Ancona, Camminata nella storia - Il porto, l'arte e i personaggi

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CAMMINATA NELLA STORIA Il P ort o, l ’Arte e Personaggi

Progetto grafico: Antonella Morico (“Un ipotetico Traiano a cavallo, la statua di Luigi Vanvitelli, artefice del nuovo assetto del porto di Ancona nel Settecento, una silhouette per i personaggi e un musicista che li scorta�).

Stampa: Grafiche Ricciarelli - Monsano Foto: Giusy Marinelli

in collaborazione con

e ACCADEMIA MUSICALE DI ANCONA

con il patrocinio del

Comune di

Ancona

interventi di :

ANTONIO LUCCARINI, RODOLFO BERSAGLIA, ANNALISA TRASATTI, FABIO MARIANO, NICOLETTA FRAPICCINI, MARIA LUISA POLICHETTI appendice

COSTANZA COSTANZI

Il presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico centrale, Rodolfo Giampieri, accoglie i cittadini Foto Š Giusy Marinelli

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L’abbraccio fra Ancona e il suo mare Rodolfo Giampieri

Il porto è la congiunzione fra la città e il suo elemento primario di riferimento, l’acqua, da cui nasce la sua storia, l’economia, il viaggio, la comunità.

Partendo da queste radici e dal luogo che simbolicamente le racchiude, il Porto Antico, abbiamo voluto amplificare il dialogo fra porto e città recuperando un rapporto embrionale e simbiotico, che si era perso nel tempo, sbiadito a causa della meccanizzazione delle attività portuali e delle regole della security. È stato, ed è, un intervento continuo di riqualificazione di un’area in cui si concentra un patrimonio storico-culturale che non appartiene solo al capoluogo delle Marche ma a tutta la regione, alla cultura italiana e mondiale.

6 Monumenti come l’Arco Clementino, l’Arco di

Traiano, le mura storiche, la Casa del Capitano, i Magazzini del sale, la Mole Vanvitelliana sono emblemi di quello che rappresenta il passato di Ancona, ma anche il suo futuro da costruire attraverso il racconto di ciò che è stato per portarlo nella quotidianità, come stiamo facendo con il percorso di progressiva apertura del porto storico di Ancona e come ha saputo raccontare, in maniera efficace, il percorso ideato da Vista Mare con l’organizzazione della prima passeggiata nella Storia.

I contenuti di quella esperienza vengono raccolti ora in questa pubblicazione voluta dall’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico centrale.

Doveroso e molto sentito, dunque, il ringraziamento ai Ciceroni d’eccezione di questa passeggiata, che hanno saputo emozionare le persone rendendo vive e contemporanee le silenziose testimonianze dei monumenti.

Perché raccontare i luoghi, i palazzi, le chiese, le testimonianze vuol dire raccontare l’apertura verso il mare, verso l’orizzonte di una costruzione di una comunità che va al di là dei confini geografici degli Stati, con l’opportunità di crescita culturale della Macroregione Adriatico Ionica, e che ci unisce all’altra sponda del nostro Adriatico recuperando un passato che ci proietta nel futuro.

Questa unione di luoghi rappresenta una continua riscoperta di un’identità locale di cui tutta la cittadinanza si è subito riappropriata in maniera naturale, quasi come ritrovare un vecchio amico, e continua a farlo, giorno dopo giorno. Un’identità che racconta

anche il lavorare nel porto dorico per circa 6 mila persone, con decine, centinaia di famiglie, legate a questa realtà produttiva poliedrica, cantieristica, pesca, cultura, trasporti, servizi, che speriamo possano aumentare ancora perché il lavoro è il punto di riferimento del nostro impegno.

La fruibilità del Porto Antico rappresenta la possibilità di arrivare in pochi minuti al mare, passeggiando, correndo, guardando l’alba o il tramonto, ammirando navi che partono e che arrivano coinvolgendoci nell’affascinante simbologia del viaggio, godendo di serate estive fatte di arte, spettacolo, gastronomia.

Uno spazio per il quale lavoriamo per la continua valorizzazione, abbellimento, fruizione, in sintonia con un’Amministrazione comunale che condivide e partecipa al nostro sogno, convinti come siamo che le cose importanti si facciano insieme. Un luogo dove vive l’arte, antica e contemporanea, rappresentata, quest’ultima, dall’unicità della “Fontana dei due soli” del maestro Enzo Cucchi, simbolo di accoglienza del porto, omaggio ad una città straordinaria che vede il sole sorgere e tramontare sul mare e segno del rinnovato legame con la città e il territorio.

Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno reso possibile questa pubblicazione.

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Foto Š Giusy Marinelli

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Inizio della “Camminata nella Storia - Il porto, l’arte e i personaggi” Prima tappa: Porta Pia Foto © Giusy Marinelli

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Antonio Luccarini Foto © Giusy Marinelli

Storie e personaggi (1) di

Antonio Luccarini

La pagina iniziale di questa nostra passeggiata nella storia del porto cittadino non poteva che cominciare con gli spazi occupati dalla monumentale Porta Pia. L’inizio di questa nostra narrazione, nella pluralità delle voci e dei personaggi, più che un ordine cronologico rispetterà il ritmo di un’evocazione sentimentale di figure e immagini del racconto stesso della città che in questa camminata ideale mescolerà tempi e spazi per restituire soprattutto il senso del cammino di un’intera comunità. Prima del 1789 – l’anno dell’ inaugurazione della nuova Porta d’accesso alla città voluta dal Pontefice Pio VI - chi veniva da Roma o chi lasciava la Dorica per recarsi nella Capitale doveva faticosamente risalire e ridiscendere le pendici del colle Astagno attraversando l’ antica Porta trecentesca di Capodimonte. L’alternativa al percorso disagevole del colle anconetano era costituita dalla antica strada dell’Angara detta anche via Cameranense, ma in più tratti, questa si presentava, a causa delle frane e dei numerosi cedimenti del terre-

no, non carrozzabile e impercorribile. Ma i numerosi 11 e pressanti appelli delle autorità locali al risanamento dell’antico itinerario erano restati inascoltati. Fu proprio l’esperienza diretta delle difficoltà e dei disagi affrontati per fare il suo ingresso nella città di Ancona attraverso la Porta di Capodimonte, durante la visita pastorale effettuata nel giugno del 1782, che indusse Papa Pio VI ad accogliere senza esitazioni le richieste degli anconetani, che da tanti anni avevano chiesto al sovrano dello Stato della Chiesa l’assunzione di un impegno di spesa per la realizzazione di una nuova strada “a mare” che evitasse proprio lo scavalcamento disagevole dell’Astagno. L’incarico di tracciare la pianta del nuovo itinerario fu dato all’architetto Ciarraffoni che aveva ideato per superare i problemi costieri due ponti, uno presso il baluardo di Santa Lucia, l’altro presso il fosso Conocchio. Modificato il piano in alcuni punti, nel 1783 venne approvato il progetto di costruzione della nuova strada che dalla periferia doveva giungere, costeggiando il mare, fino alla Chiesa del Sacramento, allora vero centro nevralgico viario della città. Subito iniziarono i grandi lavori di interramento e scavo e fu deciso in quell’occasione di dotare il nuovo ingresso alla città di una nuova imponente Porta. L’incarico fu affidato all’architetto Filippo Marchionni, figlio del celebre Carlo che aveva già fatto importanti interventi nell’ambito dell’operazione di risanamento e riammodernamento dell’intera area portuale. Nel corso di un biennio - precisamente dal 1787 al 1789l’architetto romano riuscì a terminare l’opera e gli anconetani ebbero così una nuova Porta che con una maestosa facciata esterna in pietra d’Istria - la facciata interna venne realizzata più sobriamente con

12 blocchi di tufo - interrompeva, difronte alla

Mole del Vanvitelli, la linea dell’austera cinta muraria cittadina che dal bastione di Santa Lucia risaliva il colle fino alla Cittadella. Lo stemma pontificio e l’iscrizione dedicatoria che sormontavano il monumento furono eliminati dagli occupanti francesi sul finire del Settecento. Negli anni precedenti le imponenti opere di trasformazione, tutta la zona si presentava invece con un paesaggio brullo, costituito da rupi a strapiombo sul mare, frequentata in città unicamente per la fontanella di acqua purissima che sgorgava dalla roccia. Quando nell’autunno del 1655, Cristina, la regina di Svezia che aveva abbandonato patria e trono, provenendo da Innsbruck e diretta a Roma, si era trovata a dover attraversare la nostra regione e, nelle città marchigiane incontrate ovunque, aveva ricevuto i segni di accoglienze festosissime. Ad Ancona, le autorità cittadine, che non volevano esser seconde a nessun’altra, venute a conoscenza della predilezione della sovrana per le acque purissime – solitamente offerte stando ai resoconti, in ”concie ghiacciate ornate di frutti peregrini”- pensarono proprio di servirsi dell’acqua di quella rinomata fontanella, che sgorgando tra le arenarie del colle Astagno era ritenuta in possesso di straordinaria leggerezza e del tutto equivalente alla celebratissima “acqua di Nocera”. In realtà, poi, si fece ricorso, in quella specifica occasione, all’acqua del pozzo del giardino del convento dei frati Cappuccini che per freschezza e purezza era considerata di pari qualità. Con la realizzazione della nuova strada – la nuova via finì per cambiare, nel corso del tempo, vari nomi, dall’iniziale “strada a mare” a “strada Pia”, per diventare in epoca recente, prima “via Nazionale”,

Antonio Luccarini Foto © Giusy Marinelli

poi, fino ai giorni nostri, l’ attuale ”via Marconi”- e insieme della nuova monumentale porta urbana, l’area acquistò non soltanto una nuova fisionomia ma anche un’inaspettata valorizzazione. Innanzitutto per difendere il Lazzaretto dall’offesa dei marosi e nello stesso tempo per ampliare lo stesso bacino portuale, ricavando spazi ulteriori per la piccola cantieristica, per la pesca, e per ogni attività di scalo, venne costruito il braccio meridionale del porto. E poi a terra, laddove precedentemente non esisteva alcuna unità abitativa, cominciò a sorgere un sobborgo: ini-

zialmente venne costruito un grande fabbricato con dei portici destinato ad ospitare abitazioni, magazzini, negozi, botteghe. Poi ad esso si affiancarono altri edifici - molto popolari erano gli “archi Bonarelli ”di proprietà della nobile ed antica famiglia anconetana - che ne ripetevano il modulo architettonico, dando così alla zona un aspetto caratteristico che finì per suggerire lo stesso nome del nuovo vivacissimo quartiere, “gli Archi”, appunto. Però nel suo momento iniziale Il luogo era stato denominato da tutti gli anconetani Borgo Pio proprio come forma di

riconoscenza ed omaggio nei confronti della figura 13 dello sfortunato Pontefice che con le sue decisioni ne aveva auspicato e reso possibile lo sviluppo. E la stessa grandiosa Porta, subito apprezzata dagli abitanti, prese per lo stesso motivo, il nome di Porta Pia. Lungo il Molo Sud, poi trovò sistemazione il primo stabilimento balneare di tutto l’Adriatico, secondo in Italia a quello di Viareggio sul Tirreno che lo aveva realizzato sulla sua immensa spiaggia già nel 1828.

Infatti, su iniziativa di un nobile anconetano, il conte Rocchi, che si mise per l’occasione a capo di un’impresa societaria, fu fatto costruire dal rinomato architetto anconetano Nicola Matas uno stabilimento a forma di poligono regolare - in modo che la nuova realizzazione, in un certo senso, potesse dialogare architettonicamente con il Pentagono del Vanvitelliper accogliere tutti coloro che volevano sottoporsi a trattamenti di elio-salso terapie. Dopo l’esperimento dello Stabilimento Balneare Dorico - così si chiamava il complesso ideato dal conte Rocchi - l’area venne occupata in seguito da altri stabilimenti, quello Marotti, quello Marinelli e quello della Salute. Erano costituiti tutti da belle ed eleganti costruzioni a mare - l’ingresso era sempre sulla terraferma - con cabine poggianti su palafitte, dotate di una rete di protezione per la sicurezza della balneazione. La vicinanza con la stazione ferroviaria inaugurata nel 1861 rese alla fine incompatibile nel luogo, per l’inquinamento prodotto dal carbone delle locomotive, la presenza di stabilimenti balneari. La zona comunque divenne col il passare degli anni centro di numerose attività produttive. L’area poteva offrire dal punto di vista logistico, una quantità di spazi dove ospitare nuove imprese e nuovi servizi. Sin dai primi anni, per

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Foto © Giusy Marinelli

ovviare ai disagi derivanti dall’aumentato traffico di carri e carrozze che l’apertura della nuova strada aveva comportato, era entrato in funzione una grande rimessa per carrozze e cavalli, lo ”Stallatico di Sant’Antonio” dove chi proveniva da altri centri per affari o per motivi personali poteva far riposare i cavalli stremati dalla fatica del viaggio. All’interno delle mura, invece, da Porta Pia iniziava un bel viale alberato con fioriere disposte ai lati, che costituì, per gran parte dell’Ottocento, una delle passeggiate preferite dagli anconetani. Purtroppo dopo il bel percorso arioso del vialone il vero e proprio ingresso cittadino si presentava con l’attraversamento di un vicolo coperto – il Volto di Sant’ Agostino - che

veniva descritto come “un mostruoso arco che toglieva aria e luce allo sbocco unico della città verso Porta Pia”. Dopo l’annessione di Ancona al Regno di Italia l’arco venne abbattuto e l’area risistemata.

