Thesis - Belice Anno Zero

Conservazione e Fruizione dei Ruderi di Poggioreale

ELICE ANNO ZERO

Antonino Cucinella, Vito Domenico Nicastri

Belice Anno Zero Conservazione e fruizione dei ruderi di Poggioreale

Tesi di Laurea in Architettura di Antonino Cucinella Vito Domenico Nicastri Relatori Prof. G. Massimo Ventimiglia Prof. Teresa Cilona UniversitĂ degli Studi di Palermo Scuola Politecnica Dipartimento di Architettura

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Indice

Introduzione, 7 L’Italia trema, 13 Cento anni di catastrofi sismiche, 13 Il terremoto del 1968, 21 Il “caso” Poggioreale, 27 Cinquant’anni dopo il cataclisma, 35 Poggioreale Antica, 47 La storia della città Antica, 47 Inquadramento territoriale, 49 I collegamenti e la viabilità, 53 I luoghi della memoria, 57 La Conservazione dei Ruderi, 63 Analisi e classificazione dello stato di conservazione, 67 Le indagini diagnostiche, 73 Identificazione degradi e dissesti, 81 Tecniche di consolidamento e conservazione, 91 Elementi costruttivi e materiali utilizzati, 105 Il progetto di Valorizzazione, 121 Il museo a cielo aperto, 121 Palazzo Agosta, 131 La Chiesa Madre, 135 Conclusioni, 139 Bibliografia, 143

Introduzione

Elaborare un progetto di restauro significa dare priorità al bene architettonico che si intende prendere in esame. Dalla nascita del restauro fino ai giorni nostri, si sono creati differenti correnti di pensiero riguardante le tecniche e le metodologie da applicare.

Nel corso degli anni si sono affermate due correnti di pensiero riguardo il restauro: la prima, conosciuta come falso storico, prevede il ripristino del manufatto riproducendo “alla lettera” ciò che il bene era stato in passato, trascurando l’aspetto legato alla sua storicità e perdendo la propria identità; la seconda linea di pensiero prevede, invece, un’attenzione maggiore rivolta alla delicatezza dell’intervento effettuato, mirando alla conservazione dello stesso bene stando attenti a non sconvolgere in alcun modo la sua identità originaria, e valorizzandone i segni del tempo. L’uomo è sempre stato partecipe nella costruzione di manufatti architettonici, e si è sempre preoccupato di come svolgere le attività di manutenzione e di restauro affinché i beni potessero essere trasmessi nel futuro, così da poter lasciare una viva testimonianza di ciò che un tempo rappresentavano. Nel nostro caso, ovvero di restauro di 7

un rudere, le modalità dell’intervento utilizzate hanno seguito una linea di pensiero che mirasse alla conservazione integrale del bene senza creare alterazioni alla struttura originaria, mantenendo viva l’essenza intrinseca del luogo nonché il suo fascino. La scelta del tipo di intervento da effettuare su un determinato rudere dipende, certamente, dall’interesse che riveste il bene, ma anche dallo stato di degrado in cui versa, che può, in alcuni casi, suggerire lavori minimi di consolidamento. Ovviamente, quest’ultima osservazione di ‘minimo intervento’ di manutenzione, anticipa il periodo di decadenza, di distruzione, il completo abbandono e di conseguenza la perdita definitiva. Il concetto di Rudere, rispecchia l’attuale condizione in cui si trova oggi l’antica città di Poggioreale, che ha perso la sua identità la notte del 14 gennaio 1968, a causa del forte sisma che l’ha colpita. Il paese, attualmente abbandonato, è diventato negli anni un rudere caratterizzato da molteplici frammenti, ognuno dei quali, mantiene al suo interno una memoria irrevocabile. Il nostro lavoro consiste in un lungo iter analitico formato da diverse tappe, ognuna delle quali corrisponde ad una precisa fase di analisi. Inizialmente abbiamo creato una panoramica degli eventi sismici che dagli inizi del novecento, sino ad oggi, hanno colpito la nostra penisola. Questo lavoro è stato importante al fine di capire le conseguenze e gli interventi che hanno seguito i vari sismi. Successivamente abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul paese di Poggioreale, e in particolar modo sul terremoto del ’68 che portò al suo totale abbandono e al conseguente degrado. Quello di Poggioreale è diventato un vero e proprio “caso” se pensiamo che, a cinquant’anni dal tragico even-

to, sono ancora molti i dubbi sulla vicenda della sua possibile ricostruzione. Ovviamente, è sembrato doveroso fare un excursus storico riguardante la “città antica”: abbiamo raccontato la nascita e l’ampliamento del vecchio borgo, ne abbiamo tracciato i percorsi e la viabilità, inquadrandolo nel suo contesto urbano ma anche culturale, e infine abbiamo analizzato quelli che oggi possono essere intesi come luoghi della memoria. Una terza fase riguarda invece l’analisi dello stato di conservazione in cui versa l’intero sito. Attraverso il lavoro svolto sono state indicate le opportune tecniche di intervento da applicare ad ogni singolo caso di degrado. Analizzando l’intera area, e dopo aver effettuato vari sopralluoghi, sono stati riscontrati, tra gli isolati presenti, molti casi di condizioni simili ed è per questo che si è scelto di suddividere le differenti tipologie individuate in base al proprio stato di conservazione, in maniera tale da avere una panoramica generale del luogo e del suo stato di fatto. Sono stati riscontrati quattro tipologie comuni di stato conservativo, le quali sono state suddivise in: crollo esteso, crollo parziale, crollo copertura e limitato quadro fessurativo, le quali hanno contribuito a definire il quadro generale dei degradi e dei dissesti che gravano sulle strutture presenti. Attraverso un iter diagnostico, è stato possibile poi definire lo stato di conservazione dei vari fabbricati architettonici e le cause di degrado dei materiali dell’intero organismo. E’ stato possibile a questo punto creare una classificazione degli stati di conservazione. Una volta fatto ciò, abbiamo proseguito attraverso un’analisi visiva la quale ci ha permesso di individuare e identificare le tipologie di degradi e dissesti presenti in tutta l’area, e

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conseguentemente abbiamo applicato le opportune tecniche di consolidamento e conservazione per ogni bene da noi preso in esame. E’ bene ricordare, che per un completo concepimento del progetto di restauro, è essenziale svolgere un’indagine diagnostica. Essa assume un ruolo fondamentale, poiché attraverso metodologie analitiche e strumenti diagnostici, permette di ottenere importanti informazioni che saranno poi rielaborate attraverso software specifici, e che consentiranno di redigere il progetto finale. In questo tipo di analisi da noi condotta, in una fase preliminare, è stato effettuato uno studio visivo sugli elementi da noi scelti. Inoltre è stata effettuata un’analisi sulle metodologie e tecniche costruttive presenti all’interno del sito. L’ultima fase, fondamentale ai fini dell’elaborazione del progetto di restauro, è quella relativa alla ri-funzionalizzazione del centro antico. Per poter pensare ad un aria interamente fruibile per qualsiasi tipo di visitatore è pressoché impossibile non immaginare un impianto a stile museale. Il museo diventa la città stessa, dove i percorsi principali rappresentano le gallerie espositive, e i vicoletti, le abitazioni e gli scorci visivi diventano delle vere e proprie opere d’arte da ammirare. Per rendere tutto questo possibile è necessario inserire tutti quegli elementi che vanno aldilà delle stesse opere ma che sono fondamentali per il visitatore affinché possa percorrere il suo piacevole itinerario in tutta comodità. Stiamo parlando dei servizi, delle aree ristoro, delle aree sosta e di tutte quelle funzioni che contribuiscono a creare un ambiente pratico e agevole. Il visitatore è invitato a scoprire i vari spazi all’interno dei ruderi senza tralasciare il suo spirito di esploratore. Il museo a cielo

aperto, infatti, non ha l’obbiettivo di ricostruire ciò che il paese era un tempo, ma permette di rivivere l’essenza del luogo usando l’immaginazione che il rudere stesso inevitabilmente scaturisce.

Per rafforzare l’aspetto esperienziale, sono state individuate delle particolari location suggestive nelle quali il visitatore, una volta giunto, può stupirsi ed emozionarsi. In questi spazi prestabiliti, nei quali sono state effettuate delle opere di restauro e riqualifica, è possibile ammirare la commistione di elementi originali e di simboli totalmente nuovi al fine di creare degli ambienti nei quali passato e futuro si incontrano creando un percorso sensoriale non indifferente. Questi spazi sono rappresentati, per esempio, dalla Piazza degli artisti, una volta nota come Piazza del Gesù e Maria, oggi luogo simbolo estremamente carico di un senso di rinascita sia a livello artistico che culturale. L’intera area è pensata come una grande sala espositiva nella quale poter ammirare varie opere e istallazioni di grandi artisti contemporanei. La piazza Elimo, una volta cuore pulsante di Poggioreale, diventa così fulcro del paese, destinato all’ organizzazione di concerti, eventi, conferenze e rappresentazioni di carattere artistico e culturale. Il teatro comunale si riappropria della sua identità e della sua funzione rappresentativa, e come un vero e proprio teatro greco sarà animato da opere teatrali all’aperto, drammi e commedie. Il Giardino dei Principi, una volta giardino privato della residenza nobiliare, diventa oggi una vasta aerea relax immersa nella natura, dove si può sostare e respirare l’originale profumo degli agrumeti. Infine, ci siamo concentrati nell’elaborare un progetto di restauro per due particolari edifici: un palazzo nobiliare e la chiesa Madre. Il

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palazzo nobiliare, formato da due piani e situato nella via principale del paese, è destinato ad essere una sala espositiva, oltre che ad area ristoro. Pur mantenendo le caratteristiche originali, quali pavimentazione, intonaci e distribuzione interna, cambia però la funzione. Da spazio privato che era un tempo, diventa uno spazio totalmente accessibile e di conseguenza pubblico. La chiesa invece, oggi quasi del tutto rasa al suolo, mantiene il suo fascino dato quasi esclusivamente dal perimetro murario e dalla presenza dei resti di alcune colonne. L’area occupata una volta interamente dalla chiesa, diventa adesso una piazza. Il carattere sacro e spirituale un tempo intrinseco alla fabbrica architettonica, è oggi sostituito dal carattere ludico poiché l’area sarà destinata all’organizzazione di eventi di ogni tipo.

L’Italia Trema

Cento anni di catastrofi sismiche

Prima di affrontare il tema del Terremoto che nel ’68 colpì la valle del Belice, sembra doveroso fare prima una panoramica generale sul fenomeno dei terremoti, la quale si comporterà da linea guida per aiutarci a capire l’entità e le conseguenze dei vari sismi che nell’ultimo secolo hanno colpito la nostra penisola e che di seguito andremo ad analizzare. I parametri fondamentali che dobbiamo prendere in considerazione sono l’Intensità e il magnitudo.

La magnitudo, in quanto parametro fisico e oggettivo, è facilmente misurabile utilizzando una scala relativa, ovvero la scala Richter, la quale rileva la grandezza di un terremoto e l’energia che esso produce. L’intensità, invece, ci permette di stabilire le conseguenze che un sisma produce sul territorio in cui esso si manifesta. Gli effetti possono riguardare ad esempio frane o modificazioni della topografia, oppure possono riguardare strutture di ogni tipo, edifici, monumenti ed infrastrutture. Per misurare l’intensità si utilizza la più conosciuta scala Mercalli, il cui vero nome è però MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg) poiché modificata agli inizi del ‘900 da Cancani e Sieberg. La scala va dal I grado, 1

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che sta ad indicare che gli effetti del sisma sono pressoché nulli, fino ad arrivare al XII grado, che indica la totale distruzione degli edifici1 . Detto ciò, sarà possibile a questo punto, analizzare i

http://www.meteoweb.eu https://it.wikipedia.org http://www.meteoweb.eu 5 http://www.lavalledelmetauro.it 2 3 4

maggiori terremoti italiani, e ciò sarà fatto attraverso un excursus storico, che partirà dagli inizi del ‘900, e arriverà fino al 2017, suddividendo questo lungo periodo in intervalli di venti o trent’ anni (vedi tavola). Il primo ventennio preso in analisi, vede come primi protagonisti i terremoti del 1905 e del 1907 che colpirono entrambi le terre calabresi. La prima scossa, avvenuta nel settembre del 1905 fu talmente forte da essere avvertita quasi in tutta Italia: Napoli, Puglia, Sicilia orientale, isole Eolie, e persino sulla costa albanese. Il sisma generò anche una sorta di tsunami che contribuì alla distruzione di moltissimi comuni, quasi 300, soprattutto quelli caratterizzati da abitazioni costruite con materiali scadenti e malte cementizie molto deboli. La seconda forte scossa, avvenuta nel mese di ottobre di due anni dopo, se pur di minore magnitudo rispetto alla precedente, causò ingenti danni arrivando persino a distruggere completamente il paese di Ferruzzano, poiché edificato su un altura rocciosa di natura franosa. Sempre nella parte sud della penisola si verificarono nello stesso ventennio altri terremoti: quello avvenuto nel 1908, con epicentro sullo stretto di Messina2 , e il sisma che nel 1910 interessò Irpinia3 , in Basilicata. Se il terremoto dell’Irpinia causò all’incirca 50 vittime, ancor più disastroso fu quello dello stretto. Quest’ultimo infatti, fu definito come uno dei terremoti più forti della storia d’Italia. Le città vicine, ma soprattutto Messina, subirono ingenti danni. Il 90% delle strutture furono rase al suolo e la popolazione 14

subì quasi un dimezzamento: si contarono 80.000 vittime su una popolazione complessiva di 140.000. Per quanto riguarda il centro Italia, bisogna ricordare in primis il terremoto di Avezzano4 del 1915 che fu in grado di distruggere interamente il paese abruzzese e l’80% dei residenti. Successivamente si ricordano i due terremoti del mar Adriatico Settentrionale5 . Le zone più colpite risultarono essere Rimini, Riccione, Cattolica, Pesaro e Sant’Arcangelo. In seguito alla prima scossa, avvenuta nel Maggio 1918, molti edifici, quali chiese, conventi, palazzi comunali e civili abitazioni, subirono delle lesioni, le quali si trasformarono, dopo la scossa di agosto, in definitivi crolli. In Toscana, in questo periodo, si verificarono diversi sismi: Mugello nel 1919, Monterchi nel 1918, il quale interessò anche Citerna, in Umbria, e infine quello

Golfo di Patti, Sicilia 1978 Calabria, 1907 Ascolano, Marche 1943 Friuli, 1976

http://www.meteoweb.eu http://www.protezionecivile.gov.it 8 http://www.senigallianotizie.it 9 http://corriere del veneto.corriere.it 6 7

del 1920 tra Toscana e Liguria, colpendo in special modo Garfagnana e Lunigiana6 . Il secondo ventennio del 1900 è caratterizzato dalla distruzione totale o parziale di diversi centri abitativi. Il terremoto del Vulture7 , che prende il nome dall’omonimo monte, in cui si verificò nel 1930, interessò tutta l’aria circostante colpendo Basilicata, Campania e Puglia e che ebbe i suoi effetti più disastrosi fra le province di Avellino, Potenza, Benevento, Matera e 15

Bosco Consiglio, Veneto 1936 Irpinia, Campania 1962 Valnerina, Umbria 1979 Irpinia, Campania-Basilicata 1980

Foggia. Gli ingenti danni riguardanti gli edifici furono causati, oltre dalle scosse, anche dalla scarsa qualità costruttiva degli stessi (pessima malta o fango essiccato), e dal terreno in cui essi sorgevano, troppo argilloso e sabbioso. A questo, nello stesso anno, si susseguì un altro forte sisma, quello avvenuto a Senigallia8 , nelle Marche. In pochi minuti, case, chiese e monumenti si trasformarono in un cumulo di macerie. La zona del bellunese, facente parte delle Prealpi Venete, nonostante sia da sempre considerata come area tranquilla e poco soggetta a terremoti, subì anch’essa un forte sisma (magnitudo 5.9). L’epicentro fu individuato nel bosco del Cansiglio9 . L’ultimo terremoto verificatosi nel trentennio che va dal 1920 al 1950, è quello avvenuto nell’Ascolano. Poiché avvenuto nel 1943, possiamo dire poco sugli ef-

fetti che esso produsse in quanto il rilievo dei danni venne effettuato solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Il terzo e penultimo periodo preso in considerazione, vede nuovamente 10

http://ingvterremoti.wordpress.com

Gibellina, Sicilia Terremoto del 1968

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come protagonisti Irpinia e lo Stretto di Messina. A distanza di moltissimi anni, queste due località furono colpite ancora una volta da tragici sismi che distrussero quelle città e quei paesi che a fatica erano riusciti a rialzarsi dopo i devastanti eventi accaduti.

I terremoti avvennero nel 1962 a Irpinia10 e nel 1975 e 1978 a Ragusa. Era il 1968 quando le terre siciliane tremarono. L’epicentro del sisma fu rilevato nella valle del Belice e colpì i paesi di Poggioreale, Gibellina, Santa Ninfa, Montevago, Contessa Entellina, S. Margherita Belice, Vita e Salaparuta. I paesi di Poggioreale, Gibellina e Salaparuta, furono quasi interamente distrutti e sono tutt’oggi rimasti vuoti . Nel 1979 si verificò un sisma di relativa entità in Umbria ma fu quello del 1980 avvenuto in Campania ad essere considerato uno dei terremoti più forti e disastrosi Basilica di San Francesco, Assisi, Umbria-Marche 1997 Pianura Padana Emiliana, Emilia Romagna 2012

Friuli, 1976 Golfo di Patti, Sicilia 1978 Potentino, Basilicata 1990

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dell’Italia. Quest’ultimo causò circa 3000 vittime e contribuì alla distruzione di molti edifici. L’ultimo periodo preso in considerazione inizia con il terremoto del 1984 avvenuto tra Lazio e Molise e termina con quello avvenuto nel recente 2015 nell’area laziale.

Il primo, di magnitudo 5.9, colpì l’area tra Abruzzo, Lazio e Molise, e fu avvertito anche in Campania, in special modo a Napoli e Caserta. A soli 10 anni dall’ultimo terremoto, la Campania dovet18

te tornare a fare i conti con un altro forte sisma, il quale finì per distruggere le costruzioni che precedentemente erano state lesionate. Il 1997 è ancora oggi ricordato per il terribile terremoto avvenuto tra l’Umbria e le Marche11 . La notte del 26 settembre una prima scossa fece tremare la terra, ma fu quella successiva, avvenuta nelle mattinate a causare non solo la morte di 4 persone, ma il crollo parziale di una delle Basiliche più importanti del mondo: la Basilica di San Francesco d’Assisi. Il video del crollo contribuì a trasformare la disgrazia in un vero e proprio evento mediatico diffusosi in tutto il mondo. Era il 31 ottobre del 2002 quando il sisma avvenuto a San Giuliano di Puglia, in Molise, si trasformò presto in una tragedia. Il crollo di una scuola elementare causò la morte di 27 bambini e di una maestra: l’Italia rimase sotto shock.

Tra i più recenti terremoti che hanno colpito la penisola italiana 19

Il Terremoto del 1968

bisogna ricordare: il terremoto dell’Aquila che il 6 aprile del 2009 mise in ginocchio un’ intera popolazione distruggendo gran parte delle abitazioni e costringendo i cittadini a dimorare per tanti mesi all’interno di alcune tendopoli; il terremoto dell’Emilia nel 2012 , le cui scosse si protrassero per diversi mesi e che interessarono principalmente le province di Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Bologna e Rovigo; il terremoto di Amatrice-Norcia-Visso che nel 2015, e per diversi mesi, colpì il centro Italia contribuendo alla parziale distruzione di alcuni comuni, quali ad esempio Accumoli (RI).

L. Barbera (2011), I Ministri dal Cielo i contadini del Belice raccontano, : duepunti edizione, Palermo.

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“Dentro, dentro, disgraziato! Dentro che c’è lu terremoto!”

