la felicità. Poi c’è Kamil, un polacco di Cracovia che a Cagliari ci capita per caso e che ha già deciso che si trasferirà lì per sempre, con moglie e figli. O ancora Giulio, romano che di punto in bianco prende il telefono, chiama la famiglia e lascia il lavoro e la sua città. Storie di chi è dovuto partire, di chi ritorna ma anche di chi sardo non è.
O meglio, di chi non sapeva di esserlo ma lo scopre nel momento in cui sbarca a Cagliari, Olbia o Alghero. E ancor più quando riparte, dal finestrino dell’aereo. In quell’attimo capisce che di quest’isola non può più farne a meno.
La pagina SARDEGNA è nata nel 2013 dall’intuizione del muraverese Giovanni Piras. Ogni giorno racconta l’isola e le storie delle persone che la amano.
Lei è Denise Carta. È di Bonnanaro, un Comu ne con meno di 1000 abitanti in provincia di Sassari. Troppo piccolo per lei. È il 2015, ha 21 anni. Non ha mai preso un aereo. Saluta la famiglia: “Ciao a tutti, vado a York, in In ghilterra. Raggiungo Francesco”. Anche Francesco, il ragazzo, è sardo. Di Ploaghe.
Denise lavora come baby sitter, poi come cameriera. Pulisce solo i tavoli perché non conosce la lingua. Intuisce che la ristorazione è la strada da seguire. Studia, lavora, si sacrifica. In cucina è molto brava. È il 2021, corona il suo sogno. Apre un ristorante tutto suo, a venti chilometri da York.
Un ristorante sardo che chiama “Al Volo” dove ogni giorno serve culurgiones, malloreddus e seadas. Per far conoscere i sapori della sua terra. Proprio il 22 Novembre Denise compie 28 anni. Auguri e complimenti! #storiedisardegna Cosa ne dicono i clienti: (tradotto dall’inglese)
Non sapevo dell’esistenza di questo posto finché non è saltato fuori da una ricerca su Google Maps, ma sono molto contenta che sia così. Moderno, pulito e
Foto facebook.com M
con una bella vista sul campo d’aviazione e oltre. Ci siamo andati per una cena, il personale era molto cor diale, educato e attento.
Il cibo è delizioso. Niente di troppo pretenzioso e una bella atmosfera rilassata.
La musica dal vivo ha contribuito ad aumentare l’at mosfera.
Questo è diventato uno dei miei posti preferiti per mangiare fuori!
Craig
Caffè delizioso - molto meglio delle catene di caffè. Fantastiche uova alla benedict per colazione sul bal cone in pieno sole.
Un posto fantastico, reso ancora migliore dal perso nale molto cordiale e professionale.
La prossima visita sarà con la famiglia per un pasto. Adatto ai bambini: Il personale ha accol to la mia giovane figlia con grande entusiasmo.
James
Io e mia moglie abbiamo gustato uno dei migliori pa sti degli ultimi anni.
Anche il servizio è stato superbo. La posizione è unica e il ristorante è molto pulito ed elegante.
Una serata superba Mark
Al volo prides itself on cooking fresh dishes
using local and organic products. With their pasta and bread freshly made each day, the restaurant lets itself get inspired by the seasons to consistently create menus and approach tra ditional italian, sardinian cooking with an open mind.
We have been featured in one of Sardinia’s most popular newspapers and online news.
We left Sardinia with a dream, but It wasn’t easy to leave everything behind...family and friends.
We have now found a Home in York, where we feel very welcome and where, thanks to you all, we made that dream come true.
We miss Sardinia, but we feel lucky as we have two homes...
Sardinia and York, which is better than one
25 Foto alvolo.com
T+44 7496 561402 info@alvolorufforth.
Al Volo Restaurant italien Wetherby Road Rufforth United Kingdom
co.uk
on smette più di dipingere, ma come riesce a farlo, vedendo solo ombre, visto che a causa della retinite pigmentosa con serva ormai solo un lievis simo residuo visivo.
Lavora nel Gruppo Co municazione del CRS4, il Centro Ricerca Svilup po Studi Superiori della Sardegna, occupandosi di accessibilità in campo ar tistico.
Creativo, ottimista, impe gnato così ama definirsi Andrea Ferrero.
La società, dice nel suo portale, mette etichette su tutto, così da definirlo di sabile, handicappato, cie co, disabile visivo, diver samente abile.
Ma non è così; lui si sente semplicemente Andrea. Nessuno nasce imparato, si tratta solo di provarci! di fare un percorso di consa pevolezza!
La retinite pigmentosa è una patologia retinica ere ditaria, che porta alla ce cità perché progressiva, degenerativa e attualmente incurabile.
“La malattia non ha cam biato la mia vita, mi ha portato a ripensarla. Credo che senza non avrei mai scoperto tante cose di me.
Quotidianamente affron to anche tante difficoltà; quelle che solitamente le persone chiamano “sfi ghe” a me piace chiamarle “sfide” e cerco sempre e comunque di portare avan ti i miei obiettivi e realizza re i miei sogni.”
Carico di positività, forse
Andrea Ferrero è un’artista cagliaritano dalla sensibilità e dall’estro fuori dall’ordinario, che ha fatto del gesto artistico, il dipingere direttamente con le mani su tela, non solo una vera espressione del suo io, ma anche un atto liberatorio, terapeutico e di ribellione verso tutti quelli che gli hanno sempre detto che non lo avrebbe potuto fare. Il 3 dicembre alle ore 18:00 verrà inaugurata la sua mostra “Gestuability, quando il gesto diventa opera d’arte”, presentata da Marcella Serreli, storica dell’arte e già direttrice della Pinacoteca Nazionale di Cagliari, attualmente vicepresidente dell’associazione Amici del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, presso @ Elstudio cagliari, Efficio Lucem Studio, via Mameli 216, Cagliari.
La mostra sarà visitabile anche il giorno dopo, sempre dalle ore 18:00.
Non mancate!
N GESTUABILITY Andrea Ferrero il 3 e 4 dicembre 2022 dalle ores 18 h 00 Elstudio cagliari Efficio lucem studio via mameli 216 cagliari Tel.:+39 346 175 3347 Elstudiocagliari@ gmail.com Www.elstudio.it
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vista la sua giovane età anche un po’ inconscio, non si è arreso ma, pur non avendo risposte certe dalla medicina, ha riposto tutte le sue speranze nella ricerca scientifica, togliendo fuori tutto l’ottimismo di un ragazzo di 27 anni. Non si è chiuso a riccio, non si è fatto prendere dalla rabbia, ma ha riadattato la sua vita: sapeva che avrebbe dovuto vivere con questa coinquilina scomoda, ma que sto non gli ha impedito di sposare la bellissima Anna, di uscire con gli amici, di lavorare, divertirsi e reinventarsi nel suo mondo solo in apparenza buio.
È grazie a sua moglie Anna che si avvicina al mondo del la pittura, che, nonostante lo scetticismo iniziale, diventa la sua principale valvola di svago.
Il mondo di Andrea Ferrero è alimentato dai sogni e da una straordinaria potenza comunicativa.
Era il 1998 quando gli fu diagnosticata la retinite pig mentosa, patologia degenerativa che ha certamente dato una svolta alla vita di un ragazzo ventottenne ma dal ca rattere forte e acceso, come i colori che anni dopo sono esplosi nei suoi lavori creativi. La retinite non ha cambiato la sua vita.
Lo ha portato a ripensarla, forse a reinterpretarla come un quadro che ritrae uno scorcio che tanto amiamo ed emo ziona, sia illuminato dai più caldi raggi di sole che sotto un cielo nuvoloso ma non per questo meno evocativo. www.unicaradio.it/blog/2020/01/20/andrea-ferrero-pittore
Albert Einstein fu senza dubbio l’indiscusso ge nio della fisica ma, un altro ge nio, questa volta della ma tematica, lo supporto’ nel suo lavoro restandogli ac canto e vivendo della sua ombra.
Mileva Maric : questo il nome della donna che fu prima amica e collega, poi amante e infine prima moglie di Albert Einstein, una straordinaria mente scientifica anche se scono sciuta ai più...
Piu anziana di Albert , con una congenita zoppia che l’affliggeva fin dalla nasci ta , ad un certo punto mise al mondo una bambina che né lei né il padre videro mai perché fu data in ado zione.
Nel 1903 i due decisero di sposarsi e incominciarono a lavorare intensamente insieme sul “movimento della relatività”.
Nel frattempo nacquero altri due figli e incomin ciarono a vedere la luce le prime pubblicazioni dei loro studi, ma venivano firmate solo con il nome del marito.
A Mileva però ciò non im portava...
“Siamo gli Einstein! “ Così diceva con orgoglio. Ma il tempo le avrebbe presto dato torto...
Albert, infatti, si rivelò un marito inaffidabile e tradi tore.
Il genio della fisica, infat ti, non era un uomo fedele, e tra le numerose relazioni extraconiugali ci fu anche quella con sua cugina (segue pagina 28)
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(segue dalla pagina 27)
Elsa che, in seguito, diventerà la sua seconda moglie.
A causa di quella relazione la coppia ebbe una grave crisi e il “genio” incomin ciò a provare fastidio per la moglie e a trattarla alla stregua di “un’impiegata che non posso licenziare” , come usava dire.
Mileva , ad un certo pun to, non riuscì più a sop portare quella incresciosa situazione per cui prese i figli e abbandonò il marito a Berlino trasferendosi a Zurigo.
Il divorzio arrivò cinque anni dopo, nel 1919. Nel 1921 Albert Einstein vinse il Premio Nobel per la fisica e nessuno seppe mai che anche una donna aveva grandemente contri buito a quel risultato. Quasi a voler ripagare l’ex moglie, Einstein destino’ il compenso del premio a suo favore perché potesse vivere un’esistenza digni tosa e aver cura dei due figli.
Mileva passerà gli ultimi anni della sua vita a occu parsi della salute del figlio minore, schizofrenico e molto cagionevole, men tre il primogenito si trasfe rirà dal padre in America. Nel maggio del 1948, dopo un ictus, Mileva fu ricoverata all’ospedale cantonale di Zurigo ed af fidata a un tutore legale, in quanto non più capace di intendere né di volere. Morì il 4 agosto dello stes so anno all’età di settantatrè anni e venne sepolta a Zurigo secondo il rito ser bo-ortodosso.
MILEVA MARIC EINSTEIN
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Mileva Marić nacque a Titel da una famiglia possidente. Miloš Marić, il padre di Mileva, nacque il 20 dicembre 1846 in una famiglia di contadini che abitavano nel villaggio ser bo di Kać, vicino a Novi Sad.
Miloš Marić, dopo aver terminato la propria istruzione a Sremski Karlovci e a Novi Sad, intrapre se la carriera militare nell’esercito della Duplice Mo narchia.
La sua carriera procedette senza problemi e nel 1867, all’età di 21 anni, decise di sposarsi con Marija Ružić, originaria del villaggio di Titel. Marija Ružić-Marić diede alla luce il 19 dicembre 1875 una bambina, Mi leva.
Terza di cinque figli, ma in pratica la primogenita vi sto che i due fratelli maggiori morirono in tenera età, nacque con un difetto congenito all’anca sinistra che la fece zoppicare tutta la vita. Anche la sorella minore di Mileva, Zorka, nacque con lo stesso difetto congenito. Dopo la nascita di Mileva, la famiglia Marić dovette trasferirsi, a causa del lavoro del padre, nella città di Vukovar (ora Croazia). Verso la fine del 1877 si tra sferirono nuovamente, questa volta a Ruma. Sebbene vivesse in una città di modeste dimensioni e in una struttura famigliare di tipo patriarcale, Mileva
Marić mostrò fin dai primi anni uno spiccato acume nonché una grande varietà di interessi. Assieme alla musica, una delle sue più grandi pas sioni, coltivò anche l’amore per il canto e, nei limiti in cui glielo permettevano i suoi problemi all’anca, anche la danza.
Miloš Marić, resosi conto del potenziale della figlia, si prodigò in tutti i modi per far maturare i talenti del la primogenita e le insegnò personalmente a leggere, a scrivere e a far di conto. Subito egli le parlò sia in serbo sia in tedesco, quest’ultimo necessario per chiunque volesse progre dire accademicamente e professionalmente nella Du plice Monarchia.
Già dal primo anno di scuola Mileva dimostrò di es sere un’alunna modello, sebbene molto timida e in troversa.
A Ruma Mileva Marić frequentò con pieno profitto 4 anni di scuola elementare; il padre in seguito decise di iscriverla alla Scuola Femminile di Novi Sad. Il programma didattico di questo istituto aveva 14 materie e Mileva Marić si dimostrò in tutte un’ottima studentessa.
Il suo talento per la matematica non tardò a manife starsi; oltre a ciò dimostrò un’insolita bravura nel di segno, nella musica e nella letteratura.
L’unico punto problema tico per lei erano le lezioni di educazione fisica, in quanto la malformazione congenita all’anca le ren deva estremamente diffi cili anche gli esercizi più elementari.
In seguito si iscrisse alla Scuola Reale Inferiore di Sremska Mitrovica, un ginnasio misto avente in totale 100 alunni.
Ogni insegnante di que sta scuola aveva nove al lievi al massimo e ciò ga rantiva un insegnamento mirato e di alta qualità. Oltre a ciò, era uno dei pochi istituti ad avere la boratori di fisica e chimi ca ben attrezzati.
In seguito Mileva Ma rić decise di continuare la propria istruzione nel Regno di Serbia e venne ammessa al Ginnasio Re ale Serbo di Šabac, che era una delle poche scuo le in Serbia a garantire pari diritti sia ai maschi sia alle femmine.
Proprio qui Mileva iniziò a studiare il francese, che divenne, dopo il serbo e il tedesco, la lingua che conosceva e parlava me glio.
Sebbene la sua istruzione in Serbia procedesse sen za problemi, si vide co stretta a lasciare la scuola prima della fine dell’an no scolastico e a tornare in Austria-Ungheria, in quanto a suo padre era stato ordinato di trasfe rirsi immediatamente a Zagabria per motivi di lavoro.
La giovane Mileva Ma rić giunse a Zagabria con (segue pagina 30)
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(segue dalla pagina 29) un’ottima educazione e un’invidiabile carriera scolastica, ma nonostante questo riuscì a proseguire gli studi soltanto grazie al padre, il quale si rivolse al Ministero della Cultu ra della Duplice Monar chia con la preghiera che la figlia venisse ammessa al Grande Ginnasio Rea le maschile di Zagabria. La domanda trovò ac coglimento e, dopo aver superato l’esame di am missione, Mileva ven ne ammessa per l’anno scolastico 1892/1893 e fu una delle prime ragaz ze a sedere alla pari con i colleghi maschi in un istituto superiore, fino ad allora soltanto ed esclu sivamente maschile, di Zagabria.
In quegli anni Mileva Marić maturò la decisio ne di proseguire e perfe zionare la propria istru zione in Svizzera, dove alle donne era permesso andare all’Università. Dopo due proficui anni trascorsi a Zagabria, si recò assieme al padre a Zurigo, dove continuò la propria istruzione. Non risulta che lei avesse avuto particolari proble mi ad ambientarsi, anche perché il tedesco era pra ticamente la sua seconda lingua madre dopo il ser bo.
Nella primavera del 1896 Mileva Marić superò con successo l’esame di ma turità a Berna. Nell’estate dell’anno 1896 Mileva Marić su però l’esame di ammis sione al Politecnico di
Zurigo: l’esame consisteva in una prova di matemati ca e in una di geometria.
Entrò nella sezione VIA del dipartimento di matema tica e fisica assieme ad altri quattro ragazzi, tra i quali c’era anche Albert Einstein: lei era l’unica donna pre sente, in totale la quinta fino ad allora a prendere parte a tale ciclo di studi dalla fondazione del politecnico. Dopo aver concluso con successo il suo primo anno accademico al Politecnico, Mileva decise di tornare dai suoi genitori per le vacanze.
Fu proprio durante il periodo estivo che prese la deci sione di trascorrere un semestre in Germania, all’Uni versità di Heidelberg, uno degli atenei più prestigiosi d’Europa.
Alcune versioni romanzate della biografia di Mileva sostengono che lei sarebbe scappata ad Heidelberg per sottrarsi alla passione per Albert Einstein. Tutto ciò non può essere preso in considerazione in quanto trattasi più di speculazioni che di dati obiettivi e confermati.
Le ragioni di questa decisione sono invece di natura più pragmatica e non vedono coinvolta la figura di Al bert Einstein: Mileva Marić infatti non era pienamen te soddisfatta del programma di studi del Politecnico di Zurigo, in quanto secondo lei c’erano troppe poche ore dedicate alla fisica.
