Vito Sorino - MIXITÉ PRODUTTIVA: Nuove forme per la manifattura urbana a Bruxelles

MIXITÉ PRODUTTIVA nuove forme per la manifattura urbana a

b r u x e l l e s Tesi di

Laurea Magistrale in Architettura per il Progetto Sostenibile

TESISTA

RELATORE

Vito S or i no

Matte o R obig lio

Politecnico di Torino - A.A. 2017 / 2018 CORRELATORE

E manuel e Prott i

MIXITÉ PRODUTTIVA nuove forme per la manifattura urbana a Bruxelles

T E SI D I L AU REA M AG I ST RAL E Architettura per il Progetto Sostenibile

A . A . 2 0 1 7/2 0 1 8 Politecnico di Torino

T ES I STA Vito Sorino

R E L ATO RE

prof. Matteo Robiglio

CO R R ELATO R E

Emanuele Protti

abstract Quando si pensa alla città consolidata l’immagine che si compone nella mente è fatta di case, uffici, parchi, monumenti, bar, musei, negozi... tutto fuorché le fabbriche. Esse sono relegate in periferia o nell’immaginario collettivo, sullo sfondo di qualche vista urbana a emettere fumi neri da alte ciminiere.

Allo stesso modo, quando si tratta di intervenire su questa città consolidata, il materiale messo in gioco per ricucire e riattivare delle sue porzioni appartiene alle stesse categorie.

In realtà le nostre città vivono dei luoghi della produzione allo stesso modo di cui vivono delle piazze pubbliche e dei luoghi della cultura.

Qual è il posto per la produzione, per l’industria e le attività economiche nelle nostre città contemporanee? Al netto delle realtà che non l’hanno mai abbandonato, i trend indicano che la manifattura sta riassumendo forme compatibili con il contesto urbano, ricavandosi spazi e riadattando strutture in disuso.

Quelle che vi si insediano sono attività dal basso impatto ambientale, basate su processi ad alta specializzazione e impiego di manodopera, orientate a un’economia di servizi e focalizzata sul cliente finale; ovvero urban manufacturing.

I centri catalizzatori di questa reurbanizzazione sono le metropoli, le grandi città.

Per queste realtà la sfida è quella di guidare il processo di reurbanizzazione, un processo che spesso significa mescolamento, convivenza con altre funzioni ed attività. Nell’occupare uno stabilimento dismesso o nel gestire le destinazioni d’uso e il consumo di suolo, spesso, il concetto di mixité, gioca un ruolo importante.

Di tutte le metropoli americane ed europee che lavorano su questo tema, un caso particolare è sicuramente quello di Bruxelles.

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La “ville tâche”, isola amministrativa bilingue circondata dalla regione fiamminga, quasi una città-stato dalla complessa architettura istituzionale, completamente urbanizzata e impossibilitata ad espandersi.

Questa sua insularità, unita ad una crescente pressione demografica, pone il problema dello sfruttamento del suolo e della sopravvivenza degli spazi destinati alle attività economiche e produttive, contro la crescente richiesta di abitazioni.

La direzione indicata dall’amministrazione e dagli studi urbani è proprio quella di una maggiore mescolanza tra funzioni.

Lungo l’asse industriale del canale di Charleroi si concentrano le principali attività industriali dell’agglomerazione, che malgrado il suo ruolo di capitale terziaria conserva ancora oggi tessuto produttivo di una certa importanza.

Ma è soprattutto il comune di MolenbeekSaint Jean che si presenta come caso studio ideale di questa ricerca, per via delle condizioni particolari proprio di commistione fra spazi industriali e residenza, che stanno alla base della sua stessa formazione.

La presenza di un vasto patrimonio di archeologia industriale ed edilizio in attesa di valorizzazione è arricchita dalla continuità d’uso di buona parte di esso, e quindi dalla caratterizzazione di questo settore di città, ancora attualmente, come quartiere produttivo.

L’indagine attorno al caso studio si articola su cinque livelli di analisi.

Il primo, la storia: ponendo come punto di partenza l’avvento della Prima Rivoluzione Industriale in Belgio e la trasformazione di Molenbeek da villaggio peri-urbano nella “Piccola Manchester Belga” e seguendone le trasformazioni urbanistiche attraverso l’epoca d’oro dell’industria, il dopoguerra e

la deindustrializzazione, fino al riuso dei giorni nostri.

Il secondo, la società: ovvero una lettura del panorama sociale attuale, che metta in relazione il comune con il resto della città e ne presenti le caratteristiche e le correlazioni con la dimensione spaziale.

Il terzo, l’economia. Quella che è l’economia produttiva brussellese oggi, quali sono i cluster e i settori che giocano un ruolo rilevante nel contesto di Molenbeek e quali sono i luoghi della produzione al giorno d’oggi.

Il quarto livello di analisi, tramite un reportage fotografico, guarda al paesaggio industriale, e all’immaginario urbano che presenta.

Infine, l’analisi del tessuto urbano, scandita su tre livelli, a scala di quartiere, di isolato e di edifici. Con questo passaggio l’indagine vuole ricercare le forme e le logiche con cui gli spazi produttivi, residenziali e commerciali, sono andati a costituire questa parte di città e cercare di ricavarne una lettura utile alla fase progettuale.

In quest’ultima, considerata un’area di progetto, si andranno ad individuare delle occasioni dove immaginare strategie spaziali di intervento, volte ad operare un processo di rigenerazione urbana in cui reintrodurre o rafforzare la vocazione produttiva, tramite lo strumento della mixité.

Sviluppando, in questo modo, una casistica di applicazioni, diverse per dimensioni, mix di funzioni, strategie, che provi a immaginare, per questa parte di città, uno sviluppo futuro in cui i luoghi della produzione ne siano ancora parte integrante.

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indice INTRODUZIONE 1. contesto di ricerca - definizione di Urban Production - i trend della manifattura - policies per l’Urban Production

2. oggetto della ricerca - Bruxelles e il comune di Molenbeek-Saint Jean

INDAGINE 3. storia - 800 e 900: Molenbeek, la piccola Manchester belga - Carte storiche e processo di espansione urbana - Dopoguerra: deindustrializzazione ed eredità - Oggi: rifunzionalizzazione di edifici industriali

4. società - Cartografia tematica - Focus su Molenbeek-Saint Jean

5. economia - Bruxelles produttiva oggi - Cluster produttivi e settori industriali - Il tessuto produttivo a Molenbeek, settori rilevanti ed esempi

6. paesaggio - Report fotografico

7. analisi urbana - Morfologia del costruito - Analisi compositiva degli isolati - Analisi compositiva dell’edificato

PROGETTO 8. programma - Linee guida - Programma funzionale - Area d’intervento ed opportunità

9. elaborati progettuali - Rue de Manchester 13-15, centro di formazione professionale - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Rue de Birmingham 53-55, factory common - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Quai de l’Industrie 75, residenze per artigiani e laboratorio condiviso - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Rue de Liverpool 23, showroom factory - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

10. conclusioni - Strategie per l’Urban Production - Interazioni ed esternalità

contesto di ricerca

Il fenomeno dell’urban production, ovvero il fiorire di attività economiche legate a nuovi modelli di industria ed impresa in contesto urbanizzato, a cui sono strettamente legate, è da qualche tempo oggetto di studio e materia di discussione in campo architettonico e urbanistico. Difatti ad esso si legano tematiche di organizzazione spaziale, di riuso e di adattamento di edifici e di relazione con l’organismo urbano, oltre a questioni di ordine economico , sociale, di sviluppo ed innovazione, in ottica di una radicale trasformazione delle economie post-industriali, in seguito alle mutazioni che la Terza Rivoluzione Industriale ha portato nell’organizzazione dei processi produttivi e nella loro dislocazione geografica.

Lo studio di modelli e tipologie applicate in passato ad edifici industriali è utile per comprenderne meccanismi, organizzazione e funzionamento che possono essere, laddove non riapplicati interamente o parzialmente, per lo meno reinterpretati o rielaborati per essere adattati a seconda del nuovo contesto e fungere da base operativa per la progettazione.

In questo campo ci vengono in aiuto gli studi portati avanti dalla ricercatrice americana Nina Rappaport e raccolti nel libro del 2015 “The Vertical Urban Factory”sulla fabbrica come parte integrante dell’organismo urbano, con particolare enfasi sull’organizzazione verticale della produzione industriale.

Dall’altro lato è importante conoscere le nuove forme con le quali la manifattura urbana si è organizzata in tempi recenti, per estrarne i modelli spaziali, ma anche economici ed organizzativi e le modalità con le quali i diversi quadri legislativi vi si sono confrontati.

Essendo un fenomeno tutt’ora in divenire, è difficile averne una comprensione chiara ed oggettiva, tuttavia esso esiste da un arco di tempo sufficiente a fornire un certo numero di esempi che possono essere studiati ed analizzati.

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L’URBAN PRODUCTION I tipi di attività produttive di cui è possibile riscontrare esempi riconducibili all’urban production sono molteplici e coprono un ampio spettro di settori industriali e manifatturieri. Si tratta in ogni caso di processi produttivi la cui scala e le cui esternalità siano integrabili nelle maglie dell’organismo urbano.

La definizione adottata in questa ricerca vuole essere, a tale riguardo, il più ampia e inclusiva possibile, per comprenderne ogni possibile declinazione.

Due definizioni esistenti sono un utile punto di partenza, che sarà allargato da alcune considerazioni specifiche: La prima è quella di “urban manufacturing” che è stata data dal gruppo di ricerca internazionale e interuniversitario “City of Making”, che stabilisce alcune caratteristiche fondamentali.[1] L’urban manufacturing:

processi materiali di produzione di beni e prodotti, sia che ciò avvenga per il totale della filiera produttiva, sia solo per una parte di tale processo. Ciò comporta la presenza fisica di mezzi di produzione nello spazio in cui tale attività opera.

Un’altra definizione, più informale, di “urban manufacturing” viene fatta dall’economista e sociologa Saskia Sassen nel suo articolo “Cities Today: a new frontier for major development”:

“Urban manufacturing has several characteristics: it needs an urban location because it is deeply networked; it operates in contracting and subcontracting chains. It is often fairly customized and hence needs to be in proximity to its customers and needs access to good craft workers. It inverts the historic relationship between services and manufacturing (historically, services developed to serve the needs of manufacturers) in that it serves service industries.” [2]

- include la trasformazione fisica di materiali - impiega forza lavoro, attrezzi e/o macchinari - ha come risultato un prodotto - include la produzione come parte di un attività che generi profitto (escludendo quindi le attività relative agli hobby o alla produzione artistica) - è inserita spazialmente in un contesto urbano, e ne è fortemente dipendente in termini di relazioni funzionali, logistiche e di mercato.

Quindi la manifattura urbana necessità della città perché il suo modello di business è profondamente interrelazionato e dipendente da essa in termini di clienti e lavoratori.

In più Sassen ci dice che queste attività si caratterizzano per la produzione di beni a supporto delle attività terziarie e di servizi e non solo per l’integrazione con l’apparato industriale.

Si considera “urban manufacturing” quindi tutta quella varietà di attività economiche che svolgono all’interno di un sistema urbano e in stretta relazione spaziale con esso, i loro

[1] Cities of Making, “City Report”, 2018 [2] Saskia Sassen, “Cities Today: a new frontier for major development”, Columbia University Press , 2009

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Le attività artigianali, il cui processo produttivo e ideativo per definizione si svolge in situ e con il diretto coinvolgimento di un operatore specializzato, dotato di mezzi di produzione più o meno avanzati, sono certamente incluse nella definizione di “urban manufacturing”.

Questa definizione include in partenza ogni tipo di industria o azienda manifatturiera nel senso più comune del termine, la cui catena produttiva o parte di essa sia dislocata in uno o più ambienti contigui, e i cui servizi accessori (uffici, spazio per la logistica, ambienti per i dipendenti, esposizione) possono essere o meno presenti in loco.

Il pregio della definizione fin qui data è quello di non legare l’attività ad un luogo specifico, ma al suo modus operandi permettendo di integrare nel modello di “urban manufacturing” anche tipologie di spazi produttivi condivisi, quali FabLab, TechShop e Hackerspace.

Questi luoghi rispondono perfettamente ai requisiti, ospitando sostanzialmente numerosi piccoli spazi artigiani e sono tanto più legati alla loro condizione di spazi urbani in quanto l’utenza che li fruisce è tipicamente parte di una “classe creativa urbana” e la loro competitività nasce anche dal loro posizionamento rispetto al resto della città.

Inoltre nuovi modelli di organizzazione aziendale e produttiva che si stanno affermando col tempo, soprattutto nei contesti economicamente più dinamici (Stati Uniti, Nord Europa) stanno ampliando e modificando il concetto di fabbrica contemporanea.

Per primo, l’affermarsi di nuovi modelli di ricerca e sviluppo all’interno delle aziende, la cui fase “intellettuale” è sempre più integrata e in stretta correlazione con quella “fisica”spinge il processo produttivo a dotarsi di uno spazio specifico per l’interazione fra

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queste due componenti. In questo spazio, che possiamo definire di “prototipazione” il concept viene testato e migliorato secondo uno schema che non è più verticale ma di interazione continua fra le due fasi.

Spazialmente e tipologicamente, questo si traduce in una dimensione di fabbrica diversa, in cui il confine fra ambiente ufficio e laboratorio, fra il lavoro di concezione intellettuale e quello materiale, si fa labile se non scompare del tutto. Essendo questo stadio parte integrante del processo produttivo e particolarmente rilevante nel caso della produzione di beni “tailored” e “customer oriented”, ovvero sviluppati appositamente per rispondere alle specifiche esigenze di un unico committente, vengono anch’essi inclusi nella definizione estesa di “urban production”.

Infine, vi è la crescente necessità da parte di aziende ad alta specializzazione di disporre di forza lavoro adeguatamente formata. Non sempre le scuole di formazione professionale sono in grado di fornire queste specifiche competenze tecniche e pratiche ed allora è l’azienda stessa che provvede ad una fase di formazione preliminare all’assunzione degli addetti alla produzione. Esistono esempi di strutture dedicate a questa fase di formazione, che permettono di condividere spazi ma soprattutto le attrezzature e i relativi costi fra aziende diverse, in quanto è raro che un’azienda da sola possa permettersi di riservare anche solo per una parte della giornata ambienti e macchinari a questo scopo.

In quanto parte di un modello di business ben programmato ed integrato al flusso produttivo e manageriale dell’azienda questo tipo di spazio ibrido ha le caratteristiche per andare ad ampliare la definizione suddetta.

azienda

C

F

S

COMPANY

FACTORY

SERVICES

- amministrazione - direzione - contabilità - marketing - risorse umane

- produzione - ricerca e sviluppo

- logistica - telecomunicazioni - sistemi e impianti - servizi ai dipendenti

I tre elementi fondamentali della fabbrica, sia in termini organizzativi che spaziali, sono la “company”, la “factory” e i “services”.

Nella “company” affluiscono tutte le funzioni di gestione ed amministrazione dell’azienda, la “factory” è la componente operativa, i “services” sono tutte le attività e gli elementi di supporto all’attività della fabbrica.

esterno città

residenze lavoratori clienti

azienda

C

F

S

università, enti pubblici altre aziende fornitori

Ecosistema urbano produttivo, ovvero l’insieme delle relazioni che la fabbrica urbana intrattiene con gli attori della città e con quelli verso l’esterno.

Dallo schema si evince che per un’azienda di questo tipo le connessioni con altre realtà che operano all’interno del contesto urbano sono più rilevanti di quelle verso l’esterno.

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Tramite la casistica fin qui accennata si comincia a delineare una serie di caratteristiche comuni a questi luoghi. Innanzitutto, una forte componente di innovazione è alla base del processo di reurbanizzazione industriale: sia essa un’innovazione dura” di tipo tecnologico, “soft” di tipo manageriale, o anche solo legata ad un approccio differente nella scelta della localizzazione e nella valutazione delle esternalità legate allo stabilirsi in contesto urbano.

Questo approccio alternativo, è necessario in quanto le condizioni in cui opera una fabbrica urbana impongono il rapportarsi ad elementi esterni che la pongono in una situazione di mixité. In effetti la mixité, secondo elemento comune, è un elemento preponderante nell’urban production. Sia essa naturalmente insita nella dimensione urbana, con la compresenza di altri edifici, funzioni ed attività, con le quali l’azienda deve rapportarsi, sia essa contenuta nel programma funzionale all’interno dello stesso edificio in cui l’attività risiede.

Non è raro che più attività risiedano nello stesso edificio; il caso più semplice è quello della riattivazione di uno spazio in disuso, spesso è necessaria la somma del potenziale di diverse imprese per riempirne lo spazio e riuscire ad attivarne una gestione sostenibile.

Per lo stesso motivo alcune forme di urban production partono dalla condivisione come presupposto alla loro stessa esistenza: è il caso degli incubatori di imprese o della produzione artigianale collettivizzata dei FabLab, MakerSpace e Hackerspace.

In questi casi non sono solo gli ambienti fisici e le spese di gestione ad essere compartecipati, ma spesso anche le stesse attrezzature, macchinari e mezzi di produzione sono a disposizione di tutti gli occupanti.

[3] Nina Rappaport, “Vertical Urban Factory”, Actar, 2016

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Una diretta conseguenza dell’innovazione tecnologica è il ridimensionamento dei mezzi di produzione e di conseguenza dello spazio necessario ad un’attività per espletare le sue fasi realizzative. È una riduzione dovuta non solo alle dimensioni intrinseche dei macchinari, ma spesso anche all’efficientamento dei processi industriali; una sola macchina è in grado di portare a termine le lavorazioni precedentemente affidate a più macchinari.

Fra i punti fondamentali dell’urban production è anche indicato un particolare rapporto delle attività con il capitale umano delle città.

Una rivoluzione culturale avvenuta negli ultimi decenni ha provocato un riavvicinamento della società occidentale, dei suoi interessi e dei suoi individui alla produzione industriale.

Si tratta di una presa di coscienza del ruolo chiave dell’industria nella società da un lato e di un riavvicinamento dovuto all’accessibilità a una forma autonoma di produzione consentita dall’innovazione tecnologica dall’altro. [3] Ciò è risultato in una tendenza a dare nuova visibilità ai processi produttivi, partendo dalla scala artigianale, in cui l’esposizione e il racconto del proprio lavoro hanno riacquisito centralità anche grazie alla democratizzazione dei mezzi di comunicazione portata da internet e social media, fino ad arrivare a vere e proprie strategie di marketing integrate a scala architettonica, alla spettacolarizzazione della produzione industriale fatta nelle showroom factories.

tecnologica INNOVAZIONE

gestionale spaziale

urbana MIXITÉ

edificio funzionale

dello spazio CONDIVISIONE

dei mezzi di produzione dei servizi

dello spazio RIDIMENSIONAMENTO dei mezzi di produzione

virtuale SPETTACOLARIZZAZIONE in fabbrica

Lo schema rappresenta le 5 caratteristiche cardine dell’urban production e i campi in cui si ripercuotono le loro rispettive declinazioni, evidenziando se le conseguenze di tali caratteristiche sono di tipo materiale (quindi spaziale, infrastrutturale) o immateriale (manageriale, relazionale).

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I TREND DELL’URBAN PRODUCTION L’evoluzione del luogo “fabbrica” è legata da sempre all’evolversi dei sistemi economici e dei mezzi di produzione.

A partire della sua codifica, con la Prima Rivoluzione Industriale, la fabbrica è andata via via complessificandosi, delineandosi come un organismo funzionalmente e spazialmente gerarchizzato, la cui crescente specializzazione ha portato nel tempo a una sempre maggiore segregazione del luogo di produzione dall’organismo urbano.

La fabbrica modernista è un organismo concluso, nel quale si svolge un ciclo di produzione completo, che si esaurisce spesso all’interno dello stesso edificio, nel quale ogni ambiente è progettato specificatamente per una determinata fase produttiva. [4] Ne deriva che essa sia uno spazio estremamente specializzato e caratterizzato attorno alla modalità di gestione del processo produttivo e ai macchinari installativi e che, viceversa, questi si riflettano direttamente nell’architettura dell’edificio.

Con la globalizzazione della produzione e la delocalizzazione nei Paesi in via di sviluppo, avviene il primo passo per un cambiamento radicale di questi paradigmi.

Alle economie emergenti viene affidato un modello di sviluppo industriale che, anche in termini spaziali, è la versione ipertrofica di quello precedentemente applicato in Occidente, il quale è risultato in stabilimenti di dimensioni colossali (le cosiddette “megafactories”) e, grazie a una diversa concezione dello spazio costruito, in cluster produttivi spesso a sviluppo verticale.

All’occidente, oltre ad una consistente eredità post-industriale, resta quella che è definita come “l’economia della conoscenza”, intesa come know-how industriale e produzione di beni e servizi dall’elevato valore aggiunto[5].

Il secondo e definitivo passo perché la produzione diventi “qualcos’altro” rispetto al passato, è l’avvento della produzione automatizzata di massa; i processori e l’informatica entrano prepotentemente nel processo industriale modificandone non solo le fasi e le procedure, ma anche i presupposti. É questo il passaggio, ad esempio, dalla produzione in serie fordista alla produzione in tempo reale automatizzata e customizzata.

L’automatizzazione e l’informatizzazione sono solo i più rilevanti fra gli aspetti di questa mutazione, per certi versi ancora in corso, che ha portato al riaffacciarsi sulla scena urbana della manifattura.

Col tempo, l’invenzione e la diffusione di nuovi processi di lavorazione fisica, come il laser o la stampa 3D hanno portato a una razionalizzazione e riduzione di tempi e spazi per i processi produttivi.

Questo alleggerirsi dei sistemi produttivi, rende gli spazi della produzione contemporanea più fluidi rispetto alla rigida impostazione della catena di montaggio fordista.

Per una produzione che segue dei modelli in cui reattività al mercato, conoscenza e informazione sono valori fondamentali diventa sempre più necessario poter fare affidamento su infrastrutture fisiche e immateriali efficienti, oltre che posizionarsi in prossimità del suddetto mercato.

Si dà il caso che i luoghi fisici che corrispondono a queste caratteristiche e nei quali risiede un capitale umano ed economico in grado di supportare queste attività siano le città, le grandi metropoli globali in particolare[6].

La disponibilità negli agglomerati urbani di spazi in disuso a buon mercato e spesso in posizione semi-centrale e ben connessa alle reti di trasporto, proprio le fabbriche

[4] Nina Rappaport, “Vertical Urban Factory”, Actar, 2016 [5] Saskia Sassen, “Cities Today: a new frontier for major development”, Columbia University Press , 2009 [6] ibidem

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antesignane dismesse, ha rappresentato da subito per queste forme imprenditoriali un’opportunità per stabilirsi.

Grazie all’esempio di queste forme pioniere di produzione urbana ci si è resi conto che gli spazi disponibili giacciono generalmente in uno stato di disinteresse nelle nostre città, quando non sono in pericolo.

Il luogo d’elezione per questo ritorno della manifattura nella città è dunque la fabbrica dismessa: la fabbrica riadattata, grazie ad alcuni pregi della sua configurazione spaziale, a nuove e differenti forme di produzione, vecchi spazi per nuovi usi.

Interno della fabbrica Shinola a Detroit, nel settore di orologeria.

L’interazione di questi spazi con modelli produttivi alternativi, come detto più fluidi e flessibili, nuovi macchinari e nuovi schemi relazionali con la città e i suoi utenti, dà luogo a una serie di modalità operative diverse.

Definiamo queste modalità operative come “trend”, ovvero fenomeni evolutivi della produzione in contesto urbano, ognuno dei quali corrisponde a particolari logiche ed esigenze o a diversi modi di rispondere alle contingenze della loro relazione con tutto ciò che, come spazio, società ed economia, costituisce la città.

Fonte: www.timezone.com

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PRODUZIONE CONDIVISA Alcune fra le forme di urban production più celebri sono forme di produzione condivisa.

Ciò è certamente legato all’impatto mediatico del movimento dei Makers, una sorta di associazione globale di artigiani 2.0, secondo la visione più romantica del fenomeno, un’importante messa in discussione dei modelli di produzione di massa e della società attorno ad essi costruita se lo si guarda dal punto di vista antropologico.

Interni del FabLab di Oulu, Finlandia.

Fonte: www.oulu.fi

Nati in campo universitario e in seguito proliferati in maniera indipendente in tutto il mondo FabLab, MakerSpace e HackerSpace, con i loro differenti campi di applicazione, permettono tramite meccanismi consociativi l’avvicinamento e l’utilizzo di mezzi di produzione talvolta sofisticati, a utenti che altrimenti non vi avrebbe accesso.

Sono piccole officine dotate di una serie di strumenti, manuali o computerizzati che permettono la realizzazione di una vasta gamma di oggetti, l’apprendimento tra pari e la condivisione della conoscenza, spesso installate in edifici industriali dismessi.

In queste tipologie sono condivisi sia gli ambienti (con poche concessioni a spazi di stoccaggio individuali), che i macchinari e gli eventuali servizi. Questi ultimi, a seconda del livello di strutturazione del FabLab possono includere dall’indispensabile connessione internet rapida, a sale riunione, sale conferenze.

A livello imprenditoriale, la condivisione di spazi e macchinari produttivi la si ritrova in luoghi come gli incubatori di imprese, nelle loro diverse declinazioni.

Pur essendo un concetto nato sul finire degli anni ‘50 e già sperimentato in molte parti del mondo negli anni ‘90, con i parchi d’imprese, parchi scientifici o “hotel d’entreprises” principalmente legati alla ricerca universitaria,

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Sopra: esterni dell’Hotel d’entreprises di Paris-Montmartre sotto:atelier dell’hotel d’entreprises Fonte: www.zundelcristea.com

è soprattutto col nuovo millennio che essi sono diventati oggetto di attenzione e programmazione anche pubblica nel campo della manifattura.

Spesso assimilati agli acceleratori di imprese, entrambi sono caratterizzati da un programma, una rete e dei servizi di supporto e assistenza alla creazione e alla fase embrionale di un’azienda. L’incubatore però si caratterizza per disporre di luoghi fisici in cui le imprese possono insediarsi e persino di attrezzature condivise dove le aziende possono iniziare a produrre o sperimentare prototipi durante la fase di assistenza del programma.

La maggior parte di essi accoglie aziende in campi diversi, ma quelli più recenti tendono a specializzarsi in determinati campi dell’industria, in modo da fornire migliori attrezzature e supporto.

Altre forme di aggregazione di imprese sono slegate da programmi di assistenza e dalla collettivizzazione dei mezzi di produzione, configurandosi principalmente come operazioni immobiliari orientate all’ospitare nei loro spazi produttivi per aziende, invece che appartamenti o uffici.

In questo caso, il vantaggio è tratto dalla concentrazione in un unico luogo per motivi di fornitura di servizi da parte dell’ente di gestione e per il potenziale che questo raggruppamento può generare in termini di attrazione e relazioni. È il caso della tipologia dell’industry common, della quale troviamo applicazioni di massa in Cina e paesi del sud-est asiatico, ma anche applicazioni sperimentali in contesto urbano come sta avvenendo per il distretto di Navy Yard a New York, nel quale saranno realizzati 500.000 m2 di superfici a destinazione manifatturiera ad alta tecnologia.

Sopra: esterni dell’Hotel Industriel Berlier, di Dominique Perrault Sotto: ambienti interni dell’hotel industriel Fonte: www.perraultarchitecture.com

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Ovviamente a questa categoria ascriviamo quegli esempi di riappropriazione e riattivazione spontanea da parte di più attori, di edifici dismessi a cui abbiamo già accennato.

Per ultimo, va evidenziato anche il ruolo sociale che talvolta viene svolto da forme di produzione collettiva; nel quartiere di Afrikaander a Rotterdam, è stato sviluppato da una cooperativa una sorta di laboratorio collettivo /incubatore per le attività produttive dei residenti del quartiere, socioeconomicamente fragile, in grado di conciliare questioni di inclusione sociale e avviamento economico, mettendo in connessione le capacità degli abitanti e le loro qualifiche di lavoro manuale con le disponibilità economiche di investitori.

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Nella pagina a fianco: laboratori nel complesso di Navy Yard a Brooklyn Sopra: la navata del Navy Yard con spazi di coworoking Fonte:www.dezeen.com Foto: Spencer Lowell

Nella pagina a fianco:l’ambiente principale del Campus RDM Rotterdam Di fianco: macchinari in condivisione per l’apprendimento al Campus RDM Fonte: www.rdmrotterdam.nl

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PROUZIONE ARTIGIANALE E NEO-COTTAGE INDUSTRY Il dizionario di lingua inglese Collins definisce la “cottage industry” come:

“A cottage industry is a small business that is run from someone’s home, especially one that involves a craft” ovvero una piccola impresa artigianale che viene svolta prevalentemente in ambito domestico.

L’accessibilità ormai su vasta scala di strumenti informatici di modellazione, disegno e progettazione assistita, in grado di dar vita ad un prodotto tramite un solo macchinario sblocca virtualmente la capacità di impiantare una micro-fabbrica in ogni casa, o di disseminare la produzione di un oggetto direttamente presso l’utente finale, ad esempio tramite la stampa additiva.

Questo scenario andrebbe ad inserirsi in un quadro di coabitazione fra attività manifatturiere /artigianali e residenza dai lunghi trascorsi nella storia delle città e che è stato fulcro, fra l’altro, dell’evoluzione di alcuni settori industriali a partire dalla Prima Rivoluzione Industriale,[7] continuando con la rivoluzione tipologica portata dalla nascita del loft per la classe creativa, fino a giungere ai giorni nostri.

In ogni caso va evidenziato un fenomeno di riemersione delle professioni artigiane e manuali nel contesto delle città occidentali, legato alla produzione, realizzazione e riparazione di beni di lusso e di prodotti su misura, ma anche a tutto quel campo di attività facenti parte della manutenzione di sistemi, edilizia ed infrastrutture che genera un’economia considerevole e che sono spazialmente ed operativamente declinabili alla scala urbana. [8] Facciata e interni dell’atelier di oreficeria Alex Monroe Studio Studio DSDHA

[7] Nina Rappaport, “Vertical Urban Factory”, Actar, 2016 [8] City of Making, “City Report” , 2018

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Il potenziale di questa tipologia è, se applicato in larga scala, di modificare il funzionamento urbano e le abitudini di pendolarismo riavvicinando residenza e luogo di lavoro.