(2011). Questa è una frase che viene pronunciata da un padre mentre trascina dai polsi suo figlio dentro casa chiudendosi e sbarrando la porta alle sue spalle. Si tratta di uno dei tanti episodi raccontati e descritti da Lorenzo Barbera12 nel suo libro I Ministri dal Cielo. Questo documento in forma di narrazione parte con una marcia (la “Marcia per la Sicilia occidentale” del marzo del 1967 capitanata da Danilo Dolci) e si intreccia con la storia di un terremoto, quello del Belice. Barbera scrive della lotta per i diritti civili contro uno “Stato illegale”, che dalle promesse di sostegno alle popolazioni sconvolte dal sisma, passa alle maniere forti (l’abitudine alle cariche poliziesche contro i terremotati). La frase citata ha lo scopo di trasmettere la drammaticità dell’evento avvenuto dopo le prime scosse del 14 gennaio nel pomeriggio intorno le 14:00-15:00 del 1968. Si trattò di una prima scossa di lieve entità che, nonostante l’avvertimento naturale, non è riuscita a trasmettere una preoccupazione tale da presagire ciò che sarebbe avvenuto di li a poche ore. Il terremoto del Belice del 21

1968 colpì quasi l’intera zona collinare della Sicilia occidentale, un’area vasta di circa 6,200 kmq. La Valle del Belice è la valle costituita dal bacino idrografico entro il quale si estende il corso del fiume Belice, ed è compresa tra le province di Palermo, Trapani ed Agrigento. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio alle ore 2:33 un terremoto, di magnitudo 6.4 della scala Richter, colpi l’area del Belice. Un sisma di tale entità che fu percepito fino alle zone del palermitano. L’epicentro del sisma, però, ricadde su tre comuni in particolare: Poggioreale, Gibellina e Salaparuta. Nel complesso l’entità della scossa colpì un totale di 14 comuni tra cui Santa Margherita, Montevago, Menfi, Salemi, Camporeale, Vita, Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia, Partanna, Calatafimi-Segesta e Santa Ninfa. La gravità del sisma non si manifestò in tutta

Menfi, Sicilia 1968 Gibellina, Sicilia 1968 Calatafimi, Sicilia 1968

la sua devastazione dopo la prima scossa, ma divenne molto più catastrofico attorno alle ore 3:01, quando sulla valle si verificò la seconda scossa di pari entità. Quest’ultima ebbe degli effetti apocalittici, infatti ci furono un totale di 231 morti e oltre 600 feriti.

Altre fonti dichiarano un totale di 400 morti, oltre 1.000 feriti e in totale circa 70.000 sfollati tra i vari comuni. Dopo la prima scossa, il generale comandante Carlo Alberto Della Chiesa, raccomandò 22

alla popolazione del Belice di pernottare all’esterno degli edifici.

Questa semplice e intuitiva mossa, riuscì a salvare migliaia di vite contribuendo al numero relativamente contenuto delle vittime. La cosa che ci appare interessante è che in quel periodo, il territorio del Belice non era tra quelli considerati a rischio sismico (anche dopo l’avvenimento del terremoto sullo stretto di Messina che ebbe oltre 90.000 vittime con un sisma che colpì il suolo siciliano di intensità XI Marcalli). Gli effetti del sisma furono devastanti, i paesi di Salaparuta, Gibellina, e Poggioreale furono quasi interamente rasi al suolo. A Gibellina furono distrutte la gran parte delle abitazioni, che si aggiravano attorno alle 2,000 strutture. Inoltre le poche strutture rimaste erette furono di seguito rase al suolo per il grave rischio di caduta. Diversamente, la città di Poggio-

Poggioreale, Sicilia 1968 Vita’ Sicilia 1968 Salemi, Sicilia 1968

reale, nonostante non ci fossero state vittime, subì gravi lesioni costringendo l’intero paese ad emigrare fuori dalla città. Anche a Salaparuta ebbe esiti simili ai paesi confinanti. Santa Margherita, 23

Montevago, Santa Ninfa, Partanna e Salemi, nonostante non fossero stati rasi al suolo dal sisma, riportarono molteplici crolli. Il comune di Santa Margherita di Belice a seguito del sisma perse gran parte del suo centro abitato, di nota importanza furono gravemente lesionati la Chiesa Madre e il Palazzo Filangeri di Cutò.

A Santa Ninfa fu distrutto circa il 43% del nucleo antico, mentre la restante parte fu gravemente lesionata. A Partanna, invece, venne distrutto circa il 30% del centro storico mentre il 42% fu danneggiato gravemente. A Salemi fu distrutto il 24% della città e 45% lesionato gravemente, tra cui ricordiamo una delle torri del castello di Federico II e la Chiesa Madre. Il giorno seguente, il 15 gennaio, a causa di un mancato accorso dei quotidiani, non si diffuse l’immediata sensazione di gravità dell’accaduto della sera precedente. Tutto ciò, venne totalmente sottovalutato e addirittura fu riportato dai giornali che le conseguenze del sisma

Salemi, Sicilia 1968 Santa Margherita in Belice, Sicilia 1968 Montevago, Sicilia 1968

riguardavano soltanto qualche abitazione e aveva causato poco più di “un pugno di feriti”. Solo con l’arrivo dei primi soccorsi a Gibellina, Salaparuta, e Poggioreale fu possibile osservare la reale gravità della situazione. Molte strade furono risucchiate dalla terra compromettendo l’arrivo dei soccorritori, di conseguenza, molti paesi colpiti dal sisma, divennero inaccessibili per circa 24 ore post sisma (ore cruciali per il recupero e soccorso dei dispersi). Nei giorni seguenti, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il Ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani, visitarono i paesi colpiti. Per le opere di salvataggio e soccorso furono impiegati più di mille vigili del fuoco, la Croce Rossa, L’Esercito e i Carabinieri, alcuni di loro (5 poliziotti e 4 vigili del fuoco) rimasero vittime delle macerie a causa delle strutture pericolanti. Il periodo del dopo sisma rispecchia la mancata velocità di recupero della Sicilia di quei tempi e di oggi; un mese dopo il sisma nella provincia di Trapani oltre 9.000 abitanti del luogo erano sfollati e accolti in edifici pubblici, 6.000 in tendopoli, 3.200 in tende sparse per la valle e 5.000 in carri ferroviari, mentre 10.000 persone erano emigrate in altre provincie o addirittura in altri paesi (una destinazione comune fra i poggiorealesi fu l’Australia). Nel 1973, cinque anni dopo l’accaduto, gli abitanti del luogo, oltre 48.000 cittadini, furono costretti a vivere nelle baraccopoli.

Chiesa del Gesù e Maria, Poggioreale 1968

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Il Caso “Poggioreale”

Oltre l’estrema punta dello stivale d’Italia è collocata una delle terre più contraddittorie, feroci e travolgenti del paese, dove natura e cultura entrano in contrasto con la loro bellezza e l’umanità, purtroppo, non è sempre gentile con se stessa e con il paesaggio circostante. Grazie alla sua posizione strategica e al suo suolo fertile, la storia l’ha vista protagonista di innumerevoli guerre e battaglie, per secoli e secoli, nel tentativo di ottenere il predominio della più importante isola del Mediterraneo; la Sicilia. Come ci è ben noto, l’emigrazione, da queste parti, non è solamente un fenomeno riservato agli uccelli, ma fu proprio lo scarso compenso lavorativo che costrinse gli abitanti della provincia di Trapani ad emigrare tra il 1800 e il 1900. Un fenomeno che in realtà non riguarda soltanto i libri di storia, ma al contrario e sfortunatamente risulta essere piuttosto attuale e ancora oggi è il primo delle ragioni che porta il nostro territorio allo spopolamento. Fenomeno confermato tristemente dai dati statistici, infatti in un rapporto del 2016 sembrano essere più di 46.000 i trapanesi che vivono fuori dalla loro terra d’origine13 . Tanti piccoli centri urbani siciliani, caratteristici, pieni di vita, cultura e tradizione rischiano di 13

http://www.istat.it/it/

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Vicolo in prossimità di casa Agosta, Poggioreale 2017 Corso Umberto I, Poggioreale 2017

svuotarsi del tutto. Il borgo di Poggioreale subì un tragico spopolamento nel 1968 dopo il terribile terremoto che colpì 14 comuni delle vicinanze, tutti all’interno della Valle del Belice. Ma già allora, il fenomeno dello spopolamento era in atto, costringendo giovani e uomini con famiglie a cercare fortuna altrove, lasciando al vecchio paese soltanto persone di veneranda età. I poggiorealesi, dopo ben 16 anni costretti a vivere nelle “baraccopoli”, in situazioni difficili e ingestibili, al freddo delle intemperie invernali e al clima caldo e afoso estivo, finalmente venne inaugurata la “nuova” Poggioreale. La città venne ricostruita quattro chilometri più a valle delle rovine dell’ormai “antica” Poggioreale. Il nuovo borgo è stato edificato attorno agli anni 70’ sulla collina del Baglio di mandria di Menso e ospita oggi poco più di un migliaio di persone. La chiave scelta per la ricostruzione del nuovo centro urbano è un architettura moderna, estranea alla tradizione

Viste paese antico di Poggioreale 2017

http://www.treccani.it/

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architettonica del Sud, fuori le righe, un paese sperimentale di impianto nordico, in Sicilia. Il fulcro del nuovo centro urbano sta proprio nella piazza centrale, la quale riprende lo stesso nome di quella presente nel vecchio borgo: “Piazza Elimo”. Questa, però, a differenza dell’altra, venne costruita nel 1998. Il progetto della piazza e del nuovo centro fu affidato all’architetto romano Paolo Portoghesi, autore anche delle moschee di Roma e Strasburgo, e del Palazzo dei Giordani ad Amman. La nuova piazza, progettata da Portoghesi, si ispira alle piazze greche, allora luoghi di incontro della popolazione. L’etimologia di piazza14 , come suggerito dal Treccani, deriva dal latino platĕa che rimanda a “via larga”, il termine serviva a indicare l’insieme dei mercanti attivi in un luogo, tutto il corpo di negozianti in una città, forse dal luogo dove si radunano. Ma la realtà dei fatti è che a Poggioreale di “luogo di incontro” è rimasto ben poco, difatti la piazza risulta essere per nulla popolata. Le case sono state realizzate seguendo il tipico impianto inglese, con il giardino davanti. Le scelte progettuali effettuate dall’architetto sono di natura moderna, lontane migliaia di chilometri dalla tradizione siciliana e dal vecchio impianto così da lasciare una cicatrice nei cuori dei Poggiorealesi. Isolata, a causa della sua posizione, Poggioreale nuova è rimasta chiusa in se stessa, priva del fermento tipico siciliano e lontana dai percorsi turistici. Alcuni affermano che l’errore di fondo del nuovo paese è la mancata calibrazione dei nuovi progetti di opere pubbliche sulle reali esigenze dei cittadini. Facendo così sorgere anche costosissime e faraoniche opere incompiute. Altri ritengono che ci sia stato un vero intento speculatorio nel costruire un paese smisurato 29

per la popolazione che lo avrebbe dovuto accogliere. Il nuovo centro agli occhi dei cittadini non rispecchia ciò che si viveva prima della catastrofe e pertanto è ancora lontana l’idea e la sensazione di “casa”. Il borgo vecchio è stato lasciato alle rovine per cinquant’anni, la rinascita del paese antico inizia dalla volontà di coloro che ci hanno vissuto da bambini, così nel 2010 nasce l’Associazione “Poggioreale Antica” un’organizzazione no-profit, col presidente Giacinto Musso, che da quasi 8 anni ormai si occupa delle pulizie e mantenimento dei ruderi rimasti, rendendolo accessibile e fruibile ai visitatori che già da diversi anni vivono lo spettacolo dell’antico borgo. Il centro antico oggi, è in totale rovina, ma non tutto è da rimproverare alla natura e al terremoto che ha colpito un totale di 14 comuni nel 1968, ma la causa principale sembra essere il completo abbandono delle opere e i vani tentativi di recupero. Così la città antica sembra rimanere abbandonata a

Interno Chiesa Gesù e Maria, Poggioreale 2017

Interno Palazzo Agosta, Poggioreale 2017

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Scalinata Salvatore Pace, Poggioreale 2004-2017

se stessa carica di inquietudine, storia e malinconia ma di estremo fascino. Posizionandosi ai piedi della collina dal nuovo paese, si riesce a scorgere il suo profilo, questo però lascia tutt’ora tanto dolore a coloro i quali una volta ci hanno vissuto. Grazie al contributo di Giacinto Musso e de L’Associazione Poggioreale Antica, all’ingresso del paese sorge il museo di Casa Agosta, una vecchia struttura costruita dal Principe Morso (fondatore di Poggioreale) e poi venduta alla ricca famiglia Agosta (stabilitisi poi nella valle del Belice con la loro fabbrica pastificio e grano). All’interno del museo possiamo trovare tutti gli oggetti recuperati dopo il sisma del 1968 posti in esposizione per i visitatori del centro. L’aspetto dei ruderi di Poggioreale potrebbe somigliare ad un vero scheletro composto da brandelli di macerie. Da fuori è possibile vedere l’interno degli edifici crollati, i solai, le coperture, i frammenti di affreschi (che si trovavano in quasi tutte le vecchie case del centro antico) e il decorso naturale e irreversibile della vegetazione che si impossessa dei fabbricati. Oggigiorno il borgo è stato spogliato, depravato di quasi la totalità dei suoi averi nel corso dei anni; capitelli, statue, inferriate, mensole intagliate, portali, ringhiere di balconi ecc. elementi che un tempo, non tanto lontano, si riscontavano per tutto il paese antico. Un ulteriore deterioramento inflitto al paese antico è stato causato dai pastori, i quali a distanza di anni hanno utilizzato gli edifici abbandonati come ovili. Oggi, invece, i ruderi vengono utilizzati dai vigili del fuoco come luogo di esercitazione, introducendo all’interno del vecchio paese macchinari di grosse dimensioni che mettono a grave rischio gli edifici restanti con le vibrazioni sul suolo.

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Ruderi della Chiesa Madre di Poggioreale 2017

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Cinquant’anni dopo il cataclisma

Mind the risk. A global ranking of cities under threat from natural disasters. Lukas Sundermann, Oliver Schelske, Peter Hausmann.

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Il Dossier di Legambiente del 2017, “Le città alla sfida del clima” 16

Come osserva Teresa Cilona, i mutamenti climatici degli ultimi decenni hanno reso sempre più necessario un dialogo tra studiosi e politici, al fine di trovare soluzioni per mitigare l’impatto di questi eventi su territori e popolazioni (alcune di queste evacuate da città colpite, distrutte). Nel nostro paese, più che in molti altri, prevale la necessità di preservare l’identità dei luoghi nella loro ricostruzione, ponendo attenzione all’aspetto identitario che questi conservano. La Leading global Reinsurer SWISS Re15 (società globale di assicurazione svizzera) nel 2014 ha pubblicato uno studio sulle 10 città più a rischio di disastri naturali, tra queste individua città del Giappone, Cina, India, Stati Uniti e anche in Europa dei centri urbani che più di altri sono a rischio ambientale.

Sappiamo come il nostro territorio sia sempre più soggetto a mutamenti del clima e a calamità naturali16 , un territorio già caratterizzato da un sistema molto fragile a causa delle sue note caratteristiche. Nel nostro paese, gli interventi sono sempre stati di tipo emergenziale. Interventi di questo tipo, hanno visto intere popolazioni costrette ad abbandonate la propria città, ad essere ospitati 35

presso tende e container provvisori in attesa di nuove strutture (poi diventate negli anni soluzioni definitive). Calamità o perseveranza? Si sottolinea quindi la necessità di aggiornare le tecniche, la prevenzione, la manutenzione, il consolidamento delle infrastrutture. Tutto questo nel nostro paese è mancato, ma occorre oggi che le amministrazioni riescano a dotarsi di piani strutturali e di assetto del territorio votati al risanamento, alla salvaguardia, alla difesa del suolo e al prevenire i rischi. Ricostruire riguarda anche la memoria della comunità, la costruzione del legame con il luogo, l’identità. Tutti questi fattori sono spesso messi in secondo piano, ma riguardano strettamente i luoghi in cui si organizzano e si creano nuovi rapporti umani. Ernesto De Martino, noto antropologo e filosofo italiano, ha osservato il senso di smarrimento delle popolazioni meridionali quando, a seguito di tali calamità, sono costretti ad allontanarsi dai propri luoghi di appartenenza.

Il legame al luogo natio è quasi più forte dell’idea di aver perso un tetto materiale, la memoria sembra così precedere il bisogno.

La storia di un luogo è spesso creata dagli interventi apportati a seguito dei disastri, ricordiamo eventi catastrofici di Val di Noto (1693), Messina (1908), il Belice (1968) e Palermo (2002) che hanno lasciato un segno, non soltanto sul territorio, ma sui suoi abitanti. La soluzione della costruzione ex novo, come osserva Teresa Cilona, non è sempre stata appropriata, come nei casi di Poggioreale e Gibellina. Nel primo caso gli abitanti hanno abbandonato la propria città per trasferirsi alcuni chilometri più a valle, in un luogo molto differente dalla tradizione. Questo ha provocato evidenti deficit nella socializzazione e nell’adattamento di alcuni

cittadini, i quali sentono di aver perso ogni riferimento con la propria storia. Sorte molto simile per Gibellina, ricostruita con impianti urbani totalmente differenti. Nell’antica città adesso di trova il “cretto” di Alberto Burri che ha però cancellato la storia del luogo. La ricostruzione, nonostante tutto, ha apportato notevoli miglioramenti nella qualità di vita in termini di sicurezza, garantendo un minor livello di pericolosità in vecchie città sempre più a rischio.

Cinquant’ anni dopo il tragico evento che colpì la valle del Belice, sono ancora vive le polemiche riguardo la ricostruzione. Sperpero di denaro pubblico, responsabilità scaricate frettolosamente su amministratori e cittadini dei paesi colpiti dal terremoto, informazioni errate da parte di giornalisti anche autorevoli…Le polemiche sembrano infinite. I cittadini del Belice, e non solo, sono concordi nel giudicare negativamente il comportamento dello Stato: si denuncia uno scarso interesse per le questioni riguardanti il mezzogiorno e invece una massima sensibilizzazione per gli eventi avvenuti al nord. La conferma che esistano due Italie, alle quali rivolgere più o meno attenzioni, sembra essere arrivata subito dopo il terremoto del ‘68 con il sisma avvenuto in Friuli. Facendo un confronto tra i due sismi, dove a parità di grado dell’onda sismica, al numero di popolazione e di area colpita, risulta evidente come il Belice abbia ricevuto un terzo dei fondi necessari per una ricostruzione, e per lo più dilazionati, al contrario del Friuli che ottenne gli adeguati contributi quasi nell’immediato. L’esperienza negativa del Belice sembra essere servita al nostro paese per mettere a fuoco le diverse situazioni, trovare

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le soluzioni necessarie ed evitare di commettere altri errori. Basta dire che soltanto la prima legge di finanziamento per il Friuli ha previsto una dotazione finanziaria che supera di gran lunga tutti gli stanziamenti che sono stati predisposti in quarant’anni per il Belice. La responsabilità della mancata ricostruzione, con annesso sperpero di denaro pubblico, è da attribuire all’ispettorato per le zone colpite dal terremoto, al ministero dei lavori pubblici, e perché no, all’eccessiva burocrazia.

Girando oggi per i paesi della valle del Belice, risulta evidente, a prima vista, come lo stile architettonico e l’impianto urbanistico abbiano ben poco a che fare con il paesaggio siciliano e soprattutto con i paesi che un tempo erano, e tutto sommato restano, legati all’agricoltura.

Dopo il ‘68, gli urbanisti che presero parte alla ricostruzione dei paesi, con annesse abitazioni ed edifici pubblici, prevalentemente non erano siciliani, e ciò appare evidente dal fatto che essi avevano una filosofia e un criterio di ricostruire che palesemente appartenevano a una logica della città e che invece avevano poca attinenza con la vita siciliana di paese, basata quasi esclusivamente su un’economia di tipo agricolo. Ciò appena detto è testimoniato all’interno del libro Belice 1980. Luoghi problemi progetti.

Dodici anni dopo il terremoto. Augusto Cagnardi afferma: “Nel frattempo sono passati dodici anni e molte cose sono avvenute nel Belice. Sia pure con enorme ritardo, con enormi scompensi, con soluzioni profondamente criticabili, la ricostruzione delle case, delle città si sta realizzando. La realtà attuale del Belice non è più quella dell’autostrada al posto delle case, ma quella dell’autostra38

A. Gagnardi (1981), Luoghi problemi progetti.

Dodici anni dopo il terremoto, Marsilio editori, Venezia.