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Giunse a Heidelberg il 20 ottobre del 1897. Presso l’Università di Heidelberg in quel periodo le donne non godevano degli stessi diritti degli uomini, ragion per cui Mileva Marić venne ammessa solo in quali tà di “uditrice” per il semestre invernale, senza poter quindi sostenere esami o ricevere certificati. Nelle sue lettere tuttavia Mileva ha sempre espresso una profonda ammirazione per i docenti dell’Univer sità di Heidelberg, in particolar modo per il professor Lenard.
Ad averla maggiormente affascinata e indirizzata per i suoi studi successivi è stata la teoria della cinetica dei gas e, non a caso, sarà proprio questo tipo di ricer ca a integrarsi con le idee di Einstein dell’anno 1905 e con le sue ipotesi.
Ciò ha fatto ovviamente supporre che Mileva Marić avesse avuto un ruolo tutt’altro che secondario nelle nuove concezioni del marito, ma né Einstein né altri ne hanno mai fatto cenno.
Di fatto, all’epoca, le discipline scientifiche erano considerate “adatte” solo ai maschi e non alle fem mine: se dunque Mileva sia stata determinante per la maturazione delle idee di Einstein non è stato ancora scoperto.
Le donne, in molti paesi d’Europa, erano all’epoca totalmente escluse dall’università; successivamente
furono ammesse come “uditrici” e non come “allieve” di un corso di laurea.
Mileva Marić decise di fermarsi in Germania solo per un semestre, ra gion per cui non è stato possibile ricostruire il suo percorso formativo a Heidelberg in maniera completa.
La maggior parte delle informazioni di cui di sponiamo al suo riguardo proviene dalle lettere che lei inviò ad Einstein.
Sappiamo che nel feb braio del 1898 decise di tornare a Zurigo e che nell’aprile dello stesso anno si iscrisse per il se mestre estivo al Politec nico, il suo quarto seme stre di studi.
Stando a ciò che attesta la studiosa Radmila Mi lentijević, gli incontri di Mileva Marić con Albert Einstein sarebbero ripresi poco dopo il suo ritorno. Albert Einstein e Mileva Marić frequentavano gli stessi corsi, tra i quali an che le lezioni di fisica del professor Weber.
Tuttavia anche qui dispo niamo solo di ricostruzio ni biografiche parziali sia dell’esperienza universi taria di Mileva Marić sia della sua relazione con Albert Einstein in quel periodo.
La stessa Radmila Mi lentijević, la realizzatrice di una delle biografie più complete della moglie di Einstein attualmente a di sposizione, ammette che la grande riservatezza di Mileva e il suo totale (segue pagina 32)
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(sue dalla pagina 31) disinteresse per gli avvenimenti mondani hanno reso impossibile la rico struzione di alcuni perio di della sua vita. Nell’ottobre del 1898 Mileva Marić fece ritor no a Zurigo, dopo aver trascorso l’estate dalla sua famiglia, per iniziare il suo terzo anno al Poli tecnico.
Affinché il percorso di studi venisse considerato regolare, gli studenti del terzo anno erano obbliga ti a sostenere una prova di accertamento prelimi nare prima di sostenere gli esami finali per l’otte nimento del diploma. Einstein e gli altri mem bri del gruppo di studio sostennero l’esame ma Mileva, non sentendosi preparata, la rimandò di un anno e la superò quin di nell’ottobre del 1899 con la votazione 5.06 (6 è il massimo secondo il sistema di valutazione svizzero), sempre stando a ciò che riportano le sue biografie ufficiali. L’anno accademico 1899/1900 fu il quarto e anche l’ultimo che Mi leva Marić e Albert Ein stein trascorsero assieme al Politecnico di Zurigo. Gli esami finali al Po litecnico per Einstein e Marić erano previsti per la fine del mese di luglio dell’anno 1900 e consi stevano in una parte scrit ta e in una parte orale. Quando vennero pub blicati gli esiti, Mileva fu l’unico membro del gruppo a non aver otte nuto i voti necessari per il
conseguimento del diploma. Il fallimento non la fece tuttavia desistere e decise di ripetere la prova l’anno successivo.
Ma anche al secondo tentativo non ottenne il pun teggio minimo richiesto per la promozione. Ad aver aggravato la sua situazione era stata anche la sua evi dente gravidanza, giudicata negativamente dalla com missione esaminatrice, composta prevalentemente da uomini, nei quali erano vivi vari pregiudizi e stereotipi nei confronti delle studentesse.
Dopo il secondo fallimento Mileva Marić decise di tornare dai genitori e di mettere al mondo il bambino a casa sua.
Una delle principali fonti di informazioni su questo periodo della vita della prima moglie di Einstein è l’o pera di Michele Zackheim: Einstein’s Daughter, The Search of Lieserl.
L’autrice iniziò le sue ricerche dopo aver letto sul New York Times un articolo sulla scoperta delle lette re d’amore di Albert e Mileva.
Impossibilitata dalle convenzioni e dai pregiudizi a diventare la moglie di Einstein, Mileva, ultimati i nove mesi di gravidanza, si trovò costretta a partorire di nascosto e ad affidare la neonata figlia Lieserl a una nutrice.
Dopo aver lasciato sua figlia, Mileva fece ritorno in
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Svizzera, dove il 6 gennaio 1903 si sposò con Ein stein. I documenti del matrimonio ci sono giunti per fettamente conservati in quanto rientravano tra gli oggetti dei quali Mileva ebbe maggior cura. Non si sa se la bambina sia morta di scarlattina, o se sia scomparsa in quanto trovatella, o data in adozione alla nutrice.
In ogni caso di lei si perse ogni traccia, forse per mano della stessa eventuale madre adottiva (probabilmente la nutrice).
Non risulta che Albert Einstein abbia mai visto la sua prima figlia.
A partire dal 1903 Mileva Marić-Einstein mise la sua intelligenza al servizio del marito. Decise di assisterlo nella sua carriera non solo per amore, ma anche per motivi di natura strettamente pratica.
Einstein era il solo ad avere delle entrate e la loro vita famigliare si reggeva prevalentemente sui guadagni di lui, pertanto più lui guadagnava e progrediva nella carriera meglio era per entrambi. Nell’ottobre del 1903 Albert Einstein e Mileva Marić si trasferirono in Kramgasse 49, nel cuore di Berna, dove ancora oggi si trova, perfettamente conservato, l’edificio dove la giovane coppia di fisici ha vissuto e che di recente è stato trasformato in un museo che
porta il suo nome, Ein steinhaus.
Siccome in quegli anni era un semplice impie gato statale che doveva recarsi al lavoro tutti i giorni, il tempo che Ein stein poteva dedicare alla scienza era ridotto; per questo si ipotizza che fosse sua moglie Mileva ad occuparsi delle ricer che e del lavoro scienti fico che lui non aveva il tempo di fare.
Il 14 maggio 1904 diede alla luce il secondo figlio, un maschio: Hans Albert Einstein. Il terzo figlio, Eduard Einstein nacque il 28 luglio 1910.
In quello stesso anno Al bert Einstein divenne do cente di fisica dell’Uni versità Carolina di Praga. Il 30 marzo 1911 la fa miglia Einstein-Marić si trasferì a Praga.
La vita sia sociale sia eco nomica di Mileva Marić era in uno stato di totale dipendenza da quella del marito.
La popolarità di Einstein continuava ad aumentare e lui iniziò ben presto ad essere un ospite sempre più ricercato dai vari cir coli culturali e scientifici praghesi ed europei.
Le visite e i viaggi di Ein stein cominciarono col tempo ad escludere gra dualmente sua moglie. Nel gennaio del 1912 ad Einstein venne offerto il ruolo di docente di teoria della fisica al Politecni co di Zurigo, divenuto ormai ETH e la famiglia Einstein-Marić fece ritor no in Svizzera. (segue p 34)
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(segue dalla pagina 33)
Nel 1912 il matrimonio di Albert Einstein e Mi leva Marić iniziò a dare i primi segni di crisi.
La situazione peggiorò ulteriormente quando la coppia si trasferì a Berli no, dove Einstein aveva ottenuto un posto di do cente all’Accademia del le Scienze Prussiana.
A Berlino Einstein iniziò una relazione extraconiu gale con Elsa Löwenthal, sua cugina di primo gra do.
Da quanto è stato possibi le ricostruire, risulta che Mileva Marić, dopo aver scoperto il tradimento e dopo una serie di conflitti che finirono con l’incri nare anche il rapporto di Albert Einstein con i suoi stessi figli, ricevette una lettera di condizioni che lei avrebbe dovuto accet tare se voleva salvare il loro matrimonio.
Le condizioni che Albert Einstein decise di impor re a sua moglie, stando a ciò che attesta la studio sa Radmila Milentijević, erano un’umiliazione su tutta la linea.
Mileva Marić le respinse tutte e diede ufficialmen te inizio alla procedura di divorzio.
Il 29 luglio 1914 Mileva e i suoi figli lasciarono la Germania per tornare a Zurigo, Albert Einstein invece rimase a Berlino.
La pratica di divorzio durò molto tempo, in par te a causa dei problemi di salute di Mileva Marić, ma anche per il fatto che le due parti facevano fa tica ad accordarsi sui ter
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mini della separazione. Il punto più difficile era quel lo finanziario, più precisamente la somma che Albert Einstein avrebbe dovuto versare per il mantenimento dei figli e della sua ormai de facto ex moglie.
Einstein tentò, senza riuscirci, di convincere Marić a non inserire nei documenti che spiegavano la ragione del divorzio il fatto che lui l’avesse tradita con la cu gina Elsa Löwenthal.
Nel giugno del 1918 Einstein firmò i documenti che sancivano il divorzio e Mileva Marić fece lo stesso un mese dopo.
Gli accordi firmati prevedevano sostanzialmente l’im pegno da parte di Albert Einstein a versare a intervalli trimestrali gli alimenti necessari per il mantenimento dei due figli e della ex moglie, un versamento come garanzia di 40.000 marchi tedeschi nella Banca Sviz zera e, sempre per quanto riguarda i figli, la possibi lità per Einstein di vedere Hans Albert ed Eduard in territorio elvetico durante le vacanze estive.
Venne stabilita anche la sorte del denaro di un even tuale Premio Nobel. Stando agli accordi, se ad Albert Einstein fosse stato conferito il Premio Nobel per la fisica, il denaro sarebbe diventato proprietà di Mileva Marić e dei suoi figli.
Il 31 agosto 1918 Albert Einstein si presentò al Palaz zo di Giustizia di Zurigo e confermò tutto il contenuto
inserito nei documenti riguardanti il divorzio, inclusa la relazione extraconiugale con sua cugina.
Il 14 febbraio 1919 il tribunale di Zurigo dichiarò uf ficiale il divorzio e la piena entrata in vigore degli accordi presi. Finiva così la coppia Einstein-Marić. Gli anni che seguirono il divorzio non furono sereni per Mileva Marić.
A causa della crisi economica che aveva colpito l’Eu ropa subito dopo la prima guerra mondiale e per via della svalutazione del marco tedesco, per Albert Ein stein fu sempre più difficile pagare regolarmente gli alimenti alla ex moglie, il che costituì un grave pro blema per Marić, visto e considerato che aveva due fi gli a cui badare e la vita a Zurigo era diventata sempre più cara.
Albert Einstein in più di una circostanza la esortò a trasferirsi in Germania in modo da facilitargli il pa gamento degli alimenti, ma Mileva Marić si oppose fermamente a questa possibilità e iniziò una vita de dita al risparmio, iniziando a dare ripetizioni private in modo che i ritardi nei pagamenti degli alimenti non fossero tanto gravi. Furono anni tormentati anche per via della morte del padre di Mileva e della malattia di sua sorella minore, Zorka, anch’essa conclusasi con la morte. Nel 1921 l’Accademia Svedese delle Scienze conferì
ad Albert Einstein il Pre mio Nobel per la Fisica. Il denaro del Premio No bel avrebbe permesso ad Einstein di risolvere una volta per tutte i problemi legati al mantenimento dei figli e della ex moglie. La somma di denaro all’epoca ammontava a 121.572 corone svede si, che corrispondeva al guadagno decennale di un docente universitario. In base agli accordi presi il denaro sarebbe dovu to diventare proprietà di Mileva Marić, che inten deva usarlo per comprare una abitazione propria in modo da liberarsi dalla condizione di affittuaria nella quale viveva da di verso tempo.
Einstein si dichiarò favo revole all’idea e il denaro venne impiegato princi palmente per comprare un intero edificio di ap partamenti, in modo da garantire a Mileva e ai suoi figli un’abitazione, ma anche una fonte di entrate, rappresentata da gli altri appartamenti che in seguito vennero dati in affitto.
Bisogna però precisare che, sebbene il denaro si trovasse su un conto ban cario intestato a lei, Mile va Marić poteva disporre solo di una percentuale: per il resto avrebbe sem pre avuto bisogno del placet di Albert Einstein.
La principale preoccupa zione di Mileva in quel periodo era l’educazione dei suoi figli.
Il figlio maggiore Hans Albert terminò con suc cesso (segue pagina 36)
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(segue dalla pagina 35)
la sua istruzione universitaria diventando inge gnere, mentre il figlio più giovane Eduard non riu scì a portare a termine gli studi, in quanto iniziò a soffrire precocemente di schizofrenia.
Gli ultimi anni di Mileva Marić furono un susse guirsi di lutti, preoccupa zioni per la salute del fi glio, problemi burocratici e finanziari, incombenze di vario genere e proble mi di salute, acuitisi so prattutto negli ultimi anni della sua vita.
Il 3 ottobre 1933 Albert Einstein, dopo aver ri consegnato il passaporto tedesco a causa delle di scriminazioni perpetrate dai nazisti di Adolf Hit ler, lasciò definitivamen te l’Europa per stabilirsi negli USA.
Non molto tempo dopo venne raggiunto dal fi glio Hans Albert. Mileva Marić rimase da sola a Zurigo a occuparsi del figlio minore.
Albert Einstein continuò a sostenere, almeno dal punto di vista finanziario, l’ex moglie, la quale in quel momento stava at traversando diverse peri pezie legate al condomi nio acquistato con i soldi del Premio Nobel, che rischiava, non si sa per quale motivo, di essere sequestrato dalle autorità. Da una lettera dell’8 no vembre 1938 apprendia mo che Albert Einstein comprò il condominio in questione, risolvendo così i problemi di Mileva. Grazie all’intervento
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dell’ex marito, il condominio venne salvato dal se questro e Mileva Marić poté continuare a riscuotere gli affitti i quali, assieme al contributo che le versava Einstein, erano i soli mezzi che avesse a disposizione per pagare le cure del figlio minore. Altro motivo di preoccupazione era il clima politi co dell’Europa in quel periodo: la Svizzera si stava armando e si preparava a una possibile invasione da parte della Germania di Hitler. Se la Svizzera fosse diventata anche solo uno stato sa tellite della Germania nazista, Eduard avrebbe potuto essere perseguitato essendo ebreo per parte di padre. I documenti di Mileva attestavano chiaramente che lei non era di origini ebraiche, ragion per cui a correre il pericolo era solo Eduard. Proprio per questo motivo Mileva Marić si fece spe dire dalla Serbia i certificati di battesimo dei suoi figli in modo da poter dimostrare alle eventuali autorità collaborazioniste l’appartenenza di suo figlio al Cri stianesimo.
La caduta della Francia fece perdere a Mileva ogni speranza di abbandonare la Svizzera, in quanto il ter ritorio elvetico era ormai completamente circondato dal Terzo Reich e dai suoi alleati e tutte le frontiere di stato elvetiche erano severamente pattugliate. Nel 1944 tuttavia divenne evidente che gli Alleati
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avrebbero vinto la guerra.
Siccome il conflitto aveva coinvolto quasi tutta l’Eu ropa, i contatti tra quest’ultima e il resto del mondo erano ridotti al minimo, ragion per cui Mileva Marić da anni non aveva ricevuto notizie di suo figlio Hans Albert.
Nel novembre del 1944 Mileva Marić ricevette una lettera di Albert Einstein e i contatti ripresero. Dallo scambio epistolare tenutosi in quel periodo tra Mileva e Albert sappiamo che i problemi di salute di lei erano diventati molto seri a causa del suo costante doversi prendere cura del figlio malato e dell’indigen za in cui era costretta a vivere.
Bisognosa di denaro com’era, Mileva Marić non op pose alcuna resistenza quando Albert Einstein decise di vendere il condominio acquistato con i soldi del Premio Nobel, anche se quello era il luogo in cui lei stessa viveva.
