Lo spazio malinteso

Lo spazio malinteso

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA Scuola Politecnica Dipartimento Architettura e Design Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura L-17

Tesi di Laurea Triennale

LO SPAZIO MALINTESO Laureanda

Vanessa Caredda

Relatore

Prof.Arch. Simone Gobbo

Correlatore

Prof.Arch. Andrea Giachetta

Anno Accademico 2019/2020

INDICE

VI

Introduzione 1_LO SCENARIO DELLA SOGLIA 1.1 Confine 1.2 Limite 1.3 Emotività

pag. 2 pag. 7 pag. 10

2_LO SPAZIO LIMITE 2.1 2.2 2.3 2.4

Definizione Vacuità Luogo Percezione

pag. pag. pag. pag.

14 16 19 22

3_L’ARCHITETTURA NEL LIMITE 3.1 Contesto spaziale 3.2 Emergere 3.3 Inserimento

pag. 26 pag. 29 pag. 32

4_CASI STUDIO 4.1 Tree in the house 4.2 Viewpoint Snøhetta

pag. 36 pag. 42

Bibliografia

pag. 48

Ringraziamenti

pag. 50

Introduzione

Questa tesi si propone di spiegare le questioni legate alla soglia come spazio di relazione teorica e fisica tra le parti, definisce l’identità e le manifestazioni che si verificano all’interno di uno spazio, indaga sulla percezione e sul ruolo dell’architettura inserita in un contesto limite, sul rapporto che intercorre tra architettura e natura analizzando il concetto “dentro/fuori”. Il limite per l’architettura rappresenta un soglia da affrontare, significa sapersi confrontare e relazionare con uno spazio che può presentarsi in diverse sfacettature, aperto o chiuso, occupato o vuoto in cui si manifestano funzioni uguali o differenti.

Funzione ed uso determinano l’identità di uno spazio, la relazione che lega l’uomo con lo spazio definisce un’unità naturale che si delinea con il concetto di luogo. L’architettura può essere definita luogo ma a volte è essa ad inserirsi all’interno. Natura e architettura contribuiscono nel definirne l’identità, capire se è la struttura ad instaurarsi in quello spazio naturale o la natura ad entrare all’interno della struttura. L’architettura non si impone sulla natura ma ne diventa parte, non mira a sottrarre spazio esistente ma si inserisce in un contesto che lo ospita, lo accoglie e che lo faccia diventare parte integrante.Quando è la natura ad entrare all’interno, tende ad esaltarla e migliorarla, fornisce un contributo fondamentale nel soddisfare i bisogni primari dell’uomo. Si può dire che architettura e natura dialogano, entrano in simbiosi generando uno spazio comune, facendo divenire la natura architettura. Questo atteggiamento lo si può osservare come un limite infranto, non esiste più solo architettura o solo natura ma esiste un luogo comune che racchiude due spazi. Una volta superato il limite tra architettura e natura, lo scopo è di capire la sensazione che prova l’uomo all’interno dello spazio comune, che emozioni suscitano in lui e fargli porre la domanda “mi trovo dentro o fuori?” Non è una domanda semplice. Lo spazio esterno si ripropone all’interno, il fuori è dentro e il dentro è fuori. L’ente deve compiere un’esperienza di apprendimento e provare a cogliere aspetti differenti di una stessa realtà. Forse è quel confine che delinea il perimetro che lo fa sentire in uno stesso luogo ma più sicuro e protetto. L’avvicinamento con la natura permette all’uomo di allontanarsi dai timori e lasciarsi trasportare dal piacere estestico, sensoriale e mentale. L’architettura è orientata ad accogliere l’uomo, a lasciarlo abitare ed esplorare. E’ attraverso l’abitare che l’ente si colloca nello spazio e trova una propria identità, muovendosi coglie la sua posizione e l’assetto della situazione spaziale con cui si sta confrontando.

VI

1_LO SCENARIO DELLA SOGLIA

Lo scenario della soglia

Lo scenario della soglia

1.1 Confine

Confine è, letteralmente, cum-finis, ciò che mi separa e nel contempo ciò che mi unisce, che ho in comune con l’altro.

(Stefano Allevi)

Occupare diventa un mezzo per ottenere non solo uno spazio, ma anche un’identità. Una volta preso possesso dello spazio, questo va misurato perché è con essa che viene stabilita la grandezza, la forma, i confini e stabilirne momentaneamente i suoi limiti. La misura può avvenire con varie molteplicità, dall’uso del palmo della mano al metro, dalla vista al canto o ancora dal tempo necessario utilizzato per percorrere interamente lo spazio. Qualsiasi sia il modo utilizzato per stabilire la dimensione, è solo a termine delle azioni di misura che è possibile definirne i confini e alterare lo spazio contenuto al suo interno.

I costruttori o architetti non cominciano mai a costruire senza porre prima delle chaises la cui forma delimita e misura la piccola parte di terra che si tratta di organizzare. 1

Quando parliamo di confine, pensiamo a un qualcosa che divide, una situazione che distingue uno spazio da un altro. Spesso ci chiediamo “Cos’è un confine? Come opera? Chi lo stabilisce e perché? Cosa si prova all’interno?

Tracciare un confine significa definire un territorio, delimitare un luogo. Segna geometricamente i bordi di una figura, linee reali o immaginarie, mettendo in relazione due o più enti tra loro, è una separazione condivisa con un altro. Una linea in grado di definire un territorio, una proprietà o la sovranità di uno stato, a volte concreta a volte astratta, è demarcazione tra ciò che conosciamo, facciamo o diciamo, tra ciò che può essere oltrepassato o ancora tra una differenza su cos’è ordine e disordine. Ma questa linea è davvero una linea? Probabilmente possiamo similare il confine ad una linea ma in realtà non sappiamo davvero che forma abbia, se retta o curva, possiamo solo immaginarla, ipotizzarla e capire nel nostro inconscio che esiste una separazione astratta.

Il confine è uno spazio che incontriamo spesso durante i nostri spostamenti, quel luogo che si trova “fra” le cose in grado di mettere in relazione cose, culture, persone e spazi differenti. Confine inteso come spazio che può avere un margine esterno, legato alle azioni concrete dell’uomo, e un margine interno, legato alle sensazioni interiori, un luogo intimo dove l’uomo può sperare, immaginare ed amare. Il confine deve essere visto in modo più profondo, cominciare a conoscerlo senza pregiudizi ed osservarlo un po’ meglio, non soffermarsi sulla “linea” che lo istituisce ma essere concepito come una porzione di spazio munito di una dimensione, di una sua storia, di una sua identità. Il primo atto da compiere per poter tracciare un confine è l’occupazione del terreno, perché è solo dopo averlo occupato che è possibile tracciarne i contorni.