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da con le case. Non si può di certo dire che la ricostruzione sia terminata, ma l’immagine prevalente del Belice ormai è quella delle nuove città, ed ha sovrastato l’immagine delle baraccopoli”17 .

I progettisti in questione, pensavano ad una casa tipica della città, spaziosa, ma poco idonea alla vita e agli abitanti del Belice, i quali necessitavano invece di particolari spazi, come magazzini o depositi, nei quali ad esempio riporre gli attrezzi o addirittura lasciare il trattore.

Oggi, a 50 anni dal sisma, i paesi sono stati tutti più o meno ricostruiti anche se non mancano i problemi. I comuni a totale o parziale trasferimento, presentano una costruzione quasi ultimata, restano lacune ancora molto evidenti mentre, per quanto riguarda la ricostruzione dei vecchi centri come Salemi, Vita e tanti altri, le quali aspettano ancora i contributi necessari.

Ad un primo sguardo verso le “nuove città”, e alla loro conformazione, ci si accorge come esse risultino troppo grandi e dispersive per le poche anime che ancora vi abitano. Le casette piccole ma accoglienti di una volta, le stradine di paese, la piazza dove un tempo si riunivano i cittadini, non ci sono più. Sono state sostituite da case enormi ma ormai sfitte, strade troppo larghe e monumenti estranianti. Recentemente, soprattutto nell’ultimo decennio, si è iniziato a parlare di “ghost-town” riferendosi alle città abbandonate a sé stesse e disabitate. Una visione più profonda però, ci invita a riflettere su fatto importante. Paradossalmente, guardando la nuova costruzione di Poggioreale, ad esempio, risulta evidente come la città fantasma di cui si parla sia proprio questa, e non il vecchio agglomerato urbano.

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Ruderi di Poggioreale, particolare Chiesa Madre e vista piazza Elimo 2017

Infatti, nonostante ci sia un’ordinanza che ne vieti l’accesso, in quanto luogo reputato non “sicuro”, è possibile incontrare più persone lì rispetto al nuovo centro, che ad oggi risulta essere quasi totalmente spopolato a causa della disoccupazione e dell’emigrazione. Sono migliaia i turisti che ogni giorno, provenienti da tutto il mondo, decidono di andare a visitare i luoghi distrutti dal terremoto. Non solo perché suggestivi, ma anche perché al loro interno è preservato un modo di vivere allo stesso modo in cui è insito nelle rovine di Segesta o nei templi di Agrigento. Il potenziale turistico della vecchia Poggioreale, è stato però da sempre ignorato dalle istituzioni. Solo otto anni fa, grazie ad una piccola associazione culturale no profit gestita da volontari, ci si è occupati di rendere fruibile il sito. Nonostante il comune di Poggioreale aspetti ancora i fondi per la messa in sicurezza del sito, l’associazione Poggioreale Antica è stata in grado di allestire,

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Cretto di Burri, Gibellina 2017 Scorcio della “Stella” di Pietro Consagra, Gibellina 2017

all’interno di uno dei palazzi storici, una sorta di piccolo museo contenente gli oggetti e le reliquie trovate sul posto. Per quanto concerne la città nuova di Poggioreale, il sindaco ha negli anni convocato diversi artisti per creare delle opere d’arte che valorizzassero il posto e con lo scopo di ridare un’anima ad un paese che dopo il terremoto aveva completamente perso. Purtroppo, ciò non è servito poiché la nuova costruzione più che una realtà sembra quasi un’utopia. A testimonianza di ciò, saranno citate e descritte di seguito, alcune delle opere di maggiore rilievo, realizzate alla valle del Belice, in questo lungo periodo di cinquant’anni.

La città che ha avuto più di tutte uno spirito volto verso la ricostruzione è stata la città di Gibellina. Qua sono tante le opere che si possono riscontrare sul territorio, tutte ad opera di grandi artisti.

Alberto Burri, opera di land-art, “Il Cretto di Burri” . L’artista ha progettato un gigantesco monumento al di sopra delle macerie che ripercorrevano le vie e i vicoli della vecchia città. Dall’alto l’opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese martoriato dal devastante evento sismico. L’opera è stata iniziata nel 1980 e ultimata solo recentemente.

Pietro Consaga, la “Stella d’ingresso” 1981. L’opera è posta all’ingresso della valle, e richiama le luminarie di paese che in passato erano presenti per le festività. La struttura mastodontica è interamente realizzata in acciaio Inox. Un’altra opera progettata dall’architetto è il “Teatro Consagra”, ad oggi rimasto incompiuto.

Fausto Melotti, “Sequenze”, 1984. Si tratta di un’opera transita41

bile formata da due sculture geometriche: una posta in prossimità del lago artificiale mentre, la seconda, vicino la chiesa Madre.

Alessandro Mendrini, “Torre Civica”, 1987. Posta al centro della piazza di Gibellina, rappresenta il fulcro della città. L’opera è alta all’incirca 10 metri ed è formata da due coni in cemento dalla quale fuoriescono due ali coloratissime.

Mimmo Palatino, “Montagna di sale”, 1990. Si tratta di un’istallazione in cemento, vetroresina e pietrisco da dove fuoriescono trenta cavalli in legno; Franco Purini e Laura Thermes, “Sistema di piazze”, 1982-1990.

Il progetto vede come protagoniste cinque piazze comunicanti le quali hanno il compito di collegare le due parti estreme della città.

Solo tre su cinque sono state ad oggi realizzate. Esse sono rappre-

“Sequenze” di Fausto Melotti, foto di A. Cucinella Gibellina 2017 “Montagna di Sale” di Mimmo Palatino, foto di A. Cucinella, Gibellina 2017 “Sistema di Piazze” di Franco Purini e Laura Thermes, foto di V. D. Nicastri Gibellina 2017

sentate da grandi spazi circondati da un perimetro porticato.

Ludovico Quaroni, Chiesa Madre, 1970-1972. L’opera si presenta come il simbolo di rinascita. Composta da una sfera bianca e da una base quadrata, sta a simboleggiare l’unione tra l’infinito e il trascendente con la ragione umana.

Anche se non hanno raggiunto la stessa fama di Gibellina, i restanti paesi colpiti dal sisma registrano diverse opere di rinascita 42

e trasformazione. Un paese che possiamo citare, famoso, per il recupero delle strutture storiche, è Santa Margherita di Belice.

Alfonso Cimino è l’architetto che si è occupato del restauro e della Ri-funzionalizzazione dell’ex chiesa Madre di Santa Margherita. Dopo il terremoto del ’68, della chiesa madre restavano soltanto la parete della navata laterale e l’abside. Il rudere è stato tralasciato per 34 anni e sottoposto alle continue piogge che ne hanno deturpato l’aspetto. Il progetto dell’architetto Cimino è stato considerato un dei più innovativi nel campo del restauro e del riuso di un rudere architettonico. Ad oggi la chiesa ha perso la sua funzione religiosa diventando un museo della Memoria.

L’Architetto Michele Benfari ha avviato il restauro della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. La chiesa, a causa del cataclisma, ha

Scorcio Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, foto di A. Cucinella Gubellina 2017 Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, foto di A. Cucinella Gubellina 2017 Chiesa Madre di Santa Margherita in Belice di A. Cimino, foto di V.D. Nicastri S.Marghertita 2017 Interno Chiesa Santa Maria delle Grazie di Michele Benfai, foto di V.D.Nicastri S.Margherita 2017

perso la copertura, gran parte della muratura perimetrale della navata sinistra e parte del presbiterio. Dopo aver messo in sicurezza la struttura rimasta, l’architetto ha progettato uno “scrigno” in legno e vetro come rivestimento di tutta la struttura, con la funzione di proteggere le tracce dell’impianto risalente al “Barocco”.

Paolo Portoghesi, Piazza Elimo, Poggioreale Nuova. Dopo il tragico evento del 68’ il nuovo centro urbano venne spostato 4 km a 43

Chiesa Madre di Gregotti Associati, Menfi 2017 Chiesa Madre di Alvaro Siza e Roberto Collovà, foto di Roberto Collovà, Salemi 2017

valle dal nucleo antico, la progettazione del nuovo centro venne affidato all’architetto romano, Paolo Portoghesi. Il fulcro nel nuovo centro è rappresentato da Piazza Elimo, la quale si ispira alle antiche agorà greche, luogo di incontro della popolazione.

Gregotti Associati, Restauro della Chiesa Madre, Menfi. Il progetto ha prodotto un risultato simile a quello di Santa Margherita in Belice. Essendo rimasti solamente due lati della chiesa Madre, la prima priorità era quella di conservare gli stucchi ed intonaci sopravvissuti al sisma, per poi concentrarsi sull’involucro esterno che avrebbe protetto l’impianto antico. Nel progetto si è rivolta particolare attenzione all’aspetto acustico. La particolarità dell’opera è quella di poter raggiungere la copertura da dove si può ammirare una vista panoramica.

Roberto Collovà e Álvaro Siza, Piazza Alicia e ricostruzione della chiesa Madre. Dopo il terremoto, i progettisti presero una decisione insolita rispetto alle classiche tecniche di restauro dei monumenti. Dal momento che l’antica chiesa madre era crollata, gli architetti hanno deciso di ristrutturare le rovine, trasformando lo spazio interno, ormai privo di tetto e pareti, in uno spazio esterno.

Quella del Belice è un vero esempio di lotta e rafforzamento identitario a seguito di un evento traumatico. Tutto ciò è stato osservato da Gallitano e coll. i quali hanno riportato, nel loro contributo, un’analisi sulla costruzione di una visione identitaria e di sviluppo nei singoli comuni del Belice distrutti dal terremoto. Gallitano, Lotta, Picone e Schilleci contrappongono, all’interno della narrazione della storia del Belice, il tema identitario e territoriale.

Il primo è riferito alla lotta contro povertà, sistema mafioso e i 44

suoi sorprusi, lotte per l’istruzione, la legalità a opera di un movimento promosso da Danilo Dolci e Lorenzo Barbera (Barbera 2011) che ha condotto alla costruzione di dighe (indispensabili per l’irrigazione delle campagne). La seconda narrazione è riferita al territorio vittima dello Stato. Le conseguenze del sisma infatti, così devastanti come le conosciamo, sono state provocate soprattutto dall’impreparazione, dai ritardi nella ricostruzione.

Una ricostruzione che non ha favorito occupazione e convivenza dei suoi abitanti. L’attaccamento della comunità al luogo, prescinde l’aspetto geopolitico o fisico, ma è legato a riti, abitudini, credenze (Roncayolo, 1981). Il senso identitario, come osserva Raffestin (1980) deriva dall’insieme della sfera fisica e sociale, dal riconoscimento della comunità verso il proprio luogo. Vi sono molte questioni irrisolte che riguardano il Belice, a partire dal suo stesso nome, incerto tra Bèlice o Belìce, ma Barbera ci rassicura

Ruderi di Montevago

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confermandoci la correttezza di entrambe le versioni. A seguito del terremoto, si contrapposero due strumenti di pianificazione che vedevano; da una parte, i piani di trasferimento, dall’altra il piano di competenza regionale (Parrinello, 2015) che stabiliva la ricostruzione mediante piani comprensorali. Il suo iter di approvazione fu così lungo che non vide mai una fine, non fu mai approvato dalla Giunta di Governo. Come sostiene Parrinello si optò per un decentramento, per cui la ricostruzione avvenne, ma il territorio fu “schiacciato da interessi economici, politici e spesso criminali” (Parrinello, 2010). Un esempio chiave incentrato sul tema delle identità è l’ecomuseo Epicentro della Memoria Viva, nato grazie al CRESM a Gibellina, riattiva vecchie memorie e narrazioni che hanno preceduto il terremoto, mediante i singoli racconti la ricerca di un’identità che vuole essere sostenuta e ricostruita. A cinquant’anni dal terremoto si cercano ancora elementi in grado di promuovere l’identità territoriale coerenti con il nuovo assetto territoriale. Dematteis e Governa (2003) osservano come l’identità territoriale sia l’incontro di tre assi: la coerenza interna legata alla differenza e al confine con l’altro, la continuità nel tempo riferita alla memoria, alle abitudini e l’asse della tensione teologica collegata all’azione proiettata al futuro. Ma nel caso della Valle del Belice la mancata coerenza interna è associata a una continuità del tempo che è stata interrotta dal terremoto, mentre la tensione teologica è stata resa incerta da una strategia di sviluppo non condivisa.

Castello Svevo e Torre Federiciana, Menfi Ruderi di Montevago Torre Pandolfina, Sambuca di Sicilia Piazza Elimo, Poggioreale nuova

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Poggioreale Antica

I Ruderi di Poggioreale

La licentia populandi era una concessione, del Regno di Sicilia, in favore dei baroni o feudatari consistente nel privilegio di popolare un feudo.

La licenza conteneva il privilegium aedificandi ossia il permesso di cominciare la costruzione del borgo, che spesso avveniva in luogo di una preesistente residenza feudale, castello o baglio.

La licenza poteva essere concessa dal Re o dai Viceré ai baroni, sia come riconoscimento per i servigi resi alla corona, sia, più frequentemente, dietro il pagamento alla tesoreria Regia generale di Sicilia[1]. Molti piccoli e medio grandi centri siciliani sorsero nel XVI secolo, ma soprattutto nel XVII secolo, con questa modalità, tra cui: Aliminusa, Barrafranca, Campobello di Licata, Campobello di Mazara, Campofelice di Roccella, Casteltermini, Capaci, Cattolica, Cerda Cinisi, Delia, Francavilla, Leonforte, Mazzarino, Niscemi, Paceco, Palma di Montechiaro, Piedimonte Etneo, Riesi, Sperlinga, Valguarnera Caropepe, Villasmundo, Vittoria.

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Poggioreale è uno dei paesi collocati all’interno della Valle del Belice e risalente al periodo feudale. Le tracce del primo nucleo abitativo possono essere rinvenute già nella prima metà del XVII secolo quando il marchese di Gibellina, Francesco Morso Platamone, riuscì ad ottenere nel 1642 la concessione regia di fondare un nuovo paese nei pressi del feudo di Bagnitelli, nel quale sorgeva la propria residenza estiva. Il marchese, attraverso lo licentia populandi18 , invogliava i cittadini a stabilirsi nel nuovo centro abitativo rilasciando concessioni enfiteutiche e aggiudicando lunghi affitti. Il paese restò sotto il governo della famiglia Morso fino a quando Stefania Morso convogliò a nozze con il principe Luigi Naselli, conte di Comiso. Dopo il matrimonio il feudo passò quindi nelle mani della famiglia Naselli, e vi restò fino al 1812, anno dell’abolizione feudale. Solo nel 1779 Poggioreale, come tutti gli altri piccoli centri della Sicilia, ottenne l’autonomia civile e religiosa e ciò permise ai cittadini di poter eleggere i propri governanti. Durante il Settecento, sotto il regno di Carlo III, si attuò in Sicilia una nuova politica riformista soprattutto riguardante il 47

commercio del grano, e ciò permise la nascita di nuove forme di classi sociali: i proprietari terrieri di Poggioreale diventarono presto i fautori sia di uno sviluppo demografico sia di uno sviluppo urbano della città stessa. Infatti, in quegli anni, vennero costruiti, in aggiunta al palazzo del principe e alla chiesa madre, altri edifici sacri e palazzi nobiliari. Da quel momento in poi la crescita della popolazione aumentò di anno in anno fino a quando non si arrestò bruscamente nell’ottocento, e così continuò fino al novecento, a causa di un’economia basata esclusivamente su un’agricoltura di tipo latifondistico non congruente con l’economia del secolo in corso degli altri paesi. Ricapitolando, il paese registrò tre tappe fondamentali di espansione del tessuto urbano: la nascita del primo nucleo abitativo nel 1642, determinato dal comprensorio del

Foto storiche Ruderi di Poggioreale

palazzo del principe di Gibellina; la creazione, nel 1719, di circa 200 abitazioni disposte in simmetria con il Palazzo baronale; la regolare organizzazione del tessuto urbano nel 1871.

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Inquadramento territoriale

Poggioreale sorge a circa 400 metri d’altezza dal mare, ai piedi del Monte Castellazzo, conosciuto dalla popolazione come Munti li Rosi. Da qui è possibile godere di una vista panoramica veramente suggestiva. Il paese antico, situato sopra un’area pressoché pianeggiante, confina a Nord con il territorio comunale di Monreale, a Sud con il paese di Contessa Entellina, a Est con Monreale e Contessa Entellina mentre a Ovest con Salaparuta e Gibellina.

L’antico centro, dopo il terremoto della Valle del Belice del 1968, è stato spostato più a valle e totalmente ricostruito molti anni dopo il cataclisma. Il vecchio centro abitato, è tagliato a croce da due percorsi, Corso Umberto I e la scalinata che conduce alla Chiesa madre. Da questa intersezione sorge Piazza Elimo, un tempo parte centrale e cuore pulsante della città, dove si svolgevano tutte le attività della quotidianità. L’impianto a croce che attraversa la città, ne scandisce i quartieri, dividendola in quattro quartieri, i quali sono caratterizzati da una serie di strade parallele e ortogonali fra loro, per lo più dritte e molte di queste in pendenza. Ad oggi, di questi quartieri non ne resta che qualche frammento. Il modello 49

urbanistico del sito segue una maglia ortogonale, modello tipico delle città di nuova fondazione, le quali sorsero in Sicilia nel periodo fra il XVI ed il XVII secolo, e che scissero il tipico impianto che fino ad allora aveva caratterizzato le città Siciliane. Il modello ortogonale veniva utilizzato da parte del fondatore come strumento di controllo degli spazi urbani. Questo schema contribuì a risolvere problemi pratici, legati alla equa ripartizione delle aree edificabili, e questioni igienico-climatici, legati al soleggiamento, alla difesa dei venti e all’allontanamento delle acque meteoriche.

L’impianto urbanistico a maglia ortogonale, caratterizzato da due strade principali e la piazza, fa emergere i pochi e modesti edifici signorili. Tutto il tessuto urbano è caratterizzato da isolati a stecche, all’interno dei quali si sviluppano piccole unità abitative unifamiliari aventi generalmente un piano terra e un primo piano, spesso con un solo accesso sulla strada. Sono facilmente rintracciabili diverse tipologie di isolato: a blocco, a corte, a cortili aperti e a spina su muro centrale, ma certamente la tipologia di isolato maggiormente presente è quella a “spina” su muro centrale.

Questi isolati sono di forma pressoché rettangolare e determinati dall’accostamento di più cellule abitative aventi il lato più lungo in comune e che variano fra loro per dimensione. Questa organizzazione di isolato, utilizzata a quel tempo, risultava più semplice ed economica in quanto le abitazioni avevano in comune con le altre cellule abitative tre muri su quattro e in questo modo si riusciva a sfruttare al massimo il suolo urbano per l’edificazione. La differenza di grandezza tra i vari isolati cambia in base al numero di cellule abitative presenti. La morfologia urbana è caratterizzata 50

da criteri di regolarità planimetrica: il modello a scacchiera, per esempio, si ripete nei quattro quartieri e nelle diverse strade del paese, intersecandosi tra loro e formando sempre angoli retti che si aprono in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Come accade molto spesso, nei tessuti urbani presenti nel territorio Sici-

Inquadramento territoriale 14 comuni colpiti

liano e non solo, spazio privato delle abitazioni e spazio pubblico destinato alla collettività, come strade e piazze, coincidono. Infatti possono essere definiti come un binomio inscindibile di luoghi vissuti a pieno da parte della popolazione.