Einstein risolse questo problema mettendo nell’ac cordo di vendita una condizione grazie alla quale Mi leva Marić aveva il diritto di risiedere nel condominio fino alla morte.
Verso la fine del 1946 le condizioni psichiche di Eduard peggiorarono ancora e fu necessario ricove rarlo di nuovo in clinica. Mileva trascorse gli ultimi anni della sua vita prendendosi cura del figlio.
Sapendo di non avere più molto tempo a disposizione, dopo aver conclu so la vendita del condo minio, iniziò a cercare un tutore legale per il figlio, in quanto quest’ultimo era considerato dallo Sta to elvetico incapace di in tendere e di volere.
Nel maggio del 1948 Mi leva Marić venne colpita da un ictus e venne rico verata nell’ospedale can tonale di Zurigo.
L’11 giugno di quello stesso anno le autorità elvetiche la dichiararono incapace di intendere e di volere e le venne asse gnato un tutore legale. Il tutore legale avrebbe fatto le sue veci e avreb be sbrigato al posto suo tutte le faccende burocra tiche e amministrative.
Mileva Marić-Einstein morì il 4 agosto 1948 a Zurigo, all’età di 73 anni. Venne sepolta nel cimite ro di Nordheim, sempre a Zurigo, secondo il rito serbo-ortodosso.
Nel 2019, la fisica e scrit trice Gabriella Greison fa domanda ufficiale affin ché venga attribuita una laurea postuma a Mileva Marić; dopo quattro mesi di discussioni, l’ETH nega l’attribuzione della laurea postuma.
Nel 2022, la Greison ripropone la stessa do manda, grazie al cambio ai vertici del rettorato dell’ETH, con l’aggiunta di un’attribuzione di lau rea postuma anche alle altre poche donne prima di Mileva a cui non è sta ta data la laurea. (segue pagina 38)
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(segue dalla pagina 37)
Discussione sui contributi di Mileva Marić ai la vori di Albert Einstein Se è stato difficile rico struire la biografia di Mileva Marić, è pratica mente impossibile stabi lire in che cosa lei abbia effettivamente contribui to all’opera del marito e in quale misura.
La discussione che si è aperta in merito al contri buto di Mileva ai lavori di Einstein dura da più di 25 anni e si focalizza prevalentemente sui la vori che Albert Einstein pubblicò nel 1905, il co siddetto Annus Mirabilis.
In quell’anno vennero pubblicati ben 4 lavo ri scientifici firmati da Einstein sul giornale An nalen der Physik e che divennero in seguito la colonna portante del suo successo futuro.
Sono noti col nome di Annus Mirabilis Papers (Articoli dell’anno stra ordinario).
Questi articoli affron tavano sotto una nuova ottica l’effetto fotoelettri co e il moto browniano, formulavano la relatività ristretta e stabilivano l’e quivalenza massa-ener gia.
La definizione Annus Mi rabilis venne data al 1905 proprio in seguito alla pubblicazione, a breve distanza l’uno dall’altro, di questi quattro relativa mente brevi, ma purtutta via rivoluzionari, articoli fondativi della fisica moderna.
Proprio l’estrema veloci tà con cui Albert Einstein
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riuscì a portare a termine questi estremamente com plessi articoli, pur lavorando a tempo pieno all’Uf ficio Brevetti, ha indotto molti a pensare che ciò sia stato possibile soltanto grazie all’aiuto di sua moglie Mileva Marić, l’unica persona nella sua sfera privata ad avere le conoscenze necessarie per potergli dare un aiuto concreto. Gli articoli in questione sono: “Über einen die Erzeugung und Verwandlung des Lichtes betreffenden heuristischen Gesichtspunkt”[5], Annalen der Physik, 17, 132-148 (“Un punto di vista euristico sulla produzione e la trasformazione della luce”) sull’effetto fotoelettrico “Über die von der molekularkinetischen Theorie der Wärme geforderte Bewegung von in ruhenden Flüss igkeiten suspendierten Teilchen”[6], Annalen der Physik 17, 549–560 (Il moto di piccole particelle so spese in liquidi in quiete, secondo la teoria del calore) sul moto browniano “Zur Elektrodynamik bewegter Körper”[7], Annalen der Physik 17, 891–921 (Sull’elettrodinamica dei cor pi in movimento) sulla relatività speciale “Ist die Trägheit eines Körpers von seinem Ener gieinhalt abhängig?”[8], Annalen der Physik 18, 639–641 (L’inerzia di un corpo dipende dal contenuto di energia?) sull’equivalenza tra massa e energia Fra i primi studiosi a investigare il rapporto fra Ein
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stein e Maric fu il fisico sovietico Abram Feodorovič Ioffe.
In un articolo del 1955 dedicato ad Albert Einstein, Ioffe afferma che nel 1905, mentre lavorava come assistente nella redazione degli Annalen der Physik, ebbe la possibilità di leggere i lavori di Einstein prima della pubblicazione definitiva e ufficiale e che negli originali venisse indicato come autore un impiegato dell’Ufficio Brevetti, un tale Einstein-Marity. Ioffe spiega che Marity (versione ungherese del cognome Marić) era il cognome da nubile della moglie di Albert Einstein, e attribuisce il doppio cognome all’”uso svizzero” di abbinare sempre il cognome del la moglie a quello del marito. È stato successivamente il Dr. Trbuhović-Gjurić ad attribuire a Joffe l’affermazione secondo cui gli arti coli sarebbero stati firmati anche da Maric[10].
Tuttavia, i manoscritti a cui si riferisce Abram Feo dorovič Ioffe sono andati perduti, e la pubblicazione finale porta il solo nome di Einstein.
Dello stesso avviso è anche il fisico serbo Đorđe Kr stić, che per quasi 50 anni ha condotto ricerche su Mi leva Marić e Albert Einstein.
È stata soprattutto la scoperta e la pubblicazione, nel 1987, della corrispondenza privata tra Mileva Marić e Albert Einstein a far uscire dall’ombra la figura di lei
e a condurre a un timido riesame dei reali meriti di lui.
Tuttavia, sembra che le lettere pubblicate non si ano la totalità della loro corrispondenza, ma che alcune siano andate per se.
Peter Michelmore fu il primo fra tutti i biografi di Albert Einstein ad af fermare che uno dei fatto ri determinanti di questo strepitoso e assai celere successo fosse proprio la moglie di Albert Ein stein.
Le biografie dedicate a Mileva Marić ovviamen te le conferiscono rico noscimenti più ampi di quelli che fino ad ora è stato possibile documen tare con certezza.
Il fisico Evan Harris Walker nel suo articolo per il Physics Today del 1989 sostiene che Albert Einstein e Mileva Marić avessero lavorato come un vero e proprio team, e cita diversi passaggi dalle lettere scritte da Einstein a Marić in cui si parla di un lavoro comune, e si chiede se ci siano altre lettere di quel periodo che non siano state con servate.
Aggiunge inoltre che i la vori più vitali di Einstein sono appunto quelli che ha condotto quando era sposato con Mileva e che dopo il divorzio la sua fisica sia diventata più conservatrice.
Walker è inoltre del pare re che Mileva Marić dovesse essere menzionata come coautrice se non altro (segue pagina 40)
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(segue dalla pagina 39) almeno del lavoro riguardante l’elettrodinamica dei corpi in movimento. C’è in particolare una lettera (n. 94) datata 27 marzo 1901 scritta da Einstein a Marić che in clude la frase “portando il nostro lavoro sul moto relativo a una felice con clusione”.
L’aggettivo “nostro” fa pensare a un lavoro con dotto in collaborazione.
Questo è il testo,tradotto dal tedesco in inglese: «Right now Michele [Besso] is staying in Trie ste at his parents with his wife and child and only returns here [Milan] in about 10 days. You need have no fear that I will say a word to him or anyone else about you.
You are and will remain a holy shrine to me into which no one may enter; I also know that of all people you love me most deeply and understand me best.
I also assure you that no one here either dares to or wants to say anything bad about you.
How happy and proud I will be when the two of us together will have brou ght our work on relative motion to a successful conclusion!
When I look at other pe ople, then I truly realize what you are! (27 March 1901, Vol. 1, p. 282).»
Questo non è l’unico esempio: in un’altra lettera (96), Albert Einstein scrive: «“He (Michele Besso) is
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very interested in our investigations...The day befo re yesterday, he went on my behalf, to see his uncle, Prof. Jung, one of the most influential professors of Italy and also gave him our paper.” (Letter 96, page 162)» In una lettera successiva (n. 102), si legge: «“I am again studying Boltzmann’s theory of gases. I think, however, that O.E. Meyer hasenough empirical material for our investigation. If you once go to the library, you may check it,” e poi “I am very curious whether our conservative molecular force will hold good for gases as well.” (Letter 102, Page 168)»
In un’altra lettera ancora (n. 107), scrive: «“The local Prof. Weber is very nice to me and shows interest in my investigations. I gave him our paper.” (Letter 107, page 171)»
Alcuni studiosi tendono a interpretare questo uso del pronome plurale come un segno di trasporto affettuo so da parte di un marito innamorato[10], mentre altri fanno presente che questo pronome plurale non è uti lizzato per tutti gli articoli e i progetti, ma solo per alcuni, e argomentano che Einstein lavorasse a diver si articoli contemporaneamente, di cui alcuni portati avanti in collaborazione con la moglie.
In sintesi, la comunità scientifica è ancora oggi estre mamente divisa sul ruolo e sui meriti da attribuire a Mileva Marić.
John Stechel e Gerald Holton ad esempio, pur non potendo negare l’esistenza di un certo grado di coope razione tra Albert Einstein e Mileva Marić, riducono tuttavia il sostegno e il contributo di quest’ultima a una sfera più emozionale che scientifica e in tal senso aggiungono che un ruolo preponderante avrebbe po tuto essere anche quello dell’ingegnere Michele Bes so, caro amico e collega di Albert Einstein. Entrambi fanno notare che la corrispondenza fra Einstein e altri colleghi come Besso includono discussio ni su aspetti puntuali delle sue ricerche, discussioni che mancano completamente nelle lettere alla moglie. Renn e Schulmann, curatori di una recente edizione della corrispondenza tra Albert Einstein e Mileva Ma rić prendono una posizione più neutrale sulla questio ne sostenendo che, a meno che non vengano scoperti nuovi indizi e documenti al riguardo, non si potrà mai stabilire con precisione l’esatta portata del contributo di Mileva Marić ai lavori di Albert Einstein. Wikipedia.org (EN) Did Einstein’s Wife Contribute to His Theo ries?, su nytimes.com, New York Times, 1990. URL consultato il 21 maggio 2017. (EN) Estelle Asmodelle, 2015, The Collaboration of Mileva Marić and Albert Ein stein, Asian Journal of Physics
MARA DAMIANI
IL
sole, il vento e il mare sono quello di cui mi nutro.
I profumi della macchia mediter ranea, la brezza salma stra e i colori del cielo e della natura della mia terra, quello che mi dà ispirazione.
Sono Mara Damiani e la Sardegna è Madre e Casa mia.”
Cagliari, 1972: Mara Da miani nasce nella “città bianca” (come la definiva Sergio Atzeni), con pa stelli e pennelli in mano.
Studia Architettura a Firenze e si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Milano.
“Ero innamorata dell’ar te e della bellezza e lo sono ancora oggi.
Appena laureata ho lavo rato come direttore crea tivo e progettista per vari marchi e aziende.
Quello che mi entusia sma del mio lavoro è la passione, sempre nuova e viva, che metto in ogni progetto.
Come un’attrice entro nel cuore del personag gio per cui devo produrre e creare, e riesco a respi rarne l’anima.
Ho imparato questo ap proccio e l’ho fatto mio dopo l’esperienza vissu ta alla Disney Academy e vent’anni di lavoro da freelance per la The Walt Disney Company IT.”
Ma come succede spesso quando la propria terra lascia un’impronta par ticolarmente importan te, la Sardegna, dopo 20 anni di lontananza, (se gue pagina 42)
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(segue dalla pagina 41) ha iniziato a bussare e a chiamarmi. E io? Le ho risposto e sono tornata! A casa mia, tra i miei profu mi e i miei colori. Mi sono così riappropria ta della mia terra, da cui ho sempre da imparare.
Di quei colori e degli sti lemi grafici dei costumi della mia Isola, di quei decori della filigrana di incredibile finezza, di quelle forme che appar tengono alla natura e alla fauna, io mi innamoro ogni volta.
Sono parte di me e, grazie a ogni progetto portato avanti, conosco e scopro sempre qualche sfumatu ra in più, che mi lascia un segno indelebile.
Leggo la Sardegna at traverso i miei occhi ma soprattutto il mio cuore: con passione, energia, carica vitale e uno sguar do sempre vigile e attento sulla contemporaneità.
Uno dei miei obiettivi cardine è quello di esse re capita da chiunque, bambini e adulti, artisti e semplici appassionati.
Le mie tradizioni, la ma gia, i colori e gli stilemi della mia terra voglio che diventino linguaggio uni versale adatto a tutti. Una modalità espressiva e creativa che, in tutti i miei lavori, ho utilizzato come metodo e approc cio.
Non è forse proprio que sto il vero significato dell’arte?
Arrivare a ognuno di noi, con chiarezza, emozione e semplicità”. www.maradamiani.com/
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Per ogni progetto cui lavoro mantengo lo stes so approccio: un accurato studio del territorio, delle aziende, delle persone.
Lettura e visione di testi e immagini, opere, prodotti del luogo.
Mi immergo completamente nell’oggetto per diventa re parte di esso e ridargli poi nuova vita, con il mio sti le e linguaggio, quello lineare e semplice del Design. Il “Design Identitario” è un processo che si presta per qualunque tipologia di lavoro e argomento. Parte da un attento studio della storia, delle tradizioni, dei colori, degli stilemi, per universalizzarsi nel mo mento in cui l’opera è portata a termine. Ovunque ci si trovi e qualsiasi cosa si desideri raccon tare attraverso il Design Identitario, la metodologia operativa resta la medesima.
Si parte dal tutto per arrivare all’estrema sintesi capa ce di racchiudere, con semplicità di lettura e compren sione, un mondo intero.
E’ un processo di grande creatività: un po’ come quan do in cucina sul proprio tavolo si hanno ingredienti comuni e alle volte anche semplici, sottovalutati. Ciò che cambia il risultato è la passione, l’anima, l’empatia e il sentimento di chi si mette ai fornelli, l’unico capace di creare un’opera che emoziona le pa pille gustative e il cuore”.
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ILconvegno “Il patrimonio culturale raccontato attraverso il design: le Rejnas di Sardegna e i tesori di Villacidro” tenutosi ieri al teatro Don Bosco ha raccontato in dettaglio la ricchezza degli abiti tradizionali femminili sardi dei co muni partecipanti esplorandone la storia e le differen ze a seconda dell’occasione in cui venivano indossati. In un teatro gremito, il sindaco di Villacidro Federi co Sollai ha manifestato la propria soddisfazione per l’evento, inserito nel progetto Festa di San Sisinnio: «È per noi un grande orgoglio essere riusciti a far diventare la Festa di San Sisinnio uno dei principali eventi identitari della Sardegna, grazie al riconosci mento e al finanziamento ricevuto dall’assessorato regionale del Turismo, Artigianato e Commercio. Da oltre 400 anni la comunità villacidrese celebra il santo, una festa che ha avuto la forza di conservare nel tempo i suoi caratteri originari e identitari». Non sono mancate parole di ringraziamento per tutte le realtà che hanno contribuito al successo dell’evento e per le relatrici del convegno, la designer Mara Da miani, che ha curato anche la mostra esposta all’ex Mulino Cadoni, l’antropologa Susanna Paulis, l’arti giana Maria Corda, accompagnate durante la serata dalla consigliera comunale Giuditta Sireus. «Mi era stato chiesto di organizzare una mostra con
REINAS E TESORI
i lavori che avevo già re alizzato, le Rejnas (racconta Mara Damiani). Quando sono venuta a Villacidro ho voluto però studiare il territorio e il suo patrimonio e da que sto nasce la mostra, che è dedicata alle Rejnas in generale, ma anche a cinque temi che parlano del patrimonio culturale di Villacidro».
Si tratta di cinque mani festi dedicati ad altrettan ti gioielli della cittadina: la cascata Sa Spendula, San Sisinnio, il Lavatoio, gli abiti della tradizione e i frutti della terra, veri e propri tesori locali.
Suggestiva la sfilata de gli abiti tradizionali di Desulo, Gonnosfanadi ga, Iglesias, Nuoro, Or gosolo, Oristano, Samu gheo, Settimo San Pietro, Sassari, Uta, Villacidro, Quartucciu e dei manu fatti realizzati dalla fab brica orafa villacidrese Marrocu Gioielli F.o.a.g., raccontati nel dettaglio dalla voce di Bruna Fron gia con l’accompagna mento musicale di Gavi no Murgia.
