Nihilismi#2

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LA CROCE & IL DIAVOLO Il FABBRUTTISMO teodiceo come spiegazione del male nel mondo.

Kamakura (Giappone), Anno Domini 2011

In quei giorni mi recai a Kamakura, a pochi chilometri da Tokyo e presso il tempio Jōchi-ji (un po’ buddhista e un po’ scintoista) e trovai un cartello che recitava: “Walk this way, the God of Happiness is waiting for you in the cave”. Il dio della Felicità? E come sarà rappresentato? Com’è un dio felice? Io, che conosco solo martiri, passioni e crocifissioni. Io che fin dai primissimi anni della mia vita, ho imparato bene quella lezione secondo cui, non c’è gioia se non nell’alto dei cieli. Io che abito in una valle di lacrime, che partorirò con dolore e lavorerò con gran sudore. Zampettando tra i gradini scavati nella roccia, affaticata nonostante il fresco e l’ombra della foresta di bambù, sono arrivata a quella che era a tutti gli effetti un grotta, con verdi felci e grappoli di muschio a far da cornice, che ospitava un Hotei. Una statua di Buddha, dunque, grasso e calvo che mi stava aspettando per spiegarmi cos’è la felicità, o almeno così speravo. Quello che ho trovato invece, è stato un Buddha che mi puntava addosso l’indice cicciotto e se la rideva alla grande. Conscio, forse, del mio fiatone e del fatto che avevo spinto un po’ troppo il passo per arrivare prima possibile a lui. Dopotutto lui stava aspettando me. Consapevole dell’aspettativa che reca il suo nome, il “Buddha che ride” di Kamakura, mi ha guardato, come un padrone innamorato guarda il proprio gatto che s’avviluppa in un gomitolo di lana, tormentandosi. E con quel dito mi ha detto: “Sei tu, sciocchina”, ed io, davanti a lui, non ho potuto fare altro che rispondere al suo sorriso e dire: “Chapeau, vecchio Buddha. Questa volta me l’hai fatta”.

Bobbiate (Italia), Anno Domini 1980-qualcosa.

Sono stata nei Boyscout. Frequentavo, ai tempi in cui ero un “Lupetto” e prima ancora “Castorino”, una grossa chiesa -rossa di mattoni e grigia di cemento- con enormi, grossi, giganti, mastodontici affreschi, impossibili da non guardare. Erano affreschi “moderni” che, al posto della vita dei Santi, raffiguravano bambini africani denutriti, col ventre gonfio, le costole sporgenti e le mosche appiccicate agli occhi, uomini e donne rapati a zero, riddotti all’osso con indosso quelli che ai tempi, mi sembravano pigiami a righe e poi ancora altro. Immagini di dolore, fame e crudeltà. Ed io agli Scout non ci volevo più andare, anche perché ero l’unica femmina tra i “Lupetti” (le bambine di solito facevano le “Coccinelle”) e poi perché mi facevano vestire da idiota e avevo le Timberland. E poi perché proprio non mi capacitavo come fosse possibile passare un’ora a Messa davanti a quelle immagini e poi andare a giocare come se niente fosse. Per poi finire davanti alla tavola imbadita del pranzo della domenica, con la famiglia e gli avanzi da scaldare la sera e poi buttare il lunedì. C’avevo insomma, il senso di colpa di non soffrire e sebbene avessi le costole sporgenti, non era abbastanza. Da allora, dai tempi dei “Lupetti” e del mio ammutinamento dagli

Scout, mi sono posta per anni una domanda: Perché? Perché il male? Perché il dolore? La sofferenza e la malattia? Attenzione: la domanda non è “perché si soffre”. La domanda è perché la religione cristiana cattolica romana apostolica stocazzo c’ha ‘sta fissa col dolore? Nella Croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta. Le sofferenze di Gesù furono il prezzo della nostra salvezza. Da allora, il nostro dolore unito a quello di Cristo può essere reso partecipe della Redenzione dell’umanità intera. Questa è stata la grande rivoluzione cristiana: trasformare il dolore in una sofferenza feconda; fare, di un male, un bene. Abbiamo spogliato il diavolo di quest’arma…; e, con essa, conquistiamo l’eternità. Si parla di croce e si parla del Diavolo. E qui parlermeo di croce e di Diavolo. Partiamo dalla croce. Nella quinta stazione della Via Crucis, Gesù viene aiutato a portare la croce da Simone di Cirene, ma -dicono le Sacre Scritture- che l’uomo, quando fu sollecitato ad aiutare Gesù a portare la croce, non mostrò alcuna intenzione da farlo, ma alla fine venne costretto dai suoi cari. Leggiamo su www.gesumaria.it che: «In un primo momento vedeva solo la croce, e la croce non era che un legno gravoso e molesto. Poi non si preoccupò più del legno ma del condannato, quell’uomo del tutto unico che stava per essere giustiziato. Allora tutto cambiò: aiutò Gesù con amore e meritò il premio della fede per sé e per i suoi due figli, Alessandro e Rufo. Anche noi, in mezzo alle prove e alle tribolazioni, dobbiamo guardare a Cristo. Ci preoccuperemo meno della croce e faremo posto all’amore». Leggiamo bene: «aiutò Gesù con amore e meritò il premio della fede per sé e per i suoi due figli, Alessandro e Rufo». Sì, perché secondo la dottrina cristiana, i popoli e gli individui sono responsabili delle proprie azioni ed il bene degli uni ricade sugli altri e così il male, i meriti e le colpe dei padri si riversano sui figli, come possiamo leggere sul Deuteronomio 28, sul Levitico 26 e su altri testi sacri come il Libro dei Giudici e il Libri dei Re. Su questo si basa il concetto di retribuzione, ovvero la questione di come Dio premi o castighi le azioni degli uomini. Che cos’è il male? E perché soffriamo, secondo la religione sponsor ufficiale del Belpaese? La “retribuzione” può essere spiegata in differenti teorie: C’è la retribuzione terrena colletiva, per esempio, per cui noi tutti siamo responsabili delle nostre azioni, come la buona azione di Simone di Cirene che aiuta Cristo a portare la croce, si ripercuoterà sui suoi figli. Ed è per questa ragione che l’uomo, sebbene controvoglia, motivato e incentivato dall’interesse diretto dei propri cari («Vuoi mettere quanta merda pioverebbe sui tuoi figli e sui figli dei tuoi figli se non aiuti il Cristo? Mica la vecchietta che attraversa la strada, stiamo parlando di Gesù Nostro Salvatore che conduce la croce verso il Golgota» deve avergli detto la moglie).

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C’è la retribuzione terrena individuale, secondo cui (dice Ezechiele) ognuno è responsabile delle proprie azioni e viene premiato in virtù di queste. Ma tutto questo fa un po’ troppo Antico Testamento e il ragionamento un po’ vacilla. Se paghiamo solo e soltanto per i nostri errori, allora perché anche i giusti soffrono e gli stronzi (ooops... si dice “empi”) godono? Questa teoria non piace molto ai teodicei (ovvero quei teologi che studiano il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza nel mondo del male). Insomma – dicono i teodicei – ha più senso che per il principio di solidarietà, il sopravvento dei peccati della collettività, vada a pesare persino sui giusti, che vengono dunque puniti insieme ai malvagi. Com’è che diceva la panettiera sotto casa? Mal comune mezzo gaudio? Chi va con lo zoppo impara a zoppicare? Qualcosa del genere. Ma se così non fosse ed ognuno è resposabile solo per se stesso perché i bambini si ammalano e muoiono? Perché le mosche vanno ad appiccicarsi agli occhi di quegli innocenti pargoli africani che non hanno colpe? Perché l’olocausto, i pogrom, i genocidi, gli stupri etnici, perché un fulmine non colpisce Marchionne in pieno cranio? Lo vedremo. Ecco allora che arriva la retribuzione ultraterrena. Dice Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria che deve rivelarsi a noi» e poi «Io completo nella mia carne quello che manca alle prove di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa». Traaac! Torna il tanto caro concetto di sacrificio. Ma approfondiamo la cosa...

Jesus died for somebody’s sins but not mine... 2

La sofferenza di Cristo fu il prezzo per la nostra salvezza. Non lo avete chiesto? Amen. Accettatelo. Lui l’ha fatto per voi. Anzi, Dio lo ha fatto per voi. Dal momento in cui Gesù è stato sacrificato, il nostro dolore confluisce nel suo ed incrementa quel grosso fiume della Redenzione dell’umanità tutta. Mica cazzi. Il nostro dolore è patrimonio dell’umanità. Andrebbe tutelato e protetto dall’Unesco. «Il dolore purifica l’anima, la eleva, aumenta il grado di unione con la volontà divina, ci aiuta a staccarci dai beni, dall’attaccamento eccessivo alla salute, ci fa corredentori con Cristo» dicono. Così come Simone da Cirene, sebbene controvoglia, abbia aiutato Cristo a condurre la croce al Golgota (dove verrà sacrificato per la nostra salvezza – ricordiamolo - che è un po’ come aiutare un vitello ad affilare la lama della mannaia che lo sgozzerà, per poi magnarcelo), ha trasformato la sofferenza in un atto di amore, così dobbiamo imparare a fare noi tutti. Perché «in questo mondo non è possibile amare senza sacrificio, ma il sacrificio è dolce per chi ama». Bisogna traformare il dolore in amore, affinché il «nostro cuore si trasformi subito in un fuoco di amore che consumi poco a poco le scorie accumulate per le nostre colpe e ci farà diventare vittime di espiazione, felici di ottenere, al prezzo della sofferenza, una purezza maggiore, una più stretta unione con l’Amato». (Col 1,24) Questa cosa si chiama Cristoconformazione, perché vivere in Dio e con Cristo, vuol dire vivere dal di dentro l’esperienza del mistero del dolore senza lasciarsi abbandonare all’abisso del non senso, alla disperazione.

Soffrire, come già detto in diverse occasioni, ci fa identificare nelle sofferenze del figlio di Dio. Che se ha subito lui le peggio cose, che è figlio di... allora che cazzo mi lamento a fare, no? Chi sono io per non accettare il dolore? Quando si parla di dolore (e di conseguenza, di giustizia divina) nella nostra religione preferita, si parla spesso di un tizio di nome Giobbe. Questo poveraccio aveva tutto (mogli e buoi, tipo) e aveva anche molta fede, ma quel cattivone di Satana, che era ancora alle dipendenze di Dio e non s’era ancora ribellato (Dio, lo chiamava “figlio” infatti), insinuò il dubbio nella mente beata di Dio. «Signore – deve avergli detto – Giobbe ti venera e ti è devoto perché è un fortunello, ma se gli togliessi tutto? Ma proprio tuttotutto, ti amerebbe uguale? Eh? Eh?» E così, il nostro Signore, colto nell’orgoglio, accettò la scommessa e al povero Giobbe gliene fece di ogni. «Ero sereno e Dio mi ha stritolato, mi ha afferrato la nuca e mi ha sfondato il cranio, ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri prendono la mira su di me, senza pietà egli mi trafigge i reni, per terra versa il mio fiele, apre su di me breccia su breccia, infierisce su di me come un generale trionfatore». (Giobbe 16,12-14) Giobbe, privato di ogni ricchezza terrena, dell’affetto dei figli (moriranno tutti, sotto il crollo della propria casa), abbandonato dalla moglie che non capisce («Perché non maledici Dio?» ci chiedeva), col corpo ricoperto di piaghe dolorose è solo. Arrivano in soccorso i suoi amici. Ogni amico rappresenta un approccio differente a quelle che sono le possibili “risposte” al dolore e alla sofferenza. Il primo, Elifaz, gli dice che se soffre è perché ha peccato (retribuzione terrena individuale). Il male fisico, dunque, è la conseguenza del male morale. Gli dice. E così anche gli altri tranne Elihu, il più giovane di essi, che dice:«Si manifesterebbe la tua salvezza senza soffrire e senza un fortissimo sforzo? Non agognare la notte che stermina tutte le genti, guardati bene dal volgerti verso l’iniquità, come stai per scegliere per il troppo dolore! Quanto è elevato Dio nella Sua forza, chi può essere una guida come Lui?» Che volgarmente potrebbe essere tradotto: sei sicuro di voler metterti contro uno tanto forte e potente, che t’ha fatto ste cose pur amandoti e pur essendo amato, solo per metterti alla prova? Branca della teodicea non ufficialmente riconosciuta come quella del “Fabbruttismo”. Dio fabbrutto, non dimenticarlo. Meglio averlo come amico, che come nemico. Giobbe però, prosegue indefesso nella sua “passione” e mai mette in dubbio la sua fede, semmai si pone degli interrogativi, ma mai sconfessa o s’incazza con Dio. All’apice della sofferenza Giobbe dirà: «Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono...» eppure ha bisogno di una risposta. Risposta che gli verrà negata. «Perché han lunga vita i malvagi, giganteggiano, crescono in ricchezza? La loro prole è assieme a loro, stabile, riescono a vedere i propri discendenti. Le loro case non conoscono la paura, lo scettro divino non li minaccia?» Eppure la sua fede non vacilla. Il Signore ha vinto la