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I collegamenti e la viabilità

I collegamenti con i paesi vicini e con le zone delle altre province siciliane, non erano favoriti da strade rotabili. Ciò fino al 1884, anno in cui si decise di affidare il compito della stesura di una rete viaria all’architetto D. Gaspare Di Giovanna. Tale progetto fu però accantonato per almeno un ventennio, fino a quando nel 1861, non si capì che il miglioramento della rete stradale era oramai necessario considerando che gli altri paesi vicini vantavano già strade adeguate. A questo punto iniziarono i lavori. Il progetto riuscì a rendere migliori i collegamenti di Poggioreale con le altre città vicine: Salaparuta, Gibellina e Montevago e ciò favorì uno stile di vita più agevole e adeguato. Il progetto, oltre ad una rete viaria, comprendeva la realizzazione di una stazione ferroviaria presso Gallitello, sulla linea ferrata Palermo-Castelvetrano. Questa nuova infrastruttura fornì ai cittadini dei piccoli centri della Valle del Belice un collegamento con Palermo e le altre grandi città della Sicilia. Non tutti però potevano facilmente raggiungere la stazione dai comuni in cui si trovavano e per questo motivo venne istituito un corriere che collegava i più lontani centri con 53

la stazione ferroviaria. Solo nel 1925 venne costruita la stazione di Salaparuta. Poggioreale è sempre stato, già dalla sua fondazione e anche dopo, fino al 1968, anno in cui è stato colpito dal devastante terremoto, un paese isolato. Per quanto riguarda il collegamento diretto tra il centro abitato e il territorio comunale, era caratterizzato da una rete viaria costituita da trazzere, sentieri e mulattiere, molto disagevoli soprattutto nella stagione piovosa.

Le principali arterie, le quali collegavano il centro con la campagna, oggi non sono poi tanto cambiate. La viabilità, che ad oggi risulta per la maggior parte carrozzabile, un tempo era costituita da diverse tipologie di manto stradale per lo più realizzate con ciottoli e pietra squadrate collegate tra loro da uno strato di terrabattuta le quali di anno in anno, a causa degli agenti atmosferici e dalla mancata manutenzione ordinaria, andavano deteriorandosi, condizione che, durante il terribile terremoto del ’68, rese quasi

impossibile il raggiungimento e la fuga di questi paesi. Sono rintracciabili diverse strade rotabili: la strada dell’abitato nella zona Nord, la quale collegava il centro con il camposanto vecchio, e che si ramificava in due direzioni, una collegava il paese con le contrade del versante Nord-Ovest e l’altra si ramificava a sua volta con altre tre strade: le contrade Giammaritano, Giaganti e la strada che un tempo conduceva all’ex mulino. L’ultimo percorso rotabile era rappresentato territorio della valle Cautalì.

Il miglioramento delle vie di comunicazione, che avvenne in modo graduale, permise una progressiva apertura mentale per la gente del luogo la quale cominciava ad accettare esperienze lavorative anche al di fuori dei confini del borgo agricolo. Solo dopo gli ultimi decenni dell’ottocento, cominciarono a nascere alcune attività extra-agricole poiché si diffuse una generale sensibilità verso l’istruzione pubblica.

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Ortofoto Ruderi di Poggioreale riduzione dalla scala 1:1000

I luoghi della memoria

L’impronta architettonica di Poggioreale è quella dettata dalla casata spagnola di Aragona evidente nei palazzi nobiliari e nelle sette chiese sparse per la città. La maggior parte delle costruzioni sono in “calcarenite”, pietra naturale dal colore caldo e giallo, ma anche molto friabile. Questo fattore ha fatto sì che gli edifici abbandonati, sottoposti all’azione del vento, della pioggia e dell’umidità, nel tempo continuarono a sgretolarsi ogni giorno di più. Sono molti gli edifici che si possono registrare all’interno della città Antica. Quelle costruzioni, che un tempo erano piene di vita e adornavano le strade della città, oggi sono diventate dei meri contenitori vuoti e privi di funzionalità, ma che restano nei ricordi dei poggiorealesi come luoghi della memoria.

L’accesso al paese avviene percorrendo Corso Umberto I dal quale è possibile ammirare i più bei palazzi storici che caratterizzano il sito. Il primo edificio, posto all’ingresso, è “Casa Agosta”, dimora che fino al 1968 appartenne alla famiglia Agosta, una delle più ricche e aristocratiche famiglie di Poggioreale. L’edificio, risalente ai primi del ‘600, si carica di un ulteriore importanza 57

il suo originale aspetto, mantenendo solo il portale dal timpano spezzato. Ciò perché nel 1779 vennero distrutti i fregi e gli stucchi che ornavano gli interni in occasione dei nuovi rifacimenti.

Nel 1845 fu ristrutturata la facciata e costruito il campanile con l’orologio. La seconda chiesa, dedicata fin dal 1739 alla figura dell’Immacolata, è composta da tre navate contenenti al proprio interno numerose statue lignee, concentrate soprattutto nelle navate laterali e nell’abside. Le statue rappresentano rispettivamente: la Madonna del Rosario, San Vincenzo Ferreri, San Giuseppe, l’Immacolata e altri pregevoli gruppi scultorei barocchi in onore della Madonna del Carmelo e dell’Annunciazione, realizzate nel 1742 da Francesco Scardina. La chiesa di Gesù e Maria sorge nel 1745 presso l’omonima piazza e vi si accede mediante una scalinata. Il suo scenografico campanile rappresentava una delle note salienti di tutto l’abitato. All’interno della chiesa, caratterizzata da

monumentale data dalla sua ubicazione la quale fa da “copertina” al paese. L’edificio a pianta regolare è costituito da una muratura

Casa Agosta, Poggioreale Scalinata Salvatore Pace con scorcio sulla Chiesa Madre

portante di spessore compreso tra i 60 e i 90 cm, e che si eleva su due piani. Il prospetto principale, il quale si affaccia sul Corso, presenta al piano terra due imponenti portali di accesso ad arco, realizzati in pietra intagliata. Al piano superiore invece, sono presenti due aperture, anch’esse realizzate in pietra intagliata, che si affacciano in due balconi aventi delle mensole decorate con lo stile dell’epoca. Proseguendo la via principale, è possibile scorgere altri palazzi nobiliari: la residenza del principe Morso, con annessa rimessa carrozze, e due palazzi risalenti ai primi del ‘900 i quali, probabilmente, presentavano un tempo al loro interno decorazioni liberty. La residenza del principe Morso è collocata tra gli edifici più antichi di Poggioreale. Guardando il prospetto principale, oltre l’accesso alla residenza, si nota un ampio portale in pietra intagliata, il quale consentiva il ricovero delle carrozze e l’accesso alla parte retrostante del palazzo dove, un tempo, sorgeva un giardino privato. Gli altri due edifici, di più recente costruzione, sono rappresentati dal palazzo sede comunale e da una residenza privata. Sono molte le chiese presenti, esattamente 7: la chiesa Madre, la chiesa di Gesù e Maria, la chiesa del Purgatorio, la chiesa di S. Antonio da Padova, la chiesa e l’oratorio del S.S. Sacramento, la chiesa dell’Addolorata e il convento dei cappuccini. La chiesa Madre risale agli anni della fondazione del paese ma fu radicalmente trasformata nel 1779. L’imponente edificio sorgeva, per volere del principe Morso, fin dai primi tempi della fondazione del 1647. Tuttavia, l’originaria struttura barocca perse 58

Chiesa del Gesù e Maria, Piazza

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Via Terranova Scalinata Salvatore Pace Interno Chiesa del Gesù e Maria

un’unica navata, vi era un gruppo di statue di Gesù e Maria, San Giuseppe e San Calogero e alcuni affreschi di notevole pregio risalenti al XVIII secolo e realizzate con uno stile classicheggiante proprio dell’artista Francesco Tresca. Il terremoto del ‘68 ha distrutto quasi completamente tutto quello che c’era al suo interno lasciando quasi perfettamente integro, soltanto il perimetro esterno. Nella Piazza Elimo si trova la chiesa del Purgatorio, a pianta regolare ad un’unica navata. L’impianto di forte impatto scenico dato anche dalla sua collocazione, sorge tra il 1775 e il 1779 e al suo interno presenta numerose decorazioni raffiguranti scene bibliche. Su Corso Umberto I, in corrispondenza del palazzo del principe, sorge la chiesa di Sant’Antonio da Padova, ex edicola ampliata nel 1860, un tempo cappella privata appartenente alla famiglia Morso. L’attuale chiesa, in stile neoclassico, presenta lungo il prospetto un pronao sovrastato da un’imponente architrave, sostenuto da due colonne con basamenti e capitelli di ordine corinzio. L’impianto ad un’unica navata, al suo interno, presenta decorazioni che adornano le cappelle laterali e l’altare, nel quale un tempo vi era posta una statua lignea raffigurante il protettore del paese, realizzata dallo scultore palermitano Vincenzo Genovese. A circa metà della scalinata che conduce alla chiesa Madre, sorge l’oratorio e la chiesetta del S.S. Sacramento. La particolarità di questa chiesa è che nel 1848 è stata totalmente trasformata in una caserma che ospitasse la Guardia Nobile e successivamente ristrutturata e riconsacrata nel 1870. Nella parte più esterna del paese è situata la chiesa dell’Addolorata, la più antica del borgo, fondata nel 1638 come chiesa campestre e utilizzata per la 60

celebrazione domenicale, ricostruita poi nel 1748. La chiesa e il convento dei cappuccini sorge ai piedi del paese fin dal 1723. L’edificio, voluto fortemente dal principe, rimase però incompleto a causa della sua morte. Il complesso è stato poi completato circa trent’anni dopo sotto la guida del nuovo principe Luigi Naselli. Il convento, secondo le abitudini dei frati, era composto da una corte interna e totalmente isolato dal paese. Ad oggi totalmente distrutto. Altri edifici di interesse all’interno dell’area sono: il teatro comunale, risalente al XIX secolo, avente una forma a “ferro di cavallo” e dotato di una grande platea, tre file di palchi e all’incirca 250 posti a sedere. Ad oggi, di questo splendido edificio, non resta che un cumulo di macerie e delle minime tracce dei palchi che un tempo accoglievano gli amanti della cultura teatrale; la scuola elementare, di più nuova realizzazione; la biblioteca comunale. Dopo il terremoto che colpì la Valle del Belice, gli edifici di pregio appena citati hanno subito ingenti danni e alcuni di essi sono stati addirittura rasi al suolo.

Corso Umberto I Vista dall’alto Piazza Elimo

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La conservazione dei Ruderi

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http://www.treccani.it/vocabolario/rudere/

C. Brandi (1977), Teoria del restauro, Collana Piccola Biblioteca n.318, Einaudi, Torino p. 16.

20

F. Mariotti (1892), La legislazione delle belle Arti, Unione cooperativa editrice, Roma p. 243.

21

E. Silva, (1813), Dell’Arte dei giardini Inglesi, II ed. , Milano; il testo è riportato in R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Napoli, 1973, vol. II, p.

218; e in S. Casiello, Conservazione e restauro degli edifici allo stato di rudere, cit. , p. 5.

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Interno di un’abitazione nei ruderi di Poggioreale

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Rùdere19, dal latino rudus, indica avanzi di costruzioni edilizie o di statue antiche. Ci avvaliamo dalla definizione che la Treccani ci fornisce per far emergere innanzitutto il senso di frammentarietà presente nel resto archeologico o nel rudere di architettura. Il frammento, tuttavia, come osserva Cesare Brandi, storico dell’arte, critico d’arte e saggista italiano, specialista nella teoria del restauro, “se inquadrato in un’adeguata campagna di conoscenza, rimanda al tutto”20 . Già nel Medioevo si osservava il reimpiego di frammenti in nuove costruzioni, preservando tuttavia un ponte con il passato. Anche nell’editto del cardinale Pacca, emanato nel 1820 nello Stato pontificio, si insiste su questo aspetto: “ritocchi o inopportuni restauri non accrescono giammai alle cose il minimo pregio, anzi, alterandone l’antichità ne diminuiscono il prezzo reale non poco”21 . Preservare l’autenticità del resto archeologico o del frammento di architettura significa aumentarne il valore. “La natura sembra riprendere con una specie di trionfo il passaggio dè siti che l’architettura le ha rapito”22 scrive Silva nel 1799 in “Dell’arte dei giardini inglesi”, incoraggiando l’inse63

R. Picone (2012), Confronti/ l’architettura allo stato di rudere, arte’m editore, Napoli, p. 30.

23

J. Ruskin (1849), The seven lamps of architecture, trad. It. R.M. Pivetti, con una presentazione di R. Di Stefano, Jaca book, Milano, 1981, La lampada della Memoria, p. 209.

24

J. Ruskin (1849), The seven lamps of architecture, trad. It. R.M. Pivetti, con una presentazione di R. Di Stefano, Jaca book, Milano, 1981, La lampada della Memoria, p. 209.

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rimento dei resti di antiche architetture nei giardini o nei parchi dei palazzi per incrementarne il fascino, la bellezza e il ricordo melanconico al passato. Secondo Georg Simmel (1919) la rovina mostra una sintesi tra natura, intesa come forza distruttiva, e cultura come se un’opera costruita dall’uomo possa essere percepita come natura stessa. Simmel osserva “Con l’aiuto di poche colonne superstiti ci si può immaginare tutto l’antico monumento al quale appartenevano”23 . La scelta del tipo di intervento da intraprendere sul rudere dipende, certamente, dall’interesse che riveste il monumento, ma anche dal suo stato di degrado, che può, in alcuni casi, suggerire lavori minimi, di consolidamento. Queste osservazioni anticipano di più di un secolo il moderno concetto di ‘minimo intervento’, di manutenzione, che allontana nel tempo la distruzione, il completo abbandono e quindi la perdita definitiva.

John Ruskin nel suo The seven lamps of architecture24 (1849) afferma, a proposito del rudere immerso nel paesaggio naturale, che “la bellezza aggiunta ed accidentale in architettura è la meno compatibile con la conservazione del carattere originale, per cui si ricerca il pittoresco nelle rovine e si ritiene che esso consista nell’aspetto decadente … viceversa questo consiste nella sublimità degli squarci, delle fratture, macchie e vegetazione che assimilano l’architettura nell’opera della natura e le aggiungono quelle note di colore e di forma universalmente amate dall’occhio umano”25 . Questa sembrerebbe essere un’esortazione a conservare i resti degli antichi monumenti, grazie alla manutenzione, per evitare di alterare la consistenza storica e iniziale dell’oggetto. È per questo che il monumento antico va curato, mantenuto, e

fatto oggetto di interventi minimi atti ad allungarne il ciclo vitale.

Da questo excursus emerge quanto l’intervento sul rudere sia legato al rapporto tra uomo, storia, cultura. Le rovine, infatti, sono testimonianza tangibile di un mondo passato, vissuto, esistito, ma con la sua fugacità, pur lasciando traccia evidente e affascinante, nel suo estremo dinamismo pronto a destarsi a nuova vita.

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Analisi e classificazione dello stato di Conservazione

I ruderi di Poggioreale sembrano dei corpi in disfacimento, degli scheletri da cui pendono brandelli di macerie, insegne cancellate, persiane rotte e vetri in frantumi. Da fuori si possono vedere gli interni, i soffitti crollati, frammenti di affreschi e la vegetazione che si impossessa delle costruzioni. Le case su cui un tempo riecheggiava quell’atmosfera di un vissuto semplice ma felice, adesso non sono altro che semplici strutture vuote, abitate solo dal vento, dalla luce e dall’ombra. L’accesso ai ruderi è sconsigliato da qualche cartello, ma in pratica è del tutto agevole, solo i rovi di more e le gigantesche ragnatele sembrano volerti trattenere al di fuori. Lo stato di degrado che si riscontra nei Ruderi, non è il frutto delle sole vicende legate al terremoto della Valle del Belice del 68’, ma anche della mancata e scarsa volontà da parte delle figure politiche, del tempo ma non solo, nell’investire sulla rinascita del vecchio centro. Questa è stata la causa che ha portato al totale abbandono delle aree colpite dal sisma ed in particolare della citta “Antica” di Poggioreale. Durante il cataclisma soltanto una minima parte del paese fu danneggiato e non tutte le abitazioni crolla67

rono come, invece, avvenne nelle altre città limitrofe. La mancata cura e il disinteresse da parte dello Stato ha portato a non curarsi di questo luogo e con il passare dagli anni e dei decenni si sono verificati casi di crolli, anche pericolosi, per coloro che vanno a visitare oggi giorno le rovine. I crolli successivi al sisma si sono verificati nel tempo a causa degli agenti atmosferici come i forti venti e violenti piogge, le quali battendosi con le rovine squarciate, hanno portato a delle piccole infiltrazioni che maturando di giorno in giorno si sono trasformate in vere e proprie fessure nelle murature e che, sempre di più, hanno compromesso la staticità dell’edificio rendendolo debole. La pianta degli edifici, le cornici di porte e finestre e il reticolo delle strade sono ancora lì, ben definiti e riconoscibili, scolpiti per sempre sul territorio, anche se insidiate da piante e fichi selvatici, i cui frutti marciscono a terra ed emanano un odore intenso e poco piacevole.

Particolare del solaio Chiesa del Gesù e Maria, Poggioreale

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Particolare lesione passante, Poggioreale Area zona sud-ovest, Poggioreale

Il nostro lavoro si basa sull’analisi dello stato di conservazione in cui versa il sito. Attraverso il lavoro svolto indicheremo quali sono le tecniche di intervento da andare ad applicare ad ogni singolo caso di degrado. Analizzando l’intera area e dopo aver effettuato vari sopralluoghi, sono stati riscontrati, tra gli isolati presenti, molti casi di condizioni simili ed è per questo che si è scelto di suddividere le differenti tipologie individuate in base al proprio stato di conservazione, in maniera tale da avere una panoramica generale del luogo e del suo stato di fatto. Sono stati riscontrati quattro tipologie comuni di stato conservativo, le quali possono essere suddivise in: crollo esteso, crollo parziale, crollo copertura e limitato quadro fessurativo, le quali contribuiscono a definire il quadro generale dei degradi e dei dissesti che gravano sulle strutture presenti. In questo modo abbiamo ristretto il campo 69

di analisi a soli 4 isolati “tipo” nei quali vengono individuati degradi e dissesti e le relative e opportune tecniche di intervento da applicare, le quali fungono da linee guida per il resto degli isolati non presi in esame.

Rudere, Poggioreale Interno di un’abitazione, Poggioreale

-Crollo esteso: il complesso preso in esame per indicare questa tipologia è posizionato alla fine di corso Umberto I e prospicente in piazza Elimo. Quest’isolato ci permette di esaminare differenti aspetti legati alla struttura complessiva. Laddove non si sono accumulate macerie, si possono analizzare anche i setti in muratura che un tempo erano nascosti dai muri perimetrali, i quali inoltre ci permettono una corretta lettura delle tecniche utilizzare per la loro realizzazione. Con la denominazione di “crollo esteso” indichiamo quel fenomeno che interessa un determinato fabbricato architettonico e che consiste in una perdita uguale o maggiore al

-Crollo esteso -Crollo parziale -Crollo copertura -Limitato quadro fessurativo

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50% delle parti strutturali e non strutturali dell’edificio, comprendenti muri, solai, scale e balconi ma indica anche la presenza di degradi e dissesti diffusi su tutta la parte rimasta. La tipologia di isolato colpito da questo fenomeno è presente all’interno dell’area di studio con una percentuale pari al 35%.

-Crollo parziale: con la denominazione di crollo parziale, si intende quella fabbrica architettonica che presenta meno del 50% di perdita di parti strutturali e non dell’edificio, nonché la presenza di degradi diffusi su tutta la parte rimasta. Questa tipologia di crollo è presente all’interno dell’area con una percentuale pari al 30% e ci permette, nonostante la perdita di alcune parti consistenti, una lettura completa dello scheletro interno ad un fabbricato, e in molti casi, anche di studiare le differenti tipologie costruttive quali strutture orizzontali di un edificio, coperture e i solai.

-Crollo copertura: con questa denominazione indichiamo quel fabbricato architettonico che presenta il crollo totale del manto di copertura, lasciando invece perfettamente integri i setti di muratura. Questa tipologia di crollo è presente all’interno dell’area con una percentuale pari al 20%. Il crollo di copertura va a incidere sul crollo dei solai, i quali devono già fare i conti con le continue e ripetute piogge che, una volta penetrate dentro l’edificio, possono causare danni legati alle infiltrazioni della stessa muratura. Questo fenomeno, di giorno in giorno, può ulteriormente danneggiare le parti ancora integre dell’edificio. Il crollo della sola copertura nella maggior parte dei casi è presente sempre nella singola cellula abitativa e non in un complesso di abitazioni.

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-Limitato quadro fessurativo: il 15% delle strutture presenti nell’area esaminata possiede questa tipologia di stato di conservazione. Con ciò si indica quel fabbricato architettonico che si presenta apparentemente integro nel suo complesso riportando però lesioni e degradi che, se non adeguatamente riparati, potrebbero danneggiare ulteriormente la struttura conducendola ad uno stato limite.