Sulla ricchezza degli abiti e sull’importanza dei gioielli, anche come strumenti di protezione dal male, si è soffermata l’antropologa Susanna Paulis, mentre l’artigia na orgolese Maria Corda ha raccontato la filiera di lavorazione della seta, a partire dall’allevamento del baco di varietà “Or gosolo” fino alla tessitura del copricapo usato un tempo dalle donne orgo lesi, (segue pagina 44)
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(segue dalla pagina 43) su lionzu, parte preziosa dell’abito tradizionale. Al termine del conve gno, il taglio del nastro della mostra curata da Mara Damiani ed espo sta all’ex Mulino Cadoni, che si potrà visitare nei giorni 2, 3, 4 dicembre dalle 16 alle 19.
L’evento, inserito nel progetto Festa di San Si sinnio, è stato organizza to dal Comune di Villaci dro in collaborazione con il Comitato parrocchiale San Sisinnio Martire e la Pro Loco di Villacidro, con il patrocinio della Fondazione Giuseppe Dessì e con il contribu to dell’assessorato del Turismo, Artigianato e Commercio della Regio ne Autonoma della Sar degna.
Fino al 4 dicembre
Dalla tradizione al design: i simboli di Villacidro visti da Mara Damiani
In mostra al Mulino Cadoni le nuove opere dedicate a San Sisinnio, a Sa Spen dula, allo storico Lavatoio, agli abiti tradizionali e ai frutti della terra. L’artista: “Una ricerca emozionante” Sarà possibile prenotare una visita guidata o l’apertura anche in giorni e orari diversi da quelli indicati inviando una e-mail a giuditta.sireus@comune. villacidro.vs.it.
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ILbello, la storia, le informazioni, la cultura, le tradizioni: via Roma e il largo Carlo Fe lice si fanno portatori di un racconto, quel lo sulla nostra Sardegna. Mara Damiani, designer e artista cagliari tana, rivoluziona gli arredi urbani cittadini.
I cubi in cemento che avrete visto in questi ultimi mesi in centro, da semplici e non esteticamente piacevoli elementi (legati alla logistica e costruzione della metropolitana leggera), si trasformano in supporti di un percorso museale a cielo aperto. “Questi blocchi sono provvisori ma necessari”, racconta la designer.
E quando non c’è alternativa per la loro modifica, come in questo caso, ecco che la bellezza e l’arte arrivano a guarire ogni “ferita”.
Il bello, la storia, le informazioni, la cultura, le tradizioni: via Roma e il largo Carlo Felice si fan no portatori di un racconto, quello sulla nostra Sardegna.
“Circa un mese fa feci un post con dei fotomon taggi, continua, chiedendo agli amici online se l’idea di rivestire i cubi con dei manifesti che ri producessero qualcuna delle mie grafiche legate
Foto stefano conti
alla storia e alle tradizioni cittadine potesse pia cere.
Il giorno dopo, visto anche l’apprezzamento su scitato dal post, sono andata in Comune. Qui la giunta e in seguito l’Arst mi hanno dato l’ok per l’affissione”.
I blocchi, in tutto 4, contengono una narrazione che ruota intorno alle 4 facciate: di fronte al pa lazzo dell’Enel abbiamo 4 abiti della tradizione, sa panettera di Cagliari, sa reina di Oristano, i co stumi di Quartu e Desulo. L’altro blocco, in via Roma, poco prima della Re gione ecco 4 gioielli antichi della tradizione iso lana, su coccu portafortuna, sa gancera, gioiello legato alle trame d’amore; il rosario che rappre senta fede e devozione (in questo caso nei con fronti della città) e s’arrecada cun lantionis, l’o recchino con la barca e il lampione che veniva un tempo regalato dal fidanzato alla futura sposa, quando ancora niente era dichiarato ufficialmente. Di fronte al largo Carlo Felice, ecco Sant’Efisio che guarda verso la via, un’illustrazione-dono al Santo che rappresenta Cagliari. La facciata verso il Municipio è legata al palaz
zo comunale stesso e le altre due facciate sono dedicate alla comuni tà che ogni anno con passione e devozione si dedica alla processio ne, l’unica capace ogni anno di unire tutta l’I sola.
Nell’ultimo blocco, vi cino all’Arst, troviamo Sa Ramadura con l’illu strazione del ciondolo che porta Sant’Efisio, i coloratissimi petali che riempiono di profumo e gioia la via durante la processione e l’elicri so, la tipica pianta della macchia mediterranea sarda, nella facciata che guarda verso Pula. Anche voi pensate che siano favolosi?
Nell’attesa di vederli affiggere tutti, speria mo che l’intervento ar tistico di Mara Damiani continui in altre zone della città e soprattutto che altri artisti pren dano spunto per im preziosire, arricchire e far diventare la nostra Cagliari un racconto di quello che ci rappresenta nel profondo.
Maria Luisa Porcella Ciusa
https://www.vistanet. it/cagliari/2022/08/17/ la-designer-mara-da miani-veste-dar te-tradizioni-e-colo ri-i-grigi-cubi-in-ce mento-tra-via-ro ma-e-il-largo-carlo-fe lice/
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ome ho fatto al tre volte, riporto un brano del dott. Altana, riguardo i suoi studi e sco perte sul nostro immenso patrimonio archeologico. La maggior parte dei cen tenari vive in Sardegna. Anche soltanto questo, dovrebbe farci riflettere sulla portata energetica, e non solo architettonica, dei nostri luoghi sacri.
LA TOMBA DEL GI GANTE: PROMETEO ED IL FUOCO DEBOLE
L’energia vitale che ope ra all’interno di ogni sito megalitico è il fuoco che gli dei nascondono agli uomini, ma Prometeo è il gigante che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini attraverso la Gi gantoTerapia e la Mega litoTerapia; quel fuoco è l’energia debole che non solo non è debole, ma è intelligente ed oggi sem pre più possente: è la fusione nucleare fredda, energia libera o free ener gy.
Gli esperimenti che pro vano la sua riproducibi lità si moltiplicano ma non sono divulgati; fu scoperta nel 1989 da due chimici americani (Flei shmann e Pons ) ed è sta ta poi riprodotta in molti laboratori in varie parti del mondo; all’inizio su scitò clamore che poi si è presto smorzato e solo pochi scienziati hanno proseguito le ricerche: tra questi due fisici ita liani Giuliano Preparata ed Emilio Del Giudice che hanno sviluppato la teoria EQC ( Elettrodina
FUOCO DEBOLE E VITA CENTENARIA
mica Quantistica Coerente ) che ha consentito sin dal 2002 applicazioni riproducibili.
Secondo me è l’inizio di un fenomeno molto più va sto, è l’alchimia ( quella stessa che avviene in ogni sito megalitico attraverso il rito dell’incubazione ), è il sorgere di un nuovo stato della materia nucleare, stato che possiamo definire illuminato perché è una sinergia stabile e pulsante tra materia nucleare e luce debole: sta avvenendo ovunque sulla superficie della terra ed in modo particolarmente accelerato nel cuo re di ogni sito megalitico dove viene apprezzato ed utilizzato da quelli che hanno consapevolezza di che cosa sia veramente l’incubazione nuragica.
La fusione fredda si verifica infatti solo in presenza di un reticolo cristallino che può essere fatto non solo di metallo (titanio o palladio) come quelli in uso in un laboratorio, ma anche di granito (silicio) come quello in uso nel dromos di una Tomba di Giganti: il reticolo può anche essere la struttura cellulare di un corpo bio logico o anche i vari circuiti del corpo umano come avviene appunto nella GigantoTerapia e nella Mega litoTerapia.
La sinergia tra i vari reticoli con il sistema immunita rio e quello endocrino (che si realizza quando ci posi zioniamo tra gli elettrodi di granito del dromos della Tomba di Giganti) è uno stato fisiologico che unisce
Foto fabriziopinn tomba dei giganti S’Ena e Thomes Dorgali
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soma e psiche e ci rende immuni da malattie. Riconquistando attraverso adeguati cicli di terapia presso un sito megalitico la plasticità perduta e quindi la creatività, l’essere umano svilupperà “tecnologie nuove “che gli antichi sciamani già conoscevano: il cervello in questo modo recupera la memoria di tempi passati e futuri perché impara a cambiare spin quindi tempo e riconosce l’intelligenza della forza debole e della informazione in essa contenuta.
In vari esperimenti di fusione fredda è già evidente che l’energia è intelligente: non è fantascienza e nean che scienza ma è coscienza, uno stato del corpo uma no in sinergia con il lato debole che sensibilizza i vari circuiti in sintonia l’uno con l’altro. Facciamo dunque spesso incubazione presso un Nuraghe o una Domus de Janas o un Pozzo Sacro imparando così ad amare la vita ed a usare la forza debole.
Tratto da “TERAPIA GENETICA NATURALE Siti Megalitici acceleratori naturali di particelle e di in formazioni.
Autore: Raimondo Altana nato ad Arzachena nel 1945, studi classici e Laurea in Farmacia presso l’U niversità di Sassari. Studioso di Bioenergie e di Ge obiologia: approfondisce il rapporto tra biologia, siti megalitici e scienza terapeutica. Collana Nuragica Tiziana Fenu Maldalchimia.blogspot.com
DOMUS DE JAN AS LA ROCCA
pochi chilometri da Castelsardo, in Anglona, nel nord Sardegna, si trova un piccolo borgo che merita di essere visita to e che custodisce un sito archeologico unico nel suo genere.
Il paese di Sedini vanta la Domus de Janas “La Roc ca” che ospita il Museo delle Tradizioni Etnogra fiche dell’Anglona. Ogni anno attrae tanti turisti.
La Domus de Janas (lett. “casa delle fate”) è un tipo di sepoltura preistorica e prenuragica diffusa un po’ in tutta la Sardegna e ca ratterizzata da vani scavati nella roccia.
L’intero paese di Sedini è arroccato su un colle se dimentario calcareo e an cora oggi passeggiando per le strade del centro, si notano diverse abitazioni addossate ad affioramenti rocciosi.
La particolarità di questa Domus de Janas, oltre al fatto di trovarsi nel cuore del paese, è il fatto che è stata utilizzata a vari scopi. Non solo sepoltura ma ne sei secoli successivi anche come ripostiglio, spazio per animali, forse anche carcere fino ai tempi più recenti come abitazione.
Le origini d’uso risalgo no al IV – III sec. a.C. ma permangono ancora oggi testimonianze della vita in questi ambienti realizzati scavando all’interno della roccia per un totale di 129 metri quadratie tre livelli di calpestio. C’è pure la cucina-camera da letto con terrazzo esterno!
(segue pagina 48)
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dalla pagina 47)
Si pensa che sia la Domus de Janas più grande dell’i sola per questo motivo è soprannominata la “catte drale” delle Domus de Ja nas della Sardegna. Non ero a conoscenza che la Domus de Janas fosse visitabile al suo interno. Non solo: c’è un vero e proprio museo allestito nei diversi ambienti che la compongono.
Il Museo delle Tradizio ni Etnografiche dell’An glona permette infatti di addentrasi dentro quella serie di cunicoli scavati in antichità in questo gros so massiccio calcareo ma anche di scoprire la vita di un tempo grazie all’arredo di ambienti domestici e la raccolta di antichi stru menti da lavoro e della vita quotidiana.
All’ingresso, il cunicolo sulla sinistra conduce agli ambienti più antichi grazie ad una piccola scala in legno.
Negli ambienti più ampi, al piano terra, sono esposte le essenze arboree, i mine rali e i fossili dell’Anglona e pannelli sulla storia del territorio e i suoi monu menti.
Al piano superiore la rico struzione della casa tipica anglonese con mobili e suppellettili con il focola re scavato nella roccia e la zona notte. Colpisce il letto antico in ferro battuto e tutti i di versi oggetti che facevano parte della quotidianità di un tempo. Interessante il telaio. Scuriosate alla ri cerca di particolari. All’esterno colpisce l’im
ponenza di questo masso roccioso attorno al quale si possono osservare ruderi di altre vecchi abitazioni. Vi si ammira un ampio panorama sulla vallata del Rio Silanis e le particolari rocce. Senza dubbio un luogo ricco di fascino e unico al mondo per il suo collocamento nel paesaggio naturale. Pensare che è stato vissuto da millenni fa emozionare chi lo visi ta. Davvero un must per chi si trova in Sardegna. La Domus de Janas
Orari Dal 15 Ottobre al 30 Aprile: Dal Lunedì al Venerdì: Aperto su prenotazione Sabato e Domenica: 10:00 – 13:00 Su prenotazione, per eventuali visite in date ed orari in cui non è svolto il servizio.
Dal 1 Maggio al 30 Giugno: Tutti i giorni dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00
Dal 1 Luglio al 14 Ottobre: Tutti i giorni dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 19:00
Info ai numeri: 079 589215 / 3498440436
Come arrivare alla Domus de Janas di Sedini Sedini dista circa 15 minuti da Castelsardo e 15 minuti da Perfusa. Si raggiunge percorrendo la SS134 che attraversa il pa ese.
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Proveniendo da Castelsardo, proseguire sulla via princi piale, superare la piazza centrale sulla quale si affaccia il Municipio fino a quando, la strada sale e svolta a sinistra. Al numero 35 di Via Nazionale, sulla destra si nota su bito la roccia.
Oltre alla Domus de Janas – Museo a Sedini consiglio la chiesa di Sant’Andrea in stile tardogotico – rinascimen tale, risale al 1517 anche se furono eseguiti interventi di restauro tra il XVIII e il XIX secolo. Al suo interno si trova una affascinante tela raffigurante la ‘Trasfigurazione’ di Raffaello di Andrea Lusso (1597). Il territorio del paese è ricco di grotte abitate fin dalla preistoria: Li Conchi, Li Caadaggi e La Pilchina. Dentro il colle Lu Padru la Fossa de la Loriga è nota per le sue stalattiti e stalagmiti fino a dieci metri.
Nella vallata del Rio Silanis andate a scoprire i ruderi della chiesa romanica di San Nicola di Silanis, realizzata nel XII secolo per volontà della famiglia Zori, nobili del giudicato di Torres, per i monaci benedettini.
Sulla strada per Castelsardo un’altra Domus de Janas nota come la Roccia dell’Elefante.Nel territorio si trova anche la chiesa di San Pancrazio di età romanica risalen te al XII secolo.
Daniele https://www.unsardoingiro.it/2020/09/domus-de-janasla-rocca-di-sedini/
INTERVISTA A ROSITA D’AGROSA
l centro del lavoro di Rosita D’Agrosa troviamo il cor po femminile e i cambiamenti a cui è sottoposto.
Sculture tessili, installa zioni site-specific e opere pittoriche si susseguono nella produzione dell’ar tista che mescola mate riali e tecniche differenti, mantenendo una coerenza visiva e concettuale senza mai ripetersi.
La presenza dell’oggetto e la sua capacità di tra smettere un significato sono aspetti fondamentali della sua ricerca artistica. Formatasi presso l’Ac cademia di Belle Arti di Firenze, città dove vive e lavora, D’Agrosa ha par tecipato a numerose mo stre collettive e personali. Nelle tue opere che si presentano sotto forma di serie, è ricorrente un riferimento, tanto deli cato quanto esplicito, ad un elemento connesso alla dimensione corporea: perché hai scelto questo tema di indagine?
Gran parte della mia ri cerca artistica ha come luogo d’indagine il cor po, nello specifico il mio corpo, un corpo femmini le, nel tentativo di fare di quest’ultimo un ritratto di un’intimità libera e pro fonda. La rappresentazio ne della vulva: ricamata, realizzata con tessuti o dipinta, è diventata nel corso degli anni, insieme all’icona dell’utero o del le mutande, un emblema della mia poetica. (segue pagina 50)
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(segue dalla pagina 49)
Ho iniziato a indagare questo tema con la serie Mutatis MutandA, compo sta da 28 mutande come i 28 giorni del ciclo me struale, in ogni mutanda l’elogio alla femminilità e al cambiamento compare sottoforma di metafora: un bocciolo di rosa, un cucchiaio, un ricamo o un disegno che allude alla forma della vulva, dell’u tero o delle ovaie.
La scelta di tale soggetto è stata poco ragionata, bensì una semplice intu izione: parlo del corpo femminile e di ciò che ruota intorno alla sua esi stenza, della sua sessuali tà e della semplice quoti dianità.
Parlarne attraverso un’i cona di genere è stato tutt’altro che svelare un tabù.