La superficie per trovare una sua possibile esistenza, deve essere vacua, cioè portare all’esterno tutto ciò che non fa parte del posto. Va inteso come un’esclusione, un chiudere fuori ciò che viene considerato estraneo per non dover poi incorrere a possibili episodi negativi, come un popolo che tiene al centro tutti i fattori positivi di una società e porta verso il margine, la periferia, quei fattori negativi che creano solo fastidio e producono disturbo al benessere del centro stesso. Ma non sempre appare così. Spesso lo stare al margine è anche una maniera per non stare né all’interno e né- all’esterno e rappresenta l’opportunità di scegliere da che parte stare in base alle occasioni che si pongono dinnanzi o altresì un modo per osservare le cose che si trovano da una parte e dell’altra. Un esempio di esclusione è similare ad un terreno ove tutto ciò che si trova all’interno deve essere espulso in modo tale da poter conferire a quella zona un suo carattere. Le pietre che giacevano su esso, vengono portate al margine, sovrapposte una sull’altra dirette alla costruzione di un muro, volto a cingere e difendere lo spazio appena evacuato. Un muro di confine cerca allo stesso tempo di controllarlo ed organizzarlo e rendere identificabile sia gli elementi di appartenenza sia quelli esentati. La sua costruzione rappresenta la sua concreta esistenza, non solo protegge dalle minacce esterne che potrebbero ripercuotersi sul nuovo spazio interno ma diventa un riparo interiore, una

2

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1 M. Serres, Le origini della geometria, Feltrinelli, Milano 1994, p.23.

Lo scenario della soglia

Lo scenario della soglia

Il confine naturale esiste e basta. Svolgono il ruolo di limite quando vengono considerati un ostacolo. Possono comunque essere infranti, fermo restando in una “violazione civile”. Ne sono un esempio il deserto che separa in modo irruento gli spazi fertili che li sono accanto,divenendo un limite per essi ma non per l’uomo a cui non viene impedito di abitare all’interno; le Alpi che hanno fatto sì che i popoli, stabilitosi su entrambi i fronti della linea, sviluppassero tradizioni, lingue e nazioni differenti; il mare che nella sua grandezza e nelle sue continue movenze, si infrange sulla costa per poi tornare indietro ed infrangersi nuovamente, disegnando un confine diverso da quello precedente. Uno dei confini naturali più suggestivi, è l’incontro tra i due mari del Golfo dell’Alaska.

In questo punto, le correnti dell’Oceano Pacifico si incontrano con le acque 3 gelide dei ghiacciai senza mai mischiarsi, come due mari che abbracciano ma che mai si uniscono. I confini naturali sono una porzione di luoghi abitati e abitabili e possono divenire altresì luoghi d’incontro e di commercio.

Le capanne di pietra della Majella.

protezione morale causata dall’incerto esterno, come un timore di “contagio” dovuto al contatto con l’altro. Questo recinto funziona in quanto toglie spazio al movimento pianificandolo in maniera rigida, preclude ciò che prima era agibile e disponibile a tutti, come quando durante i nostri spostamenti ci obbliga a modificare il nostro cammino, lo accorcia o lo allunga, fino a quando, grazie a una svolta, possiamo riprendere la nostra direzione. L’esistenza di uno spazio recintato cessa quando l’architetto depone la sua penna. Il confine può essere considerato come un terzo luogo tra due luoghi che separa, come fosse la terra di mezzo che sta tra due territori, tra le estremità di due paesi. Un luogo neutrale, dove la norma non vige, che due paesi stabiliscono reciprocamente o anche il luogo dove ripararsi quando nessuna delle due sponde è soddisfacente. Uno spazio libero dove l’incontro può realizzarsi <<se non in termini amichevoli almeno senza ostilità>>2 , una soglia per provare a liberare i malintesi. Uno dei confini più radicali, è quello naturale, il più affidabile e meno discutibile.

Non necessita di una demarcazione sul terreno, né fisica né convenzionale.

Golfo dell’Alaska.

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2

G. Simmel, Lo Spazio e gli ordinamenti spaziali della società, in Sociologia, Edizioni di Comunità, Milano 1989, p. 598.

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Fenomeno generato dalla diversa densità delle due correnti. In termini scientifici, prende il nome di “barriera idraulica”, ovvero i due corsi d’acqua restano separati in superficie ma si mischiano lentamente più in profondità.

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Lo scenario della soglia

Lo scenario della soglia

Interessante però è capire dove inizia e dove finisce l’appartenenza di un confine naturale quando è comune a due Paesi differenti. L’Italia e la Francia sono separate dalle Alpi, ma precisamente quale parte appartiene all’Italia e quale alla Francia? Molte volte, difatti, da un confine naturale si arriva a stipulare un confine politico, ovvero un confine artificiale stabilito dall’uomo. Se non per cause naturali, spesso è il risultato di una guerra e dei successivi trattati di pace stabiliti tra i vari stati. Un esempio ne sono la Repubblica di San Marino e Città del Vaticano ove non sono presenti elementi naturali che le separano dall’Italia ma sono ufficialmente due Stati autonomi. Attraversare un confine politico significa varcare la soglia di un altro territorio in cui hanno valore un altro tipo di leggi. Significa cambiare le proprie regole, vivere nuove esperienza e riuscire ad adattarsi al nuovo senza imbattersi nella paura della scoperta.

Confine politico Usa-Canada.

Stabilire un confine significa definire un punto fermo da cui partire e fare riferimento, una linea sicura e stabile, fino a quando non cambiano le condizioni che lo hanno determinato. Quello che spesso si presenta come uno spazio simbolico, ricordo delle origini, muta in un luogo brutalmente concreto, dove è costantemente presente l’incertezza, in contrasto con sé stessi.

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1.2 Limite

La parola “Limite”, deriva dal latino con due etimologie diverse Limen e Limes.

Limen è un margine, una soglia rivolta alla domus, quell’elemento della casa che si traduce dall’interno e dall’esterno dell’abitazione.

Non è un limite che impedisce il passaggio ma una trasgressione che consente il passaggio da una posizione ad un’altra senza limitarlo, accompagna un movimento di trasgressione.

Limes, o meglio dire Limes romano, ha un duplice significato.

In origine, indicava il “limite di confine” nonché il tracciamento di linee sul terreno volte alla suddivisione dei lotti. Edificato tra la rete stradale e difese militari, si incentrava sul diritto al riscatto delle terre che i coloni ottenevano se acconsentivano di stabilirsi e proteggerle per un certo periodo di tempo.

Il limes disponeva di edifici fortificati, come castelli, accampamenti, borghi, e di opere eminenti, come valli e mura. Era in perenne trasformazione, la cui ampiezza s’incrementava con l’accrescere della pressione sulla frontiera.

Nonostante ciò rimaneva una frontiera valicabile che non contrastava commerci, migrazioni ed esplorazioni. Successivamente, queste linee che si interponevano tra i lotti vennero poi identificate come strade, più precisamente come strade fortificate che permettevano la penetrazione nei territori di conquista.

Ci troviamo davanti ad un meccanismo bivalente, ovvero da un lato una barriera invalicabile nei confronti del luogo e dall’altra un sistema fortificato di connessione tra i luoghi.

I romani definirono ‘’limiti’’ quelle pietre che segnavano il confine, le quali erano sacre e non potevano essere rimosse senza che si commettesse delitto.1

Il limite, come mezzo di passaggio o divisione, come soglia o margine, è nozione importante per l’uomo.

1

Giulio Scaccia, Il “limes”: una rilettura sul limite e il suo significato.

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Lo scenario della soglia

Lo scenario della soglia

Senza l’esistenza di una linea di delimitazione, non esisterebbero correnti di pensiero tra l’interno ed esterno, inclusione ed esclusione.