Si tratta di ambienti spesso estremamente versatili, che possono variare dalla bottega, con accesso su strada e funzione anche commerciale sul fronte e ambienti laboratorio retrostanti, alla rimessa nell’interno cortile, ai già citati loft che uniscono l’ambiente domestico e quello lavorativo in uno spazio privo di separazioni fisiche.

Sezione della stecca contenente i loft duplex del progetto Kolner Brett Studio Brandlhuber

In alto: ingressi e facciata col sistema di distribuzione esterno del progetto Kolner Brett In basso: interno di un loft del Kolner Brett trasformato in laboratorio Studio Brandlhuber

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PRODUZIONE COME SPETTACOLO In modo diverso nel corso delle epoche, la fabbrica ha sempre funzionato non solo come contenitore per processi ed attrezzature ma anche come mezzo di comunicazione per l’azienda che ne era in possesso.

Se ciò avveniva in maniera intrinseca e con una certa deriva monumentale nel corso del diciannovesimo e prima metà del ventesimo secolo, l’affermarsi della società dei consumi ha posto il prodotto e la sua immagine al centro delle dinamiche economiche.

Per l’industria, specialmente le grandi aziende multinazionali, ciò ha rappresentato uno stimolo a strutturare i propri impianti produttivi come mezzi di comunicazione architettonici per creare il proprio brand, enfatizzando tutti gli elementi che possono dar vita a quello che viene definito come lo “spettacolo della produzione”.

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Anche se l’obiettivo, come detto, è principalmente comunicativo, questi stabilimenti hanno l’interessante merito di rimettere in vista la produzione industriale e i lavoratori, a lungo nascosti allo sguardo esterno.

Vi si riflette anche un altro cambiamento nel rapporto che la società occidentale ha con la produzione; non più nascosta ma messa in evidenza, persino la produzione di massa ha perso quell’aurea di serialità, grazie al potere della comunicazione. Ad esempio ciò è avvenuto per il settore automobilistico.

Risulta ancora più importante quindi, per la produzione di beni di lusso, in serie limitata o indirizzati ad un target specifico, aprirsi al pubblico, mostrarsi, comunicare i propri valori e la propria immagine, fino a far assistere persino interagire i propri clienti con alcune fasi della realizzazione del prodotto.

Per questa serie di ragioni, se è ormai considerata prassi la cura dell’involucro esterno, alcune fabbriche si sono anche evolute per ospitare queste interazioni, integrando dispositivi spaziali e nuovi ambienti in cui esse possano avvenire e riconsiderando la propria distribuzione interna perché queste avvengano senza interferire con il processo di produzione.

Si parla dunque di “showroom factory”, nelle quali il tratto più distintivo è spesso il trattamento delle facciate e delle pareti esterne, che a differenza del passato, si aprono con grandi vetrate verso l’esterno, lasciando trasparire gli ambienti di lavoro.

Ma, come abbiamo detto, la possibilità per il consumatore è quella di entrare nella fabbrica ed ecco che ai percorsi e alle infrastrutture della filiera si affiancano percorsi dedicati, balaustre, punti di osservazione dall’alto dotati di una distribuzione separata o intermedia rispetto a quella del ciclo produttivo.

Ambienti di accoglienza e socializzazione vengono posizionati in prossimità degli ingressi e se i flussi delle “cose” restano separati, almeno fino al loro termine, dove il cliente può entrare in possesso del suo prodotto, i flussi delle persone si mescolano in questi spazi filtro.

In alcuni casi, in specifici ambienti, il visitatore può scegliere finiture, colori, dettagli, ed intervenire sulla produzione del suo pezzo, oppure fare acquisti, come in un bookshop o uno store al termine di un museo o di un’esposizione, appunto.

Dall’analisi di questa categoria nasce un’osservazione, ovvero che se per la produzione di massa questo rapporto diretto rappresenta un’innovazione, per la produzione artigianale l’interazione col cliente e l’esposizione del proprio lavoro ha sempre rappresentato una costante.

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PRODUZIONE FLESSIBILE, IN REAL TIME E CUSTOMIZZAZIONE SPINTA Per certi versi interconnessa al concetto di spettacolarizzazione della produzione, in termini di relazioni con l’esterno, vi sono quei casi in cui l’interazione produttore-cliente riveste un ruolo primario nella fase produttiva e nel modello di business dell’azienda.

Per adattarsi ad un mercato dinamico e ad esigenze di differenziazione del prodotto, nel corso del Novecento la catena produttiva ha sviluppato impostazioni via via sempre più flessibili e reattive, partendo dalla produzione seriale. Grazie alla diffusione di sistemi fondati su basi di dati che tengono traccia della logistica e dei volumi di vendite, un sistema produttivo come il “just in time”, che consiste nel produrre solo quanto richiesto dal mercato, accorciando la catena produttiva e riducendo tempi e spazi di immagazzinamento, ha trovato ulteriore modo di aggiornarsi ed efficientarsi in una forma di linea produttiva sempre più flessibile. [9] Il “FMS” (Flexible Manufacturing System) consiste in celle operative modulari in grado di eseguire una certa varietà di lavorazioni e perciò in grado di funzionare in parallelo o secondo combinazioni diverse, permettendo alla catena di montaggio di continuare anche se una delle celle deve essere riconfigurata per seguire le esigenze di produzione. Permette un adattamento estremamente rapido della linea e richiede flessibilità nei compiti anche da parte degli operatori e quindi una loro formazione più ampia.

Nella produzione in “real time”, invece, il processo realizzativo o la sua conclusione, si attiva al momento della richiesta e in certi casi può svolgersi anche direttamente in presenza del cliente. É un sistema che determina una certa differenza nell’impostazione e nel workflow della fabbrica, ma che ha anche un grande impatto

[9] Nina Rappaport, “Vertical Urban Factory”, Actar, 2016

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in termini spaziali, riducendo la necessità non solo di superfici destinate a magazzino, (in quanto non ha bisogno di grandi spazi per lo stoccaggio dato che il prodotto finito è subito ritirato dal cliente o spedito a destinazione) ma anche di spazi per la logistica e di manovra dei mezzi di trasporto che caratterizza invece i grandi stabilimenti extra-urbani.

Notoriamente, è la stampa 3D ad essere il processo industriale che ha permesso la diffusione su larga scala di un impostazione in real-time della produzione.

Questi sistemi di flessibilità produttiva possono entrare in gioco nel momento in cui il modello produttivo si basa sulla customizzazione del prodotto, ovvero sulla realizzazione o la finitura secondo specifiche richieste ed esigenze del cliente.

L’industria urbana può adattarsi alla “customizzazione di massa”, per la quale è necessaria la produzione di un set di modelli similari di un prodotto che coprono un range più o meno ampio di possibili scelte del cliente, ma può ancora meglio competere nella “customizzazione spinta” o sulla “personalizzazione” del prodotto, per le quali l’interazione con l’utenza è fondamentale e la prossimità al cliente rappresenta un vantaggio competitivo, quando non è un fattore vincolante.

Interno di una fabbrica della Shapeways, azienda che produce oggetti in stampa 3D in tutto il mondo.

Ingresso e laboratorio della fabbrica / negozio Normal a New York

Fonte: www.iall3dp.com

Fonte: www.hwkn.com

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PRODUZIONE CITY ORIENTED Questo trend, che riguarda le categorie produttive la cui attività è totalmente dipendente dall’inserimento nel ciclo vitale urbano e dalle sue risorse, può essere inteso in due direzioni: produzione per la città e produzione dalla città.

Il target finale di un prodotto non è sempre necessariamente rappresentabile come un individuo singolo, ma talvolta può essere un gruppo di persone con determinate caratteristiche, una comunità, una città intera.

Per questo motivo vi sono casi di aziende estremamente legate al territorio e alle sue peculiarità sociali, economiche e culturali.

Può essere il caso di industrie alimentari che producono specialità gastronomiche tipiche, ad esempio, oppure qualsiasi produzione di nicchia i cui volumi di vendita siano giustificati solo laddove è presente una concentrazione di possibili clienti, per le quali è logica la scelta di stabilirsi o restare prossime al loro naturale (ed unico) mercato di sbocco. In questo caso la produzione è strettamente fatta per la città.

Nel senso opposto operano quelle attività produttive che traggono dalla città e dal suo funzionamento le risorse primarie per le loro lavorazioni. La crescente industria del riciclo, del riuso e del trattamento dei rifiuti, ad esempio, è in grado di sostenersi solo se i volumi trattati sono di una certa rilevanza e permettono di attivare un sistema economico autonomo.

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Sopra: centrale del latte di Torino

Foto: Federico Biscotti

Sotto: centro di riciclaggio Recy K ad Anderlecht, Bruxelles.

Fonte: www.ney.be

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POLICIES PER L’URBAN PRODUCTION Il tema dell’urban production, si pone con una certa rilevanza nel futuro della pianificazione urbana e della competizione economica fra aree metropolitane globali.

Ciò riguarda in particolar modo le città europee e nord-americane.

Esso guarda all’interno della città, alla sua economia, al bilanciarne e diversificarne i settori, a provare a dare una risposta ai problemi di disoccupazione e inclusione sociale, a migliorarne la fruizione garantendo una città mista, funzionale in tutte le fasi del giorno, tramite anche la rigenerazione urbana.

Ma guarda anche all’esterno, alla possibilità di attrarre nuovi investimenti, nuove aziende e tecnologie, nuove leve economiche per la riqualificazione urbana.

Molte amministrazioni cittadine hanno iniziato ad occuparsi del tema.

Per fare tutto questo, si sono dotate di piani strategici, hanno elaborato piani urbanistici e messo a punto e sperimentato policies urbane ad hoc per gestire ed attrarre la produzione in contesto urbano.

Negli Stati Uniti, dove lo strumento dello zoning è applicato estensivamente e con criteri molto rigidi, si lavora ad esempio sull’allargamento delle maglie normative e sulla ridefinizione della regolamentazione edilizia in modo da accogliere attività produttive all’interno di zone a destinazione funzionale mista ad Atlanta e San Josè [10] .

Per l’espansione del sito di Navy Yard a New York, approvata nel 2018, si è optato invece per un masterplan specifico in collaborazione fra l’ente possessore e gestore dell’area “Brooklyn Navy Yard Development Corporation”, che agirà da developer, i progettisti studio WYX e le amministrazioni del distretto di Brooklyn e della Città di New York.

Sezione tipologica delle “vertical factory” previste nel sito di Navy Yard Disegno dello studio WXY.

Masterplan del sito di Navy Yard. In blu scuro i nuovi interventi a destinazione produttiva.

Fonte: sito web Brooklyn Navy Yard Development Corporation

[10] Cotter Dan, “Putting Atlanta Back To Work: Integrating Light Industry into Mixed-Use Urban Development” , pubblicazione on-line, Georgia Tech Enterprise Innovation Institute, 2012

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In Europa l’esempio più rilevante di programmazione e pianificazione che riguarda le attività economiche è il piano 22@ di Barcellona per il quartiere di Poblenou, villaggio extramurale situato a nord-est del Barrio Gotico divenuto l’epicentro della rivoluzione industriale catalana alla fine del 1800, tanto da essere soprannominato la “Manchester catalana”.

Il piano 22@ è essenzialmente un piano di densificazione e completamento urbanistico della griglia ortogonale barcellonese e di compimento della riqualificazione urbana dell’area iniziata con gli investimenti per le Olimpiadi del 1982, che prevede lo sfruttamento delle potenzialità dell’area come hub per l’industria creativa e per le ICT. Tramite interventi di rigenerazione urbana pubblica di stimolo e strumenti urbanistici sperimentali esso ha provato a incentivare la concentrazione di nuove imprese, legando l’investimento immobiliare e il relativo premio di cubatura alla presenza di attività produttive e alla realizzazione di una quota di edilizia pubblica, servizi e nuove aree verdi.

Malgrado si sia arrestato in seguito alla crisi del 2008 il piano di sviluppo ha contribuito a cambiare il volto di un intero settore urbano e a dare un contributo significativo allo sviluppo economico cittadino.[11]

Meccanismo del premio di cubatura per le zone produttive del Piano 22@ e relative prescrizioni urbanistiche in termini di oneri e realizzazioni compensative.

Masterplan delle aree incluse nel piano di rigenerazione urbana.

Fonte: Agenzia Urbanismo 22@

Anche la regione metropolitana di Bruxelles nell’ultima revisione del PRAS (Plan Régional d’Affectation Sol) ha affrontato il tema dell’integrazione della funzione produttiva all’interno della congestionata area urbana, ipotizzando una commistione ancora più spinta con la residenza in una nuova categoria di zonizzazione. [12] Altre città Europee hanno sviluppato piani di supporto all’insediamento di aziende innovative e start-up in siti specifici mediante finanziamenti misti pubblici e privati.

[11] E. Viladecans-Marsal, Josep-Maria Arauzo-Carod “Can a knowledge-based cluster be created? The case of theBarcelona 22@ district”, Papers in Regional Science, 2012 [12] Plan Régional d’Affectation du Sol de la Region de Bruxelles-Capitale, 2013

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oggetto della ricerca

BRUXELLES E IL COMUNE DI MOLENBEEK-SAINT JEAN La città di Bruxelles è la capitale e città più grande del Regno del Belgio. Sorta nell’alto medio-evo, attorno al 550 d.C. a metà strada fra quelle che erano le due città più importanti dell’area, Gent e Colonia, deve a questa posizione l’accrescersi del suo ruolo fino al naturale divenire capitale del Belgio avvenuta la sua unificazione. Città di fondazione fiamminga ma intensamente popolata da popolazione francofona sin dal 1600 ha anche un ruolo di cerniera fra le due aree culturalilinguistiche che compongono lo Stato, quella fiamminga neerlandofona a nord e quella vallona francofona a sud.

Questa bipolarità è riflessa anche nella sua particolare collocazione amministrativa; sin dal 1971 essa è una città-regione autonoma, a maggioranza francofona seppur ufficialmente bilingue, circondata dalla provincia del Brabante che è invece a maggioranza fiamminga.

La complessa architettura istituzionale belga, dovuta al mantenere gli equilibri fra le diverse identità subnazionali fa sì che Bruxelles sia nella sostanza una città-stato, seppure la sua regione metropolitana si estenda attraverso le 3 regioni belghe.

Ciò pone un problema di gestione del suolo in una città in continua crescita demografica, grazie soprattutto al ruolo di capitale europea.

La disponibilità di terreno edificabile è sostanzialmente esaurita, perciò vi è una grande rilevanza di operazioni di riqualificazione edilizia pubblica e privata, che interessa sia la fragile edilizia tradizionale obsoleta, che le vaste dotazioni di patrimonio industriale che la città ha accumulato durante l’exploit industriale fra metà’ 800 e ‘900.

L’area presenta un’economia principalmente trainata dalla dimensione amministrativa, terziaria e di servizi ad essa collegata, che vede anche le sedi europee di rilevanti multinazionali, ma è anche, in tandem con la

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circostante regione delle Fiandre una delle aree a più alto valore aggiunto in produzione industriale d’Europa.

Su questo parte di industria performante, ad alto tasso di specializzazione e su una centralità logistica per il sistema belga e centro-europeo si basa la gran parte dell’industria della regione.

Bruxelles è anche sede di sedi universitarie prestigiose e scuole internazionali, data la presenza di funzionari di diversi organismi sovrastatali e rappresenta un polo di primaria importanza nella ricerca e nella formazione universitaria.

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MOLENBEEK-SAINT JEAN Il comune di Molenbeek-Saint Jean è uno dei 19 comuni indipendenti in cui è diviso amministrativamente il territorio della Regione di Bruxelles Capitale. Fa parte dei comuni occidentali, pur estendendosi su un territorio che lambisce sia il centro storico della città che i limiti amministrativi occidentali della divisione. Per questo presenta diverse situazioni urbane al suo interno, dal fauburg lungo il canale di Charleroi, a diretto contatto con il cosiddetto “pentagono” della città un tempo murata, nel quale sono concentrate la maggior parte delle testimonianze e degli edifici del passato industriale della capitale, passando per lo sviluppo edilizio residenziale diffuso della seconda fascia, oltre la cintura ferroviaria ovest, fino alla recente periferia sul confine con le Fiandre. Questa sua caratteristica di territorio “passante” si verifica anche per quanto riguarda il lato sociale. Il nucleo storico, meta di immigrazione prima dalle campagne fiamminghe durante la Prima Rivoluzione Industriale, e dalle ex-colonie francofone e dai paesi del Mediterraneo in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, è una zona di forte crisi socio-economica, caratterizzata da una forte predominanza etnica e religiosa delle popolazioni immigrate e forti contrasti sociali.

La parte esterna ha caratteristiche urbane e socio economiche del tutto simili ad altri quartieri periferici dell’agglomerazione abitati dalla classe media.

Nonostante questo l’area è una di quelle col più alto potenziale di crescita della città, essendo ottimamente collegata tramite tre linee di metro e altrettante di tram e da una stazione ferroviaria (la Gare de l’Ouest) la cui area sarà soggetta nei prossimi anni ad una serie di trasformazioni urbane volte a renderla un polo attrattivo metropolitano.

L’abbondanza di spazi dismessi (spesso industriali) occupabili ne ha fatto sin dagli

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anni ‘80 un polo di sperimentazione artistica e sociale, tramite cui diversi spazi urbani dismessi sono stati riattivati. Fra questi il centro culturale “Plan K” e la scuola di danza e teatro “Charleroi Danse” fra i primi, fino ad arrivare al MiMA e al recupero delle aree di Tour et Taxis negli anni più recenti. Nonostante questi episodi Molenbeek resta ancora in larga parte un quartiere popolare, come spesso avviene per i quartieri centrali di Bruxelles.

L’asse del canale , che include parte del territorio di Molenbeek, è altresì oggetto di un piano strategico di riqualificazione urbana, il Plan Canal, col quale la Regione Metropolitana punta a recuperare una porzione centralissima, seppur in stasi, della città.

Fra i mezzi individuati per la riattivazione, c’è il rilancio delle attività produttive.

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INDAGINE

storia - 800 e 900: Molenbeek, la piccola Manchester belga - Carte storiche e processo di espansione urbana - Dopoguerra: deindustrializzazione ed ereditĂ - Oggi: rifunzionalizzazione di edifici industriali

societĂ - Cartografia tematica - Focus su Molenbeek-Saint Jean

economia - Bruxelles produttiva oggi - Cluster produttivi e settori industriali - Il tessuto produttivo a Molenbeek, settori rilevanti ed esempi

paesaggio - Report fotografico

analisi urbana - Morfologia del costruito - Analisi compositiva degli isolati - Analisi compositiva dell’edificato

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storia

MOLENBEEK LA PICCOLA MANCHESTER BELGA Per Bruxelles il sobborgo di Molenbeek-Saint Jean è, fin dalla sua nascita nell’alto medioevo, un luogo di produzione a servizio della città. Produzione agricola in primo luogo, sulla quale la città fortificata pone il proprio controllo già a partire dal 1286 estendendo la cinta daziaria al di fuori delle mura, per inglobare porzioni di territorio necessarie al sostentamento dei suoi abitanti. L’estensione della “franchise” dei vescovi brussellesi, allora autorità cittadina, pone di fatto il villaggio, che ufficialmente resta entità indipendente, sotto il controllo economico e fiscale della città. Le ragioni dell’insediamento di un nucleo abitato esterno alle mura in questa posizione si devono essenzialmente a due fattori: la presenza del tracciato della strada verso Gand, principale asse di comunicazione della regione e l’esistenza di alcuni ruscelli adatti all’alimenta-

1692,”Vue de la ville de Bruxelles du chateau de Koekelberg”, Theodore Van Heil

zione di mulini, dai quali deriva il nome della località che letteralmente significa “ruscello del mulino” (molen: mulino, beek: ruscello).

Fino all’arrivo della rivoluzione industriale i tratti caratteristici del territorio di Molenbeek sono proprio quelli di un paesaggio rurale, intensivamente coltivato e ricco di zone umide che verranno progressivamente sottratte al loro stato naturale per coltivarne il suolo e supportare la produzione agricola a servizio della città. Questo progressivo allargarsi delle zone coltivabili, basato su piccole unità agricole dette courtils unito alla conformazione di “villaggio-strada” (cioè sviluppato in lunghezza lungo la strada per Gand) è alla base di una frammentazione fondiaria che continuerà ad influenzare a lungo lo sviluppo del nucleo abitato. [13]

Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique

[13] Paulo Charruadas “Molenbeek avant la révolution industrielle:un espace périurbain sous contrôle bruxellois”, in “Molenbeek une commune bruxelloise”, Le Cahiers de la Fonderie, 2015

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La storia e lo sviluppo stesso di Molenbeek sono strettamente legate alla sua trasformazione da villaggio rurale extramurale a sobborgo industriale. La crescita urbana ed economica, nel corso del diciannovesimo secolo portò il comune a sud-ovest di Bruxelles ad avere una concentrazione tale di attività industriali da essere definita “la piccola Manchester Belga”; un nome che rievoca il mito della Manchester capitale del tessile e cuore pulsante della prima rivoluzione industriale.

Momento chiave della storia di Molenbeek e della rivoluzione industriale belga è senz’altro l’indipendenza dal Regno delle Province Unite olandesi e la realizzazione di una serie di opere infrastrutturali ad essa collegate, prima fra tutte l’apertura del Canale di Charleroi, via d’acqua navigabile alle grandi chiatte alternativa al corso del fiume Senne.

Fin da prima dell’indipendenza e dell’abbattimento della cinta muraria trecentesca, già sotto il regime francese, Bruxelles e i suoi dintorni si profilano come principale distretto industriale dei dipartimenti belgi. In particolare la Valle della Senna, all’interno della seconda cinta muraria, grazie alla presenza del corso d’acqua dal quale arrivano i rifornimenti di carbone, rappresenta l’agglomerato principale della regione brussellese. In questo periodo, la stabilità politica permette un discreto sviluppo economico e i limiti di quest’area industriale iniziano a spingersi al di là del perimetro delle mura. I comuni che beneficiano di questa espansione, sono proprio quelli adiacenti al corso del fiume: Anderlecht e Molenbeek a sud-ovest, Laeken e Schaerbeek a nord.

A Molenbeek l’industrializzazione e il relativo sviluppo urbano inizia ad impiantarsi sovrapponendosi alla rete delle strade rurali preesistenti nel villaggio, soprattutto in prossimità delle porte di accesso al capoluogo.

Nel 1829, un anno prima dei moti che porteranno alla dichiarazione d’indipendenza delle province belghe, si contano circa una cinquantina di attività. L’industria a Molenbeek è parecchio diversificata[14], le attività sono piuttosto orientate alla soddisfazione di bisogni diretti della popolazione e fabbricazione di beni di prima necessità; sono presenti una fabbrica di colla, una saponeria, un’amideria, tre birrifici, quattro fabbriche di pelli, due fabbriche di ceramiche e carrozzieri.

Alcune piccole realtà testimoniano la presenza di una prima forma di industria metallurgica.

Come si diceva in precedenza, l’indipendenza del 1830 e l’elezione di Bruxelles a capitale del neonato Regno del Belgio forniscono allo sviluppo della regione una grande spinta.

L’economia della città si avvantaggia dallo stabilirsi di nuovi poteri e funzioni legate al ruolo di capitale; non solo centro di potere, ma anche centro geografico e principale città per popolazione dello Stato costituendo, Bruxelles sarà investita di ingenti sforzi economici e infrastrutturali per farne un moderno centro amministrativo. Agli effetti dell’indipendenza si aggiungono, due anni più tardi nel 1832, quelli dell’apertura del canale per Charleroi, iniziato nel 1927 sotto il regime Olandese. Progettato per collegare i quartieri portuali di Bruxelles al bacino carbonifero della Sambre e rendere più facili e rapidi gli approvvigionamenti di carbone richiesti dal crescente sviluppo economico, il canale avrà un grande impatto sulla crescita del neonato stato belga.

Per i comuni di Anderlecht e Molenbeek lo scavo del canale significa una prima risistemazione del sistema fluviale e delle sue rive, le banchine diventano una vera e propria spina dorsale dell’espansione urbana, attraendo lo sviluppo industriale

[14] La storia dello sviluppo industriale di Molenbeek è descritta nell’articolo “Molenbeek, une commune industrielle”, (C. Dupont) contenuto nella pubblicazione “Molenbeek, une commune bruxelloise”, numero speciale edito nel 2005 della serie Le Cahiers de La Fonderie , collana a carattere economico e storiografico a cura del Musée De La Fonderie di Bruxelles, che raccoglie articoli, saggi e testimonianze su svariati aspetti della Bruxelles del diciannovesimo e ventesimo secolo.

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e consolidando una volta per tutte la loro vocazione produttiva.

Provenendo da sud-ovest il canale si affianca al corso della Senna fino a lambire l’antico perimetro delle mura, separando su una sponda la Bruxelles propriamente detta e sull’altra Molenbeek. Appena superato il centro città, il nuovo canale viene collegato al preesistente Canale di Wilebroek, la cui sagoma viene ampliata per permettere a chiatte dal maggior tonnellaggio la navigazione ininterrotta dal sud fino al porto di Anversa.

La conseguenza di questo collegamento e della captazione delle acque della Senna da parte della nuova via d’acqua è la parziale chiusura e la caduta in disuso delle banchine storiche di Bruxelles, collocate nel “Quartier des Quais/Kaaienwijk”. Non solo il nome della zona (“quartiere delle banchine”) ma anche i toponimi sopravvissuti raccontano di una zona

organizzata per la ricezione delle merci per via fluviale: Quai aux Briques, Quai aux Bois de Construction, Quai à la Houille, Quai à la Chaux, Quai aux la Pierres de Taille, Quai au Foin, Quai du Commerce...

Nonostante la decadenza dell’antico Quartier des Quais, per la città nel suo complesso si tratta di un periodo di un vero e proprio boom economico e demografico senza precedenti che ne fa il primo polo del Paese per numero di addetti al settore industriale.

[15] L’apertura del canale permette l’arrivo di massicce quantità di carbone, favorendo la meccanizzazione delle attività tradizionali e lo sviluppo dell’industria metallurgica, fino ad allora poco rappresentata a Bruxelles, aiutato dalla presenza di una nascente e florida classe borghese e amministrativa, dall’ampia disponibilità di manodopera a basso costo e dal trovarsi al centro di efficienti reti di trasporto.

1880 c.ca. Vista del Canale di Charleroi verso Anderlecht, Quai Demets, all’altezza del futuro sito degli Abattoirs.

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[15] J. Puissant, Y. Van Praag, L. Nakhlé: “Le Canal au Coeur des transformations urbaines”, in “Canal? Vous-avez dit canal? État des lieux illustré du territoire du canal en Bruxelles, Agence du Développement du Térritoire, 2015

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Il censimento industriale del 1846 rende una prima idea della situazione dell’industria a Bruxelles e Molenbeek [16], comune scelto dalle autorità per testare le domande del censimento. Sebbene a Bruxelles (il cui territorio, oggi come allora, è molto più esteso di quello del sobborgo) il numero complessivo di imprese sia superiore, a Molenbeek si registra una forte crescita di nuove attività dedicate alla trasformazione del metallo, alla lavorazione meccanizzata del legno o all’assemblaggio di macchine che mostrano la comparsa delle prime forme di industria pesante, che andrà a localizzarsi, per motivi prettamente logistici e di disponibilità di terreni, nei lotti lungo il canale.

In particolare la fabbricazione di motori a vapore conosce uno sviluppo significativo, giocando un ruolo importante nell’urbanizzazione dell’area, per la dimensione degli stabilimenti e il numero di operai, pur declinando velocemente con gli inizi del ‘900 a causa dell’obsolescenza della propulsione a vapore nei confronti di quella a scoppio o ad alimentazione elettrica. Di molte di queste fabbriche, collocatesi nel quartiere Ransfort, non resta ad oggi traccia, a seguito delle trasformazioni urbane che l’area ha subito.

Altre, come “La Compagnie des Bronzes” opereranno per un secolo, fino alla loro dismissione e riconversione (in questo caso, le officine diventeranno il Museo de La Fonderie.

Sono però, malgrado tutto, le piccole e medie attività a proliferare e prosperare, incidendo 80000

1890 c.ca. Vista di una derivazione della Senna e di stabilimenti industriali.

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72.283 58.445

60000 40000 24.333

20000

12.065

1910

0 190

186 6

184 6

1

4.092

183

0

1.380

180

170

9

690

Evoluzione della popolazione durante lo sviluppo industriale nel comune di Molenbeek.

1890 c.ca. Mulino lungo il canale a Molenbeek Archivio online Cartes Postales Belfius

[16] C.Dupont, “Molenbeek, commune industrielle” in “Molenbeek, une commune Bruxelloise” Le Cahiers de La Fonderie, 2006

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sulla forma e la composizione del tessuto urbano, oltre che su quello sociale.

Come in molte altre città, nel corso del diciannovesimo secolo, il tessuto urbano storico brussellese è interessato da sventramenti, rettifiche viarie, abbattimento di mura e quartieri malsani, oltre che alla realizzazione di grandi e monumentali strutture pubbliche. Assieme ad altre grandi città europee (Parigi, ma anche Vienna e Firenze) per Bruxelles la costruzione di un grande boulevard periferico attorno al nucleo storico rappresenta una tappa verso l’espansione esterna e la costruzione di nuovi e vivibili quartieri borghesi; iniziati nel 1810 per volere di Napoleone stesso, e ripresi sotto il regime olandese, i lavori del grande boulevard anulare terminano nel 1819, rimpiazzando la cinta difensiva con un viale alberato giudicato ai tempi fin troppo ampio per le proporzioni della città. [17] Fra i lavori urbanistici più importanti, la bonifica e rettifica del corso della Senna, con l’obiettivo di riqualificare le zone malsane cresciute attorno alle sue derivazioni nel centro città.

Sin dalla nascita del primo nucleo urbano, nell’undicesimo secolo, il fiume ha giocato un

ruolo fondamentale nella conformazione della città. Non solo fonte di energia per i mulini e per le attività e peschiera per rifornire i mercati della città ma anche struttura e infrastruttura dello spazio urbano: struttura in quanto parte della rete viaria di Bruxelles ricalca ancora oggi il percorso tracciato dalle diramazioni della Senna, infrastruttura in quanto oltre ad essere via di comunicazione, i rami e le derivazioni fungono da naturale rete fognaria per le acque di scolo delle botteghe e delle abitazioni.