Il Lazzaretto, l’isola artificiale ideata dalla genialità del Vanvitelli rimase, comunque, l’emergenza architettonica di maggiore valore, anche se, agli inizi, il ruolo di luogo della quarantena, continuò, per alcuni anni, ad essere svolto dal Vecchio Lazzaretto che era situato nel Molo nord vicino all’Arsenale e al Teatro della Fenice. Ne abbiamo conferma attraverso le memorie di Giacomo Casanova che proprio negli spazi del vecchio Lazzaretto trovò modo di cogliere, nonostante l’obbligatoria ”reclusione”, ugualmente,

l’occasione per una delle sue conquiste. Giacomo Casanova nell’agosto del 1743 venne per la prima volta nella città dorica e proprio perché correvano voci di possibili epidemie scoppiate nelle regioni dell’alto Adriatico, essendo sbarcato con una nave veneziana, si trovò costretto a passare l’obbligatorio periodo di quarantena negli spazi un po’ cadenti dell’antico Lazzaretto. Gacomo aveva compiuto, allora, diciotto anni e stava vivendo le prime esaltanti scoperte del potere dei sensi. Rinchiuso e confinato in luoghi che non lasciavano libertà di azione, cercava di passare il tempo ad osservare il comportamento degli altri ospiti in quarantena. Mentre si trovava ad osservare il cortile interno affacciato al balcone della sua camera, fu subito attratto da una scena singolare: nell’area interna dell’edificio, a terra un mercante turco, ammassava la sua mercanzia e al suo seguito spiccava per la sua avvenenza una giovane schiava greca. Senza proferire parola, comunicando soltanto con gli occhi, l’ardore del proprio desiderio escogitò un sistema singolare per chiedere indirettamente un appuntamento alla donna. Facendosi notare dalla ragazza greca, finse di scrivere un messaggio a lei rivolto, poi dalla sua postazione lanciò ai suoi piedi un semplice foglio bianco. In cuor suo riteneva che se la giovane l’avesse raccolto avrebbe confermato a Casanova la disponibilità per un incontro d’amore. La schiava s’impadronì del foglio e lanciò uno eloquente sguardo di assenso al suo corteggiatore. A notte inoltrata Giacomo si preparò all’incontro: sollevò le assi di legno del terrazzino per creare un’apertura e aspettò l’arrivo della giovane donna. Come previsto la ragazza comparve sulla scena e dopo aver adunato i tappeti del mercante a mucchio sotto il balcone,

si preparò ad essere sollevata da terra dal suo intra- 15 prendente ed audace seduttore. Per poco tempo i due – Giacomo Casanova era riuscito a sollevare fino al balcone la bella greca - si concessero momenti di audacia che superavano i confini delle contenute carezze e casti baci, ma quando stavano per giungere ad ottenere ciò che faceva ardere i loro corpi di passione, il guardiano del Lazzaretto, insospettito da alcuni insoliti rumori, s’accorse di ciò che stava accadendo e diede prontamente l’allarme. Il trambusto che seguì all’allarme, pose bruscamente fine ai caldi abbracci. La schiava fece in tempo a ridiscendere senza essere scoperta e a Giacomo, a malincuore, non restò che rientrare in camera concedendosi al posto dell’amore un sonno ristoratore. E al suo risveglio il giovane veneziano nel cortile non trovò traccia alcuna del mercante turco ne’ delle sue mercanzie né, tantomeno, dell’avvenente greca. Ancona per Casanova, da quella volta, fu un nome capace di evocare automaticamente il gioco dei sensi e la esaltante disposizione al piacere. Nonostante Ancona fosse una delle città più importanti dello Stato della Chiesa, egli scrisse nelle sue memorie di accanito libertino, che gli abitanti della Dorica gli sembravano portare, nei confronti della morale austera predicata dalle autorità laiche ed ecclesiastiche, un rispetto meramente formale. In forma più o meno sotterranea gli anconetani a suo dire dimostravano di avere un forte attaccamento alla vita in tutte le sue più intense manifestazioni e soprattutto all’offerta dei piaceri carnali: l’edonismo dominava alla fine ogni condotta in ogni strato sociale. Ma questa prima avventura di Casanova non fu l’unica occasione dell’avventuriero veneziano per misurarsi con le attrazioni della città. Ma di questo parleremo in seguito.

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A sx, Elena Pascolini, mentre presenta gli ospiti della Camminata nella Storia.

Foto Š Giusy Marinelli

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ACCADEMIA MUSICALE di ANCONA Duo Martina Jozwiak (voce) Filippo Macchiarelli (contrabbasso) Foto © Giusy Marinelli

18 Intervento di Rodolfo Bersaglia Foto Š Giusy Marinelli

Due Monumenti Urbani di recente riletti (da “Ancona Lost” di prossima pubblicazione) di

Rodolfo Bersaglia

PORTA PIA Una cornice aperta sulla Città offerta al visitatore proveniente da nord Per ammirare un’opera architettonica – oltre ad osservarla come ci si comporterebbe per una scultura, dai suoi infiniti punti di vista – è necessario stimarne l’“ambientazione urbana”. Così per Porta Pia – i cui fianchi erano un tempo connessi alla cinta urbica – è sorprendente notare come i progettisti abbiano orientato il costrutto in modo da incorniciare nel suo fornice la città in un modo ideale. Il visitatore ha così avuto per secoli il benvenuto del corollario di opere, disposte per falde dall’arco del porto al Colle Guasco.

Porta Pia, che fronteggia l’Ingresso dei Delfini del Laz- 19 zaretto, è progettata da Filippo Marchionni, figlio d’arte dell’architetto Carlo. In una lapide interna si esaltano i meriti del pontefice Pio VI, cui la porta sarà intitolata dal Delegato Pontificio Alvise Gazzoli.

Nel 1783 iniziano i lavori paralleli ai cantieri di altri edifici circostanti, che si disporranno sulla nuova strada detta in epoca napoleonica “Via Eugenia”.

Il prospetto della porta rivolto a nord sarà completato nel 1789 con pietra d’Istria, mentre il fronte che guarda la città, dal severo bugnato a parallelepipedi di tufo, rimanda al progetto della perduta Porta Ca-lamo, che si apriva sulle mura urbiche nell’odierna Piazza Roma.

Filippo Marchionni disegna entrambe le facciate, all’ingresso e all’uscita della città, in modo che restino ambiziosa testimonianza del suo stile.

Prima di iniziare la costruzione del risolutivo adito, che fronteggia tuttora la Mole Vanvitelliana, sarà rialzato il baluardo di Santa Lucia e sarà spianata la strada che attraversava la città portuale. Le mura, che da un lato scendevano dal Colle della Cittadella, si congiungevano allo sperone a mare.

Nella Pianta Grassellini del 1844 compaiono poche case tra Porta Pia e la Chiesa di Sant’Agostino, ma presto l’intero fronte si riempirà di architetture.

Prima dell’attuazione di Porta Pia, che consentirà l’accesso alla città da nord, la strada oggi chiamata Via XXIX Settembre non esisteva. I viaggiatori erano obbligati all’onerosa impresa di salire a Capodimonte, attraversare l’omonima porta e ridiscendere per l’odierna Via Cialdini, con ancor più gravi pericoli per carri ed animali da tiro a causa della pendenza.

L’antico percorso militare (o Corridore), che dal Baluardo di Sant’Agostino conduceva allo Sperone di Santa Lucia,

20 sarà ribattezzato popolarmente il “marciapiede” in rife-

rimento al lastricato su cui transitavano carrozze e passeggiavano gli anconetani. A causa di una deplorevole iniziativa era stata già demolita l’abside della chiesa di Sant’Agostino per favorire il passaggio dei mezzi, prima costretti a sterzare e ricondursi tortuosamente su Via dell’Appannaggio, come sarà chiamato quel tratto di strada in epoca napoleonica.

I LAZZARETTI DI ANCONA Dai depositi per le “Merci Sospette” alla Mole Vanvitelliana Nel 1499 s’approvò la costruzione del Primo Lazzaretto sorto nell’area portuale, affidando l’incarico ad un gruppo di sei cittadini che ne coordinarono i lavori. Nel 1502 il Consiglio d’Ancona approverà il finanziamento dell’edificio per 50 ducati d’oro.

Altre notizie giungono nel 1536, fatalmente legate alla “Rocca del Porto” (così chiamata nei documenti) che ha nel frattempo subito danneggiamenti. È scaricato del legname per la riparazione al “Lazzaretto” (detto essere presso l’arsenale). Ciò conferma trattarsi del “Laemocomium”, sorto tra il Terzenale (cantiere navale) e lo scoglio di San Clemente, dove erano anche ricoverati i viaggiatori affetti da malattie.

Nel 1566 l’attività del nuovo lazzaretto è confermata da altri lavori, svolti in seno alle difese promosse dal “signor cardinale Correggio, governatore apostolico di Ancona”.

A Tommaso di Giannetto era stata affidata nel 1567 la sistemazione del Baluardo del Lazzaretto, intitolato a Girolamo da Correggio, opera che metterà a riparo da vento e onde la Chiesa di Santa Maria in Turriano (ex Santo Stefano Insigne e poi San Primiano).

Il progetto di un Lazzaretto sarà nuovamente sottoposto nel 1577 ai magnifici mercanti di Ragusa e di Ancona.

Il magnifico messere Meo da Neri sovrintenderà l’iniziativa, “che migliora la sanità del porto”, ottemperando all’ordine di Giacomo Boncompagni e su richiesta di sua beatitudine il Papa.

La Milizia di San Pietro da Roma è presieduta in Ancona dal Boncompagni.

Non siamo più certi che i dati si riferiscano ora ad un aggiornamento della struttura ospedaliera più antica sita sotto il Guasco. È fatta menzione che l’edificio servirà “per la spurga delle mercanzie”, che non possono entrare in città senza controlli. Dal 1577 la struttura – difficile da individuare nella pianta della Rocca dell’Arsenale disegnata nel 1844 – assolverà funzioni di ospitare quarantene. Le autorità che vi operano dichiarano di assoggettarsi ai provvedimenti di profilassi con l’intento di evitare contagi.

Grazie a documenti individuati da Marcello Mastrosanti, scopriamo con sorpresa che il Lazzaretto di cui si parla è

Foto © Giusy Marinelli

costruito sullo scoglio di Santa Lucia, presso cui sorgerà Porta Pia. Nella sua pianta a volo d’uccello del 1569, Jacomo Fontana disegna il ricovero per i contagiati senza particolari pregi architettonici, dandone una visione sbrigativamente accennata, forse perché non ancora completato. La legenda del cartografo dice che qui trovarsi il “lazzaretto vecchio e novo”.

A conferma dell’avvio del cantiere era stata fondata nel 1570 una società di maestri scalpellini, muratori e marmorai, tra cui spiccano le figure di Antonio da Pedrono da Lugano e Girolamo da Biffo da Portogruaro, attivi al Baluardo di Sant’Agostino e al “Lazzaretto Nuovo”.

L’anno seguente entrano nel gruppo di lavoro i fabbri e muratori Maestro Pietro e Nicola di Battista da Sant’Angelo, maestro Tommaso del fu Pietro di Tommaso d’Ancona e maestro Antonio di Domenico milanese.

Leggendo le note del Mastrosanti, conosciamo che la struttura – perduta nell’ampliamento urbano settecentesco – doveva avere elementi di pregio, come confermato dal seguente stato di avanzamento dei la-

vori in cui sono coinvolti Fabrizio di Giorgio da Carona, 21 maestro Antonio di Domenico da Pedrono da Lugano e Nicolò di Luigi da Bellinzona. Tutta l’ensemble sarà impegnata alla realizzazione di una “scarpa con pietre vive lavorate a scalpello nella fabbrica del Lazzaretto”. La scarpa è un’opera difensiva costituita da un muro inclinato alla base di cinte murarie o pareti comuni.

Il cantiere si protrarrà fino al 1577 quando l’incarico passerà ai capimastri muratori Pier-Nicolò da Sant’Angelo, Tommaso d’Ancona e a Giovan-Piero da Venezia, mentre messere Orazio Paciotto architetto (fratello del più famoso Francesco) sovrintenderà l’opera e, infine, messere Mercurio Raimondo (misuratore generale della Camera apostolica) la contabilizzerà.

Nel 1624 sono stati già spesi 5.000 scudi e tutta la Marca d’Ancona sarà così obbligata a contribuire con sacrifici economici, la cui raccolta si protrarrà sino al 1629.

Ci domandiamo a tal punto quanto imponente fosse tale architettura, di cui sappiamo solo la posizione, ma che nessuna immagine ha restituito ai nostri occhi.

Spostandoci dal “sogno della memoria” alla “realtà risparmiata dall’azione dell’uomo” prendiamo in esame la Mole Vanvitelliana.

Di fronte all’esauriente monografia redatta da Fausto Pugnaloni, questa scheda aggiunge le acquisizioni del lavoro di ricerca del Mastrosanti, da me rilette e ordinate in rapporto ai risvolti architettonici e urbanistici di Ancona.

Occorre una poco nota quanto debita premessa storica.

Gli Asburgo, nelle personalità accentratrici di Maria Teresa e Giuseppe II, rintuzzano a ruolo d’impietosa subalternità l’aristocrazia ungherese, che nell’ultimo decennio del sec. XVII aveva esercitato pressioni esasperate sui centri della costa dalmata.

22 Culminano per Ancona gli effetti del “confronto adriati-

co” con Trieste, proclamata porto franco nel 1717 e “aggetto” mercantile dell’impero, ora privo dei timori anche nei riguardi di Venezia.

Trieste, laboriosa e industriale, svilupperà ogni attività del mare legata alla cantieristica e al moderato commercio costiero, riottenendo urbi et orbi il porto franco nel 1719. La rivalità con i porti adriatico-ionici, si accentuerà quando Carlo VI d’Asburgo farà disegnare il Nuovo Borgo triestino.