Il limite mette in relazione l’ente stesso preso singolarmente, non rimanda ad altro ma solo all’oggetto stesso che in sé è assoluto. Non è il punto in cui una cosa finisce ma un punto di arrivo, un termine dove si incontra un confine, che magari non conosciamo, ma che ci fa porre il problema dell’al di là. Quando si parla di confine si parla anche di limite. Quest’ultimo può essere definito come una frontiera, il limite ultimo oltre il quale spingersi nella scoperta voleva dire andare contro il volere degli dei, oltre la superstizione. Valicare la frontiera significa uscire da uno spazio comune e confortante ed inoltrarsi in uno incerto e sconosciuto. Questo passaggio, non solo permette un cambio di zona ma modifica anche il carattere di un individuo, lo fa sentire straniero agli occhi degli altri ma anche in sé stesso. Tuttavia, tornare indietro al punto di partenza non sempre fa ritrovare tutto ciò che si era abbandonato.

Ci chiediamo “abbiamo davvero intenzione di entrare? Ne siamo certi? Ci piacerà? E se vogliamo tornare indietro? La frontiera non è certa, essa è in constante sviluppo e può trasformarsi, dall’interno o dall’esterno, in qualsiasi momento.

Quando s’incontra un limite, ognuno di noi deve imparare a misurare il proprio spazio per evitare di andare oltre misura e rendere così possibile la ricerca di un equilibrio tra le diverse parti. Capire fino a dove è possibile spingersi con serenità, senza incorrere nel pericolo di finire dall’ordine al disordine e sentirsi estranei, significa prendere coscienza di sé stessi e sapere quando è necessario fermarsi prima di commettere una trasgressione.

Limitare significa contenere qualcosa al suo interno attraverso una traccia evidente, come una soglia che imponiamo o ci viene imposta. Soglia vuole dire stare al limite, al bordo di qualcosa per cercare di comprendere ciò che sta da una parte e dall’altra della soglia stessa.

La traccia di confine permette di identificare uno spazio occupato in cui vigono determinati diritti. Ciò segnala a chi vi sopraggiunge che da lì comincia o termina qualcosa, si accede in un luogo differente da quello in cui si era pervenuti. Nonostante ciò, occupare uno spazio e recintarlo non significa che esso sia invalicabile ma identifica un comportamento differente dagli altri.

Il confine è anche uno spazio utilizzato per scopi ludici, dove si può giocare e conoscersi attraverso lo svago. Si può dire che il gioco può essere una forma di esperienza del limite.

La siepe tra il nostro giardino e l’orto del vicino con le fragole più grosse, la staccionata che chiude il prato e che lo separa dal fitto del bosco; la rete del campo oltre la quale finisce sempre il nostro pallone; il muro diroccato di qualche casa misteriosa abitata non si sa da chi. 2

Nei giochi infantili, questi luoghi descrivono lo scenario delle vicende, stimolano la fantasia e la curiosità. Per un bambino questi ostacoli non sono mai stati ragioni sufficienti da non permettergli di andare a scoprire cosa accadeva dall’altro lato e infrangere il limite imposto da quel confine.

Oltrepassare il limite significa essere a conoscenza di andare verso qualcosa che si sa già essere differente dal posto da cui si arriva.

Quella sottile soglia necessaria per sentirsi diversi e cambiare abitudini.

2

Abbas Kiarostami in Tehran, Iran 1997.

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Piero Zanini, Significati del confine: i limiti naturali, storici, mentali, Bruno Mondadori, Milano 1997, pagg. 138-139.

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Lo scenario della soglia

Lo scenario della soglia

1.3 Emotività

Il limite, come elemento di soglia, separazione o delimitazione, risulta essere fondamentale per l’uomo; senza la presenza del limite non esisterebbero quelle sensazioni del dentro e fuori, dell’interno e dell’esterno.

Questa separazione può essere concepita come un muro di protezione dall’interno verso l’esterno, un limite tra le parti che definisce due luoghi.

Rimanere all’interno del confine scaturisce nell’uomo una sensazione di protezione ma anche di infelicità. Si verrà a creare una sorta di disagio che provocherà in esso la volontà di conoscere, di scoperta. Nella zona di confine ci si chiede cosa avviene quando ci si approssima a quella linea che di per sé non appartiene a nessun luogo.

Quando si delinea uno spazio, i confini determinano ciò che rimane fuori e ciò che rimane dentro ed è la scoperta dell’ignoto che impone un cambiamento da affrontare. Violare quel confine posto tra l’interno e l’esterno significa oltrepassare quel limite che ci siamo o ci è stato imposto. Lo stare al margine permette di comprendere cosa manca da una parte e dall’altra di esso, prendere coscienza e decidere da che parte stare.

Approssimarsi in un luogo nuovo e sentirsi straniero significa non fare parte del nuovo ambito.

Lo straniero è colui che potrebbe trasformare questa familiarità, produce al suo interno un processo di disorganizzazione sociale e culturale. Provoca un disturbo alla società costringendola a riorganizzare e modificare lo spazio e le abitudini. Significa rimisurarlo e ridefinire i limiti. L’uno proverà a scoprire il “proprio posto” all’interno della nuova comunità, tentando di marcarlo attraverso i propri elementi e l’altro proverà a difendere ciò che crede di essere di propria appartenenza rafforzando i propri confini. La lontananza dalla propria terra indica psicologicamente l’inizio di un viaggio dove speranza e paura sono equivalenti.

Molte volte si scorda che non è solo lo straniero ad avere la necessità di integrarsi ma anche chi lo riceve deve avere la possibilità di abituarsi alla novità e rendere successivamente possibile l’incontro con l’altro.

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Approssimarsi al confine, vivere il limite, permette di compiere un’esperienza di apprendimento al di là delle abitudini e pensieri che ognuno di noi si era imposto, un’esperienza che potrà rivelarsi emozionante o brutale.

Azzardare il confine è un modo per comprendere la tolleranza, porsi faccia a faccia con l’altro e cogliere aspetti differenti di una stessa realtà.

Se immaginiamo una configurazione terrena senza confini, ci troveremo davanti ad uno spazio esente da punti di riferimento, ove l’unica distinzione viene intravista nell’orografia del terreno.

L’uomo si trova davanti ad uno spazio aperto, privo di confini e conseguentemente privo di limiti. Non vi è un oltre, non vi è la scoperta del nuovo, quella sensazione di sfida continua ai nostri limiti che si oppone alla quiete.

Egli non può fare altro che fornirsi della sua percezione visiva nonché creare una mappa visiva prodotta dall’istinto.

L’occupazione di uno spazio consiste già nella generazione di esso e di presa coscienza come atto di presidiare.

Se ogni architettura per sua natura si pone come azione di trasformazione dello spazio, di modifica della realtà, pensiamo ora alla prima architettura mai compiuta, a quel primo tracciamento dello spazio, l’architetto costruttore infligge quattro pali di legno nel terreno a disegnare un quadrilatero, si tratta di un’azione primigenia, elementare, un atto portatore però di un elevato valore simbolico.L’azione di tracciamento sottende una condizione di consapevolezza profonda, un’esplorazione dell’appartenenza e della relazione dell’individuo con lo spazio intorno a lui.