di anni.» E fin qui tutto bene. Cioè, alla fine Dio ha vinto su Satana tentatore ed insinuatore di dubbi, Giobbe è stato ripagato di tutte le disgrazie e ha campato per una paccata di anni felice e contento. Sì, ma perché? Che cazzo dovrei imparare da questa cosa? Qual è il messaggio, di grazia? Nessuno, o meglio. Un messaggio c’è. Ed è terribile. Alla fine del Libro di Giobbe, Dio compare all’uomo (dici, magari vuole chiedergli scusa... stocazzo!) e lo fa in grande pompa, in mezzo alle nubi con un spettacolo pirotecnico e gli angeli e i putti e le fanfare e... «(Dio) lo annichilirà mostrandogli la sterminata potenza della creazione (il Fabbruttismo, ricordate? NdR) e lo rimproverà per aver preteso di capire cose troppo grandi per lui». Giobbe s’era posto un interrogativo del tipo «perché Dio permette il male dell’uomo giusto?». A cui il Divino non risponderà, lo farà per lui Isaia (Isaia 55,6) dicendo: «I miei pensieri, le mie vie non sono le vostre». Del tipo: «Che cazzo ti guardi?» «Dunque non è illegittimo interrogarsi. Ciò che non è legittimo per l’uomo è darsi da solo una risposta...» Del tipo: «Che cazzo ti guardi?» Again. Facendo un sunto. Se soffriamo è perché prima di noi ha sofferto Cristo e il nostro soffrire congiunto serve per: 1. redimere i peccati dell’umanità intera; 2. renderci più puri e vicini al divino (“Cristoconformazione”); 3. mettere a dura prova la nostra fede; 4. far vincere una scommessa a Dio. Perché io e non gli stronzi? Forse non lo sai, ma anche tu sei uno stronzo. Non credere dunque di non meritare il male. Perché? A questa domanda ci risponde quel simpaticone di Elifaz, l’amico di Giobbe che per prima gli fece visita per dirgli che si meritava ogni male (quello di «Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie» per intenderci) che, ad un Giobbe saturo di piaghe e di sciagure aveva detto di aver avuto una visione in cui un personaggio ritto, un messaggero, un angelo che gli disse: «Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l’uomo davanti al suo Creatore?». La risposa è NO. Su www.corsobiblico.it leggiamo: «Il contenuto della visione è il giusto rapporto della creatura col Creatore, lo stesso Elifaz si riconosce peccatore davanti a Dio e a Giobbe. L’uomo ha una fragilità intrinseca che gli impedisce di presentarsi davanti a Dio come una persona giusta».

sua scommessa, fa la stecca a Satana e quindi premia il povero Giobbe con ogni fortuna che gli aveva tolto, moltiplicandola. Dal Libro di Giobbe... «E il Signore benedisse l’ultima parte della vita di Giobbe più del suo principio; ed egli possedette quattordicimila ovini e seimila cammelli e mille coppie di buoi e mille asine. Ed egli ebbe sette figli e tre figlie. [...] Dopo questi fatti, Giobbe visse ancora cento e quarant’anni, poté godere dei propri figli e dei figli dei propri figli per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, anziano e sazio

E quindi? Se non è per i tuoi avi, è per i tuoi vicini di casa, o per gli orrori del fascismo, o per la polizia violenta, o i politici corrotti e i mariti violenti, o le madri assassine. Se non è per loro è perché tu sei un mortale. Hai un “limite” che Dio non ha. «La Croce è parte della vita: malattia, sofferenza, morte sono esperienza comune degli uomini. Non si riesce a sottrarvisi. E quindi è questo il nostro essere nel mondo; un mondo limitato, che ha un inizio e una fine.» Quindi – ripeto – che cazzo ti guardi? Jessica Fletcher

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. E N E B A V , E S R O F E,

PER M

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Mi vien da dire che è un momento, questo qua, che la religione se la passa un po’ male. Son finiti i bei tempi, mi vien da dire. Però poi non so se è vero sul serio, perché dipende. Dipende dalla religione. Però io, insomma, se uno mi dice La religione, sul momento, se non sto attento, mi viene da pensare alla religione cattolica, per via del fatto che, oltre che qui del nord, sono anche qui dell’Italia, e per noi la religione è quella roba lì. E già questo è un problema, secondo me. Però è anche una cosa che adesso rischia di portarmi un po’ fuori, e allora lascerei perdere. Magari un’altra volta. Insomma, se parliamo della religione cattolica, a me sembra che adesso sia un momento che Son finiti i bei tempi. Mi sembra che le chiese, adesso, non è che siano proprio vuote, ma quasi. E i giovani, mi dicono, son da un’altra parte. E secondo me, tra un po’, tra qualche anno, saranno ancora meno, che la tendenza è quella lì. E anche preti ce n’è pochi. E questa cosa qua è una cosa che se me l’avessero detta quindici anni fa avrei detto: Era ora! e invece adesso, non lo so, un po’ mi dispiace. Dopo mi viene in mente un amico di mio padre, che mi dice che quando lui aveva la mia età, in sezione, la sezione del PCI, non ci si stava da tanta gente c’era. E adesso invece non è che sia proprio vuota, ma quasi. E i giovani, son da un’altra parte. Magari è una cosa che non c’entra niente, ma io, a pensare alla chiese che adesso son quasi vuote, mi vengono in mente le sezioni del PCI, vuote anche loro. Ma anche questa è una cosa che rischia di portarmi un po’ fuori. E poi magari, ecco, non c’entra niente, anche se a me sembra di sì. L’ho detto solo per dire che un po’ mi dispiace. Poi io, la religione, son degli anni che non andiamo d’accordo. E anche adesso è più o meno lo stesso. E se me lo chiedessero, direi che per dei secoli son stati fatti degli errori e delle cose che proprio non si può. Erano cose da diventar matti. E il nostro Paese, soprattutto, li ha subiti uno dopo l’altro questi errori. E anche noi. E anche adesso che ci sono gli iPod e i preservativi alla frutta e dovrebbe essere diverso, e infatti un po’ è diverso, una certa parte di questi errori, mi sembra, continuiamo a pagarla. E allora mi viene su da dentro un nervoso che è meglio se lasciamo perdere. Poi dopo, io, quando mi viene su il nervoso, per farmelo passare, un po’ vanno bene delle bottiglie di vino rosso e un po’ penso a delle cose che per me sono belle e ogni volta mi fanno rimanere lì. Per esempio certi affreschi che ci sono in Toscana, e che sono tra le cose che amo di più. O un gruppo di statue in una chiesa di Bologna. E mi viene in mente che senza la religione,

quegli affreschi e quelle statue, non ci sarebbero stati. E anche Amleto, per dire, senza la religione, se Amleto fosse stato ateo, suicidio al primo atto e poi basta. E quel monologo lì, che sanno tutti persino io, non ci sarebbe stato. O la tragedia greca. Anche la tragedia greca, che è una cosa enorme che mi verrebbe da scriverla in maiuscolo, LA TRAGEDIA GRECA, tanto è enorme, pure lei, mi viene da dire, senza una religione, anche una strampalata e però bella come quella là, forse saremmo rimasti senza. Poi dopo che Euripide forse era Ateo, io non lo so se è vero, ma insomma anche se fosse stato ateo, mettiamo di sì, allora va bene lo stesso. Allora penso che da una parte c’è il nervoso e da una parte ci sono queste cose qua, che sono belle e che io, di mio, metterei tra le cose necessarie. E penso ad una frase, che è una banalità, e infatti l’ho imparata che avevo sedici anni e la tiravo sempre fuori quando facevo delle discussioni che mi sembrava che il mio compito nella vita fosse difendere il comunismo, e quando mi dicevano Stalin, quando mi dicevano I morti e le repressioni, dicevo questa frase

Hotei: il Buddha che ride. qua. Dicevo: un conto sono le idee un conto sono gli uomini. Che adesso, io mi rendo conto, è una banalità.


Però è anche vera, mi sembra. E può andar bene anche per la religione e per quegli errori lì. E mi sembra anche che, a parlare della religione, poi dopo può succedere che uno se la dimentica, questa banalità, e si fa della confusione. Ed è un peccato. Poi c’è una cosa che ho detto una volta, parlando più o meno di queste cose qui, e la ridico perché forse c’entra con l’argomento di questo numero. Ho detto che la religione, per me, è un modo per andare avanti, e ognuno si sceglie il suo e la religione per esempio è uno. Per un altro magari è un altro. Magari è il lavoro, non lo so. O la letteratura, o la famiglia. O la collezione di francobolli, per dire. Anche quelli che collezionano le cose, mi sembra che sia un modo per and a r e avanti. E ogni tanto ti metti lì e guardi quello che hai. Che a questo punto non è nemmeno importante se ci sia qualcosa dopo oppure no. Non è indispensabile, è il prima che conta. È una cosa che si fa per il prima. Anche se non te lo dicono, e anzi ti dicono il contrario. La religione, a me sembra che sia una cosa che si fa per il prima. Anche pregare. Che una volta pensavo fosse una forma di debolezza, e adesso invece, non lo so, mi sembra una cosa bella. Che uno si mette lì e parla un po’ e fa quelle cose che si fanno quando si prega. Mi sembra evidente che sia un modo per sentirsi meno soli. E mi sembra bello. Con tutto che io non sono capace. Per niente. E mi sa che continuerò a pensare che un dio non esiste. Niente dio. Però pregare, quelli lì che sono capaci, mi sembra una cosa bella. Allora se devo dire una cosa sulla religione, dico che può anche andare bene la religione. Solo, per via di quegli errori lì e per il nervoso che vien su da dentro, bisognerebbe trovare il modo di fare una religione che non mischi gli uomini e il potere. Ma ho paura che è una cosa che non si può fare. Non c’è verso. E allora vi capiterà sempre di fare degli errori tremendi e di fare cose che proprio non si può.