Le indagini diagnostiche

Nel restauro di una fabbrica architettonica o nel nostro caso di un Rudere, la prima cosa da effettuare è un indagine preliminare del sito per poi redigere il progetto di restauro. Un’indagine preliminare ci permette di conoscere le reali condizioni in cui versa l’area.

Attraverso un iter diagnostico, che consiste in un procedimento dettagliato di acquisizioni ed elaborazioni di dati, è possibile definire lo stato di conservazione di un fabbricato architettonico e le cause di degrado dei materiali dell’intero organismo. Per un completo concepimento del progetto di restauro, è essenziale svolgere un’indagine diagnostica. Essa assume un ruolo fondamentale, poiché attraverso metodologie analitiche e strumenti diagnostici, ci permette di ottenere importanti informazioni che saranno poi rielaborare attraverso software specifici, e che ci consentiranno di redigere il progetto finale. Le indagini diagnostiche si dividono in invasive e non invasive. Le prime sono delle tipologie di indagini che compromettono, se pur in minima parte, la struttura da esaminare. Quelle non invasive non creano delle modificazioni all’impianto da esaminare. L’analisi può essere effettuata diret-

Particolare copertura della Chiesa di Sant’Antonio di Padova

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tamente in sito, grazie a determinate tipologie di indagini, o in laboratorio, attraverso l’utilizzo di macchinari specifici e software all’avanguardia. Tra le possibili indagini che possono essere svolte direttamente in sito ci sono: indagine radar, termografia, indagine ultrasonica, magnetometria, colonne stratigrafiche, indagini sismiche, endoscopia e video-endoscopia, misura dell’umidità, prove sclerometriche, indagine resistografica, prove con martinetti. Mentre per quanto riguarda le indagini in laboratorio si possono applicare le tecniche di: prelievo, campionamento e archiviazione, sezioni lucide e sottili, microscopia ottica, microscopia elettronica, diffrattometria a raggi x, cromatografia ionica, porosimetria, analisi termica differenziale, assorbimento atomico, metodo del radiocarbonio, termoluminescenza.

Nell’analisi da noi condotta, in una prima fase, è stato effettuato uno studio visivo sugli elementi da noi scelti. Successivamente, per una migliore analisi della struttura, si è previsto di dover applicare diverse tipologie di indagini con lo scopo di poter comprendere maggiormente lo stato di conservazione e di degrado che grava sulla struttura. Le indagini da effettuare sono: Misura del rumore sismico. Questo tipo di indagine ci permette di analizzare il contenuto di frequenza di un segnale sismico stazionario o transiente, naturale o artificiale. La sua applicazione mira alla comprensione delle interazioni tra sito e struttura e all’analisi degli agenti atmosferici che gravano sul fabbricato. L’indagine prevede due tipi di modalità: la modalità statica e la modalità 74

bi-statica. La prima registra e analizza i segnali sismici naturali, mentre la seconda registra ed analizza le frequenze indotte mediante sollecitazioni meccaniche. La strumentazione utilizzata per questo tipo di indagine è la seguente: una stazione sismica e un workstation. Le registrazioni vengono successivamente elaborate e digitalizzate con una scala di riferimento in base alla frequenza registrata.

Indagine Radar. L’indagine radar ad impulsi consente di studiare gli spessori della materia attraverso segnali elettromagnetici rilasciati da antenna con frequenza variabile. Quando il segnale emesso durante il tragitto incontra una discontinuità della materia, riflette parte dell’energia elettromagnetica che torna nell’antenna, la quale ricava la misurazione per poi essere sviluppata in un grafico. Tali impulsi sono di forma iperbolica. La strumentazione è costituita da un’apparecchiatura ricetrasmittente in grado di emettere impulsi e ricevere le riflessioni. Essa è composta da una coppia di antenne, un’unità di acquisizione dati e da una ricetrasmittente che manda e riceve impulsi. Le antenne lavorano in due modalità: monostatica e bi-statica. La prima consente di effettuare indagini a profondità minori ma con un maggior dettaglio. Il tutto avviene mediante un unico apparecchio con antenne da 1600 MHz (murature). La seconda invece, consente indagini più profonde: circa 10 metri: Questa modalità viene effettuata attraverso l’utilizzo di apparecchiature separate, le cui antenne trasmettono a 600 MHz, ideale per lo studio di terreni.

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Termografia. L’indagine termografica sfrutta l’emissione di energia elettromagnetica da parte di tutti i corpi, nelle bande dell’infrarosso, attraverso telecamere sensibili a queste lunghezze d’onda.

Il risultato che si raggiunge è quello di ricavare delle immagini a scale tonali dei grigi o a colori, ottenute mediante la conversione dell’energia elettromagnetica infrarossa in segnali elettrici. Il comportamento termico di un materiale è condizionato dalla conducibilità termica e dal suo calore specifico. Questa tecnica offre un risultato immediato senza l’utilizzo di particolari ponteggi o altri strumenti. Nello specifico, quest’indagine riesce a mettere in risalto fenomeni come la presenza di umidità, distacchi, elementi inglobati nella muratura, distacchi non visibili ad occhi nudo. Il momento più idoneo per effettuare l’indagine è il tramonto, ovvero quando si ha uno squilibrio termico fra ambiente e struttura.

Esistono due metodi di procedere: Attivo, cioè quando la superficie viene riscaldata tramite apparecchi artificiali; Passivo, quando non è necessario surriscaldare artificialmente la materia; Endoscopia e video-endoscopia. In molti casi la valutazione dello stato di conservazione di un’opera architettonica richiede l’ispezione delle parti interne. La tecnica può essere non distruttiva se questo viene fatto attraverso le lesioni già presenti nella muratura, distruttiva se bisogna invece effettuare dei fori nella muratura.

Per effettuare quest’analisi è necessario ricorrere ad un’indagine Endoscopica e l’endoscopio è lo strumento che si utilizza per fare ciò. Questa tecnica si utilizza per esaminare le parti interne della muratura o nel caso di un’opera d’arte. L’endoscopio è dotato 76

di una telecamera o video camera che, inserita all’interno della fessura o del foro nella muratura, dà la possibilità di studiare le caratteristiche interne dello spessore murario.

Misura dell’umidità. Lo scopo delle indagini sulle murature è quello di effettuare misure ponderali, volumetriche o misure percentuali della quantità d’acqua presente all’interno di una muratura, a causa di risalita capillare o per infiltrazioni. Esistono differenti metodi che permettono di misurare l’umidità all’interno della muratura: l’indagine ponderale attraverso la quale, tramite prelievo di carote di differenti altezze della muratura, permette di misurare la percentuale di umidità presente. Il campione viene posto all’interno di appositi contenitori ermetici e, una volta in laboratorio, viene fatto essiccare e si calcola la diminuzione di peso; la misura del volume d’acqua assorbito a bassa pressione dopo un tempo prefissato, attraverso la quale è possibile valutare l’idrorepellenza del degrado o della riduzione di porosità data dai prodotti consolidanti; misure con elettrodi ad aghi. Attraverso una strumentazione composta da due aghi metallici, i quali misurano il passaggio di corrente tra essi, collegati ad un dispositivo, è possibile leggere la percentuale di umidità presente.

Indagine resistografica. Le indagini resistografiche si effettuano principalmente sulle strutture lignee, al fine di verificarne l’integrità della materia. La prima analisi da effettuare avviene tramite constatazione visiva, la quale ci permette preliminarmente di comprendere eventuali anomalie visibili ad occhio nudo (degradi 77

superficiali, presenza di sfibratura e presenza di insetti). Successivamente si effettua una penetrazione a 45 gradi attraverso l’utilizzo del trapano resistografico, dalla punta di acciaio, e si valuta la pressione applicata per la penetrazione. Il software restituisce eventuali anomalie e discontinuità della materia attraverso una rappresentazione grafica di picchi e valli. Quest’analisi si effettua per tutte le travi presenti nel sito, analizzandone sia le teste annegate nella muratura, sia la zona centrale (dove si dovrebbe presentare il degrado minore) Prelievo, campionamento e archiviazione. Il prelievo deve rappresentare nel suo piccolo l’intera superficie. A secondo della superfice da esaminare esiste un tipo di campionamento specifico e un preciso strumento: pennello, scalpello, bisturi, carote e impacchi. Durante la fase di campionatura è importante annotare diverse informazione che serviranno per una più facile analisi: ubicazione, stato di conservazione e aspetti microclimatici. Attraverso la Normal 2/80 e 3/80 si procede all’analisi del campione in base ai seguenti parametri: caratteristiche del frammento, provenienza del frammento, recupero/rimozione, sede di immagazzinamento, Prelievi dal frammento e loro utilizzazione e dati relativi alla scheda.

neralogica del materiale prelevato. La tecnica delle sezioni sottili avviene attraverso le seguenti fasi: -Prelievo tramite troncatrice, si ottengono sezioni di 1 cm2; -La sezione viene inglobata nella resina; -Utilizzo di carte abrasive per eliminare i segni superficiali; -Lappatura e lucidatura del campione, Microscopia ottica. La tecnica della microscopia ottica consente di ottenere ingrandimenti elevati del campione da esaminare. Il microscopio ottico ha due tipi di ingrandimenti: 10-40x, utilizzabile nella maggior parte dei casi in quanto consente di avere un’immagine immediata senza perdere profondità di campo, e 150-500x, utile per ottenere una buona caratterizzazione dei materiali, ma senza maggiori dettagli. Per ottenere maggiori informazioni e dettagli del prelievo esaminato, bisogna utilizzare il microscopio elettronico che di contro ha bisogno di una notevole luce. Esistono due diversi metodi: Luce trasmessa, il campione viene posto tra la luce e l’obiettivo in modo tale che, attraverso il passaggio della luce, nel campione si possa analizzare al meglio la sua struttura; Luce diretta, la luce illumina la superficie del campione;

Sezioni lucide e sottili. La tecnica è distruttiva, in quanto prevede la frantumazione di una piccola parte di materiale, la quale viene analizzata successivamente attraverso il microscopio. Con questa analisi è possibile osservare la morfologia e la composizione mi-

Porosimetria. Quest’indagine permette, attraverso il porosimetro a mercurio, di determinare la porosità, la distribuzione e la dimensione dei pori nei materiali. Consente inoltre di indagare sulle modifiche indotte sui materiali in seguito all’applicazione di consolidanti e protettivi. Il campione viene posto in una pro-

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vetta (Penetrometro), inondato di mercurio, il quale va a riempire tutti i pori presenti, applicando una notevole pressione. In base all’abbassamento del mercurio ad una determinata pressione, il software registra i dati della porosità.

Analisi termica differenziale. In questa analisi, le indagini sono di tipo distruttivo, ed è una tecnica indicata per lo studio dei materiali organici come leganti, malte e adesivi. La tecnica termodifferenziale si basa sull’analisi delle reazioni con emissioni o assorbimento di calore (esotermiche – endotermiche). È particolarmente utilizzata nei materiali argillosi dove si calcola la perdita di H2O tra i 50 e i 1100 °C.

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Identificazione degradi e dissesti

Per definire un quadro generale relativo alle strutture prese in considerazione è necessario focalizzare l’attenzione su due componenti fondamentali: degradi e dissesti. I degradi e i dissesti sono le cause legate alle struttura, la quale ha subito un’alterazione all’interno del proprio scheletro strutturale. Il dissesto è quel fenomeno verificatosi attraverso una manifestazione di fratture o lesioni in una fabbrica architettonica, che nasce per effetto di stati tensionali che la struttura non è in grado di sopportare e che ne riducono la resistenza. Tali fenomeni sono classificati a seconda della loro direzione, larghezza e profondità. Per quanto riguarda la loro larghezza e profondità si possono distinguere in: Fratture sottili, le quali si distribuiscono sulla superficie dell’edificio manifestandosi sotto forma di piccoli spostamenti. Avvengono normalmente a seconda di una contrazione di volume del materiale che la compongono in prossimità della superficie (ritiro) o da una dilatazione del materiale al di sotto della superficie, o entrambe; Lesioni sono soluzioni di continuità, visibili per rottura del tessuto resistente.

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Il degrado, invece, indica quel fenomeno che si verifica sulle superfici di una struttura ed è rappresentato da una condizione che la fabbrica architettonica assume sotto il profilo conservativo. Esso riguarda maggiormente il peggioramento delle caratteristiche materiche che la compongono. Nel nostro caso, ovvero i ruderi, ovviamente il degrado è dato da un abbandono del sito di circa cinquant’anni.

Nelle quattro strutture da noi esaminate, attraverso una prima analisi visiva, sono stati riscontrati fenomeni avanzati di degradi.

Tali fenomeni sono stati catalogati e schedati attraverso il lessico della NorMal 1/88 (Normativa Materiali Lapidei). Successivamente è stata elaborata la mappatura dei degradi attraverso l’utilizzo di software CAD, direttamente sui foto-raddrizzamenti dei prospetti eseguiti attraverso l’utilizzo di altri software. Di seguito elenchiamo le tipologie di degradi maggiormente riscontrati nei casi analizzati: Alterazione cromatica, Crosta, Degradazione differenziale, Distacco, Esfoliazione, Fratturazione, Incrostazione, Macchia, Mancanza, patina biologica, Pitting, Presenza di vegetazione, Rigonfiamento NorMal 1/88

Alterazione cromatica. Alterazione che si manifesta attraverso la variazione di uno o più parametri che definiscono il colore: tinta (hue), chiarezza (value), saturazione (chroma). Può manifestarsi con morfologie diverse a seconda delle condizioni e può riferirsi a zone ampie o localizzate.

Cause: biodeteriogeni, inquinamenti atmosferici, radiazioni solari, affioramento di macchie, assorbimento differenziato del supporto, emersione del pigmento in fase di de-coesione e successivo dilavamento della superficie.

Alveolizzazione. Degradazione che si manifesta con la formazione di cavità di forme e dimensioni variabili. Gli alveoli sono spesso interconnessi e hanno distribuzione non uniforme. Nel caso particolare in cui il fenomeno si sviluppa essenzialmente in profondità, con andamento a diverticoli, si può usare il termine “alveolizzazione a cariatura”.

Cause: movimento dell’acqua all’interno del sub-strato; azione disgregatrice esercitata dalla pressione di cristallizzazione dei Sali all’interno dei pori del materiale lapideo; dilavamento; correnti eoliche, con conseguente rapida evaporazione delle superfici; Concrezione. Deposito compatto generalmente formato da elementi di estensione limitata, sviluppato preferenzialmente in una sola direzione non coincidente con la superficie lapidea. Talora può assumere forma stalattitica o stalagmitica.

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Cause: infiltrazione dell’acqua; presenza di croste nere; presenza di umidità protratta nel tempo; Crosta. Strato superficiale di alterazione del materiale lapideo o dei prodotti utilizzati per eventuali trattamenti. Di spessore variabile, è dura, fragile e distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e, spesso, per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, i presenta disgregato e/o pulverultento.

Cause: azione di microrganismi e di inquinanti; ossidazione; circolazione d’aria scarsa o assente; residui della combustione di oli derivanti dal petrolio; Deformazione. Variazione della sagoma che interessa l’intero spessore del materiale e che si manifesta soprattutto in elementi lastriformi.

Cause: dilatazioni termiche da radiazioni solari; Degradazione differenziale. Degradazione da porre in rapporto ad eterogeneità di composizione o di struttura del materiale, tale quindi da evidenziarne spesso gli originali motivi tessiturali o strutturali.

Cause: ruscellamento delle acque meteoriche; azione meccanica e chimica da parte degli agenti atmosferici (deperimento di marmi e gessi);

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Deposito superficiale. Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali, ad esempio, polvere, terriccio, guano, ecc. Ha spessore variabile e, generalmente, scarsa coerenza e aderenza al materiale sottostante.

Cause: esposizione, scabrosità e deformazione delle superficie; impiego di prodotti vernicianti; inquinanti atmosferici; Disgregazione. Decoesione caratterizzata da distacco di granuli o cristalli sotto minime sollecitazioni meccaniche.

Cause: biodeterogeni; radici di piante superiori; infiltrazioni di acqua, risalita capillare; reazione tra i materiali edilizi e atmosfera; degrado di interfaccia tra laterizi e malte; Distacco. Soluzione di continuità tra stati superficiali del materiale, sia tra loro che rispetto al substrato; prelude in genere alla caduta degli strati stessi. Il termine si usa in particolare per gli intonaci e i mosaici. Nel caso di materiali lapidei naturali le parti distaccate assumono spesso forme specifiche in funzione delle caratteristiche strutturali e tessiturali, e si preferiscono allora voci quali crosta, scagliatura, esfoliazione.

Cause: fenomeni di umidità ascendente; formazione di ghiaccio negli strati più superficiali; perdite localizzate degli impianti di smaltimento della acque; consistente presenza di formazione salina; efflorescenze; soluzioni di continuità conseguenti alla presenza di fessurazioni e/o di lesioni strutturali; dilatazioni differenziali tra materiali di supporto e finitura; soluzioni di continuità conseguenti agli stress termici in prossimità dell’innesto di elementi 85

metallici; impiego di prodotti vernicianti pellicolanti su supporti tradizionali; errori di posa in opera ed utilizzo di sabbie o malte poco idonee;

abrasione degbli strati corticali provocata dal vento; aggressione chimica da inquinanti (esempio: prodotti ammoniacali); formazione di ghiaccio negli strati più superficiali;

Efflorescenza. Formazione di sostanze, generalmente di colore biancastro e di aspetto cristallino o pulverulento o filamentoso, sulla superficie del manufatto. Nel caso di efflorescenze saline, la cristallizzazione può talvolta avvenire all’interno del materiale provocando speso il distacco delle parti più superficiali: Il fenomeno prende allora il nome di criptoefflorescenza o subefflorescenza.

Cause: È conseguente alla pressione di cristallizzazione dei Sali.

Tale fenomeno è accentuato da: umidità da risalita capillare, da condensazione, da perdite localizzate di impianti; ruscellamento delle acque meteoriche; presenza di solfati; azioni del vento che accelera l’evaporazione superficiale dell’acqua; sostanze aggiuntive in trattamenti restaurativi (salificazioni di sodio cloruro, di potassio e di nitrato di calcio); degrado di interfaccia tra laterizi e malte (formazione di solfo-alluminati di calcio e grandi cristalli);

Esfoliazione. Degradazione che si manifesta con distacco, spesso seguito da caduta, di uno o più strati superficiali subparalleli fra loro (sfoglie).

Erosione. Asportazione di materiale dalla superficie dovuta a processi di natura diversa. Quando sono note le cause di degrado, possono essere utilizzati anche termini come erosione per abrasione o erosione per corrasione (cause meccaniche). erosione per corrosione (cause chimiche e biologiche), erosione per usura (cause antropiche).

Cause: erosione meccanica da pioggia battente; erosione per 86

Fratturazione o Fessurazione. Degradazione che si manifesta con la formazione di soluzioni di continuità nel materiale e che può implicare lo spostamento reciproco delle parti.

Cause: cicli di gelo e disgelo; dissesto dell’apparato murario di supporto; incompatibilità di tipo fisico-meccanico tra supporto e finitura; dilatazioni differenziali tra materiale di supporto e finitura; degrado di interfaccia tra laterizi e malte (formazione di solfoalluminati di calcio e grandi cristalli); nei laterizi, presenza di carbonato di calcio; Incrostazione. Deposito stratiforme, compatto e generalmente aderente al substrato, composto da sostanze inorganiche o da strutture di natura biologica.

Cause: biodeterogeni; Lacuna. Caduta e perdita di parti di un dipinto murale, con messa in luce degli strati di intonaco più interni o del supporto.

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Macchia. Alterazione che si manifesta con pigmentazione accidentale e localizzata della superficie; è correlata alla presenza di materiale estraneo al substrato (per esempio: ruggine, sali di rame, sostanze organiche, vernici).

Cause: biodeterogeni; ossidazioni di elementi metallici (ferro, rame); atti di vandalismo; Mancanza. Caduta e perdita di parti. Il termine, generico, si usa quando tale forma di degradazione non è descrivibile con altre voci del lessico. Nel caso particolare degli intonaci dipinti si adopera di preferenze “lacuna”.