Si tratta dell’invenzione del confine, dell’individuazione di un dentro e fuori il limite, passaggio cruciale per la nostra disciplina, momento di rottura che sposta il rapporto tra la grandezza della natura selvaggia indefinita e la concezione di un ambito, di un luogo strappato al vuoto. 1

L’uomo mira a vivere all’interno di un luogo chiuso, ha bisogno di uno spazio protetto delimitato da una barriera che separi e protegga al tempo stesso l’uomo da ciò che è diventato “altro.”

Senza limiti diminuisce l’opportunità di costruire uno spazio e successivamente di poterlo migliorare.

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Simone Gobbo, L’innocenza del muro, Quodlibet, Macerata 2020, pagg. 22-23.

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Lo scenario della soglia

Wigwan, capanna dei nativi americani.

L’illimitato spaventa e aumenta la nostra sensibilità. Non avere un punto di riferimento ci fa sentire spaesati, non sappiamo dove una cosa inizia o finisce, per cosa vale la pena rischiare e cosa no.

Quando si parla di spazio si intende anche lo spazio intimo, quello che ciascuno di noi costruisce dentro di sé e che muta con il cambiare dei luoghi in cui risediamo diventando così noi stessi il confine di qualcosa.

Rappresenta un margine individuale che ognuno di noi pone tra sé e il mondo, un confine che indossiamo continuamente. Lo scrittore Tahar Ben Jelloun cita <<costruire un viso come si innalza una casa>> ovvero il viso appare come una casa che protegge, lascia aperte piccole fessure per mirare dentro e fuori e raccontare le sue vicende e quelle di colui che lo abita.

Molte volte lo trucchiamo o lo veliamo (come le donne musulmane) come un’opportunità di costruirsi un proprio spazio all’interno della società.

Il limite non è una cosa semplice, dal momento in cui si ha il coraggio di affrontarlo, si ha il coraggio di cambiare, di migliorare e di ridisegnare nuovi confini.

Tra ciò che vi è dietro e davanti la soglia genera una differenza tale da implicarne un rapporto di relazione e di confronto.

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2_LO SPAZIO LIMITE

Lo spazio limite

Lo spazio limite

2.1 Definizione

Lo spazio lo si può definire come quel campo disponibile per gli enti esistenti ove è possibile individuarli. Tutto ciò che ci si pone intorno è spazio e l’ente ne è una parte.

La geometria è un mezzo per capire come gestirne il proprio rapporto.

In architettura si può presentare in due maniere possibili, come corpo chiuso in cui al suo interno individua uno spazio e come un corpo aperto in cui delimita una porzione spaziale connessa alla continuità infinita. Questi corpi inscritti nello spazio che a loro volta se ne ritagliano un altro interno, vengono visti come un recipiente dall’infinita continuità spaziale.

All’interno di questo spazio infinito, ogni costruzione definisce un luogo.

Citando Aristotele, si rimanda al suo concetto di spazio-luogo. Egli difatti pone lo spazio come l’insieme dei luoghi determinati dai corpi, materialmente come una sorta di vaso, di contenitore in cui avviene un qualcosa.

Sicché il luogo è il limite immobile primo del contenente. 1

il primo atto di creazione dello stesso. L’architetto concepisce uno spazio per essere utilizzato secondo precise regole, ove gli enti devono decifrare quanto gli si è posto d’innanzi, scegliere se assecondare le predizioni del progettista oppure trasgredire.

Quando si progetta uno spazio, noi non sappiamo se esso verrà usato nel modo in cui ci aspettiamo, le funzioni non sono così definite in quanto cambiano più velocemente dell’edificio.

Uno spazio abbastanza grande permette di potersi muovere liberamente e non in una sola direzione già stabilita. Solo con il movimento e l’esperienza l’ente riesce a comprendere a pieno lo spazio.

Trovandosi all’interno, comprende nuove esperienze che lo inducono ad avvertire delle percezioni.

Quando si parla di spazio, si fa riferimento alla percezione.

Lo spazio è una trasfigurazione del vuoto, l’uomo prende consapevolezza di ciò che lo circonda e gli attribuisce una forma fisica e un’espressione Il modo con cui l’uomo ha manipolato lo spazio, la forma e la composizione, costituiscono la forma primaria di intendere architettura ed urbano, a seconda che lo si guardi nell’ambito naturale o e nell’edificato.

L’architettura per essere compresa va vissuta.

Uno spazio si può intendere in diversi modi, si può considerare vuoto, occupato da enti o addirittura si può considerare come un paesaggio o un’architettura.

Il luogo, in quanto limite, si presta inseparabile dal corpo che lo occupa ma non può essere confuso con esso in quanto si trovano in un rapporto contiguo, prossimi a sé stessi ma comunque differenti.

L’uomo concepisce lo spazio come una visione spaziale architettonica, diviso ed organizzato secondo una gerarchia.

L’architettura, attraverso i limiti, genera lo spazio fisico nel quale si colloca il genere umano, dove le cose si manifestano e movimenti e relazioni assumono significato.

Se tutto ciò che sussiste è collocato, allora significa che non può esistere uno spazio vacuo.

L’occupazione di uno spazio è un gesto primitivo, di insediamento e rappresenta 1

Aristotele, La Fisica, Loffredo, Napoli, 1967, pagg. 89-90.

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Lo spazio limite

Lo spazio limite

Si può tradurre nel concetto less is more, ovvero la semplificazione e la riduzione della complessità degli elementi alla loro qualità essenziale, attribuire un valore eminente alla semplicità.

2.2 Vacuità

Vuoto ed entità costruita formano l’incontro di base dell’architettura. Il vuoto è una caratteristica dello spazio che consente il movimento. Si può considerare come una forma di definizione del luogo. Molte volte diventa il protagonista di spazi identificati come simboli della globalità.

Partendo già dai tempi della preistoria il Tholos 1 era un primo passo in ciò che è considerato “vuoto”, un luogo sacro in cui avveniva la sepoltura. E’ un luogo purissimo nel quale nessun elemento aggiunto altera la sua pulita totalità, un vuoto perfetto che con il solo abbandono alla percezione determina l’impressione di trasportare in un altro ambito.

La vacuità diventa un sentimento che rilassa, consola, rattrista o inquieta.

Secondo l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, la concezione dello spazio e la sua materializzazione non deve dipendere dalla soggettività dell’architetto e del fruitore. L’architettura deve essere l’espressione di un’epoca, adeguata alle sue qualità, flessibilità o rigidità. La sua architettura era caratterizzata dall’uso di superfici vetrate e dalla mancanza di suddivisioni interne in modo tale da conferirle un’affermazione di sé stessa che la faccia perdurare nel tempo.

Davanti agli uomini fugaci, l’architettura si presenta vuota ed eterna.

Nel Padiglione di Barcellona, Mies conferisce ad ogni elemento architettonico la propria potenza espressiva, valenze equivalenti che dalla loro interazione si arrivi ad un risultato neutro, una vacuità espressiva. L’identificazione tra architettura e verità si trova nella logica strutturale, nella trasparenza dei serramenti e nello svuotamento degli interni.