Nel 1720 è costruito il Lazzaretto asburgico e due anni più tardi inizieranno i lavori di potenziamento del porto di Fiume, connotando lo stile architettonico delle “capitanerie di porto” influente anche su Ancona.

Soltanto ora Clemente XII, non per misericordia ma per combattere tale minacciosa concorrenza, corre in utilitaristico soccorso alla capitale marchigiana. Il papa si farà committente dei cantieri portuali del Vanvitelli nella speranza anacronistica di rilanciare i traffici internazionali di Ancona.

Nel 1731 il Consiglio Comunale festeggia il “tardivo” porto franco, che il Mastrosanti afferma comportare la perdita di scudi 2500 di entrate doganali, accentuando l’ambiguità dell’operazione. La liberalizzazione fu dunque controproducente e non vantaggiosa.

Nel 1732 il Vanvitelli inizierà i suoi studi sui lazzaretti con visite alle città di Venezia, Livorno, Genova e Marsiglia. È contestuale l’inizio dei lavori nella porzione di acque che ospiterà la mole. L’occasione sarà utile per un generale rinnovamento delle architetture cittadine, sino a mutare anche alcune funzioni dell’intero aspetto urbano.

Dall’aprile 1732 è nominato per elezione “procuratore per la franchigia al porto” Girolamo Bonarelli della Colonna, cui succederà il conte Giacomo Ferretti.

Solo nel 1733 è accordata la convenzione per il grande cantiere, che si aprirà però l’anno seguente, quando l’“ingegnere romano” Luigi Vanvitelli “…deputato dal papa Clemente XII all’edificazione e sopraintendente alla grande opera del nuovo Lazzaretto” predispone sia acquistato legname di quercia di Sappanico al fine di costruire i pali per i contrafforti marini.

La Fortezza Artificiale a pelo d’acqua è pensata per ospitare duemila degenti. Nel “Diario Ordinario n. 2502” (redatto a Roma il 15 Agosto 1733) appare già chiara l’adozione della forma pentagonale, circondata da marciaronda e magazzeni.

L’avvio dei lavori porta data 26 luglio 1733 e avviene alla presenza del Vicario Generale Mario Maffei. Nel Luglio dello stesso anno sono pronte l’isola e le palizzate “alla veneziana” in legno di abete e castagno che consentiranno di approntare entro il 4 giugno del 1734 la piattaforma del Lazzaretto.

Il ponte che condurrà dal Baluardo di Santa Lucia alla

Visibili dall’alto Porta Pia e il Lazzaretto o Mole Vanvitelliana Foto © Marta Morico

Nuova Mole dovrà attendere anni in cui intercorrono vivaci proteste. L’ordine basso della “corona pentagonale” sarà impiegato come magazzino, ove si conservavano merci buone e “sospette”.

Nel 1735 con la statua-ritratto del romano Agostino Cornacchini si penserà a glorificare il papa “per aver reso sicurissimo questo porto”, facendo riferimento al cantiere del Lazzaretto e, come appunta il Mastrosanti, non soffermandosi ad elogiarne la franchigia.

Dal Novembre del 1736 al maggio del 1738 il Vanvitelli sarà occupato al Braccio Nuovo, il cui compimento verrà nel 1743 con il costo di 90.381 scudi.

Il concepimento del Lazzaretto può essere interpretato come adattabile ad organismo difensivo.

La grande mole, che fronteggia tutt’oggi lo scoglio di Santa Lucia, sarà attrezzata aggiungendo lo sperone spinto sul mare aperto, detto “Rivellino del Lazzaretto”.

La Mole stessa sarà controllata su tutti lati dal camminamento della ronda su cui s’intervalleranno le altane di

23 guardia, da cui spaziare verso mare e terra.

Gli elementi sostanziali della “corona pentagonale” del Vanvitelli sono cinque corpi a due piani, messi in comunicazione da otto scalee, il tutto sopraelevato sui magazzini.

Nella corte – anch’essa pentagonale e centrata dal tempietto neoclassico – s’affacciavano i padiglioni ove erano ricoverati i quarantenanti. Nel Tempietto di San Rocco si celebravano le funzioni che i malati potevano seguire affacciandosi dalle vetrate schermate a pittura al piombo. Prima della costruzione della cappella di San Rocco, all’interno della corte era un pozzo ad impluvium, che alimentava il bacino sotterraneo.

Il lazzaretto nuovo sarà completato solo nel 1781, con destino di divenire nel 1799 baluardo della difesa di Ancona contro la flotta austriaca e mutare ancora d’uso nel 1860 in caserma, che avrà ruolo importante durante l’assedio dai piemontesi. Divenuta roccaforte napoleonica, la Mole sarà utilizzata come baluardo militare fino alla metà dell’Ottocento e, prima del parziale recupero, l’architettura sarà svilita nell’impiego ad opificio.

Nel 1749, mentre sono detti a buon punto i lavori del Lazzaretto Nuovo, tra i documenti riemerge il “Lazzaretto Vecchio” (di cui abbiamo parlato nell’introduzione) che è donato in tale data alla città. Ancona non ne farà buon uso, visto che dell’edificio non è possibile individuarne memoria, probabilmente annegato nei cantieri che interesseranno tra Settecento e Ottocento la strada un tempo intitolata ad Eugenio di Beauharnais.

Da “Ancona Lost” Antropologia Culturale di una sventurata città Adriatica di Rodolfo bersaglia in collaborazione con Marcello Mastrosanti

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Storie e personaggi (2) di

Portella Panunzi Foto © Giusy Marinelli

Antonio Luccarini

Qui davanti alla Portella Panunzi, fatta oggetto di un rigoroso restauro, abbiamo uno spazio che mette insieme mescolando le carte temporali ciò che è stato - le portelle antiche e i resti dell’antico corridore che percorreva le mura portuali - e ciò che invece caratterizza il presente. Qui alle nostre spalle il palazzo dei servizi doganali con le belle sculture di due dei più valenti scultori contemporanei Loreno Sguanci e Giuliano Vangi. Attraverso le portelle entravano in città su piccole imbarcazioni, mentre le grandi navi stavano ancorate alla fonda, merci e passeggeri. Senza farla passare come un visitatore ordinario attraverso una delle portelle, ma costruendo appositamente un pontile di legno che conducesse un’ospite così straordinaria, direttamente dalla sua nave alle stanze riservate a lei e al suo numeroso seguito, nel maestoso palazzo affacciato sul porto del marchese Guidobaldo Trionfi, le autorità cittadine accolsero Maria Anna d’Asburgo, sorella del Re Filippo IV di Spagna.

Nell’inverno del 1631 dopo un lungo viaggio che da Napoli, dove era sbarcata, l’aveva condotta ad Ancona l‘Infanta di Spagna si apprestava, dal porto dorico ad imbarcarsi per raggiungere Trieste dove sarebbe stata accolta da colui che era destinato a diventare suo sposo, l’Arciduca Ferdinando d’Austria re di Boemia e di Ungheria. Per temperare i rigori del freddo delle

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26 stanze loro assegnate i servitori spagnoli accesero

imprudentemente fuochi che provocarono un terribile incendio. La futura regina d’Ungheria dovette in piena notte lasciare Palazzo Trionfi e fu portata in lettiga a Palazzo Bonarelli. Qui ospite di Donna Anna ebbe modo di assaporare un dolce gelato - il sorbetto alla frutta - la cui ricetta era stata portata in famiglia da un antenato crociato che l’aveva appresa in medio oriente – che divenne da allora anche una specialità servita durante le occasioni di festa nella corte ungherese. La diffusione del gelato di frutta in Ungheria ha nel tempo mantenuto una sorta di legame con la famiglia che aveva consegnato alla Regina la preziosa ricetta, tanto è vero che uno dei più popolari gelati alla frutta venduti attualmente nel mercato ungherese si chiama, appunto “Bonarello”. Una storia quella della Regina di Ungheria veramente strabiliante, ma altrettanto romanzesca risulta l’avventura di cui fu protagonista il giovane Giacomo Casanova durante la sua seconda permanenza nella città dorica. Sette mesi dopo il suo incontro con la sensuale schiava del mercante turco, l’avventuriero veneziano dovette, per sue particolari incombenze, fare ritorno ad Ancona. In questa occasione non ebbe l’obbligo di restare recluso nei luoghi della quarantena, ma pur restando negli spazi dell’area portuale, trovò confortevole alloggio presso l’albergo vicino al teatro della “Nuova Fenice”.

Proprio la vicinanza dell’albergo con il massimo teatro cittadino facilitava la presenza nelle sue numerose camere di disinibita gente di spettacolo, musici, ballerini, cantanti, attrici ed attori. Una compagnia spregiudicata quanto allettante per un giovane veneziano dal sangue caldo come lui. Particolarmente gradita fu la conoscenza di una bella vedova e la sua bellissima

prole, composta da Petronio, un vivacissimo adolescente, Cecilia dodicenne, Marina undicenne, tutti e tre aspiranti ballerini, e Bellino un “evirato cantore”nello Stato della Chiesa non era permesso alle donne di calcare la scena e le parti femminili erano assunte da castrati- che costituì, subito, per l’avvenenza del viso e della figura l’elemento di maggior attrazione nel pittoresco gruppo familiare. Giacomo era soprattutto sbalordito dalla sua stessa eccitazione: mai, prima di allora, infatti, si era sentito attratto da un elemento del suo stesso sesso. Piano piano, però, passato l’iniziale momento di stupore e di disorientamento, egli si fece la convinzione che quegli abiti maschili, nascondessero in realtà una vera donna, costretta a quell’umiliante travestimento per esercitare sulla scena la professione ben remunerata di cantante lirica in un momento di estrema popolarità del melodramma come forma di spettacolo. Per questo cominciò a fare a Bellino una corte incalzante, provando a corrompere il suo virginale pudore con ogni genere di doni.

Portella Panunzi Foto © Giusy Marinelli

Ma mentre gli altri componenti della famiglia ad uno 27 ad uno offrono le proprie grazie al focoso veneziano - che non disdegnò di accontentare le smaniose sorelline, Marina e Cecilia che nonostante l’età, dimostravano di saperla assai lunga nelle questioni di sesso - Bellino non sembrava affatto disposto a cedere al fascino di quell’irresistibile seduttore. Giacomo non si dava per vinto offrendo di accompagnare ovunque volesse l’affascinante cantore. Un giorno lo condusse a fare acquisti preziosi in un’imbarcazione straniera ancorata alla fonda nel porto. Una volta a bordo Giacomo ebbe modo di ritrovare proprio la schiava turca con cui, sette mesi prima, aveva iniziato, ma non concluso, un allettante incontro d’amore tra le mura del vecchio lazzaretto. Stavolta davanti allo stesso Bellino che fu messo a far da guardia – Casanova pensava che la scena erotica alla quale avrebbe dovuto assistere, avrebbe vinto, alla fine, le sue ultime resistenze - il veneziano galante e la bella greca riuscirono a portare a termine quello che era stato interrotto mesi prima dalla fastidiosa solerzia di un severo guardiano. La compagnia e la corte pressante del veneziano erano riuscite comunque a creare tra i due una certa intimità e durante un trasferimento a Senigallia non ci furono problemi di sorta, una volta che furono costretti ad alloggiare per la notte nella stessa camera, essendo la locanda completamente piena di forestieri, a dividere lo stesso letto. E proprio a Senigallia, in una appassionata notte d’amore, come già aveva immaginato Casanova, Bellino rivelò la sua vera natura femminile, quotidianamente mortificata da un travestimento che le permetteva di calcare le scene senza scandali e censure, e soprattutto confettò l’ardente desiderio che lo legava a lui.

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Intervento di Annalisa Trasatti Foto © Giusy Marinelli

Casa del Capitano del Porto di

Annalisa Trasatti

Eravi la Casa del Capitano del Porto con grandi magazzini per i vasi di bitume, cordaggi , attrezzi …

Abate Antonio Leoni Allora come ora, il mare frange nel’antico scalo e frangendo batte sulle pietre poste dalla notte dei tempi per l’accosto delle navi. Allora sotto la mura elevata a difesa della città dai pericoli del mare, aperta su di esso con otto porte, batteva il cuore popoloso quartiere di Ancona, il quartiere di Sottomare […] e qui forse perché il mare era l’elemento che aveva fatto nascere la Città , la dominava permeandola ancestralmente. Era il suo liquido amniotico dal quale suggeva la linfa vitale.

Riccardo Stecconi

Il pregevole edificio rappresenta la più importante 29 costruzione medioevale all’interno dell’area portuale, con evidente riutilizzo di elementi romani preesistenti.

Miracolosamente sopravvissuta alle guerre e ai terremoti la Casa sorgeva sulla via Sottomare che correva a ridosso della cinta muraria del porto (1).

L’esistenza di alcuni resti di scala fanno supporre che originariamente vi fosse un piano superiore.

Nella parte frontale, verso il mare, due grandi arcate a sesto acuto in pietra, fanno da contorno agli accessi dell’abitazione e dei magazzini. Tutta la facciata è caratterizzata da un prezioso fregio floreale, di epoca romanica, che partendo dalla destra dalla bocca di una fiera, attraversa tutta la facciata.

L’edificio, che risale al XIII secolo per la sua eleganza e per sua collocazione è chiamato Casa del Capitano del Porto.

La denominazione è certamente impropria perché non

30 si hanno notizie certe sui suoi abitanti ed anche per-

ché secondo gli Statuti del mare di Ancona repubblica marinara, la carica di Capitano era ricoperta da 3 consiglieri eletti annualmente.