Però, ecco, se volete farla comunque una religione, per me va bene. Solo, se posso darvi un consiglio, poi fate come volete, ma se posso, ecco, metteteci il senso dell’umorismo. Che è una cosa che fino ad adesso si sono sempre dimenticati di mettere, secondo me. E invece è una cosa che un po’ ti salva. Anche nella religione che abbiamo qui in Italia, senso dell’umorismo, non ce n’è quasi niente. Ed è un peccato, perché occasioni, a voler guardare, ce ne sarebbero. Anche nel Vangelo. Come quando Maria e Giuseppe tornano a casa da Gerusalemme, mi pare, e a metà della strada si accorgono che manca Gesù. E allora ferma tutta la carovana e controlla dov’è, non l’avremo mica lasciato a Gerusalemme. E infatti tornano indietro ed eccolo là. Ecco, un episodio così, a saperlo sfruttare, mi sembra che margine ce n’è. Fate una religione dove ogni tanto si ride. E poi, un’ultima cosa, se potete, non metteteci il senso di colpa. Keisuke Yamato

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CALCUTTA È UN

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TAGLIO

Strano, qui nessuno ci ha chiesto di toglierci le scarpe. E la sacralità? Lo spirito del tempio? Forse che i seguaci di Kali sono degli informaloni? I giainisti hanno insistito tanto, i musulmani non ne parliamo, ora invece… Poi, entrati nel cortile, notiamo le strisciate di sangue – tantone, roba di cadaveri trascinati, guardi, uno schifo signora mia – mescolate a terra e piscio che ricoprono tutta la pavimentazione, e capiamo il perché pochissimi degli indiani presenti si siano levati le ciabatte. Il piccolo coreano che è entrato con noi si è invece scalzato. Tanta fortuna soldato. Responsabili dell’irrigazione sono gli agnellini spaventati (agnellini spaventati, roba forte) in fila per la mattanza. Del piscio e del sangue cioè, la terra è gentilmente offerta dalla pro loco West Bengal. A prescindere dal grado di autocoscienza degli ovini e dall’eventuale consapevolezza di andare incontro alla morte, UNA SANTA MORTE, RICORDIAMOLO, essi si emozionano, xè putei, dunque pisciano. Poi gli viene mozzata la testa, dunque sanguinano. In conformità con le leggi della logica e della biologia. Sad but true. Con gli occhi allegri da italiani in gita, ci uniamo al nugolo di ragazzini assiepati intorno al piccolo altare dove per tutta la mattina si susseguono i sacrifizi, un grazioso GAZEBO DELLA MORTE che non sfigurerebbe in un giardino all’inglese, in attesa del prossimo evento. Siamo ragazzini anche noi in definitiva, o peggio, noi che la fregola per il sangue la camuffiamo con un qualche interesse antropologico, noi che cinici spettatori ecc.

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No, questa parte la saltiamo. Magari leggete il sunto sulla Lonely Planet e preparatevi bene sul capitolo India, terra misteriosa, ricca di contraddizioni, che quello lo chiedono sempre. Comunque, il momento arriva. Il mistico macellaro in piedi di fianco all’altare pulisce la sciabola (è in missione per conto di dio e tradisce infatti un certo orgoglio, solo smorzato dalla ripetitività dell’atto). Una sciabola tanta, peraltro. Viene condotto l’agnello, il collo appoggiato senza fatica sul trespolo di pietra al centro dell’altare, già lucido per gli ettolitri di sangue versati prima del brunch. Qualche timido belato, il corpo è paralizzato dal terrore, la vescica ormai non ha più niente da dare. L’agnello diddio che toglie i peccati del mondo. Pora bestia, gli dice male in tutte le lingue. La sciabola si solleva e…. …PROPRIO IN QUEL MOMENTO…. …Niente, la testa dell’agnello viene mozzata di netto e raccolta in un catino d’ottone, hurrà per noi. Non avevo mai assistito a una decapitazione, fa un po’ brutto. Sul piano tecnico, si osserva che dalla parte del tronco, la carotide tranciata continua a pompare sangue con quieta regolarità, non produce un getto a spruzzo (sì, era prevedibile, troppi film giapponesi). Il pezzo di carotide che spunta dalla testa tagliata si dibatte come una canna dell’acqua impazzita, ma per poco. Staccata dal corpo, la mandibola scatta un po’ di volte, tactactactactac, per la contrazione nervosa (come se sapessi di cosa


sto parlando). Al coreano arriva uno spruzzo sugli occhiali, dentro di me vorrei che vomitasse per dare un respiro più trash a tutta la kermesse, ma è un duro, lo guardo solidale. Un socio del macellaro, mistico pure lui, porta in giro la testa d’agnello, infila due dita nelle arterie sgocciolanti e asperge generosamente le fronti dei presenti (quasi tutti bambini, più due coglioni occidentali e un coreano cazzuto). Fa pure gli scherzi, schizzando quelli lontani come se fosse all’Acquafan di Riccione. Nel farlo, sorride gioioso. I bambini pure loro, non stanno più nella patta dalla felicità, ‘sti figli di Satana. Sono tutti proprio contentoni, come davanti a una confezione di raudi. YEEEE, ORGIA DI SANGUE! Chiusa la simpatica parentesi della benedizione, seguiamo un po’ le vicende del resto dell’agnello (fosse un carlino farebbe riderissimo. Troppo inglese?), che viene portato in fondo al cortile, nell’angolo dei tizi pesi. Altro che sciaboloni di rappresentanza, qui si maneggia u curteddu, e con perizia. Ed è lì che capiamo che il macellaro era solo un guappo di cartone: il vero boss, il titolare della macelleria metafisica, è un tipo a forma di cassettiera, con la canotta e i pantaloncini da basket elegantemente traforati, la faccia di Zapata (occhioni guancioni e baffoni, tipo ferroviere calabrese) e un mullet di rara audacia, come solo in Germania negli anni ’80..Gli occhi, fatti duri. È lui che dirige le operazioni, è lui che appende l’animale, lo strizza un po’ per fare uscire il sangue che viene raccolto in catino, pratica due tagli sulle zampe posteriori e inizia da lì a scuoiare la carcassa, lasciando solo queste due calzette pelose - dettaglio sfizioso per un ulteriore appagamento sensoriale: il rumore è simile a quello della tappezzeria che viene staccata - Fatto ciò, passa il tutto a un sottoposto, che si occupa dello smembramento. Poi si accende una paglia, con fare assorto. Penserà al mutuo da pagare? Alla caducità della vita? Alla figlia che vuole il motorino? Al discutibile campionato della Dynamo Bangalore? Al suo sporco lavoro che le mani non vengono mai del tutto pulite? E chi lo sa, non so come si dica “un soldino per i tuoi pensieri” in bengali. Poi minchia zio quello mi lama. La sete di sangue è stata placata. La mia almeno, che già era pochina e ora mi sento colpevole e infastidito da tutta questa truculenza (in fin dei conti è un sacrificio rituale, mica una crudeltà gratuita – AHAHAHAHAHAHAHAH - ma a guardarlo per troppo ti senti decisamente merda, ah l’ipocrisia ecc ecc), quella di Kali manco per il cazzo, non si ferma mai e infatti la fila di agnelli in procinto di salutare li mortacci

loro è ancora lunga. Ci leviamo, ora possiamo vedere ‘sto cazzo di tempio, à l’intérieur (paura eh?), beh, l’intérieur parrebbe altrettanto trucido. Buio buio, niro niro, appena entrato mi sento afferrare la caviglia. Maccheccazz… Gli occhi si abituano all’oscurità e vediamo che il minuscolo corridoio è ricoperto di mutilati, storpi e altre figure macilente che, tra lo sdraiato e l’accovacciato, questuano smanaccianti. Lo spazio è angusto, i fedeli sono tanti, i mendicanti pure, è una specie di piccola marea umana che si struscia e si spintona, convergendo sulla piccola cella che custodisce una statua di Kali nera, stilizzata linguacciuta e pronta a spaccare culi, ricoperta di monili, corone di fiori, incensi e tanta devozione. I fedeli sono in una specie di trance, o vogliono dare l’impressione di esserlo. In ogni caso penso che mi strapperanno il cuore. Maledetto Indiana Jones, IO MI FIDAVO DI TE. Il tutto sembra creato ad arte per mandare in deliquio le signore inglesi di un secolo fa. La calca, il buio, i monchi, le mani (chi più chi meno), l’estasi mistica, Kali con la lingua di fuori, le impronte di sangue e… ”Cielo!” SBAM, milady è svenuta, portate i sali e il gin, presto! Sono molto colpito da tutta la faccenda, fossi una persona meglio lo sarei di più, ma lo stesso non si scherza. È tempo di uscire, forse non torneremo mai più al tempio di Kali, ma per il resto della nostra vita porteremo nel cuore le unghie del vecchio con la faccia bruciata che ha cercato di strapparcelo dal petto per offrirlo alla dea. Ci hai provato amico. Usciamo, fuori c’è Calcutta, l’India e un po’ più in là Rovigo. E altri enormi quantitativi di sangue e merda. Un impasto poco nobile, ma più che sufficiente per edificare feticci da venerare, lì come qui. La chiamano spiritualità, figlio (MA CHE BELLA METAFORA DEL CAZZO). E pure questa giornata se l’emo tramortita. Pilade Fioravanti

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LASCIATE CHE I Il Movimento per la Vita fu fondato nel 1975 a Firenze con lo scopo di contrastare il fenomeno dell’aborto che, ai tempi, era illegale e veniva effettuato in maniera clandestina dalle cosiddette “mammane” con intrugli, ferri da calza, appendiabiti di alluminio e quant’altro. La loro lotta all’aborto però, non si basava sull’eventuale pericolosità ed illegalità di certe pratiche, in quanto la loro era una lotta di senso. Una battaglia morale. La morale esaustivamente espressa nell’Humanae Vitae, l’enciclica scritta da Papa Paolo VI nel 1967.

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Il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana, per il quale gli sposi sono [...] collaboratori di Dio creatore, è sempre stato per essi fonte di grandi gioie, le quali, tuttavia, sono talvolta accompagnate da non poche difficoltà e angustie. [...] Si assiste anche a un mutamento, oltre che nel modo di considerare la persona della donna e il suo posto nella società, anche nel valore da attribuire all’amore coniugale nel matrimonio, e nell’apprezzamento da dare al significato degli atti coniugali in relazione con questo amore. Circa gli “atti coniugali”, Papa Paolo VI dice: «Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio». E a proposito delle “Vie illecite per la regolazione della natalità” il Pontefice scrisse: In conformità con questi principi fondamentali della visione umana e cristiana sul matrimonio, dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle na-

BIMBI

scite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto[...]. È parimenti da condannare, [...] la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che [...] si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. [...] È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato (legittimato Ndr) dall’insieme di una vita coniugale feconda. Sì, perché oltre a tradire il progetto divino che ci ha dato il dono di poter creare la vita attraverso il sesso, cercare di dominare la natura e quindi controllare in modo artificiale la natalità, può avere serissime conseguenze... Gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della chiesa in questo campo, se vorranno riflettere alle conseguenze dei metodi di regolazione artificiale delle nascite. Considerino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed all’abbassamento generale della moralità. Questo era il 1967, undici anni più tardi venne approvata la Legge 194 con cui veniva legalizzata e normalizzata la pratica dell’interruzione di gravidanza entro i 90 giorni dal concepimento. E oggi? Trentaquattro anni dopo la 194? Non si è mai smesso di discutere in merito. Da una parte la politica, la Chiesa, la stampa e gli ex cantanti punk filosovietici sciroccati miracolati. Ma non solo “aborto”... le questione bioetiche ora vanno a riguardare persino l’embrione e alcune pratiche mediche per favorire il concepimento (e in un certo


VENGANO A

ME

senso a rispettare “il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana”) e, come se non bastasse, sebbene la Legge 194 esista ancora, nella concretezza dei fatti sembra che si stia tornando massicciamente agli aborti clandestini. Si dà il caso infatti che sul web sia possibile acquistare alcuni farmaci (con meno di 20€ come il Cytotec e Misoprox, che provocano delle contrazioni uterine e garantiscono l’interruzione di gravidanza con una percentuale di riuscita pari al 95%). Perché, di grazia, una donna dovrebbe fare qualcosa del genere? Mettere cioè a rischio la propria salute, comprando un non ben noto farmaco su eBay per provocarsi un aborto (“contrazioni uterine” mi fa male solo a pensarci), quando potrebbe benissimo rivolgersi alle strutture della Sanità pubblica? Due parole: “medico” e “obiettore”. Al di là della pressione psicologica (saggiamente suggerita dal sommo Pontefice nell’Enciclica di cui sopra, che consigliava ai medici: «Abbiamo in altissima stima i medici e i membri del personale sanitario ai quali, nell’esercizio della loro professione, più di ogni interesse umano, stanno a cuore le superiori esigenze della loro vocazione cristiana. Perseverino dunque nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta ragione, e si sforzino di suscitarne la convinzione e il rispetto nel loro ambiente»), nonostante le buffonate delle amiche fasce di Alemanno, come Sveva Belviso* che ha istituto a Roma il “Giardino degli angeli”, un cimitero cioè per i feti abortiti o i colloqui preliminari dissuasivi della Polverini, secondo cui una donna prima di abortire, dovrebbe parlare obbligatoriamente con un medico, uno psicologo, una madre che ha rinunciato ad abortire ed un prete (diocristo!). Altro che ferro da calza... solo per questo m’infilerei tutta una macchina da cucire Singer modello 257 nell’utero. *(«In questo modo i genitori che lo vorranno potranno dare una sepoltura ai corpicini dei bimbi che non hanno mai visto la luce. Il progetto non vuole in alcun modo intaccare i principi sanciti dalla legge 194 del ’78 sull’aborto, ma vuole dare una risposta alle richieste di coloro che con il seppellimento del loro bimbo intendono restituire valore a quel feto che altrimenti verrebbe violato perché considerato rifiuto ospedaliero»)