L’idea dell’ampio spazio vuoto era pensato come uno spazio adatto a ogni attività, completamente libero da vincoli.

1

Il Tholos, conosciuto come Tesoro di Atreo, si compone di un corridoio di entrata che penetra nella collina e termina davanti alla facciata della tomba. Le colline che occultano questa tomba si integrano con il paesaggio.

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Installazione nel Padiglione di Barcellona, SANAA, 2008.

Contemplando il vuoto di una casa giapponese, è possibile comprendere come lo sguardo possa vagare con fluidità senza che nulla attiri la sua attenzione.

L’interno di una dimora giapponese non consente la presenza di oggetti e mobili evitando che essi possano prendere il protagonismo nel momento in cui si impongono. Vengono disposti secondo una necessità per la persona che ne farà uso e riposti al termine dell’utilizzo. Nel momento che l’uomo entra a far parte della dimora, diventa uno scenario intimo.

Il vuoto si fa ospitale e rilassante, utile e flessibile. A differenza di una abitazione Occidentale, l’abitazione giapponese non può essere trattata in modo autosufficiente in quanto il vuoto rappresenta davvero il vuoto. Con la mancanza dell’uomo il silenzio figurativo è totale. La casa giapponese ci permette di capire come attraverso la vacuità viene favorito un uso differente e flessibile dello spazio. Per vivere in uno spazio senza gerarchia occorre concepire il vuoto.

In seguito verrà occupato, ma vuoto e presenza devono rimanere percettibili.

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Lo spazio limite

Lo spazio limite

2.3 Luogo

Palazzo di Katsura, Kyoto, 1590 circa.

Il vuoto può essere imposto anche sul piano temporale delineato come assenza permanente o temporanea. L’assenza permanente è quella del non ritorno, indica il luogo dell’abbandono lasciato al deterioramento e alla distruzione.

L’assenza temporanea termina con il ritorno dell’occupante, annulla la vacuità dello spazio.

La vacuità non è da confondere con il nulla, ma è ciò che non si riesce a definire o concepire. Attraverso la forma possiamo concepire il vuoto. La forma si colloca nello spazio vuoto in modo che possiamo percepire il vuoto come forma e forma come vuoto.

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Il luogo non è uno spazio, ma una porzione che si ritaglia all’interno di esso, una zona identificata concettualmente o fisicamente.

Una delimitazione interna che si trova di fronte a limitazioni, quando pongo un luogo, pongo anche il problema dell’oltre.

La relazione che unisce uno spazio e una persona che lo occupa viene definito luogo. Spazio ed occupante definiscono un’unità naturale che perde valore in caso uno dei due sia assente.

La stanza è il luogo dell’intimità e del riposo, un ambito privato in cui spazio ed oggetti collaborano per produrre un’unicità che non solo indica una zona privata ma esprime anche la personalità di chi lo occupa.

Una finestra socchiusa, un libro aperto, la luce accesa, sono impronte della vita sospesa in quel luogo.

Ritornando al concetto di casa giapponese, dove il mobilio è propriamente scarso, la si può definire come una cornice neutra che non viene avviata se non dalla presenza personale.

La gerarchia delle stanze non rispondono a criteri funzionali ma a situazioni, in quanto i pannelli interni consentono di unire stanze e le porte scorrevoli esterne consentono di prolungare visivamente l’ambiente.

Superficie, illuminazione ed aperture si adattano alla volontà dell’occupante che, pur non esistendo una gerarchia funzionale, lo rendono un luogo speciale.

Differentemente, in Occidente, le stanze della casa seguono una funzione stabilita.

Il luogo interno è definito da mobili ed oggetti specifici per la funzione assegnata. In assenza dell’abitante questi si impadroniscono dello spazio, tanto da rendere la presenza umana limitata, costretto a cedere il suo protagonismo agli oggetti.

Non solo nella realtà ma anche nelle raffigurazioni pittoriche vengono esaltati questi avvenimenti, come nel dipinto di Van Gogh della camera di Arles in cui dipinge uno spazio personale, uno spazio abitato.

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Lo spazio limite

Lo spazio limite

Viene esaltata la familiarità degli oggetti quotidiani che si dissolvono nella personalità del proprietario.

Un luogo può essere concepito anche attraverso un processo di urbanizzazione in quanto cambia il ruolo del luogo di insediamento.

Appartato luogo urbano e origine di percorsi, l’Agorà di Atene era uno spazio delineato da un continuo processo di accumulazione di pezzi architettonici, si consolida nel corso del tempo, passando da luogo di incontro dei cittadini a spazio pubblico generato dalla costruzione di edifici.

L’Agorà diventa un luogo e assume un’identità definita dai suoi insediamenti costruiti nel corso del tempo.

Il concetto di luogo può essere intravisto anche attraverso l’uso di un’opera di ingegneria architettonica.

Un esempio è il Ponte costruito sul fiume Drina situato nella città di Višegrad, dove oltre all’uso comune di collegamento tra le due sponde, quell’architettura rappresentava il fulcro1 della vita della città. Ai suoi lati ospitava due terrazze.

Quella di sinistra era occupata da una bottega del caffè mentre quella di destra, denominata “sofà”, era il luogo dove poter degustare il caffè.

Il ponte designava un vero e proprio spazio di confine, è lo spazio dove le persone più rispettabili si riuniscono per discutere dei loro affari.

Quando però all’inizio dell’800 scoppiò la rivolta serba contro i turchi, il mutare della situazione si riversa sull’utilizzo del ponte.

Quello che al momento della sua edificazione era stato concepito come un luogo di incontro, viene trasformato in una fortezza militare.

Il luogo è la manifestazione concreta dell’abitare.

L’uomo tende a chiudersi in uno spazio delimitato ricercando un senso di protezione.

Si confronta con le funzioni della posizione, dell’elevarsi e del dentro fuori riconoscendo in esso il Genius loci, ovvero lo “spirito del luogo”.

E’ un’espressione utilizzata in architettura per ricercare un‘interazione tra luogo ed identità, individua l’insieme delle caratteristiche del luogo, proprie di un’ambiente che interagiscono con le abitudini dell’uomo.

Un luogo si abita, si determina, si ricorda. L’uomo ha bisogno del luogo, non può farne a meno perché ciò equivarrebbe a dire fare a meno di abitare.

Ponte sul Drina, Visegrad.

1 Denominato Ponte di Mehmed Paša Sokolović è una costruzione lunga 180m. edificata tra il 1571-1577 dall’architetto Mimar Koca Sinan. Nel 2007 è’ stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

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Lo spazio limite

Lo spazio limite

2.4 Percezione

La riflessione è una discussione, un lasciarsi trasportare dalla movenza della sensazione e dal pensiero.

Pensiero e sensazione risultano legati in un vincolo inscindibile secondo il quale “pensare” significa decifrare ciò che si prova.

La percezione è un processo che elabora l’esperienza sensoriale in forme e sensazioni dotate di significato.

In architettura, la forma di percezione più significativa è quella visiva.

L’architettura deve farsi percepire e riconoscere, è espressione di forme e spazi innovativi, dove scelte morfologiche, accorgimenti scenografici e proporzionamenti volumetrici figurano nello spazio.