Verso la fine del secolo il fiume avrà ormai perso la maggior parte delle sue funzioni, con la chiusura delle banchine dell’omonimo quartiere, ridotto a mezzo di evacuazione degli scarichi di abitazioni e delle sempre più numerose attività industriali. I quartieri fluviali sono considerati dalle autorità come una minaccia per la salute pubblica, vettori di malattie perché sovrappopolati e composti di abitazioni degradate. Una “fogna a cielo aperto” che in base ai principi di salubrità e igiene che iniziano a diffondersi in Europa, soprattutto a partire dall’Illuminismo francese, non poteva continuare ad esistere nel cuore

1870 c.ca. I lavori di razionalizzazione del corso del fiume Senna, all’altezza della Porte de Ninove.

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[17] Georges-Henri Dumont, “Histoire de Bruxelles, Biographie d’une capitale”, Le Cri, 2005, Bruxelles, pag.287

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della capitale belga.

Il susseguirsi di una serie di esondazioni e un’epidemia di colera particolarmente virulenta convince il consiglio comunale, sotto la guida del borgomastro Jules Anspach, a iniziare nel 1867 una serie di grandi lavori per il tombamento del fiume e la sua deviazione al di sotto dei nuovi grandi viali di circonvallazione del “pentagono”, su modello hausmanniano.

Il tombamento della Senna farà del Canale di Charleroi l’unica via d’acqua visibile e vivibile della città; le sue rive si riempiono di imprese e attività produttive, spazi per la logistica e luoghi di abitazione e convivialità a servizio della classe operaia e della nuova borghesia industriale.

I lavori terminano nel 1871 e alle loro spalle lasciano un centro radicalmente trasformato: grandi porzioni dei quartieri antichi sono stati sventrati, nel sostituire i rami malsani del fiume con arterie ariose e rettificate.

Al posto dell’antico corso fluviale viene creato un nuovo grande asse di comunicazione fra le stazioni du Midi e du Nord costruite rispettivamente nel 1840 e nel 1841, affiancato da una fascia di nuova edificazione larga circa 50 metri. Il completamento delle due grandi stazioni di testa a nord e a sud del pentagono della capitale rappresenta il passo successivo all’apertura, nel 1835, della prima linea ferroviaria del continente fra la capitale e Malines (Mechelen) nelle Fiandre, sotto la spinta innovativa del nuovo monarca Leopoldo I. Con la realizzazione nel 1870 del collegamento su ferro fra le due stazioni a ovest di Molenbeek si viene a creare un primo limite all’espansione del comune, a est della bretella ferroviaria il nucleo storico e industriale, ad ovest l’espansione prevalentemente residenziale nel corso del 900. Questo tratto

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di ferrovia non costituisce solo un limite fisico, ma anche, grazie alla messa in servizio della Gare de l’Ouest nel 1972, un polo di attrazione per la crescita urbana e un’infrastruttura di collegamento che faciliterà l’afflusso di operai alle fabbriche circostanti.

L’apertura del canale e quella della ferrovia, entrambe con la loro direzionalità nord-sud, sostituiscono il tradizionale asse est-ovest verso le città di Colonia e Gand lungo il quale Bruxelles era nata. Sarà questo, oltre alla demolizione dei quartieri artigiani lungo la Senna a decretare lo spostamento delle funzioni produttive verso i sobborghi lungo il corso del canale.

Anche se solo parzialmente interessata dai lavori (il ramo della Senna che la attraversa resterà aperto per un altro secolo, fino alla definitiva razionalizzazione del corso fra le due guerre mondiali), Molenbeek è intensamente interessata e modificata dalle loro conseguenze. La facilità di accesso alle materie prime grazie alla nuova via d’acqua e alla vicinanza con la gare du Midi oltre che il basso costo dei terreni decretano l’inizio a metà ottocento di ottant’anni di tumultuosa espansione industriale.

1890 c.ca. Fabbrica Van Den Berghs sul Quai de Mariemonts.

1890 c.ca. Vista della Gare du Midi

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Già in questi anni inizia una specializzazione dei settori lungo il canale in diverse tipologie di imprese e filiere produttive che esiste ancora oggi. A determinare questa differenziazione sono l’impianto di alcune grandi infrastrutture legate alla produzione e al trasporto delle merci.

Significativa è ad esempio l’apertura degli Abattoirs di Anderlecht (realizzati al confine col comune di Molenbeek) che terminati nel 1890, imprimeranno sul tessuto produttivo di questa porzione di città un carattere fortemente legato alla trasformazione dei derivati animali; prodotti alimentari, con macellerie, salumifici e industrie della conservazione ma anche conciatura di pelli e lavorazione del cuoio, produzione di grasso e di colle ricavate dagli zoccoli e dalle corna. Nati per la necessità di collocare e razionalizzare le attività di macellazione degli animali (che fino ad allora avvenivano in pieno centro, nella rue des Bouchers a due passi dalla Grand-Place) in una zona più adeguata, rappresentano dal punto di vista architettonico e ingegneristico un monumento dell’architettura industriale di fine ‘800, con le loro grandi arcate in ferro e innovativi sistemi di refrigerazione

1920 c.ca. Ingresso degli Abattoirs

[18] M.Vandemeulebroek, “L’abattoir d’Anderlecht”, La Cambre, 1984

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che sfruttavano il vapore proveniente dalle caldaie per attivare meccanismi di compressione dell’aria di raffreddamento. La loro realizzazione costituisce un vero e proprio caso di “fabbricazione” della città da parte di una struttura produttiva. Il sito su cui sorgono era precedentemente paludoso, a causa della presenza dei rami della Senna, che vengono deviati per prosciugare l’area.

Due grandi assi viari vengono prolungati per connettere la struttura al quartiere circostante, all’epoca ancora poco urbanizzato e viene creato un collegamento ferroviario con la Gare de l’Ouest. In poco tempo il sistema economico creatosi attorno al Macello dà vita a una porzione di città estremamente varia, attirando sia lavoratori di fascia bassa che i veterinari che si occupavano del bestiame, oltre agli artigiani delle attività ad esso collegate.[18] Un altro censimento industriale effettuato nel 1896 mostra un nuovo spaccato dello sviluppo economico nei comuni brussellesi.

A Molenbeek sono registrate 2218 attività che impiegano 10.960 operai, di cui 9624 dipendenti. La gran parte delle imprese

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è costituita da piccole unità, ad esempio botteghe artigiane domestiche dedite al confezionamento di capi d’abbigliamento e accessori. Il censimento conferma, per quanto riguarda i settori produttivi la specializzazione nei settori dell’artigianato e delle trasformazioni delle materie prime legate alla presenza degli Abattoirs: sono segnalati falegnamerie, lavorazione del cuoio e delle pelli, lavorazione di metalli, imprese di costruzione e anche industrie chimiche.

Segno di una crescente affermazione di una borghesia industriale, con nuovi bisogni da soddisfare e relativi prodotti da realizzare, è il censimento di imprese artigianali di prodotti di fascia medio-alta: tabacco, tessuti, cartiere e presse da stampa, nonché prodotti artistici.

In totale, Molenbeek detiene a questa data il 25% delle fonderie, fabbriche di ghisa e di viteria nell’intera provincia del Brabante e l’8% della potenza vapore installata. Il suo carattere industriale è ormai nettamente affermato.

A nord, invece, a seguito della costruzione dello scalo di Tour et Taxis (1907) si installeranno tutta una serie di imprese collegate alla logistica e all’importazione di

1915 c.ca. Vista del complesso di Tour et Taxis dal Canale di Charleroi

merci provenienti dalle colonie. Lo scalo è uno dei primi esempi di struttura intermodale: al tempo stesso dogana e area di stoccaggio, riceve via canale il traffico marittimo dai porti del nord Europa e dalle colonie e lo trasferisce al traffico terrestre, sia stradale che ferroviario.

Le materie prime quindi transitano attraverso il complesso e sono tassate e sdoganate.

Da questo deriva la presenza nell’area circostante e a Molenbeek di industrie di trasformazione del tabacco, di importatori di vini e liquori, di caffè, spezie e altri prodotti coloniali. Il complesso di Tour Et Taxis diviene uno snodo importante a livello nazionale, tanto da richiedere più avanti, negli anni 20 del ventesimo secolo, un enorme lavoro di adeguamento dei bacini fluviali a nord della capitale, ovvero la realizzazione del Port de Mer. Nato per sopperire alla saturazione della linea ferroviaria verso il porto di Anversa, verrà aperto nel 1922 a seguito di 20 anni di lavori che interesseranno una vasta area all’imbocco dell’agglomerato urbano e oltre che come snodo per il traffico merci, sin da subito la presenza di una centrale a gas e di fabbriche chimiche lo demarca come polo di industria pesante della regione di Bruxelles.

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Ciò che è interessante notare della crescita urbana di Molenbeek, come si evince dalle foto d’epoca e dal panorama ancora in gran parte immutato al giorno d’oggi, è la commistione di questa importante componente industriale e produttiva e di un tipo di urbanizzazione più tipicamente residenziale.

Infatti, la gran parte delle imprese si impianta direttamente su fronte strada, utilizzando la parte interna del lotto per installare i macchinari di produzione. Esse determinano dunque l’organizzazione e l’utilizzo dello spazio adattando alla funzione produttiva l’organizzazione spaziale dei lotti urbani. Si può osservare come essa si sviluppi secondo un sistema di visibilità e facilità di accesso all’unità edificata: quindi su fronte strada, lungo i principali assi di comunicazione, iniziano a sorgere fabbriche, botteghe e negozi al dettaglio che si rivolgono alla clientela operaia (caffè, panetterie, alimentari) la quale trova spazio per le proprie residenze lungo gli assi secondari, nei numerosi vicoli dove già iniziano a proporsi condizioni di affollamento e insalubrità legate al massiccio afflusso di proletari in cerca di lavoro nelle fabbriche.

Molenbeek all’inizio della sua parabola di espansione industriale è un quartiere di fabbriche e operai poco specializzati, che seguendo una dinamica comune a tutte le città industriali d’Europa, si stabiliscono nelle vicinanze dei luoghi di lavoro. Partendo dal centro storico del comune, lungo l’asse della Chaussée de Gand, dove tradizionalmente esistevano botteghe artigiane e piccole attività commerciali, la direzione dello sviluppo urbano si sposta sempre più a ovest, alla ricerca di lotti più spaziosi e terreni meno costosi, fino a lambire, come detto, la linea ferroviaria di collegamento fra le due stazioni di testa. L’industria, può dunque essere considerata come un motore dell’urbanizzazione.

L’apertura di nuovi assi e piazze pubbliche nel

comune incoraggia la diversificazione sociale e tipologica; sono ormai posti i presupposti per quella mixité funzionale e architettonica che ne caratterizza il tessuto urbano ancora attualmente. Oltre alle fabbriche e alle abitazioni modeste degli operai sorgono case-laboratorio di artigiani specializzati, “maisons de maître” più prestigiose per la borghesia, spesso proprietari di piccole imprese artigianali o delle stesse fabbriche.

Ad ulteriore prova dell’importanza del settore produttivo nella storia del comune di Molenbeek, e della consapevolezza di ciò da parte della società civile, è la toponomastica.

Rue de Birmingham, Rue de Liverpool e, ovviamente Rue de Manchester rimandano ai luoghi di nascita della gloriosa rivoluzione industriale, altri toponimi, come già era stato per l’antico Quartiere delle Banchine, indicano attività e funzioni sorte attorno ad essi (rue des Houilleurs, rue des Ateliers, rue de la Savonnerie, quai de l’Industrie, quai des Charbonnages). Non è ben chiaro quando appaia esattamente per la prima volta il nomignolo “piccola Manchester”, ma è molto probabile che il nome sia dovuto alla presenza a partire dagli anni ‘40 dell’ottocento di due grandi stabilimenti che occupavano centinaia di operai.Una era la ditta “Pauwels”, che produceva materiale ferroviario ed era la più grande impresa della regione. L’altra era la società “Cail et Halot”, che si occupava della produzione di motori a vapore e impianti per zuccherifici e il cui stabilimento era così esteso da far denominare la strada creata a seguito della sua chiusura “rue de l’Elephant”. [19] Ironicamente, queste due grandi imprese ebbero una vita relativamente breve. La Pauwels chiuse già nel 1867 e la Cail et Halot nel 1900, [20] lasciando, soprattutto quest’ultima, un evidente segno della loro presenza con un’interruzione della continuità del costruito, riscontrabile attorno alla già citata “rue de l’Elephant”.

[19] Roel Jacobs, “Une histoire de Bruxelles”, Racine, 2004, pag 273 [20] C.Dupont, “Molenbeek, Commune industriel” in “Molenbeek, une commune Bruxelloise” Le Cahiers de La Fonderie, 2006

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1920 c.ca. Fabbriche in Rue de l’Indipendance, Molenbeek

1920 c.ca. Fabbriche ed edifici residenziali in Rue de Birmingham, Molenbeek.

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Sono invece soprattutto le piccole e medie imprese che contribuiscono a costituire Molenbeek sia dal punto di vista fisico e urbano, che da quello socio-economico.

L’intero “asse operaio” del canale darà un contributo fondamentale alla stagione Art Nouveau, che proprio negli anni a cavallo fra ottocento e novecento avrà in Bruxelles la sua capitale. Simbolo della ricchezza e potenza della classe borghese, l’Art Nouveau brussellese vede i suoi principali lavori sorgere principalmente nelle aree del centro e negli eleganti comuni orientali, come l’Hotel Tassel (1893), la Maison Horta (1898), l’Hotel Solvay (1898) e la Maison du Peuple (1899) di Victor Horta, la Maison Hankar (1893) e l’Hotel Ciamberlani (1897) di Paul Hankar.

Eppure, gli atelier e le officine che forgiavano il ferro e il legno per le raffinate residenze, si trovavano dall’altra parte della città, così come le abitazioni degli operai che aderivano al Partito Socialista dei lavoratori Belga, che della Maison du Peuple era stato il committente, in un momento di unità d’intenti trasversale fra diverse parti della società. In quanto cuore di questo asse industriale, Molenbeek con le sue fabbriche svolge un ruolo chiave in questa stagione in cui la tecnica entra prepotentemente nel quotidiano.

A testimonianza del momento di crescita e dell’importanza che la società civile attribuiva ai progressi della scienza e dell’industria, fra il 1897 e il 1913 il Belgio ospita ben quattro Expo, di cui due (1897 con tema “La Vita Moderna” e 1910 “Arte, scienze, industria e agricoltura”) hanno luogo a Bruxelles. Le altre due vengono organizzate a Liegi (1905, per il 75° anniversario dell’Indipendenza del Belgio) e a Gent (1913 “Pace, Industria e Arte”), seguite da una ,meno rilevante, sempre a Bruxelles nel 1935 che lascerà però in eredità il Grand

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Palais delle Esposizioni all’Heysel, riutilizzato anche per l’Expo moderna del 1958.

Benchè i siti delle esposizioni non rientrino nei confini del comune di Molenbeek, essendo collocati in porzioni del comune di Bruxelles a est (1897, Parco del Cinquantenario) e a sud-est (1910, Bois de La Cambre) alcune pubblicità e cartoline dell’epoca mostrano numerosi espositori cittadini provenire dalla zona del canale.

1910 Cartografia pubblicitaria realizzata in occasione dell’Esposizione Universale. La mappa mostra, oltre all’azienda produttrice evidenziata, i principali stabilimenti industriali della città , a scopo celebrativo .

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Oltre gli anni 30, lo sviluppo industriale cessa di essere il motore dell’urbanizzazione. Sarà invece la costruzione di edifici residenziali, in particolar modo ad ovest della ferrovia a dar vita a nuove porzioni di città. Se ne riconosce a tutt’oggi la maglia stradale più rarefatta e il costruito meno denso rispetto alla controparte orientale. La crisi economica e di conseguenza urbana degli anni ‘70 investe violentemente Bruxelles e questa parte di città, provocando l’abbandono di numerosi edifici e la chiusura di stabilimenti.

E’ così che questo settore viene segnato per 40 anni dalla presenza di isolati abbandonati, lotti svuotati ed edifici fatiscenti, molti dei quali di proporzioni monumentali e veri e propri landmark, come la Meunerie Bruxelloise lungo il canale, ad Anderlecht o il birrificio Vandenheuvel, antistante la Gare de l’Ouest, altri di dimensioni più modeste, incastrati fra le maisons mitoyennes o nascosti nel retro di un isolato.

Difatti, il boom demografico ed edilizio che investe i 19 comuni della conurbazione nel secondo dopoguerra, sfiora appena il centro di Molenbeek e il cuore del suo quartiere industriale, laddove in altre porzioni di città come il quadrante della Gare du Nord, la zona orientale del pentagono, l’Avenue Louise e il quartiere europeo si assiste ad una sostituzione edilizia e ad una pressione speculativa senza pari, tale da passare alla storia col nome di “brussellizzazione”.

La risistemazione dell’area della nuova Gare Centrale (concepita inizialmente da Horta nel 1930 e conclusa nel 1859) e dell’asse di copertura della galleria ferroviaria che finalmente mette in collegamento le stazioni di testa du Midi e du Nord rappresenta l’opera urbanistica più importante del primo novecento. I primi scavi risalgono al 1911, benché progetti e ipotesi erano stati avanzati già a partire dal 1895,

vengono interrotti in corrispondenza delle due guerre mondiali e più volte stentano a ripartire, fino al completamento degli anni ‘50.

Il baricentro delle trasformazioni urbane in seguito allo sviluppo di quest’area centrale si sposta sempre più a est, con lo stabilirsi degli organi governativi europei e la costruzione del quartiere europeo, il cui edificio principale, il Palais du Berlaymont viene edificato fra il 1958 e il 1963. Ancora più avanti, negli anni ‘70 sarà l’area a Nord, nel comune di Schaerbeek, ad essere interessata dal grande progetto Plan Manhattan Bruxelles, volto a edificare una vasta area direzionale secondo i dettami dell’International Style.

Ciò che interessa ancora Molenbeek, a cavallo della II Guerra Mondiale è un nuovo svuotamento del corso della Senna, iniziato nel 1931 e terminato a più riprese fino al 1955, che porterà alla chiusura definitiva del ramo detto “Sennette” che correva quasi parallelo al Canale di Charleroi, all’interno di alcuni isolati del centro di Molenbeek e, soprattutto, alla sistemazione attuale dell’area della Porte de Ninove e della Chiusa del Midi, tramite l’eliminazione dell’ansa che collegava il ramo meridionale a quello centrale del canale.

Con questi ulteriori lavori il corso del fiume raggiungerà la sistemazione attuale, con l’eliminazione pressoché totale di rami secondari e derivazioni e il tombamento completo del tratto di corso urbano, a partire da appena a sud della Gare du Midi fino alla riemersione a nord dell’agglomerato urbano, nel comune di Schaerbeek.

CARTE STORICHE E PROCESSO DI ESPANSIONE URBANA In questa sezione il processo di espansione urbana e i momenti chiave dell’urbanistica brussellese sono stati raccolti e schematizzati tramite rielaborazione di alcune carte storiche e foto aeree. Il percorso accompagna la narrazione storica sin qui fatta, iniziando agli albori dell’indipendenza Belga fino alla fase di deindustrializzazione post bellica.

Dalle carte storiche sono state estratte la localizzazione dei principali interventi urbanistici ed infrastrutturali raccontati fin’ora e sono stati messi in evidenza alcuni elementi: primo fra tutti il villaggio di Molenbeek-Saint Jean rispetto al resto del tessuto urbano, del quale si può apprezzare l’irruenta espansione nel corso di cinquant’anni.

Altro elemento di primaria importanza è il variare dell’assetto idrologico della capitale, con lo scavo del Canale di Charleroi e la progressiva razionalizzazione dei rami della Senna.

Infine, gli altri episodi rilevanti per ogni epoca (l’apertura degli Abattoir, di Tour et Taxis, delle stazioni principali o del parlamento europeo) sono localizzati sulle elaborazioni insieme al progressivo espandersi dell’area urbana e all’infittirsi della maglia infrastrutturale della capitale.

L’obiettivo è quello di spazializzare il racconto storico e permetterne una lettura dei processi descritti, in modo da apprezzare la centralità in termini geografici oltre che storici che questo territorio ha rivestito all’interno dello sviluppo industriale.

Tramite questi processi, Molenbeek ha progressivamente sviluppato quelle caratteristiche che ora sono oggetto di studio.

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1825

Breugnot Monborne, “Carte de Bruxelles et ses Environs”.

1827

Inizio lavori del Canale di Charleroi

1830

Indipendenza del Belgio

1832

Apertura del Canale di Charleroi

1835

Apertura ferrovia per Malines

1840

Apertura Gare du Midi

1841

Termine Lavori Gare du Nord

1846

Primo censimento industriale

1850

Colmatura Bacino di Sainte Catherine

1854

Apertura Gare de Luxembourg

1858

Bibliothèque Nationale de France

Philippe Vandermaelen, “Carte Topographique de Bruxelles”.

BibliothèqueNationaledeFrance

Molenbeek

costruito

idrografia

strade

ferrovie

nuove opere colmatura bacino Sainte Catherine

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1865

Inizio lavori Asse Centrale

1867

Inizio lavori sulla Senna

1870 1871 1872

Apertura Ferrovia a Ovest Termine lavori sulla Senna Termine lavori Asse Centrale

Apertura Gare de l’Ouest

InstitutCartographiqueMilitaire,“CartedeBruxellesetsesEnvirons”.

1890

Apertura Abattoirs di Anderlecht

1896

Secondo censimento industriale

1901

Inizi lavori Port de Mer

1907

Apertura Tour & Taxis

1910

Bibliothèque Nationale de France

2.218 imprese 10.960 operai

Expo di Bruxelles “CartaStradalediBruxelles”.

Bibliothèque Nationale de France

Molenbeek

costruito

idrografia

strade

ferrovie

nuove opere arretramento vecchia stazione Midi rami della Senna colmati nuovo asse centrale stazioni esistenti

nuove opere bacino Port de Mer stazioni esistenti

65

1920

Chiusura completa delle banchine

1922

Apertura Port de Mer

1927

Inizio lavori Chiusa del Midi

1930 1931

Inizio lavori connessione Midi-Nord

1935

Fine lavori Chiusa del Midi

1944

InstitutCartographiqueMilitaire,“CartedeBruxellesetsesEnvirons”.

Bibliothèque Nationale de France

Chiusura della Sennette

Orthophotode Bruxelles1944

Bruxelles GIS

Molenbeek

costruito

idrografia

strade

ferrovie

colmatura banchine scali esistenti

chiusa del Midi colmatura della Sennette lavori connessione Nord-Midi scali esistenti

67

1949 1952

Nuova Gare du Midi Nuova Gare du Nord Fine lavori connessione Midi-Nord

1953

1958

Apertura Gare Centrale

1963

Apertura Palais Du Berlaymont

1971

Orthophotode Bruxelles1953

Bruxelles GIS

OrthophotodeBruxelles1971

BruxellesGIS

Molenbeek

costruito

idrografia

strade

ferrovie

nuove stazioni du Midi e du Nord chiusura canale percorso connessione Nord-Midi scali esistenti

nuove opere

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IL DOPOGUERRA DEINDUSTRIALIZZAZIONE ED EREDITÀ In termini di occupati, l’industria brussellese raggiunge il suo picco fra la seconda guerra mondiale e la fine degli anni ‘60.

Nel 1970 quasi 160.000 operai lavoravano nelle industrie della sola regione di BruxellesCapitale, che raggiungevano i 219.000 includendo i territori lungo il canale compresi fra Hal a sud e Vilvorde a nord, facenti parte di un vero e proprio sistema industriale che faceva delle capitale e dei suoi dintorni la prima regione industriale del Belgio. Ben più che altre città belghe solitamente conosciute per la loro vocazione industriale come Anversa (che rappresentava il secondo polo produttivo nazionale con 154.000 operai) oppure Liegi (102.000). [21] I caratteri di questo tessuto produttivo erano quelli di un’industria residente in un contesto urbano: diversificata e indirizzata al mercato di prossimità, oltre che, come già detto, caratterizzata da una percentuale superiore alla media di piccole e medie imprese.

In questo tipo di contesto le industrie più presenti erano quelle agro-alimentari, meccaniche e di precisione, tessili, di stampa ed editoria. Il peso particolare dell’industria automobilistica è dovuto alla presenza di grandi stabilimenti di due forti attori del settore, Citroën e Volkswagen.

Assieme alla diversificazione e specializzazione, Bruxelles condivide con le altre grandi aree urbane il fenomeno della delocalizzazione verso le aree periferiche degli stabilimenti industriali, ma è a partire dagli anni ‘70, con la crisi petrolifera e i primi effetti sui paesi occidentali della globalizzazione dell’economia, l’industria a Bruxelles inizierà un ridimensionamento senza precedenti.

Difatti se la deindustrializzazione dell’intero distretto è comunque evidente, è proprio nella regione metropolitana che si manifesta in modo più pronunciato. Qui, solo fra il 1970

e il 1974 vengono persi 20.000 posti di lavoro.

Diversi fattori concorrono a questo fenomeno: oltre a una congiuntura economica negativa a livello globale e all’effetto della concorrenza sul mercato di nuove economie emergenti si manifesta una spiccata tendenza alla terziarizzazione sia per la naturale evoluzione dell’economia in un paese sviluppato che per l’ingombrante presenza di organi governativi sovranazionali.

Difatti, con lo stabilirsi degli enti europei e della sede della NATO la percentuale di impiegati in amministrazioni pubbliche di vario tipo crebbe a dismisura nel giro di pochi anni, senza dimenticare che Bruxelles è la capitale di uno stato con un apparato governativo molto articolato, dovuto alla presenza delle due comunità linguistiche fiamminga e vallona.

A questo, si aggiunse una pianificazione cittadina che sia per necessità, che per obiettivi preposti, diede largo spazio alla creazione di aree direzionali (come ad esempio il già citato Plan Manhattan Bruxelles) e alla riconversione ad uffici del patrimonio edilizio esistente soprattutto nelle zone centrali.

Gli effetti di questo fenomeno furono evidenti in brevissimo tempo, Bruxelles divenne una città terziaria e amministrativa fra le maggiori in Europa in termini di importanza del settore, ad un passo da città che rivestono un importante ruolo di piazza finanziaria come Londra e Parigi e raggiungendo tassi di partecipazione all’economia da parte di attività produttive di poco superiori a realtà da sempre poco industrializzate come le grandi città dell’Europa mediterranea. [22]

[21] Christian Vandermotten, “L’industrie Bruxelloise” in “Bruxelles industrielle? Aujourd’hui et demain”, Le Cahiers de la Fonderie, 2010 [22] ibidem

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Sul piano sociale, questo cambiamento non tarderà a provocare tensioni. In un primo momento, le generali condizioni di crescita economica che accompagnarono il dopoguerra mascherarono l’emorragia di posti di lavoro. Come già detto, la città stessa era anche politicamente orientata verso l’espansione del settore terziario e la dinamicità del mercato del lavoro unita ad un tasso di disoccupazione prossimo alla piena occupazione supplirono alla delocalizzazione sempre più spinta delle industrie brussellesi.

Al contrario, il ventennio fra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 resta segnato da numerosi scioperi e lotte sindacali contro le ripetute chiusure e ridimensionamenti degli stabilimenti della capitale, che perde progressivamente il suo patrimonio operaio. Talvolta la perdita fu a favore delle regioni circostanti, che offrivano condizioni logistiche più semplici e terreni più economici dove trasferire e ammodernare la produzione.

Molto più spesso, il trasferimento fu verso l’estero e verso regimi economici e legislazioni più favorevoli, quando non si tradusse in una semplice e definitiva chiusura di attività.

La prima fra le grandi aziende a smobilitare è la Citroën nel 1970, che lascerà vuoti due stabilimenti, quello in pieno centro, sulle rive del canale, che resterà tale fino alla decisione di trasformarlo nel 2018 in un contenitore culturale mediante un concorso di progettazione internazionale e quello a Sud, nel comune di Forest. Altre grosse aziende seguiranno: Michelin nel 1986; Côte d’Or, storico marchio di cioccolato sposterà la produzione nella città fiamminga di Halle nel 1988 provocando un duro sciopero da parte dei lavoratori; Philips smantella quasi completamente l’impianto di Forest nel 1991; Philip Morris ridimensiona gli stabilimenti di Ixelles nel 1993.

Ultimo in ordine di tempo, ma significativo in termini quantitativi è il taglio di 4.000 posti all’interno dello stabilimento Volkswagen di Forest nel 2006, che in seguito a una profonda ristrutturazione aziendale passerà ad Audi.

Così il più grande datore di lavoro privato insediato a Bruxelles passa dall’occupare 7.700 operai nel 1991 ai 2.200 odierni. [23] La sparizione dell’industria a Bruxelles ha un grande impatto sociale soprattutto perché sottrae occupazione ad una fascia di popolazione già di per sè debole, poiché spesso corrispondente a quella dei cittadini immigrati da Paesi extraeuropei, soprattutto di lingua francese come Marocco, Algeria e Senegal, con bassa scolarizzazione e risiedenti nei quartieri “a rischio” del centro città e nei comuni di Molenbeek-Saint Jean e Schaerbeek.

L’industria urbana residua impiega tipicamente un basso numero di operai e, soprattutto, un basso numero di operai a bassa specializzazione, essendo un tipo di attività che ricerca principalmente figure professionali altamente specializzate.[24] Ne risulta una segregazione sociale e spaziale all’interno della regione di Bruxelles, con la popolazione immigrata che ha sostituito la classe operaia nei suoi luoghi storici di residenza.

Questa parte di popolazione, genericamente con un livello di istruzione più basso e all’interno della quale anche le seconde e terze generazioni tendono a raggiungere livelli di formazione inferiori a quelli dei coetanei di origini locali, trova più spesso impiego in settori come quello delle costruzioni, della manutenzione, del trasporto e della bassa manovalanza per logistica, movimentazione merci e stoccaggio.