Gli Statuti dorici del 1397 sono la diretta conseguenza della volontà di Papa Gregorio XI che con la bolla del 1377 concedeva agli Anconetani piena facoltà di legiferare liberamente in materia di mare, del porto e del commercio. Il Corpus Juris Marittimi si configura come un odierno Testo unico sul diritto marittimo anconetano, che disciplina e raccoglie le diverse disposizioni di legge che si erano succedute, spesso in maniera disorganica, nel corso degli anni ed offre l’idea dell’alto grado di organizzazione a cui era giunta l’attività marittima e commerciale di Ancona nel XIV secolo!

All’interno della Capitaneria di porto è conservata una lapide che ricorda l’attività dei Capitani che oltre 500 anni fa, negli stessi luoghi esercitavano analoghe funzioni di autorità marittime.

L’origine del Capitano di porto si rintraccia nella Rubrica I dello Statuto del Terzenale di Ancona del 1397, dove viene per la prima volta menzionata tale figura “Capitaneus Portus et Terzenalis come massima autorità della città! Come sede del suo pubblico ufficio fu istituito negli stessi anni, all’interno di un edificio medioevale del XIII secolo tuttora fruibile, una sede preposta allo svolgimento delle sue funzioni, denominato appunto “Chapitaneria del porto”, definiti dagli storici la prima in Italia! Il Capitano veniva eletto dal Vicario insieme con il Collegio degli Anziani e dei regolatori e del Consiglio Comunale e al momento della nomina doveva prestare giuramento di fedeltà alle disposizioni statuarie. La carica durava un anno per poi lasciare le consegne al suo successore. Le sue competenze erano

di genere “cura et custodia” dell’area porto e Arsenale, ivi comprese le navi mercantili e da guerra di proprietà del Comune e di giurisdizione sull’arrivo e sulla partenza delle navi.

Aveva quindi competenza esclusiva sull’organizzazione, gestione e vigilanza dell’area portuale e i relativi servizi erogati e veniva affiancato da altre due autorità marittime: il Depositarius Portus ( una sorta di casIngresso e interno della Casa del Capitano, adibita oggi a Planetario.

Foto © Giusy Marinelli

siere) e l’Offitialis Maior Duane con compiti doganali e di sicurezza del porto. L’esercizio della giurisdizione marittima veniva invece esercitata da un tribunale apposito chiamato il Consolato del Mare, istituito dal Cardinale Albornoz, costituito da tre Consules Maris con carica semestrale e appartenenti alla classe dei boni viri.

Andrea Benincasa, figlio di Grazioso noto cartografo e autore del primo esempio di carta nautica oggi esposta ai Musei Vaticani, risulta il primo nominativo tra i Capitani presente nella sopracitata lapide nel porto di Ancona, oltre a Francisco Cuneo e Lodovico Senili.

Questo non sorprende essendo al tempo i Benincasa tra le più ricche famiglie doriche da sempre legata alla tradizione marittima, detentrice di una delle flotte più importanti del porto nonché del Palazzo omonimo accanto alla Loggia dei Mercanti attualmente sede della Biblioteca Amatori.

La datazione della lapide riporta la data 1496 anno in cui si colloca l’inizio dell’opera di edificazione della

seconda cinta muraria esterna al muro originario. Permettondoci un salto temporale di oltre mezzo secolo citiamo il regio decreto di Vittorio Emanuele II del 20 luglio 1865 perché istituì il corpo delle Capitanerie di porto alle dipendenze del Ministero della Marina ricalcando sommariamente la suddivisione odierna, le giurisdizioni marittime erano costituite dai compartimenti Marittimi con a capo i Capitani e dai circondari sotto il comando degli Ufficiali di Porto.

All’indomani dell’Unità d’Italia nascevano, dunque, le Capitanerie di Porto come dirette eredi delle antiche magistrature di governo del mare, che avevano, dai

31 tempi degli antichi romani al XIX secolo , assicurato l’amministrazione e l’organizzazione delle attività portuali e marittime (2).

La struttura, internamente divisa in due piani, è attualmente sede del planetario didattico, di circa 60 posti, dell’Istituto di Istruzione Superiore Volterra-Elia (sezione nautico). E’ solitamente chiuso al pubblico salvo richiesta al suddetto istituto.

Bibliografia 1.Claudio Desideri, Guida storica del Porto di Ancona, Autorità Portuale, Ancona 2000 2. Simona Pisarri, Il capitano del Porto di Ancona nel 1496, in Notiziario della guardia costiera ,aprile-giugno 2012 3. Istoria d’Ancona capitale della marca anconitana dell’abate Leoni, 1832 4. “Ancona sottomare – Un quartiere perduto” di Riccardo Stecconi in Ancona Sottomare , Teatro delle Museo 26 ottobre 2003 - edizione FAI sezione di Ancona

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Antonio Luccarini all’Arco di Traiano Foto © Giusy Marinelli

Storie e personaggi (3) di

Antonio Luccarini

Emblema per eccellenza della vicenda millenaria della città, l’arco di Traiano ha ispirato lo stesso stemma o simbolo civico di Ancona. Il cavalier d’oro su cavallo rampante – a torto identificato con la figura di San Giorgio - deriva infatti dall’immagine del gruppo equestre in bronzo dorato che sormontava l’attico del celebre Arco e che rendeva omaggio all’imperatore Traiano e alle donne della sua famiglia.

Sotto questo Arco esito felicissimo del talento architettonico di Apollodoro di Damasco e simbolo imperituro dei tesori di bellezza e di storia a noi consegnati dalla classicità, si sono svolte tutte le partenze ideali e storiche che hanno avuto il porto di Ancona come teatro d’azione.

Dalla campagna dacica di Traiano, che delle potenzialità strategiche e mercantili dell’area fu il lungimirante sostenitore, all’avventuroso viaggio di San Francesco che da qui iniziò il suo viaggio in Oriente per diffondere la sua parola di pace. Ma da queste sponde sono partite anche straordinarie avventure dello spirito che hanno tracciato segni indelebili nel cammino stesso della nostra civiltà.

Dai suoi numerosi viaggi per il Mediterraneo Ciriaco Pizzecolli trovò materiale e forma per fare della ricerca archeologica una nuova disciplina di studio capace di riportarci il passato con rigore e passione insieme. E la stes-

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34 sa giurisprudenza che era in grado di ordinare in sistema il

“mare magnum” delle materie economiche e commerciali e degli scambi di ordine internazionale, riuscì a trovare nell’opera di Benvenuto Stracca le sue solide basi. Ma non si può peraltro trascurare la rilevanza estetica del paesaggio portuale che tra l’altro, con le sue emergenze storiche ed architettoniche ha saputo colpire, nel tempo, l’immaginazione di tanti artisti. Dalla grande letteratura (si pensi alla poesia dannunziana e quella più recente di Franco Scataglini) alla pittura più importante rappresentata da nomi che vanno da Pinturicchio a Bellini, da Carpaccio fino al grande artista inglese Joseph Mallord WilliamTurner che, nel 1819, in visita ad Ancona, il grande artista inglese immortalò il paesaggio anconetano in straordinari disegni. Lo stesso panorama è stato usato in tempi recenti come significativo sfondo per intensi racconti filmici di grandi maestri dell’arte cinematografica come Visconti, Maselli, Monicelli, Soldini, e Moretti. Spazio di storia, di bellezza e persino di insospettati piaceri come dimostrano le memorie che abbiamo fin qui seguito di Giacomo Casanova. Il nostro cavaliere errante che dichiarava di sentirsi in perfetta sintonia con gusti e ritmi di vita degli abitanti della Dorica dall’incontro con Teresa - Bellino, fece più ritornò ad Ancona? Ormai vecchio, lasciandosi alle spalle una serie ininterrotta di amori ed avventure d’ogni genere, l’impenitente seduttore si ritrovò a ripercorrere la strada che lo riportava, a distanza di tanti anni, ad Ancona, la città dove, a suo dire, aveva potuto apprendere, da giovane, le più belle lezioni attorno al piacere. Stavolta vi arrivò da terra in carrozza, in compagnia di un anziano mercante ebreo che generosamente, poi, incantato dai modi e dai racconti del cavaliere veneziano, si offrì di ospitarlo, per tutta la durata del suo soggiorno, nella propria casa, una grande e confortevole dimora con finestre e balconi af-

facciati proprio sulla baia del porto. Casanova da principio si mostrò restio ad accettare l’invito, ma quando vide che nella stessa abitazione viveva la giovane figlia del ricco mercante, dotata di una bellezza procace quanto conturbante, cambiò subito idea, esprimendo con entusiasmo la propria contentezza di soggiornare presso un amico piuttosto che in una anonima locanda. L’età non aveva infatti placato gli ardori del vecchio libertino e il fuoco dei sensi ravvivato dallo sguardo enigmatico della ragazza lo spinse subito a corteggiare Lia - così viene chiamata la “bella giudea” nel capitolo delle “Memorie“ contenenti l’episodio – ben attento a non far scoprire i suoi maneggi all’amico ospitante. Lia venne così fatta oggetto di mille assalti, tentata con mille lusinghe, intenerita con ogni genere di dono, eccitata con tutti i mezzi possibili, persino con la visione di un libro pornografico proibito con le impudiche illustrazioni di Giulio Romano. Ma dopo alcuni giorni di pressante corteggiamento, Casanova non aveva motivo di rallegrarsi né poteva vantare nessun progresso sulla strada della conquista definitiva. Anzi la ragazza pur mostrandosi sdegnata di tanta audacia e offesa da tanta spudoratezza, con abiti sempre più scollati e mostrando una crescente curiosità in materia sessuale - l’ospite veneziano la rendeva edotta di posizioni e gesti che garantivano piaceri inenarrabili - sembrava intenzionata ad eccitare sempre di più l’anziano libertino. Pur conservando la sua castità voleva accontentare l’ospite prendendolo per la gola, facendogli assaporare i cibi più saporiti della tradizione ebraica. Ma una notte fatale Casanova scoprì con amarezza le volgari tresche erotiche della ragazza con un famiglio e subì l’umiliazione di dover ascoltare pesanti giudizi espressi sulla sua persona, considerata ormai quella di un vecchio laido. Il seduttore era stato alfine sedotto ed ingannato.

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Foto Š Giusy Marinelli

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ACCADEMIA MUSICALE di ANCONA Duo Federica Torbidoni (flauto) Marco Monina (chitarra) Foto © Giusy Marinelli

38 Tappa all’Arco Clementino, intervento di Fabio Mariano.

Foto Š Giusy Marinelli

Arco Clementino di

Fabio Mariano

L’Arco Clementino, dedicato al papa Clemente XII 39 e realizzato dall’architetto Luigi Vanvitelli, costituisce, assieme a quello limitrofo dedicato all’imperatore Traiano, un unicum monumentale caratteristico di Ancona, per essere i due archi collocati in infilata prospettica a poche decine di metri l’uno dall’altro sullo stesso braccio portuale, seppur cronologicamente distanti di sedici secoli. Diversa è anche la loro funzionalità: quello imperiale con funzione di uscita dalla città, significando il luogo della partenza di Nerva Traiano per la sua seconda campagna dacica; mentre quello papale con funzione di porta d’ingresso alla città dal nuovo molo edificato per volere del papa Corsini per la sicurezza e l’efficienza del porto commerciale.

L’Arco Clementino costituisce, assieme alla Lanterna, il polo a nord del vasto intervento di ridisegno complessivo dell’ansa portuale, portato a termine dal Vanvitelli nella prima metà del XVIII secolo.

Seppur di fatto sollecitato da diversi eventi storici, politici ed ambientali, il laboratorio scenico dell’ansa portuale di Ancona ben si prestava ad un intervento di ristrutturazione globale. All’incarico iniziale per il solo Lazzaretto – infrastruttura allora indispensabile per le quarantene d’uomini e merci dall’Oriente in epoca di peste - si aggiunse, a meno di due mesi dall’inizio lavori e dopo il funesto fortunale del settembre 1733 con l’affondamento di un cassone calafatato, che recò danni ingenti al cantiere provocando anche numerose vittime, anche l’incarico per il prolungamento del Braccio nord, per il quale il papa Corsini chiese all’architetto finalmente di «rendere quel porto capace e sicuro affinché mai più fosse per accadere consimile infortunio». E Vanvitelli passò

40 un intero anno - con una razionalità e meticolosità

progettuale inconsueta per gli architetti dell’epoca e forse tutta olandese - a studiare i problemi portuali a Genova, Venezia, Livorno, e ad Ancona stessa, in ogni condizione di tempo e di correnti, valutando il loro effetto sulle manovre dei bastimenti in entrata e in uscita, discutendone coi capitani del porto e con quelli dei vascelli di passaggio, collezionando ben 82 pareri, passando ore in ogni stagione in osservazione del mare e dei suoi movimenti, dal porto e dall’alto della Cattedrale di S. Ciriaco. Un atteggiamento questo che più ché professionale definirei etico, che sembra preludere agli ideali dell’architettura intesa come servizio per la collettività, collegata attraverso il concetto di funzione alle leggi della razionalità, quale prologo dell’Illuminismo.

Col nuovo fronte a nord il progetto vanvitelliano veniva a completarsi compiutamente in una scena teatrale classica, tesa in una corda d’arco nel quale il Lazzaretto e la Lanterna erano la intersezioni della semicirconferenza, la città era la cavea ed il palcoscenico era il mare Collocato al vertice meridionale dell’ansa del porto dorico, sotto le rupi friabili ed allora deserte del colle Astagno, il Lazzaretto fu edificato dal luglio 1733 al 1743, come opera di supporto alle lungimiranti provvidenze amministrative stabilite dal Motu proprio di Clemente XII Corsini del 14 febbraio 1732 che aveva concesso il porto franco ad Ancona, nel quadro politico complessivo del rilancio economico dello Stato Pontificio, anche attraverso il miglioramento della logistica del commercio marittimo: sul Tirreno, col potenziamento del porto di Civitavecchia, e sull’Adriatico col potenziamento di quello di Ancona.