Cause: fenomeni di umidità ascendente; perdite localizzate degli impianti di smaltimento e/o di convogliamento delle acque meteoriche; consistente presenza di formazioni saline; soluzioni di continuità conseguenti alla presenza di fessurazioni e/o di lesioni strutturali; soluzioni di continuità conseguenti agli stress termici in prossimità dell’innesto di elementi metallici; Patina. Alterazione strettamente limitata a quelle modificazioni naturali della superficie dei materiali non collegabili a manifesti fenomeni di degradazione e percepibili come una variazione del colore originario del materiale. Nel caso di alterazione indotte artificialmente si usa di preferenza il termine patina artificiale.

da microrganismi cui possono aderire polvere, terriccio, ecc.

Cause: azione di microrganismi autotrofi; presenza di umidità o acqua; caratteristiche morfologiche del substrato (scabrosità, asperità, rientranze, ecc.)

Pellicola. Strato superficiale di sostanze coerenti fra loro ed estranee al materiale lapideo. Ha spessore molto ridotto e può distaccarsi dal substrato, che in genere si presenta integro.

Cause: trattamento protettivo del materiale lapideo, a sua volta soggetto a degrado per ossidazione e contrazione in ragione delle sostanze impiegate; Pitting. Degradazione puntiforme che si manifesta attraverso la formazione di fori ciechim numerosi e ravvicinati. I fori hanno tendenzialmente cilindrica con diametro massimo di pochi millimetri.

Cause: tale degrado interessa principalmente le pietre calcaree, in particolare i marmi; Polverizzazione. Decoesione che si manifesta con la caduta spontanea del materiale sotto forma di polvere o granuli.

Cause: azione di microrganismi;

Patina biologica. Strato sottile, morbido e omogeneo, aderente alla superficie e di evidente natura biologica, di colore variabile, per lo più verde. La patina biologica è costituita prevalentemente 88

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Presenza di vegetazione. Locuzione impiegata quando vi sono licheni, muschi e piante.

Tecniche di consolidamento e conservazione

Cause: accumuli di umidità; attacco di organismi autotrofi (batteri unicellulari, alghe, licheni, piante superiori); Rigongiamento. Sollevamento superficiale e localizzato del materiale, che assume forma e consistenza variabili.

Cause: dilatazioni differenziali tra materiale di supporto e finitura; formazione di ghiaccio negli strati più superficiali; Scagliatura. Degradazione che si manifesta col distacco totale o parziale di parti (scaglie) spesso in corrispondenza di soluzioni di continuità del materiale originario. Le scaglie, costituite generalmente da materiale in apparenza inalterato, hanno forma irregolare e spessore consistente e disomogeneo.

Cause: esposizione agli agenti atmosferici; presenza di umidità nella muratura (cristallizzazione dei Sali solubili);

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DSZ01-Disinfestazione di vegetazione superiore e inferiore con trattamenti chimici Qualsiasi manufatto esposto all’esterno è sottoposto a diverse azioni aggressive, in particolare alle azioni dovute ai fenomeni climatici tra cui la pioggia, l’irraggiamento solare, il vento, i cicli di gelo e disgelo, dalle azioni corrosive esercitate dai prodotti acidi inquinanti presenti nell’atmosfera e dalle azioni dei processi di trasformazione di tipo biologico, quali il metabolismo di micro e macro organismi vegetali insediatisi. L’esposizione prolungata ai fenomeni sopra elencati, come nel caso dei ruderi di Poggioreale, conduce all’aumento della porosità del materiale costitutivo dei manufatti, di conseguenza comporta una diminuzione delle sue caratteristiche di resistenza meccaniche. Questo, causa un accumulo progressivo di particellato atmosferico e la formazione di incrostazioni sulle superfici esterne che, infine, favorisce la crescita di alcuni vegetali tra cui talli, radici, fusti; i quali, a loro volta, causano alterazioni alle strutture e sommergono l’intero paese antico. Per tali ragioni, prima di qualsiasi intervento sulla 91

struttura, è necessario valutare lo stato di degrado del manufatto.

Essendo tutte le strutture in condizioni simili, possiamo ritenere il metodo di applicazione della disinfestazione, utile per tutti i casi in cui vi è la presenza di vegetazione all’interno dei ruderi. Il trattamento sulla vegetazione si divide in superiore ed inferiore.

Questo è necessario ad impedire ed eliminare la crescita spontanea, cioè di erbacee, arbustive e legnose. Si può anche intervenire attraverso una rimozione meccanica, ma è opportuno effettuare una combinazione fra i due sistemi (meccanica, biocida) per infliggere un minor rischio al substrato della struttura. Per quanto la rimozione senza il trattamento preliminare di biocida, questa, può compromettere l’integrità di un manufatto per le sollecitazioni che tale intervento, inevitabilmente, esercita. La scelta del prodotto chimico, per la adeguata rimozione della vegetazione, avviene in funzione al tipo di vegetazione che si vuole eliminare (erbacea, arbustiva o legnosa) e anche in base alla tipologia di pianta coinvolta (pianta a foglia larga o a foglia stretta). Detto ciò, i prodotti possono essere applicati in diversi modi: a spruzzo, a pennello, ad impacco e ad iniezione.

SMG01- Demolizioni e rimozioni parziali nei manufatti architettonici Il termine demolizione, nel campo dell’edilizia e specialmente nel campo di restauro, è un termine molto sensibile da utilizzare.

Il manuale Tecniche di Restauro UTET la definisce come “il complesso di lavori e di attività diretti ad abbattere e a distruggere una costruzione o alcune sue parti e a rimuoverne i materiali dal sito 92

su cui sorge, per condurli altrove, per disperderli o, in parte recuperarli.”. La motivazione, per effettuare questo intervento, può variare. Nel caso specifico dei ruderi di Poggioreale, si tratta di una demolizione di quegli elementi che comportano l’alta probabilità di crollo, quindi che potrebbe causare ulteriori danneggiamenti alla struttura o a terzi, come mensole, infissi, setti murari non stabili, coperture, scale ecc. Le demolizioni, nell’ambito di un progetto di restauro, possono riguardare ogni singola porzione, sia uno specifico elemento che il fabbricato architettonico nella sua interezza. In particolare, gli elementi della struttura che possono essere demoliti, sono le strutture e i componenti costruttivi di carattere murario, le strutture lignee o metalliche, le fondazioni e le pareti in muratura, le strutture verticali e orizzontali, quali volte o solai, coperture, i rivestimenti plastici o di altra natura e i singoli elementi strutturali. Prima di poter proseguire con una rimozione di un elemento architettonico, occorre rispettare alcune fasi organizzative: 1) Individuazione dell’oggetto. 2) Rilievo e analisi dell’oggetto da demolire. 3) Valutazione dei rapporti esistenti tra l’oggetto della demolizione e gli elementi o le parti contermini del manufatto. 4) valutazione in relazione ai dati precedenti, della risposta del manufatto in caso di demolizione. 5) selezione dei metodi, degli strumenti o dei macchinari più idonei per la demolizione. 6) redazione di un progetto della demolizione, cioè redigere le vari fasi necessarie alla realizzazione.

PLT01-Pulitura con acqua nebulizzata Si tratta di una tecnica di pulitura, con un sistema ad azione chi93

mico-fisica, che sfrutta la capacità solvente ed emolliente dell’acqua. L’operazione, viene applicata con l’effetto spruzzo manualmente. L’azione verificata è costituita principalmente, dall’acqua nebulizzata di tipo chimico e da un leggero effetto meccanico, dato dall’impatto dello spruzzo. Si tratta, per lo più, di una tecnica di pulitura preliminare, destinata all’indebolimento del degrado sottostante che successivamente viene eliminato attraverso altre tecniche come l’utilizzo della spazzola manuale. Il principio di quest’ultimo strumento, si basa sull’impiego di una serie di ugelli orientabili che consente di nebulizzare l’acqua gettata e di inviare (aerosol) di goccioline finissime sulla superficie destinata.

Questa tipologia di getto permette alle micro gocce di penetrare all’interno degli strati di deposito permettendo di rimuovere depositi incoerenti, croste nere costituite da leganti solubili in acqua e materiali particellari poco legati alle superfici di natura carbonatica. Questa tecnica è particolarmente efficace negli interventi su pietra calcarea compatta, come i marmi, ma anche per la pulitura di manufatti lapidei di grande e piccola dimensione. Va posta particolare attenzione al periodo di applicazione dell’acqua nebulizzata, quest’ultima va infatti applicata esclusivamente durante le stagioni calde, evitando l’inverno e il tardo autunno, così schivando il rischio che il materiale lapideo si geli.

sistema Jos e Rotec. Si tratta di un’evoluzione del sistema della micro sabbiatura, utilizzato a secco attraverso aria e agenti abrasive, oppure ad umido (con l’aggiunta di acqua). Tale metodo applica un’azione mediante un vortice d’aria elicoidale a bassissima pressione e impiega l’utilizzo di granuli fini di varia granulometria. Alla base della tecnica vi è il meccanismo della conversione dell’energia cinetica dell’aria compressa in energia di rotazione al momento del getto d’aria. Quest’azione crea, al momento dell’impatto dei granuli fini con la superficie interessata, un’abrasione che consente di rimuovere il degrado analizzato.

Il metodo di pulitura Jos, infatti, è utilizzato nella rimozione/pulitura dei depositi di smog, polveri e particellati atmosferici, croste nere, incrostazioni, graffiti (atti vandalici), alghe, muschi, licheni, e altri elementi di natura biologica. Come detto in precedenza, il metodo di applicazione può essere a secco o umido. Quando non siamo in presenza di elementi di pregio come affreschi, stucchi e intonaci è possibile adoperare il metodo a secco.

PLT02- Pulitura con i sistemi Jos e Rotec Quando il degrado è presente in modo aderente alla struttura, la tecnica dell’acqua nebulizzata risulta inefficace, in tal caso è possibile pensare di applicare una tecnica più invasiva come il

PLT03-Pulitura con impacchi di argille adsorbenti La pulitura con impacchi è una tipologia di intervento che si avvale dell’impiego di speciali argille adsorbenti come la sepiolite, l’attapulgite, e anche la betonite. La miscela a fango, ottenuta attraverso l’utilizzo dell’acqua e dell’argilla, esercita sulla superficie un’azione fisica agevolando la fuoriuscita dei sali solubili presenti all’interno della struttura porosa del materiale. Questa tecnica viene adoperata in presenza di degradi come: croste nere, patine biologiche e macchie di natura organica. La differenza

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sostanziale, e la preferenza nell’utilizzare gli impacchi piuttosto che i tradizionali pennelli e spugne, è che l’impacco consente e prolunga il contatto tra liquido solvente e depositi superficiali da rimuovere, invece le spazzole effettuano un’azione abrasiva, non consigliabile su superfici delicate. Se eseguita con materiale adsorbente, la procedura limita la profondità di penetrazione dei solventi e dei composti chimici all’interno del materiale soggetto a pulitura. La tecnica degli impacchi non si avvalgono soltanto dell’utilizzo dell’argilla, ma vengono utilizzate anche altre sostanze assorbenti come la polpa cellulosa, il talco e la silice colloidale e tutti materiali che dotano di un’elevatissima capacità di ritenzione (la capacità di impregnarsi di soluzioni acquose o altri liquidi senza variare il proprio volume). Al momento dell’applicazione dell’impacco, viene provocata un’azione chimico-fisico; la prima, garantita dalla capacità solvente dell’acqua nei confronti di molti sali, mentre la seconda favorita dalla possibilità di richiamo verso l’esterno di sali solubili e sostanze grasse, cerose e/o oleose. Questo tipo di sistema può essere utilizzato sia per interno che per l’esterno, ed è particolarmente indicata per superfici compatte e poco porose.

CSD01-Consolidamento delle murature con iniezioni Molto spesso, quando ci confrontiamo con strutture con un certo trascorso, le vecchie murature, possono presentare dei vuoti e delle discontinuità ai loro interni. Questo, nella vecchia città di Poggioreale è stato provocato dal terremoto del 1968, ma anche dalla tipologia di muratura che adoperavano in quel periodi. Per defi96

nizione, questi vuoti creano delle discontinuità/interruzioni nella materia delle strutture murarie, di conseguenza la sua capacita di resistenza si riduce. La tecnica di consolidamento delle murature con iniezioni consiste proprio nell’immettere una miscela legante di varia natura (malta cementizia e/o epossidica) a bassa pressione, affinché quest’ultima non si leghi alla struttura in oggetto e la rafforzi. In questo modo integra e/o sostituisce del tutto la malta originaria, per colmare i vuoti presenti all’interno del setto di muratura. L’iniezione deve avere una viscosità adeguata alla porosità del materiale per consentire alla miscela di penetrare in profondità della muratura. Effettuando una penetrazione soltanto superficiale si rischia di appesantire gli strati esterni, come l’intonaco, generando un distacco. Il campo di applicazione del consolidante è, nello specifico, lo stato fessurativo di murature che possono essere di pietra, mattoni o miste. L’iniezione non viene applicata soltanto in presenza di cavità all’interno del setto murario, ma anche dove vi sono problemi di perdita di adesione e di reciproca collaborazione tra le parti costruttive (mattoni, pietre), con conseguente riduzione della resistenza meccanica dell’insieme. Pertanto, il suo impiego è adeguato ove si riscontri un apparato murario irregolare e sconnesso, di diffuso degrado di malta, de coeso, disgregato o in parte mancante, con presenza di lesioni ben evidenti. Un particolare caso, presente specialmente all’interno dei ruderi di Poggioreale, sono i vuoti e/o profondi stati lesionativi del setto murario, in questo caso è consigliabile utilizzare l’iniezione con malte idrauliche.

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CSD02- Tiranti anti espulsivi La tecnica consiste nella realizzazione o nel ripristino della continuità traversale di una muratura, attraverso l’inserimento di barre metalliche passanti, ancorate con piccole piastre bullonate alle sue facce esterne; in tal modo, si assicura il collegamento dei suoi parametri. Questa tipologia di intervento, viene applicata quando siamo in presenza di pareti caratterizzate da paramenti, in parte o totalmente, scollegati tra loro. Molto spesso, possiamo ritrovarli nelle murature a sacco, a nucleo o a paramenti accostati e non connessi. All’interno dei ruderi, dopo lo studio delle tecniche costruttive, sono emerse molte murature a “nucleo”, ovvero l’accostamento di due murature con pietrame irregolare con riempimento di elementi di vario tipo, come terra cruda, canne, paglia ecc.

Questo tipo di consolidamento, anche se puntuale e molto specifico, garantisce una certa efficacia sulle piastre di ancoraggio, grazie all’attrito presente tra gli elementi a contatto con le piastre e quelli adiacenti. Naturalmente, la riuscita dell’intervento, varia in base alla tipologia di muratura su cui si agisce. Nel caso di una muratura con pietre di piccole pezzatura (molto comuni all’interno del sito) l’azione del tirante è limitata a un’area ridotta.

CSD03- Consolidamento strutturale mediante fasciatura con fibra di carbonio Le colonne e i pilastri, costituiti da uno o più pezzi lapidei monolitici o realizzati in muratura, sono prevalentemente compressi e presentano due tipi di problemi molto ricorrenti. Per primo, essi sono spesso soggetti a collassi a causa delle compressioni o per 98

pressoflessione. Questo si verifica quando il carico è prossimo o superiore alla resistenza dei materiale. In questi casi (come ad esempio all’interno della chiesa di Sant’Antonio di Padova, nelle quattro colonne dell’ingresso), la crisi avviene per dilatazioni laterali, evidenziando l’origine dello schiacciamento, con microfessurazioni verticali degli elementi e con eventuale espulsione di materiale. In secondo luogo, colonne e pilastri, possono subire schiacciamenti localizzati, parzializzazioni o riduzioni delle sezioni resistenti, quando sono sottoposti anche ad azioni orizzontali, conseguenti ad un sisma per esempio, come avviene nel nostro caso. Molto spesso però, questi ultimi, si posso risolvere con dei semplici trattamenti di iniezione di consolidante. Quando l’origine del dissesto è di tipo schiacciamento è preferibile utilizzare questa tipologia di intervento che contrasta le dilatazioni, realizzando una cerchiatura o fasciatura dell’elemento. La cerchiatura può essere composta di diversi materiali: metallici, lignei e anche da fasce di fibre speciali, quindi da un materiale resistente a trazione. L’utilizzo della fasciatura con fibre di carbonio consiste nell’incollare al supporto, mediante l’utilizzo di resine adesive, una o più fasce di tessuti fibro rinforzanti. In questo sistema, le fibre costituiscono l’elemento resistente, mentre la matrice di resina rende collaborante il rinforzo con la struttura.

CSD04- Puntellature, centinature e armature provvisionali Queste tipologie di consolidamento sono esclusivamente impiegate per la costruzione di nuovi manufatti, per il sostegno di parti lesionate o instabili di edifici e manufatti esistenti e per il loro 99

consolidamento e restauro. Nel nostro caso, nei ruderi, le puntellature svolgono un ruolo fondamentale, se non essenziale, per ipotizzare un eventuale recupero del borgo antico. Questo è il primo passo per la messa in sicurezza delle strutture. Quando si tratta di stabilità della struttura architettonica, quest’ultima, non è legata unicamente alla resistenza dei materiali costitutivi, ma anche al rapporto tra gli elementi che la compongono. Dove si verificano dei cedimenti fondali, oppure dei terremoti, frane ed esplosioni, si potrebbe verificare di mettere a rischio i legami della struttura.

Dal momento in cui i legami tra le muratura verticali e le strutture orizzontali si generano, il fabbricato perde il suo equilibrio e la sua stabilità portando ad un futuro crollo. Le puntellature, per definizione, sono un elemento prismatico che può avere sezione circolare, quadrangolare o poligonale e a sviluppo prevalentemente lineare. Queste, vengono adoperate per contrastare il movimento o il cedimento della struttura e per sostenerla una volta che il cedimento si è verificato. In base alla tipologia della struttura da sostenere e i movimenti da contrastare, può essere applicato in diversi modi: verticale, orizzontale o inclinato. La posatura verticale va effettuale quando siamo in presenza di una trave inflessa, quella orizzontale, va posizionata tesa tra i muri di due edifici per contrastarne deformazioni localizzate, mentre quella inclinata va adoperata per impedire il ribaltamento di una parete. Naturalmente, al momento dell’esecuzione, tra la testa del puntello e la struttura che sostiene, va inserito un elemento di mediazione, come una tavolata di legno, che aiuta a ripartire i carichi su un’aria più vasta. Detto questo, possiamo dire che, la puntellatura si può defi-

nire secondo le tecniche di restauro UTET “nella posa in opera di uno o più puntelli, isolati oppure ripetuti e tra loro connessi, fino a formare strutture più complesse e generalizzate che, talvolta, la ingabbiano interamente per contrastarne eventuali movimenti e cedimenti per la sua messa in sicurezza”.

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PTZ01-Protezione e impregnazione della pietra con prodotti impermeabilizzanti I protettivi sono sostanze polimeriche filmogene trasparenti. Il loro compito è quello di proteggere, creando una patina/barriera al di sopra della superficie, la muratura da eventuali attacchi da parte di fattori atmosferici come la pioggia ed agenti inquinanti, evitando il degrado della struttura. Questo strato protettivo che viene posato al di sopra della muratura, nel caso di Poggioreale antica serve per mantenere i setti di muratura nello stato in cui si trovano evitando ulteriori degradamenti, si comporta come un solido rigido e resistente il cui funzione è quello di proteggere da urti, usura e abrasione. Esistono diverse sostanze polimeriche che svolgono questo compito tra cui: protezione con microemulsione siliconica, protezione con metilfenil silossano, protezione con fluoro elastomeri, protezione con copolimeri fluorurati, protezione con polifluorouretani, protezione e impregnazione con resine acriliche.

PTZ02- Protezione delle creste con bauletto di malta.

La protezione delle creste dei muri è una tecnica di intervento che non segue delle regole di restauro ben precise in quanto può

essere eseguita da una figura non per forza professionale e ha il compito di proteggere la muratura dagli attacchi degli agenti atmosferici. Si applica nel campo della conservazione di un reperto archeologico o in un rudere. Questa tecnica di intervento, senza dubbio, non deve alterare e turbare la leggibilità del reperto e deve mantenere integra la stratigrafia delle tecniche costruttive.