[23] Jean Vandewattyne, “Conflictualité sociale en milieu industriel à Bruxelles” in “Bruxelles industrielle? Aujourd’hui et demain”, Le Cahiers de la Fonderie, 2010 [24] Christian Vandermotten, “L’industrie Bruxelloise” in “Bruxelles industrielle? Aujourd’hui et demain”, Le Cahiers de la Fonderie, 2010

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EVOLUZIONE DEGLI OCCUPATI PER SETTORE INDUSTRIALE NELLA REGIONE DI BRUXELLES - CAPITALE Nel grafico sono riportati gli occupati per settore presenza di grandi stabilimenti come quello Audi produttivo nella regione di Bruxelles - Capitale, di Forest. Alcuni settori più legati al mercato rilevati dai censimenti a partire dal 1848, il primo e all’economia locale hanno subito perdite in proporzione minori, come il comparto alimentare, dopo la nascita del Belgio.

Si può osservare il netto ridimensionamento di che include due industrie estremamente legate al alcuni settori a basso tasso tecnologico e basso territorio come quella del cioccolato e della birra. valore aggiunto che hanno subito la concorrenza Fanno eccezione nella tendenza recente la filiera della stampa e dell’editoria e quella dei servizi del mercato globale, uno su tutti il settore tessile, che risulta sostanzialmente scomparso. I di rete, legati appunto a un tipo di economia numeri dell’industria pesante, seppur fortemente incentrata sul terziario e sui servizi, che vedono un leggero aumento negli ultimi anni. ridimensionati, restano importanti grazie alla

180000 160000 140000

120000 100000 80000 Reti, elettricità, gas Legno e altro (+ riparazioni nel 2013)

60000

Mezzi di trasporto Informatica, elettronica, ottica Metallurgia, prodotti metallici e macchinari

40000

Gomma e plastiche Farmaceutica Raffinazione e chimica Stampa ed editoria (+audio-video nel 2013)

20000

Carta e cartone Tessile e cuoio Industria alimentare, tabacco

13 20

07

5 199

20

2 198

1 196

1 97 4

7 194

0

7 193

1 97

0 193

6 189

0

0 188

191

6 184

0

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Il processo di deindustrializzazione nel comune di Molenbeek segue pressoché le stesse dinamiche del resto dell’area metropolitana, pur con alcune specificità.

Come già detto, il tessuto produttivo era ed è tutt’oggi caratterizzato da una moltitudine di piccole imprese, punteggiate da grossi stabilimenti di industria pesante.

Entrambe le categorie, dopo il periodo di massima espansione degli anni ‘60 del novecento entrano in crisi.

Le piccole attività familiari non reggono l’impatto della concorrenza sul mercato dei bassi costi nei paesi in via di sviluppo; è soprattutto il caso del settore tessile e dell’abbigliamento.

Soprattutto a Molenbeek, la produzione e il confezionamento di abiti fino al primo novecento era fortemente parcellizzata in un gran numero di laboratori familiari, sparsi principalmente attorno alla Rue Ransfort [25] ma ben presenti in tutto il settore ad est della ferrovia. Questi laboratori facevano capo ad alcune realtà più grandi che affidavano loro a cottimo il lavoro richiesto.

Evidentemente queste aziende di piccole dimensioni non potevano reggere il passo dei progressi nei processi produttivi e la crescente specializzazione richiesta, nè in termini di risorse umane, nè in termini di capitali da investire, laddove il lavoro veniva ancora principalmente compiuto con metodi manuali o semi-manuali.

Difatti già prima della Seconda Guerra Mondiale il loro numero era quasi dimezzato, lasciando però in eredità una grande quantità di spazi adibiti a bottega e laboratori all’interno dei lotti residenziali, che saranno fra i primi obiettivi di una riconversione funzionale, in termini di ampliamento della capacità residenziale del singolo lotto, ma spesso anche intesa come trasformazione da produttivo a commerciale.

Non sono pochi i casi di antiche attività artigianali (sartorie, cappellifici), quindi dedite a produzione e vendita diretta, che col tempo si sono convertite a semplici esercizi commerciali, abbandonandone la parte produttiva.

In altri casi, la collocazione urbana è stata la causa stessa della delocalizzazione, verso quartieri periferici o comuni della prima cintura del Brabante, in quanto per ragioni logistiche o dimensionali le vecchie fabbriche non erano più adatte ad ospitare la produzione.

Ciò ha riguardato più le grandi aziende, fra tutte il birrificio BelleVue, attivo fino agli anni ‘90 e che ha spostato la produzione appena fuori dal confine a sud della capitale, o la cioccolateria Leonidas che per aumentare gli spazi si è dovuta sdoppiare, creando un nuovo stabilimento nel nuovo parco industriale di Anderlecht, oppure del tabacchificio AJJA, acquisito dalla British American Tobacco, che nel 2001 ha delocalizzato la produzione questa volta a nord-ovest della capitale lasciano sede e uffici nell’antico stabilimento.

Com’è ovvio molte attività hanno ceduto il passo perché i prodotti che producevano sono col tempo diventati obsoleti, come per la fabbrica di stufe in ghisa Nestor Martin, ormai scomparsa per far posto agli uffici del gruppo bancario KBC, nei pressi di Tour et Taxis.

[25] Christian Vandermotten, “L’industrie Bruxelloise” in “Bruxelles industrielle? Aujourd’hui et demain”, Le Cahiers de la Fonderie, 2010

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NUMERO DI STABILIMENTI INDUSTRIALI PER SETTORI NEL COMUNE DI MOLENBEEK-SAINT JEAN Osservando il numero di stabilimenti attivi nel comune di Molenbeek possiamo notare come esso segua un andamento per gran parte sovrapponibile al numero di operai censito nella regione, ovvero una crescita con un picco fino al secondo dopoguerra e un rapido declino, ma è possibile notare alcune dinamiche leggermente differenti.

Ad esempio, nel settore dell’abbigliamento, il picco di 270 attività operanti nel 1896 e seguito da un dimezzamento già nel censimento successivo del 1947. Il numero degli impiegati nel settore resta però stabile. Stessa dinamica, meno accentuata, avviene per il settore metallurgico e della lavorazione del legno. Per questi settori possiamo quindi immaginare un cambiamento di organizzazione della produzione, come ad esempio una perdita di competitività delle piccole aziende o l’introduzione di una nuova tecnologia, per il quale la filiera si è riorganizzata riducendo il numero delle imprese oppure uno spostamento degli stabilimenti

Altro Meccanica Metallurgia, prodotti metallici e macchinari Gomma e plastiche Cuoio e pelli Abbigliamento Tessile Legno Carta, cellulosa Industria chimica Industria alimentare, tabacco

300 250 200 150 100

1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

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1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

1845 1896 1947 1974 1981 1988

0

1845 1896 1947 1974 1981 1988

50

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OGGI: RIFUNZIONALIZZAZIONE DEGLI EDIFICI INDUSTRIALI Negli ultimi vent’anni, una gran parte degli edifici industriali nella regione di Bruxelles è stata sottoposta a interventi di rifunzionalizzazione, che li hanno destinati ad altro tipo di attività.

Questo fenomeno, comune a tutte le città europee, è stato particolarmente intenso nelle aree centrali dell’agglomerazione e nei quartieri dove il tessuto urbano è quello tipico della città compatta, a prevalenza residenziale e caratterizzato da una certa mixité di funzioni.

Non tutti gli edifici che hanno subito una riconversione erano dismessi o abbandonati; da questo punto di vista si evidenzia una maggiore “resistenza” delle attività produttive nelle zone industriali a nord e a sud della città, ovvero laddove vi è una maggiore specializzazione funzionale e una minore commistione di destinazioni d’uso.

La maggior parte di queste rifunzionalizzazioni ha seguito la strada dell’intervento conservativo, mentre solo una piccola parte è stata portata a termine tramite demolizionericostruzione delle cubature.

Per comprendere l’ampiezza del fenomeno, nell’agglomerazione, fra 1997 e 2011, circa il 25% del patrimonio immobiliare classificato come produttivo è stato rifunzionalizzato: prima destinazione è quella residenziale, col 45% delle superfici convertite, il 13% è stato trasformato in strutture commerciali (spesso di grande metratura, favorite dalla tipologia del costruito industriale), il 23% in uffici, il 17% in servizi pubblici (come scuole, edifici di culto, edifici amministrativi) e il 2% in altro tipo di destinazioni.

Osservando la distribuzione degli interventi di rifunzionalizzazione si può notare come i quartieri più interessati siano quelli della zona centro-occidentale della regione, col comune di Bruxelles (diviso nella carta in tre settori, Nord, Centro e Avenue Louise) a guidare la

[26] Agence du Développement du Térritoire, “Observatoire des activités productives 2017”

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classifica con 370.000 m2 trasformati, seguito da Molenbeek-Saint Jean con 232.115 m2 e da Anderlecht con 220.900 m2.

Oltre che per una effettiva maggiore pressione demografica su questi quartieri, è evidente che la maggiore disponibilità di superfici produttive lungo l’asse del canale porta questo territorio a essere il più interessato dalle riconversioni.

All’interno di queste aree, come abbiamo detto, sono le zone definite dal piano urbanistico come “zones de forte mixité” a contenere la maggior parte delle superfici riconvertite (42%).

In linea generale la destinazione d’uso postrifunzionalizzazione dipende dalla diversa specializzazione del quartiere in cui si trova: nei pressi delle zone semicentrali e del Quartiere Europeo sarà più alta la richiesta di uffici e commerciale, mentre nel Pentagono oltre la metà degli edifici viene convertito in residenziale, anche per via delle particolari restrizioni alla creazione di spazi per il terziario nel quartiere.

Allo stesso modo, se l’edificio oggetto dell’intervento è situato in un isolato a prevalenza residenziale, è molto probabile che l’operazione immobiliare sia indirizzata proprio alla creazione di altre residenze.

Difatti, ben il 90% delle rifunzionalizzazioni a scopo residenziale si trova in zone destinate alla residenza e corrisponde al 57 % delle rifunzionalizzazioni nelle “zones d’habitation”, al 55% nelle “zones mixtes” e al 43% nelle “zones de forte mixité”, determinando un impoverimento proprio della diversità di funzioni che esse accoglievano.

13%

2%

17%

45%

23%

Totale Regione di Bruxelles-Capitale

superficie riconvertita in migliaia di m²

destinazione di riconversione 200 100 50

residenziale

commerciale

uffici

servizi pubblici

altro

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RIFUNZIONALIZZAZIONE DEGLI EDIFICI INDUSTRIALI IN MOLENBEEK Comprendendo una larga parte degli antichi quartieri industriali di Bruxelles, il comune di Molenbeek è fra i più interessati nel fenomeno di riconversione delle strutture in disuso.

Come in gran parte dell’agglomerazione, la maggior parte dei cambi di destinazione è stato verso il residenziale (37%) anche se in proporzione minore. Infatti il comune si distingue per una quantità di metri quadri riconvertiti in servizi pubblici superiori alla media (27%). Fra questi troviamo esempi spazi per la cultura (Musée de La Fonderie, MIMA, Plan K), uffici amministrativi (Nuova anagrafe del comune, uffici dell’amministrazione della comunità francofona), ma anche luoghi di culto. Seguono le metrature convertite in uffici (20%) e in commerciale (15%).

Soprattutto i primi si concentrano nell’area nord e lungo il canale, ai limiti del centro città e in prossimità del centro direzionale della Gare du Nord. Questi ultimi sono stati fra i primi interventi, spesso indicati come l’inizio di un processo di gentrificazione del Quartier Maritime, per via della sua attiguità ai quartieri centrali e alla facilità di accesso.

La zona storica di Molenbeek è per lo più interessata da riconversioni a destinazione residenziale, mentre la zona sud mostra una discreta varietà di destinazioni, con una leggera prevalenza dei servizi pubblici.

superfici a uso produttivo nel comune di Molenbeek-Saint Jean

Nell’area centrale del canale si trovano alcuni grandi interventi di recupero di complessi monumentali: primo fra tutti certamente quello di Tour & Taxis, al centro di un complesso masterplan di trasformazione dell’antico deposito doganale in un nuovo centro multifunzionale, con uffici e attività commerciali all’interno della struttura. Sempre a nord è di recente attribuzione il progetto vincitore della trasformazione della fabbrica Citroën di Place de l’Yser nel Centre Kanal, centro di cultura contemporanea.

Fra gli interventi che hanno visto la partecipazione di privati vi è la trasformazione del tabacchificio AJJA, nella parte nuova di Molenbeek, in incubatore d’imprese e residenze e l’apertura del centro COOP, a sud appena fuori dal comune, nel mulino Moulart, che diventerà un centro multifunzionale, con spazi per le imprese, sala conferenze e ambienti museali. Infine, un altro grande intervento di recupero, interessante per la diversità di funzioni ospitate, è quello del birrificio BelleVue, in prossimità della porta di Ninove, nel quale hanno trovato sede il museo di arti grafiche MIMA, due grandi attività ricettive, ambienti per uffici e una nuova torre residenziale. Altri interventi di minore estensione su edifici industriali sono costituiti in un diradamento dell’edificato per ricavare del nuovo verde pubblico.

superfici riconvertite nel comune di Molenbeek-Saint Jean (1997-2012) 1% 36 %

residenziale : 86.755 m²

27 %

37 %

37 %

commerciale : 35.707 m² uffici: 46.765 m² servizi pubblici : 61.241 m²

20 % 15 %

TOTALE 636.129 m²

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TOTALE 232.115 m²

altro : 1.647 m²

residenziale

commerciale

uffici

servizi pubblici

altro

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TOUR ET TAXIS L’intero complesso di Tour et Taxis è soggetto a un lungo processo di riqualificazione, indirizzato a trasformare l’antico complesso doganale e gli spazi dell’ex scalo ferroviario in un nuovo quartiere con funzioni miste e nuovi servizi pubblici, fra cui un parco.

L’iter è iniziato nel 2001, ma le prime fasi operative hanno dovuto aspettare il 2007 per iniziare. Il corpo principale del complesso, ovvero “L’Entrepôt Royal” è stato oggetto di interventi di restauro e rifunzionalizzazione come galleria commerciale e spazi per uffici, sfruttando le gallerie esistenti. Altre tettoie, ex magazzini, sono stati convertiti in ambienti per eventi culturali ed esposizioni e riaperti al pubblico. L’intero processo è appena agli inizi, dato che l’area interessa anche la superficie un tempo occupata dai binari dello scalo, dove nuovi edifici amministrativi e residenziali affiancheranno un nuovo parco cittadino.

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L’intervento eseguito all’interno dell’Entrepôt Royal, fra i primi edifici ad essere classificati come tutelati per importanza architettonica in Belgio nel 1988, vede affiancarsi ad un largo intervento di restauro conservativo che ha caratterizzato le strutture esistenti, nonché i lucernari vetrati, una serie di inserimenti volumetrici atti a consentirne la divisione in celle differenti e permetterne lo sfruttamento commerciale.

Fra le scelte progettuali più caratterizzanti vi è stata la scelta di impostare il piano di calpestio al piano terra ad una nuova quota rialzata rispetto all’originale, il che ha permesso di salvaguardarne alcune superfici, visibili attraverso porzioni vetrate di pavimento, malgrado non fossero compatibili con la nuova destinazione d’uso.

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BRASSERIE BELLEVUE - MIMA Nello stabilimento dell’antico birrificio BelleVue è nato nel 2016 il MIMA, museo di arte contemporanea. Parte del complesso è stata anche convertita in attività ricettive e commerciali.

La prima attività nata sul sito fu il birrificio “Le Cornet de Poste” dei fratelli De Coster, aperta nel 1916, che contava cinque edifici principali, stalle per i cavalli da rifornimento, la malteria, la fornace, i magazzini e il birrificio vero e proprio.

All’epoca lo stabilimento, situato in posizione strategica lungo il canale per favorire l’approvvigionamento, era affiancato oltre che dal canale principale anche dalla derivazione della Sennette, chiusa successivamente nel 1930.

Nel 1935 l’edificio viene sottoposto a una radicale trasformazione e ingrandimento, per adattare gli spazi alle richieste di incremento di produzione e ai processi di imbottigliamento meccanizzati. L’operazione porterà lo stabilimento ad avere pressoché l’aspetto attuale.

Il birrificio viene acquistato nel 1969 dall’impresario Van Den Stock, che aveva

Hotel Bellevue

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uffici

lanciato il suo marchio di birra “geuze” BelleVue, la cui produzione viene accentrata nel sito. L’impresa avrà grande successo in tutto il Belgio, diventando uno dei marchi di birra più famosi. Nel 1991 l’azienda viene venduta al gruppo Interbrew, che per esigenze di produzione sposta gran parte dei processi in un nuovo stabilimento nelle Fiandre appena a sud di Bruxelles. Nel 2009 l’edificio viene dismesso e venduto in parte al Comune di Molenbeek , in parte a privati, che danno luogo al processo di riconversione. Date le dimensioni importanti del sito, si decide di impiantarci diverse funzioni, in particolare due attività ricettive (Hotel BelleVue e Meininger Bruxelles) oltre a uffici e ristorazione, e di realizzare nell’area un nuovo edificio a torre per ospitare residenze private.

I lavori per la sede del MIMA, iniziati nel 2015, si sono conclusi nel 2016.

Il museo, il cui nome sta per “Millennium Iconoclast Museum of Art” è indirizzato soprattutto verso le arti grafiche ed ospita una collezione permanente di opere d’arte contemporanea e diverse esposizioni temporanee.

museo MIMA

Hotel Meininger

torre residenziale

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MINOTERIE MOULART - COOP Il centro per le imprese e la cultura COOP, nel comune di Anderlecht è stato realizzato recuperando l’antico mulino Moulart, costruito nel 1903, per trasferire l’attività di macinazione Moulart dalle vicinanze della Gare du Sud a un sito che avesse accesso al canale.

Il nuovo impianto di macinazione è estremamente moderno per i tempi, dotato di macchinari provenienti dall’Inghilterra e dalla Germania. Al picco della produzione, fra il 1930 e il 1940, il mulino occupa una trentina di persone e funziona 24 ore su 24, diventando uno dei principali della regione brussellese.

L’attività cessa nel 1965, quando il governo offre un premio in cambio della chiusura di alcuni stabilimenti per ridurre la sovrapproduzione di farina nella nazione, dovuta alla diminuzione del consumo di pane e derivati, con il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione nel dopo guerra.

Resta in disuso e diviso in diverse proprietà fino al 2011, quando l’intera struttura viene incubatore

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rilevata da una cordata di imprenditori, insieme al comune di Anderlecht e alla società di sviluppo immobiliare pubblicoprivata della regione di Bruxelles (SDRB).

Tramite l’utilizzo di fondi europei per lo sviluppo regionale, il sito di 5.000 m² è stato trasformato in un incubatore di imprese, centro servizi e conferenze, coworking e museo dedicato alla storia dell’edificio e del canale. L’intervento architettonico oltre ha riportare alla condizione originale la facciata che affaccia sul Quai Demets è costituito soprattutto nell’inserimento di un volume superiore vetrato per ospitare un auditorium da 70 posti, un caffè di 110 m² e delle terrazze panoramiche accessibili al pubblico.

La superficie dedicata all’accoglienza di imprese e professionisti si estende per 3000 m² ed è rivolta a piccole e medie imprese; si stima che possano trovarvi sede circa una ventina di queste.

hall e museo

circolazione verticale

auditorium e terrazza panoramica

incubatore

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NUOVA ANAGRAFE DEL COMUNE DI MOLENBEEK-SAINT JEAN Nel 2018 il comune di Molenbeek-Saint Jean ha aperto un nuovo sportello dell’anagrafe nel quartiere di Osseghem, ad ovest della ferrovia, in un edificio che faceva originariamente parte della manifattura di tabacco Ajja e in seguito British American Tobacco.

Il complesso, che in parte ospita gli uffici della multinazionale del tabacco, risale agli anni ‘20 del novecento. Nel 1925 infatti il fondatore della società Ajja sposta la produzione da un piccolo atelier nel centro di Molenbeek, vicino la Sennette, all’ovest del quartiere, in un settore all’epoca poco edificato e ancora principalmente rurale. Il complesso è di dimensioni notevoli e la manica che occupa l’ufficio comunale è solo una piccola porzione dello stabilimento.

Dal 2001 non si svolgono più attività produttive al suo interno, ma restano gli uffici

volume tecnico

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uffici

della divisione Benelux della British American Tobacco.

L’intervento si contraddistingue per il mantenimento della riconoscibilità della struttura originale. L’ingresso è posizionato in corrispondenza della struttura a shed, il resto della struttura è destinato agli sportelli e alla zona uffici, collegati fra di loro da un ampio buffer. Gli uffici, organizzati al piano superiore in un unico open-space sono dotati di grandi finestre vetrate, ricavate aprendo la muratura verso l’interno isolato e lasciando solo la parte strutturale a scandire il ritmo della facciata.

Un elemento caratterizzante del progetto è l’inserimento del volume di servizio nel vano d’ingresso, come una scatola indipendente, che mette in comunicazione i due livelli.

stabilimento American Tobacco

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LA PICCOLA EREDITÀ Quella che definiamo la piccola eredità di architettura industriale di Bruxelles, è composta da edifici di modeste o medie dimensioni di cui prevalentemente è fatto il patrimonio edilizio delle aree produttive storiche della città.

Spesso questo patrimonio è situato all’interno di zone che presentano una grande mescolanza di funzioni e di tipologie architettoniche, passando inosservato per la sua posizione nascosta o il suo aspetto dimesso.

A differenza della “grande eredità” (le grandi fabbriche iconiche, le centrali elettriche, le strutture pubbliche) e al suo valore monumentale riconosciuto, ad essa è riconosciuta ben poca attenzione e poca, se non nulla, tutela, finendo per essere il primo oggetto sacrificato al bisogno di nuovo spazio edificabile.

Se la “grande eredità” è rappresentata da elementi puntuali di grande rilevanza sulla mappa della città, la piccola eredità ne rappresenta il corpo principale del patrimonio edilizio industriale, il costituente fondamentale dei luoghi dell’industria, fatto di una moltitudine di elementi singoli, accomunati da una serie di regole spaziali, architettoniche, materiali e di utilizzo dello spazio che ne fanno la più grande testimonianza architettonica dell’epoca di sviluppo industriale della capitale belga.

La localizzazione di questa eredità disegna quindi la mappa reale dei luoghi dell’industria, ne mostra la concentrazione attorno ad alcune aree e la strutturazione lungo gli assi di comunicazione strategici, ben più della mappa che deriverebbe dal posizionamento delle grandi infrastrutture industriali del passato.

Il valore di questa eredità fortunatamente, non è del tutto dimenticato, si assiste sempre più a partire dagli anni ‘90 a una riconversione attenta verso nuove funzioni, compatibili con la logica strutturale e spaziale di questi luoghi.

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LA PICCOLA EREDITÀ DI MOLENBEEK-SAINT JEAN In quanto cuore pulsante della rivoluzione industriale belga, il comune di MolenbeekSaint Jean racchiude gran parte della “piccola eredità” industriale della città di Bruxelles. Interi isolati dei quartieri Birmingham e Cureghem sono composti dall’agglomerazione di piccole e medie superfici industriali.

D’altra parte, ripercorrendo la storia del comune si comprende come la sua stessa espansione sia legata a doppio filo alla crescita dell’industria nel suo territorio.

Questi elementi, talvolta poco più che rimesse, altre volte piccole fabbriche dalle facciate in mattoni e le grandi vetrate i cui shed e ciminiere punteggiano gli isolati, rappresentano un elemento fondante del paesaggio urbano di questa porzione di città.

Più dei due terzi degli edifici industriali di Molenbeek sono ancora destinati a funzione produttiva, di cui circa la metà è ancora in uso, seppur vi è una larga parte di strutture sottoutilizzate, costituendo non solo un patrimonio di memoria storica diffuso ma anche un patrimonio economico e sociale per la loro continuità d’uso.

Nell’affrontare i processi di trasformazione urbana che interesseranno nei prossimi anni l’area, sempre più strategica per l’agglomerazione, questo patrimonio rappresenterà uno degli oggetti principali su cui lavorare.

Si apre quindi uno scenario di ripensamento del ruolo di questo patrimonio all’interno della città, considerando i temi di attualità nello sviluppo urbano delle città; fra tutti, è possibile mantenere e rilanciare questa continuità d’uso, nell’ottica delle tendenze attuali in materia di produzione e manifattura urbana?

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societĂ

Leggere il paesaggio sociale è un’operazione che permette di avere un’immagine chiara del contesto in cui si sta operando, soprattutto nel momento in cui si tiene conto che tale paesaggio non si è generato in maniera indipendente dallo spazio costruito.

Anzi, nelle caratteristiche del tessuto urbano si trovano spesso le ragioni della generazione di un determinato contesto sociale.

Le due dimensioni spesso, si sovrappongono per fornire interpretazioni e chiavi di lettura dell’organismo urbano e ciò, è particolarmente evidente nelle mappe sociali di Bruxelles.

In esse è evidente la polarizzazione delle criticità sociali all’interno di una fascia denominata ”croissant pauvre”, ovvero la “mezzaluna povera”, che partendo da nord del Pentagono affianca il centro ad Ovest scavalcando il canale di Charleroi, per terminare nei quartieri meridionali che circondano la Gare du Midi.

Sovrapponendo i livelli relativi ad alcuni indici demografici principali si compone una fotografia del paesaggio sociale di quest’area (alla quale Molenbeek-Saint Jean appartiene) che evidenzia una società giovane, multiculturale, demograficamente vivace, ma debole in quanto a formazione scolastica, occupazione e fonti di reddito.

Soprattutto, si legge come i luoghi che appartengono a questo ”croissant pauvre” si sovrappongano perfettamente ai luoghi della Rivoluzione Industriale, all’asse operaio del Canale. I quartieri operai, quindi, ancora come luoghi di elezione per l’accoglienza dei nuovi arrivati, oggi come nell’ottocento per i contadini fiamminghi. Luoghi di contrasti sociali talvolta estremamente duri, ma anche parti estremamente dinamiche della città.

In opposizione a questi, spesso fianco a fianco con le realtà più difficili, c’è la città finanziaria, la capitale amministrativa, i quartieri-giardino delle periferie orientali, e tutto ciò che vi è in mezzo fra queste due realtà.

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THINKERS & MAKERS La divisione pressoché in due metà della città dal punto di vista delle classi lavorative riassume in sè la narrazione che scaturisce dalla lettura di buona parte degli indici demografici.

Si tratta di una mappa che ha lo scopo di evidenziare un’opposizione più che altro di tipo dialettico all’interno della regione, fra la città del “sapere” e quella del “saper fare”, fra quella degli operai e quella dei colletti bianchi, ma che finisce per avere delle ripercussioni reali e tangibili sull’organismo urbano e che è senz’altro collegata alle caratteristiche demografiche della popolazione di un determinato settore cittadino.

Si nota subito come la vocazione dei quartieri non sia cambiata nel tempo e come la popolazione tenda a disporsi attorno ai luoghi di lavoro; l’asse operaio che attraversa la metropoli da nord a sud si mantiene inalterato, seppur dovendo far fronte alla crisi generata dal ridimensionamento della propria economia e, di conseguenza, dell’occupazione.

I quartieri “alti”, che nella città di Bruxelles sono tali anche topograficamente si dispongono storicamente nel quadrante sud-orientale, irraggiandosi dal fulcro amministrativo e direzionale costituito dalla “L” Gare du NordQuartiere Reale-Quartiere Europeo.

Ciò che è nuovo in questa geografia è il ritorno della classe dirigente nel cuore della città, dovuto alle mutate condizioni ambientali e funzionali di un centro che è stato a lungo relegato al ruolo di “periferia” sociale. [27]

[27] Didier Willaert, Patrick Deboosere, “Atlas des Quartiers de la population de la Région de Bruxelles-Capitale au débout du 21ème siècle”, Institut Bruxellois de Statistique et d’Analyse, 2014

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Zone industriali

Formazione professionale

Quartieri direzionali Formazione universitaria

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IMMIGRAZIONE Lo sviluppo demografico di Bruxelles è sempre stato fortemente influenzato dalle migrazioni.

A partire da quella interna dell’Ottocento, in concomitanza dello sviluppo industriale, continuando per le migrazioni europee da paesi quali Italia, Spagna e Portogallo degli anni ‘20.

Dalla metà del diciannovesimo secolo agli anni ‘70 del novecento, la parte preponderante di questa immigrazione è stata costituita da migranti interni alla nazione belga, che assieme alla crescita della natalità hanno portato la capitale dai 211.634 abitanti del 1846 al 1.075.136 del censimento del 1971.

A partire della metà del ventesimo secolo, la suburbanizzazione e l’apertura di nuove rotte dell’immigrazione, prevalentemente dall’Africa francofona e dalle ex colonie del regno hanno cambiato la geografia antropica della capitale.

Al giorno d’oggi, la popolazione brussellese è estremamente varia, in termini di nazionalità di provenienza e non va dimenticato che 1/3 della popolazione è composta di immigrati di seconda o terza generazione, che pur essendo dotati di cittadinanza, rappresentano un ulteriore elemento di complessità nel panorama sociale. Inoltre vi è la presenza non trascurabile di expat legati alle istituzioni europee e alla NATO. La distribuzione geografica di questa popolazione variegata è estremamente disuguale nella Regione e presenta forte concentramento nelle zone centro-orientali dell’agglomerazione. Com’è noto i quartieri con la maggior presenza di immigrati extra-comunitari sono quelli occidentali di Molenbeek, quelli attorno alla Gare du Midi di Anderlecht e Saint Gilles e quelli meridionali del Pentagono. La maggioranza degli immigrati non comunitari provengono dall’Africa del Nord e da quella Subsahariana in minor quantità, oltre che dal Medio Oriente,

in primis dalla Turchia. [28] Per motivazioni legate alla coesione sociale all’interno delle nazionalità e dei gruppi etnici, in questi quartieri si riconoscono delle vere e proprie comunità; i marocchini, primo gruppo per numero, si concentrano nel centro storico di Molenbeek, i Turchi a Schaerbeek, Senegalesi e Congolesi ad Anderlecht, mentre i latinoamericani, fra i gruppi meno rappresentati, nella parte bassa di Saint Gilles.