Nonostante tutto questo (che è un bel “tutto”) sembra che oggi i medici obiet-

tori in Italia siano il 71%. Con picchi dell’84% in Campania. Nel Lazio per esempio, su 316 ginecologi, solo 46 non sono obiettori, e in 9 ospedali pubblici non si fanno interruzioni di gravidanza, come imporrebbe la legge a tutti gli ospedali non religiosi. Così tanti medici devoti cristiani? Il cazzo. I medici obiettori vedono favoriti carriera e guadagni. Adriano Sofri ha intervistato di recente, una degli “ultimi medici non obiettori” che ci svela: «Non esistono primari non obiettori». Ma torniamo al Movimento per la Vita, il cui presidente onorario è Madre Teresa di Calcutta che nel ‘79 diceva: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l’aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c’è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uc-

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cidere me». Ma come dicevo, non solo aborto, dal 2005 il Movimento per la Vita mette il becco sulla fecondazione assistita e così nasce il comitato Scienza e Vita, con la sua campagna astensionistica (sostenuta dalla Conferenza Episcopale) mandò all’aria il referendum - e svariate palate di milioni di euro dei contribuenti -, facendo in modo che non venisse raggiunto il quorum. E fin qui tutto bene (si fa per dire), se non fosse che un bel giorno quel panzone ex-comunista di Giuliano Ferrara, decide di candidarsi alle elezioni. Corre l’anno 2008 e il direttore de “Il Foglio” caga fuori una lista “pro-life” che è un modo carino per dire “antiabortista”. «Il mio pensiero è semplice e si basa su tre principi. Primo, nessuna donna è obbligata a partorire; secondo, nessuna donna deve essere perseguita legalmente perché abortisce; terzo, l’aborto è un male, va sradicato, non può essere utilizzato come strumento di controllo delle nascite, come avviene quando le donne sono obbligate o incentivate ad abortire. L’aborto è legale ma non è un diritto legittimo o moralmente indifferente, come si è predicato in questi trent’anni, con un miliardo di aborti in Occidente. C’è una bella differenza tra atto legale e legittimo. Il diritto di autodeterminazione della donna non può affermarsi contro il bambino». A Carlo Casini (presidente del Movimento per la Vita, since 1975) quel Giuliano Ferrara paladino della “vita” in politica (che propone a Berlusconi – BERLUSCONI! - e a Susanna Tamaro di entrare nella lista) non piace. Non gli piace proprio per niente. E così scrive: «Se il tema della vita viene introdotto nella politica a pieno titolo, occorre usare fino in fondo anche la logica della politica. Bisogna, dunque, valutare le possibilità di successo elettorale, i rischi di una dispersione di voti – particolarmente grave nel sistema elettorale attuale – che potrebbe condurre a un’immagine mortificante del valore che si intende promuovere, il timore di favorire involontariamente proprio coloro

che negano il diritto alla vita. […] Perciò, caro Giuliano, ti ho palesato il mio giudizio di inopportunità su una lista autonoma» che in politichese significa: «Il Movimento per la Vita è roba dell’Udc e se ci togli il nostro cavallo di battaglia, la nostra bandiera della difesa della vita secondo i valori cristiani, che cazzo rimane all’Udc?». Lo stesso Udc – ricordiamolo – che Bersani del Partito Democratico corteggia per una possibile alleanza per le elezioni politiche del 2013. Però vabbé, che minchia vuoi dire ad uno che s’è detto “dispiaciuto davvero” per l’addio al PD, di una bigotta omofoba come la Binetti? Niente, dici tu, però è bene ricordarlo a chi ancora va a votare e nella solitudine alienante di quell’urna, con la matita che punta verso il simbolo del PD, pensa alla parola “meno” seguito da “peggio”. Dopotutto, ognuno di noi dovrebbe tenere nel portafoglio la foto della Binetti a mo’ di santino, per non perdere di vista quegli occhietti piccoli e cattivi e quell’espressione di una che è stata violentata dal prete (per poi innamorarsene pur essendo non corrisposta) a 13 anni e, da allora, non ha più visto un fallo in vita sua. La stessa Binetti che ha dichiarato: «Un prete non è obbligato a denunciare un pedofilo», pensando evidentemente al suo amore pre-adolescenziale. Ma torniamo a Ferrara in politica, perché ciò che conta è che grazie al Nostro Signore Oscuro Lucifero, la lista dell’Elefantino, “Aborto? No grazie” raccoglie SOLO 135.578 voti, pari allo 0,371% del totale, non superando la soglia di sbarramento e non conquistando alcun seggio. Di fronte a tale risultato Ferrara commenta: «Più che una sconfitta, una catastrofe: io ho lanciato un grido di dolore per un dramma e gli elettori mi hanno risposto con un pernacchio». Débâcle inevitabile si potrebbe dire, grazia anche -forse- all’apporto e il supporto del personaggio meno indicato al mondo per portare avanti tale campagna “pro-vita”. Che è come dire “missione di pace” o “popolo della libertà”. Oscuro Signore, perché non punisci questi uomini che usano belle parole a cazzo, per scopi osceni? L’uomo in questione che con le parole c’ha costruito un’epoca ed ha formato un paio di generazioni, è Giovanni Lindo Ferretti. Fu fondatore e cantate dei CCCP, poi CSI, poi PGR. Personaggio misconosciuto dai più e, soprattutto, dai possibili elettori antiabortisti, ma MOLTO conosciuto, venerato, studiato, criticato ma in fondo in fondo pur sempre amato da chi, poi, si è ritrovato a Bologna (a Palermo e in tutte le piazze dei loro comizi) a dovergli lanciare verdure marcia, contro. E quando lanci pomidori ammuffiti ad uno che hai amato, glieli lanci proprio da cattivo. Perché l’amore e il dolore sono le due facce della stessa medaglia e citando le Sacre Scritture: «Quanto più in fondo vi scava il dolore, tanta più gioia voi po-


trete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è la stessa bruciata al forno dal vasaio? E non è forse il liuto che accarezza il vostro spirito il legno svuotato dal coltello?» Sì, e viceversa, dico io. Perciò lo spazio creato, scalfito, scavato dall’amore di taluni per Giovanni Lindo Ferretti, ora è un vuoto che poteva essere sigillato dalla memoria e dalla nostalgia. Poteva essere dimenticato nell’indifferenza, ma no, invece NO. Perché, come amanti traditi, quello spazio è stato riempito fino all’orlo di odio gorgogliante. Ed è stato lui a volerlo. È stato Giovanni Lindo Ferretti ad insegnarci ad odiarlo. «Ogni uomo ha una madre e ogni donn a un padre. [...] L’aborto è un fatto, posso parlarne in quanto figlio. Puoi non ascoltarmi, non impedirmelo. A suo tempo votai la legge per l’aborto e feci propaganda e ricordo ancora la gioia profonda nel giorno dell a vittoria. Finalmente liberi dai preti, mi dissi, finalmente un paese moderno. Ho avuto tempo e modo per pentirmene e non sono ricorso alla propaganda reazionaria e clericale. Ho solo fatto i conti con la mia storia: se mia madre avesse abortito, e per molti intorno a lei avrebbe dovuto farlo, questo paese avrebbe aggiunto un tassello alla modernità, ma io non ci sarei. [...] Sono contrario all’aborto perché la vita è mistero e chi ne fa calcolo mette in atto la propria rovina. La storia dell’aborto nel nostro mondo è una questione da cui non si può svicolare, l’aborto è un crimine incredibile che si commette con una leggerezza credibilissima. Io non posso far altro che ribadire quello che credo: nessuno ha il diritto di uccidere un innocente. Non mi permetto di giudicare una donna che abortisce, ma giudico severamente una società che invece di farsi carico della maternità trasforma, nel regno delle idee, l’uccisione dell’innocente assoluto in un diritto festoso sostenuto da cortei, balletti, striscioni e impone, nei fatti, non solo la desacralizzazione della vita ma la riduzione dell’uomo a materiale organico atto allo scarto o alla sperimentazione». E circa il Papa Ratzinger, colui che in un’Africa piagata dall’Aids riuscì a dire che il preservativo era il male, Giovanni Lindo Ferretti ha detto: «La sinistra deve dividere il mondo in vittime e carnefici per assurgere a ruolo di giudice ed imporre la giustizia sulla terra. [...] Ratzinger il pastore tedesco, il rottweiler. A me quella figura mite, defilata, quegli occhi saettanti e quel ciuffo ribelle dicevano altro. Cominciai a fare domande. Alle persone sbagliate che quelle giuste mica le conosco. Ne sapevano tutti meno di me. Sapevano la giaculatoria progressista: i giovani, le donne,

i gay, l’aborto, la pillola, il preservativo. Ho una certa età. Andate a fanculo». Andate a fanculo anche voi. Fanculo anc h e alle 10mila coppie sposate - magari cristiane – che emigrano a scopo “riproduttivo”. Uomini e donne che non riescono ad avere figli o che, portatori di brutte malattie ereditarie (anche gravi e gravissime), vorrebbero avere un figlio sano. Il 12 e 13 giugno 2005 si sono votati i quattro referendum (boicottati dal Movimento per la Vita e dalla comunità cattolica tutta) per l’abrogazione parziale della legg e 40/2004 che regola in Italia la fecondazion e assistita, la diagnosi pre-impianto e la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Come già sappiamo, il referendum non raggiunse il quorum, ottenendo solo il 25% degli elettori aventi diritto (che per quanto pochi, fu il trionfo del “sì”). Ricordo le lacrime della Prestigiacomo (fu Ministro per le Pari Opportunità) in televisione e penso a Giovanni Lindo Ferretti che: «Mai e poi mai avrei immaginato il risultato del referendum. Ho riso di cuore per giorni e giorni. Come? Tutta lì, in quella percentuale, l’Italia dei media, della cultura, dello spettacolo, del radioso futuro, dei diritti perfetti così come fan tutti, così come bisogna fare?» La Vita prima di tutto. La difesa del miracolo della vita, fin dal suo concepimento. Fin dall’embrione, dunque. Figuriamoci se si può tollerare l’aborto o il diritto delle donne d’interrompere una gravidanza. «Mai avrei immaginato di ritrovarmi, a 54 anni, in così bella piazza a festeggiare le donne, la vita, a festeggiare l’8 marzo. [...] A mio favore ho solo un motivo: sostenere con la mia presenza, la mia parola, il mio canto: la campagna per la moratoria: “Aborto? No, grazie!” così come è stata pensata e costruita da Giuliano Ferrara e il Foglio. Dalla petizione alla lista» ha detto Giovanni Lindo Ferretti durante uno dei suoi comizi. «La tecnica odierna permette di fotografare i bimbi nel ventre materno. Ed è evidente all’occhio e al cuore che trattasi di bimbi, personcine. Sono bimbi, sono figli, nipoti. Sono innocenti, deboli, indifesi. Sarebbe normale accusare di visione reazionaria chi si ribella a un determinismo genetico che fa dei non ancora nati oggetto di ogni sperimentazione, di ogni abuso, ne fa oggetti di selezione e commercializzazione? [...] Ci sono mille obiezioni possibili alla presentazione

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di questa lista ma sono di natura politica, corrente e ordinaria, non valgono. [...] Che qualcuno, anche pochi, pongano oggi a base della politica nella sua totalità, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale è indispensabile. È giusto, è bello e mette di buon umore. Comunque è una semina e non sempre chi semina raccoglie ma se nessuno semina chi raccoglierà? Benvenuta sorella lista». BENVENUTA SORELLA LISTA. C’è altro da dire? Il Movimento per la Vita, oltre a fottere referendum, ogni anno indice il concorso “Canta la vita” in cui si premiano quegli artisti che si sono distinti nella difesa della maternità, della bioetica e della dignità umana. Tra i vincitori figura “In Te (il figlio che non vuoi)” la canzone che Nek ha presentato al Festival di San Remo nel 1993.