Riproduzioni di assorben ti, mutande e organi ripro duttivi fanno parte delle tue opere. Come scegli i tuoi soggetti e come nasce l’opera d’arte?
L’opera d’arte ha origine dagli oggetti che utilizzo, i miei personali objets trouvés: tazzine, cucchia ini, mutande, porta cipria, specchietti, panni di lino (gli antichi assorbenti) o lenzuola del mio corredo familiare.
Si tratta di oggetti già pregni di significato e di una loro storia.
Mi permettono di reinven tare intorno ad essi una poetica dell’ordinario. Servendomi di questi og getti, estrapolati dal con testo quotidiano, la mia intenzione è quella di per
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sonificare la dimensione femminile intima, interio ne e personale: fil rouge che accompagna tutta la mia ricerca.
Essi vengono lavorati e rielaborati attraverso pratiche tessili, come ad esempio, il ricamo o il crochet.
Un altro elemento impor tante è proprio la tecnica tessile che lega l’oggetto al soggetto, ad esempio nella serie delle Colazio ni sull’erba, ricamo degli uteri all’interno di tazzine da caffè esposte in picco le cloche come se fossero dolci esposti in una pa sticceria. Spesso i sogget ti nascono da riflessioni, fatti, accadimenti, legami e oggetti che animano la quotidianità della mia re altà, dunque, la mia è una
semplice trasposizione di uno spaccato di vita, un frammento di esperienza depositato attraverso al legorie del mondo femmi nile, quasi come un gioco di parole o di associazio ni.
Secondo te l’arte può es sere uno strumento ca pace di affrontare tabù, preconcetti e gli stereotipi che ancora sopravvivono sull’universo femminile? Sì! Sicuramente l’arte per un artista può essere uno strumento di comu nicazione e di linguaggio attraverso cui rompere tabù, preconcetti e stere otipi, in particolar modo, quelli che purtroppo an cora sopravvivono sull’u niverso femminile. È proprio quello che nel mio lavoro tento di fare:
abbattere muri, usare l’arte come strumento di espressione, di libertà, di dialogo, di narrazione e testimonianza.
Rosa pallido, fucsia, ros so sono tonalità ricorrenti nel tuo lavoro, quali si gnificati hanno per te?
Le tonalità del rosso, ma genta, del rosa mi rappre sentano, permettendomi di ricreare cromaticamen te una dimensione intima, corporale, carnale, orga nica.
Utilizzo il rosso soprat tutto per i lavori su car ta intitolati Heart project che si presentano come fogli su cui deposito le mie “annotazioni emo zionali”, la campitura ad acquerello è icona della ‘forma’ a cuore: il cuore sintetizzato in una
macchia è rappresentato nell’attimo in cui si contrae nel battito cardiaco, conseguenza di una determinata emozione.
Il rosa prende ironicamente il sopravvento nella serie delle sculture morbide intitolate Bowels project che ritraggono delle interiora: il nostro intestino idealiz zato, raffinato, addolcito e ridicolizzato nella sua rap presentazione.
Il colore, infatti, suggerisce una lettura giocosa dell’o pera presentandosi come un enorme groviglio di ten tacoli rosa che dalle pareti si riversa a penzoloni sul pavimento.
Questi colori hanno delle connotazioni contraddittorie ed armoniche tra di loro, possono esprimere potenza e forza, delicatezza e intimità, carnalità, conforto, gioia, ironia e per me altro non sono che una serie di illimi tata ‘ambienti’ di rappresentazione.
Nella serie Jaulas para pensamientos, sono presenti frasi come “Mi manchi” e “ti penso”. In una società in cui l’immagine sembra avere un ruolo determinante per gli individui, quale importanza attribuisci alla pa rola scritta e alla sua capacità di esternare le emozioni? La parola scritta mi piace descriverla come “espres sione grafica” del codice linguistico, essa permette al significato del contenuto scritto di rimanere immutabi le e immobile nel corso del tempo.
Grazie alla sua capaci tà di non perdere ma di acquisire importanza, la parola scritta diventa un “deposito” nel mio im maginario.
Ho lavorato tanto in pas sato sul concetto di nota, appunto, annotazione… ci si annota tutto ciò che deve essere ricordato e che è importante.
Nelle mie opere, la parola scritta è costantemente e ritmicamente presente: in primis come elemento grafico, come segno e per la funzione di essere una chiave di lettura del rac conto, spesso è ricamata. A tal proposito nella se rie Jaulas para pensa mientos, ovvero “gabbie per i pensieri”, la paro la scritta si trasforma in immagine, il messaggio è semplice, di facile lettura poetica.
Nata nel 2020 durante il periodo del lockdown, questa serie è stata rea lizzata con l’unico mate riale che avevo a disposi zione in quel momento: la rete metallica, con un fine meditativo e terapeutico, ho iniziato a ricamare i miei pensieri, i miei sen timenti.
Attraverso la tessitura, tutto ciò che in quel mo mento veniva represso e ingabbiato interior mente, si trasformava, diventando così un dono per l’Altro. Gabbie leg gere, aeree, fiorite, come contenitore di messaggi (in bottiglia) da inviare alle persone amate. “MI MANCHI”, “TI PEN SO”, “ODI ET AMO” (segue pagina 52)
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(segue dalla pagina 51) sono tutti brevi messaggi di testo, come gli sms inviati dal cellulare con il fine di colmare virtual mente il grande vuoto che l’isolamento ci ha costret ti ad assaporare. Puoi raccontarci come è nata la serie “Le colazio ni sull’erba” e cosa vuole comunicare?
La serie “Le colazioni sull’erba” trae ispirazio ne da due opere differen ti: “Le dejeuneur sur l’er be” di Manet e la surreale “Colazione in pelliccia” di Meret Oppenheim. Da entrambe le opere, ho estrapolato gli elementi chiave di rottura e scan dalo che hanno contribu ito a renderle “rivoluzio narie”.
Per l’opera di Manet, l’o maggio al titolo era una facile e riconducibile al lusione allo scalpore che l’opera aveva suscitato all’epoca.
Il riferimento all’opera della Oppenheim è dovu to alla volontà di ricreare un senso di spiazzamento, di disagio, di desiderio e di repulsione.
Ecco come le mie Cola zioni sull’erba sono nate. Si presentano come mi crocosmi all’interno di piccole choche da petite patisserie: tazzine con all’interno un utero rica mato intitolato FIG. A, specchietti portacipria con il ricamo di una vul va con la citazione latina “Nosce te ipsum” (cono sci te stesso), piattini da dolce con all’interno fale ne oppure spine da ingur gitare.
Sono dettagli di storie intime. Da artista, come percepisci l’arte contemporanea odierna? C’è qualche artista che ha condizionato la tua ricerca?
Credo di percepire l’arte contemporanea come se fos se in equilibrio su un filo sospeso nel vuoto. Solide fon damenta della mia ricerca artistica sono senza dub bio: Louise Bourgeios, Gina Pane, Marina Abramovic, Cy Twombly, Meret Oppenheim, Robert Gober, Marcel Duchamp, Tracey Emin, Christian Boltanki. A cosa stai lavorando adesso e quali sono i tuoi pro getti futuri?
In questo momento sto elaborando nuovi progetti e sperimentando nuovi approcci delle pratiche tessili. Sto sperimentando la completa decostruzione del mio lavoro, al fine di estrapolarne una piccola porzione dalla quale ripartire. Questa modalità “distruttiva” è ricorrente nel mio processo creativo. Contemporaneamente arricchisco di nuovi elementi le mie serie, li presenterò nei prossi mi progetti espositivi in programma nel periodo autun nale.
Margaret Sgarra www.artemorbida.com/unindagine-intima-sui-cor pi-femminili-attraverso-la-ri-scoperta-degli-ogget ti-emblematici-del-quotidiano-intervista-a-rosita-da grosa/
Foto rositadagrosa
Foto gramscilabales5.0
Prosegue con tenacia tutta gramsciana il “Gram scilabAles 5.0.” Ideato e promosso dalla com pagnia “Il crogiuolo” di Cagliari prima della pandemia, il progetto è stato portato avanti in questi anni nei suoi diversi contenuti, sempre con entusiasmo e determinazione, dalla direttrice arti stica Rita Atzeri e dai partecipanti arrivati da diverse parti d’Italia per gli spettacoli e le residenze artistiche che hanno premiato i progetti di indagine maggiormente innovativi.
Con la presentazione al pubblico di “Nato in casa“, installazione multimediale pensata per la Casa Nata le Gramsci di Ales, sabato 1° ottobre alle ore 17:00, il GramscilabAles 5.0 giunge al suo punto d’approdo più importante: proporre un punto di vista inedito del grande intellettuale e politico, dando al contempo un contenuto ai luoghi Gramsciani, partendo dall’edificio ottocentesco dove nacque Antonio Gramsci.
“Abbiamo pensato di iniziare a raccontare Gramsci attraverso la dimensione della Casa e quindi dell’in timità di affetti che al concetto di casa afferiscono, a partire dalla nascita, che narriamo attraverso un’ap profondita ricerca sulla nascita in Sardegna tra fine Ottocento e primi del Novecento”, afferma Rita Atzeri, che prosegue: “Abbiamo fatto inoltre un enorme lavo ro per gettare i presupposti di un percorso integrato di
Nato in Casa
Allestimento multimediale nel Museo Casa Natale di Ales e un itinerario organizzato nei luoghi gramsciani raccontano vita e opere di Antonio Gramsci a Ghilarza, Santu Lussurgiu, Ales, Sorgono e Cagliari
https://www.politicamentecorretto. com/2022/10/27/nato-in-casa-al lestimento-multimediale-nel-mu seo-casa-natale-di-ales-e-un-itine rario-organizzato-nei-luoghi-gram sciani-raccontano-vita-e-ope re-di-antonio-gramsci/
tour di luoghi gramsciani fruibile anche da gruppi e scolaresche, accatti vante intellettualmente e tecnologicamente, che è suscettibile di essere sem pre più arricchito di con tenuti”, dichiara l’ideatri ce del progetto finanziato dalla Regione Sardegna nell’ambito del POR FESR 2014-2020 – Azio ne CultureLAB2018.
L’itinerario
Il paesaggio, i colori e i sapori dell’infanzia tutta sarda di Antonio Gram sci, che peso hanno avu to nell’elaborazione del pensiero del teorico dell’egemonia e della subalternità culturale?
È una delle riflessioni che prendono forma a se guire, passo dopo passo, i luoghi dell’oristanese dove il grande intellettua le ha trascorso l’infanzia fino agli anni del liceo, seguendo il percorso or ganizzato da “Il Crogiuo lo” di Rita Atzeri con il progetto “GramsciLab Ales 5.0.” e sperimentato in questi giorni tra Ales, Sorgono, Ghilarza, San tu Lussurgiu e Cagliari in compagnia di ammini stratori e studiosi.
Un percorso artistico, culturale ed emozionale, una proposta aperta alle amministrazioni comuna li che ha gettato le fonda menta di una rete coerente e organizzata per invitare nell’oristanese scolare sche e gruppi desiderosi di scoprire un lato inedito di Antonio Gramsci.
Il risultato è infatti un quadro umano e morale (segue pagina 54)
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(segue dalla pagina 53) di spessore via via maggiore, un mosaico che si compone tessera dopo tessera, e che mostra ave re un grande potenziale turistico e culturale.
Con le amministrazioni comunali, i musei e le associazioni culturali del territorio, è stata infatti presentata l’edizione pi lota di un itinerario gram sciano disponibile tutto l’anno per scolaresche e gruppi che intendano ap profondire la conoscenza o avvicinarsi alla figura di Antonio Gramsci at traverso la visita dei luo ghi in cui è nato (Ales) o è vissuto e ha studiato (Ghilarza, Sorgono, San tu Lussurgiu, Cagliari). L’itinerario pilota si svi luppa nel corso di due giorni e parte da Ghilarza. Paese d’origine della madre Peppina Marcias, Ghilarza è il paese dove Antonio Gramsci ha vissuto dal 1898 al 1911.
La casa, il paese, il ter ritorio circostante hanno rappresentato per Gram sci luoghi di memoria e di affetti a cui è tornato più volte con note di strug gente nostalgia. Sono ambienti descritti nelle Lettere dal carcere, nei Quaderni del carcere e nella memorialistica dei primi biografi.
Si prosegue per Santu Lussurgiu con la visita al percorso del Ginna sio Carta-Meloni, dove Gramsci studiò prima di spostarsi a Cagliari e per Ales, dove, a cura dell’Associazione Casa Natale Gramsci di Ales, é
stato possibile visitare la piazza allestita da Giò Po modoro, che tanto fece discutere al tempo della sua realizzazione, per poi partecipare, alla casa natale di Corso Cattedrale, alle proposte di “Nato in Casa”. Il giorno successivo ci si sposta a Sorgono, con la vi sita dei luoghi gramsciani a cura dell’ Associazione Culturale Amici di Antonio Gramsci e infine a Caglia ri, per seguire Gramsci in Casteddu, trekking urbano ideato da Ornella Piroddi, Giacomo Casti e Maurizio Pretta nel 2017 che racconta di Antonio Gramsci stu dente al liceo Dettori di Cagliari attingendo alle me morie di chi ebbe modo di conoscerlo e frequentarlo, alle storie e cronache cittadine.
Nato in casa Visitando la Casa che dal 1947 ospita le commemora zioni gramsciane, si ha dunque accesso a una molte plicità di contenuti, resi fruibili attraverso due totem (un terzo totem è situato nella biblioteca comunale) collegati a un server che può essere aggiornato e am pliato anche con progetti futuri.
“Il nostro lavoro è stato quello di creare degli stru menti che potessero essere poi sviluppati in modo autonomo anche rispetto alla chiave qui proposta”, spiega Rita Atzeri.
I totem danno la possibilità di accedere a una vasta emeroteca, sfogliare e consultare libri, giornali e ri
Foto monumentiaperti.com
viste e, attualmente, ospitano i contributi della ricer ca sulla nascita in Sardegna tra ‘800 e ‘900 frutto del lavoro decennale di Luisa Orrù e Fulvia Putzolu, che hanno raccolto (anche tramite gli studenti universita ri) testimonianze di donne madri, levatrici empiriche e ostetriche condotte, e la raccolta di opere d’arte curata da Martina D’Asaro, sempre sullo stesso tema.
I totem, che si rivolgono anche a famiglie e scolare sche, propongono anche giochi didattici per bambini dai 6 ai 10 anni, il libro ‘Riccino e Riccetta’, il video dello spettacolo omonimo e, a firma di Alessandra Marchi del Gramsci Lab della facoltà di Scienze poli tiche dell’Università di Cagliari, un progetto che segue l’evoluzione del pensiero di Gramsci nel mondo. La guida virtuale della Casa è possibile attraverso una App in 6 lingue, che ospiterà, inoltre, contenuti che sa ranno aggiornati e riprogrammati di volta in volta.
La sala proiezioni ospita un video sul rapporto tra Gramsci e le donne interpretato attraverso la danza. Peculiare la tecnologia a disposizione, che rende im magini molto simili al 3D.
La Casa Natale di Gramsci ha proposto fino al 30 ot tobre (ingresso su appuntamento) la mostra collettiva “What does indifference mean?“, ideata e curata da Margaret Sgarra, curatrice di arte contemporanea e storica dell’arte.
Il progetto espositivo, tra i vincitori della Residenza artistica GramsciLab 5.0, vuole essere una ri flessione sulle forme d’in differenza presenti nella nostra società attraverso lo sguardo di 18 artiste e artisti provenienti da tut to il mondo: Laura Ansa loni, Anna Bassi, Chiara Borgaro, Chien Li, Mo nica Carrera, Roberta Di Laudo, Gabriella Gastaldi Ferragatta, Giun.go-Lab, Laura Guilda, Federica Gonnelli, Laura Guilda, La Chigi, Silvia Leven son, Daniela e Francesca Manca, Isabel Rodriguez Ramos, Sophia Ruffini, Natalia Saurin, Monica Serra, Elisa Trapuzzano. Gli spazi della casa nata le sono inoltre adatti ad ospitare eventi di spetta colo come il monologo teatrale, andato in scena lo scorso primo ottobre per l’inaugurazione del progetto, “Combatto gli indifferenti” dell’autrice e interprete romana Lu dovica Valeri. Esito della residenza artistica dello scorso anno, “Combatto gli indifferenti” rievoca e propone la storia di An tonio Gramsci a partire da una misteriosa figura femminile.
Tra soliloqui, canzoni, immagini, luci ed ombre, il pubblico è stato invita to a scoprire chi fosse la donna che tanto di Gram sci conosceva e a lasciarsi andare alla fantasia, alla memoria, all’emozione fino a scoprire una storia che non era stata mai rac contata.
www.gramscilab-ales.com/
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Mara Damiani é con Chiara Manca.