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Al giovane Vanvitelli fu affidato l’incarico della progettazione e della direzione dei lavori sin dall’ottobre 1732, attraverso il quale egli realizzò una compiuta sintesi tipologica e polifunzionale fra un’architettura d’uso sanitario, destinata alla quarantena di persone

1. L’Arco Clementino in un particolare di un disegno autografo del Vanvitelli.

E’ visibile l’epigrafe dedicatoria prevista ma mai completata.

2. Il prolungamento del Braccio nuovo dall’Arco fino alla Lanterna nell’incisione del Vasi su disegno del Vanvitelli del dicembre 1738.

3. L’Arco Clementino come porta d’ingresso al Molo ridotto dopo il blocco del cantiere, nell’incisione del Vai di fine 1739.

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4. Altra vista dell’Arco nell’incisione del Vasi su disegno del Vanvitelli del dicembre 1738.

e merci, ed una fortificazione militare, strategicamente collaborativa con la sovrastante Cittadella sangallesca, a difesa della città e del porto.

In origine completamente separato da terra ed accessibile solo da due portelle di carico con relative

41 calate, il Lazzaretto costituiva un’isola autonoma, fortificata da un rivellino con otto cannoniere radenti a pelo d’acqua.

Il dirimpettaio Braccio ‘’Nuovo’’ (poi Molo Clementino), pensato per proteggere verso ponente-libeccio il bacino portuale col proseguimento del molo traianeo e medievale (soluzione prescelta a quella dell’antemurale isolato verso ovest per le difficoltà di gettare i cassoni in acque profonde) - a seguito di una ordinanza della Rev. Camera Apostolica del 4 maggio 1735 – venne consolidato nel suo primo piano di posa dei cassoni in quello stesso anno, per circa 22 metri.

La notte fra il mercoledì 4 e il giovedì 5 del settembre 1737 avvenne un nuovo incidente nella posa dei cassoni complice una forte mareggiata, forse per imperizia degli operai e mentre l’architetto era purtroppo assente dal cantiere perché influenzato.

A quella data il Vanvitelli aveva già gettato circa 67 metri di molo in prosecuzione di quello antico.

Su questo accidente iniziarono allora le polemiche e vennero allo scoperto le velate e mai sopite invidie per il prestigioso incarico al giovane e brillante tecnico, poiché come noto tutto si perdona in Italia fuorché il talento ed il successo!

Il cantiere ed i relativi finanziamenti sembrava proseguire a stenti per venire infine sospeso alla fine del 1739.

Alla morte dell’anziano papa Corsini, il 6 febbraio 1740, il Vanvitelli, con sua gran delusione, venne escluso dal prosieguo dei lavori. Dopo un interruzione di ben sedici anni, a partire dal 1756 sino al 1781, il nuovo Braccio fu concluso, sempre nella falsariga del suo disegno originale ma sotto la direzione degli

42 architetti romani voluti dal nuovo pontefice Bene-

detto XIV: prima di Nicola Michetti e poi di Carlo Marchionni coadiuvato infine dal figlio Filippo, sino a raggiungere i suoi 300 metri di lunghezza, esclusa la Lanterna.

L’Arco Clementino, iniziato nel 1737 era già completato col suo rivestimento in pietra d’Istria nell’estate 1738; esso era stato inizialmente pensato come testata a mare del primo molo, calcolato ben più corto prima dell’incidente del fortunale al cantiere del Lazzaretto. Col suo nuovo prolungamento deliberato successivamente l’Arco veniva invece ora a segnare l’attacco monumentale fra l’antico molo medievale e la radice del Braccio Nuovo, innestata sul moletto curvo del Rivellino quattrocentesco, detto il Gran Bastardo. Collocazione che plausibilmente, nella sua concezione originaria (ante 1737), non prevedeva sul suo attico la sproporzionata collocazione della statua onoraria del Papa.

Questa, raffigurante Lorenzo Corsini benedicente, era stata infatti già scolpita in marmo statuario, a Roma nel novembre 1737 da Agostino Cornacchini per un compenso di 2.500 scudi; realizzata in realtà per essere collocata nel nuovo portico di S. Giovanni in Laterano voluto dal papa Corsini, vi rimase però collocata per poco meno di un anno. Solo successivamente, infatti, fu benevolmente “donata” dal cardinale Neri Corsini, nipote del papa, ad Ancona affinché il Comune dal “braccetto corto” ne potesse a sua volta farne dono riconoscente a Clemente XII per i benefici economici invero ingenti concessi al porto dorico. Consegnata ufficialmente al conte Pietro Bonarelli, come rappresentante del Comune, la statua giunse in Ancona via mare ai primi di feb-

Foto © Giusy Marinelli

43 braio del 1738. Verosimilmente il Vanvitelli, avuta notizia della partenza della statua per Ancona, ed evidentemente stimolato dal Cardinale Neri Corsini accolse il suggerimento di inserirla nel suo progetto dell’Arco Clementino, di fatto già in completamento, e si era quindi affrettato a predisporre dei disegni dimostrativi della validità della sistemazione della scultura sull’attico della “Porta” del nuovo molo.

Ecco forse perché entro il dicembre 1738 la statua fu tempestivamente accolta nella veduta corografica incisa da Giuseppe Vasi su disegno del Maestro, nella sua improvvisata collocazione sull’Arco. Una soluzione in effetti mai realizzata sia per l’enorme peso che avrebbe gravato sull’Arco, che ne avrebbe richiesto modifiche strutturali e proporzionali, sia per i rischi connessi alla sua conservazione in un ambiente così ventoso ed altamente salmastro. Infine si decise di traslocarla in piazza del Papa, dove fu posta provvisoriamente sulla nuda terra ai piedi della scalinata della chiesa dell’Incoronata allora officiata dai Domenicani. Il disegno del suo basamento, delle balaustre e di una nuova scalinata fu realizzato dell’architetto romano Giambattista Bartoli, frate carmelitano, i cui lavori furono completati nell’agosto del 1739.

Conosciamo due altre incisioni stampate autonomamente da Giuseppe Vasi e da lui edite nel 1739, rielaborate evidentemente sui disegni originali di Vanvitelli in parte precedentemente utilizzati, ma senza coglierne completamente la volontà corografica: una di queste mostra l’interno del cortile del Lazzaretto con il tempietto di San Rocco, l’altra di nostro precipuo interesse riprende, più ristretta, la vista da sud del solo Lazzaretto col Braccio nuovo e l’Arco Clementino sullo sfondo, posto qui a termine

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Arco Clementino, foto Fabio Mariano

conclusivo del molo. Forse perché il bravo incisore ma vieppiù l’accorto commerciante di stampe aveva oramai intuito a quella data che il progetto del Vanvitelli per la parte terminale del Molo con la prevista Lanterna non sarebbe più stato portato a termine dal suo autore.

L’elegante Arco progettato dal Vanvitelli, classico ma

Arco Clementino, retro.

45 moderno, si presenta edicolato, con colonne, paraste e semi pilastri dorici, o per meglio dire tuscanici vignoleschi, portanti la trabeazione dorica a triglifi e metope, intercalate queste da conchiglie che le ornano con le loro valve in posizione alterna e le metope dalle quali pendono gruppi di sei originali gocce (guttae) tronco coniche. La cornice è molto aggettante e risaltata ai lati, con perseguito effetto chiaroscurale; il movimento si riproduce sull’attico, sotto la cui targa baroccamente inclinata s’inserisce, con invenzione tutta vanvitelliana, un plastico festone fuoriuscente da un’asola nella pietra, come nel portale del Lazzaretto; nell’interno del fornice dell’arco l’imbotte, lasciata rusticamente laterizia, è trattata con neoclassici lacunari. Esso non presenta paramento lapideo sulle sue facce laterali in quanto l’Arco era previsto incastonato nelle cinta muraria come porta del nuovo molo, come anche lasciato al grezzo laterizio nel suo frontespizio interno, che mantiene in vista la porta ogivale dell’antica cinta medievale della quale rimane anche, sul frontespizio verso il corridore, una superstite bombardiera cinquecentesca.

A differenza dell’Arco Traiano, la cui epigrafe è rivolta verso la città, più che come un arco onorario, l’Arco Clementino va inteso come porta d’ingresso alla città dal mare, cui guarda con il suo unico fronte lapideo in pietra d’Istria, forse allora arricchito con lo stemma del papa Corsini ma mancante dell’epigrafe dedicatoria, certamente prevista nel progetto vanvitelliano, dove in un suo disegno si legge chiaramente l’iscrizione: “CLEMENS XII P.M. / ANNO DOMINI / MDCCXXXIX P.IX “, ma mai incisa a causa della morte del papa.

46 Nicoletta Frapiccini agli scavi traianei Foto Š Giusy Marinelli

Porto di Ancona tra l’età repubblicana e il tardo antico di

Nicoletta Frapiccini

La rada naturale che ospita le infrastrutture del porto di Ancona ha sempre costituito, di fatto, il cuore e il centro nevralgico della città, condizionandone lo sviluppo urbanistico e la viabilità, che in ogni tempo hanno ruotato intorno a questo cardine fondamentale.

Le incessanti trasformazioni subite dal porto nel corso dei millenni, dovute all’esigenza di adeguarlo alle richieste militari, mercantili e, da ultimo, turistiche, ne hanno continuamente trasfigurato le sembianze, già a partire dall’antichità. E’ ancora

incerto se il porto “greco” si trovasse nell’area più 47 settentrionale della baia, compresa tra gli scogli - oggi inghiottiti dagli interramenti dei cantieri navali – di San Clemente, San Clementino e della Volpe, che creavano una sorta di molo naturale. Se questa ubicazione ben collima con la descrizione straboniana del golfo, essa è resa però meno plausibile dalla predominanza dei venti invernali, che avrebbero reso difficoltoso l’ormeggio di navi leggere, meglio accolte e protette nella zona più interna.

Antiche strutture portuali addossate alle pendici occidentali del Guasco, e adiacenti al lungomare Vanvitelli, erano state rimesse in luce dai tragici bombardamenti della seconda guerra mondiale che, radendo al suolo i moderni edifici, fecero riaffiorare un lacerto di storia. Ma solo più tardi, tra il 1999 e il 2002, fu intrapresa una campagna di scavi archeologici dalla Soprintendenza, in vista della realizzazione di un parcheggio multipiano su quell’area. Un complesso palinsesto venne alla luce grazie a questo intervento, che permise di individuare strutture attribuibili a un lungo lasso di tempo, tra l’età repubblicana e il VII sec. d.C. Il più antico complesso emerso dagli scavi apparteneva probabilmente a un sistema di contenimento e/o di difesa dell’area portuale: esso comprende i resti di un imponente muro in blocchi squadrati di calcarenite gialla del Montagnolo, di recente ricondotto alla prima metà del II sec. a.C., al quale venne successivamente addossata una torre di forma trapezoidale, risalente al I sec a.C. Non sono stati rintracciati, tuttavia, resti di strutture portuali risalenti a quest’epoca, pur essendo ben nota

48 l’intensa attività del porto di Ancona in questo pe-

riodo. Esso venne infatti utilizzato anche per scopi militari nella prima metà del II sec. a.C., quale sede della flotta romana impegnata nella guerra illirica in Adriatico, e nell’87 a.C. da Cinna, che vi radunò le navi per la guerra contro Silla. Del resto, il rinvenimento di reperti attribuibili a età repubblicana, conferma la vitalità del porto in questa fase, e la frequenza di oggetti di importazione da tutto il Mediterraneo attesta la vivacità della città anche sul piano mercantile.

Alla seguente età augustea o giulio-claudia (inizi I sec. d.C.) sono riferibili i resti di due vani attigui rivestiti da uno spesso intonaco di malta, e identificabili come una cisterna che faceva parte del sistema idraulico a servizio del porto, cui apparteneva anche una conduttura idrica rinvenuta al di sotto dell’Istituto Nautico.

Successivamente il più importante intervento strutturale sul porto si deve, come è noto, a Traiano, e risulta evidente soprattutto nella zona settentrionale dello scavo, dove è stata individuata parte di un grande complesso di vani, disposti su tre livelli e addossati alle pendici del colle Guasco.

Esso comprende 16 ambienti rettangolari, affiancati e affacciati sul mare, attribuibili a due fasi costruttive: alla più antica risalgono gli ambienti del settore nord-orientale, che comprendono due vani superiori solo in parte conservati, rivestiti da cocciopesto idraulico e pertanto identificabili come cisterne, e due vani inferiori absidati, ancora coperti da volte a botte. Alla fase immediatamente successiva risale una struttura adiacente, con i restanti vani affacciati sul mare, mentre lungo il

lato orientale l’intero complesso era chiuso da un muro perimetrale appoggiato alla roccia. Nell’area meridionale dello scavo è stato individuato un altro edificio, identificato come un portico sorretto da pilastri, che si sviluppava a ovest sulla banchina, mentre a est si affacciava su una strada. Tali interventi miravano da un lato a creare un sistema di edifici di servizio e magazzini (horrea forse inizialmente adibiti a navalia, ossia veri e propri arsenali per la flotta militare), e dall’altro puntava

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Foto © Giusy Marinelli

a dotare di edifici di rappresentanza il porto civile e militare.