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...per lui poi comprerò sacchetti di pop corn potrà spargerli in macchina / per lui non fumerò a quattro zampe andrò e lo aiuterò a crescere. Lui vive in te / si muove in te / con mani cucciole / è in te / respira in te gioca e non sa che tu vuoi buttarlo via. Gli taglierò una pistola di legno […] per lui lavorerò, la moto venderò e lo proteggerò, ma aiutami. Lui si accuccerà dai tuoi seni berrà […] Con gli occhi chiusi lui / la vita afferra già / il figlio che non vuoi / è già con noi. Lui vive in te /si culla in te / con i tuoi battiti / è in te / lui nuota in te / gioca chissà... è lui il figlio che non vuoi.

Fino ad ora ho parlato di difesa della vita, citando encicliche, papi, intellettuali e santi, è perché non ho voluto coscientemente affrontare la questione dal punto di vista popolarpopulista. Non ho citato Casa Pound e certa Destra Sociale. Non ho citato il gruppo “Veneta ArditaMente”, orpello femminile del Veneto Fronte Skinhead che nel proprio manifesto afferma: «Il malato pensiero femminista ha investito totalmente lo stereotipo della figura femminile moderna, tanto da annullarne totalmente le caratteristiche e volerne a tutti i costi evidenziare l’insostenibile somiglianza e parità al sesso maschile. Ecco quindi le femmine-immagine della nostra società: quelle che vestono i pantaloni, che vogliono a tutti i costi diventare manager in carriera, ma allo stesso tempo non possono e non vogliono rinunciare a nulla. Si dedicano alla costruzione di una famiglia, mettendo così al mondo figli che dopo il primo anno di vita (se va bene!) verranno accuditi da baby sitter. Poi ci sono le femmine che non riescono, per vari motivi,

ad essere come le sopra descritte, e allora sperano di trovare fortuna in un uomo che possa mantenerle e donare loro ricchezza. Trattandosi quest’ultima palesemente di una forma di prostituzione, possiamo dire che la maggior parte della popolazione femminile contemporanea è composta da donne che si travestono da uomini e da puttane! Non male... In quanto donne fasciste ci richiamiamo ai valori tradizionali […] significa volerci riappropriare delle tematiche prettamente femminili, come la difesa della famiglia tradizionale, la lotta all’aborto, la cura e la giusta educazione per i nostri figli, la capacità stessa della donna di essere guerriera e difendere i propri ideali nella vita di tutti i giorni». No. Ho voluto tralasciare tutto questo. Ho voluto ignorare quel mare magnum di merda nel cervello che va dal buonista Nek, alle fidanzate fasciste del Veneto Fronte Skinhead. Ho tralasciato gli antiabor-

tisti americani. Ho tralasciato tante cose. L’ho detto: mi sono concentrata su Papi ed intellettuali. Perché? A questa domanda risponderà una sconosciuta che ha commentato il video di “In te (il figlio che non vuoi)” di Nek, su YouTube. Mi chiedo come una mamma può buttare via o abbandonare il proprio figlio!!! chiunque lo faccia dovrebbe? andare sulla sedia elettrica oppure dovrebbe essere fucilato!!! una mamma che non vuole il proprio bimbo e per questo sto piangendo. Si parlava di difesa della vita, giusto? Jessica Fletcher


IL VIAGGIO ERA STATO UNA Le vite dei Santi: Padre Pio – IN ODORAMA Il viaggio era stato una sofferenza: ottomila ore di treno dal paesello delle Prealpi a Foggia, poi il bus dei pellegrini fino a San Giovanni Rotondo, tutto per un cappuccino. Nella bella Italia dei primi anni 60, che uno magari si immagina bigotta/il boom/ ipocrita/occhiali con la montatura grossa/democristiana/a ballare il twist e il ballo del mattone/losca /le gite in vespetta/con le pezze al culo/spiderine! e forse ci ha preso, o forse no. Il Cumenda dice che allora si facevano ballare i mattoni, altroché, e nelle canottiere si sudava alla grande. Io me la figuro una merda, comunque. Il cappuccino in questione era quel Francesco Forgione, nom de plume Padre Pio, che tanto si era adoperato, con le sue belle parole, con le sue opere e con il suo stesso esistere, per mantenere viva e vitale una religiosità arcaica, preistorica e analfabeta, fatta di stimmate, superstizione, matrone che strillano e taumaturgia caciottara. Il fatto è che, come dice una tizia del computer, “Padre Pio, col suo profumo di santità, riusciva, negli anni 60, a chiamare a sé migliaia di fedeli che aspettavano ore ed ore che poi si trasformavano in giorni per poterlo incontrare e per poter essere benedetti dal frate miracolato”. Questa è la devozione popolare, un bovino scemo che quando odora il profumo di santità lo segue incondizionatamente e non capisce ANCORA più un cazzo, sì come la timida mosca scarlatta viene ghermita dal profumo di un mottarozzo di merda fumante nell’assolato meriggio agostano e null’alt r o pensiero la tange, delle cose del mondo. Dal prestinaio, l’altro giorno uno al cellulare diceva

SOFFERENZA

«Ma secondo me vaffanculo i vostri miracoli e la vostra schiatta di pataccari invasati con le croci sulla fronte, chi ha detto che la religione è l’oppio dei popoli dovrebbe quantomeno scusarsi con l’oppio». Poi non so, ho pagato e sono andato. Ma torniamo alla nostra storia. Avevano attraversato l’Italia in notturna, una vedova fresca fresca e il suo bambino, l’unico rimasto, un fregnone di otto anni, per una benedizione a pagamento dal Sai Baba del Mezzogiorno, ‘sto fenomeno che sanava i gibbosi e raddrizzava i nanetti. Lei, ancora carica di fede seppur liscia a denari, era già stata a Lourdes e a Loreto, ma le persone che aveva intorno continuavano a cadere come mosche. Lui, il boccia, diligente chierichetto con le braghette di ordinanza, imparava mansueto il catechismo e le vite dei santi, per mantenersi allegro. «È lì che ti fottono, quando sei più debole, con ipocrisia a pagamento e trucchi da giostrai» dice il mio vicino quando beve il prosecco e non ha paura di niente e nessuno. Combattere la sfiga con la fede. Pessima mossa, se lo chiedete a me. L a mattina, scesi dall’autobus, li avevano stipati in uno stanzone insieme con altre decine di pellegrini, ad aspettare per ore una graziosa manifestazione del sant’uom o . Immagino panini col formaggio che escono furtivi dagli involti (col salame no, nella casadiddio, p a r-

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rebbe sacrilego), consumati di straforo con un po’ di vergogna, mani unte che si strofinano sui fianchi per pulirsi, bambini che piangono, vesciche prossime a esplodere, coppie che litigano, qualche ceffone che vola, una serie di «Francesco, smettila!», «la vuoi, la mela?» «Adesso le prendi!» ecc. Ma magari no, che c’è il profumo di santità e si sta composti. «Italia, ti odio – ma cosa c’entra? Perché? – lascia stare, ti odio». Il vicino non sente ragioni. Infine, intorno a mezzogiorno, eccolo, il nemico dei perché*, il mistero di fronte a se stesso, che incede maestoso tra fedeli che si scappellano, masturbano le croci, gli baciano piedi e mani. Nel passare, gli cade l’occhio sulle gambette del ragazzino che spuntano dai calzoncini corti. No, non va a finire come pensate. Qualcosa non va, il boss comincia a imprecare, urla che non è possibile, gli si manca di rispetto, non si può non si può. E se ne va. Perché al suo cospetto un bambino portava i calzoncini corti. That’s fair. A quel punto, madre e figlio se la vedono brutta, i devoti sono parecchio su di giri e cominciano a coprirli di insulti, manco avessero scavallato la coda all’ufficio postale. E hanno ragione per dio - Sono ore che aspettiamo il santo/è dalle sette che sto qua, mo’ ce lo avete fatto incazzare. Avete fatto incazzare a Padre Pio! Sciagurati! Scostumati! Fetenti! Il tribunale popolare ha decretato che SIETE FOTTUTI, AMEN. «Quando le mancanze del singolo comportano una perdita di benefici per la collettività o addirittura penalizzano la collettività stessa, è prassi nelle società strutturate e coese quella di mettere le saponette negli asciugamani arrotolati e percuotere a turno con essi l’individuo in questione, messo in condizione di non vedere né reagire», diceva Eisenhower ai suoi domestici. Chissà. Ma l’Italia, si sa, ha un cuore grande così, e poi siamo tutti qui per il lieto fine. Scampato il linciaggio, la giovane madre parla con un po’ di suore, fa presente la sua situazione, triste, il viaggio affrontato, lungo, si profonde in scuse e caccia la mille lire. Sì, soprattutto caccia la mille lire. Ed ecco la mano di Dio che scende con i suoi diti fatati: dopo un lungo tergiversare, al bambino, prontamente inguainato in un par di calzoni degni di questo nome, viene concessa un’UDIENZA PRIVATA (udienza privata) col Santo. Naturalmente, nel presentarsi, il giovinetto reca con sé un ulteriore obolo. Non si tratta della semplice mille lire, ma di tre MONETE D’ORO (pirati morti? Galeoni? Rapine?) ereditate dal padre. Cazzo, la simbologia. Comunque, dicevamo, tre monete d’oro, che

l’omm’e’mmerda (obiezione, è tendenzioso) accoglie con austerità e mette dignitosamente in saccoccia. Quello che si sono detti lo rivelerò soltanto a Bruno Vespa. Oppure: Cosa si siano detti non è molto importante né, a quanto pare, ha lasciato un segno indelebile nella memoria del bambino, che nell’arco di pochi anni abbandonerà completamente e felicemente la confessione cristiana, con la serenità che riesce a dare solo un’evacuazione di quelle ben riuscite, per entrare nelle Milizie Di Satana Impalatore. Tutto è bene. Finito, la morale non c’è, la battuta finale neanche: vita vera zio, vita vera. Andate in pace. Vorrei che il Vaticano andesse in fiamme e il papa ne bruciasse lemme lemme e il papa ne bruciasse lemme lemme bruciasse i pret’in corpo alle su’ mamme. * Il “perché” ha rovinato il mondo, diceva saggiamente il ns Pilade Fioravanti