Forse non ne potre te più di vedermi sui socials, posso capirvi, ma quando si mettono tanti se mini a volte iniziano a crescere piccole piante quasi contemporaneamente.
Tutto quello che po tete vedere di me in questo periodo è tanto lavoro fatto negli anni con fatica, determinazione e sopratutto credo. Quando uso questa parola intendo credere in se stessi, nelle scelte che si fanno, avere corag gio (con tanta paura vi assicuro) nel mostrare che se hai un sogno a cui tieni per seguilo sino alla fine perchè può essere la tua linfa vitale.
Oggi finalmente Vi presento con emo zione: “Sui tramonti della mia Terra”, eccomi pronta per inaugurare con voi una nuova mostra.
Dove? Alla galleria MANCASPAZIO di Nuoro, siete pronti?
Si tratta per me di un’assoluta novità!
La mostra, curata da Chiara Manca, rappresenta un percorso che comincia non appena si varca l’ingresso della galleria.
Le Rejnas vi accoglieranno posizionate di spalle, proprio come sarete voi nel momento in cui entrerete.
Nel cammino attraverso le sale, le cromie piatte, la sintesi dei grafismi, la geometria che caratterizza la loro realizzazione grafica, si trasforma in un’emozione tonda, che non arriva puramente dal senso della vista ma lo trascende.
Dal mostrare la schiena eccole poi che si voltano di profilo e, iera tiche, mostrano fisicità e materia.
Nell’ultima sala le Rejnas, le “mie donne di Sardegna, sfilano tutte insieme, tutte e 100.
L’installazione finale vi avvolgerà in un abbraccio emozionale dato dai colori, dall’insieme delle loro presenze, da quel riconoscersi in dettagli e grafie che riportano alla tradizione, alla cultura, al senso di ognuno di noi.
E’ qui che la forma si fa concetto. Vi aspetto! Nuoro, vicolo Carlo Cattaneo 10, sabato 3 dicembre 2022, vernis sage a partire dalle 18:30.
La mostra resterà aperta dal 3 al 26 dicembre 2022. Orari di apertura: dal martedì al sabato dalle 16 alle 18.
ollecitata da un post del dottor Tonino Serra Contu ho fatto una ricer ca su questo sito, davvero interessante ! Non perdetevelo
BUGIE E MEZZE VE RITA’ DELLA SARDE GNA: IL MINISTRO BOGI NO NON HA NULLA A CHE VEDERE COL DETTO DI “SU BUGGI NU”.
SPIEGAZIONE, SIGNI FICATO DELLA FRASE E TESI CHE SMENTI SCE QUEST’ASSOCIA ZIONE.
“Su Bugginu” è un de mone sardo, un essere oscuro e pericoloso tanto che lo si nomina invano con effetto apotropaico ( = per allontanarlo).
La parola (di cui non si conosce il preciso signifi cato originario) con l’avvento del cristianesimo iniziò a designare il Dia volo, il cui termine ita liano viene sardizzato in “Tiaulu” o “Diaulu” (un po’ come “dimmoniu” per demone) così come noi potremmo italianiz zare il termine invece sardo di Su Bugginu” in “Il Boggino”.
Esistono varie forme del detto sardo riferite a “Su Bugginu”:
“Mancai/Ancu ti pighiri su Bugginu” o “Mancai/ Ancu ti curra/currada su Bugginu”
O più semplicemente: “Bugginu ti pighidi”, “Bugginu ti currada” (segue pagina 48)
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S
(segue dalla pagina 47)
Tutte hanno comunque lo stesso significato.
Tradotto letteralmente: “Neanche fosse che ti prenda Bugginu” o “Ne anche fosse che ti corra Bugginu” o più semplice mente “Che ti prenda/cor ra Bugginu” o “Bugginu ti prenda/corra” oppure “Possa tu esser inseguito da su Bugginu”.
Traduzione libera: “Che ti prenda / rincorra / per seguiti Bugginu” (in una maniera scherzo sa di giocar con le parole tipica del sardo, esistono anche altre forme del det to come “chi ti scuppettiri su Bugginu” cioè ti spari o penetri su Bugginu, nel senso di ucciderti, e al tre..).
Il detto in sardo si usa un po’ come in italiano quel lo che dice “vai al Dia volo” benché alcune sfu mature siano anche molto differenti (per fare solo un esempio vai al Diavo lo si dice anche per levar di torno in modi bruschi una persona violenta, cosa che non rientra negli usi del detto di Su Bug ginu, utile univocamente allo scongiuro).
Quando si inciampa al cuni ancora oggi dicono “Eh!! Su Bugginu”, come formula diretta a neutra lizzare una forza avversa, uno spavento improvvi so, la sfortuna.
Il detto è molto simile a un altro sardo molto usato che dice “Sa Giustizia du pighiri” o ‘tizia du diridi” che tradotto letteralmente sarebbe “La Giustizia lo prenda / lo tiri a sè” e tra
E “SU BOGGINU”
LUISANNA NAPOLI
dotto in maniera libera “lo arresti la Giustizia”. Questi due detti sono probabilmente, in qualche modo, legati, almeno nella formula ma forse anche nel contenuto. Ultimamente (con l’avvento di Internet, Facebook e di una maggior ripresa di studi verso queste curiosità) è uscito fuori che il termine “Bugginu” sia riferibile a un antico ministro del periodo sabaudo, Giovanni Battista Lorenzo Bogino, ministro presso la corte di Carlo Emanuele III per gli affari di Sardegna dal 1759 al 1773.
Visto come un ministro crudele, egli, tutto preso dall’attuazione di una serie di riforme per moderniz zare l’isola, lo fu effettivamente.
E’ noto in Sardegna per aver introdotto, presso ogni villaggio sardo, il sistema delle forche mobili per le esecuzioni capitali.
L’associazione col ministro Bogino viene fatta per di versi motivi: anzitutto per l’assonanza tra la parola “Bugginu” la sua italianizzazione in “Boggino” e il cognome del ministro ma anche perché in effetti uno dei significati che si da a “Bugginu” è oltre che di “de mone” o “diavolo” anche quello di “carnefice” o di “boia”, colui che tagliava la testa ai condannati, e il ministro era, possiamo dire, il più alto boia fra tutti, quello che li gestiva.
Il termine sarebbe quindi passato da demone/diavolo a
Foto jeandavid 6 annelaure
indicare in genere la figura del boia o carnefice, iden tificandolo infine con lo stesso ministro.
Potremmo tradurre quindi il detto de “su Bugginu ti poghiri/currada” anche come “Che ti prenda il boia”). Eppure, se ci ragioniamo un attimo, la figura del boia rientra già in origine perfettamente nel significato di Bugginu inteso come “la Morte” intendendola come contrario di Vita.
Morte stà a Vita come il Male al Bene e il Diavolo a Dio.
La Morte era associata ai boia, i quali erano visti come la mano esecutrice della Morte, il nemico di Dio, cioè torniamo sempre al significato di Diavolo e del Male in genere.
“Bugginu” è “l’essere oscuro” per eccellenza, si può identificare con la morte, il diavolo, un demone, la notte senza stelle, quindi anche con un boia.
Ad esempio, i miei genitori originari della Trexenta lo sentivano nominare dai loro genitori e, a loro dire, “Bugginu” era l’Uomo nero, quello che ancora oggi i bambini italiani hanno paura d’incontrare aprendo l’armadio.
Rientra quindi perfettamente nei vari significati del la parola anche “boia”, anzi specialmente (e vedremo dopo perché).
L’associazione della parola col ministro, quindi, non
è da fare. Molti affermano però che il termine “Bugginu” non esistesse e sia nato proprio dopo l’operato del ministro Bogino che a questo punto sarebbe all’origine del detto.
Solo per fare qualche esempio, se si dà un’oc chiata ad alcune pagine internet troviamo che su Wikipedia c’è scritto questo riferimento tra il cognome Bogino e il det to sardo.
(https://it.wikipedia. org/.../Giovanni_Batti sta_Lorenzo...).
Un altro articolo che dà per scontato che “Buggi nu” sia riferito al ministro è dell’Unione Sarda. (https://www.unionesar da.it/.../il-ministro-bogi no-diventa...)
Dove addirittura si azzar da (ammettendo l’azzar do) la derivazione della parola dall’antichissimo termine babilonese ugu (morte) a cui sarebbe sta to aggiunto il suffisso sar diano nu (mestiere), colui che pratica il “mestiere di morte”, un boia, pratica mente.
Questa verità su Bogi no-Bugginu data per scontata la riferisce poi anche Vistanet.
(https://www.vistanet. it/.../lo-sapevate-deri va-detto.../).
Qui si aggiunge che c’è anche un’altra assonanza col latino “bucinum” (la tromba che si utilizzava per accompagnare i con dannati al patibolo) senza citare la fonte di questo accostamento (segue pagina 50)
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(segue dalla pagina 49) ma comunque dando un’ulteriore derivazione alla parola.
Leggermente più vago ri mane wordpress.com (https://horoene.wor dpress.com/.../chi-e ra-su-buginu.../ ) che riassume le tre pos sibili derivazioni di Su Bugginu: Demone/Dia volo, Bogino e il termine bucinum.
Minieredisardegna.it (http://www.miniere disardegna.it/Schede. php?IdSC=112)
riferisce dell’errore sull’associazione tra il Ministro e il termine, ma dà per scontato che il termine derivi dal suono della tromba (bucinum).
A volte ci piace riempire di fantasia pittoresca il nostro sapere con aned doti e di leggende metro politana radicatisi nella gente e poi difficili da estirpare dall’immaginario collettivo.
Mi viene in mente il caso della falsa leggenda di “Stai in pace” a cui si associa il quartiere di “Stampace” o l’altro falso storico dell’associazione del termine “togo” con il generale Tōgō Heiha chirō, entrambi smentiti con miei articoli che rac colgono le varie prove. Queste storie continuano a girare e benché smentite a più riprese infinitamen te le ritroviamo vendute come verità sul panorama di internet, ormai libreria del mondo.
Vediamo ora di smentire subito quest’associazione con qualche fonte.
Foto prado.com
Manco a farlo a posta, la parola viene riportata in un componimento poetico del 1500, esattamente 200 anni prima della nascita del truce ministro. Il compendio “Vida e morte de sos santos Gavinu, Protho e Gianuariu” in lingua logudorese, fu scritto da un famoso poeta della Sardegna, Gerolamo Araol la.
Nel componimento è citata la frase “stratiat sas carres sacras su Boccinu” che dovrebbe tradursi “strazia le carni sacre il Diavolo”. Eccone una parte: “Cumandata qui los lighent strictamente Cum rudes funes, cum fortes cadenas, Qui non lis restet ossu renitente, Qui non si rumpat pro sobranas penas Da’ su talone ad sa pius eminente Parte, de samben pioent totu sas venas. Stratiat sas carres sacras su Boccinu [1] Cum acutados pectenes de linu (da Ortografia sarda nazionale, ossia Gramatica della lingua logudorese paragonata all’italiana dal sacerd. professore Giovanni Spano) [1] = Boccinu o Bozzinu, dial. com. Buzzinu cioè Boja, Carnefice, dal lat. occido. Il Cano scrive sempre bochinu. Sard. bocchire, occhi re.
Il significato del termine, attestato in Sardegna fino al XV secolo, deriva dal catalano “Botxì” o “Butxì (da leggere “Botci/Botgi”) che significa boia, molto simil mente uguale al nostro “Bugginu” (scritto anche “Bot zinu”; in sardo “uccidere” si dice “bocciri”).
Un altro termine a cui si riferirebbe è l’antico spagno lo- valenzano “bochin” tradotto come boia (i termini si ritrovano nel D.E.S. - Dizionario etimologico sardo, DES, Heidelberg, 1960-64, di Max Leopold Wagner).
Pensate al francese “boucher”, macellaio.
Il significato è quindi davvero legato al “boia” (infon do anche l’altro detto “che la Giustizia ti prenda” è molto simile e forse collegato a questo: chi impone una punizione, tasse e balzelli, è sempre un persecuto re e un diavolo!) ma non certo al ministro.
Il significato primario della parola (o meglio del con cetto che c’è dietro alla parola) comunque non è noto. Alcune fonti per la parola “Bugginu” sono Paolo de Magistris o anche Francesco Alziator ne “La Città del Sole” del 1956 (pagg. 203-204)
Si è detta infine poi anche un’altra cosa, che il termine sia stato associato comunque al ministro dopo la sua venuta, proprio per l’assonanza tra boia/bugginu/Bo gino, ma il termine è precedente. Per quest’affermazione però non si hanno prove certe e rimane dubbia in quanto chi l’ha affermata non porta
delle prove a motivarla se non la somiglianza (che da sola non basta) della parola Bogino / Bugginu.
Dice il Dizionario del Wagner che a Cagliari bu g(g)inu è oggi una deno minazione scherzosa del diavolo. Poi aggiunge un opinione del Sanna (StSa XII – XIII, parte II, p. 447): “questa forma con -gg-“ cioè il campida nese Bo(g)ginu “e -ddz” cioè il nuorese Buddzinu“ rappresenta un incrocio con il nome del ministro piemontese e ricorda la sua impopolarità presso gli strati più elevati della società, di cui abolì i pri vilegi”.
Poi dice “non mi sem bra probabile che la voce venga dall’ital. aguzzi no, come crede il Pittau (Dial. Di Nuoro, p.104, n.9 e pag. 112, che am mette però che il -b ini ziale si deve all’inge renza del nome del detto ministro o al cat. butxi)”. In fine “siccome i primi esempi conosciuti datano dai sec. XVI e XVII e suo nano boccinu, buccinu, la provenienza dal cat. o dallo sp. ant. non si può mettere in dubbio”. Un’altra prova che la tra duzione di “bugginu” può essere molteplice e non solo di “boia” ma come dicevo all’inizio anche di Diavolo e in tempi anti chissimi di un non meglio precisato maligno demo ne sardo la ritroviamo in un libro di proverbi (“Proverbi. Frammenti di luce, di sogni, di speran za” di Vittorio Pupillo, 2017) (segue pagina 52)
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Conte G.B.L. Bogino
(segue dalla pagina 51) in cui ritroviamo scritto il detto “Jnnùi non penetra da sa femina, non pene trada mancu su buginu” che viene tradotto così “Dove non arriva la don na non arriva neanche il diavolo” specificando poi che un’altra versione del detto sostituisce alla pa rola “buginu” il termine “diaulu”, comprovando che anche con “buginu” s’intende il diavolo, come fosse un sinonimo; in tal caso la traduzione con “boia” non ci starebbe as solutamente.
Per concludere dunque, Bugginu, è tutto quello che volete fuorché riferi to al ministro Bogino. Si può poi discutere sui vari termini di boia, boc cirì, bocinum, ma cer chiamo di sfatare i miti e le leggende per quanto possano essere intriganti. Se poi ci fosse una pos sibilità che il ministro Bogino (ministro che tra l’altro in Sardegna non ha mai messo piede) data l’impopolarità abbia mi schiato il suo nome al det to per la somiglianza con il termine bugginu dal ‘700/’800 in poi questa è solo una remota possibili tà totalmente non suppor tata da fonti che (come riporta anche il Wagner) rimandano a periodi ben più antichi.
Luisanna Napoli www.facebook.com/lui sanna.napoli.92
Conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino https://www.minieredi sardegna.it/
Foto bereniceabbott
GIANBATTISTA BOGINO E LA SARDEGNA
el 1759 Cagliari era una città d’appena 17mila abitanti, perché l’allora ministro della So printendenza ai Beni Ambientali Architetto nici Artistici e Storici di Cagliari e Oristano, Giambattista Bogino, avrebbe dovuto pensare a un’Accademia di Belle Arti?
Giovanni Battista Lorenzo Bogino operò per conto di Carlo Emanuele III in Sardegna dal 1759 al 1773.
In città (?) vi erano una ventina di conventi e collegi e i redditi dei religiosi erano il doppio della somma delle entrate del governo locale sommato al reddito della società civile.
L’emergenza Cagliaritana per i Savoia era frenare la proliferazione dei conventi e degli organismi clerica li.
Gli interventi riguardo formazione e istruzione mira vano a alfabetizzare e italianizzare, si doveva avvici nare Cagliari e l’isola tutta, alla politica Piemontese, non pensò a un’Accademia, ma a una scuola di Chi rurgia (1759), dal 1760 reso obbligatorio l’Italiano e tra il 1764 e 1766 furono rifondate le Università di Cagliari e Sassari (Teologia, Legge, Medicina e Filo sofia, l’Accademia no).