La metodologia del bauletto di malta consiste nel realizzare al di sopra della cresta di muratura una nuova superficie alta circa tra i 10 e 15 cm costituita da uno strato di malta di calce mista a cocciopesto o pozzolana. La tecnica deve essere sempre preceduta da un attento processo di pulitura prima del getto e un eventuale consolidamento e/o stuccatura della parte interessata. Le fasi da rispettare per una buona messa in opera sono: Pulitura meccanica delle superfici con appostiti aspiratori e spazzole; eliminazione di eventuali muschi e licheni attraverso processi biocida; asportazione di erbe o piante infestanti; consolidamento delle parti strutturali che minacciano la stabilità della struttura; stuccatura delle fessure lievi presenti; stesura della malta; trattamento protettivo idrorepellente delle superfici; Per un ulteriore protezione della cresta, può essere inoltre stesa una lamina di piombo tra la superficie della cresta muraria e il bauletto di malta al fine di una migliore protezione del setto di muratura. Questa tecnica di intervento nel nostro progetto è di fondamentale importanza in quanto riesce a conservare e consolidare la muratura degradata lasciandola, visivamente, al suo stato brado, conservando il fascino di rudere che suscita all’interno dell’area.

PTZ03 Protezione di cornici e aggetti All’interno dei ruderi di Poggioreale possiamo osservare diversi

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edifici dove sono presenti sporti e aggetti quali timpani, cornici, tettoie e marcapiani, che svolgono una funzione protettiva, più che decorativa, sull’edificio. Questi elementi, molto spesso, sono in muratura e si trovano al di fuori dell’edificio, sulla facciata esterna, non protetti dalle aggressioni degli eventi atmosferici come le piogge. Questa tecnica di protezione, viene adoperata proprio su questi elementi maggiormente esposti della struttura. Naturalmente, questa è una tecnica di finitura in restauro e, perciò, viene applicata a seguito di altre altre tecniche come: le opere di pulitura, il consolidamento, la stuccatura e l’eventuale integrazione dei sottostanti elementi costruttivi portati a termine.

Per quanto concerne l’applicazione distinguiamo due tipologie: le scossaline, di metallo e le copertine, in materiale lapideo.

Elementi costruttivi e materiali utilizzati

Prima di arrivare alla classificazione ed elencazione delle diverse tipologie di elementi costruttivi e materiali utilizzati all’interno del borgo antico, è stato necessario, se non fondamentale, uno studio attento dell’intero territorio. Dopo diversi sopralluoghi in sito e dopo aver “familiarizzato” con quanto ci circondava, abbiamo deciso di effettuare una lettura critica per l’elaborazione di tale testo. Per effettuare una corretta lettura dello stato di conservazione in cui si trovano i fabbricati, non si può che partire da un’attenta osservazione visiva dei materiali e delle strutture che lo compongono. Le fasi che riteniamo necessarie attraversare ci conducono dalla conoscenza dello stato di fatto/conservazione fino alla possibilità di imbattersi nella lettura delle cause e di meccanismi dell’alterazione del materiale per poi effettuare lo studio del degrado. A questo punto, l’analisi conoscitiva della struttura architettonica, diventa un elemento indispensabile per poter comprendere fino in fondo le cause del degrado. Come scritto nella carta del restauro “.. Nessun progetto di conservazione o restauro potrà dirsi idoneo e passare alla fase esecutiva se non sia prece105

duto da un attento studio dell’opera e del suo contesto ambientale, da preventivare e finalizzare in modo specifico. Parte integrante di questo studio saranno ricerche bibliografiche, iconografiche e archivistiche per acquistare ogni possibile dato storico, nonché ricerche sperimentali sulle proprietà materiali del manufatto.” .

Tutte le informazioni ottenute attraverso lo studio a “tutto campo” sono state riportate ed elaborate all’interno di una tavola di presentazione. Qui di seguito si riporta l’elenco degli elementi analizzati all’interno del sito diviso in: Murature, Fondazioni, Volte, Solai, Coperture, Aperture, Scale, Elementi di Pregio, Ferrate.

Fondazioni Dopo lo studio in campo delle diverse tecniche si può affermare che le fondazioni utilizzate all’interno del centro antico, presentavano uno spessore pari al doppio dello spessore della muratura che la sovrastava. È possibile ipotizzare che, la profondità era elaborata in relazione ai terreni di sedime, con un rapporto minimo del 18-20% rispetto all’altezza complessiva dell’edificato. La tipologia di fondazione è definita a “scarpa” per la forma della sua sezione, inoltre è detta a riseghe o a gradoni eseguiti in tal modo per poter incrementare la superficie di appoggio della struttura.

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Muratura All’interno del vecchio insediamento, le tecniche costruttive delle unità abitazionionali, si basavano sull’utilizzo di materiali come la calcarenite, il gesso, la malta, e anche la terra cruda. I materiali utilizzati all’interno del sito erano di origine locale, ricavati molto spesso in sito stesso, da una cava a cielo aperto detta pirrere. Per quasi l’intero paese, le murature, sono costituite in pietrame di forme irregolari legate tra loro con quantità abbondanti di malta, gesso o calce. Inoltre, in prossimità degli spigoli/angoli e delle aperture dell’edificio, veniva utilizzato il pietrame squadrato di grossa dimensione.

Muratura di blocchi di pietra calcarea.La tessitura muraria è costituita da blocchi di calcarenite di altezza pressoché uniforme,

disposti secondo filari continui. Il posizionamento dei blocchi crea, dunque, una struttura monolitica dello spessore, in cui, ciascun blocco costituisce il totale spessore murario. Questa tecnica di posatura conferisce alla muratura le caratteristiche di stabilità e resistenza largamente superiori a quelle realizzate con pietrame irregolare. Si identifica spesso questa tipologia agli angoli delle strutture e negli edifici di rilevanza storica.

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Muratura in pietrame irregolare- Tra gli elementi portanti della struttura, la muratura è costituita di pietrame di forma irregolare legato tra loro attraverso una malta grezza a base di acqua, gesso, terra grassa e cenere. Nelle pareti di maggior spessore, venivano realizzati due paramenti scarsamente connessi tra di loro con un nucleo centrale che viene riempito da materiale che risulta dai nostri studi di natura varia. Proprio questa mancata realizzazione di strutture di connessione, ha determinato e facilitato il crollo dell’elemento murario.

Riprese a Mattoni- Anche se non diffuse all’interno del borgo antico, vi sono degli esempi di muratura ripresa a mattoni. Un intervento eseguito con elementi in laterizio su preesistenti strutturali lapidei. Vengono usati mattoni sottili chiamati pantofali, di

Volte All’interno del vecchio insediamento le tecniche costruttive delle chiusure verticali, come le volte, possono essere di vario tipo. La tipologia di volta maggiormente utilizzata negli edifici accessibili, sono le volte a botte e le volte a crociera, sia in pietra che in legno.

Con frequente ricorso alle realine di pietrame e mattoni in foglio (pantofoli), disposti in senso perpendicolare alla volta madre con funzione di alleggerire il riempimento realizzato sull’estradosso.

I materiali utilizzati per il restante riempimento sono vari, dalla terra vegetale alla paglia. Sull’estradosso del riempimento veniva dopo gettato il massetto di sotto-pavimentazione e quindi realizzata la pavimentazione.

Volta d’incannucciata- Esempio molto frequentemente utilizzato all’interno delle abitazioni del vecchio insediamento, composto da una centina in legno rivestito all’esterno con l’incannucciata

fabbricazione artigianale e di dimensione variabile.

Tramezzo d’incannucciata- Presente in quasi tutti gli edifici del sito, costituito da un’anima di canne a sezione circolare, ricoperto da una malta a base di gesso di circa 1cm.

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schiacciata e disposto a maglia trecciata, poi ricoperto di gesso e molto spesso affrescato.

Volta a botte in pietra- Tipologia di volta frequentemente utilizzata all’interno delle chiese e palazzi di spessore.

Volta a crociera in gesso- Ritrovata in quasi tutte le abitazioni del vecchio insediamento, elemento portante su cui si poggia la pavimentazione del piano successivo, mentre all’intradosso veniva messo il gesso e poi affrescata. Il riempimento della volta era di materiale leggera come la calcerenite, canne, ecc.

Solai Dall’osservazione effettuata abbiamo riscontrato che i solai intermedi impiegati nell’edilizia del centro antico di Poggioreale sono a struttura lignea. Nella maggior parte dei casi, i solai sono composti da una semplice orditura di travi disposte ortogonalmente ai setti di muratura, i quali sostengono un tavolato di calpestio. Le tipologie di legno utilizzata erano: il castagno, il pioppo, e l’olivastro. Ma nelle abitazioni più frequenti veniva utilizzato l’abete. Nonostante quest’ultime tipologie di solai, ne troviamo alcuni costituiti in laterizio nei palazzi restaurati attorno agli anni 50’. Contrariamente vengono utilizzati raramente solai ad orditura doppia, che nel caso di Poggioreale vennero utilizzati negli edifici di grossa dimensione o di particolare importanza.

Solai ad orditura semplice.Il solaio ad orditura semplice rappresenta la tipologia più elementare di struttura orizzontale, composto da una singola orditura di travi con tavolato sovrapposto e con regoli coprifilo. Questo tipo di solaio è di uso comune nell’edilizia di base e, in genere, negli ambienti di luce ridotta.

Solai ad orditura doppia.Il solaio ad orditura doppia si trova raramente all’interno dei ruderi. Questo ci conduce a ipotizzare che questa tipologia di tecnica, veniva utilizzata soltanto negli edifici più rappresentativi e nobiliari, tra cui il palazzo del principe Morso. Questa tipologia di solaio è composta da due orditure, una principale e una secondaria.

Solai in laterizio.È molto raro l’utilizzo del solaio in laterizio all’interno della città antica. L’unico esempio riscontrato si presenta all’interno del palazzo nobiliare che fu restaurato intorno

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agli anni 50’. Si tratta di una tecnica moderna composta dall’accostamento di pignate in laterizio ed elementi in ferro.

Copertura Le coperture in tutta la città antica di Poggioreale sono a struttura lignea a semplice o a doppia orditura, ed è molto comune trovare l’utilizzo e l’impiego della capriata o la falsa capriata. Gli schemi di copertura dei corpi di fabbrica residenziali sono essenzialmente a due falde simmetriche, mentre quelli dei loggiati e degli annessi rustici sono a una falda. Tuttavia, nei palazzi signorili non è raro l’utilizzo di schemi a padiglione. Il manto di copertura è realizzato con coppi locali, posati semplicemente su delle canne nelle residenze più antiche, oppure posato su un massetto e poi stabilizzato con calce nelle residenze più recenti. La struttura lignea della copertura è composta dalla trave di colmo, arcerecci (nel caso di orditura doppia) e da travicelli, e viene ripartito sui quattro setti murari che definiscono la cellula edilizia.

Copertura piana- Si tratta di una chiusura verticale piana con elementi portanti lignei, apparecchio di laterizi e manto superiore a terrazza. Questa tipologia di struttura si avvicina ad un solaio rustico per la sua composizione.

Copertura con capriata- Soluzione molto diffusa all’interno del centro storico, disposta trasversalmente e appoggiata ai muri perimetrali longitudinali. È composta dai seguenti elementi costruttivi: puntoni, monaco, saetta e la catena.

Copertura a falda singola o doppia- Generalmente realizzata su un’ orditura lignea può presentarsi sia singola che doppia, in base all’importanza della struttura sotto esame.

Aperture Il sito è caratterizzata da una molteplicità di portali ed aperture.

Quest’ultime si differenziano per grandezza e tipologia di materiale utilizzata. La maggior parte dei portali presenti all’interno del sito sono costituiti da pietra calcarea intagliata e decorata, essi si trovano soprattutto lungo tutti il viale di accesso ( Corso Umberto I) alla città, sono presenti anche nei palazzi di carattere storico artistico. Per quanto riguarda le altre tipologie di aperture sono quasi interamente in legno.

Portale.Elemento architettonico realizzato in pietra composto da due piedritti e un elemento orizzontale, piattabanda o ad arco.

Generalmente decorato ad intarsio raffigurante elementi vegetali (foglie, fiori).

Porta.Elemento architettonico realizzato da un telaio in legno composto da due pilastri e una trave, generalmente in legno.

Infisso semplice- Elemento architettonico realizzato in legno.

Rosone.Il rosone è un finestrone decorativo di forma circolare applicato alle facciate delle chiese di stile romanico e gotico.

Finestra in pietra.Elemento architettonico realizzato in pietra ad intarsio, utilizzate maggiormente negli edifici di pregio artistico, come palazzi nobiliare, ville e chiese.

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Scale Le abitazioni all’interno di Poggioreale Antica sono rigorosamente monofamiliari, ciò implica che i collegamenti verticali siano assicurati. Le scale in muratura sono realizzate con conci lapidei, mattoni cotti e crudi secondo geometrie e schemi strutturali differenti ma solitamente riconducibili a quelli dell’arco rampante e incassata tra due pareti portanti. Nelle soluzioni più antiche i gradini sono realizzati con conci lapidei sagomati opportunamente che costituiscono, oltre alla struttura, anche la finitura e il piano di calpestio della rampa, mentre di più recente nelle scale ad arco rampante. La geometria della rampa è definita da materiali in laterizio e la finitura della rampa con lastre di ardesia o di altri lapidei di spessore non superiore a tre centimetri.

la verso lo spazio del cortile, la spezzata degli scalini.

Scala a pozzo in pietra- La scala a pozzo in pietra è caratterizzata da quattro montanti e pozzo di luce centrale. Scala autoportante costituita da gradini in pietra.

Scala interna a muratura- Sono realizzate con conci lapidei, mattoni cotti e crudi secondo geometrie e schemi strutturali differenti, ma soltanto riconducibili a quelli dell’arco rampante e incassata tra due pareti portanti.

Scala esterna in pietra- La scala esterna in pietra è tipica delle corti caratterizzate dalla costruzione in conci di pietra calcarea e dalla decorazioni con modanature che sottolineano, proponendo114

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Elementi di Pregio All’interno dei ruderi di Poggioreale è possibile riscontrare diversi elementi di valenza storico-artistica di grande pregio: portali, mensole, balconi, affreschi, capitelli, ferrate, ecc. Nelle residenze più antiche della città, le volte (a crociera o a botte) erano affrescate, ma questi elementi, ad oggi, sono andati quasi interamente perduti a causa del collasso delle strutture verticali. Negli edifici di culto, come la chiesa di Sant’Antonio e di Gesù e Maria, troviamo elementi architettonici come paraste con capitelli in stile corinzio. Gli elementi più noti all’interno della città vecchia sono mensole, balconi e ferrate che caratterizzano e abbelliscono le facciate degli edifici.

Portale in pietra intagliata.Un portale in architettura è una porta monumentale di un edificio che in genere da sull’esterno. Può essere realizzato in marmo o in pietra, e, nella maggior parte dei casi, presenta della decorazioni intagliate nella pietra.

Affresco su volta.L’affresco è una tecnica di pittura che consiste nell’impiegare colori diluiti in acqua su una superficie muraria coperta da uno o più strati di intonaco e mantenuta umida.

Cornicione.Il cornicione è quell’elemento architettonico che svolge la funzione di completamento superiore di un edificio.

Normalmente presenta un andamento orizzontale e sporge in modo accentuato rispetto alla parete esterna dell’edificio. A volte può essere decorato con modanature e mensole.

Mensole.La mensola è quell’elemento orizzontale che sporge rispetto ad una superficie verticale, ad esempio una parete, con la funzione di sorreggere carichi aggettanti, come i balconi.

Parasta.La parasta è quell’elemento architettonico strutturale verticale (pilastro) inglobato in una parete, dalla quale sporge

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solo leggermente. Esso è sempre dotato di capitello (in questo caso di stile corinzio) e base.

Arco.In architettura è un elemento strutturale di forma curva che si appoggia su due piedritti ed è tipicamente sospeso su uno spazio vuoto. È costituito da conci in pietra spesso con forma trapezoidale, molto spesso chiamati cunei. Inoltre, il cuneo che chiude l’arco è chiamato chiave di volta.

Pavimentazione Oltre agli elementi principali, come le coperture, i solai, le murature e le aperture, si deve dare particolare importanza anche ad elementi come le pavimentazioni. Quest’ultime, vengono rintracciate nelle corti, negli spazi pubblici e nelle case. Le pavimentazioni maggiormente riscontrate sono costituite da mattonelle di cemento delle dimensioni di 20x20cm. La pavimentazione rappresenta, dunque, una superficie materiale, fatta con la pietra locale, sovrapposta al suolo come un semplice rivestimento che, spesso, si estende con continuità nei loggiati e negli annessi rustici.

Pavimentazione interna.Elemento calpestabile posto al di sopra delle orditure del solaio, generalmente in cotto oppure in cemento e, in rari casi, in marmo.

Collegamenti verticali esterni.Realizzati con materiali lapidei locali di differente pezzatura, posizionati seguendo delle trame ben stabilite. La scelta delle pietre veniva effettuata in base alla loro superficie, sempre ruvida proprio per impedire cadute accidentali.

Marciapiede.Pavimentazione stradale realizzata attraverso l’utilizzo di cemento e pietrame. In passato, venivano adoperati materiali di facile reperibilità come conci di pietra e blocchi di marmo.

Ferrate Le ferrate, a protezione delle finestre oppure poste come parapetto dei balconi, sono elementi tipici all’interno dei ruderi di Poggioreale. Componenti ben noti grazie al regolamento edilizio del XIX secolo, il quale sancisce la diffusione di barriere e cancellate, prescrivendo l’uso obbligatorio per giardini, villette, e spazi liberi. Lo stesso avviene nell’utilizzo di balconi che vediamo sostituire le logge su mensole di pietra o su struttura lignea. Il balcone a ringhiera di ferro e mensole metalliche è oggi uno degli elementi più tipici dei prospetti cittadini. Molto diffusi sono i balconi ottocenteschi a bastoni dritti o sagomati a balaustro allungato, retti da mensole costituite da putrelle ad ala stretta su cui sono applicati ornamenti in ghisa.

Inferriata- Elemento di chiusura per balconi ed eventuali aperture. Realizzata in ferro battuto e composta dall’alternarsi di sbarre orizzontali e verticali, disposto a grate, più o meno spesse. La maggiore parte dei balconi risalenti ai primi del Novecento presentavano delle decorazioni per tutta l’inferriata.

Mensole in pietra- La mensola è quell’elemento orizzontale che sporge rispetto ad una superficie verticale, ad esempio una parete con la funzione di sorreggere carichi aggettanti, come i balconi.

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Il progetto di valorizzazione Il museo a cielo aperto

Quando pensiamo ad un’aria interamente fruibile a qualsiasi tipo di visitatore è pressoché impossibile non immaginare ad un impianto a stile museale. Il museo così diviene la città stessa dove, da un lato, i percorsi principali rappresentano e costituiscono le gallerie espositive mentre dall’altro, i vicoletti, le abitazioni e gli scorci visivi diventano delle vere e proprie opere d’arte da ammirare. Per rendere tutto questo possibile è necessario inserire tutti gli elementi necessari affinché il visitatore possa percorrere un piacevole e confortevole itinerario. In tal senso, ci riferiamo ai servizi, alle aree ristoro, alle aree sosta e a tutti quei servizi che contribuiscono a creare un ambiente pratico e agevole. Il visitatore è invitato a scoprire i vari spazi all’interno dei ruderi senza tralasciare il suo spirito da esploratore. Il progetto, infatti, è fondato sulla piena libertà da parte del visitatore di percorrere il sito.

Il museo a cielo aperto, in realtà, non ha la pretesa di ricostruire ciò che il paese era un tempo, ma consente a colui che osserva di rivivere l’essenza del luogo attraverso l’utilizzo dell’immaginazione attiva che il rudere scaturisce.