La Passione del sillogismo Io non amo la Madonna. Non è un modo gentile per bestemmiare, perchè non amo molto nemmeno bestemmiare. Dicevo: io non amo la Madonna. Al catechismo mi piaceva di più Gesù. La Madonna era una vittima destinata ad una vita infernale ancora prima di provare le dolci potenzialità del punto G. Almeno Gesù andava per templi facendo la figura di quello intelligente, moltiplicava i pesci, guariva i ciechi con gli sputacchi. Diciamolo: ai miei occhi Gesù era tre passi davanti alla Madonna. Lo potevi chiamare Gesù o, al massimo, Cristo (vocabolo che, lo ammetto, se ben scandito dà delle soddisfazioni). Lei, invece, bisognava chiamarla Vergine, Maria, Addolorata. Una tristezza indicibile. Destinata a fare la moglie ad un Geppetto più vecchio di lei, la mamma ad un figlio problematico, senza che qualcuno le avesse chiesto qualcosa. Condannata, ecco. Quindi sfigata in partenza. E poi, oltre tutto, oltre ai sacrifici, alle rinunce, alle lacrime per un figlio che muore non di malattia, ma perché lo impalano insieme ai ladroni, mi rigirava nel cervello la teoria blasfemissima che l’essere vittima e votata alla sofferenza fosse una cosa non propriamente bella. Il tutto, nonostante quello che diceva la suora mentre ci faceva colorare i pellegrini di Emmaus, che ho riapprezzato solo con quel dio di Caravaggio. Comunque. Insieme a questo, ossia a quello che mi raccontavano le suore, c’era mia nonna. Mia nonna non era propriamente una di quelle nonne sprint che girano il mondo, ma andava sempre (sempre) a Lourdes. Mia nonna amava molto la Madonna, anche se ora non credo che si ricordi chi è la Madonna. I primi anni c’era il pullman: schiere di vecchiette che

arrivavano stremate dopo ore di viaggio e dopo aver dormito sedute, alla grotta di Bernadette. Poi, negli ultimi anni, le vecchine in gita a Lourdes ci andavano in aereo. Prima dell’11 settembre e prima dei divieti di liquidi nel bagaglio a mano. Mia nonna tornava sempre carica carica di statuette della Madonna con l’acqua santa. Impossibile che non sappiate di cosa parlo: anche i meno cristianizzati di voi, devono averla vista almeno una volta nella vita. Bottiglietta a forma di Madonna, con copricapo-tappo azzurro. Io non amavo la Madonna, ma la Madonna ripiena di acqua santa mi è sempre piaciuta assai. Cosa che non è mai sfuggita a mia nonna. Avendo intuito la mia passione (con la p minuscola), nel corso degli anni, mi ha portato da Lourdes decine di Madonnine con acqua. Le ho, sfortunatamente, perse, abbandonate o dimenticate chissà dove. Non ne possiedo più nemmeno una, ma oggi ne sono pentita. Per mia nonna, ovviamente, il mio gradimento della Madonna acquatica era una tacita ammissione di fede. Il più banale dei sillogismi. Per questo sono sempre stata la nipote preferita, credo. Rimpiango il gadget geniale e continuo ad amare anche tutte le feste patronali siciliane dove si portano in spalla i santi di turno seguiti da gente urlante e scalza. E ho un brivido ogni volta che leggo del loro martirio su Wikipedia. Sì, forse non mi piace la Madonna, ma ho fede nel kitsch-folk della religione. Ninetta Bagarella

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CLASSIFICA DELLE

SALME FOTOGENICHE Dieci suggerimenti moda per un decesso very glamour

10 Augusto Pinochet

Beniamina di certi poliziotti italiani, questa salma non si è mai distinta per la sua cordialità. Una personalità piena di idiosincrasie e di tutti i peggiori vezzi da prima donna che, diciamolo francamente, hanno stancato già dall’immediato dopo Greta Garbo. Alle esequie si è presentato con un vetro sulla faccia. In rapida discesa. Bye bye!

9 Ernesto Che Guevara

Se John Lennon l’aveva fatta fuori dal vaso dicendo di voler diventare più famoso di Gesù, la scelta di farsi raffigurare come il “Cristo Morto” del Mantegna è una rovinosa caduta di stile del quasi sempre impeccabile Che. Un personaggio in calo di popolarità in una posa pretenziosa. In lenta ma inesorabile discesa.

8 Michael Jackson

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Sicuramente la più pimpante fra le salme nella top ten di questa settimana. La si vede cantare e danzare in uno stato di conservazione tutto sommato buono nel bellissimo “This is it”. Aveva ancora molto da dare ai suoi fans e alla danza, nonostante ad ogni giravolta volasse v i a qualche pezzo. Il pene, distaccatosi accidentalmente mentre agitava il pacco a tempo è stato battuto all’asta da una famosa casa newyorchese. Ad aggiudicarselo per la cifra di 56 milioni di dollari un ricco magnate della finanza russo. Stabile.

7 Vladimir Il’ič Ul’janov per gli amici

Lenin. Cosa si può dire su questa salma che non sia già stato detto da Oliviero Diliberto? Stabile a metà classifica da decenni, non riusciamo a liberarcene come un cartone di vecchie riviste che non leggiamo da anni, ma che non ci decidiamo a buttare o vestiti smessi comprati due mesi fa e poi passati di moda. I più complottisti fra i soliti beninformati avanzano l’ipotesi che la salma che abbiamo conosciuto ed amato in realtà sia una statua di cera. Potrebbe, a sorpresa e nonostante questo, rivelarsi un leader del Partito Democratico molto più credibile di quelli visti fino ad ora! Quando riesumano Veltroni sale sempre di un paio di posizioni.

6 Benito Mussolini

Semplicemente l’uomo che insegnò agli italiani di terra, di mare e dell’aria (?!) la pratica


della body suspension. Una salma la cui popolarità è ultimamente in rapida salita.

5 Aldo Moro In una cattiva vi-

gnetta de “Il male” l’ex segretario della DC inginocchiato davanti alla bandiera con lo stellone, si scusava per la propria caduta di stile. In realtà stava dando alla luce il radical chic italiano. Un richiamo fuori dai ranghi per l’alta borghesia molto più potente di quello di Joe Strummer (E senza errori di ortografia): i ricchi punkabbestia da sabato pomeriggio, senza neppure saperlo, devono tutto a questa icona dal fascino scarmigliato. Uno scatto che è pietra fondante di tutta l’estetica di quella sinistradestra che dagli anni Ottanta in poi, sempre più peso avrà per la nascita ed il consolidamento d e l Pensiero Unico Dominante. A dire il vero però la classe non l’ha m a i abbandonato: con la lungimiranza, il buon gusto - di quando “borghese” non era un insulto - e la sobrietà di chi signore è nato, ha legato indissolubilmente la propria immagine all’auto che rappresenta tuttora il massimo insuperato del design automobilistico popolare anni Settanta. La sua salma è ricordata con tanto affetto anche per questa fortunata joint venture.

4 Mu’ammar Geddafi Ovvero il Ghed-

dafi che non ti aspetti. Troppo frettolosamente definito da una critica più attenta alle cattive frequentazioni e all’abbigliamento come attore di fiction da strapazzo degno al massimo del Bagaglino, Mu’ammar Gheddafi si è rifatto col suo primo lungometraggio di cui non solo è protagonista ma anche sceneggiatore e produttore. “La cattura” è un film molto radicale, che facendosi beffe dell’autocensura e del politicamente corretto riporta il gore a livelli che non si vedono nel cinema occidentale dai tempi di “La macellazione di Gesù” di Mel Gibson. Tacciato superficialmente di essere un mockumentary adolescenziale post “Blair witch Project” la pellicola in realtà è una grande dichiarazione d’amore per il cinema italiano anni Settanta, in particolare Lucio Fulci, omaggiato a più riprese con citazioni ben precise (il primo piano dell’occhio trafitto). Convincente nel ruolo di un ex dittatore caduto in disgrazia

abbandonato al suo destino dai suoi migliori amici - memorabile il flashback nella tenda con il “regalo” di Berlusconi che richiama chiaramente il grottesco iperrealismo di Marco Ferreri - la sua interpretazione si fa ricordare per la grande forza espressiva, che certifica l’avvenuta maturazione del Gheddafi attore. Per ovvi motivi questo piccolo capolavoro, ingiustamente dimenticato e penalizzato dalla distribuzione, è diventato una sorta di testamento artistico per una figura che aveva ancora molto da dire, tanto al cinema quanto alla Corte Internazionale per i Diritti dell’Uomo. Quando si dice genio e sregolatezza.

3 Padre Pio Quando il kitsch diventa cifra

stilistica. Quando il cattivo gusto è spinto talmente al limite da diventare chic. Come e più dell’ultimo Elvis, Padre Pio ha scardinato ogni regola del buongusto. È grazie a Pio, se ora San Giovanni Rotondo, ha la sua Las Vegas. Un ecomostro imbottito d’oro come neanche la più pacchiana delle ville dei camorristi è mai riuscita ad osare. Una bruttura apparentemente senza logica che apre nuove frontiere all’architettura. Per la prima volta l’orrido non è involontario ma prepotentemente ricercato, lo si chiamerà irrazionalismo italiano, ma saranno necessari degli anni. Pio non si è smentito neanche quando ci ha lasciato, facendosi vendere a tranci ai numerosi visitatori che si accalcavano per banchettare sul suo corpo, dimostrando, con un’umiltà che molti artisti concettuali molto meno sofisticati di lui non hanno che se lui è trash, noi di certo non siamo da meno. Fra i tanti a tributarli i giusti, benché tardivi onori, John Waters. In discesa.

2 Gesù Un nome da calciatore brasiliano ed una

faccia da surfista californiano che è già icona, tanto pervasiva da diventare logo. Molto prima delle serigrafie di Warhol e le ballerine di Aphex Twin! È e rimane un capolavoro di marketing, benché costruito su un falso storico. Ai fans infatti non importa affatto che Gesù non avesse né la qualità musicale, né la presenza scenica dei Pistols, né che gran parte della farina venisse dal sacco del produttore Phil Spector (tralasciando completamente la disastrosa parentesi cinematografica, solo Elvis è riuscito a fare di peggio). Un personaggio finito nel mito per meriti che esulano dalle sua capacità artistiche, in verità assai modeste - un destino comune a molti belli morti prematuramente, vedasi il caso di James Dean. Il suo lascito va cercato altrove: è stato l’indossatore che ha reinventato completamente il concetto di Sindone, portando per la prima volta in passerella il sudario confezionato con tessuti decorati, con la stampa del viso di chi lo indossa, un’idea apparentemente

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semplice eppure geniale che, solo chi ha una personalità talmente forte da sopravvivere alle proprie spoglie mortali, poteva avere! Non “un” cadavere, ma “IL” cadavere; oppure nel lavoro tuttora avanguardistico fatto sul corpo. La carne che diventa immagine che diventa prodotto. La chiamano transustanziazione. Di qui passeranno tutti, da Malcom McLaren a David Bowie, dalle Spice Girls a Lady Gaga. In leggera discesa.