La relazione che lega l’abitazione con il paesaggio viene principalmente determinata dai materiali con cui la casa è realizzata. I materiali sono intesi come una traslazione metamorfizzata della natura circostante, un’integrazione con il paesaggio. Gli spazi di mediazione tra interno ed esterno si è sempre propagata nell’architettura giapponese. Con l’inserimento dei serramenti scorrevoli, la penetrazione della natura nell’ambiente domestico risulta completa, genera una sensazione di un dentro fuori e di un fuori dentro, quasi come fosse un unico ambiente. L’uomo percepisce l’avvicinamento con la natura come un ritiro in un luogo intricato dove la presenza del paesaggio lo allontani dagli altri timori,1 abbandonarsi al piacere estetico per passare da uno stato ordinario ad un altro sensoriale e mentale. Anche la luce del sole, penetrando all’interno creerà con lo spazio delle combinazioni differenti e quindi delle percezioni e scene differenti.

Lo spazio della casa diventa quindi la cornice silenziosa dello sfondo naturale.

Quando l’uomo entra all’interno di una stanza vacua, si delinea un’impressione di assenza in quanto vi è una coscienza che lo percepisce. La stanza si popola con lo sguardo dell’osservatore. Lo sguardo è una perturbazione e un bisogno della percezione dovuto all’assenza.

Lo sguardo è una vita sospesa, una continua interrogazione che si compiace della superficie delle cose e vuole andare un poco più in là, più a fondo, dove luce e oscurità si intrecciano nella frontiera della penombra, dove il sapere si misura in frazioni di secondo e lampi di illuminazione, dove ciò che si sapeva viene smascherato, dove la certezza si ammanta di sospetto e l’ignoto diventa istantaneamente familiare, dèjà vu, pura sorpresa di un ricordo imprevisto. 2

La stanza, nell’assenza, non percepisce altro che forze dovute alla luce, alla gravità, e ai cambiamenti interni della materia. Privato dell’azione umana, le cose rimangono nel luogo dell’esistenza primigenia dove interno e forma comunicano, senza che l’interno sia celato e la forma una prigione.

In una installazione realizzata nel 1976 nella sala Vinçon, intitolata “Quinto VitraHaus, Herzog & de Meuron, Weil am Rhein, 2010.

1

Rappresenta l’ideale taoista. “Tao” significa “cammino” e può essere inteso come lo spirito universale.

2

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Antonio Munoz Molina, “La manesa de vivir”, in El Pais, 17 Febbraio 1990.

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Lo spazio limite

interior, luz y metales” da Juan Navarro Baldeweg, la relazione tra i fenomeni naturali, come gravità, ombra, suono, luce e lo spazio che li contiene, erano dominate dal movimento dell’altalena. In quello spazio, l’assenza risultava doppia, in quanto i fenomeni fisici erano controllati dall’altalena e la figura umana era assente, un’altalena vuota.

3_L’ARCHITETTURA NEL LIMITE

Juan Navarro Baldeweg, Quinto interior. Luz y metales, installazione alla Sala Vinçon, Barcellona, 1976.

L’assenza come percezione è un fenomeno che si verifica nell’io dell’uomo, egli tende a farsi vuoto in modo tale che gli elementi siano attratti verso di lui, accoglie ogni cosa fino a diventarne padrone.

L’esperienza attuata dall’uomo nel suo spazio, ha appurato come la percezione dello spazio sia una procedura complessa in quanto comporta molteplici variabili. L’uomo, infatti, non avverte un universo eguale a tutti ma mondi differenti che derivano da cause personali e situazioni precedenti. La percezione determinata dal rapporto uomo-ambiente varia relativamente alla situazione implicata.

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L’architettura nel limite

L’architettura nel limite

3.1 Contesto spaziale

forza delle caratteristiche del paesaggio. L’architettura con la natura diventa paesaggio.

Il paesaggio delinea una determinata parte di territorio, le cui peculiarità derivano dall’azione di fattori naturali e/o umani. Tra i fattori umani, l’architettura è protagonista in quanto ha contribuito a formare i territori che percepiamo.

L’architettura non si è mai presentata come la concezione di uno spazio chiuso, non esiste edificio pubblico o privato che non sia stato concepito in funzione da ciò che lo circonda. Un edificio, nasce in funzione dei suoi percorsi, della sua piazza, degli spazi verdi.

L’architettura si inserisce in un contesto preimpostato, lo altera, lo migliora, lo esalta, lo integra. Il contesto, nonché il paesaggio, è sempre in continuo cambiamento dovuto agli interventi dell’uomo.

Ogni intervento eseguito dall’uomo nei confronti della natura, è ritenuto paesaggio e quindi si può dire che l’architettura è paesaggio.

Questa affermazione non è da intendere come se esistesse solo paesaggio o solo architettura ma serve a comprendere il rapporto che essi hanno. Bisogna porsi l’obbiettivo di capire quando il paesaggio ha origine dall’architettura, o meglio dire quando l’architettura diventa paesaggio.

L’architettura, si inserisce in un contesto, in un luogo ma non sempre è connessa con esso, ovvero può integrarsi in maniera perfetta, far coincidere ogni parte edificata con la vegetazione come se fosse un tutt’uno, ma può anche distinguersi da esso. L’architettura può emergere, differenziarsi, ma allo stesso tempo appartenere al paesaggio che lo ospita. Alcune costruzioni insediate in uno spazio danno l’impressione di essere saldate nel terreno, di essere parte integrante dell’ambiente a cui appartengono.

Un esempio di stretto rapporto tra architettura e natura, è la Fallingwater.

Progettata sopra la cascata dall’architetto Frank Lloyd Wright nel 1934 e realizzata tra il 1936 e 1939 in Pensylvania, sancisce idealmente, simbolicamente e concretamente il rapporto tra architettura e natura, ribalta l’atteggiamento usuale, inserendo l’architettura nella natura ma simultaneamente anche inserendo la natura nell’architettura, facendo divenire quest’ultima punto di

Ogni nuova edificazione implica un intervento in una determinata situazione storica. L’edificio deve essere in grado di instaurare un significativo rapporto con lo spazio preesistente, dovrà guardare in modo inedito l’esistente. La nuova costruzione dovrà inoltre essere accettata dal suo ambiente ed essere in grado di attirare e coinvolgere la sensibilità e la ragione. L’opera verrà considerata sotto aspetti differenti, quali storicamente, funzionalmente, personalmente ed esteticamente. Un edificio può avvalersi di qualità artistiche secondo i suoi contenuti e le sue forme.

L’atto della progettazione è fondato su una continua interazione tra sensazione e ragione in quanto è il sentimento a dire se un ragionamento sia giusto o meno.

Quando un progetto attinge unicamente alla tradizione e al preesistente, cioè ripropone quello che il suo luogo stabilisce, viene a mancare il confronto con il mondo, con il contemporaneo. Vivecersa, se un progetto si delinea esclusivamente secondo lo stile del momento, tralasciando il luogo in cui è insediato, viene a mancare l’impronta di ciò che è locale.

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Fallingwater, Frank Lloyd Wright, Pensylvania, 1936-1939

L’architettura nel limite

L’architettura nel limite

Progettare vuol dire capire e organizzare, l’architettura nasce attraverso l’emozione e l’ispirazione.