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L’accesso a Poggioreale avviene percorrendo la Statale PalermoSciacca. Una volta imboccato lo svincolo di “Poggioreale Nuova” si giunge all’interno del nuovo centro urbano, costruito interamente nel 1968, in seguito al terremoto. Per poter raggiungere il vecchio sito, i ruderi di Poggioreale, la segnaletica presente invita a percorrere per circa 4 km la strada principale. Una volta arrivati a Poggioreale, le sensazioni che oggi il sito consente di esperire sono decisamente contrastanti. Da un lato, suscita tristezza e malinconia, dall’altro è avvolto da un alone di mistero il quale costituisce il miglior biglietto da visita per aggiungersi ad entrare. L’obiettivo principale del nostro progetto è quello di donare all’intero sito un carattere ludico, ricreativo e spensierato ma anche conferirgli quel valore storico e culturale che per troppo tempo è stato tralasciato. Metaforicamente potremmo paragonare Poggioreale all’Araba Fenice, l’uccello mitologico che rinasce

Vista dei Ruderi di Poggioreale e Monte Castellazzo

dalle proprie ceneri dopo la morte che, proprio per questo motivo, simboleggia anche il potere della resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva alle avversità, coltivando le risorse che si trovano dentro di noi. Proprio come l’animale mitologico, risorgerà dalle sue ceneri o forse, sarebbe consono dire, “dai suoi ruderi”.

Secondo il concetto di “Experiential Learning”, il quale costituisce un modello di apprendimento basato sull’esperienza, sia essa cognitiva, emotiva o sensoriale, dove il processo di apprendimento si realizza attraverso l’azione e la sperimentazione di situazioni, compiti, ruoli in cui il soggetto, attivo protagonista, si trova a mettere in campo. Allo stesso modo, riproponendo tale modello, per rafforzarne l’aspetto esperienziale sono state individuate, all’interno dell’area, delle location particolarmente suggestive, nelle quali il visitatore una volta giunto, può stupirsi ed emozio-

Viste della Chiesa Madre

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narsi e divenire il protagonista attivo della propria esperienza. In questi spazi prestabiliti, nei quali verranno effettuate delle opere di restauro e riqualifica, sarà possibile ammirare la commistione di elementi originali e di simboli totalmente nuovi al fine di creare degli ambienti nei quali passato e futuro si incontrano creando un percorso sensoriale non indifferente. Iniziando il suo itinerario, la prima tappa per il visitatore sarà rappresentata da Casa Agosta, l’edificio che per primo mostrerà importanti opere di restauro. La struttura, una volta messa in sicurezza, manterrà il suo prospetto ma subirà importanti lavori al suo interno. L’involucro esterno, che esprime il tipico fascino architettonico del rudere, creerà un forte contrasto con l’impianto tecnologico interno. L’edificio sarà destinato ad ospitare la biglietteria, nonché il museo storico. Vista la sua collocazione all’interno del sito, ovvero all’inizio del percorso, Casa Agosta fungerà anche da info-point, in modo che i visitatori, una volta entrati, possano farsi un’idea di ciò che potranno vedere e di quali percorsi seguire. Inoltre, sarà possibile prenotare un’audio-guida che racconterà, a chi fosse interessato, la storia del paese e che li condurrà alle tappe salienti del percorso. Proseguendo la passeggiata sono tante le location che il visitatore incontrerà.

Ipotesi prima e dopo: Palazzo Agosta

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La Piazza degli artisti, nota come Piazza del Gesù e Maria, una volta luogo di transito e di incontri della comunità, si caricherà di un altro significato: si trasformerà in un luogo simbolo estremamente intrinseco di un senso di rinascita sia a livello artistico che culturale. Le opere di restauro che sono state progettate riguardano gli edifici che circondano l’area e il tessuto urbano.

Verrà ripristinata la pavimentazione stradale e verranno effettuati interventi di consolidamento e messa in sicurezza degli edifici limitrofi. L’intera area è pensata come una grande sala espositiva nella quale poter ammirare varie opere e istallazioni di grandi artisti contemporanei.

La piazza Elimo, una volta cuore pulsante del paese, diventerà così fulcro del paese e sarà destinato all’ organizzazione di con-

Ipotesi prima e dopo: Piazza del Gesù e Maria Piazza Elimo

certi, eventi, conferenze e rappresentazioni di carattere artistico e culturale. Il progetto prevede di ricostruire la pavimentazione, e di ripristinare i prospetti prospicenti l’area. La scalinata che dalla chiesa Madre conduce a Piazza Elimo, rappresenta tutt’oggi la spina dorsale del centro antico. Un tempo luogo nel quale si svolgevano gran parte delle attività quotidiane, verrà messa in sicurezza e ripulita dai molteplici depositi superficiali e della ve125

getazione presente.

Per quanto riguarda il teatro comunale, esso si riapproprierà della sua identità e della sua funzione rappresentativa e, come un vero e proprio teatro greco, sarà animato da opere teatrali all’aperto, drammi e commedie. Verrà messa in sicurezza l’intera area e verranno effettuate opere di consolidamento per la parte sopravvissuta e rimasta integra dopo il terremoto del ’68. Il perimetro di quest’area sarà ricostruito attraverso l’utilizzo di pedane in legno in modo da renderlo accessibile e facilmente fruibile.

Il Giardino dei Principi, una volta giardino privato della residenza nobiliare Morso, diventerà una vasta aerea relax immersa nella natura. Una sorta di “polmone verde” immerso tra le rovine. Un luogo in cui si potrà sostare e respirare l’originale profumo degli

Palazzo Agosta Via Matrice Ipotesi Tour D’Italia Ipotesi prima e dopo: Teatro Comunale Giardino dei Principi

agrumeti.

Infine, ci siamo concentrati nell’elaborare un progetto di restauro per due particolari edifici, dei quali si parlerà abbondantemente nei paragrafi seguenti: un palazzo nobiliare e la chiesa Madre. Il palazzo nobiliare, formato da due piani è sito nella via principale del paese, sarà destinato ad essere una sala espositiva, oltre che un’area ristoro. Pur mantenendo le caratteristiche originali, qua126

li la pavimentazione, intonaci e distribuzione interna, cambierà però la sua funzione. Da spazio privato che era un tempo, diventerà uno spazio totalmente accessibile e di conseguenza pubblico.

La chiesa invece, oggi quasi del tutto rasa al suolo, mantiene però ancora oggi il suo fascino, rimandato quasi esclusivamente dal perimetro murario e dalla presenza dei resti di alcune colonne.

L’area, occupata una volta dalla chiesa, diventerà una piazza. Il carattere sacro e spirituale un tempo intrinseco alla fabbrica architettonica sarà sostituito dal carattere ludico, difatti l’area sarà destinata all’organizzazione di una grande varietà di eventi.

Una volta effettuati i lavori di restauro, si è pensato di creare degli spazi destinati al deposito e parcheggio di attrezzature necessarie alla costante manutenzione del sito. Per evitare ulteriori danni alle strutture e ridurre l’impatto inquinante, si è pensato di ricorrere all’utilizzo di mezzi eco-friendly che potranno essere utilizzati dagli addetti ai lavori.

L’intero sito, essendo stato concepito come luogo in cui fare lunghe passeggiate all’area aperta, e perché no, anche per svolgere attività sportive, ospiterà delle postazioni di Bike-sharing dalle quali sarà possibile affittare delle bici per poter percorrere, attraverso gli appositi percorsi ciclabili, l’intera area con uno spirito sportivo. Pensiamo che sarebbe anche possibile proporre la candidatura di un luogo così suggestivo come possibile tappa per il Giro D’Italia.

Per far sì che Poggioreale non sia semplicemente un luogo di passaggio, ma un posto in cui trascorrere le proprie giornate, saranno presenti diverse aree ristoro tra cui anche un area pic-nic. Verran127

no allestiti dei bagni pubblici posti in vari punti del paese. Per rendere il sito accessibile a tutti, verranno creati dei percorsi adatti a coloro i quali sono portatori di disabilità, in modo da rendere l’intera area fruibile. Tra i servizi progettati all’interno dell’area, bisogna ricordare anche il giardino attrezzato, l’abbeveratoio e una nursery. Infine, sarà predisposta una rete wi-fi per tutto il sito, dalla quale sarà possibile collegarsi e condividere attraverso i social la propria esperienza.

Corso Umberto I

foto di Francesco Rotolo, Corso Umberto I

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Palazzo Agosta

Dopo un attento studio che riguarda, in particolar modo, la messa in sicurezza degli edifici circostanti, la nostra attenzione si è rivolta ad una struttura in particolare: il palazzo nobiliare Agosta.

Situato lungo il corso Umberto I, il palazzo è considerato uno degli edifici di maggior prestigio del paese. Risalante ai primi anni del XX secolo, la costruzione presenta oggi ingenti danni, causati dal terremoto del ’68 ma soprattutto dall’incuria e dalla trascuratezza a cui è stata sottoposta negli anni. Palazzo Agosta è caratterizzato da una pianta regolare a base quadrata contenente una corta interna e si eleva su due piani. La fabbrica architettonica è caratterizzata da una muratura portante di spessore differente tra i due piani. In quanto casa nobiliare, essa presenta tutte le caratteristiche che sono tipiche delle case private aristocratiche. Al piano terra, infatti, è possibile verificare la presenza di ambienti dedicati probabilmente al ricovero delle carrozze, alle stalle, dove un tempo dimoravano gli animali da pascolo, e infine agli spazi delle cucine. E’ possibile che, con il passare del tempo, la funzione di questi ambienti è mutata. Le mura interne risultano annefoto di Francesco Rotolo, Chiesa Madre

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rite e presentano evidenti tracce di cenere: probabilmente questi ambienti si trasformarono negli anni, per diventare depositi contenenti rudimentali impianti di riscaldamento dell’intera dimora.

L’accesso al secondo piano avviene mediante una scala interna “a pozzo di luce” realizzata da massicce lastre di marmo, inserite direttamente nella muratura. La tecnica costruttiva con la quale è stata realizzata la scala rappresenta ad oggi una testimonianza di notevole pregio manifatturiero del tempo. Per quanto riguarda il corrimano, oggi non più presente, era realizzato in ferro battuto.

Il vano scala è sormontato da un imponente struttura in ferro, la quale un tempo era adornata da vetri colorati che contribuivano a creare un affetto scenico di luci colorate. Purtroppo non restano tracce di quanto appena detto, ma è stato possibile fare una ricostruzione grazie alle testimonianze dei poggiorealesi, i quali raccontano che, dopo il terremoto, le splendide vetrate, nonché

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tutti gli altri elementi di pregio, sono andate perdute a causa dei continui atti di sciacallaggio che hanno colpito la zona. Salendo al piano superiore si accedeva al vero e proprio appartamento nobiliare, composto da ben undici diversi ambienti desinati probabilmente ad ospitare lussuose camere da letto, ampi saloni, e servizi igienici. La pavimentazione di alcune di queste stanze è rimasta quasi totalmente integra. E’ possibile ammirare le coloratissime mattonelle di ottima manifattura e di pregio che creano particolarissimi disegni geometrici. Per quanto riguarda il nostro progetto di restauro, la struttura è stata pensata per ospitare un’area ristoro al piano inferiore, e delle sale espositive al piano superiore. Gli interventi di restauro effettuati sulla costruzione sono stati: consolidamento della muratura, sostituzione degli infissi, ripristino delle coperture e dei solai, recupero delle pavimentazioni preesistenti, opere di pulitura degli intonaci interni. Il prospetto è stato

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ristrutturato mantenendo ovviamente le caratteristiche proprie del palazzo. La pavimentazione di alcune stanze, che con gli anni è andata perduta, è stata da noi ipotizzata e riprogettata utilizzando delle mattonelle neutre. La corte interna, la quale si presentava come un’inaccessibile giardino, ha subito opere di bonifica affinché potesse diventare uno spazio fruibile destinato ad ospitare i clienti del bar e del ristorante ma anche i visitatori della sala espositiva superiore. Attraverso le varie opere di restauro si è voluto mettere in evidenza le caratteristiche strutturali del palazzo nobiliare lasciando invariato il suo aspetto ma cambiandone la funzione. Il palazzo Agosta può essere considerato il simbolo di rinascita per eccellenza. Lì, dove un tempo tutto era perfetto, adesso non rimane che lo scheletro di uno dei palazzi più belli di Poggioreale. Attraverso le opere di restauro proposte, si cercherà di ridonare dignità e identità a quello che può essere considerato un vero e proprio monumento.

La chiesa Madre

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Una struttura che ha ampiamente meritato la nostra attenzione è la Chiesa Madre. Prendendo ispirazione dai lavori di Alvaro Siza e Roberto Collovà a Salemi e di Eduardo Tresoldi nella basilica di Santa Maria di Siponte, abbiamo intrapreso e ci siamo immersi in un progetto di riqualifica e fruizione di questo monumento storico che per anni è diventato simbolo del terremoto del 68’. Una prima lettura del luogo ci ha fornito la base su cui lavorare. Ciò che rimane della vecchia e maestosa chiesa sono i muri perimetrali e una porzione del campanile della facciata, mentre troviamo l’ambiente interno della chiesa privo di copertura e luogo di deposito dei resti di materia di altezza fino a due metri.

Prima di poter intraprendere qualsiasi scelta progettuale, il primo passo da compiere era effettuare un’attenta lettura dello stato di fatto e delle condizioni della struttura rimasta. Come detto precedentemente, gli elementi esistenti della vecchia struttura sono le pareti perimetrali e qualche traccia dei pilastri. Dopo un attento tracciato dei degradi su entrambi i lati della chiesa possiamo affermare che i degradi maggiormente presenti sono il distacco,

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la mancanza, la lacuna, le incrostazioni, le croste e la presenza massiccia delle vegetazioni. A tutti i degradi, ben esplicitati nei capitoli precedenti, sono state elencate le tecniche di consolidamento e messa in sicurezza. Nel caso della chiesa Madre, uno degli interventi maggiormente necessari e più frequentamene adoperato sarà l’utilizzo del consolidamento attraverso iniezioni e il montaggio di puntellature durante la messa in sicurezza. Elementi pericolanti tra cui i resti di copertura, le pietre in bilico e così via, dovranno essere smontati e rimossi per garantire la sicurezza ai visitatori. Un secondo passaggio necessario sarà quello della rimozione di tutte le macerie che circondano la navata della chiesa, cercando ove possibile, di effettuare un riutilizzo delle macerie create dal sisma. Dopo aver liberato lo spazio, sarà possibile effettuare le diverse diagnosi in campo e in laboratorio. Pur essendo a conoscenza dell’abbandono totale, per più di cinquant’anni,

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render della tavola 18

dell’intero sito, vi è la possibilità di effettuare analisi attraverso strumentazioni come la termocamera, radar, misura del rumore sismico, endoscopia e misura dell’umidità, i quali forniscono un quadro completo delle aree maggiormente a rischio e sollecite ad eventuali crolli, ma anche quelle più corrose dall’umidità. A seguito dell’ottenimento di questi dati, è possibile proseguire con tutti gli interventi che contribuiscono alla messa in sicurezza del sito. Perseguendo l’idea di Siza, rielaborandola secondo le nostre necessità, dopo il crollo della vecchia Chiesa abbiamo deciso di convertire uno spazio, ovvero una volta interna in uno spazio esterno, così fornendo maggiore risalto ad alcune colonne ed altri elementi precedentemente posti all’interno della Chiesa e sopravvissuti al terremoto. Questo consentirà di evocare lo spazio originario del luogo. L’abside, ad esempio, è diventata un fondale per la piazza, una nuova pavimentazione in pietra e un delicato

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tracciato di erba sulla pavimentazione che confina con i muri perimetrali, ora definiscono il confine tra l’antico spazio interno e il nuovo esterno. Seguendo le idee di Tresoldi, abbiamo deciso di riproporre, in chiave contemporanea, i pilastri a base quadrata in fil di ferro. Similmente, potremmo paragonare la visita ad un viaggio esplorativo, una sorta di regressione nel passato, come terapia per curare traumi e blocchi irrisolti, permettendo di dare senso, rivalutare, ripensare e riflettere sull’accaduto. È capitato ad ognuno di noi di sperimentare eventi profondamente dolorosi che sembrano non avere un senso e che lasciano un retrogusto inspiegabile. Victor Hugo, padre del Romanticismo in Francia, diceva che “la malinconia è la gioia di essere tristi”. La malinconia non sarebbe possibile senza memoria. È un sentimento che ci ricorda che ci manca qualcosa che un tempo c’è stato, che ci faceva sentire bene, ma che non possiamo più recuperare. Dal nostro canto, invece, questo sarà possibile in una chiave nuova di recupero, valorizzazione e rinascita. Tutto ciò sarà consentito dalla rievocazione dello spazio, rimandando al visitatore la possibilità di percepire lo spazio originario e immergersi in un viaggio esplorativo nel passato.

Conclusioni

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Dopo mezzo secolo dalla notte del 14 gennaio 1968 la ferita del Belice rimane ancora aperta. Suggestiva è l’atmosfera che emana ancora oggi l’antico centro abbandonato. Lungo le strade si susseguono scheletri di case ancora in piedi, tra le macerie di interi soffitti crollati una fitta vegetazione sembra essersi impossessata di tutto, insegne cancellate e distrutte, pareti interne e volte di Chiese scrostate dalle quali emergono interessanti frammenti di affreschi capaci di emanare ancora fascino ed emozioni. I punti di riferimento più centrali erano le Chiese, Piazza Elimo, la Biblioteca e il Teatro Comunali, l’Ufficio Postale ove si possono ammirare ancora, a distanza di 50 anni, magnifici affreschi parietali raffiguranti l’antico telegrafo e sagome di pacchi postali.

A Poggioreale tutto l’assetto del paese è rimasto al suo posto e il tempo sembra essersi fermato nella città fantasma svuotata dagli abitanti. Il paesino fantasma non vive più da circa cinquant’anni.

Per troppo tempo queste antiche bellezze non hanno ricevuto la giusta attenzione. Il valore inestimabile di un luogo nascosto dalle macerie. I poggiorealesi, scardinati e allontanati dal loro luogo

natio, a pochi passi dalla loro quotidianità, possono ancora osservare i detriti del trauma della loro generazione. Immagini, suoni, odori, pensieri, emozioni e sensazioni corporee che sono state vissute al momento dell’evento rimangono “intrappolate” nelle loro menti. E’ come se l’esperienza stressante del disastro provocato dal terremoto nel lontano 1968 non potesse essere “digerita”, non potesse essere trasformata in un normale ricordo.

Il nostro intento principale è quello di fare rivivere il territorio, rivalutare e valorizzare i beni artistici e culturali rimasti tra le macerie, punto di forza potenziale dal punto di vista turistico e soprattutto recuperare l’identità della comunità perduta. Simbolo di resilienza, della capacità di affrontare l’urto e il periodo di difficoltà ma con una marcia in più e nel rispetto del passato. La nostra idea di progetto è stata alimentata dalla voglia di recuperare un tesoro dimenticato, di tutelarlo e di accrescere il suo valore. A questo concetto va aggiunta la facoltà, da parte della singola comunità sociale a riconoscere il valore stesso. Quest’ultimo infatti, per troppo tempo non è stato riconosciuto adeguatamente.

Vi sono molti interventi possibili, e uno in particolare è stato concepito con l’intento di proteggere i gioielli della Terra creati dall’uomo e dalla natura. Si chiama Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e Naturale, ed è targata Unesco. La soluzione che integra valorizzazione, protezione e turismo, a parer nostro, consiste nello sviluppo di un turismo “responsabile” o “sostenibile”. Concordiamo con Cesare Brandi, storico e critico d’arte, nell’affermare che “se inquadrato in un’adeguata campagna di conoscenza, rimanda al tutto”, preservare

l’autenticità del resto archeologico o del frammento di architettura significa aumentarne il valore. Fondamentale, nel nostro progetto, è la cura del monumento antico che va mantenuto, e fatto oggetto di interventi minimi atti ad allungarne il ciclo vitale. Da questo excursus emerge quanto l’intervento sul rudere sia legato al rapporto tra uomo, storia e cultura. Le rovine, infatti, sono testimonianza tangibile di un mondo passato, vissuto, esistito, ma con la sua fugacità, pur lasciando traccia evidente e affascinante, nel suo estremo dinamismo pronto a destarsi a nuova vita. Concludendo, al centro di Piazza Elimo un monumento dedicato ai terremotati sembra vigilare sulle vestigia di Poggioreale. Ecco ciò che si legge alle spalle della scultura: “Ho visto di notte una luce accendersi dentro ai tuoi occhi, terra amata, ardenti, di speranze antiche, nonostante il grido del futuro spezzato il silenzio solitario degli anni. Sei fonte di vita Poggioreale! Montagna del risveglio”.

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