Le cattedre affidate a religiosi piemontesi residenti nell’isola o arrivati dal continente. Bogino riorganizzò le poste nel 1767 (presenti nell’i
N
Carta d’Europa nel 1748
sola dal 1739) e delle comunicazioni marittime. Il ministro sabaudo rinnovò anche gli emblemi di mi lizie e città eliminando i simboli del passato regime (impero spagnolo) sostituendo le barre d’Aragona con la croce dei Savoia.
Inoltre, come lingua ufficiale adottò l’italiano, a scal pito del sardo, del catalano e dello spagnolo. Quando nel 1773, alla morte di Carlo Emanuele III, salì al trono del Regno di Sardegna il figlio Vittorio Amedeo III, la carriera del Bogino fu segnata. Venne licenziato e allontanato dagli affari di stato, mentre il piano di riforme subì un periodo di stasi. Curioso che il Ministro dei Beni Ambientali, Archi tettoni e Artistici non pensò a un’Accademia di Belle Arti di Cagliari, non la trovò impiantata dagli Arago nesi, ma perché non alfabetizzare gli artisti residenti? Il problema era solo nei numeri (17000 abitanti sono meno dei residenti oggi soltanto di Capoterra)? Certo che arrivare così nel 2018… Così scrive Andrea Nurcis... Ma fu veramente così?
Il conte Giovanni Battista Lorenzo Bogino nacque a Torino il 21 luglio 1701 da padre notaio, laureatosi in legge nel 1718, era precocemente salito in fama come giureconsulto, e il re Vittorio Amedeo II, acu to conoscitore di uomini, l’aveva nominato a 22 anni sostituto procuratore generale; poi, nel punto di abdi
care, volendo attorniare il figlio di abili consiglieri, lo promosse consigliere di stato e referendario nel Consiglio dei memoriali, accordandogli insieme la lucrosa carica di guarda sigilli.
Nel 1731 il re Carlo Emanuele III lo condusse al campo contro gli impe riali in qualità di auditore generale dell’armata con la giurisdizione di audi tore generale di guerra; e nel 1735 lo nominò auditore generale delle milizie e primo referen dario nel Consiglio dei memoriali, incaricandolo poi dell’ispezione sulle leve dei reggimenti pro vinciali.
Nel 1742, all’aprirsi delle ostilità contro gli Spagno li, eletto primo segretario di guerra, il Bogino mo strò istancabile attività, previdenza meravigliosa, prontezza di rarissimo ingegno, forza d’animo superiore alla fortuna. È suo precipuo merito se le trattative, aperte dal la Francia nel 1746 per staccare il regno di Sar degna dall’alleanza con Maria Teresa, allorché le sorti del regno parevano disperate, furono rotte malgrado le larghe offer te; e a lui si deve l’idea e la preparazione del colpo di mano comandato dal gen. austriaco Leutrum, che allora liberò la for tezza di Alessandria e volse le sorti della guer ra, stornando il pericolo di un predominio assoluto dei Borboni in Italia.
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Ottenne nel 1749 il titolo comitale, e godette la piena fiducia del re, che, dopo l’allontanamento dell’Ormea, lo consul tava su tutte le questioni di governo; a lui si deve il perfezionamento del regime stradale a scopi militari e commerciali; l’escavazione del porto di Limpia presso Villa franca e il primo inizio d’una marineria militare a difesa della Sardegna, per attivarne il commer cio, e rendere più intenso lo sfruttamento delle mi niere di Val d’Aosta e poi dell’isola.
A lui si deve inoltre la riforma del sistema mo netario, che introdusse uniformità di monete nel regno, dopo che era anda to a vuoto il suo progetto di un regime monetario uniforme in Piemonte, Lombardia e in seguito in tutta Italia.
Né trascurò il Bogino di promuovere gli studî; ché per sua iniziativa fu man dato all’estero il capitano di Robilant a studiare i sistemi metallurgici più perfezionati, e poi fu aperta nell’Arsenale di Torino una scuola di chi mica metallurgica, dotata di laboratorio, e fu infine creato il magistrato delle miniere.
Incaricato a più riprese dei negoziati con la S. Sede, egli seppe condurli a definitiva conclusione dopo che si erano agita ti per un secolo, e ottenne anche dalla chiesa un ricco assegno di beni in favore dell’università di
Torino. Solo nel 1750 ebbe, di fatto, il grado di mi nistro di stato, benché da tanti anni ne esercitasse le funzioni, ed in tal veste negoziò un trattato con l’Au stria, in base al quale fu stabilita piena armonia fra i due stati limitrofi.
A lui, incaricato nel 1759 di sovrintendere pure alle cose sarde, si deve se l’isola incominciò a perdere al quanto della rozzezza e desolazione in cui era caduta sotto la dominazione spagnola e ad accostarsi spiritualmente alla patria italiana. Quando, dopo l’intermezzo bavarese, i Savoia si vide ro assegnarsi la Sardegna, e la possibilità di fregiarsi infine del titolo tanto agognato di Re, appunto di Sar degna, l’isola contava appena trecentomila abitanti, era infestata dalla malaria e la dominazione spagnola non aveva sviluppato ne agricoltura ne commercio, ne industria alcuna.
L’unico apporto visibile fu l’edificazione, per altro in gran parte su strutture esistenti già dal VIImo secolo, d.C., di novantadue torri di avvistamento. Per suo ordine si riattarono strade; si istituì un pub blico servizio postale; si prosciugarono paludi; si mi gliorò l’agricoltura, introducendo anche la coltura del tabacco e del gelso; si attivarono miniere; si riforma rono i monti frumentarî, destinati a liberare gli agri coltori dalle usure.
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Grande cura pose nell’amministrazione della giusti zia, colpendo severamente e rapidamente i criminali e i loro complici, reclutati spesso nella classe dei feu datarî, e fornendo i tribunali regi e feudali di buoni giudici; nel 1770 istituì due consolati per la giustizia mercantile, e fece raccogliere in un testo le sparse leg gi; restrinse privilegi ecclesiastici e feudali, che erano d’inciampo al corso della legge punitiva. Anche l’arbitrio dei feudatarî nell’imporre servitù ai contadini, tanto gravi che ne veniva persino scorag giata la procreazione, fu limitato con l’istituzione di consigli comunali sottoposti alla tutela regia, e si pre parava sotto i suoi auspici la spartizione dei vasti beni comunali incolti fra i municipali; ma la morte del re Carlo Emanuele III impedì la benefica trasformazio ne.
Per promuovere l’istruzione interamente decaduta curò l’erezione di scuole secondarie e di seminarî, la stampa di libri, la risurrezione delle università di Cagliari e di Sassari; ed egli diede inoltre all’isola un’impronta di italianità, prescrivendo nelle ammini strazioni e negli atti pubblici l’uso della lingua italia na al posto della spagnola, sino allora in uso.
Integerrimo nell’amministrazione delle finanze, da lui ristorate, d’ingegno cauto e sagace, versatissimo nelle cose legali e di amministrazione, aveva indole
fiera e incrollabile, sen za riguardi alle persone, per quanto altolocate; onde fu temuto e odiato dalla nobiltà e dagli am bienti militari, e da que sti messo in cattiva luce presso il principe eredita rio (Vittorio Amedeo III) che, appena successo al padre, lo tolse duramente di carica.
Ritiratosi in villa, trascor se serenamente gli ultimi suoi anni, dilettandosi delle relazioni con lette rati, tra cui il Beccaria e il Denina, e occupandosi della redazione di opere che glorificavano il suo morto sovrano o trattava no di migliorie da intro dursi nella sua prediletta Sardegna.
Acutamente previde i mali che sarebbero venu ti al suo paese dal nuovo indirizzo finanziario, e all’Europa dalla spar tizione della Polonia, dall’intervento francese in America e soprattutto dall’assonnarsi dei go verni di fronte alle sor genti concezioni politi che.
Morì a 83 anni il 9 feb braio 1784.
Bibl.: D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele III, voll. 2, Torino 1859; G. E. de Sainte Croix, Re lazione del Piemonte, con note di A. Manno, Torino 1876; P. Balbo, Vita del conte G. B. Bogino, in Misc. di st. it., XXI (1883); E. de Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri del secolo XVIII, II, 97 segg.; A. Pino-Branca, La vita economica della Sardegna Sabauda, Padova 1929.
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Nella guerra di suc cessione spagnola (1700-1713), si contrapposero i pretendenti al trono di Spagna Carlo III d’Asburgo (sostenuto da Gran Bretagna, Paesi Bassi, Asburgo, Savoia e Porto-gallo) e Filippo V di Borbone (sostenuto da Francia e Baviera).
La nobiltà sarda si divise tra i due schieramenti. Prevalse il Borbone, ma l’antico Regno di Sarde gna sorto a Bonaria nel 1324 passò agli Asburgo con il Trattato di Utrecht (1713).
Dopo l’effimera ricon quista spagnola ad opera del cardinale Alberoni, con il Trattato di Londra del 2 agosto 1718 la Sar degna passò ai Duchi di Savoia, precedentemente insigniti della Sicilia.
In questo modo Casa Sa voia, conquistando la di gnità regale, entrava a far parte delle grandi casate europee e la Sardegna tornava nell’alveo per essa naturale della civiltà italiana.
Il primo Vicerè sabaudo, il Barone di Saint-Rémy entrato in carica il 2 set tembre 1720 in nome di S.M. Vittorio Amedeo II di Savoia, doveva però giurare davanti agli Sta menti sardi di rispettare i trattati internazionali, i privilegi e le leggi dei precedenti governi, come stabilito dal Trattato di Londra.
Questa limitazione giuridica imbrigliò nei primi decenni l’azione riforma trice del nuovo governo
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SAVOIA DAL 1718
sabaudo in Sardegna, an che se da subito il Barone di Saint-Rémy si adoperò per rimediare alla prece dente cattiva gestione fi nanziaria introducendo il bilancio unico annuale. Inoltre, “Vittorio Ame deo II mirò a ristabilire incontrastata l’autorità sovrana al di sopra dei feudatari e di ogni classe di cittadini, a mettere or dine nel caos giudiziario, amministrativo e finan ziario; volle abbassata la riottosa nobiltà” (“Sar degna”, Enciclopedia Treccani, 1936).
L’antica controversia sull’alta potestà ponti ficia sull’isola fu risolta con l’accordo del 25 ot tobre 1726, con cui Papa Benedetto XIII derogava al diritto d’investitura in
favore di Vittorio Ame deo II.
In questo modo il Som mo Pontefice rinunciava all’alta sovranità sulla Sardegna, che era stata all’origine dell’atto di infeudazione alla Corona d’Aragona del 5 aprile 1297.
Il nuovo Re Carlo Ema nuele III di Savoia pro mosse la costituzione nel 1744 del glorioso Reggi mento di Sardegna, che inaugurò la grande tradi zione militare dei Sardi al servizio della dinastia sa bauda prima e dell’Italia repubblicana poi.
Una vera e propria sta gione di riforme giuridi che, economiche e sociali in Sardegna (il c.d. “rifio rimento” sardo), quale espressione locale del più
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vasto fenomeno del ri formismo illuminato che nel Settecento si diffuse tanto negli Stati italiani preunitari che nel resto d’Europa, prese avvio con la nomina, da parte di S.M. Carlo Emanuele III, di Giambattista Lorenzo Bogino quale Ministro per gli Affari di Sardegna nel 1759.
Territori deserti come l’isola di San Pietro fu rono ripopolati da pro fughi liguri provenienti dalla tunisina Tabarka, che fondarono la cittadi na di Carloforte. Furono in quel periodo fondate anche Calasetta e Mon tresta.
La principale riforma politica dell’epoca fu l’istituzione nel 1771, in tutti i paesi dell’Isola, dei
“Consigli Comunitativi”, presieduti da un Sindaco eletto a turno nei tre or dini di cittadini: primo, mezzano e infimo.
Per la prima volta, i sud diti dei feudi venivano coinvolti nella vita poli tica.
Questa fu una novità epo cale, poiché sino ad allora le sole città regie di Ca gliari, Iglesias, Oristano, Bosa, Alghero, Castel sardo e Sassari godevano di un diritto municipale proprio e non erano sog gette al sistema feudale istituito dagli Aragonesi. Bogino introdusse per la prima volta in Sardegna un regolare servizio po stale.
Il sistema tributario fu ri ordinato e reso più equo. L’agricoltura fu promos
DIE DE SA SARDIGNA
sa con cattedre itineran ti e pubblicazioni anche in lingua sarda, istituì nel 1767 in ogni paese i “monti granatici”, dove con modica spesa ogni contadino poteva rifor nirsi di sementi.
Nello stesso 1767, Bogi no occupò le c.d. “isole intermedie” (arcipela go della Maddalena), la sovranità sulle quali era fino ad allora incerta.
Nel 1770 il Viceré De sHayes intraprese un giro di indagine conoscitiva nell’Isola, durante il qua le fu seguito da un tribu nale itinerante.
Conseguenza di questo giro furono le prime di rettive sulla sanità pub blica del 1771 e la “Phar macopea sarda” del 1773. Dopo il 1770, il maggio re contributo al miglio ramento dell’agricoltura sarda si dovette al Cen sore Generale Giuseppe Cossu.
Si impartirono moderne disposizioni in materia di allevamento e macel lazione.
Furono introdotte costose macchine per la filatura e nuove macchine treb biatrici, grazie alle quali nel 1790 la Sardegna rag giunse il primato di pro duzione di due milioni di starelli (un milione di quintali) di grano.
Dal punto di vista cultu rale, Bogino stabilì che la lingua ufficiale del Regno di Sardegna fosse l’italia no, che i Savoia avevano adottato quale lingua ufficiale in Piemonte già dal 1561 al posto del latino. (segue pagina 68)
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A
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L’istruzione elementare e ginnasiale fu riorganizza ta nel 1760 con l’introdu zione dell’insegnamento obbligatorio della lingua italiana.
Anche la lingua sarda, che era stata completa mente marginalizzata in epoca aragonese e spa gnola, visse una rinascita letteraria.
A Bogino si deve anche la riapertura, dopo oltre cento anni, delle Univer sità di Cagliari (1764) e Sassari (1765), con le Facoltà di Teologia, Giu risprudenza, Filosofia e Medicina.
L’arrivo di molti pro fessori universitari dal Piemonte, insieme con l’istituzione della Reale Stamperia di Cagliari nel 1767 e la pubblicazio ne di numerose opere di interesse sardo (come la “Storia naturale di Sarde gna” di Francesco Cetti), contribuirono notevol mente alla rinascita della cultura in Sardegna.
Le riforme realizzate ebbero indubbiamen te i loro benefici effetti: le migliorate condizio ni economiche e sociali dell’Isola fecero salire la popolazione sarda dai 310.096 abitanti del 1728 ai 416.331 del 1771. Nel 1773, alla morte del padre, il nuovo Re Vitto rio Amedeo III congedò il ministro Bogino. Durante il suo Regno, furono intraprese in Sar degna nuove opere di fortificazione militare e si istituirono i “monti num mari” per prestare denaro
a basso tasso d’interesse agli agricoltori bisogno si e la “Giunta di ponti e strade” competente per la realizzazione delle infra strutture viarie, mentre i Gesuiti furono allontana ti dall’Isola e i loro beni espropriati.
L’ultimo decennio del secolo fu segnato dal la vittoriosa resistenza sarda contro l’invasione francese del 1793, dai moti cittadini di Cagliari dell’aprile 1794, conse guenti alla mancata presa in esame delle “cinque richieste” degli Stamenti e dall’insorgenza antifeu dale di Giovanni Maria Angioy, inizialmente in viato come “Alter Nos” nella Sardegna settentrio nale e poi messosi a capo della rivolta e sconfitto
(dicembre 1795-giugno 1796).
Dei moti cagliaritani e angioiani, tuttavia, già lo storico Girolamo Sot giu invitava a dare una lettura non localistica, ma inserita nel più am pio fermento politico che all’epoca pervadeva l’Europa.
Essi, inoltre, erano diret ti rispettivamente contro gli impiegati piemontesi e contro i feudatari sardi, non contro la monarchia sabauda: “il popolo sardo non volle udire niente del rivoltarsi contro i suoi legittimi sovrani, e restò loro fedele” (Francesco d’Austria-Este).
Il 3 marzo 1799 arriva rono a Cagliari il nuovo Re Carlo Emanuele IV (salito al trono nel 1796),
la famiglia reale e l’intera corte sabauda, costretta a lasciare Torino a seguito dell’invasione francese del 1798.
Il secolo si chiuse con la morte dell’erede al trono e ultimo rampollo del ramo principale dei Savoia, il piccolo Carlo Emanuele, sepolto nel la cripta della Cattedrale di Cagliari nell’agosto 1799.