Oltre a queste strutture, l’imperatore Traiano fece anche ricostruire il molo settentrionale, per proteggere le navi durante le operazioni di carico e scarico delle merci, e i mezzi in riparazione. Qui, nel 115 d.C., fu costruito l’arco, eretto dalla città in onore dell’imperatore, per i suoi interventi di potenziamento del porto, volti a incrementarne il ruolo, soprattutto militare, in Adriatico.

L’antico “waterfront” si estendeva dunque a partire dall’area dove oggi sorge la Chiesa di Santa Maria della Piazza, fino alla sede dell’Istituto Nautico, dove sono emerse numerose tracce di altri ambienti, da scavi occasionali effettuati a partire dal 1929 e fino alla seconda metà del secolo scorso.

Tutti gli edifici di rappresentanza, i magazzini e i ricoveri delle imbarcazioni del porto si disponevano su diversi livelli, addossati al pendio del Guasco, seguendone la conformazione, come una sceno-

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Fig. 1. I resti del porto antico emersi in seguito ai bombardamenti del porto durante la seconda guerra mondiale.

Fig. 2. Resti del muro in blocchi squadrati (prima metà II sec. a.C.) Fig. 3. Strutture di età traianea

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

grafica quinta a ridosso del mare.

Nuovi edifici, abbelliti da apparti decorativi di pregio, quali affreschi e mosaici, e un portico rivolto verso la banchina, sorsero verso la fine del II sec. d.C. al limite meridionale dell’area indagata. Essi ospitavano presumibilmente gli spazi destinati all’amministrazione e gestione del porto o, forse, a uffici privati, di rappresentanza. Non è da escludere neppure che qui fosse la sede di un collegium di mercanti e imprenditori (negotiantes) o di armatori (navicularii).

La vita del porto in età imperiale è ben documentata dal rinvenimento di molti materiali, che ne attestano l’efficienza fino al VII secolo. In particolare l’importanza dello scalo anconitano è ricordata dalla narrazione della guerra greco-gotica (535-553 d.C.) redatta da Procopio di Cesarea, che racconta la strenua difesa della città da parte dei Bizantini, i quali non volevano perdere l’unico porto adriatico tra Ravenna e Otranto, utile a rifornire gli eserciti imperiali. E’ possibile che in questo periodo gli edifici e i muri di terrazzamento del Lungomare Vanvitelli fossero stati trasformati in una fortificazione, posta a protezione della città durante la guerra e il lungo assedio dei Goti.

Con la conquista dei Longobardi, nell’VIII secolo, si conclude la storia più antica del porto, che entra nella fase di declino dell’alto medioevo.

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Foto Š Giusy Marinelli

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ACCADEMIA MUSICALE di ANCONA Nicola Principi (violino) Matteo Lorenzo Bramucci (pianoforte) Foto © Giusy Marinelli

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Santa Maria della Piazza di

Intervento di Maria Luisa Polichetti a Santa Maria della Piazza Foto © Giusy Marinelli

Maria Luisa Polichetti

S.Agostino, nel sermone 322, narra di un uomo di nome Paolo il quale visitò, insieme alla propria sorella, diversi luoghi in cui si fosse manifestata la “misericordia di Dio” nella speranza di essere risanato dai suoi mali. Giunto ad Ancona, dove si trovava una antica “memoria” di S. Stefano e molti miracoli si erano verificati nel suo nome, fu miracolosamente guarito.

Nel sermone 323 Agostino, nell’effettuare ulteriori riflessioni su tale evento, precisa che ad Ancona esisteva già da tempo una “memoria” ossia una cappella dedicata al protomartire dove veniva conservato il sasso che aveva colpito il gomito del santo sottoposto al martirio della lapidazione. Un uomo definito pio, marinaio di professione, lo aveva raccolto e durante le sue navigazioni lo aveva depositato ad Ancona ispirato dal nome della città che evoca il termine greco “gomito”. Qui fu edificata una cappella in onore di S. Stefano e molti miracoli si verificarono in suo nome soprattutto dopo il rinvenimento del corpo del martire avvenuto nel 415 a Gerusalemme. Fin qui il racconto di S. Agostino. Tale cappella, di cui almeno per alcuni secoli si era mantenuto il ricordo, era tuttavia totalmente scomparsa fino a quando i lavori

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56 di restauro della chiesa di Santa Maria della Piazza,

realizzati in parte agli inizi del secolo scorso, ripresi e conclusi negli anni ’80, hanno riportato alla luce le strutture di una chiesa paleocristiana risalente alla prima metà del V secolo. Da una loro attenta lettura risulta particolarmente evidente la cura prestata alla conservazione di un vano in muratura a pianta quadrangolare, databile fra il I e II secolo d.c., che può facilmente identificarsi nella antica memoria citata da S. Agostino, dedicata alla devozione del protomartire Stefano, devozione questa che si era andata sviluppando in tutta l’area del Mediterraneo, determinando la creazione di molti luoghi di culto, dalle coste settentrionali dell’Africa alle coste adriatiche di Italia e Dalmazia, meta di devoti pellegrinaggi.

A partire dal IV secolo, quando la religione cristiana aveva avuto il suo riconoscimento da parte di Costantino, ebbe inizio la costruzione delle prime basiliche e fra queste, nel V secolo ad Ancona, una venne dedicata a S. Stefano.

Gli scavi, in particolare quelli condotti negli anni ’80, ci hanno restituito le strutture di una chiesa a impianto longitudinale a tre navate, divise da colonne, con due absidi poste in corrispondenza della navata centrale e della navata destra, mentre all’esterno della navata di sinistra, rimasta sempre priva di abside, rimangono addossate le strutture della primitiva memoria.

S. Gregorio Magno nel VI secolo racconta la storia di Costanzo, un religioso addetto alle mansioni di custodia e cura della basilica di S. Stefano e dice che questa era ubicata presso le mura della città (iuxta mura). Ad un tratto delle mura urbiche della città, risalenti al periodo fra II e I secolo a.c., risulta infatti

addossata l’antica memoria, compresa fra queste e la basilica paleocristiana, realizzate entrambe in corrispondenza di una precedente zona cimiteriale secondo l’uso dell’epoca.

Alla benevolenza di Galla Placidia, l’imperatrice che molta cura prestò allo sviluppo dei domini bizantini in Italia, gli antichi storici di Ancona attribuiscono la realizzazione della basilica dedicata a S.Stefano.

Nell’arco di un secolo la basilica, dotata fin dall’origine di un ricco apparato musivo pavimentale di derivazione romana, fu oggetto di interventi resi necessari dopo le distruzioni operate dai Goti fra cui la creazione di un nuovo pavimento in mosaico, rialzato di circa 20 centimetri, la cui fattura presenta ormai influenze bizantine. Nella primitiva abside centrale vennero creati i subselia, i sedili dedicati agli officianti che presentano tuttora tracce della cattedra vescovile. Davanti a questa, il luogo dell’altare a mensa al centro del quale è presente una piccola fossa dedicata come di consuetudine ad accogliere le reliquie del santo a cui era dedicata la chiesa.

Nella zona retrostante l’abside centrale sono stati rinvenuti resti murari e tratti di canalizzazione facenti parte delle strutture portuali di epoca traianea: tali testimonianze contribuiscono ad indicare l’importanza rivestita dalla basilica che a lungo fece parte integrante della vita della città.

A partire dai secoli VI e VII la chiesa fu sottoposta a nuove modifiche legate a ragioni di culto: una nuova abside fu creata in corrispondenza della navata laterale destra per contenere un nuovo altare, presumibilmente dedicato ad accogliere nuove reliquie.

Le storie narrano che nel V secolo Galla Placidia avrebbe voluto portare ad Ancona il corpo del santo

57 Foto Š Giusy Marinelli

58 Stefano rinvenuto nel 415 in un villaggio presso Ge-

rusalemme, ma non essendo stato ciò possibile per la contrarietà di quella comunità di fedeli, si adoperò per donare ad Ancona il corpo del santo Ciriaco, il cui culto era strettamente legato a quello di Stefano tanto da essere definiti “fratelli”. A simboleggiare tale fratellanza è ipotizzabile che le reliquie di entrambi i protomartiri siano stati riuniti nella basilica anconetana.

Sulle pareti della seconda abside sono stati rinvenuti tre strati di affreschi sovrapposti, il primo dei quali, di cui rimangono pochissime tracce, mostra lo stile di una pittura ancora legata a modelli romani, mentre gli strati successivi sono chiaramente di derivazione bizantina a dimostrazione dei mutamenti del tessuto culturale legati alle vicende politiche della regione.

La cura prestata a tale abside farebbe pensare che nel tempo il culto per Ciriaco avesse acquisito maggiore rilevanza. Tracce di affreschi del medesimo tipo sono visibili anche in corrispondenza della parete terminale della navata sinistra, quella addossata alla primitiva “memoria”, sempre attentamente preservata anche nelle successive trasformazioni del complesso basilicale.

La datazione dei resti, in particolare dell’apparato musivo e degli affreschi, documenta che la chiesa, almeno fino al IX secolo, continuò a svolgere la sua funzione di culto. In quel periodo tuttavia la città di Ancona subì diverse traversie: invasioni dei barbari, incursioni dei Saraceni, pestilenze e soprattutto terremoti la colpirono gravemente. La città si ridusse in estensione, la collettività anconetana si concentrò sul colle Marano, più agevolmente difendibile, mentre le zone a valle vennero abbandonate e fra queste l’antica basilica.

Nell’XI secolo le reliquie dei santi vennero trasferite nella chiesa di S. Lorenzo, esistente fin dal VI secolo sul colle Marano, che diventò la nuova cattedrale della città dedicata al santo Ciriaco. L’abbandono della prima basilica, ormai ridotta in macerie, durò circa due secoli fino a quando andò consolidandosi una ripresa economica e sociale che consentì alla città di espandersi nuovamente e sulle rovine dell’antica basilica, fra XI e il XII secolo, venne costruita una nuova chiesa dedicata alla Madonna, il cui culto nel bacino mediterraneo veniva spesso associato a quello di S. Stefano.

Tale chiesa presenta un impianto architettonico ad andamento longitudinale a tre navate divise da pilastri, con copertura lignea, e ripropone la tipologia delle chiese romaniche del periodo con forme semplici prive di apparati decorativi, ad eccezione di una cornice a palmette che corre sopra le arcate. Priva di ornamenti era anche la primitiva facciata con paramento in blocchetti di pietra del Conero inframmezzato da elementi, prevalentemente marmorei, provenienti dalla chiesa precedente e fiancheggiata da una torre campanaria.

Agli inizi del XIII secolo ad Ancona si erano ormai consolidati gli ordinamenti di libero comune e si palesavano gli effetti dello sviluppo sociale ed economico che in quel periodo si era andato manifestando in Italia. Nel 1210 Magister Filippo, un architetto che già operava ad Ancona, nel duomo di San Ciriaco, nella chiesa di S. Salvatore e nelle fortificazioni urbane, realizzò una sostanziale trasformazione della facciata di S.Maria, rendendo egli stesso testimonianza della sua opera in una iscrizione posta sull’arcone del nuovo portale della chiesa. Alla facciata originale

59 sovrappone una serie di archetti ciechi poggianti su colonnine e divisi da due fasce di pilastrini che si sviluppano su tutta l’altezza della facciata stessa, rimarcando all’esterno la suddivisione interna in tre navate. Realizzò inoltre uno splendido portale a quattro arcate concentriche che presenta nell’arcata più esterna una spirale costituita da girali di vite entro i quali sono presenti figurine zoomorfe, tratte dai “bestiari” medievali, ricorrenti nella scultura romanica. Intercalati fra le arcatelle cieche, al di sopra del portale, sono presenti tre sculture di reimpiego, una Madonna orante, un angelo e un pavone, di chiara impronta bizantina, presumibilmente elementi di reimpiego provenienti dai resti dalla basilica precedente, che costituiscono nel loro insieme la raffigurazione dell’Annunciazione.

Una iscrizione presente su uno dei pilastri che fiancheggiano l’abside interna testimonia che nell’anno 1223 venne conclusa la sistemazione della zona absidale consistente nella creazione di una sorta di transetto, sia pure compreso nell’ambito dell’involucro architettonico longitudinale, corrispondente alle zone terminali delle navate, con alte volte a crocera che denotano il passaggio dalle forme architettoniche romaniche originarie a forme gotiche del periodo.

Un violentissimo terremoto e di lunga durata, “che durò un credo circa”, nel 1690 colpì la città provocando crolli, danneggiamenti e la morte di “tre cristiani e quattro ebrei”. Il campanile di Santa Maria crollò fino al primo ordine e la facciata, originariamente a capanna, perse la parte terminale. I lavori di restauro vennero effettuati con grande lentezza e alla metà del XVIII secolo dovevano ancora essere conclusi. Con questi interventi venne ricostruita la

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parte terminale della facciata e venne data alla chiesa una nuova connotazione figurativa corrispondente allo stile architettonico del tempo: nuovi altari vennero collocati in corrispondenza delle navate laterali.

Dopo le trasformazioni settecentesche la chiesa mantenne sostanzialmente invariata la nuova configurazione architettonica fino ai primi decenni del secolo scorso quando Luigi Serra, secondo le teorie proprie del periodo, ne realizzò una sostanziale modifica proponendo un restauro stilistico, sarebbe meglio dire un ripristino interpretativo, tendente a riproporre stilemi tipici dell’architettura romanica che non trovavano adeguata giustificazione nelle strutture della chiesa di Santa Maria. Con tali modifiche, che comportarono l’eliminazione di tutti gli altari settecenteschi, il Serra realizzò un consistente rialzamento della zona absidale quasi a suggerire la presenza di una cripta sottostante che peraltro non era mai esistita. Un’ulteriore trasformazione fu realizzata a metà del secolo scorso quando, una errata interpretazione dei resti murari presenti in corrispondenza della zona esterna alla navata laterale sinistra, portò alla creazione di una sorta di quarta navata che contribuiva a determinare un effetto di disequilibrio nella visione prospettica centrale dell’edificio.