[28] Didier Willaert, Patrick Deboosere, “Atlas des Quartiers de la population de la Région de Bruxelles-Capitale au débout du 21ème siècle”, Institut Bruxellois de Statistique et d’Analyse, 2014

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3,70 %

12,60 %

9%

7,4 %

5,8 %

4,2 %

2,6 %

1%

0,18 %

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DISOCCUPAZIONE A causa della grande varietà di contesti sociali, la Regione di Bruxelles-Capitale presenta differenze sostanziali sul piano socioeconomico.

In termini di ricchezza prodotta per abitante, Bruxelles è la prima realtà del Belgio e anche una delle città più ricche d’Europa, inoltre è una regione attrattiva per gli investimenti economici ed è uno dei principali poli di sviluppo ed innovazione della nazione.

Nonostante questo, una larga fetta della sua popolazione è esclusa da questa ricchezza economica, come dimostrano, ad esempio, i dati sulla disoccupazione e sul redditto disponibile. [29] La disoccupazione nella regione di Bruxelles, in particolare, presenta il dato più alto nel Paese e nell’Europa centrale ma anche uno fra i più alti dell’EU 27, al pari con alcune regioni della Spagna e del Sud Italia.[30] Alla base di questa spaccatura vi è certamente un fenomeno di discriminazione, come emerge dalla totale sovrapposizione dei quartieri col più alto tasso di immigrati extra-comunitari (Molenbeek-Saint Jean, dove si raggiungono punte oltre il 40%, Saint Gilles, Saint Josse e alcune zone di Bruxelles in particolare).

Va anche considerato lo scarso incontro di domanda di lavoratori (solitamente ad alta specializzazione) e offerta di questa fascia di popolazione (poco specializzata, al contrario) che rende più difficile l’inserimento nel mondo del lavoro.

Inoltre le zone con più alta disoccupazione sono anche fra quelle con l’età media più bassa, un fattore da considerare, tendendo la disoccupazione ad essere più alta nella fasce lavorative più giovani.

In seguito alla crisi economica del 2008 vi è stato un lungo periodo di aumento della disoccupazione, spinto anche dall’aumento di popolazione nell’area metropolitana. [31]

[29] Mahinour Ozdemir, “La situation socio-économique de la Région de Bruxelles-Capitale”, Centre Permanent pour la Citoyenneté et la Participation, 2017 [30] dati EUROSTAT - Labour Force Survey 2017 [31] Pierre-François Michelis, “ Marché du travail et revenus des ménages à Bruxelles: quelle évoluton à moyen terme?”

100

22,69 %

42,81 %

40 %

34 %

28 %

22 %

16 %

10 %

6,04 %

101

REDDITO Un altro indicatore critico, come si diceva, è il reddito disponibile, strettamente legato anche alla disoccupazione.

Secondo l’ultimo “Rapport bruxellois sur l’état de la pauvreté”, del 2016 la percentuale di popolazione che percepisce un reddito insufficiente per mantenere uno stile di vita dignitoso è in aumento, e circa il 2,15 % dei brussellesi beneficiano di un assegno sociale di integrazione per il reddito insufficiente. [32] Ancora una volta, sono i comuni lungo il Canale e della prima corona a presentare i dati peggiori, anche se in questo caso, oltre alla conferma dei quartieri come MolenbeekCentre, Marolles e Cureghem (nell’area degli Abattoirs si riscontra il più basso reddito percepito, 14.031 €) la disposizione delle aree meno ricche ricorda come a Bruxelles, a eccezione dell’asse Palazzo Reale-Quartiere Europeo, dove risiedono gli impiegati delle istituzioni nazionali e sovranazionali, le zone centrali e più antiche siano anche quelle abitate dalle classi meno abbienti.

Questo fenomeno centripeto ha portato i ceti sociali più elevati a “migrare” nei quartieri residenziali e collinari del sud-ovest, secondo una dinamica già iniziata a fine ‘800 e intensificatasi nel secondo dopoguerra con la creazione di vasti quartieri costituiti da abitazioni indipendenti con giardino. [33] Solo nell’ultimo decennio si assiste a un’inversione di tendenza, con i primi fenomeni di gentrificazione di aree come Saint Gilles e il centro città.

[32] M. Englert, “Rapport bruxellois sur l’état de la pauvreté”, Commission communautaire commune, 2016 [33] Didier Willaert, Patrick Deboosere, “Atlas des Quartiers de la population de la Région de Bruxelles-Capitale au débout du 21ème siècle”, Institut Bruxellois de Statistique et d’Analyse, 2014

102

19.088 €

14.031 €

15.000 €

17.000 €

19.000 €

21.500 €

23.500 €

25.000 €

29.389 €

103

ETÀ MEDIA La regione di Bruxelles è l’area più giovane del Belgio, con un’età media di 37 anni contro i 42 delle Fiandre e i 40 della Vallonia.

La natura di polo attrattore nazionale e internazionale della città, fa sì che gran parte dei nuovi arrivati sia composta da under 30, dato estremamente elevato soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione extraeuropea.

Malgrado l’età media generale piuttosto bassa, i quartieri periferici presentano valori molto più elevati di quelli centrali anche all’interno dello stesso comune. Ciò si spiega con la composizione dei nuclei familiari e la relativa tipologia abitativa. [34] I quartieri del “croissant”, ad esempio sono abitati da una fascia di popolazione con un indice di natalità elevato, che quindi tendono ad abbassare l’età media nelle loro zone di residenza. Si può notare come vi sia una tendenza a concentrarsi delle fasce d’età più basse nei quartieri centrali, questo è dovuto al fatto che nella fascia 18-34 i nuclei familiari composti da una sola persona sono prevalenti e tendono ad occupare abitazioni da uno o due locali, che sono più presenti nelle abitazioni più datate di cui sono composti i quartieri centrali, mentre via via che si sale di età, l’aumentare del numero di persone nel nucleo familiare e di disponibilità economica porta gli abitanti a spostarsi nelle zone più esterne dell’agglomerazione, dove sono presenti alloggi dalle metrature maggiori.

Questo movimento riguarda in maniera esigua i residenti di origine extra-comunitaria, dei quali, in genere, l’indice di mobilità residenziale è molto basso, sia per una tendenza culturale a restare in prossimità dei quartieri a prevalenza etnica, sia per una minore disponibilità economica, dovuta a tutti quei fattori di cui si è discusso precedentemente.

[34] Didier Willaert, Patrick Deboosere, “Atlas des Quartiers de la population de la Région de Bruxelles-Capitale au débout du 21ème siècle”, Institut Bruxellois de Statistique et d’Analyse, 2014

104

37,35 anni

30,91

34

36

38

40

42

44

48,14

105

CARTOGRAFIA TEMATICA FOCUS SU MOLENBEEK-SAINT JEAN Preso nella sua interezza, il comune di Molenbeek-Saint Jean, presenta dei dati che riportano una situazione socio-economica molto specifica: forti componenti di criticità dovute a una situazione di povertà relativa diffusa, disoccupazione e mancanza di formazione della forza-lavoro, conflittualità etnica e una crescita demografica sostenuta dal saldo migratorio e dall’alto tasso di natalità.

I comuni dell’agglomerazione brussellese però, pur costituendo degli enti amministrativi indipendenti dal punto di vista formale, evidenziano una geografia sociale che tende a seguire logiche ad una scala più ampia, regionale. Ad esempio, una generale tendenza delle popolazione agiata e più anziana a risiedere nella seconda corona, mentre l’opposto avviene per i giovani e i ceti sociali più umili.

Così, anche il comune di Molenbeek si ritrova idealmente ad essere diviso in due.

Ciò ha origini storiche e dipende soprattutto da una barriera fisica, ovvero quel fascio di binari che corre a ovest del centro e che sin dalla sua creazione nel 1870 ha segnato un “al di qua” e un “al di là” della ferrovia. [35] A est dell’infrastruttura il centro storico e lo sviluppo industriale, a ovest, a parte qualche insediamento industriale isolato, un territorio rurale e fino agli anni ‘30 fondamentalmente non urbanizzato.

Al giorno d’oggi questa divisione si riflette nella presenza ad est di quartieri dove le criticità di cui sopra sono particolarmente evidenti (Cureghem e Gare de l’Ouest i due più poveri dell’intera agglomerazione, ad esempio), mentre ad est, ad Osseghem, gli indici sono molto più vicini a quelli del resto della Regione.

La diversità edilizia fra le due metà è certamente fra le concause di questa discrepanza; i quartieri novecenteschi occidentali sono stati concepiti

per la classe media, con un edificato composto da case indipendenti nei quartieri più esterni e moderni condomini, dalle metrature degli alloggi superiori e una migliore qualità costruttiva rispetto alle maisons mitoyennes che compongono il resto del comune, in queste tende infatti a risiedere la fascia meno abbiente della popolazione e gli immigrati.

Un discorso a parte in questo senso meritano gli interventi di edilizia sociale, situati soprattutto lungo la fascia ferroviaria e composti da grandi torri, che rappresentano delle “isole” nel tessuto urbano.

[35] C.Dupont, “Molenbeek, Commune industriel” in “Molenbeek, une commune Bruxelloise” Le Cahiers de La Fonderie, 2006

106

THINKERS & MAKERS

Zone industriali

Formazione professionale

Quartieri direzionali Formazione universitaria

107

IMMIGRAZIONE 7,50 %

3,70 %

1° comune su 19

Molenbeek-Saint Jean

12,60 %

108

9%

Regione di Bruxelles-Capitale

7,4 %

5,8 %

4,2 %

2,6 %

1%

0,18 %

DISOCCUPAZIONE 30,92 %

22,69 %

3° comune su 19

Molenbeek-Saint Jean

42,81 %

40 %

Regione di Bruxelles-Capitale

34 %

28 %

22 %

16 %

10 %

6,04 %

109

REDDITO 17.303 €

19.088 €

17° comune su 19

Molenbeek-Saint Jean

14.031 €

110

15.000 €

Regione di Bruxelles-Capitale

17.000 €

19.000 €

21.500 €

23.500 €

25.000 €

29.389 €

ETÀ MEDIA 34,83 anni

37,35 anni

3° comune più giovane

Molenbeek-Saint Jean

30,91

34

Regione di Bruxelles-Capitale

36

38

40

42

44

48,14

111

economia

Lo studio dei cluster economici non è fine soltanto alla conoscenza del tipo di attività economiche e produttive presenti nel contesto urbano e della loro filiera. La loro localizzazione spaziale è un processo di indagine che può fornire informazioni importanti su un organismo complesso come è quello di una città e sulle relazioni materiali e immateriali che questi instaurano con gli altri livelli che lo compongono; storia, popolazione, patrimonio architettonico, paesaggio.

Vasti settori della città sono stati modellati dalla presenza dell’industria, che ne ha talvolta determinato forma urbana, organizzazione spaziale e sociale a seconda delle specificità di ogni settore. Studiare gli attori economici, le loro attività e gli spazi in cui operano significa anche riconoscere il ruolo, spesso sottostimato, che questi ricoprono nel funzionamento e nella vita dell’organismo urbano e riappropriarsi di luoghi troppo spesso esclusi dal coinvolgimento nelle sue dinamiche.

Riconoscere la concentrazione di un settore economico in un data porzione di città può fornire suggerimenti progettuali legati alla creazione di infrastrutture comuni, implementazione degli spazi e creazione di un ciclo produttivo integrato a scala urbana che passa necessariamente per la progettazione architettonica.

115

BRUXELLES PRODUTTIVA OGGI Nonostante il ruolo chiave della città di Bruxelles nello sviluppo industriale, la forte deindustrializzazione nella seconda metà del ventesimo secolo e la contemporanea ascesa della capitale come centro di economia terziaria hanno fatto sì che il settore industriale si sia fortemente ridotto e che sia stato per lungo tempo marginalizzato nell’agenda politica.

Al giorno d’oggi a Bruxelles, pur presentando uno dei PIL pro capite più alti fra le grandi città europee, il settore industriale e manifatturiero incidono soltanto per una quota pari al 6% dell’economia, di cui circa la metà attribuibile al manifatturiero in senso stretto.

I settori più sviluppati riguardano la costruzione e l’assemblaggio di mezzi di trasporto, non solo di autoveicoli come il grande stabilimento Audi e quello SABCA, basati su una catena di produzione altamente automatizzata, ma anche di parti e componenti per l’aerospaziale.

Forti sono anche i settori della petrolchimica, grazie alla presenza di una struttura portuale rilevante e dell’agroalimentare, che rappresenta uno dei settori in crescita dell’industria brussellese. Non sono solo i prodotti tipici, dotati di un vasto mercato locale e di esportazione come la birra e il cioccolato a rappresentare buona parte dei prodotti con grandi aziende come Leonidas, Godiva e InterBrew, ma vi è anche una filiera specializzata nella trasformazione e confezione di generi alimentari vari da piazzare sulla grande distribuzione.

Come detto, oltre all’alimentare, sono soprattutto quest’ultime, che nonostante quasi quarant’anni di rapido declino del settore industriale dimostrano maggiore possibilità di espansione e resilienza rispetto alla crisi economica. Oltre alla manifattura propriamente detta, un settore estremamente vitale nella regione è quello delle costruzioni, che coinvolge non solo le ditte di costruzione, e gli operai specializzati, ma anche tutta una serie di imprese legate alle forniture e produzione di materiale da costruzione alla lavorazione di metalli e legno.

Il continuo contrarsi di questo settore dell’economia non deve far dimenticare che negli ultimi anni si è avvertita un’inversione di tendenza e soprattutto, che resistono all’interno della città alcune grandi realtà che occupano diverse centinaia di persone e che sono estremamente vitali.

Bruxelles ospita la più grande rete universitaria e di ricerca del Belgio, con 104.000 studenti e 26.000 ricercatori impiegati, ovvero quasi il 10% della popolazione totale.

Questa concentrazione favorisce l’insediarsi di imprese innovative e start-up, circa il 20% di tutte quelle nate nella nazione.

Da questo scenario deriva la possibilità per la manifattura di reinventarsi attraverso servizi di prototipazione e produzione rapida, creando posti di lavoro per chi dispone di queste competenze.

Una serie di piccole aziende specializzate nei settori più disparati, ma sempre ad alto valore aggiunto e tasso tecnologico (meccanica di precisione, riciclaggio, farmaceutica) completano il quadro del tessuto produttivo cittadino.

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I LUOGHI DELL’INDUSTRIA Il settore nord è caratterizzato dalla presenza delle infrastrutture portuali e retroportuali, destinate alla logistica e alla lavorazione di materie prime giunte tramite la via d’acqua, disposte in una stretta fascia lungo il canale.

E’ un insediamento industriale caratterizzato quindi da stabilimenti di industria pesante, cementifici, raffinerie e infrastrutture legate ai servizi urbani (centrali elettriche e sottostazioni, depuratori, centri di riciclaggio.

La parte sul confine è in stretta continuità con gli insediamenti industriali nei comuni fiamminghi ed ospita attività produttive più variegate.

La parte centrale, quella di più antica industrializzazione, ospita alcuni grandi stabilimenti storici, gran parte dei quali oggi dismessi, ma la parte più rilevante e quella ancora in parte operativa è costituita dalla piccola e media industria allocata fra le maglie del tessuto urbano, in un contesto di estrema commistione funzionale.

In questo settore, in corso di trasformazione, vi sono poche aree industriali propriamente dette, corrispondenti per lo più a edifici preesistenti di grandi dimensioni, situati in particolar modo lungo le banchine del canale.

Il settore sud è diviso in tre fasce: la prima, stretta fra canale e il corso della Senna, di più antica instaurazione, nella quale molti edifici hanno già perso la loro attività originale, pur mantenendo il carattere produttivo. Una seconda, più recente e in parte ancora in edificazione, costituita da un parco industriale dalle caratteristiche moderne e un patrimonio edilizio risalente in buona parte agli ultimi 20 anni, dalle grandi superfici. Infine, al di là della fascia ferroviaria è situato l’insediamento industriale Audi, composto di numerosi blocchi collegati fra loro in serie per quasi 2km.

118

zona portuale

zone industriali urbane

zone d’impresa in ambito urbano

edifici produttivi in zone miste

119

CLUSTER E SETTORI INDUSTRIALI Fra i settori tradizionali dell’industria, tre risultano essere i più rilevanti in termini di Prodotto Interno Lordo aggregato nella regione metropolitana di Bruxelles: l’alimentare, che oltre a servire una vasta area urbana è particolarmente sviluppato per ragioni di radicamento di alcune lavorazioni; il settore dei mezzi di trasporto, sul quale pesa il grande valore aggiunto dei prodotti e le dimensioni ragguardevoli degli impianti, seppur in numero esiguo; il settore della petrolchimica e della chimica, che vede nel polo del porto industriale il principale fulcro di lavorazione del Paese, dopo il sito di stoccaggio di Anversa.

Non va dimenticato che attorno alla regione di Bruxelles-Capitale vi è ancora una larga fascia urbanizzata che, seppur amministrativamente indipendente (si tratta della Regione del Brabante Fiammingo) è economicamente funzionale al sistema della capitale.

Per questo alcuni settori come la farmaceutica, poco rilevanti nel panorama strettamente brussellese, ricoprono un ruolo primario a scala interregionale e vanno comunque tenuti in considerazione.

Allo stesso modo anche le aree industriali sono spesso contigue fra l’interno della Regione metropolitana e le Fiandre; ciò avviene sia a nord, con un naturale prolungamento della zona portuale lungo le sponde del canale, che a sud, sempre proseguendo lungo il Canale di Charleroi.

Inglobando queste aree i settori industriali della capitale belga appaiono ancora più variegati di quanto siano considerando solo la produzione in atto all’interno del confine amministrativo. [36] Come già detto l’industria pesante risiede principalmente nella zona nord, a stretto

contatto con la piattaforma logistica fluviale, anche se non mancano alcuni stabilimenti cementizi o di trattamento di idrocarburi lungo la sponda sud.

Il settore automobilistico è sostanzialmente concentrato nell’area di Forest, attorno allo stabilimento Audi, anche se un tempo era ben più presente in città (basti pensare allo stabilimento Citroën, a due passi dal centralissimo Quartier des Quais).

Per quanto riguarda l’industria alimentare, essa è più diffusa all’interno del tessuto urbano, ma possiamo individuare alcuni poli rilevanti, soprattutto nella zona inclusa fra MolenbeekSaint Jean e Anderlecht, che comprende un vero e proprio cluster diffuso di lavorazione delle carni a servizio degli Abattoirs, oltre che numerose aziende attive nella logistica e confezione di cibi e bevande.

Non ultimo lo stabilimento, ancora parzialmente attivo, della Delhaize, nella zona est di Molenbeek e una serie di cioccolaterie e birrifici, produzioni tradizionali della città, che ancora resistono all’interno di una zona centrale e semi-centrale del settore Ovest della città.

Altri settori storicamente rilevanti sono quello della carta e dell’editoria, i cui stabilimenti sono localizzati a ridosso del centro, in prossimità degli uffici delle case editrici e in contatto con la classe creativa, e quello della lavorazione del legno e dei metalli, di antica e nobile tradizioni (basti pensare alle realizzazioni delle maestranze in epoca Art Nouveau).

Per quest’ultimo, nell’infografica posta nelle pagine successive, pesa un basso valore aggiunto e una forte dispersione della produzione, in quanto a rilevanza nella composizione del PIL, ma, soprattutto in alcune zone di sviluppo pre-industriale ed industriale ottocentesche (quartiere Birmingham a

[36] Agence du Développement du Térritoire, “Observatoire des activités productives: Évolution 1997-2011”

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Molenbeek, Masui a Schaerbeek, Rosée ad Anderlecht) questo settore produttivo rappresenta il core della resistenza urbana in termini di sopravvivenza delle attività artigianali e degli spazi della produzione.

La loro natura resiliente, come attività dimensionalmente e dai processi molto adattabili, ha permesso loro di riservarsi una nicchia protetta, spesso legata ai luoghi della residenza, che è sopravvissuta alle operazioni di rifunzionalizzazione e riqualificazione edilizia ed urbana a cui sono stati soggetti stabilimenti di altra natura e dimensioni più importanti.

In quanto metropoli terziaria, Bruxelles riveste un ruolo importante nei campi della ricerca e del settore finanziario, i quali attivano una serie di piccole imprese specializzate nei servizi intermedi e nei settori più disparati, ma sempre ad alto valore aggiunto e tasso tecnologico (meccanica di precisione, riciclaggio, farmaceutica) che completano il quadro del tessuto produttivo cittadino.

L’infografica successiva non può essere esaustiva in termini di localizzazione di ogni singola impresa, ma indica in maniera intuitiva l’apporto di ogni settore produttivo e le sue principali localizzazioni nella regione metropolitana, in modo da permettere una lettura rapida dello spazio e dei luoghi della produzione a Bruxelles, ricavarne gli attori principali e i sistemi su cui essa si basa.

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% di valore aggiunto al PIL

tipologia di area industriale 20

10 1

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ZIU zone industriali urbane

ZEMU zone d’impresa in ambito urbano

zone portuali

zone a forte mixitĂŠ (solo edifici produttivi)

E S T R A T T I VA

A L IMEN TA RE

TESSILE E PELLI

LEGNAME E CELLULOSA

RAFFINAZIONE E PETROLCHIMICA

CHIMICA

FA R M ACEU T IC A

GOMM A E M AT ERIE P L A S T ICHE

ME TA L L URGI A

INF OR M AT IC A , EL E T T RONIC A , O T T IC A

AT T RE Z Z AT URE EL E T T RICHE

MACCHINARI

MEZZI DI TRASPORTO

ALTRO

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SISTEMA INDUSTRIALE MOLENBEEK-SAINT JEAN E ZONA DEL CANALE Dell’antico asse industriale della Senna restano nel settore centrale della conurbazione ormai solo alcune attività a seguito della delocalizzazione e delle conversioni di edifici produttivi avvenuta negli ultimi venti anni.

Malgrado ciò, è ancora evidente l’impronta funzionale che ha caratterizzato questo settore di città per più di un secolo.

Nel comune di Molenbeek-Saint Jean continuano ad operare alcune grosse aziende storiche, permettendo l’operatività di piccoli cluster specializzati attorno ad esse. Il numero maggiore di attività è però costituito da piccole imprese localizzate all’interno degli isolati misti, reduci dell’antico tessuto industriale.

Fra i settori preponderanti troviamo quello alimentare (trasformazione e conservazione della carne, birrifici, trasformazione del cioccolato e preparazione alimentare per la vendita all’ingrosso) quello legato alla trasformazione del legno e della carta (incluse le aziende di stampa ed editoria) e quello delle lavorazioni metalliche non specializzate.

Il settore nord, il cosiddetto “Quartier Maritime” è quello che più ha subito lo svuotamento dalla funzione produttiva. Oltre alla chiusura di Tour & Taxis e con esso di tutta la filiera dell’import-export che vi gravitava attorno, la causa principale va ricercata nella vicinanza di questa parte del comune al centro di Bruxelles, che ha favorito fenomeni di trasformazione immobiliare, soprattutto ad uso uffici, e il principio di gentrificazione che riguarda la fascia direttamente prospiciente al canale. Troviamo un esempio nella trasformazione del birrificio BelleVue (marchio di birra kriek celebre in Belgio) in attività ricettive e museali (il MIMA). Gli stessi fattori hanno portato, dall’altro lato, alla creazione di un piccolo cluster ICT e di industria creativa e digitale, localizzato proprio nell’area nord del comune, che ha dato ad essa il nome di “Molengeek” (da geek, nerd) per lo più

riscontrato nei mezzi di comunicazione. [37] La parte più a sud degli Abattoirs, già in territorio di Anderlecht, ha caratteristiche da zona industriale suburbana. In quanto in larga parte di recente costruzione nella zona industriale hanno sede grossi stabilimenti e parchi industriali multi-azienda. In media, le imprese collocate in questo settore hanno dimensioni e numeri più grandi, per ovvie ragioni, di quelle situati nella zona centrale.

Oltre alla presenza di industrie alimentari, vi sono localizzate imprese che svolgono attività industriali più pesanti, quali il trattamento di sostanze chimiche e per l’industria farmaceutica, persino alcune legate alla petrolchimica e alla produzione di cemento.

Vi è anche un piccolo cluster di industrie che producono sistemi ed attrezzature elettroniche per sicurezza, controllo e misurazioni, oltre che macchinari di precisione e una serie di imprese legate al settore delle costruzioni e dell’edilizia (mobilifici, lavorazioni metalliche, materiali da costruzione ceramici).

L’industria più leggera è rappresentata da aziende di confezionamento di abbigliamento e imballaggi di prodotti finiti per la grande distribuzione.

Discorso a parte per il mega-stabilimento Audi di Forest, che rappresenta un unicum per le sue caratteristiche dimensionali e occupazionali, malgrado si sia inserito lungo un asse viario lungo il quale storicamente si è collocata l’industria metalmeccanica e della produzione di macchinari.

[37] Sven Steffens, “Le noms non officiels et populaires des quartiers, rues et lieux” in “Molenbeek, une commune bruxelloise”, Le Cahiers de la Fonderie, 2006

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INDUSTRIA ALIMENTARE L’industria alimentare è fra i settori più rilevanti per l’economia della Regione di Bruxelles; lo è sia per ragioni di domanda, essendo la capitale il primo agglomerato urbano per popolazione della nazione, sia per ragioni storiche.

La specializzazione del tessuto produttivo di Molenbeek nel settore dell’alimentare nasce infatti già a metà ottocento e la costruzione degli Abattoirs e dello scalo di Tour&Taxis non fanno che accentuarne la vocazione; i rivenditori e trasformatori di bevande d’importazione e tabacco che gravitavano attorno al secondo sono quasi del tutto scomparsi con la sua chiusura, mentre il primo alimenta ancora la sua filiera produttiva.

Inoltre, proprio a Molenbeek sono nate alcune delle aziende più importanti del Belgio, alcune parte della cultura di massa della nazione come Delhaize o Bellevue.

Se lo stabilimento di quest’ultima, operativo fino al 1991 è stato delocalizzato a sud, appena fuori dalla città, per trasformarlo in hotel e Museo di arti visuali (MIMA), lo stabilimento Delhaize resta ancora operativo, appena al di là della ferrovia che separa il centro storico di Molenbeek dalla nuova espansione del dopoguerra. Malgrado la sua produzione sia fortemente ridotta rispetto al passato, attorno ad esso resistono ancora un paio di aziende di trasformazione alimentare e qualcuna che produce imballaggi e confezioni.

Un’altra realtà importante è quella degli Abattoirs e del cluster di attività di trasformazione, conservazione e distribuzione delle carni ad esso collegato. Oltre che una specializzazione produttiva ben definita, questo cluster ha anche una localizzazione spaziale estremamente concentrata negli isolati posti dirimpetto all’accesso principale del mattatoio cittadino. Il complesso degli Abattoirs ospita anche la filiera di trasformazione e vendita del pesce e un

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tentativo sperimentale di serra idroponica.

Altre attività rilevanti riguardano la produzione di birre tradizionali e industriali in due stabilimenti di proprietà di multinazionali più alcuni piccoli birrifici artigianali; l’industria del cioccolato, in particolare per la presenza di due stabilimenti della Leonidas (marchio n°1 per volume di vendite in Belgio) e dello stabilimento Godiva a Koekelberg. È anche presente un numero rilevante di industrie di trasformazione e preparazione di cibi pronti alla vendita e al consumo e per la fornitura di servizi di catering e mensa, alimentata dalla presenza della filiera della carne legata agli Abattoirs e di centri di distribuzione e conservazione di generi alimentari all’ingrosso.

Anche non trattandosi di produzione propriamente detta va segnalato il gran numero oltre che di attività di vendita all’ingrosso anche di import-export di generi alimentari e bevande che risiede nell’area.

Ognuna specializzata in un settore particolare, (importazione di vini e liquori, importazione di prodotti e alimenti tipici dell’Africa o del Medio Oriente) queste attività formano, per la loro quantità, una sorta di hub logistico diffuso per il rifornimento dell’intera città.

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ABBATTOIRS DE ANDERLECHT Edificati fra 1887 e 1890 il macello comunale di Anderlecht è fra gli esempi di edifici produttivi in contesto urbano più importanti d’Europa, nonché unico mattatoio urbano ancora operativo. Nel 1980 il comune di Anderlecht decide di chiudere lo stabilimento perché non più funzionale e remunerativo. Un gruppo di operatori del settore decide di riunirsi in cooperativa per garantirne la sopravvivenza, così nel 1983 ne viene in possesso e inizia un processo di rinnovamento che porterà alla riapertura e rinnovo delle licenze ritirate per obsolescenza. Ad oggi, nelle strutture direttamente collegate ad esso lavorano più di 1500 persone.

La catena di macellazione, ospitata nelle strutture a shed dietro alla grande tettoia storica, è divisa in due linee: una per i suini e l’altra il resto del bestiame di grandi dimensioni (bovini, equini, ovini). Questa sezione occupa l’80% della superficie delle strutture, il resto è dedicato ai processi di sezionamento e scuoiatura. Ogni anno sono abbattuti e macellati circa 230.000 animali, pari al 3% dei capi di tutto il Belgio. La filiera della carne alimenta un piccolo cluster produttivo abbattimento suini

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macellazione

vendita al dettaglio

abbattimento bovini

nelle immediate vicinanze. Una decina di piccole e medie imprese concludono i processi di lavorazione, per la vendita al dettaglio o provvedono alla preparazione e al confezionamento di prodotti per catering e vendita all’ingrosso.

Oltre alla filiera della carne una parte delle strutture è stata convertita nel 2015, tramite fondi europei e di investitori privati, in serra acquaponica e idroponica: si tratta della “Ferme Abattoir”, 4000 m2 realizzati sulla copertura dell’area riservata a mercato coperto, che produce 35 tonnellate di pesce all’anno e verdura rivenduti direttamente nel mercato sottostante o impiegati nelle cucine dei ristoranti presenti nel complesso, in un’ottica di sperimentazione dei principi di filiera ultracorta ed economia circolare.

Fra le altre attività economiche presenti nel complesso, ci sono la commercializzazione all’ingrosso di bevande, nelle cosiddette “Cave des Abattoirs”, l’organizzazione di eventi in settori rifunzionalizzati di quest’ultime e la presenza di un mercato settimanale di coltivatori diretti nell’area sottostante la tettoia. tettoia storica

serra acquaponica

food court

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STABILIMENTO DELHAIZE Nata nel 1867 come negozio di alimentari nella città di Charleroi, la società Delhaize si trasforma presto in una catena e già nel 1880 necessita di creare un polo amministrativo e produttivo nei pressi della capitale. L’area scelta è quella di Osseghem, nel comune di Molenbeek, giusto di fianco la Gare de l’Ouest.