Nel momento in cui l’architettura viene creata, essa è associata al presente.

Rispecchia il pensiero dei suoi progettisti e risponde a modo suo alle questioni relative del tempo, attraverso il proprio utilizzo e la propria conformazione, la propria interazione con le altre architetture e il proprio rapporto con il luogo in cui si trova.

La Sidney Opera House è un esempio rappresentativo di un’architettura paesaggio. La sua struttura è un richiamo alle vele nella baia di Sydney in quanto vi è un forte legame con il mare. Ricca di riferimenti simbolici, definisce l’identità di un Paese. Forma e funzione, sito e costruzione, devono rimanere unite, non possono essere scisse l’un dall’altra in quanto costituiscono un tutt’uno.

La Sydney Opera House, Jørn Ultzon, Australia, 1957-1973.

3.2 Emergere

Le costruzioni sono testimonianze della facoltà umana di erigere entità concrete. Nell’atto di costruire risiede il nocciolo centrale di ogni architettura pensata, facendola entrare a far parte del mondo reale.

All’interno degli ambienti urbani, l’architettura ha la forza di divenire protagonista all’interno di un paesaggio, diventa un punto di riferimento di una popolazione, di una società o di un ambiente.

Dai secoli antecedenti fino ai giorni nostri, l’architettura, interconnessa o in contrapposizione con lo spazio circostante, ha spesso costituito paesaggi da simboleggiare o rimembrare. Si pensi ad esempio agli Egizi che fecero costruire le piramidi come luoghi di sepoltura ma anche come identificazione del paesaggio, dove esse si inserivano nel deserto ma allo stesso tempo ne prendevano le distanze; all’Acropoli dell’antica Grecia, quel sito archeologico che ospita architetture, che si integra perfettamente con il paesaggio divenendo simbolo della città di Atene, o all’Anfiteatro Flavio dell’antica Roma che sorge in un paesaggio urbano ma che riesce a prevalere divenendo simbolo di Roma.

Non solo nell’antichità ma anche durante il Movimento Moderno vi fu questo tipo di approccio. Le Corbusier quando progetta Villa Savoye a Poissy, inserisce questo corpo all’interno di un contesto naturale facendolo confrontare ed emergere. L’architettura deve essere protagonista ma deve saper dialogare con la natura. Quando teorizza i cinque punti dell’architettura 1 definisce le coperture come tetto-giardino, cioè dei giardini pensili volti a mettere la natura nell’edificio, restituisce all’uomo il verde, che non è solo sotto l’edificio ma anche e soprattutto sopra 2.

1

Le Corbusier, nella sua opera teorica Verso una Architettura, pubblicata nel 1923, espone i suoi cinque punti dell’architettura volti a concepire lo spazio architettonico e la costruzione di abitazioni in cemento armato. Villa Savoye, realizzata tra il 1928 e 1931 a Poissy in Francia, rappresenta i cinque punti dell’architettura: i pilotis, la facciata libera, la finestra a nastro, la pianta libera e il tetto-giardino.

2

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Le Corbusier, Verso una Architettura, 1923.

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L’architettura nel limite

L’architettura nel limite

Per Le Corbusier, l’architettura deve rimanere in primo piano ma rapportarsi con la natura, cioè collocando la natura sull’architettura.

della progettazione, facendo emergere un rapporto dialettico se non di contrapposizione con il contesto che lo ospitava.

Un esempio è La Rotonda progettata dall’architetto Andrea Palladio tra il 1567 e il 1605 a Vicenza. Egli inserisce l’edificio con una grande potenzialità e forza in un contesto tranquillo, che influenza ma non integra l’architettura, permettendogli così di emergere. L’unico elemento di riferimento contestuale, è l’orografia del terreno che si presenta con una pendenza minima e tondeggiante.

Palladio non immaginava un’architettura monumentale o una villa di campagna, ma un palazzo di rappresentanza che si confrontasse con il piacere del contatto con la natura.

Un altro progetto in cui l’architettura emerge ma allo stesso tempo si interconnette con la natura è Villa Malaparte. Progettata dall’architetto Adalberto Libera tra il 1938 e 1940 a Capri, sorge in un contesto marino di particolare valore. L’edificio, nonostante la sua forma e l’interconnessione con la roccia sottostante, risalta dal contesto e si rilegge autonomamente.

Villa Savoye, Le Corbusier, Poissy, 1929-1931.

In un contesto spaziale, l’architettura può assumere una qualità poetica, generare tra lo spazio e l’edificio un legame tra forma, significato e ragione.

Nel corpo architettonico, il senso si produce nel momento in cui è possibile esternare le valenze specifiche di determinati materiali costruttivi, della sua forma e del suo utilizzo.

Bisogna interrogarsi su quale valore può assumere una determinata costruzione in un determinato spazio. La soluzione a questa domanda sta sia nella modalità con cui questa architettura viene utilizzata, sia nelle sue peculiari qualità di configurazione. Se ciò riesce, nel contesto spaziale l’architettura sarà in grado di emergere.

L’architettura costruita ha il suo posto nello spazio, afferma la sua esistenza e parla di sé. Ha il suo ambito di esistenza e rappresenta l’involucro e lo sfondo della vita che scorre.

Partendo sin dalle origini fino a tutto il Movimento Moderno, quando si interveniva in un ambiente inedificato, l’oggetto architettonico era al centro

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Villa Malaparte, Adalberto Libera, Capri, 1938-1940.

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L’architettura nel limite

L’architettura nel limite

3.3 Inserimento

coincide con l’architettura. Si cerca di far entrare l’ambiente naturale all’interno della struttura, un vero giardino con acqua, alberi e spazi intimi. Questi elementi naturali assumono un ruolo importante, funzionale e simbolico, paesaggio percepito, percezione del paesaggio, architettura e natura.

Nella cultura architettonica ci si pone ancora il problema tra “vegetazione” e “costruito”. Quando la natura entra a far parte dell’architettura, essa può potenziare, esaltare l’edificio, può essere direttamente architettura o divenirne parte integrante.

La natura, quando entra all’interno della struttura, contribuisce alla creazione e all’identificazione dei nuovi luoghi. In tal senso, viene a farsi meno il dualismo tra spazio aperto e spazio chiuso, ovvero su ciò che è all’interno e ciò che è all’esterno.

Il confine di un edificio può essere il segno di una chiusura ma anche di un’apertura, rappresenta l’inclusione o l’esclusione da una situazione particolare, a seconda di come lo si guarda.

Nel momento in cui si delinea una soglia, si delinea un’incomprensione che sembra far incontrare due caratteri che possono differenziarsi o somigliarsi.

L’architettura si nutre del rapporto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori mettendo in relazione l’uomo con la natura. L’architettura è rivolta ad accogliere l’uomo, a lasciarlo abitare e scoprire.

La natura viene adattata al costruito e il costruito alla natura, in quanto si aspira in un aspetto unitario e compiuto del nuovo assetto.