Giovanni Paolo II

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In vetta svetta... !!! È indubbiamente lui, la salma del momento. Riletti oggi i suoi comportamenti misogini e le sue esternazioni omofobe fanno quasi sorridere - e le insulse provocazioni filonaziste alla Sid Vicious di Benedetto XVI erano ancora ben lontane-, ma bisogna entrare nello spirito dei tempi, erano cose che facevano davvero scalpore, anche e soprattutto all’interno dell’ambiente punk-hardcore politicizzato dell’epoca dal quale Giovanni Paolo (nato Karol Wojtila e ribattezzato Giovanni Paolo II, dal chitarrista della sua band dell’epoca, pochi minuti prima di salire sul palco per il primo concerto) proveniva. Una vita ed un successo che sono un insulto ad una società sempre più anestetizzata dal politically correct. Letti organicamente le liriche e gli scritti di G.P. II sono provocazioni molto più sottili del banale «Voglio essere il tuo cane» di Iggy Pop o dell’esplicito «Per favore ammazzatemi» di Richard Hell. Quello, che per una vita, ha chiesto a gran voce ad una società, che preferisce odiare chi mangia merda come G.G. Allin, piuttosto che riflettere un minuto sulla frase «Cos’altro devo dire per farmi odiare?», è rimasto inascoltato. La critica (A parte quella turca) sembra non aver capito le vere intenzioni di questa figura, a partire dall’unico disco in studio registrato da questo performer. Troppo facile descriverlo come un flop, troppo semplicistico definirlo come un disco inutile che non restituisce l’impatto che la band di Giovanni Paolo II aveva nei concerti. A G.P. non interessava che i suoi fans potessero sbattere la testa nelle loro camerette, l’artista sentiva che era ora di veicolare in maniera più compiuta il proprio messaggio, andando oltre i testi delle canzoni che potevano troppo facilmente essere ridotti a slogan. E’ un disco de reading, per certi versi simile a quelli contemporanei di Jello Biafra ed Henry Rollins e ad un ascolto attento si ha l’impressione

che tutto quello che è finito nei solchi sia fortemente voluto, che G.P. II abbia voluto testardamente fare tutto quello che non ci si aspettava da lui (A partire dall’omaggio agli Abba del titolo in netto anticipi su tutto il recupero della disco degli anni successivi), come estromettere quasi completamente la strumentazione rock dai suoni del disco, adottando sonorità eteree ed ovattate tipo i primi Psychic T.V. che stridono con la recitazione arcigna alla Burroughs ed i cori gregoriani che danno a tutto il disco un’inquietante coloritura esoterica fino all’uso del latino che riannoda i fili con la parte più situazionista del movimento punk e si riappacifica con Derek Jarman. A conti fatti “Abba Pater” è un finto manufatto new age beffardo quanto ben confezionato che anticipa tutta la produzione ambient di Burzum. Un cavallo di Troia che ha portato uno dei dischi più sovversivi degli ultimi tempi a dividere lo scaffale dei compact disc con Andrea Bocelli e Celine Dion nelle case della classe media. Le polemiche su una beatificazione tanto frettolosa e una santificazione che procede inesorabile come un carro armato israeliano nella striscia di Gaza ben carburata da miracoli costruiti ad arte li lasciamo alle solite malelingue, come anche le critiche velenose sulle sue frequentazioni quanto meno discutibili (Vedi alla posizione n. 10) o sul fatto che il suo pontificato sia stato un paradiso per i preti pedofili. La beatificazione di Giovanni Paolo II è come vincere la finale dei mondiali con un rigore inesistente. Sono tutti contenti ed è subito POO POPPO’ POPPO POOOO PO (o se preferite SA-NTO SUBITO!). R. Fiore


IL BESTEMMIATORE Franco era un vero blasfemo. Aveva cominciato da adolescente, verso i 13-14 anni, per ribellarsi alla famiglia bigotta cui apparteneva, per sentirsi grande, per non essere da meno dei suoi amici che ogni secondo tiravano un porco qua o un porco là. Guai a non bestemmiare! Si sarebbe fatta la figura del cocco di mamma. Crebbe normalmente. Cominciò a fumare, a bere, ad andare a donne (e a volte a donnacce) e la bestemmia fu sempre la sua fedele compagna. Passati i primi tempi divenne un’abitudine, un semplice intercalare, non aveva più quella patina di ribellione, era quasi un suono privo di significato. Talvolta si lanciava in virtuosismi, magari con gli amici. Inventava bestemmie lunghe ed articolate, in cui accoppiava le divine effigi con le più svariate specie animali, snocciolava rosari di aggettivi, non necessariamente offensivi in sè (ad esempio “insaccato” o “radioattivo”) oppure mestieri improbabili (“Dio Campanaro” era quasi entrata nell’uso comune). Era un ottimo esercizio da osteria per farsi quattro risate con i compagni di bevuta. A volte organizzavano dei veri e propri tornei di “Bestemmia Creativa”, e al vincitore andavano bevute e mangiate gratis. Però, nell’urgenza del momento, quando veramente la bestemmia diventava la valvola di sfogo per una rabbia improvvisa, quando si pestava un dito col martello, quando era in ritardo e scattava il rosso, quando la sua squadra incassava il quarto goal consecutivo, allora si rifugiava nel classicismo. Ritornava agli epiteti ufficiali: “cane” e “porco”, le bestemmie per antonomasia. Più raramente avanzava ipotesi su una segreta professione della Madonna, che dopo gli anni Ottanta si confuse con la professione ufficiosa dell’altra Madonna, quella che cantava, togliendo così parecchio mordente alla bestemmia al femminile. C’est la vie. La sua esistenza trascorse così, tra bestemmie classiche e creative, giornate di lavoro e semestri di cassa integrazione, bevute, fumate e mangiate, fino a

quando il suo cuore, tra il quinto e il sesto decennio della sua vita, decise di dare le dimissioni. Franco si sentì mancare il respiro, ebbe appena il tempo di biascicare un mezzo porco a bassa voce prima di afflosciarsi sul secondo pianerottolo del suo condominio, a pochi gradini dalla porta di casa. La vista del suo corpo dall’esterno fu sorprendente, ma la scena in se stessa molto poco cinematografica, dato che nessuno sarebbe passato di lì in un quarto d’ora abbondante. Lui non avrebbe visto i suoi, ahimè inutili, soccorritori. Si sentiva già risucchiare verso l’alto, verso una specie di corridoio buio spuntato da chissà dove, sentì freddo, sentì caldo, sentì voci, quasi gli scapparono un porco e due cani (l’abitudine, si sa…) poi si ritrovò a fronteggiare una luce immensa… una luce? Beh, sì, era una cosa luminosa, ma non era come il lampione all’angolo, e neanche come il sole… era indefinibile… gli sembrava che in quella luce si muovessero molte immagini diverse, ma quando cercava di guardarla fissa restava abbagliato e basta. Anche la parola “abbagliato” non descriveva esattamente la situazione. Innanzitutto lui non aveva più occhi fisici da abbagliare. In secondo luogo la sensazione non era affatto spiacevole… però, come distoglieva l’attenzione gli sembrava di vedere altre cose, con la coda dell’occhio (se avesse avuto gli occhi, per lo meno). Un attimo era un occhio gigante… poi era Jimi Hendrix... poi un baobab… poi una foca monaca… poi un geranio e Gandhi allo stesso tempo…poi Rita Hayworth… in un certo senso era il più sballoso caleidoscopio che si fosse mai visto. Si sentì apostrofare… gentilmente… e subito «oh porco d…» ma si fermò terrorizzato! Cosa stava per fare! Bestemmiare di fronte a… a quella cosa, qualunque cosa fosse… non che fosse mai stato credente, ma nel dubbio… L’essere caleidoscopico sembrò individuare i suoi pensieri e gli trasmise un’onda di benessere, di ami-

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cizia. «No, non preoccuparti. Non puoi offendermi dandomi del porco, poi… cosa c’è di offensivo nell’essere un maiale? Non l’ho forse creato io? E poi, andiamo, non è simpatico? Tutto rosa, con quella coda arricciata, quel naso schiacciato… anzi, è una delle creature che preferisco. E chi più di un maiale, può essere accostato ad un martire? Non sai che tutti i maiali che avete ucciso per farne salami e prosciutti sono stati santificati? A differenza di certi santi terrestri che ho fatto reincarnare come maiali. Uno solo è stato il mio errore nella Creazione!» Per un attimo l’essere sembrò Gimmy dei tre porcellini. Franco era allibito. Troppe rivelazioni in un colpo solo. «Ma la reincarnazione… non è una cosa da buddisti?» «Beh, non lo sai che sono un fan di Buddha? È stata una delle mie migliori creazioni!» rispose. Per un istante apparve un monaco zen magro e sorridente, con un’aureola stroboscopica blu e gialla ed una T-shirt con la scritta “I Love Buddha” in caratteri gotici anch’essi fluorescenti ad intermittenza. «Ad ogni popolo il suo, non posso mica mandare lo stesso profeta a tutti… va beh, che da 2.000 anni

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rappresentate un Nazareno puro sangue, (quindi un semita) alto, biondo e con gli occhi azzurri, manco fosse stato uno svedese! Il vostro dio era Herne il cacciatore, il dio cornuto dei celti! » L’aureola si tramutò in un paio di corna, ed il suo volto assunse dei connotati caprini. «Voi me l’avete fatto diventare Satana!» Franco deglutì. Quindi dio era buddista? O pagano? O Satanista? Ma credeva in se stesso? «Certo che credo in me stesso - sogghignò la luce pensi che abbia bisogno dello psicanalista? Quello l’ho creato per voi! Sempre insicuri! Io non ho problemi di autocoscienza, cosa credi?» Franco ebbe una vertigine. Era troppo per lui… a malapena leggeva i giornali sportivi, e qui si sconfinava già nella filosofia e nelle religioni orientali. Gli scappò un “Dio c…” e s’interruppe di nuovo. Se avesse avuto un volto sarebbe impallidito. «No, non preoccuparti… - spiegò sempre amorevolmente la luce - il cane è ancora più simpatico. E poi, non dite sempre che è il miglior amico dell’uomo? Ed io cosa dovrei essere, il peggior nemico? A buon diritto sono il più grande dei cani!!! Non so perché avete una visione così negativa di cani e maiali… e peggio ancora i musulmani, che li considerano impuri perché mangiano i loro stessi escrementi! Ma quando mangiate un’insalata, da dove pensate che cresca? Non concimate forse i vostri campi con gli escrementi? Oh a proposito di musulmani…» In quel mentre una carovana di anime si avvicinò dal fondo del tunnel oscuro. Franco non era solo in quel luogo fuori da ogni immaginazione, altre anime andavano e venivano, molti altri erano a colloquio con quell’essere luminoso, e lui era contemporaneamente presente in tutte quelle conversazioni, e nessuna di esse si intrecciava con le altre. Era una specie di immenso centralino. Ora questo gruppo di 15-20 persone si stava avvicinando e, le proiezioni dei loro volti (perché non si poteva certo parlare di volti veri e propri), avevano dei tratti spiccata-


mente mediorientali. «Un altro kamikaze in Iraq…» sospirò l’essere di luce mentre si trasformava in un arabo senza volto. Un’anima del gruppo, probabilmente il terrorista, fece una smorfia di vergogna… «D’altronde non è colpa tua, ti hanno ingannato come tutti gli altri…» Franco non si trattenne e chiese: «Ma il corano…?» «Certo che l’ho scritto io, chi se no? Però l’ho scritto in maniera molto semplice, dovevo farlo capire a dei pastori del deserto… mica potevo spiegargli che mangiando il maiale sarebbero esplosi per il colesterolo, no? Dovevo dar loro delle direttive precise, gli ho detto che era impuro! Il maiale era per i popoli nordici che avevano bisogno di grassi per combattere il freddo! Questi in 1.300 anni hanno travisato quasi tutto!» «Ma non si può mandar loro un altro profeta?» sussurrò Franco timoroso… «Eh, fosse facile… è già l’ottavo che mi fanno saltare prima del tempo!» Un’altra anima si staccò dal gruppo dei musulmani, un’anima più luminosa ed indistinta, un piccolo caleidoscopio, che per un secondo assunse l’aspetto di un giovane muezzin, allargò le braccia, fece spallucce, e se ne volò verso un altro tunnel. «Vai, vai... reincarnati ancora, chi la dura la vince!» sospirò la luce più grande. «Allora sono stati i musulmani quell’errore nella creazione?» «No, no, figurati, ti pare che ne avrei fatti così tanti? Ho commesso un errore soltanto». INTANTO, SULLA TERRA… In una lussuosa clinica della capitale, in un’enorme stanza, vuota tranne che per un letto, un medico sollevava la testa dal petto del paziente ormai immobile. Ripose lo stetoscopio. Si avviò lentamente verso la porta ed esitò di fronte alla maniglia. Poi la girò, aprì la porta ed uscì in corridoio. Richiuse la porta lentamente e chinò la testa. Nel corridoio c’erano due gorilla enormi, dotati di occhiali da sole e dei rigonfiamenti sotto le ascelle che certo non erano foruncoli. La moglie ed i figli del paziente attendevano a metà tra l’incerto e lo scocciato. Di certo avevano mille altri impegni. Quella per loro era una colossale perdita di tempo. Dalla finestra socchiusa giungeva il rumoreggiare dei giornalisti accampati nel parcheggio. Da due settimane ormai lo assillavano di domande, intralciando il lavoro dell’intero ospedale rischiando di farsi investire dalle ambulanze in corsa. «Adesso avrete di che riempire le vostre maledette prime pagine» pensò. Poi gli scappò un mezzo sorriso pensando che anche lui avrebbe avuto un posticino in prima pagina e nei notiziari della sera.