Lo stabilimento, realizzato fra il 1880 e il 1883 è diviso in due settori; quello amministrativo che include ancora adesso un punto vendita a nord, e la parte produttiva a sud, divisi dalla via omonima al borgo. Lo stabilimento non avrà solo la funzione di centro di distribuzione e magazzino per la regione di Bruxelles, ma anche di produzione vera e propria di beni alimentari. Al momento dell’apertura fra le attività che vi hanno sede ci sono la torrefazione del caffè, l’imbottigliamento di vino e birra, la produzione di cioccolato e biscotti, l’affumicatura di insaccati. In pochi anni, per soddisfare le crescenti richieste del franchising in espansione, si aggiungeranno diverse produzioni, sia all’interno del sito, sia

punto vendita

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logistica

all’esterno realizzate da imprese indipendenti, creando nel quartiere un cluster ancora in parte presente tutt’oggi.

Fra queste: fabbriche di salse, profumerie, manifatture di tabacchi, fabbriche di confezioni e colori. Nel 1914, secondo la Delhaize, la quasi totalità di queste fabbriche sussidiarie risiede in Molenbeek, e per la movimentazione delle merci da questo polo diffuso la società si dota di un binario privato presso la gare de l’Ouest.

Nel corso di un secolo il marchio è entrato a far parte profondamente della cultura di massa della società belga, ad esempio aprendo i primi “supermarket” sul modello americano.

Ad oggi, la Delhaize è una società multinazionale ma conserva ancora la sede legale a Molenbeek, in rue de Osseghem e una parte dello stabilimento è ancora attiva.

In particolare sono ancora realizzati i processi di imbottigliamento del vino e distillazione di liquori, oltre che la stampa delle etichette e degli imballaggi che riportano il marchio della società.

stabilimento

amministrazione

uffici

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INDUSTRIA METALLURGICA, MECCANICA Storicamente radicate nella vallata industriale della Senna e lungo il corso del Canale di Charleroi, l’industria metallurgica e quella meccanica sono ancora presenti nell’area, pur essendo fra i settori che hanno subito una riduzione più drastica. Per quanto riguarda il comparto metallurgico si tratta di un’industria di trasformazione e lavorazione di semilavorati, mancando industrie siderurgiche nella regione.

Il settore può essere diviso in due raggruppamenti. A un cluster di imprese dalla produzione dal valore aggiunto più elevato, dalle dimensioni maggiori in termini di impiegati e superficie produttiva, si accosta un sottobosco di piccole imprese semi-artigianali orientate alla produzione su misura di pezzi specifici.

La prima, con alcune eccezioni, si localizza soprattutto nella zona industriale sud, con la presenza di impianti di lavorazione dei metalli automatizzati e alcune industrie di meccanica di precisione. Inoltre un piccolo nucleo di industrie metalmeccaniche nei pressi dello stabilimento Audi di Forest è ciò che resta di un distretto in passato estremamente specializzato (la stessa presenza dell’industria automobilistica non è casuale).

All’interno degli isolati a destinazione mista in Molenbeek e Anderlecht sono invece localizzate attività rivolte direttamente ai consumatori quali laboratori di fabbri, stampaggio di metalli, lavorazioni per l’edilizia e l’arredamento su misura.

Una parte non trascurabile delle attività legate ai processi metallurgici è costituita da quelle che si occupano della fine del ciclo di vita, raccolta, riciclaggio, riutilizzo e lavorazione dei metalli, che sono caratterizzate da ampie superfici adibite allo stoccaggio dei materiali reperiti e fanno parte di un processo di

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inserimento nel tessuto produttivo di imprese legate all’economia circolare che è anche sostenuto da parte delle amministrazioni pubbliche con la realizzazione di grandi impianti di riciclaggio.

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JEAN WAUTERS - ACIERS SPECIAUX La Jean Wauters-Aciers Speciaux è nata nel 1924 in Rue de Liverpool, a pochi metri dal Quai de l’Industrie come fonderia.

Negli ultimi cinquant’anni si è specializzata nella produzione e fornitura di acciai speciali per edilizia, costruzione di infrastrutture e macchinari, in particolare sotto forma di barre.

Nello stabilimento di Molenbeek vengono prodotti, rifiniti e commercializzati vari tipi di acciaio speciale; al manganese, al cromo, al nichel, acciai strutturali, acciai ad alta resistenza (HSS). L’azienda è stata acquisita nel 2011 dalla Van Leeuwen Pipe and Tube Group BV, multinazionale dei semilavorati e prodotti finiti in acciaio, per ampliare la propria offerta di prodotti.

Nel corso degli anni lo stabilimento si è ampliato fino a occupare buona parte dell’isolato, inglobando strutture adiacenti

area carico/scarico

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a quella originale, fino a costituire uno dei fronti principali lungo il Quai, fronte che viene utilizzato per la movimentazione dei prodotti e delle materie da lavorare, disponendo di maggiore spazio di manovra per mezzi, rispetto all’accesso su Rue de Liverpool.

La crescita dell’azienda ha creato una condizione particolare di convivenza fra destinazioni e attività all’interno del lotto, con un gruppo di case completamente attorniato dallo stabilimento. Si riconosce in questo allargamento uno schema compositivo ricorrente in questa porzione di città, con le costruzione di maggiori dimensioni ad uso produttivo ad occupare la parte centrale del fronte strada, sviluppandosi in profondità, mentre gli edifici residenziali si collocano agli angoli, con la presenza di attività commerciali di vicinato.

stabilimento

uffici

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INDUSTRIA DEL LEGNO E CELLULOSA Come per l’industria metallurgica, una buona parte delle aziende che si occupano della trasformazione e lavorazione del legno è legata al settore dell’edilizia e dell’arredamento.

Le imprese di dimensioni maggiori presenti nell’area sono principalmente orientate alla fornitura e lavorazione di legname sotto forma di semilavorati e presentano grandi aree adibite allo stoccaggio del materiale, collocandosi all’interno degli isolati costruiti o in maniera indipendente rispetto al contesto. Attività di questo tipo sono più frequenti nell’area sud di Molenbeek e lungo il canale, dove i lotti sono più grandi e meno densamente edificati.

Laboratori artigianali di dimensioni più contenute invece, sono ospitati spesso all’interno di edifici residenziali a schiera, le maisons mitoyennes, al piano terra, dotati di accesso carrabile.

Solitamente, in questi casi, l’area di lavoro si sviluppa verso l’interno del lotto, in diretta connessione con la parte residenziale. Per queste loro caratteristiche risiedono anche all’interno di lotti prevalentemente residenziali e in zone che presentano un’edilizia dai caratteri meno spiccatamente industriali.

Un’altra parte importante del settore è quello legato alla lavorazione della carta e della stampa: se il primo non è rappresentato nell’area, il secondo vede diverse stamperie, legate soprattutto alla presenza di numerose case editrici, che fanno di Bruxelles la capitale editoriale del paese. Queste attività, un tempo ben diffuse sul territorio, si concentrano ormai nella zona sud, in impianti di più recente costruzione.

Anche l’industria del legname e della carta, come avviene per quella dei metalli e dei materiali da costruzione, sta sviluppando negli ultimi decenni la parte finale della catena produttiva, ovvero quella del riciclaggio dei

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materiali. Per quanto riguarda gli scarti lignei, gran parte della trasformazione è indirizzata alla produzione di prodotti combustibili per l’alimentazione di impianti di riscaldamento.

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INDUSTRIA DIGITALE E PRODUZIONE CONDIVISA La disponibilità di spazi industriali dismessi lungo l’asse del canale è sicuramente alla base della presenza in questa parte di città di numerose realtà legate alla produzione digitale, ITC e a forme di produzione condivisa (MakerSpace, HackerSpace, FabLab).

Queste sono infatti attività che solitamente tendono ad occupare gli spazi lasciati vuoti dalla produzione manifatturiera e industriale propriamente detta.

Un’altra ragione per la concentrazione in quest’area di questo tipo di realtà, è la centralità di quest’area rispetto al bacino metropolitano e al centro di Bruxelles, poiché esse traggono vantaggio da una localizzazione facile da raggiungere per i propri utenti.

Per quanto riguarda l’industria digitale, nel centro storico di Molenbeek è presente una sorta di mini-hub di imprese digitali, rappresentato dal Centre d’Entreprise La Minoterie e dal iMAL (Centro per la Cultura e Arti Digitali) che oltre ad essere un centro culturale fornisce spazi a professionisti e strutture condivise, profilandosi come una sorta di HackerSpace indirizzato alla grafica, video ed audio editing e web design. Queste realtà pur essendo nate grazie a processi di riqualificazione e finanziamenti pubblici hanno creato una piccolo ecosistema di aziende e professionisti del settore attorno ad essi, tanto da far coniare il termine “Molengeek” (unione del toponimo “Molenbeek” e del termine inglese “geek”, che sta per “nerd”) per definire il quartiere.

Non è probabilmente casuale la vicinanza di questo distretto ai centri direzionali della Gare du Nord e della zona di Tour & Taxis, essendo un tipo di attività che opera nel settore dei servizi, mentre è interessante notare che la presenza di forme di manifattura per così dire “alternative”, quali appunto i MakerSpace, gli HackerSpace e i FabLab si sono nel tempo

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concentrate nel settore sud del comune, sul confine con quello di Anderlecht.

Nella zona del Quai des Industries sono infatti presenti la MicroFactory (principale esempio di condivisione di spazi produttivi a Bruxelles), l’Hackerspace BXL, il Centre d’Entreprises Euclide, l’atelier condiviso de L’Uzinne e il FabLab dell’Università di lingua Fiamminga di Bruxelles.

Salvo quest’ultimo, la cui presenza è legata alla collocazione del campus tecnologico universitario, le altre realtà hanno trovato in questa parte del comune una tipologia di spazi più adatta, con dimensioni maggiori e più a buon mercato perché più distante dal centro e in un contesto sia socialmente che architettonicamente più degradato.

Essendo legate principalmente a forme di associazionismo il fattore economico gioca un ruolo fondamentale nella creazione di questi spazi; il pubblico (com’è accaduto nel caso della MicroFactory o de L’Uzinne) interviene in una fase successiva tramite sovvenzioni o sgravi fiscali, riconoscendo il ruolo che queste realtà hanno nello svolgere azioni di riqualificazione di porzioni di città.

139

MICRO FACTORY Posizionata lungo il canale, sul confine fra i comuni di Molenbeek e Anderlecht, la Micro Factory è uno spazio di lavoro condiviso, dalle caratteristiche assimilabili alla categoria dei MakerSpace. Essa offre ai suoi associati la possibilità di utilizzare liberamente utensili e macchine per diverse lavorazioni artigianali su legno, metalli, tessuti e carta, oltre che delle postazioni di stampa 3D. Nato da una costola dell’associazione Micro Marché nel 2014, si definisce come “atelier de fabbrication partagé“. Negli anni l’associazione si è strutturata offrendo diverse tipologie di affiliazione flessibili fino a raggiungere i 150 iscritti odierni.

La sistemazione attuale risale al 2016, in seguito allo spostamento delle attività del MicroMarchè e della MicroFactory dal Quartier des Quais nel centro di Bruxelles ad alcuni locali inutilizzati dell’azienda di riciclaggio RecyK. Lo spazio dei laboratori è ricavato all’interno di un capannone degli anni ‘80, per una superficie di circa 700 mq, dalla struttura modulare

lavorazione metalli

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lavorazione del legno

in calcestruzzo armato e caratterizzato da una forma allungata e una serie di lucernari allineati al centro della copertura.

L’edificio condivide gli accessi carrabili e le aree esterne con l’edificio destinato al MicroMarché e all’azienda di riciclaggio.

Lo spazio è stato suddiviso in tre settori principali: il primo è chiamato “atelier légèr“e oltre alla zona di accoglienza e uno spazio per bambini include le lavorazioni che non necessitano di attrezzature fisse e la parte stampa, serigrafia e stampa 3D. Gli altri due settori sono rispettivamente adibiti alla lavorazione del legno e del metallo, con tavoli da lavoro, postazioni per macchinari fissi e box chiusi dotati di aspirazione meccanica per lavorazioni come verniciatura, saldatura e molatura dei materiali.

L’atelier è attrezzato con ampie zone di storage per materiali, attrezzature e realizzazioni personali degli associati.

Nell’edificio adiacente è presente un bar caffetteria aperto anche al pubblico.

stampa 3D informatica, serigrafia

MicroMarché

caffetteria

141

paesaggio

analisi del tessuto urbano

Nonostante una larga parte del settore centroorientale dell’agglomerazione condivida un processo di formazione, una storia e una situazione socio-economica simile, l’analisi del costruito si è concentrata su di un segmento di città che presenta una particolare omogeneità edilizia e funzionale.

Questo settore, che corrisponde alla zona sud del comune di Molenbeek, compresa fra il centro città ad est e la ferrovia ad ovest, è attraversato dal canale, situazione, questa, che presenta delle caratteristiche del tutto peculiari e perciò di interesse all’interno dello studio urbano.

Inoltre l’omogeneità che caratterizza quest’area non è solo di tipo architettonico, ma riguarda anche la situazione delle attività produttive: qui più che nel centro storico di Molenbeek le architetture industriali ospitano ancora attività di tipo produttivo-artigianale, che anche quando non sono quelle originarie, possono comunque fornire una lettura dell’utilizzo di questi spazi e di questi edifici, proprio perché ancora in larga parte intoccate da processi di rifunzionalizzazione e rinnovo edilizio, che pure cominciano sempre più frequentemente ad essere realizzati.

Per questa serie di motivi, il tema della mixité di funzioni, soprattuto dal punto di vista spaziale e tipologico è perfettamente rappresentato dall’area presa in esame.

Avendo già affrontato le ragioni storiche ed economiche che hanno determinato l’aggregarsi di realtà produttive in questa parte di città, non resta per comprenderla al meglio, che studiare le modalità con le quali quest’aggregazione e questa convivenza con l’edificato residenziale si sono manifestate, dal punto di vista della costruzione della città, a scala di quartiere, isolato e anche di tipologia edilizia.

155

MORFOLOGIA DEL COSTRUITO Nell’area coesistono diverse categorie edilizie; gli edifici residenziali e quelli di tipo industriale occupano all’incirca le stesse quantità di suolo, con i primi che tendono a sviluppare volumetrie maggiori, distribuendosi si più livelli, mentre i secondi solitamente hanno uno sviluppo più orizzontale e distribuito su un solo livello.

Fanno eccezione i grandi insediamenti industriali e magazzini situati principalmente lungo le banchine del canale e lungo rue de l’Indipendence, che oltre ad avere metrature molto grandi, presentano altezze interne rilevanti, spesso superiori ai 6 metri.

Riguardo la superficie coperta gli edifici di tipo produttivo (capannoni, rimesse, tettoie, shed, impianti industriali, magazzini) sono in leggera prevalenza, proprio per le caratteristiche funzionali ad essi richieste. Notiamo come ci siano degli assi privilegiati per lo sviluppo della residenza e altri lungo il quale prevalgono i fronti di edifici a destinazione produttiva.

Come già detto, le banchine del canale di Charleroi (Quai de Mariemont e Quai de l’Industrie) e Rue de l’Indipendence ospitano stabilimenti industriali di grandi dimensioni, ma anche la centrale Rue de Birmingham e le strade che costeggiano il fascio ferroviario rappresentano assi lungo i quali si sono localizzati edifici di tipo artigianale e produttivo di medie dimensioni.

Al contrario, un asse di penetrazione urbana come la Chaussée de Ninove si è caratterizzato per un edificato prettamente residenziale con la presenza di attività commerciali o artigianali al piano terreno. Vale lo stesso per lo spazio pubblico urbano principale del quartiere, ovvero Place de la Duchesse de Brabant, che si caratterizza per dei fronti compatti di edifici residenziali con piccoli locali commerciali al piano terra. Quasi del tutto residenziale è invece l’edificato lungo le strade secondarie,

156

con gli accessi alle strutture produttive presenti all’interno degli isolati ben integrati nei fronti.

La continuità del costruito è interrotta puntualmente dalla presenza di interventi edilizi di dimensioni rilevanti, caratterizzati soprattutto dalla presenza di grandi blocchi residenziali a torre o in linea realizzati su precedenti superfici industriali demolite.

Alcuni sono di realizzazione più recente (Quai de l’Industrie e Gare de l’Ouest ancora in corso) e destinati al mercato, altri, risalenti agli anni ‘50-’60 sono interventi di edilizia residenziale pubblica (Rue Decock, nel centro del quartiere, e Rue De Gunst/Rue Bonehill).

In ogni caso si tratta di edifici caratterizzati da una scala completamente differente dal contesto e dall’adozione di tipologie edilizie contemporanee e “di massa” come il condominio a torre o a corte, estranei originariamente al tessuto urbano dell’area, caratterizzato dalla prevalenza di case a schiera individuali (le cosiddette “maisons mitoyennes”), tipiche del Belgio e delle aree circostanti.

Per cercare di analizzare le logiche di distribuzione delle funzioni all’interno del quartiere, di seguito sono state prese in considerazione quattro diverse porzioni di tessuto urbano. Queste si differenziano fra di loro per conformazione dei lotti e prevalenza della funzione produttiva rispetto a quella residenziale.

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ISOLATO 1 Delimitato dalla Rue de Birmingham e dalla Chausséè de Ninove, l’isolato si caratterizza per una discreta varietà tipologica. Lungo la Rue de Birmingham, si concentrano edifici di tipo industriale, solitamente con la parte a uffici su fronte strada e la zona produttiva nell’interno del lotto, che in alcuni casi attraversano interamente l’isolato. Questo si è verificato probabilmente in seguito ad espansioni ed acquisizioni in fasi successive.

Dato lo sviluppo in profondità di alcuni complessi, nella zona centrale dell’isolato, gli edifici tendono ad assumere la forma di maniche allungate o stecche multipiano.

All’angolo fra Rue d’Enghien e Rue de Bonne è situato il deposito dei tram della società di trasporto pubblico, dalla conformazione a shed, che si presenta come un’eccezione nel

costruito, così come lo stabilimento, a sviluppo orizzontale che da Rue de Birmingham affaccia su Rue de Bonne, circondando i lotti angolari caratterizzati da una morfologia più residenziale e mista. Procedendo verso Place de la Duchesse e lungo la Chaussée l’edificato assume caratteristiche più residenziali e i lotti tendono ad assumere dimensioni più ridotte, dal fronte strada stretto (6-8 m), il cui interno ospita talvolta piccole rimesse o shed.

L’affaccio sulla piazza presenta un fronte di edifici con il piano terra destinato ad attività commerciali.

ISOLATO 2 L’isolato compreso fra la Rue de Birmingham e il Quai de Mariemont ha una forte componente industriale. Gli edifici che affacciano sulla prima sono caratterizzati da una morfologia tipicamente industriale e produttiva di medie dimensioni: shed, capannoni o locali dalla conformazione allungata presenti al piano terra di edifici per abitazioni. Come per l’isolato prospiciente, il carattere residenziale diminuisce allontanandosi dalla Place de la Duchesse du Brabant, ma a differenza di quest’ultimo si nota una minore presenza di edifici multipiano. Nel settore centrale di Rue de Birmingham, ad esempio, si trova una serie di edifici che si sviluppano sul solo piano terra, così come l’affaccio sul canale è quasi interamente occupato da un grosso stabilimento in struttura prefabbricata, di

158

costruzione più recente rispetto al resto dell’isolato. Fanno eccezione gli edifici che affacciano su Rue de Bonne, anch’essi più recenti di quelli lungo la Rue de Birmingham, che si sviluppano su maniche a più piani e per la loro conformazione sono stati di fatti soggetti a rifunzionalizzazione per ospitare uffici pubblici.

Lungo la Rue de Manchester si trovano lotti di dimensioni inferiori, nei quali sono stati ricavate strutture adatte ad attività produttive accorpando l’interno di più particelle, con un affaccio su strada carrabile spesso limitato a una sola di esse. In questo isolato è possibile notare una certa permeabilità verso l’interno dalla strada, con la presenza di cortili ed aree di carico attorno ai quali si sviluppa il resto delle strutture.

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ISOLATO 3 Questo gruppo di isolati è caratterizzato dalla presenza preponderante di lotti gotici, che presentano una continuità pressoché ininterrotta su fronte strada, mentre offrono una serie di varianti per quanto riguarda l’utilizzo dello spazio interno.

Se la maggior parte degli “annexe”, ovvero i moduli in aggiunta al corpo principale della casa a schiera, sono utilizzati come estensione dell’abitazione o garage, vi è un discreto numero di casi in cui gli ambienti aggiunti al pian terreno diventano officine, atelier, rimesse.

In alcuni casi la conformazione è quella di casa-atelier, con gli spazi delle due funzioni comunicanti e attribuibili in origine a un solo proprietario. In altri, laddove la porzione destinata ad attività produttive assume dimensioni maggiori, l’intero fronte strada

al piano terra e quindi l’accesso carrabile, è occupato da essa, mentre la residenza è situata ai piani superiori. In questi casi il collegamento verticale è costituito da un vano scala totalmente separato.

Altri lotti ancora, completamente destinati alla produzione, seguono lo schema secondo il quale gli spazi di relazione e amministrazione si collocano su strada, e l’ambiente di lavoro sul retro.

La conformazione del lotto gotico si presta alla possibilità di “assemblaggio”, unendone due o più per espandere la proprietà. Solitamente ciò è avvenuto acquisendo il lotto adiacente, ma sono presenti alcuni casi in cui ciò è avvenuto interessando il lotto retrostante, dando luogo ad un nuovo lotto “passante” all’interno dell’isolato.

ISOLATO 4 L’isolato in questione, compreso fra il Quai de l’Industrie e Rue Heyvaert, presenta una struttura esemplificativa del tipo di aggregazione che ha dato luogo al tessuto urbano del quartiere.

Infatti, si può notare chiaramente come le strutture produttive abbiano occupato la parte centrale, e quindi il lotti di dimensioni maggiori, lasciando quelli angolari alla residenza e al commercio. Questo determina sul fronte stradale un’alternanza morfologica, dove la serie di maisons mitoyennes e piccoli condomini è interrotta nella sezione centrale dall’affaccio su strada di grandi strutture industriali, come ad esempio avviene su Rue Heyvaert dove il corpo centrale della grande fabbrica di lattine interrompe col suo fuoriscala la continuità delle facciate residenziali.

160

Gli edifici che affacciano sulla banchina del canale hanno forma e caratteristiche particolari, in quanto originariamente destinati alla funzione di depositi per le merci giunte via battello. Si tratta difatti principalmente di strutture che sono variazioni sul tema della tettoia, anche quando sono connessi ad un edificio su fronte strada a funzione residenziale o amministrativa. Di questi edifici, il più degno di nota è certamente la grande tettoia metallica denominata “Libelco” dall’azienda che vi risiede, che oltre a risaltare per le sue dimensioni importanti ha acquisito anche un ruolo di landmark, per via delle due gru che dalla tettoia sovrastano la sede stradale, un tempo utilizzate per la movimentazione delle merci dai battelli ancorati alla banchina.

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ANALISI DELL’EDIFICATO La coesistenza di diverse tipologie architettoniche e di diverse funzioni che è caratteristica del quartiere si esplica anche e soprattutto a livello formale nell’edificato.

Non solo forme architettoniche e tipologie caratteristiche della fabbrica quali le tettoie industriali, le coperture a shed ed elementi tecnologici tipici come le ciminiere si affiancano nel paesaggio urbano alla residenza, ma spesso vi si combinano all’interno di un solo fabbricato, generando ibridi dotati di particolari caratteristiche.

La forma più ricorrente di questi ibridi nei quartieri di origine industriale si genera dalla classica conformazione delle case a schiera brussellesi edificate su lotto gotico.

Generalmente, il corpo principale è composto da una facciata di larghezza modesta (circa 6 metri in media) con due soli affacci: uno sul fronte strada e uno sull’interno dell’isolato.

A questo corpo principale, che possiede due o tre camere in enfilade per piano a seconda del periodo di costruzione e del ceto sociale a cui era destinato, vengono aggiunte delle espansioni chiamate “annexes”.

Le ragioni di queste espansioni potevano (e possono tutt’ora) essere le più svariate; aggiungere locali servizi con la diffusione dell’acqua corrente e delle cucine economiche, o ingrandire l’abitazione con nuove stanze. [38] Nel territorio di Molenbeek-Saint Jean e nel resto del corridoio operaio lungo il canale questo modello viene adoperato implementando locali per attività lavorative, botteghe, depositi. Gli annexe prendono la forma e la dimensione di vere e proprie piccole fabbriche connesse al piano terra dell’abitazione principale, dotate spesso di accessi carrabili indipendenti o piccole corti per la movimentazione, spesso dotate di tettoie o shed e persino di piccoli camini di evacuazione.

In origine, dato che la stragrande maggioranza delle unità era monofamiliare, questi ambienti di lavoro erano legati all’economia e alla professione del singolo nucleo familiare.

Col passare del tempo e con la frammentazione delle case monofamiliari in più unità abitative questa correlazione è andata perduta e si è assistito all’occupazione di questi spazi per gli usi più disparati, quelli che non sono rimasti ad uso produttivo sono stati trasformati in negozi (diretta evoluzione nel caso di botteghe artigiane che prevedevano affacci ed esposizione su strada) o garage ad uso privato, sfruttandone l’accesso carrabile.

L’evoluzione delle necessità urbanistiche e funzionali e la progressiva smobilitazione delle attività produttive dai loro edifici originali, ha permesso, a partire dalla seconda metà del ‘900, il verificarsi di nuovi meccanismi di condivisione dello spazio. Da questa frammentazione l’uso a scopi produttivi ne è uscita ridimensionata ed affievolita, a favore di quella residenziale e terziaria.

Un’altra parte consistente del patrimonio edilizio analizzato fa parte di una categoria dalle caratteristiche più spiccatamente industriali.

In questo caso, parte dell’edificio è dedicata alla parte “immateriale” del processo industriale. Soprattutto negli edifici più recenti l’edificio produttivo presenta una divisione spaziale più marcata fra gli ambienti destinati ad uffici, amministrazione e rappresentanza, posizionati solitamente su fronte strada e con accesso separato, dalle dimensioni variabili a seconda del tipo di azienda. Le fabbriche più antiche, a fronte di una divisione volumetrica meno netta, tendono a far risaltare l’affaccio su strada con un trattamento della facciata privilegiato per decorazione, materiali ed evidenza degli accessi.

[38] Patrick Burniat, Bernard Espion, Odile De Bruyn, “La maison bruxelloise”, Bruxelles Patrimoine n°03, 2012

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ASSONOMETRIA EDIFICIO

IMPIANTO DEL LOTTO

DISPOSIZIONE FUNZIONI

confine del lotto attuale

parte produttiva

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parte residenziale

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PROGETTO

programma - Linee guida - Programma funzionale - Area d’intervento ed opportunità

elaborati progettuali - Rue de Birmingham 53-55, factory common - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Rue de Manchester 13-15, centro di formazione professionale - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Quai de l’Industrie 75, residenze per artigiani e laboratorio condiviso - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

- Rue de Liverpool 23, showroom factory - informazioni - strategie - programma funzionale - elaborati

conclusioni - Strategie per l’Urban Production - Interazioni ed esternalità

programma

Prima di procedere alla fase progettuale vera e propria è necessario inquadrare brevemente le condizioni operative in cui essa deve essere svolta.

Nel programma vengono definiti dei punti fermi di partenza per la realizzazione dei progetti, rispondendo a delle semplici domande: innanzitutto cosa si vuole fare, qual è l’obiettivo di questa sperimentazione?

In secondo luogo, come si vuole procedere, e con quale metodo?

Da qui deriva la necessità di rendersi conto del contesto non solo fisico ma anche normativo in cui si opera, sul quale verranno fatte le dovute considerazioni.

A questo punto restano da definire il “cosa” e il “dove”.

Il “cosa” è fondamentale, in quanto si tratta di una ricerca totalmente legata alla funzione, la quale implica una serie di necessità e caratteristiche dello spazio dalle quali non si può prescindere. Il programma quindi include anche una definizione del programma funzionale da inserire negli edifici, almeno in linea di massima.

Il “dove”, ovviamente, essendo una ricerca spazializzata, consiste nell’individuare l’area di ricerca delle occasioni progettuali, che, in base a tutte le condizioni fin’ora elencate verranno individuate e usate come luogo di sperimentazione.

179

LINEE GUIDA L’obiettivo di questa ricerca è quello di delineare delle strategie, dei modus operandi, riconoscere degli elementi chiave in determinate tipologie di edifici produttivi ed indagare i meccanismi con cui esse possono mescolarsi con altre funzioni, tramite degli esperimenti di progetto.

Segue dunque l’approccio chiamato “research by design” che, per definizione, fornisce ex post una serie di risultati dai quali tratte conclusioni e considerazioni.

Tuttavia è stato necessario determinare delle linee guida e degli input di partenza per procedere alla fase progettuale in maniera coerente.

Essendo le esperienze progettuali situate in un contesto reale, del quale si vogliono saggiare le potenzialità, si sono dovute prendere in considerazione limiti e regole di tale contesto.

In principio risultava già evidente che gli interventi sugli edifici avrebbero dovuto includere operazioni di ampliamento o sopraelevazione; la prima linea guida è dunque quella della saturazione dello spazio edificabile.

Per tale motivo si è cercato di rispettare la regolamentazione urbanistica belga e della regione di Bruxelles-Capitale in quanto ai rapporti di vicinanza fra costruzioni, chiamate collettivamente “regole di prossimità”, legate alla particolare composizione del tessuto urbano e tipologia costruttiva che prevede fronti stradali composti di edifici in adiacenza.

superare i 3 metri di aggetto rispetto agli edifici lateralmente contigui; l’altezza su strada massima è definita in base alla larghezza della strada stessa, ma, anche in questo caso deve rispettare l’allineamento medio del fronte costruito e la relazione con i due edifici adiacenti. [39] Tutto ciò fa sì che determinare la volumetria di un edificio sia un’operazione piuttosto pratica, rispetto a quanto deriva dall’applicazione di indici di edificabilità.