Alla vigilia del nuovo secolo, la Sardegna po teva dirsi definitivamente reinserita nel flusso della storia d’Italia.
Luca Cancelliere
Articolo tratto da EXCALIBUR N° 79 MAGGIO 2014 www.tuttostoria.net/
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Nel 1792, il Piemonte era in allarme per l’on data rivoluzionaria che investì la Francia, si affrettò ad allearsi con l’Austria, la Prussia e la Spagna per tentare una difesa dalla prevedi bile aggressione.
Come previsto, le truppe transalpine attaccarono nel mese di settembre, occupando Nizza e la Savo ia, decisero poi di preparare un corpo di spedizione per conquistare la Sardegna che, con il possesso già consolidato della Corsica, gli avrebbe consentito di controllare il Mediterraneo e possedere basi navali ben distribuite che avrebbero permesso alla flotta di intervenire facilmente in ogni angolo dell’ex “Mare Nostrum” e combattere con efficacia l’Inghilterra che fino allora non aveva rivali sul mare.
I Francesi erano convinti che i Sardi li avrebbero ac colti a braccia aperte e, all’apparire della loro flotta d’invasione, si sarebbero ribellati e scagliati contro gli odiati Piemontesi che, presi tra due fuochi non avrebbero opposto resistenza e abbandonata l’isola. Il progetto francese era conosciuto dai Piemontesi al meno da ottobre del 1792, ma il viceré in carica in Sardegna Balbiano non mostrò segni di inquietudine, anzi ostentò sicurezza e molti pensarono che avesse l’intenzione di lasciare l’isola ai Francesi senza com battere.
Il viceré comunicò al so vrano, Vittorio Amedeo III, che la Sardegna po teva essere difesa da soli 800 uomini appartenenti alle truppe regolari che però nella realtà non da vano nessuna garanzia in quanto privi di esperien za.
Il re fu informato anche della mancanza di forti lizi, artiglieria e opere di difesa efficaci.
L’unica forza che potesse teoricamente contrastare l’attacco dei Francesi, era la Milizia Nazionale ma Balbiano espresse le sue riserve perché la conside rava impreparata, male armata e senza validi co mandanti.
Nonostante il corpo ter ritoriale disponesse di 23 mila uomini inquadrati in 190 compagnie di fante ria e 6 mila nella caval leria, non dava nessuna garanzia perché i suoi componenti, tutti volontari, si arruolavano per un tozzo di pane e non cer to per ideali, mancavano inoltre di addestramento militare ed erano sparsi nel territorio: sarebbe sta to quindi difficile rendere omogenea ed efficace una forza composita adatta più a impieghi di polizia ausiliaria che alla guerra. I componenti dei tre Sta menti o Bracci, (Milita re, Ecclesiastico e Reale, solo se convocati dal re e riuniti in seduta comune, formavano il parlamento Sardo) in maggioranza feudatari, nobili e ricchi ecclesiastici, al contrario del viceré, avevano inte resse (segue pagina 70)
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(segue dalla pagina 69) ad approntare energicamente la difesa dell’isola per conservare i propri privilegi che la vittoria francese avrebbe cancel lato, si adoperarono per organizzare una difesa non certo per amor pa trio.
Il reclutamento di mili ziani iniziò senza soste, i nobili sardi si trovarono stranamente d’accordo e forti somme furono in vestite per armi, cavalli e attrezzature, l’arcive scovo di Cagliari offrì 12 mila scudi e tutta l’argen teria della cattedrale.
La forza d’invasione francese si preparò in tanto nel porto di Tolone dove le navi imbarcaro no uomini e materiali: un esercito improvvisato formato da 6 mila volon tari euforici ma imprepa rati che trovarono posto a bordo di 40 navi da tra sporto che, con le 30 da guerra, completarono la flotta.
La spedizione rivolu zionaria salpò alla volta dell’isola al comando degli ammiragli Truguet e Latouche-Treville, fece sosta in Corsica per im barcare volontari locali al comando del generale Casablanca, poi un for tunale la divise e alcune unità furono sballottate in pieno Tirreno e ripararo no addirittura nel porto di Napoli, altre raggiunsero le coste siciliane, altre ancora quelle africane.
Il 21 dicembre 1792 la possente flotta france se fu avvistata nel golfo di Cagliari, ma proseguì
FLOTTA FRANCESE ATTACCA CAGLIARI
verso Carloforte, che fu occupata e ribattezzata “Iso la della Libertà”, stessa sorte toccò a Sant’Antioco. Il 22 gennaio 1793 la squadra navale al comando dell’ammiraglio Truguet si presentò nella rada di Ca gliari minacciosa.
I Piemontesi stavano a guardare, come se la cosa non li interessasse, lasciando ogni iniziativa ai locali sicu ri che la paura e le notizie della triste fine della nobil tà francese avrebbero spinto i signori sardi a battersi come leoni per respingere coloro che minacciavano le loro secolari prerogative.
Le autorità religiose schierate con l’aristocrazia, era no invece in apprensione e l’arcivescovo di Cagliari Melano benedì il baluardo di S. Efisio, eretto a difesa del porto e vi collocò la statua del santo per invocar ne la sua protezione.
Il giorno 24, I francesi tentarono di ottenere la resa della città e inviarono una scialuppa con dei parla mentari a bordo, tra i quali il noto giacobino Filippo Buonarroti, per trattare con il viceré ma la loro im barcazione venne affondata dal fuoco dei miliziani e numerosi marinai rimasero uccisi.
Il 27 gennaio i Francesi tentarono una seconda volta di trattare ma, anche in questa occasione, la loro lan cia venne attaccata dai miliziani che uccisero diversi soldati.
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A questo punto i transalpini capirono che i cagliaritani non avevano nessuna intenzione di arrendersi e il 28 gennaio, alle otto del mattino, iniziarono un intenso bombardamento della città che durò fino alle 14, ma per fortuna il loro tiro risultò impreciso, molte bor date caddero inspiegabilmente in mare, lievi furono i danni, solo cinque cittadini morirono perché colpiti da spezzoni mentre numerosi rimasero feriti. Fu il terzo bombardamento che Cagliari subì in quel XVIII secolo dopo quello degli Inglesi nel 1708, de gli spagnoli nel 1717 a memoria dei quali il palazzo Boyl, costruito il secolo successivo, conserva ancora tre palle di cannone nella sua facciata. Nel mese di febbraio i francesi sbarcarono 3500 uomini al Mar gine Rosso e si diressero verso Cagliari dividendosi in due colonne che presero la direzione di Quartu e del Poetto.
I nobili quartesi, preoccupati, come i loro colleghi in tutta l’isola avevano assoldato uomini a proprie spese per opporre una valida resistenza agli aggressori an ch’essi per difendere la propria posizione sociale che per proteggere la popolazione.
I contadini, i pastori, gli sfaccendati furono arruolati nel corpo miliziano mentre gran parte della popola zione cercò riparo lontano dal villaggio che rimase disabitato e controllato da uomini rmati e protetto da
improvvisati muretti in fango, fossati e palizzate. Il contingente rivoluzio nario che si diresse ver so Quartu, trovò quindi una insolita resistenza e fu bloccata dai miliziani e battuto, costretto a riti rarsi si trincerò nei pressi della spiaggia in attesa di rinforzi.
I miliziani assunsero una posizione d’attesa e non aggredirono i nemici per tentare di ricacciarli sulle navi, Vincenzo Sulis in persona ruppe gli indu gi e con un manipolo di volontari quartesi attaccò gli invasori che avevano occupato alcune colline intorno al Margine Ros so, costringendoli a riti rarsi sulla spiaggia, nella scaramuccia si distinse il quartese Agostino Fadda poi decorato con meda glia al valore militare.
Una carica di trecento cavalieri arruolati a pro prie spese dal quartese Raimondo Cadoni Pil lai, anch’egli decorato al valore militare, bloccò i transalpini all’altezza della chiesa di San Gre gorio ( oggi Sant’Anto nio) costringendoli a re trocedere.
La seconda colonna che marciava lungo l’areni le, al comando del gene rale Casablanca, verso il colle di Sant’Elia venne respinta dopo un duro scontro nei pressi delle saline da un contingente di sardi comandato per sonalmente da Girolamo Pitzolo, nel trambusto del combattimento e per l’o scurità, i Francesi si spa rarono (segue pagina 72)
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(segue dalla pagina 71) tra loro e molti rimasero sul terreno.
Il 15 e 16 febbraio Caglia ri fu ancora bombardata pesantemente e la torre dell’Aquila subì danni irreparabili, ma a terra i Francesi pur tentando di sfondare lo schieramen to dei miliziani, venne ro battuti dovunque e si reimbarcarono precipi tosamente per tentare un lungo assedio dal mare.
Ma il 17, un forte ven to di levante sorprese la flotta d’invasione alla fonda, molte navi furono gravemente danneggia te, altre vennero sbattute dalle onde sulla spiaggia di Quartu e del Poetto che si ricoprirono di rottami, scialuppe danneggiate, resti di velature e centi naia di cadaveri annega ti che le onde per giorni continua rono a rigettare sulla battigia.
Il 20 febbraio, la spedizione ridimensionata dal le forze della natura, fu costretta ad abbandonare l’impresa e a rifugiarsi nel golfo di Palmas nei pressi di Sant’Antioco. Ciò che rimaneva della flotta fu richiamata in pa tria e l’ammiraglio Tru guet lasciò due vascelli e un piccolo contingente a presidiare l’isola di San Pietro: nel mese di marzo una squadra navale spa gnola liberò la neonata Repubblica della Libertà catturando le scarse forze di presidio transalpine. I cagliaritani non esitarono ad attribuire quel la improvvisa tempesta, all’intervento miracoloso
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di Sant’Efisio che, a loro avviso, ancora una volta salvò la città. Sempre nel mese di febbraio, un contingente francese al comando del generale Colonna Cesari, provenien te dalla Corsica imbarcato su una corvetta e su alcuni barconi improvvisati, occupò l’isola di Spargi e quel la di Santo Stefano per poi tentare la conquista della piazzaforte di La Maddalena che sarebbe diventata una base importante per procedere alla conquista del nord Sardegna.
La piccola forza d’invasione sbarcò sull’isola di Santo Stefano, quattro cannoni e un mortaio con i quali fece fuoco su La Maddalena: comandava l’improvvisata batteria il tenente colonnello Napoleone Bonaparte. Il fuoco incrociato dei Sardi bersagliò con precisione le imbarcazioni e la corvetta francesi il cui equipag gio, per giorni sotto un intenso cannoneggiamento incrociato, tentò di ammutinarsi e, considerato l’arri vo continuo di rinforzi nelle file sarde, il comandante francese decise la ritirata abbandonando materiali e cannoni, nonostante il parere contrario del giovane Napoleone.
Sergio Atzeni
http://www.sergioatzeni.net/altri-articoli/una-picco la-storia-la-francia-e-la-sardegna-a-fine-700/
E’quella che io chiamo “orfanite”, il senso della perdita che almeno una volta nella vita ognuno di noi sente.
Credo che questo sia un sentire molto forte e grandemente cinematografico, un elemento di racconto molto ricco e intenso.
Non voglio dire che con questo mi piace raccontare storie di abbandono ma, trovo che la solitudine, come sentimento astratto, sia una “roba” da cui può scatu rire tutto un raggio di altre emozioni molto intense»: è così che si è espressa Wilma Labate, descrivendo alla giornalista Beatrice Rutiloni nel 2001, il suo cinema, impregnato, a suo dire, da un sentimento che lei stessa definisce “orfanite”.
Dignitosa e discreta regista romana, caratterizzata da una particolare lentezza narrativa, a volte esasperante, e anche da una precisa e molto curata ambientazione, racconta di energie, amarezze, inquietudini, ribellioni, umiliazioni e amori con uno stile secco e uno sguardo profondo e insostenibile, coadiuvato da un impatto au diovisivo esclusivo.
Con sguardo spigoloso, ribelle, innocente e perverso allo stesso tempo, fiero, solitario, torbido, fremente, bello, ma imperfetto, arriva anche a parlare di fascisti e co munisti, progressisti e antiprogressisti, facendo saltare in aria le stesse etichette che noi ci diamo continuamente.
Dopo essersi laureata in filosofia, nel 1972, collabora con la RAI nella re gia di diversi programmi televisivi, fra i quali an che fiction.
All’inizio degli Anni Ot tanta, si lancia nella rea lizzazione di documentari industriali, per poi firma re il suo primo mediome traggio nel 1990, “Ciro il Piccolo”, ambientato a Napoli. Per il suo primo lungo metraggio dobbiamo in vece aspettare due anni. È il 1992, infatti, quando dirige Enrico Brignano, Roberto Citran e Anita Ekberg nella sua opera prima “Ambrogio”, sto ria di una ragazza decisa a svolgere un lavoro con siderato tipicamente ma schile.
Ma il suo capolavoro, re sta, senza ombra di dub bio il bellissimo “La mia generazione” (1996) con Francesca Neri, Silvio Orlando, il suo attore pre diletto Claudio Amendo la, Arnaldo Ninchi, Anna Melato e Stefano Accorsi. La storia è quella di un terrorista italiano condan nato che deve attraversa re l’Italia da Sud a Nord per passare un mese nel carcere di San Vittore di Milano, dove ha la ragaz za.
Anche se il vero scopo del viaggio, almeno per le Forze dell’Ordine è diffe rente...
Una pellicola oggi nasco sta agli occhi del pubbli co, ma compatta e dolente, con un’intensità, una sottigliezza psicologica (segue pagina 74)
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Foto
mymovies.it WILMA LABATE
(segue dalla pagina 73) e una cura nei dettagli che riprendono le lezioni di découpage classico. Tanto è vero che la stessa Labate sarà nominata ai David di Donatello come migliore regista. Con l’arrivo del nuovo millennio, l’autrice ha un ritorno alle origini, partecipando alla realiz zazione di uno dei docu mentari che compongono “Un altro mondo è possi bile” (2001), che le darà l’occasione di lavorare assieme ai più grandi e altisonanti nomi del cine ma italiano: Ettore Scola, Franco Giraldi, Mario Monicelli, Gillo Ponte corvo, Gabriele Salvato res.
Esperienza, questa che replicherà nel 2003 con “Lettere dalla Palestina“ (sempre con Monicelli e Scola), e “Maledetta mia”, intervallando i la vori con la trasposizione del romanzo “Ronda del Guanardo” di Juan Mar sé: Domenica (2001). Nel 2005 scrive la biogra fia di Fausto Bertinotti “Il ragazzo con la maglietta a strisce”, poi è ancora cinema (Signorinaeffe) di indubbia sensibilità, didascalico e anche ine sorabilmente politico, dove gli orfani irrequie ti diventano gli operai, incastrati in un’Italia in mano ai potenti che però non smette di essere sco nosciuta, strana e... bella. Nel 2012 presenta alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Venezia Classici il do cumentario collettivo
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“Monicelli - La versione di Mario”. Dura e seducen te maestra del cinema europeo, Wilma Labate è una narratrice matura, colta, intima che si sa giostrare ot timamente fra qualità drammatiche e visive.Nel 2015 dirige anche il documentario Qualcosa di noi e nel 2018 Arrivederci Saigon. Nel 2021 è alla Mostra del Cinema di Venezia con il film “La ragazza ha volato”.. Fabio Secchi Frau Ultimi Film :
QUEI DUE Documentario, (Italia - 2022), 85 min.
LA RAGAZZA HA VOLATO Drammatico, (Italia, Slovenia - 2021), 93 min ARRIVEDERCI SAIGON Doc, (Italia - 2018), 80 min. RACCONTARE VENEZIA Documentario, (Italia, Francia - 2017), 54 min. 28... MA NON LI DIMOSTRA Documentario, (Italia - 2016), 78 min.
QUALCOSA DI NOI Doc, (Italia - 2014), 74 min. REGISTE Doc, (Italia - 2014), 76 min.
MONICELLI - LA VERSIONE DI MARIO Documentario, (Italia - 2012)
SIGNORINAEFFE Drammatico, (Italia - 2007), 95 min.
LETTERE DALLA PALESTINA Doc, (Italia - 2004), 61 min. FOCUSSignorinaEffe: innamorarsi a Torino (ai tempi della lotta operaia)
WILMA LABATE Sguardi d’Autrice Rassegna cinematografica dal 27 novembre 2022 al 20 dicembre 2022 Sala Stampace Viale Regina Margherita 44 Premio alla carriera e concerto omaggio 11 dicembre 2022 Sala Castello Viale Regina Margherita 42 ingresso gratuito Associazioni L’Alambicco La macchina cinema alambicco.org
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