Il restauro degli anni ’80, effettuato a seguito del terremoto che aveva colpito Ancona nel 1972, ha consentito l’eliminazione delle modifiche prodotte dagli ingiustificati restauri interpretativi effettuati in precedenza e, a seguito di una attenta lettura di quanto ancora rimaneva delle “tracce” originarie, ha restituito alla città un eccezionale monumento ed un prezioso documento della sua storia.

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Foto Š Giusy Marinelli

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Episodio scolpito nel bassorilievo elicoidale della Colonna Traiana a Roma, in cui è illustrata la partenza dell’imperatore, salpato da Ancona verso la Dacia (105 d.C.)

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Appendice

L’iconografia del porto di Ancona nell’arte di

Costanza Costanzi

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Pinturicchio (1454-1513) Scene della vita di Pio II: Pio II giunge ad Ancona per dare inizio alla crociata (dettaglio) (Duomo di Siena - Liibreria Piccolomini)

L’iconografia del porto di Ancona nell’arte di

Costanza Costanzi

Un detto popolare che circolava per le contrade italiche nel sec.XII recitava così: “Unus Petrus in Roma/ Una Turris in Cremona /Unus Portus in Ancona: al di là della metrica obbligata, la semplice strofa sta a dimostrare che La felice posizione geografica di Ancona e l’amenità del suo porto ben protetto dai venti hanno colpito da sempre l’immaginario collettivo, letterario o artistico. Elemento cardine della storia di Ancona fin dall’antichità, l’iconografia del porto è nei secoli oggetto costante di interesse, insieme con l’arco trionfale di Traiano: ne è testimonianza l’episodio scolpito nel bassorilievo elicoidale della Colonna Traiana a Roma, in cui è illustrata - secondo l’interpretazione più diffusa - la partenza dell’imperatore, salpato da Ancona verso la Dacia (105 d.C.).

Tra le rappresentazioni figurative dei secoli successivi, dal Cinquecento in poi, si inseriscono frequentemente ‘citazioni’ iconografiche della città adriatica all’interno di soggetti diversi - spesso sacri - come sfondo

dell’evento o del fatto narrato: segno inequivocabile 65 della diffusione e della popolarità dei luoghi, a volte realmente conosciuti dagli artisti, altre volte rielaborati con inserti di fantasia.

Nell’affresco del Pinturicchio (1505-1507, Siena, Duomo, Libreria Piccolomini), è ricordata la partenza da Ancona di papa Pio II Piccolomini, a capo della Crociata in difesa della Cristianità. Ma la crociata non ebbe luogo per la morte improvvisa di Pio II, avvenuta ad Ancona il 14 agosto 1464. Qui la configurazione del porto dorico presenta in corretta successione l’Arco romano addossato alle mura e il sovrastante camminamento – il corridore – le torri e il Rivellino, tanto da far ritenere che l’artista umbro avesse una diretta conoscenza dei luoghi, mentre la sovrastante rappresentazione del Duomo si colloca nell’indistinto fantastico, senza i caratteri peculiari che lo rendono altrove così riconoscibile.

Al veneziano Vittore Carpaccio (1465 circa – 1525/1526) va riferito un ben noto disegno a sanguigna (n. 1897-4-10-1), conservato al British Museum di Londra, raffigurante una città elevata su di un porto fortificato. Se pure nel foglio grafico mancano monumenti anconetani di immediata identificazione - come gli inconfondibili Duomo di San Ciriaco e arco di Traiano - la visione d’insieme, il porto e la collina che lo sovrasta appaiono legati alla visione di Ancona, con il colle Guasco che domina il porto e la fitta presenza degli edifici sparsi lungo il pendio.

Il foglio reca in basso a sinistra la scritta in caratteri minuti “porto di Ancona dorica”.

Uno dei più interessanti protagonisti della ultima stagione del manierismo romano, Andrea Lilli, anconetano di nascita, è autore della suggestiva Veduta

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A lato: Vittore Carpaccio (1465 circa- 1525/1526) Disegno a sanguigna conservato al British Museum di Londra, raffigurante il porto di Ancona.

In basso: Andrea Lilli (1570 circa- post 1631) Il dipinto è un frammento di una piĂš ampia raffigurante la “Madonna che incorona San Nicola da Tolentino, originariamente collocata nella chiesa di S. Agostino ed ora visibile nella Pinacoteca Civica di Ancona a Palazzo Bosdari.

di Ancona, una delle più note iconografie della città, vista dal mare, al centro dell’ansa portuale. La veduta rappresenta uno dei quattro frammenti superstiti di una monumentale pala, smembrata nei primi decenni del ‘900 a causa delle precarie condizioni conservative, raffigurante la Vergine che incorona San Nicola da Tolentino, già nell’abside della ex chiesa di Sant’Agostino. L’interesse del brano vedutistico, che chiudeva verosimilmente la pala nella parte inferiore, sta nella realistica rappresentazione del prospetto portuale di Ancona, in cui il Lilli manifesta, insieme ad un originale talento scenografico, la capacità di cogliere con rara precisione assonometrica gli elementi peculiari della forma urbis anconetana ed il rapporto spaziale che li lega. Il brano pittorico reca in basso a destra la firma e la data che oscilla tra il 1597 il 1598, in cui il Lilli è documentato nella città dorica.

Palcoscenico degli eventi più importanti che hanno coinvolto da sempre la città, il porto fa da quinta all’assedio da parte degli eserciti di Federico Barbarossa (1173), raccontato da Buocompagno da Signa nel “Liber de obsidione Anconae” ed evocato in alcuni episodi salienti da due artisti anconetani; i fratelli Francesco (Ancona 1800-Roma 1895) e Vincenzo Podesti (Ancona 1812-1897). Tra le opere di Vincenzo, Giovanni da Chio durante l’assedio di Ancona (Ancona, Museo della Città) rievoca l’eroico gesto del canonico anconetano, gettatosi nel mare in tempesta per tagliare con la scure le gomene delle navi nemiche.

A Francesco Podesti, celebrato pittore dell’Ottocento italiano, si deve invece il Giuramento degli Anconetani (Ancona, Pinacoteca Civica), potente scenografia dipinta, aulica e popolare al tempo stesso, secondo il gusto del melodramma, caro alla società del tempo.

Anche qui siglano la scena le ben note citazioni di 67 Ancona e del suo porto, di cui si scorgono mura, torri e una striscia di mare all’orizzonte, con gli onnipresenti monumenti distintivi della città.

Seppure i dipinti ‘storici’ dei due Podesti sono ancora legati ad una funzione del paesaggio subalterna all’evento rappresentato, dal Seicento in poi si assiste all’affermarsi del paesaggio o della veduta del porto anconetano, dotato di una sua autonomìa iconografica. Si tratta di un nutrito gruppo di opere - dipinti, stampe, disegni etc. - scaturite da motivazioni e occasioni diverse: celebrative, politiche, sociali, documentarie. Ne citiamo solo alcune.

A metà strada tra la rappresentazione cartografica e la veduta’ a volo d‘uccello’ (di cui ricordiamo, come capostipite di una lunga serie di derivazioni, la mappa prospettica di Ancona di Giacomo Fontana del 1569) è la famosa Veduta di Ancona, una delle 40 che ornano la Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani, realizzate su progetto del cosmografo e geografo perugino Egnazio Danti (1580-82): la veduta del porto di Ancona è stata poi completamente ridipinta nel 1632 e recentemente attribuita al pittore Agostino Tassi.

Alla tradizione encomiastica appartiene l’acquaforte con l’Imbarco della regina di Ungheria dal porto di Ancona, una veduta di Ancona dal mare, realizzata in occasione della partenza di Maria Anna d’Austria, futura regina d’Ungheria e promessa sposa di Ferdinando III d’Asburgo alla volta di Trieste (1631). Oltre allo specifico interesse topografico sulla collocazione dei principali edifici dell’Ancona dell’epoca, facilitata dalle legende esplicative che circondano la veduta su tre lati, l’incisione rappresenta un importante testimonianza della consuetudine, tutta seicentesca,

68 di celebrare con esuberanti apparati architettonici

effimeri - in cartapesta e in legno - le ricorrenze più significative.

Il Settecento rappresenta per Ancona e il suo porto un secolo fondamentale. L’istituzione del Porto Franco, promosso da papa Clemente XII Corsini (1732), dà uno straordinario impulso economico al territorio e alla città, che dopo la grande depressione seicentesca avvia una progettualità nuova, prevalentemente incentrata su grandi interventi portuali, affidati dallo stesso pontefice a Luigi Vanvitelli. Tra il 1733 e il 1743 si colloca il progetto e la realizzazione del Lazzaretto, edificio simbolo di questo rinnovamento, a metà strada tra la funzione difensiva e quella sanitaria per la quarantena di persone e merci, che da quel momento in poi diventa parte integrante di tutte le principali vedute della città e del porto.

Capofila di tutte queste, è la Veduta di Ancona con Lazzaretto, realizzata su disegno dello stesso Vanvitelli ed incisa a Roma da Giuseppe Vasi (1738), una sorta di trompe l’oeil aperto oltre la fastosa incorniciatura, ‘spezzata’ da sei medaglioni raffiguranti le realizzazioni vanvitelliane per il porto di Ancona, inframezzate da bandiere, strumenti nautici e pezzi di artiglieria. Sotto la veduta, un cartiglio con lo stemma dei Corsini, contiene una dedica del Vanvitelli al cardinale Neri Corsini, suo patrono e nipote di Clemente XII. Ma dove il segno grafico rigoroso e il talento scenografico del Vanvitelli trovano una perfetta sintesi è nella coppia di disegni acquerellati, raffiguranti la Veduta del Lazzaretto e del Molo Clementino e la Veduta di Ancona dall’Arco Clementino. Si tratta di due rari pezzi autografi, databili al 1739, acquistati

sul mercato antiquario dalla Regione Marche nel 1991 ed attualmente esposti nel Museo della Città di Ancona.

Nel corso dell’Ottocento, l’iconografia del porto assume sempre più connotati essenzialmente paesaggistici, privi di altre finalità di carattere storico o celebrativo. Barnaba Mariotti, pittore (forse) locale di cui non si hanno a tutt’oggi altre notizie biografiche, è autore di una serie di vedute della città e del porto, la cui resa oggettiva rappresenta un prezioso documento sulla situazione urbanistica del porto, oggi ampiamente snaturata. In particolare, alcune vedute dell’area portuale si caratterizzano per una narrazione fresca e una tavolozza luminosa, di cui si ritrova un’eco fedele in un passo de La forestiera, diario di una giovane donna inglese, Mrs. Gretton, durante un suo soggiorno marchigiano: “Le navi nel porto erano ferme e placide all’ancora, ogni dettaglio dell’albero e del cordame riflesso come in uno specchio, nel mare azzurro, che a distanza, confondendosi con l’orizzonte, appariva soffuso della medesima luce dorata che pervadeva il cielo luminoso”.

Pressappoco negli stessi anni, opera il pittore paesaggista, Carlo Filippo Boni (Ancona 1818-1887). Fervente patriota, dopo le “Cinque Giornate” fu costretto all’esilio e si rifugiò a Parigi, da dove ritornò dopo la caduta del governo pontificio. Gli studi di scenografia a Milano e la permanenza a Parigi conferirono alla sua produzione artistica (oli, acquerelli, disegni) un carattere aggiornato, come emerge nella veduta ‘in notturno’ del Molo di Ancona con L’Arco di Traiano (Ancona, Museo della Città) che nella rappresentazione del plenilunio riflesso nel tranquillo specchio di mare rivela una sottile sensibilità romantica.

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Francesco Podesti ( Ancona, 21 marzo 1800 - Roma, 10 febbraio 1895), Il giuramento degli Anconetani (Ancona - Pinacoteca Civica, Palazzo Bosdari).

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Carlo Filippo Boni (Ancona 1818-1887), Veduta in notturno del Molo di Ancona con l’Arco di Traiano.

(Ancona, Museo della CittĂ )

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Barnaba Mariotti, Veduta del porto di Ancona (dettaglio) (Anvcona - Pinacoteca Civica)

Un significativo tributo ‘internazionale’ alla città e al suo porto è reso dal grande paesaggista inglese Joseph Mallord William Turner (1775-1851), che nel corso del suo Grand Tour italiano (1819) fece sosta ad Ancona, di cui ritrasse alcuni scorci originali, raccolti in 33 schizzi conservati nel Taccuino “Ancona to Rome Sketchbook ( Londra, Tate Britain Gallery).

Testimone novecentesco dell’amore per il mare anconetano, Otello Giuliodori (Ancona 1908-1910) dipinge una Veduta di Ancona dal mare, ispirata a modelli antichi e ‘tradotta’ nella ottimistica contemporaneità

degli anni ‘60, con le gru, il cantiere, il traffico di imbarcazioni e navi (Ancona, Biblioteca Civica, sala di lettura).

Alla realistica veduta di Giuliodori fa da contrappunto antitetico l’immagine visionaria che Valeriano Trubbiani (Macerata 1937) restituisce del porto nel disegno Cyriacus d’Anchona Anconam salutat, appartenente ad un corpus di 12 fogli di grande formato, dedicati all’affascinante e avventurosa vicenda umana di Ciriaco Pizzecolli, mercante e umanista, eclettico personaggio anconetano del sec. XV.

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Antonio Luccarini Laurea in Filosofia conseguita presso l’Università degli Studi di Bologna – Facoltà di Lettere e Filosofia, nel Marzo 1972; Abilitazione all’insegnamento conseguita ad Ancona nel 1974.