Ad esempio è possibile derogare alla norma che prevede un’altezza massima per le costruzioni nella corte interna tramite dimostrando che non sussistono problemi al soleggiamento dei lotti vicini (per ragioni di inclinazione delle coperture).

Va inoltre considerato che in caso di edifici esistenti esistono delle deroghe ulteriori, il che porta ad affermare che, nel caso si voglia procedere ad una pianificazione estesa riguardante l’urban production che coinvolga il quartiere di Molenbeek, si possano prevedere dei meccanismi normativi in grado di massimizzare l’espansione volumetrica degli edifici interessati, derogando a seconda dei casi ad alcune di queste regole di prossimità.

Le dimensioni, la sagoma e il posizionamento degli edifici in contesto urbanizzato sono strettamente legati a questioni di allineamento e distanze di rispetto in relazione agli edifici circostanti e ancora di più rispetto a quelli adiacenti; ad esempio la profondità massima dell’edificio è calcolata in rapporto alla lunghezza del lotto ma è vincolata a non

[39] Ministère de la région de Bruxelles-Capitale, Administration de l’Aménagement du Territoire et du Logement, “Titre I. Caracterteristiques des constructions et de leurs abords”, 2006

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Esempi di regole di prossimità, estratte dal documento illustrativo “Titre I. Caracterteristiques des constructions et de leurs abords”.

181

PROGRAMMA FUNZIONALE Il programma funzionale è il risultato dell’interfacciarsi fra le analisi storiche, sociali, economiche fin’ora svolte e le caratteristiche del costruito.

La generale prevalenza di piccole e medie imprese e la conformazione degli edifici disponibili nell’area hanno suggerito di dirigere verso questa direzione la messa a punto del programma funzionale.

Considerata la rilevanza della componente di condivisione dello spazio all’interno del tema dell’urban production vale sicuramente la pena di sperimentare una tipologia da essa conseguente. Nell’area sono già presenti due FabLab (la MicroFactory e il FabLab dell’università di lingua olandese), un Hackerspace e varie forme di spazi aggregati per microimprese e uffici, le quali però non offrono superfici superiori ai 150-200 m2 (anche il centro COOP di nuova realizzazione presenta degli atelier di grandezza ridotta.

Mancano invece spazi che offrano superfici maggiori per attività manifatturiere e industriali più pesanti, perciò la tipologia del factory common, con un’offerta di superfici superiori ad almeno 500 m2 si presenta come preferibile.

La delicata situazione sociale del quartiere si presenta come un’opportunità per testare il valore sociale della produzione condivisa.

Una possibilità è quella di progettare uno spazio di formazione, dove le numerose aziende presenti nell’area e nella Regione metropolitana possano disporre di spazi in cui addestrare operai specializzati, soprattutto in settori quali la lavorazione metallica e meccanica. Il posizionamento della scuola di formazione nel quartiere ha non solo una valenza ideologica, ma potrebbe essere in grado di mettere in relazione la vasta platea di lavoratori con skill tecnico-pratiche di base con le aziende del territorio e gli enti di formazione

182

e ricerca, incentivando l’occupazione di qualità.

Dalla stessa presenza di lavoratori artigiani e di professionalità non sfruttate sul territorio deriva la possibilità di riadattare la programmazione di alloggi sociali per ospitare atelier, attività artigiane e laboratori condivisi, idealmente gestiti da una cooperativa, o comunque con il coinvolgimento di forze e risorse pubbliche e private.

Non va inoltre dimenticato che molte delle aziende presenti sul territorio operano in un contesto di stretta vicinanza con l’ambiente residenziale ed altre tipologie di attività economiche, ma in una situazione di indipendenza logistica ed organizzativa.

Allora si pone la questione di come immaginare la valorizzazione e il rafforzamento di una fabbrica che si trova ad operare in questo contesto. Una via è quella di sperimentare uno stabilimento riadattato al contesto urbano, modernizzato secondo i principi della showroom factory.

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Nel factory common diverse aziende o fabbriche sussidiarie condividono lo spazio comune e i servizi messi a disposizione dal gestore.

centro di formazione

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università, enti pubblici

C

Nel centro di formazione i servizi e i macchinari per la formazione del personale sono condivisi dalle varie imprese insediate negli ambienti ad esse riservate.

attività artigianale enti pubblici

C

F

S

Nelle case-atelier la gestione e lo svolgimento dell’attività produttiva è concentrata in un unico ambiente connesso all’unità abitativa.

Il coinvolgimento degli enti pubblici consiste nella programmazione urbanistica e nel conferimento di fondi alla cooperativa.

showroom factoy

C

F

S

La showroom factory è composta da una struttura aziendale standard, dove la company è di solito presente, almeno come distaccamento, nello stabilimento.

In più, è dotata di spazi di relazione col pubblico

183

AREA D’INTERVENTO E OPPORTUNITÀ L’area in cui individuare le occasioni di progetto corrisponde al quadrilatero nella zona sud di Molenbeek-Saint Jean che è già stato oggetto dell’analisi del tessuto urbano.

La mappa delle opportunità distingue due tipi di possibile intervento: la prima è la riattivazione degli edifici produttivi abbandonati o completamente in disuso.

Essi rappresentano una parte minoritaria del capitale edilizio del quadrante, ma includono edifici di un certo interesse tipologico e architettonico.

Il secondo tipo di intervento è quello legato all’implementazione e rafforzamento della funzione produttiva in edifici attualmente utilizzati, magari solo parzialmente, o che sono situati in un lotto che presenta possibilità di espansione di un certo interesse.

La scelta dei quattro casi progettuali ha seguito criteri che rispondono a logiche diverse: - disponibilità spaziale - possibilità di espansione - interesse architettonico o tipologico - presenza di caratteristiche costruttive peculiari - aderenza ad un trend dell’urban production Due degli interventi risultano essere delle riattivazioni complete di edifici dismessi, uno in particolare di una certa rilevanza in quanto a volumetrie.

Uno di essi è un’operazione effettuata su un edificio attualmente adibito ad usi temporanei, che quindi dimostra ancora la sua versatilità spaziale; l’ultimo consiste in un riallestimento e potenziamento di una fabbrica tutt’ora operativa.

184

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produzione abbandonata

produzione implementabile

produzione attiva

edifici non produttivi

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elaborati progettuali

RUE DE BIRMINGHAM 53-55

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INFORMAZIONI

ANCIENNE BLANCHISSERIE CONTIMETER / SAUNIER-DUVAL 1920 - Costruzione dello stabilimento Contimeter 1970 - Acquisizione da parte del marchio v 1999 - chiusura dello stabilimento Struttura mista calcestruzzo armato e muratura per il corpo su strada ad uso ufficio, caratterizzato da una facciata con lievi intenti monumentali, in particolare per quanto riguarda i dettagli del portone d’ingresso e dalle grandi finestre accoppiate, separate da una colonnina. Il basamento di questa parte di edificio è lievemente rialzato, di circa un metro, per permettere la presenza di finestrelle nel piano seminterrato.

La grande manica di 4 piani in mattoni retrostante, caratterizzata da grandi vetrate a pannelli di tipo industriale è probabilmente composta di una struttura in muratura, e da un tetto a capriata, ormai in parte crollato.

Il fronte principale dell’edificio su Rue de Birmingham

190

in alto: portone di entrata alla vecchia ala per uffici in Rue de Birmingham

in basso: l’ala in mattoni retrostante vista da un cortile interno vicino

191

PROGRAMMA FUNZIONALE Per l’ex stabilimento Saunier-Duval, il programma funzionale ipotizzato è quello di una gestione centralizzata del bene, da parte di un privato che ne metta in affitto gli spazi.

Le dimensioni rilevanti e le diverse tipologie di ambienti presenti allo stato di fatto permettono già in partenza di ipotizzare diverse categorie di utilizzo degli spazi.

In questo caso è stata scelta una commistione di residenza per il 20% della superficie e di attività produttive e servizi ad esse correlati per il restante 80%.

La parte di attività produttive è declinata in modi differenti a seconda del tipo di ambiente disponibile.

Il corpo principale si sviluppa attorno all’atrio ospitando le funzioni comuni e di supporto alle attività produttive (hall di accoglienza, caffetteria, sale riunioni, spazi meeting ed uffici), oltre che ambienti modulabili destinati a piccole imprese.

La parte retrostante invece è capace di generare grandi superfici tramite le aggiunte delle coperture a shed e la presenza delle due maniche e per questo vede la possibilità di essere prese in gestione da grandi aziende.

Ogni piano delle due maniche può essere destinato ad un’azienda indipendente o essere aggregato ad altri fino a formare una vera e propria fabbrica verticale attraverso i vari piani.

I due piani superiori del corpo principale sono invece destinati alla residenza. La nuova geometria della copertura permette la realizzazione di loft secondo la tipologia del duplex, permettendo di limitare gli spazi di distribuzione comuni al solo secondo piano.

192

FACTORY COMMON + LOFT grandi aziende

4800 mq

piccole imprese

1085 mq

servizi alle imprese

1130 mq

uffici

325 mq

residenze duplex

1920 mq

piccole imprese / commercio

600 mq

300 mq

caffetteria

193

STRATEGIE L’approccio compositivo utilizzato per lo stabilimento di Rue de Birmingham è quello di una saturazione pressoché totale degli spazi edificabili, in modo da generare le maggiori superfici possibili.

La parte di cortile sgombra, dove l’altezza degli edifici adiacenti permette sostanzialmente di allinearsi al muro di cinta, viene occupata con degli shed che fungano da stabilimento industriale e che con la loro inclinazione rispettano gli allineamenti adiacenti.

Il principale intervento volumetrico è rappresentato dal raddoppio della grande manica in mattoni, pensato come un gemello del primo, che vadano a racchiudere insieme un cortile adatto al carico e scarico delle merci medianti piccoli mezzi, utilizzando anche i vani laterali alle due maniche, nei quali è possibile inserire dei montacarichi che colleghino direttamente i vari piani all’area di carico.

Alla testata di queste due maniche vi sono due core che ospitano i collegamenti verticali e i bagni, disposti secondo uno schema che ne permette la flessibilità d’uso sia nel caso in cui i piani delle maniche vengano affittati in blocco che singolarmente. Nel primo caso la circolazione verticale può essere resa ad esclusivo servizio dell’azienda che ne ha preso possesso, mentre i bagni restano come servizi al piano intero.

Ulteriore volume è stato ricavato con la ricostruzione e sopraelevazione del tetto del fronte stradale, in modo da ricavare altezze sfruttabili per ambienti residenziali.

Per minimizzare gli spazi serventi è stata individuata la tipologia del duplex come la più adatta, perché in grado di riportare la distribuzione dell’ultimo piano all’interno di ogni singolo appartamento minimizzando gli spazi destinati altrimenti a corridoio.

Il grande atrio centrale viene conservato come spazio di manovra dei mezzi di trasporto e parzialmente come spazio comune. La

194

circolazione al piano terra viene conservata il più libera possibile, inserendo solo un montacarichi per garantire la movimentazione delle merci delle attività al primo piano.

La circolazione in quest’ultimo viene garantita aggiungendo un ballatoio interno, che permette così di collegare tutte le maniche dell’edificio senza sottrarre ulteriore spazio al loro interno per motivi di distribuzione, liberandolo allo sfruttamento delle funzioni dettate dal programma.

195

NUOVI VOLUMI PRODUTTIVI

espansione

espansione

vani impianti

nuovo collegamento

La capacità dell’edificio viene raddoppiata inserendo nuovi volumi all’interno del lotto.

Alla manica trasversale esistente viene affiancato un doppio shed con un’altezza interna di 5 metri, idealmente come luogo di installazione di macchinari pesanti per l’impresa che si installa nella fabbrica verticale o come spazio singolo in caso di suddivisione della manica per piani. La stessa manica così configurata viene specchiata per creare un’altra vertical factory moderna, gemella di quella esistente. Lo spazio interstiziale creato da questi due volumi è adibito alla movimentazione delle merci.

196

SOPRAELEVAZIONE

Il tetto dell’edificio su fronte strada viene ricostruito e risagomato con un andamento a mansarda in modo tale da contenere due piani residenziali al suo interno.

La soluzione a duplex permette di fare a meno di un ulteriore corridoio distributivo fra gli appartamenti al piano superiore, facendo guadagnare spazio alla pezzatura degli stessi.

Ogni appartamento al piano superiore è dotato di un abbaino che riprende la composizione della facciata sottostante.

CORE

INSERIMENTO MONTACARICHI

circolazione verticale

circolazione verticale merci

flessibilità d’uso

vani impianti

vani impianti

I due core posti in testa alle maniche trasversali sono il fulcro distributivo dell’intervento.

Essi assicurano una circolazione verticale flessibile ed adattabile ad ogni configurazione degli ambienti per aziende, tramite l’inserimento di spazi filtro fra il vano scala e il resto dei locali al piano. In una prima ipotesi l’intera manica della vertical factory è presa in gestione da un solo attore, in questo caso chiudendo lo spazio filtro verso il resto del factory common si può escludere la circolazione estranea all’azienda dal transito nel core. Nel caso in cui i piani siano adibiti a diverse imprese o funzioni, lo spazio filtro resta aperto al transito sia verso la manica che verso lo spazio centrale, permettendo l’utilizzo del core da parte di tutti gli utenti.

Per il funzionamento della vertical factory e degli spazi produttivi in essa stabiliti è previsto l’inserimento di due montacarichi industriali, uno per manica, che mettano in collegamento il cortile con lo spazio per il carico/scarico e i vari piani dell’edificio. Lo sbarco è previsto direttamente nell’area di produzione per limitare gli spostamenti, mentre l’esclusione di determinati piani dal transito può essere controllata tramite un sistema informatizzato.

Nel caso della manica esistente si prevede di riutilizzare un piccolo volume sporgente dalla facciata, che prende la larghezza di una campata della struttura, probabilmente già utilizzato come montacarichi o vano scale.

Nell’altra manica verrà realizzato ex-novo come il resto della struttura.

197

PARETI DIVISORIE MOBILI

INSERIMENTO BALLATOIO INTERNO

divisione dello spazio

espansione

flessibilità d’uso

circolazione libera

circolazione verticale delle merci

Gli ambienti del corpo centrale del factory common, distribuiti attorno alla corte coperta centrale, sono divisibili tramite apposite pareti mobili composte di pannelli industriali.

Le pareti mobili possono essere bloccate ed utilizzate per separare differenti unità, oppure essere utilizzate dal gestore di uno spazio per separare diversi settori della propria attività.

Una volte chiuse le pareti si impacchettano lasciando lo spazio libero; potenzialmente l’intero edificio può essere configurato come pochi grandi ambienti continui, ad eccezione degli spazi comuni, oppure essere partizionato in numerose celle produttive.

198

La corte coperta centrale è lo spazio comune principale del factory common ed ospita al suo interno alcuni servizi per le imprese.

Attorno ad essa gravitano tutti gli ambienti, presentandosi quindi come un luogo di distribuzione centrale.

Per guadagnare spazio nelle maniche esistenti dell’edificio attorno alla corte, viene inserito al primo piano un ballatoio perimetrale, in modo da liberare i suddetti ambienti dalla necessità di inserirvi la circolazione. Essendo un percorso di nuovo inserimento, posto all’esterno della struttura esistente il ballatoio offre una fluidità di percorso non ricavabile all’interno della manica. Un montacarichi collega le aziende poste al primo piano dell’edificio centrale con il livello strada.

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PIANO TERRA

scala 1:500

B

A

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PRIMO PIANO

scala 1:500

B

A

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SECONDO PIANO

scala 1:500

B

A

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TERZO PIANO

scala 1:500

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SEZIONE A

S-11

SEZIONE B

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scala 1:500

Building Section

1:500

scala 1:500

RUE DE MANCHESTER 13-15

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INFORMAZIONI

ANCIENNE ÉTABLISSEMENTS VEUVE ED. DE RAET SA 1925 - Costruzione, progettista Arch. Charles Neyrinck 2016 - Chiusura dell’ultima attività occupante, la stamperia GAM Imprimerie Drukkerij 2018 - stabilimento in vendita Struttura mista calcestruzzo armato/muratura per il corpo su strada a probabile uso ufficio, costituito da un edificio modesto in parte di due piano fuori terra in parte di tre piani; presenta un ingresso unico per pedoni e accesso carrabile sito sull’angolo dell’isolato, che immette direttamente nel cortile centrale attorno al quale si sviluppa lo stabilimento.

La parte produttiva all’interno del cortile è costituita da una tettoia in lamiera, su capriate metalliche poggiate su mura perimetrali, probabilmente in muratura, o in struttura mista muratura e cemento armato. Si può presumere che l’edificio abbia subito poche manomissioni nel corso della sua esistenza, nessuna, in ogni caso, evidente o di carattere significativo.

L’ingresso ad angolo dello stabilimento.

208

in alto: portone di entrate la facciata su Rue de Manchester

in basso:foto aerea dello stabilimento Fonte:googlemaps.com

209

PROGRAMMA FUNZIONALE Il programma funzionale del Centro di Formazione prevede due aree principali distinte. La più importante è senza dubbio quella degli atelier e dei laboratori condivisi, strutturata a seconda del tipo di formazione richiesta dalle aziende e perciò dotata di partizioni di tipo industriale facilmente riadattabili. Nella proposta è impostata con aree di apprendimento frontale e di gruppo e ambienti e laboratori ad uso singolo degli apprendisti, disposti in tre aree tematiche.

Le attrezzature che hanno bisogno di box con areazione forzata o di essere in aree protette sono sistemate nel blocco sottostante al nuovo livello.

Nel nuovo livello e nel resto dell’edificio trovano, al primo e secondo piano, trovano posto spazi in cui le aziende possono insediare dei piccoli uffici o delle unità di ricerca. Nella proposta in pianta, al primo piano esse hanno una configurazione open space in cui la configurazione resta fissa mentre le postazioni sono affittate di volta in volta, mentre il secondo piano è diviso in due ambienti più grandi in grado di ospitare due aziende che ritengano di aver bisogno di uffici più grandi e strutturati.

Il resto delle funzioni sono a servizio della didattica e degli spazi aziendali.

Il primo piano, in prossimità dell’ingresso ospita la hall e gli uffici amministrativi del centro di formazione, collegati da un lato alla caffetteria e all’area comune e dall’altro agli spogliatoi per gli apprendisti.

Il nuovo volume ai piani superiori ospita aule e spazi per la didattica e all’ultimo piano due spazi per conferenze e riunioni, i quali possono servire sia per eventi interni alle aziende ospiti che aperti a visitatori.

210

CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE didattica e servizi

555 mq

laboratori condivisi

1750 mq

spazi per le aziende

1130 mq

uffici / accoglienza

325 mq

auditorium

250 mq

caffetteria

90 mq

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STRATEGIE Le strategie ipotizzate per l’ex stamperia in Rue de Manchester 13-15 è quella di costruire il nuovo edificio attorno al cortile centrale, ottenendo un percorso circolare al piano terra, anche sfruttando fabbricati esistenti e massimizzare gli spazi nel grande capannone dello stabilimento. Gli edifici circostanti permettono nuove volumetrie solo sul lato settentrionale del cortile, addossate al muro cieco del complesso in cui è presente anche l’Hackerspace BXL. Il resto delle sopraelevazioni proposte sono semplici riallineamenti degli edifici sul fronte stradale di Rue de Manchester.

Il nuovo volume ospita un nuovo corpo scala che si pone come il nucleo centrale del complesso e nuovi ambienti oltre ai locali impianti.

L’ingresso dell’edificio, che allo stato di fatto è solo uno viene raddoppiato per migliorare la fruizione degli spazi al piano terra.

Al capannone viene affiancato un volume vetrato che funga da buffer climatico, ma soprattutto da tratto di collegamento del percorso circolare attorno al cortile e dal nuovo edificio verso il nuovo livello inserito nell’altezza utile della copertura metallica.

Questo nuovo livello è costituito da due nuclei e non è continuo in modo da consentire l’illuminazione naturale del piano sottostante, nonché un’altezza libera maggiore in alcune zone di esso.

212

GSPublisherVersion 0.0.100.100

213

NUOVO VOLUME DIDATTICA

INSERIMENTO LOCALI PER IMPRESE

espansione

espansione

circolazione verticale

collegamento visivo fra aree

impianti

L’addizione principale allo stabilimento è situata in una porzione di cortile, addossata al muro cieco dell’edificio adiacente.

Ospita il blocco per le funzioni didattiche, i servizi, vani tecnici e la circolazione verticale del nuovo complesso.

Le scale sono esposte in facciata, all’interno di una doppia pelle vetrata che fa parte di un circuito di percorrenza interna che si sviluppa attorno allo spazio aperto centrale, connettendo fra di loro tutte le aree tematiche del centro di formazione.

All’ultimo piano è posizionato l’auditorium a doppi altezza.

214

La zona più importante del centro di formazione è senza dubbio quella degli atelier e dei laboratori condivisi, dotata di partizioni di tipo industriale facilmente riadattabili al piano terra. Due volumi fissi, articolati su due livelli sono inseriti nella copertura, per installare macchinari che necessitano di aree compartimentate al livello degli atelier. Il piano superiore è adibito a spazi per le imprese, poste in connessione visiva con l’ambiente sottostante tramite una distribuzione a ballatoio. Li spazi ad altezza libera restanti garantiscono una certa superficie per il posizionamento di macchinari più ingombranti.

CIRCOLAZIONE ESTERNA

INTERVENTO SU ESISTENTE

espansione

espansione

buffer climatico

nuovo ingresso

distribuzione

circolazione verticale

Parte dell’anello distributivo attorno al cortile è sviluppata all’interno di un volume giustapposto alla facciata della tettoia dello stabilimento.

Oltre alla funzione distributiva e alla presenza di scale di collegamento fra i due livelli, la doppia facciata funge da buffer climatico e spazio comune per i locali didattici.

La facciata è articolata da tre grandi portelloni di accesso che mettono in comunicazione gli atelier con il cortile e permettono l’allestimento dei laboratori.

Sul fronte strada, l’altezza dell’edificio ad uso uffici viene equiparata a quella degli edifici circostanti, ricavando un nuovo volume per gli uffici delle aziende insediate nel centro di formazione.

La stessa parte di edificio, a livello strada, viene dotata di un nuovo ingresso secondario esclusivamente pedonale e separato da quello esistente, che al contrario costituisce anche l’accesso dei mezzi al complesso.

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PIANO TERRA

scala 1:500

B

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B

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PRIMO PIANO

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SECONDO PIANO

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TERZO PIANO

scala 1:500

B

A A

B

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SEZIONE A

scala 1:500

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SEZIONE B

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scala 1:500

QUAI DE L’INDUSTRIE 75

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INFORMAZIONI

FABBRICA SITA IN QUAI DE L’INDUSTRIE 75 1900/1920 - Probabile epoca di costruzione 2018 - L’associazione L’Uzinne prende possesso dell’atrio di entrata per avviare un centro socio-culturale temporaneo L’edificio si presenta con un fronte dalle caratteristiche tipiche della residenza di fine ‘800 inizio ‘900, eccetto per il piano terra che ospita l’accesso carrabile alla struttura.

L’accesso è costituito da due grandi portali ricavati nella struttura a telaio in calcestruzzo armato e lasciano supporre, insieme alla disposizione a pianta libera del piano terra, che l’edificio fosse totalmente destinato alla produzione e all’ospitare gli uffici dell’attività ai piani superiori, mancando la tipica doppia distribuzione della tipologia mista.

La manica retrostante è di particolare interesse, per la sua copertura a shed e per la disposizione su due livelli degli ambienti di lavoro.

Fronte della ex fabbrica lungo il canale di Charleroi sul Quai de l’Industrie

224

in alto: si riconosce il proilo della copertura della fabbrica retrostante

in basso: l’ingresso della struttura durante i lavori di sistemazione per l’apertura del centro culturale L’Uzinne

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PROGRAMMA FUNZIONALE Il tipo di attività produttiva prevista per Quai de l’Industrie 75 è relativa a varie forme di artigianato. Il modello gestionale previsto è quello di una cooperativa che gestisca la residenza e l’assegnazione di spazi di lavoro ad artigiani.

La relazione residenza/lavoro è articolata in due maniere differenti: per prima vi è la presenza di quattro loft duplex ricavati nella manica centrale, che presentano una situazione di promiscuità totale fra le due funzioni e il cui allestimento è lasciato completamente libero ed indipendente al singolo artigiano che vi risiede.

Inoltre, nel corpo su fronte strada e nella parte di edificio sul fondo del lotto sono stati ricavati altri sei appartamenti da due o tre vani in grado di ospitare nuclei familiari dalle 2 alle 4 persone, i quali possono usufruire degli spazi laboratorio al piano terra.

Il piano terra è impostato come un’officina aperta: la hall d’ingresso è uno spazio libero che può servire sia da ambiente di carico/ scarico che da sala per attività comuni o aperte al pubblico quali mostre, vendite, esposizioni, incontri. Rappresenta quindi l’ambiente di interazione con l’esterno della residenza collettiva.

Procedendo verso l’interno si supera il primo blocco di circolazione verticale, che prevede due sistemi meccanici separati; un ascensore per l’accesso agli appartamenti ai piani superiori e un montacarichi a servizio dei loft nella manica centrale.

La zona laboratorio centrale è la zona attorno alla quale ruota l’organizzazione spaziale e funzionale della residenza collettiva: può assumere diverse conformazioni a seconda delle esigenze della cooperativa, venendo configurato come ambiente unico, oppure come una serie di locali indipendenti, o una commistione delle due configurazioni.

226

La variabilità delle divisioni possibili permette sempre di lasciare un percorso laterale di collegamento verso la zona dei box e della lavanderia comune a servizio degli appartamenti, che può contemporaneamente servire da area di decompressione per gli ambienti di lavoro, ospitando sedute, tavoli, phone boot (postazioni isolate acusticamente per effettuare chiamate telefoniche).

Il programma funzionale prevede di avere degli utenti stabili, nei sei appartamenti e inoltre di permettere una certa rotazione degli utenti all’interno dei loft, che possono essere sia gestiti come appartamenti veri e propri, sia essere assegnati con una modalità che può richiamare quella delle “residenze d’artista”.

RES IDENZE P ER E L ABO RATO RIO

ARTI GI ANI C OND I VI SO

LOFT

444 mq

APPARTAMENTI

398 mq

LABORATORI CONDIVISI

194 mq

SERVIZI / LAVANDERIA

90 mq

HALL DI INGRESSO

92 mq

227

STRATEGIE Gli interventi sull’edificio posto in Quai des l’Industrie consistono soprattutto in operazioni di suddivisione e ridistribuzione interna.

L’ambiente di ingresso è lasciato libero ad eccezione dell’ingresso per i residenti, separato e protetto da quello verso il laboratorio per permettere una gestione migliore dei flussi nel corso della giornata.

Il vano scala attuale viene ricostruito e dotato di un ascensore per servire gli appartamenti nel corpo frontale, mentre un altro blocco di circolazione verticale è costituito dal montacarichi a servizio dei loft artigiani ai piani superiori.

I locali esistenti vengono suddivisi per permettere una modularità dello spazio e flessibilità di sfruttamento: il grande ambiente al piano terra è dotato di partizioni leggere per creare diversi ambienti di lavoro, i quali possono essere accorpati in disposizioni differenti per generare locali di dimensioni maggiori.

Interventi più consistenti riguardano i piani superiori del corpo centrale, separato in quattro unità e dove vengono inserite delle scale interne, per creare degli ambienti duplex.

Questi duplex saranno tendenzialmente adibiti a residenza al piano superiore e laboratorio al piano inferiore.

Poiché l’accesso a questa parte di edificio in passato avveniva frontalmente alcune delle finestre presenti vengono prolungate per creare dei portoni d’ingresso ai singoli loft.

La distribuzione infatti, è specchiata fra i due piani e la copertura del volume al piano terra permette l’accesso i loft lateralmente, traslando la percorrenza all’esterno e liberando quindi spazio utile all’interno dell’edificio.

Una circolazione interna è in ogni caso garantita dalla percorrenza dell’ambiente

228

principale al piano terra, che è posizionato fra i due pozzi luce costituiti dai vani scala. Oltre al primo, già menzionato, un secondo vano scala è situato fra il corpo dei laboratori e le ulteriori unità abitative realizzate nel fondo del lotto, nell’unico aumento di volumetria praticato in questo caso progettuale.

L’edificio aggiuntivo, probabilmente costruito saturando la corte al fondo della parcella prevedeva una copertura con tetto a capanna, il cui volume utile è stato aumentato trasformandola in una copertura piatta di altezza allineata al precedente colmo della falda. Con questo ampliamento si permette la realizzazione di un’ulteriore appartamento rispetto a quanto possibile nella configurazione originale.

229

SISTEMAZIONE INGRESSI E VANO SCALA

RIPARTIZIONE IN LOFT

separazione dei flussi

suddivisione degli spazi

circolazione verticale

connessione fra aree funzionali

circolazione verticale delle merci

impianti

impianti

L’ambiente di ingresso viene diviso da una vetrata o da pannelli mobili per permettere una circolazione separata ed indipendente nel corso della giornata di residenti, lavoratori e utenti provenienti dall’esterno.

Nel vano esistente viene risistemato il vano scala con l’aggiunta di un ascensore, mentre nell’annexe situato fra il corpo su fronte strada e la manica della fabbrica vera e propria viene inserito un montacarichi a servizio dei loft.

Le due distribuzioni, pur indipendenti, sono dotate di due collegamenti al piano terra ed al primo piano, in modo da lasciare libertà e fluidità circolazione fra le due funzioni dell’edificio.

230

Lo spazio principale della fabbrica viene suddiviso in quattro unità abitative composte da loft su due livelli.

Questa operazione, oltre ad interventi di ripartizione dello spazio e di collegamento verticale interno indipendente, richiede, per allestire degli ambienti funzionali, la realizzazione di piccoli box per gli impianti e il posizionamento dei servizi igienici.

La presenza di una piccola toilette al piano inferiore ne permette l’utilizzo anche da parte degli utenti esterni o eventuali collaboratori senza che essi si rechino al piano superiore.

L’accesso ai nuovi loft viene ricavato tramite l’ampliamento di finestre esistenti.

PARTIZIONI LEGGERE

suddivisione degli spazi

SOPRAELEVAZIONE

espansione

impianti

Al piano terra la fabbrica viene ripartita in un grande blocco, con distribuzione laterale esterna ad essa, formato da partizioni leggere di tipo industriale.