Un’architettura che delinea questo tipo di rapporto è rappresentato da un progetto che ha tracciato un’impronta nella contemporaneità, avendo progettato una piazza-giardino all’interno dell’edificio. Si tratta della Sede della Ford Foundation progettata dagli architetti Kevin Roche e Jhon Dinkeloo nel 1967 nel cuore di New York. E’ un edificio disposto su dodici piani atto ad ospitare uffici. Quest’ultimi affacciano su un grande vuoto centrale che si delinea in una grande piazza organizzata come un fantasioso giardino in cui gli alberi dominano la scena. La piazza esalta il rapporto tra dentro e fuori. Il vuoto entra all’interno dell’edificio e collabora all’identificazione ed all’attuazione dei nuovi luoghi del collettivo urbano, del nuovo concetto di piazza e quindi all’architettura con influenze nel dentro e nel fuori. La piazza che entra all’interno diventa coperta divenendo a volte essa stessa edificio, il vuoto

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Sede della Ford Fondation, Kevin Roche e Jhon Dinkeloo, New York, 1968.

Altro edificio rappresentativo è il Fuji Kindergartem, un asilo giapponese di Tachikawa, vicino Tokio, realizzato nel 2017 dallo studio Tezuka Architects.

Si tratta di una struttura concepita come un villaggio in grado di ospitare 500 bambini. La copertura, utilizzata come zona ricreativa, è attraversata da tre alberi di Zelkova 1. La struttura ad anello racchiude al centro un cortile destinato a luogo d’incontro. La divisione degli spazi interni, non ponendo tramezze, è determinata dai mobili in quanto essi possono essere spostati per riorganizzare l’ambiente in base all’uso. Le chiusure esterne, invece, sono costitute da pareti scorrevoli capaci di creare un unico spazio tra dentro e fuori. Lo scopo del progetto è quello di insegnare ai bambini il rispetto della natura.

1

L’albero Zelkova è una pianta legnosa alta fino a 15m. resagli omaggio per essere sopravvissuta ad un terribile tifone avvenuto circa cinquant’anni fa.

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L’architettura nel limite

I bambini si ritrovano in uno spazio fluido e continuo dove non esistono barriere psicologiche tra il dentro e fuori. La natura entra a far parte del progetto, tanto da non percepire se è la struttura ad essere intorno alla natura o se è la natura ad essere all’interno della struttura.

La natura e la costruzione costituiscono l’architettura.

4_CASI STUDIO

Fuji Kindergartem, Tezuka Architects, Tachikawa, 2017.

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Casi studio

Almaty, Kazakistan, 2013

Tree in the house

Partners: A. Masow Architect Destinazione d’uso: Rifugio privato Superficie: 100 mq.

Ospiti: 2

Principio di relazione Come una casa sull’albero capovolta, l’ elemento naturale interno è avvolto da un involucro cilindrico interamente vetrato.

Ciò fa si che il panorama sia continuo ma ne consegue una privacy limitata. Il materiale naturale della pavimentazione si integra perfettamente con il paesaggio. L’ albero interno si fonde con l’ ambiente circostante e funge come un ornamento della casa.

Rilassarsi Osservare Meditare

Spazio fisso Spazio flessibile

Principio di sensazione L’ ente si trova in un ambiente naturale. “Il dentro è fuori e il fuori è dentro”.

Esiste un confine fisico ma non vi è un limite tra interno ed esterno.

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Casi studio

Casi studio

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Pianta piano terra

Scala 1:100

Pianta primo piano

Scala 1:100

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Casi studio

Casi studio

Le quattro superfici impilate, fungono da piani ma si identificano anche come anelli rivolti alla composizione dellâ&#x20AC;&#x2122;albero.

Pianta secondo piano

Scala 1:100

Pianta terzo piano

Scala 1:100

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Sezione A-Aâ&#x20AC;&#x2122;

Scala 1:200

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Casi studio

Casi studio

Hjerkinn, Norvegia, 2011

Viewpoint Snøhetta

Partners: Snøhetta Destinazione d’uso: Padiglione Superficie: 90 mq.

Ospiti: 20

Principio di relazione Un involucro in vetro e acciaio accoglie un nucleo realizzato in legno di pino dalla forma fluida ed organica, plasmato come una roccia erosa dall’acqua o dal vento. La parete esterna posta a sud accoglie i visitatori sul lato di arrivo, mentre quella interna li ospita in uno spazio coperto. La struttura aperta al pubblico, funge da padiglione di osservazione con lo scopo di creare un punto panoramico spettacolare ed uno spazio di incontro per i visitatori del Parco.

Rilassarsi Osservare Meditare

Spazio fisso Spazio flessibile

Principio di sensazione Paesaggio e architettura collaborano insieme senza divisione. La forma del nucleo interno genera un luogo protetto e caldo. Osservare ed ascoltare la natura dall’interno, equivale ad esercitare le medesime sensazioni ed azioni all’esterno ma solo in un luogo più protetto. Il limite che si crea tra il dentro e fuori è fisico ma non percettivo.

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Casi studio

Casi studio

Pianta

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Scala 1:100

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Casi studio

Casi studio

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Prospetto nord

Scala 1:100

Prospetto sud

Scala 1:100

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Bibliografia

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Massimo Cacciari: Riflessioni su cambiamenti, confini, limiti .

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Installazione alla Sala Vinçon / Fernando Espuelas.

Installazione nel Padiglione di Barcellona / Dezeen.com Palazzo di Katsura / Fernando Espuelas.

Ponte sulla Drina / Rsi.ch Sydney Opera House / Jozef Vissel.

The Ford Foundation / Ezra Stoller / Esto, KRJDA, Richard Anderson, Rian Castillo.

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Immagini A.Abbas / Magnum Photos.

Camminare nella storia blog / WordPress.com Capanna Wigwan / VitAntica.net Derby Line, al confine tra Usa e Canada / SiViaggia.it Fallinwater House / Lee Sandstead , Robert P. Ruschak.

Fuji Kindergarten / Archdaily.com Golfo del’Alaska / Today.it

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare mia mamma Maria e mia nonna Rosa che mi hanno sempre supportata e aiutata in ogni momento della mia vita, mi hanno sempre appoggiata in ogni mia scelta e in questo mio percorso di studi.

Ringrazio mio papà Sergio e la sua compagna Mariagrazia che nonostante la lontananza fisica mi hanno sempre sostenuta.

Ringrazio il mio fidanzato Marco che mi è sempre stato accanto, ha sempre apprezzato ogni cosa che ho fatto supportandomi in ogni singolo momento.

Ringrazio la mia migliore amica Dania, nonchè collega di Università, per il supporto che mi ha dato e che mi sta continuando a dare e per tutti i momenti passati insieme dove ogni momento era valido per festeggiare.

Ringrazio il professore Simone Gobbo che grazie al suo corso di progettazione e alla sua disponibilità di relatore mi ha permesso di concepire e progettare l’architettura in modo migliore contribuendo in maniera positiva alla mia crescita di futuro architetto.

Ringrazio il professore Andrea Giachetta che si è sempre reso disponibile ad aiutarmi e per avermi concesso la sua disponibilità di correlatore.

Ringrazio i miei amici, alcuni colleghi di Università, per ogni momento bello passato insieme.

Ringrazio infine la città di Genova per avermi ospitata in questi anni e per avermi fatto scoprire una città piena di emozioni.

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