Rincuoratosi a quest’idea, assunse un’espressione addolorata, si concentrò per un secondo, cercando di renderla plausibile, si girò ed annunciò ai familiari del paziente più importante d’Italia: “È finita. Non c’era più niente da fare.” Nella stanza, l’anima del Presidente svolazzava lentamente sul soffitto. ALTROVE Franco credette di morire un’altra volta… «Non sarò mica io, l’errore?» pensò, accompagnando istintivamente il pensiero con un «Puttana la Ma…», mordendosi le labbra che non aveva. «No, non sei tu. E non pensare di insultare una delle mie madri terrene con una semplice parola. Mi hai preso per un moralista? Quelle donne che sono costrette a vendere il loro corpo per sopravvivere sono altrettante sante, ne’ più ne’ meno dei maiali. E quelle che lo fanno senza costrizione amano il loro prossimo come io ho sempre raccomandato a tutti di fare. Semmai non capisco le suore di clausura, che ammuffiscono in tetri monasteri, mi assordano di litanie incomprensibili e poi si masturbano con i candelabri, amando solo se stesse, o al limite il candelabro che non ha poi un gran bisogno… a loro sì che farebbe bene un po’ di vita!» Per un istante diventò una suora in topless che ballava al ritmo di Marylin Manson. Incredibile! Tutto quello che gli avevano segnalato come peccato veniva depenalizzato davanti ai suoi occhi, ma allora anche i concorsi di bestemmia creativa… «Ah, quelli! Che spasso! Vera e propria poesia! Erano i miei svaghi preferiti! E lo sono tutt’ora… io amo ogni forma d’arte sai? Dalla Cappella Sistina ai Black Sabbath! Anzi, quella che ti fece vincere il premio Saracca nel 1988, te la suggerii io stesso… non era geniale? Divina, oserei dire? Ah ah ah ah!» disse, tramutandosi in Guglielmo, il suo compare di bestemmie preferito e rotolandosi avanti e indietro, tenendo il pancione mentre rideva. In una frazione di secondo era ridiventato l’essere di luce. «No, veramente ho fatto un solo errore, ma tu non c’entri». In quel momento, nell’infinito fiume d’anime che entrava dal tunnel si alzò una voce: «Mi consenta. Scusi… sia gentile, mi faccia passare…ma sa chi sono io?” Franco girò la testa per vedere chi, tra tutte quelle anime silenziose, fosse così inopportunamente fastidioso, e la sorpresa fu grande, quando la riconobbe. «Dio…» ma si corresse subito ed invece pronunciò il nome del nuovo arrivato «… Berlusconi!» Gli giunse forte un’ondata di fastidio e l’essere di luce sbottò:

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«Ehi, non offendiamo, eh?!» Dio aveva rimediato al suo errore. La luce si placò all’istante. Franco era sbigottito. Dopo una vita di blasfemia attiva, l’unica volta che era veramente riuscito ad offendere Dio, era stato dopo la morte… e per sbaglio! Ma Dio, da buon buddista-pagano-panteista-zencristiano-animista-comunista-musulmano si riebbe subito e ritornò ad inondarlo di benessere e comprensione. «Bene, è tempo che tu vada…» «Dove?» Protestò Franco. Proprio ora che si stava abituando… «A reincarnarti! Cosa credi che mi tenga per casa tutte le anime del mondo a far confusione? Ci sono già stati altri tre attentati nel mondo, ho tutte le linee intasate, sciò…» E Franco fu attirato lentamente da un altro tunnel. Fece appena in tempo ad intravedere la nuova anima che si rivolgeva alla luce con un sorriso ironico: «Scusi, abbassi i riflettori, posso sapere chi comanda qui? Le do il mio biglietto da visita, mi consentaaaaaah» L’anima di Berlusconi fu scaraventata senza troppe cerimonie per lo stesso tunnel in cui anche Franco stava scendendo, seppur con maggiore comodità.

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Ad un tratto si ritrovò al buio. Sentì di nuovo una strana fisicità circondare la sua essenza. Poi una boccata di ossigeno gli bruciò la gola… gola? Aveva di nuovo una gola? Questa volta non gli uscì neanche un porc… tutti i ricordi stavano scomparendo molto velocemente, come i frammenti di un sogno vengono risucchiati via dall’acqua fredda al mattino. Aprì gli occhi improvvisamente e si ritrovò a fissare una luce abbagliante, ma in senso fisico. Stava fissando il cielo, non solo… vedeva anche una coda rosa e arricciata. Cercò di sostenersi sulle sue quattro zampe, mosse dei passi incerti… sua madre emise un «Oiink» soddisfatto. C’erano altri nati nella sua cucciolata, altri suoi fratelli; anche loro cominciavano a muoversi, ad aprire gli occhi… girò la testolina rosea e si ritrovò a fissare la testolina di un altro cucciolo. Franco (?) sputacchiò un «pooooink…» tutto quello che riuscì a fare fu di emettere un grugnito. Come per rispondergli, l’altro porcellino sibilò un “Micoooooink!” e grugnì a sua volta. Erano due porcellini molto simpatici, con ottime probabilità di santificazione. Acid Jack Flash


IL GATTO DI KEVIN

L’Universo è fottuto e Dio è impotente, scemo e cattivo

Questo mi fa venire in mente una ragazza che conoscevo una volta, ammalata di cancro. L’andai a trovare una volta all’ospedale e non la riconobbi; seduta sul letto, sembrava un vecchietto senza capelli. La chemioterapia l’aveva gonfiata come un acino di uva. A causa del cancro e della terapia era rimasta virtualmente cieca, quasi sorda, in preda a continui attacchi, e quando mi chinai su di lei per chiederle come stava, lei rispose, quando riuscì a comprendere la mia domanda: «Sento che Dio mi sta curando.» Aveva avuto delle inclinazioni religiose, e aveva pensato di entrare in un ordien religioso. Sul comodino metallico accanto al letto aveva appoggiato, o qualcuno lo aveva fatto epr lei, il suo rosario. A mio parere, un cartello con VAFFANCULO, DIO sarebbe stato più adatto del rosario. Tuttavia, in tutta onestà, devo ammettere che Dio (o qualcuno che si faceva chiamare Dio, una pura questione di semantica) aveva impresso preziose informazioni nella testa di Horselover Fat, mediante le quali suo figlio Christopher poté salvarsi. Alcuni Dio li cura, altri li uccide. Fat nega che Dio uccida qualcuno. Fat dice che Dio non fa mai male a nessuno. La malattia, il dolore e le sofferenze non meritate non vengono da Dio, ma da qualche altra parte; al che dico: da dove salta fuori questa altra parte? Ci sono due divinità? Oppure è una parte dell’Universo sfuggita al controllo di Dio? Fat aveva l’abitudine di citare Platone. Nella cosmologia di Platone il nóus, o Mente, opera per assoggettare l’anánke, ossia la cieca necessità (o il cieco caso, secondo alcuni esper-

ti). Nóus andando in giro scoprì un giorno, con sua grande sorpresa, il cieco caso; il caos, in altre parole, sui cui nóus impose l’ordine (anche se, come lo fece, Platone non lo dice da nessuna parte). Secondo Fat, il cancro della mia amica consisteva in un disordine non ancora ridotto in una forma senziente. Nóus, o Dio non l’avevano ancora raggiunta, al che obiettai: «Bé, quando l’ha raggiunta era troppo tardi.» Fat non ebbe alcunché da dire, almeno in termini orali. […] Ci divertivamo ad attirare Fat in dispute teologiche, perché lui si arrabbiava sempre, partendo dal presupposto che quello che noi dicevamo sull’argomento aveva importanza... che l’argomento medesimo aveva importanza. […] Non c’era bisogno di tormentarlo con domande oziose del tipo: «Se Dio può fare tutto, può creare un fosso talmente largo che non possa saltarlo?» Avevamo un sacco di domande vere a cui Fat non riusciva a dare una risposta. Il nostro amico Kevin iniziava sempre il suo attacco allo stesso modo. «Cosa mi dici del mio gatto?» chedeva Kevin. Parecchi anni prima aveva portato a passeggio il suo gatto, verso sera. Quello sciocco non gli aveva messo il guinzaglio, e il gatto era schizzato sulla strada, proprio sotto le ruote di una macchina di passaggio. Quando aveva raccolto il corpicino, era ancora vivo, respirava fra una schiuma insanguinata e lo fissava con gli occhi pieni di orrore. Kevin usava dire: «Il giorno del giudizio, quando sarò chiamato davanti al grande giudice, io gli dirò: ‘Aspetta un momento’, e tirerò fuori il mio gatto morto da sotto la giacca. ‘Come me lo spieghi questo?’ gli chiederò.» Ormai, diceva

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Kevin, il gatto sarebbe stato rigido come un tegame per friggere, e lui l’avrebbe tenuto per il manico, cioè la coda, in attesa di una risposta soddisfacente. Fat disse: «Nessuna risposta di soddisferebbe». «Okay, Dio ha salvato la vita di tuo figlio; perché non ha fatto in modo che il mio gatto corresse sulla strada cinque secondi dopo? Tre secondi dopo? Troppo disturbo? Già, immagino che un gatto non abbia molta importanza!» «Sai Kevin,» osservai una volta «avresti potuto mettergli il guinzaglio.» «No» disse Fat. «Non ha tutti i torti. La cosa rende perplesso anche me. Per lui il gatto è il simbolo di tutto ciò che non capisce nll’universo.» «Io capisco benissimo» disse Kevin amaramente. «L’universo è fottuto. Dio o è impotente, o è stupido, o non gliene frega niente. O tutte e tre le cose. È cattivo, scemo e debole. Penso che comincerò la mia esegesi.» […] Avevamo anche David, il nostro amico cattolico, e la ragazza che era stata ammalata di cancro, Sherri. Era entrata in remissione, e l’ospedale l’aveva dimessa. In una certa misura, la vista e l’udito erano rimasti irrimediabilmente danneggaiti, ma per il resto stava bene. Fat, naturalmente, usava questo come argomento a favore d Dio e dell’amore risanatore di Dio, come faceva David, e ovviamente Sherri stessa. Kevin vedeva la guarigione come un miracolo della radioterapia, della chemioterapia, e della fortuna. Inoltre, ci confidò, il miglioramento era temporaneo. In qualsiasi momento Sherri poteva star male di nuovo.

Kevin lasciava oscuramente intendere che la prossima volta non ci sarebbe stata alcuna remissione. Qualche volta ci veniva da pensare che lo sperasse, perché questo avrebbe confermato la sua visione dell’universo. […] Essendo cattolico, David faceva sempre risalire tutto il male alla libera volontà dell’uomo. Questo infastidiva perfino me. Una volta gli chiesi se il fatto che Sherri si fosse presa il cancro era un esempio di libera volontà, sapendo che David si teneva al corrente di tutti gli sviluppi della psicologia, e avrebbe fatto l’errore di affermare che Sherri aveva inconsciamente desiderato di avere il cancro, e così escluso il suo sistema immunitario, un’idea che circolava negli psicologi all’avanguardia, a quei tempi. E infatti David ci cascò e disse così. «Allora perché è migliorata» chiesi. «Desiderava inconsciamente di star bene?» David parve perplesso. Se attribuiva la malattia di Sherri alla sua mente, era costretto a consegnare anche il suo miglioramento a cause mondane, e non sovrannaturali. Dio non aveva niente a che fare con la faccenda. […] Nessuno di noi capiva qualcosa della situazione, ma avevamo un sacco di tempo libero da sprecare in questa maniera. Ormai l’epoca delle droghe era terminata, e tutti si davano da fare per cercare qualche nuova ossessione. Per noi la nuova ossessione, grazie a Fat, era la teologia. Philip K. Dick, La Trilogia di Valis – Part. I


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