L’area viene allestita con gli impianti e le strutture principali, mentre la definizione degli ambienti interni è lasciata ad opera dell’utente finale. La struttura modulare del telaio strutturale dell’edificio permette la realizzazione di piccole unità modulari, fino a 9, una per campata

La parte di edificio posta sul fondo del lotto viene sopraelevata, trasformando il tetto a falde in copertura piana per ricavare un ulteriore piano adibito a residenza.

A seconda della natura dell’edificio sottostante si possono ipotizzare diversi sistemi realizzativi e strutturali; dalla sopraelevazione in muratura a quella leggera realizzata con moduli prefabbricati pannelli di legno o X-Lam.

231

PIANO TERRA

scala 1:500

A A B

B

N

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GSPublisherVersion 0.9.100.100

PRIMO PIANO

scala 1:500

A A B

B

N

GSPublisherVersion 0.9.100.100

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SECONDO PIANO

scala 1:500

A A B

B

N

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GSPublisherVersion 0.9.100.100

TERZO PIANO

scala 1:500

A A B

B

N

GSPublisherVersion 0.9.100.100

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SEZIONE A

scala 1:500

SEZIONE B

scala 1:500

GSPublisherVersion 0.5.100.100

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RUE DE LIVERPOOL 23

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INFORMAZIONI

JEAN WAUTERS ACIERS SPECIAUX - SPECIAL STEELS 1924 - Fondazione società Jean Wauters 1985 - Espansione dello stabilimento sul sito di Rue de Liverpool - Quai des Industries 2012 - Acquisizione da parte del gruppo Van Leeuwen La Jean Wauters Aciers Speciaux è un’azienda attiva nel settore della produzione e trasformazione di semi-lavorati di acciai speciali. Si caratterizza per un’impostazione ready-in-stock di prodotti standard in grado di rispondere in breve tempo alle richieste dei clienti e per la gestione e movimentazione diretta della fornitura del prodotto finito. Oltre alla fornitura di tipi particolari di acciaio per ogni utilizzo, fra cui acciaio da utensili, acciaio al cromo, barre filettate, acciaio temprato, si è specializzata anche nel taglio di precisione con apparecchiature avanzate.

La struttura è composta da diversi corpi di fabbrica; quelli principali sono strutture metalliche in cui si svolge la produzione, di altezze variabili tipicamente da capannone industriale (6-8 metri) adatte anche al transito di mezzi pesanti. Altri edifici minori in calcestruzzo e muratura, inglobati nel rivestimento in acciaio che contraddistingue l’edificio rappresentano alcuni vecchi fronti stradali accorpati alla fabbrica.

L’accesso dei mezzi pesanti e il fronte della fabbrica lungo il canale di Charleroi sul Quai de l’Industrie

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in alto: un’entrata della fabbrica da Rue de Liverpool e vista sull’interno

in basso:l’affaccio della fabbrica su Rue Heyvaert con un corpo laterale

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PROGRAMMA FUNZIONALE Il progetto per la fabbrica prevede la trasformazione dello stabilimento in una showroom factory e il potenziamento della filiera produttiva tramite l’inserimento di nuove superfici.

Il fronte di Rue de Liverpool si configura come ingresso per gli utenti, siano essi operai, impiegati o visitatori, ospitando la hall di ingresso dalla quale si ha accesso ai piani superiori con gli uffici e il percorso di collegamento al resto della fabbrica.

Al piano terra trovano spazio gli spogliatoi, le aree relax e le aree comuni destinate ai lavoratori, i quali hanno accesso da esse direttamente allo stabilimento.

La parte centrale di quest’ultimo è situata nel cuore del complesso, in diretta comunicazione con il resto delle aree.

Sull’altro fronte, verso il canale, è situata la zona di carico e scarico merci, e l’accesso dei mezzi pesanti, divisa fra la zona di stoccaggio dei semilavorati prima dei processi di lavorazione e in zona di stoccaggio dei prodotti finiti pronti ad essere inviati alla distribuzione.

I prodotti finiti di grandi dimensioni restano al piano terra, mentre quelli minori o che hanno bisogno di ulteriori lavorazioni proseguono il loro percorso attraverso la filiera produttiva, risalendo la rampa di collegamento verso il nuovo livello, dove hanno sede le sale di controllo per la produzione e per la logistica.

Da qui sono inviati al cliente.

La Jean Wauters gestisce direttamente la consegna e il trasporto dei propri prodotti finiti verso il cliente; questo programma funzionale garantisce uno spazio sufficiente alla gestione del movimento merci.

Il percorso visite, collega la hall e la sala convegni del primo piano al resto della fabbrica, permettendo una vista sui macchinari in funzione e fungendo anche da collegamento rapido fra le aree dell’azienda per i lavoratori stessi.

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SHOWROOM FACTORY

flussi delle lavorazioni

filiera produttiva

6525 mq

stoccaggio materiali

2250 mmq

stoccaggio prodotti finiti

5500 mq

sale controllo

800 mq

uffici

1270 mq

area dipendenti

350 mq

hall / percorso visite

350 mq

flussi dei prodotti finiti

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STRATEGIE L’intervento sulla fabbrica Jean Wauters consiste in un sostanziale rifacimento delle strutture in copertura e di una sopraelevazione degli affacci su strada.

La trasformazione della copertura in un unica grande tettoia inclinata permette da un lato di mantenere l’allineamento con i muri laterali in condivisione con le maisons mitoyennes che circondano lo stabilimento, mentre dall’altro permette di ricavare una doppia altezza in cui espandere le superfici dello stabilimento.

Il nuovo grande affaccio che si viene a determinare sul canale funge anche da copertura per l’area di carico scarico e insieme al volume che ospita una nuova rampa di collegamento si pone come landmark lungo il canale. La parte che affaccia su Rue de Liverpool, lungo la quale ad oggi si trova un piccolo edificio di due piani che ospita uffici ed ingresso viene completata, unificando il fronte strada, mimando le proporzioni delle residenze vicine. Lo stesso avviene per il corpo basso che affaccia su Rue Heyvaert, il quale viene trasformato in un grande affaccio verso la città, tramite una grande vetrata che mette in comunicazione l’interno della fabbrica con l’esterno. In questo ambiente trova anche spazio una nuova circolazione verticale dedicata principalmente alle visite della fabbrica.

Il percorso nasce dal corpo uffici e si sviluppa a mezza altezza attraverso le travi reticolari che sorreggono la copertura fino a biforcarsi, collegando l’estensione della fabbrica al secondo piano, il corpo uffici e la zona visitatori nell’affaccio verso la città.

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GSPublisherVersion 0.0.100.100

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NUOVO VOLUME PRODUTTIVO

espansione

espansione

sudddivisione funzionale

nuova entrata

area carico/scarico coperta

landmark sul canale

Lo stabilimento viene dotato di un nuovo volume produttivo, tramite un sostanziale ampliamento su un secondo livello sovrapposto a parte della superficie esistente.

La copertura è completamente rinnovata ed è costituita di grandi travi reticolari che permettono di interferire meno sulle superfici di transito interne. Aggettando, queste fungono da copertura per la zona di sosta e carico/scarico dei furgoni oltre che da punto di osservazione verso la città, rappresentando una nuova monumentale facciata della fabbrica verso le banchine del canale.

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DISPOSITIVI PER LA CIRCOLAZIONE

circolazione verticale merci

landmark sul canale

Per garantire il collegamento col nuovo livello della fabbrica e migliorare il percorso della produzione e della movimentazione delle merci e del materiale, lo stabilimento viene dotato di nuovi sistemi di circolazione verticale. Innanzitutto la continuità spaziale fra i due piani è permessa dal posizionamento di una grande rampa industriale, praticabile dai mezzi di movimentazione. Oggetti più ridotti possono essere invece mandati al piano superiore tramite due montacarichi. Al termine del processo una nuova rampa racchiusa in un volume curvo riporta il flusso all’area di carico merci e sfrutta una parte laterale del lotto per creare un elemento di riconoscibilità.

PERCORSO VISITE

NUOVI UFFICI E HALL D’INGRESSO

espansione

espansione

nuova circolazione verticale

circolazione verticale

nuovo elemento distributivo

nuova entrata e hall

passerella di osservazione e finestra sulla città

impianti e servizi

Per l’accoglienza e la circolazione dei visitatori lo stabilimento si dota di un percorso specifico, che unisce la hall di ingresso al nuovo affaccio della fabbrica lungo il fronte urbano, tramite le rampe della scala principale e una passerella sospesa fra le travi reticolari della struttura.

Dalla passerella, che ha anche funzioni di collegamento fra i vari settori, si può assistere alle diverse fasi della produzione, fino a giungere ad una sala finale, dotata di una grande vetrata aperta sulla strada, una finestra di comunicazione visiva fra interno della fabbrica e città ordinaria, che riallaccia il rapporto mostrando i macchinari in funzione.

La nuova struttura funzionale dello stabilimento richiede dei maggiori spazi adibiti alla zona uffici, nonché un carattere di rappresentanza degli stessi, con sale conferenze e sale riunioni e diverse tipologie di ufficio.

In questo nuovo volume, dal profilo tipico dell’edilizia circostante, oltre alla hall di ingresso da cui utenti esterni, lavoratori e impiegati si smistano alle rispettive destinazioni trovano posto servizi igienici e locali a servizio dei dipendenti, quali spogliatoi e docce per gli operai e una cucina comune.

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PIANO TERRA

scala 1:1000

B

A A

B

N

GSPublisherVersion 0.0.100.100

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PRIMO PIANO

scala 1:1000

B

A A

B

N

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SECONDO PIANO

scala 1:1000

B

A A

B

N

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TERZO PIANO

scala 1:1000

B

A A

B

N

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QUARTO PIANO

scala 1:1000

B

A A

B

N

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SEZIONE A

scala 1:1000

SEZIONE B

scala 1:1000

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conclusioni

In questa fase conclusiva si proverà a condensare dalle esperienze progettuali una serie di punti fermi, siano essi riferiti ad elementi costruttivi ed architettonici rilevanti, strategie, soluzioni spaziali e tipologiche ricorrenti nei quattro casi studio effettuati, sia dal punto di vista dell’impatto di questi oggetti sul contesto urbano circostante. É evidente che, a seconda della tipologia presa in considerazione, questi punti in comune siano declinati in maniera più o meno rigorosa, ma, pur essendo diversi in termini di scala, tipologia e programma funzionale, l’individuazione di alcuni tratti in comune fra di essi può ragionevolmente dare luogo ad una serie di strategie ed approcci progettuali, che possono costituire un punto di partenza valido per l’applicazione di queste tipologie anche in altri contesti.

Infine, allargando lo sguardo alla relazione fabbrica urbana-contesto circostante, andranno anche considerate alcune problematiche ed esternalità che il funzionamento della fabbrica pone sul contesto e viceversa, evidenziate le limitazioni che la pressione dell’ambiente urbano crea sullo stabilimento, ma anche messe in luce le esternalità positive che il suo l’inserimento crea all’interno dell’ecosistema urbano.

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STRATEGIE PER L’URBAN PRODUCTION Nelle esperienze progettuali sono state sviluppate quattro tipologie differenti fra loro, sia in termini di scala, sia di utilizzo degli ambienti da parte degli utenti e di organizzazione dello spazio destinato alla produzione, sia di conseguenza per tipologia di attività economica possibilmente insediabile al loro interno.

Ognuna di queste tipologie, infatti, presenta delle caratteristiche, degli elementi funzionali ed architettonici peculiari che le differenzia dalle altre, ma anche dei tratti che le accomunano.

Sin dalla fase di scelta dei casi studio si sono poste delle questioni di capienza, banalmente, e di opportunità; ad esempio in quale edificio, fra quelli disponibili nell’area, adoperare una determinata strategia?

Da lì, continuando nella fase progettuale sono sorti spontaneamente degli interrogativi, delle osservazioni e delle esigenze che hanno portato a determinate scelte, spesso rispondenti alle stesse logiche.

Terminata questa fase è stato possibile riordinare questi fili conduttori fra i diversi progetti e organizzarli secondo delle categorie specifiche, delle strategie progettuali comuni che riflettono le principali scelte effettuate nei singoli edifici e che quindi possono rappresentare dei criteri di intervento validi in altri casi, secondo un approccio dal particolare al generale che si è scelto di seguire in questa ricerca.

Va comunque sottolineato che la loro applicazione è più o meno rigorosa a seconda della loro aderenza alle necessità e alle caratteristiche della tipologia considerata, ma la possibilità di riscontrare in vario modo ognuno di questi sei criteri individuati in tutti e quattro i progetti sviluppati indica una loro

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certa consistenza.

I sei criteri sono: flessibilità, componibilità, indipendenza dei flussi verticali, collegamento fra zone di concept e di produzione, accessibilità e interfacciamento con la città.

Alcuni sono principalmente di natura spaziale e distributiva, come la flessibilità o l’accessibilità, altri sono più relativi a questioni funzionali o tipologiche, come l’interfacciamento con la città o il collegamento fra le zone di concept e quelle di produzione.

In ogni caso, tutti hanno delle ripercussioni a livello architettonico e compositivo, determinando in modi diversi le caratteristiche principali dei quattro progetti.

Per ognuno di essi sono state brevemente sviluppate delle declinazioni architettoniche riscontrabili nei progetti o desunte a partire dai principi di cui sono portatori e che danno dunque vita a una serie di ipotizzabili strategie per l’urban production.

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FLESSIBILITÀ

La flessibilità degli ambienti è una caratteristica fondamentale.

Viene intesa in due declinazioni differenti: una flessibilità di tipo spaziale e una legata all’uso di tale spazio.

Nel primo caso la struttura dell’edificio deve garantire un buon grado di libertà nella definizione delle divisioni interne, che devono poter variare adattandosi alle esigenze di superfici e distributive delle diverse attività che vi si potrebbero insediare.

Una struttura regolare a telaio o composta di elementi tipicamente industriali come coperture dalle grandi luci, travi reticolari, shed può garantire questa libertà richiesta.

Nel secondo caso gli ambienti devono essere dotati di un grado di indeterminatezza tale da rendere possibili diverse configurazioni e allestimenti delle zone di lavoro, che possono variare da tipologie simil-ufficio ad altre che richiedono l’installazione di macchinari più pesanti. Questo si riflette anche sulla disposizione degli impianti (elettrici, dati, ma anche idrico-sanitari) che devono poter assicurare questa libertà di utilizzo dello spazio.

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Flessibilità spaziale

Flessibilità d’uso

COMPONIBILITÀ

Componibilità orizzontale ottenuta mediante pareti mobili

Componibilità verticale ottenuta mediante collegamento verticale e spazi filtro

Il concetto di componibilità è un’estensione di quello di flessibilità.

La possibilità di modulare l’intero spazio in porzioni diverse fra loro assemblabili gioca un ruolo fondamentale in alcune tipologie studiate nelle quali più utenze condividono un solo contenitore. Un edificio progettato secondo il criterio di componibilità permette situazioni diverse nel corso del tempo, nelle quali ogni modulo può continuare a funzionare indipendentemente.

Alcuni accorgimenti spaziali e distributivi tenuti in conto al momento del progetto fanno sì che successivamente sia semplice modificare gli ambienti. Elementi divisori leggeri o mobili, come pannellature industriali o pareti pivotanti costituiscono dei dispositivi fissi in grado di garantire la componibilità dello spazio.

Per quanto riguarda l’eventualità di un’addizione in verticale una certa ridondanza di sistemi di collegamento verticale è necessaria. Prevedere degli spazi filtro o ambienti distributivi adiacenti ai corpi scala e agli ascensori è inoltre un modo per permettere l’estensione in verticale di un modulo lasciando libera la circolazione.

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FLUSSI VERTICALI INDIPENDENTI

Dalle esperienze progettuali emerge che, pur con gradi differenti a seconda della tipologia, è permessa una certa promiscuità in piano fra i flussi delle persone e quelli delle cose.

Si parla di “cose” per includere merci, materiali, mezzi di trasporto e tutta la movimentazione di oggetti inanimati relativa alla catena produttiva. Queste avranno certamente dei loro percorsi privilegiati ed aree di stazionamento a loro riservate, senza però che sia sempre necessaria una divisione fisica fra questi e le zone dedicate agli spostamenti di lavoratori, visitatori e utenti vari.

Dove invece appare indispensabile prevedere dei dispositivi appositi e differenziati per persone e cose è nella circolazione verticale.

In primo luogo per la necessità di movimentare oggetti pesanti e per le differenti dimensioni delle due categorie, tali che per alcune lavorazioni può non essere sufficiente inserire dei montacarichi ma si dovrà ricorrere a delle rampe interne. In secondo luogo i due flussi differiscono anche per ritmo ed intensità, per cui risulterebbero l’uno d’intralcio all’altro nel corso della giornata lavorativa. Tutto ciò dà evidentemente luogo a ripercussioni anche sulla forma architettonica.

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Flusso verticale degli oggetti tramite montacarichi

Flusso verticale degli oggetti tramite rampe

COLLEGAMENTO CONCEPT / PRODUZIONE

C+P Concept e produzione nel medesimo spazio

C C

P

P

Concept e produzione collegati orizzontalmente o verticalmente

C P Collegamento visivo

Una delle variazioni più significative fra la fabbrica urbana contemporanea e quella modernista e fordista è il rimescolarsi dei processi e dei ruoli nella catena produttiva.

Spazialmente, questo si riflette nella possibilità di abbattere il dualismo fra le aree del lavoro intellettuale e quelle del lavoro manuale, o comunque materiale.

Ciò avviene in modalità diverse: si va dalla coesistenza delle due fasi nello stesso spazio, come può essere nel lavoro artigianale o negli ambienti di produzione collettiva o condivisa.

Va notato che comunque anche nello stesso ambiente sarà sempre applicata un’organizzazione dello spazio e delle superfici di lavoro che rispecchierà una certa logica.

In casi di tipologie più strutturate i due luoghi si riavvicinano e vengono posti in prossimità, dotati di collegamento diretto fra di loro, di modo da favorire una modalità di interazione non più gerarchica e monodirezionale Un altro tipo di interazione può essere quella derivante da un tipo di collegamento visivo fra le due aree, che risponde in questo caso a logiche di controllo e supervisione dei processi produttivi.

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ACCESSIBILITÀ

Per accessibilità non si intende solo la connessione funzionale di ogni ambiente ad un nucleo o sistema distributivo e da esso all’esterno, ma anche la diretta conseguenza, ovvero la possibilità di raggiungere e mettere in comunicazione tutte le aree dell’edificio fra di loro e con l’esterno.

Questo è importante sia per garantire libertà all’organizzazione della filiera produttiva ai singoli utilizzatori, senza porvi delle limitazioni spaziali e distributive, sia per permettere con facilità l’allestimento materiale degli spazi.

Il criterio di accessibilità porta a preferire l’inserimento di elementi di discontinuità ai margini delle unità funzionali, compatibilmente con lo spazio, ed a considerare lo schema distributivo fra i principi essenziali del progetto, organizzato secondo criteri di efficienza spaziale e dei percorsi.

Alcuni schemi distributivi appaiono più rilevanti, sia perché si sono riproposti durante le esperienze progettuali (distribuzione centrale ed in serie in particolar modo), sia secondo considerazioni di carattere pratico (una distribuzione con doppio accesso fronte/retro è spesso difficile da ottenere ma sicuramente funzionale).

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Distribuzione centrale

Distribuzione in serie

Distribuzione su fronte e retro

INTERFACCIA CON LA CITTÀ

Hall / zona lounge

Spazi pubblici

Showroom

Una urban factory, per definizione, svolge il suo ruolo economico principalmente in funzione del suo rapporto fisico e relazionale con l’organismo urbano.

L’avvicinarsi di alcuni tipi di produzione a forme di artigianato altamente specializzato e la tendenza di usare la spettacolarizzazione del processo produttivo come mezzo di comunicazione e promozione impongono la presenza di aree e dispositivi in grado di espletare questa funzione di “interfaccia” tramite la quale la fabbrica si relaziona con la città. É certamente il caso della showroom factory. Non va dimenticata anche l’esistenza di alcuni tipi di attività con un’organizzazione del lavoro simile a quella di ambienti ufficio, che da quest’ultima traggono alcune caratteristiche di distribuzione ed ambienti, tra cui aree per visitatori frequenti, sale riunioni, ingressi con spazi di attesa e in genere ambienti dedicati agli utenti esterni.

Ciò vale anche per la tipologia del centro di formazione e per quelle tipologie che fanno da contenitore a una pluralità di attività e che devono fornire ad esse determinati servizi e ambienti per funzioni di supporto alla produzione.

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INTERAZIONI ED ESTERNALITÀ Al termine di questa ricerca, sia traendo informazioni dalla fase di indagine, che da quella progettuale, si evidenziano alcune interazioni fondamentali fra l’oggetto fabbrica e l’ecosistema urbano in cui essa si inserisce.

Lo stabilimento ideale che consideriamo operare nella città è un sistema sociotecnico che per svolgere le sue funzioni agisce sull’esterno con delle ripercussioni, talvolta positive, talvolta, pur premettendo un massimo livello tecnologico al suo interno, negative.

Come esposto nel capitolo iniziale una fabbrica urbana è un’azienda che opera in stretta relazione con la città, da essa ne trae risorse e su di essa reinveste la ricchezza prodotta; perciò è impossibile immaginare che al suo stabilirsi e durante la sua attività, il contesto circostante, fisico, economico e sociale non sia modificato dal suo operare.

Da questa osservazione deriva che, dopo aver adattato le esigenze del processo produttivo e dell’organizzazione aziendale alla città e ai vincoli architettonici degli oggetti che la compongono, è necessario riflettere sugli adattamenti che la città mette in atto per assecondare la funzione produttiva e quali sono le conseguenze che essa subisce.

Fra quelle negative derivanti da questa interazione, vi è certamente la necessità di sostenere il carico di spostamenti e mezzi di trasporto legati all’accessibilità del sito e la movimentazione di merci e materiale, da cui deriva la necessità di prevedere adeguati spazi all’interno del tessuto urbano per permettere a questi scambi di avvenire senza disturbare le altre funzioni.

La natura di stabilimento industriale stesso, per quanto tecnologico e “leggero” prevede la presenza di macchinari ed impianti di dimensioni talvolta rilevanti, il cui

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funzionamento può essere di disturbo.

Lo stoccaggio delle merci e lo smaltimento dei rifiuti derivati dai processi produttivi può creare conflittualità con l’uso degli spazi esterni e, in generale, l’utilizzo e l’appropriazione dello spazio costituiscono un tema di delicata progettazione.

Dicevamo però, che l’attività della fabbrica ha anche esternalità positive: fra tutte, quella di attivare economicamente e fisicamente porzioni di città, se instaurate in edifici dismessi, ma soprattutto la fabbrica in quanto sistema socio-tecnico, si compone anche di persone e capitale umano, sul quale investe e che trova in esso luogo di espressione e di attivazione socio-economica.

Da questo punto di vista, il funzionamento di una fabbrica crea delle ricadute a cascata sulla città; con la sua produzione crea ricchezza, con il lavoro in essa svolto permette stabilità economica, innesca nuova economia tramite altre aziende che lavorano per soddisfare i suoi bisogni di beni e servizi che da sola non può produrre.

Il funzionamento di un entità del genere è piuttosto complesso dunque, non solo al suo interno, ma anche nelle relazioni che esso instaura al suo esterno; di esse, solo una piccola parte sono raccolte in quanto segue, certi che, su questo punto, si aprano nuovi spazi per la continuazione di questa ricerca.

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IMPATTO DEI MEZZI DI TRASPORTO

EMISSIONI

Il tema a più largo impatto, per quanto riguarda la città e i rapporti con l’urban production, è quello della logistica relativa alle aziende all’impatto dei mezzi di trasporto sulla viabilità urbana.

Se la problematica ambientale resta certamente di rilievo ancora oggi, è pur vero che il crescente diffondersi di mezzi di trasporto ibridi o elettrici e di sistemi di distribuzione automatizzati ne hanno diminuito l’urgenza, almeno in alcuni luoghi.

Ciò che resta spesso irrisolto a livello di pianificazione e gestione dello spazio pubblico e della viabilità è la commistione fra i mezzi di trasporto e il flusso di altri veicoli privati e i percorsi pedonali. Questo è un tema che solo in parte può essere assorbito dall’alternanza temporale nell’esercizio delle funzioni urbane, ma che va affrontato in sede di pianificazione urbana tramite uno studio della mobilità alternativa. dell’intermodalità e tramite la creazione di aree e percorsi specifici per i mezzi commerciali ed industriali, parallelamente a quanto già si provvede a fare per la mobilità pubblica e ciclabile.

La convivenza tra funzioni implica l’intrecciarsi delle produzioni fisiche del loro svolgimento.

Per quanto riguarda la produzione industriale in contesto urbano abbiamo premesso che la tipologia di processi produttivi che vi si insedia è caratterizzata da un basso impatto ambientale e, in ogni caso, le emissioni inquinanti derivate, anche se minime, possono essere abbattute tramite l’utilizzo di impianti di depurazione dell’aria e dell’acqua e tramite lo stoccaggio dei materiali di risulta e il loro smaltimento adeguato.

Il funzionamento di questi impianti, insieme a quello dei macchinari può essere causa di emissioni rumorose e vibrazioni che vanno considerate fra gli elementi di conflittualità con la città circostante. Un certo grado di convivenza è permesso dagli orari di funzionamento prevalentemente complementari a quelli della residenza; meno complementare è l’orario di altri tipi di attività lavorative e di servizi pubblici.

Al proposito di ridurre questi disturbi deve intervenire la progettazione tecnica ed architettonica dell’impianto.

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ATTIVAZIONE ECONOMICA

ATTIVAZIONE SOCIALE

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La fabbrica può essere considerata come un macchinario di per sè, che all’interno della città è in grado di produrre degli output e delle esternalità positive partendo da un certo tipo di risorse.

La città possiede risorse di tipo economico innanzitutto, di conoscenza grazie al suo ruolo centrale nella società e dispone di un vasto capitale umano, con annesse capacità professionali, da cui attingere.

Il sostegno e la pianificazione dell’urban production quindi, si configura come uno strumento per innescare un processo di attivazione economica all’interno del tessuto urbano. Le tre risorse coinvolte nel funzionamento della fabbrica vengono sfruttate nel metabolismo produttivo, che restituisce una nuova distribuzione di ricchezza economica tramite gettito fiscale e il salario dei lavoratori, favorendo l’espansione dell’economia cittadina. Inoltre, nessuna azienda è in grado di sopperire al suo ciclo produttivo da sola, quindi attorno ad essa potrà crearsi e svilupparsi una rete di altre attività di supporto che andranno nuovamente ad investire e creare occupazione sul territorio.

Se la macchina è un macchinario, essa è un macchinario di tipo socio-tecnico, nel quale la componente umana è fondamentale.

Allora si evidenzia il ruolo primario dell’industria nell’essere non solo ente ma anche luogo di espletazione del potenziale umano.

Il contesto in cui la fabbrica opera non è secondario, anzi, spesso i due si modellano a vicenda.

L’urban production, grazie a una definizione di produzione duttile, può coinvolgere nei suoi processi e nelle sue attività produttive una vasta platea di attori e di tipologie sociali.

Oltre alla capacità di mettere in relazione al suo interno enti diversi permettendo la creazione di contatti verticali fra ceti sociali ed individui di diversa formazione, nell’urban production rientra una certa quantità di attività economiche di supporto alla produzione ed ai servizi che necessità di forza lavoro non specializzata. Un secondo tipo di processo quindi, è quello di attivazione sociale legata al lavoro, all’indipendenza economica e all’inclusione funzionale nella società che necessità di un luogo per essere compiuta, in questo caso la fabbrica.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Europan 14 Theme, “Productive Cities”, 2017 Nina Rappaport, “Vertical Urban Factory”, Actar, 2015 Matteo Robiglio, “RE-USA. 20 American Stories of Adaptive Reuse: A Toolkit for Post-Industrial Cities”, Jovis, 2017 IABR, “Atelier Rotterdam The Productive City”, 2016 City Of Making, “Cities Report”, 2018 Saskia Sassen, “Cities Today: a new frontier for major development”, Columbia University Press , 2009 Saskia Sassen, “Who owns our cities?”, 2016 Cotter Dan, “Putting Atlanta Back To Work: Integrating Light Industry into Mixed-Use Urban Development” , pubblicazione on-line, Georgia Tech Enterprise Innovation Institute, 2012 Pratt Center, Maker City Association, Urban Manufacturing Alliance, “From making to manufacturing, a new model for economics development for cities and towns”, pubblicazione on-line, 2017 Nelson Nels, Doepel Strijkers Architects, Delft Technical University, “Planning the Productive City”, 2009 Peter Dizikes, “Industrial Urbanism: Places of Production”, su Plan - MIT School of Architecture Journal, 2014 George Henri Dumont, “Histoire de Bruxelles: biographie d’une capitale”, Le Cri, 2005 Roel Jacobs, “Une histoire de Bruxelles”, Racine, 2004 Le Cahiers de La Fonderie n° 33, “Molenbeek, une commune bruxelloise”, 2005 Le Cahiers de La Fonderie n° 42, “Bruxelles industrielle? Aujourd’hui et demain”, 2005 Michael Vandemeulebroek, “L’abattoir d’Anderlecht”, La Cambre, 1984 Christine Dupont, “La formation de Molenbeek : industrialisation et urbanisation” in “Molenbeek, une commune bruxelloise. Le Cahier de la Fonderie. n33”, 2005 Agence du Développement du Térritoire, “Canal? Vous-avez dit canal?” a cura di: Lise Nakhlé, Frédéric Raynaud, 2015 Agence du Développement du Térritoire, “Observatoire des activités productives 2017” Agence du Développement du Térritoire, “Observatoire des activités productives: Évolution 1997-2011” Patrick Burniat, Bernard Espion, Odile De Bruyn, “La maison bruxelloise”, Bruxelles Patrimoine n°03, 2012

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SITOGRAFIA www.bruxellesfabriques.be www.brugis.com www.bruciel.be www.monitoringdesquartiers.brussels www.industrialurbanism.com www.citiesofmaking.com www.vanleeuwen.com www.abattoirsanderlecht.com