Ha svolto l’insegnamento di Storia e Filosofia presso diversi istituti superiori sino al giugno '97.

Nel1993, è nominato rappresentante del Comune di Ancona nel CdA dell’Università Politecnica delle Marche; Nel1995, è nominato rappresentante del Comune di Ancona presso l’Associazione “Mediateca delle Marche”.

Dal 1997 al 2001 e dal 2001 al 2006 è stato Assessore del Comune di Ancona con deleghe alla Cultura, Musei, Teatri, Biblioteche-Archivio storico.

Nel 2002, è nominato Presidente dell’Associazione “Fondo Mole”; nel 2007 diventa collaboratore per il giornale Il Messaggero – Redazione di Ancona.

Dal 2007 al 2009 è Membro Commissione Ministeriale per il Fondo Unico dello Spettacolo-Settore Prosa.

Dal 2008 al 2012 ha svolto continuativamente attività di supporto alla Didattica presso l’Univpm, Facoltà di Ingegneria.

Nel 2010 Collabora presso ISTAO Ancona con lezioni nel corso Master in Strategia e Management d’impresa.

Co-redattore della Rivista Internazionale Mterritorio (www.mterritorio.univpm.it); Ha tenuto, dal 2008 ad oggi numerosi seminari sulla Città.

Premio Marchigiano dell’anno 2015 per la cultura conferito dal Ce.S.Ma di Roma.

Rodolfo Bersaglia

Annalisa Trasatti

Fabio Mariano

Laurea di Accademia di Belle Arti; Laurea

Laureata in Beni culturali con indirizzo La storia della storia. La storico artistico nel 2002 presso l’Università di Macerata con una tesi sul storia del barometro è stata Panorama della didattica museale marchigiana, ha curatoin perlingua dieci anniinglese la rubrica pubblicata Didattica per il portale d’arte www.exibart. com. Dopo numerose esperienze di tirociinnumerevoli volte, spesso ma nio preso i principali dipartimenti educativi non sempre con il titolo orid’italia (Castello di Rivoli, Mambo, Macro etc) è diventata educatrice museale priginale Angels a pin (angeli ma, coordinatrice deion servizi per la Coop.

OPERA poi, sempre presso il Museo Tattile su uno spillo), che a sua volta Statale Omero di Ancona, specializzandosi in accessibilità al patrimonio culturale per si rifà a un quesito della disabili visivi .

E’ guida turistica della Provincia di Ancona scolastica medievale “quanti dal 2002. angeli possono stare su uno Pubblicazioni: Il Museo oggi, di Cataldo-Paraventi, hoepli spillo?” percircolo saperlo:la 2006- “Alla(giusto ricerca di un virtuoso per la didattica museale” negli risposta è infiniti). Atti dei lavori del salone della didattica museale ALDO, MC, 2004 - “La didattica museale nelle Marche”, Atti dei lavori di ALDO, salone della didattica museale Macerata 17-19 ottobre 2003 e annuali aggiornamenti dello studio per il portale <www.cultura. marche.it>.

In uscita per Armando Editore il saggio “L’arte contemporanea e la scoperta della tattilità” di cui è autrice con Aldo Grassini e Andrea Socrati.

Attualmente è redattrice per il portale d’arte Artribune.com

Architetto, Professore ordinario di Restauro Architettonico presso l’Università Politecnica delle Marche dove insegna dal 1975. Con le sue oltre 215 pubblicazioni scientifiche ha delineato e promosso la conoscenza, la valorizzazione e la tutela dell’architettura delle Marche; tra le quali si ricordano monografie su: Francesco di Giorgio, Luigi Vanvitelli, Giorgio di Matteo da Sebenico, Ireneo Aleandri, Baccio Pontelli, Giuseppe Terragni, Pierluigi Nervi, Antonio Mollari, Guido Cirilli, Giuseppe Sacconi, ecc.

Vincitore del Premio Internazionale Salimbeni 1987 per la Storia e la Critica d’Arte (con F. Zeri) e successive Menzioni d’onore nel 1991(con P. Zampetti) e 2005 (con C. Bertelli); Premio Frontino-Montefeltro 1997 (con C. Bo); insignito del Premio “Benemerito per la Storia delle Marche”(2008); Responsabile per le Marche dell’Atlante del Barocco in Italia (Accademia dei Lincei).

Membro di varie accademie ed associazioni scientifiche; Vicepresidente del Consiglio Scientifico dell’Istituto Italiano dei Castelli e della Sezione Marche per cui ha fondato e dirige dal 1997 la rivista “Castella Marchiae”.

Membro e/o Curatore di numerosi Convegni Scientifici nazionali ed internazionali; più recentemente Curatore del Convegno “Celebrazioni Bramantesche” nel V° Centenario della morte – Loreto 2014 (con C.L. Frommel) e Membro dello Scientific Advisory Committee e Conference Chairman del Convegno “Defence Heritage 2016”, Alicante (SP) 2016; Responsabile scientifico della Proposta di candidatura ufficiale del Complesso del Santuario di Loreto alla lista del Patrimonio Mondiale UNESCO (2016).

Svolge attività professionale e di consulenza nel settore del Restauro e della Conservazione dei Monumenti, dell’Arredo urbano, e dell’Allestimento Museale.

La storia della storia. La in Storia e Conservazione dei Beni Culturali; Diploma della Scuola Superiore di Gior-

storia del barometro è Ricerca stata “La nalismo di Urbino; Dottorato di Città Adriatica” in Università pubblicata linguaPolitecnica inglesedelle Marche; Dottorato di Ricerca “Analisi cul-

turale e artistica delvolte, territorio” Università innumerevoli spesso ma Politecnica delle Marche.

non sempre con il titolo oriPrincipali libri e pubblicazioni ART PLAN FOR A COOPERATION BETWEEN

ginale Angels EUROPE AND JAPAN,on Tesiasupin (angeli Ipotesi di cooperazione artistica e scambio dei repersu uno spillo), che a sua volta tori tra Giappone e Europa, pubblicata dal Ministero del Giappone, si rifà adegli un Esteri quesito della 1983 GUIDA DELLA MARCA DI ANCONETANA

- pubblicazionemedievale per itinerari tematici sul scolastica “quanti

repertorio museale della Provincia di Anco-

angeli possono stare na - Marca Anconetana, 2010;su uno

ADRIATIC ART, ARCHITECTURE AND CITIES,

spillo?” (giusto per saperlo:la Paper Forum Città dell’Adriatico-Ionio,

Capodistria, è2004 ”La città adriatica”, Conrisposta infiniti). vegno Uniadrion - Bologna 2005;

RALPH ERSKINE: LUNGIMIRANZA AL REMOTO ginale Angels on a pin (angeli - Quaderni di architettura - DARDUS - 2007;

su uno CITTÀ spillo), che a casa suaeditrice volta ANCONA, ADRIATICA, Affinità Elettive - Università Politecnica

si rifà a un2010 quesito della delle Marche, - Patronato Centro

Alti Studi Europei, IAI Iniziativa Adriatico scolastica medievale “quanti Ionica, Uniadrion; LA SCUOLA DI ANCONA E IL RINASCIMENangeli possono stare su uno TO ADRIATICO, Edizioni Tecnostampa -

2011 - Patronato Centro Studi Europei, spillo?” (giusto perAltisaperlo:la IAI Iniziativa Adriatico Ionica, Uniadrion;

risposta è infiniti).

Con Cattedrale libri ha pubblicato:

FORTITUDO ANCONAE - 2011 - Patronato

Centro Alti Studi Europei, IAI Iniziativa

Adriatico Ionica, Uniadrion; WATERFRONT DORICO, 2012; STORIA DEI CONCETTI DELL’ARTE, 2013; GLI AFFRESCHI DELLA PROVINCIA DI ANCONA, 2015 - Sistema Museale della Provincia di Ancona.

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Accademia Musicale di Ancona

Nicoletta Frapiccini

Maria Luisa Polichetti

Costanza Costanzi

Direttore del Museo Archeologico Nazionale delle Marche e dei Musei Archeologici Statali di Ascoli Piceno, Arcevia, Numana, Cingoli e Urbisaglia Archeologa, ha studiato e Firenze e si è specializzata in Archeologia Classica a Lecce. Docente di Storia dell’Arte fino al 2003, è passata quale funzionario archeologo in Soprintendenza, dove ha diretto scavi archeologici e si è occupata della valorizzazione e tutela del territorio, e del Museo Archeologico di Ancona, di cui ha curato l’allestimento della sezione ellenistico/romana e si è occupata degli eventi, della promozione e dei servizi educativi.

Dallo scorso novembre dirige tutti i Musei Archeologici del Polo Museale delle Marche. E’ autrice di un centinaio di contributi scientifici per riviste specializzate e convegni internazionali, saggi, contributi per cataloghi di mostre, pubblicazioni di didattica museale ed è coautrice, con Nunzio Giustozzi, del manuale di Storia dell’Arte per la scuola media superiore per la casa editrice Hoepli (Milano).

Ex Soprintendente ai monumenti delle Marche dal 1973 al 1991, direttore dell’Istituto Centrale del Catalogo dal 1990 al 2002, consigliere del Ministro per i beni culturali, del Presidente della Regione Marche, coordinatrice del più recente Piano Paesistico delle Marche. Ha pubblicato: Il Palazzo di Federico da Montefeltro (1985); Santa Maria della Piazza.

Recupero di un documento di storia urbana (1981); Il progetto di Sisto V. Territorio, città, monumenti nelle Marche (1991); Urbino città ideale (con Luciana Miotto, 1992); San Ciriaco la Cattedrale di Ancona (2003).

Ha ricevuto il Premio Salimbeni per la storia della critica d’arte, il Premio Frontino Montefeltro e il Premio Pasquale Rotondi per la lunga attività scientifica e professionale dedicata alla conservazione del patrimonio culturale.

Storica dell’arte, ha svolto la sua attività dal 1980 presso il Centro Beni Culturali della Regione Marche, occupandosi di attività e progetti di ricerca nel settore storico-artistico (mostre, convegni, pubblicazioni etc.).

Dal 2010 al 2013 ha diretto i Musei Civici di Ancona, curando e organizzando un’intensa attività di mostre ed appuntamenti-eventi. Ha svolto attività didattica come docente a contratto presso l’Università degli Studi di Macerata, Laurea in Scienze dei Beni culturali.

Ha al suo attivo la curatela di mostre nelle Marche, in Italia e all’estero, e la realizzazione di numerose pubblicazioni in ambito museale e storicoartistico tra cui Le Marche disperse. Repertorio di opere d’arte dalle Marche al mondo (2004), “Il magistero di Carlo Maratti nella pittura marchigiana tra ‘600 e ‘700”(2011).

Nel 2003 si è aggiudicata il Premio Frontino Montefeltro con il volume sul “Viaggio” di Luigi Lanzi del 1783 nelle Marche.

Attualmente svolge attività liberoprofessionale di curatela e collaborazione nell’ambito di eventi e iniziative in campo storico-artistico.

Dal 1999, anno della fondazione, l’attività dell’Accademia Musicale di Ancona si basa sulla diffusione di corsi di impostazione preaccademica dei Conservatori Statali, corsi di propedeutica rivolti ai bambini in età prescolare, corsi di musica leggera, rock/pop, canto lirico e moderno, corsi finalizzati alla formazione di gruppi di musica d’insieme, corsi di formazione professionale musicale, corsi di jazz, ecc. Consente inoltre lo svolgimento di attività a carattere socio - culturale quali: Musicoterapia, corsi per la terza età, corsi amatoriali, collaborazioni con realtà culturali e istituzioni pubbliche.

Gli insegnanti dell’Accademia sono tutti docenti diplomati presso i Conservatori di Musica italiani e professionisti, che hanno al loro attivo una notevole esperienza sia didattica che artistica. L’impegno didattico ed i risultati raggiunti sono testimoniati dai numerosi allievi che ogni anno superano brillantemente gli esami statali.

Dal 2010 L’Accademia è convenzionata con il Conservatorio G. Rossini di Pesaro che, oltre a certificare la validità della struttura mediante verifiche periodiche e garantire un percorso pre-accademico condiviso, consente uno scambio tra una delle più importanti istituzioni musicali italiane e l’Accademia.

VISTA MARE Associazione di promozione sociale La storia dell’attività è su: www.facebook.com/VistaMareAncona/

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Sommario pag. 4 ......................

Presentazione di Rodolfo Giampieri, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale

pag. 10.....................

Storie e personaggi (1) di Antonio Luccarini

pag. 16.....................

Accademia Musicale di Ancona a Porta Pia con Martina Jozwiak e Filippo Masciarelli

pag. 18....................

Due monumenti urbani di recente riletti di Rodolfo Bersaglia

pag. 24....................

Storie e personaggi (2) di Antonio Luccarini

pag. 28....................

Casa del Capitano del Porto di Annalisa Trasatti

pag. 32....................

Storie e personaggi (3) di Antonio Luccarini

pag. 36....................

Accademia Musicale di Ancona all’Arco Clementino con Federica Torbidoni e Marco Monina

pag. 38....................

Arco Clentino di Fabio Mariano

pag. 46....................

Porto di Ancona tra l’età repubblicana e il tardo gotico di Nicoletta Frapiccini

pag. 52....................

Accademia Musicale di Ancona a Santa Maria della Piazza con Nicola Principi e Matteo Lorenzo Bramucci

pag. 54...................

Santa Maria della Piazza di Maria Luisa Polichetti

pag. 62...................

Appendice L’iconografia del Porto di Ancona nell’arte di Costanza Costanzi

pag. 72...................

Schede biografiche degli autori e ringraziamenti

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