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LA MIA SCUOLA

Giuseppe Laporta

Sette per otto: cinquantotto. Nove per sette: sessantasette. Apri il palmo della mano, somaro! E nzachete, cinque spalmate.

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Passiamo ai verbi. Dimmi il trapassato remoto del verbo avere.

Io ebbi stato, tu avesti stato, egli…Apri i palmi delle mani, animale! E nzachete, cinque o dieci spalmate per ogni mano.

Spalmate venivano chiamate i colpi vibrati con un rigone di legno, lungo 50/60 cm, largo 5/6 cm, spesso 10 mm e provvisto di impugnatura.

L’attrezzo o se vogliamo, lo strumento di punizione, veniva fornito da qualche zelante compagno di classe che aveva il padre o un suo parente falegname; il poverino, desideroso di ingraziarsi il maestro, nontenevaindebitocontocheprimaopoil’iniziativasisarebberitortaanchecontrose stesso,proprio come un boomerang; e che soprattutto sarebbe stato bollato come “cocco della maestra” da tutti i suoi compagni di classe.

Questa era una delle modalità punitive: ce n’erano altre che sebbene meno dolorose erano più umilianti. Ma prima di passare oltre conviene fare una breve e sommaria descrizione delle strutture scolastiche nel sud Italia a quei tempi: erano gli anni cinquanta.

La scuola dove io frequentai le elementari, in Cerignola (FG), era una delle migliori sia come edificio sia come gruppo insegnanti. Le aule erano ampie, i soffitti alti, contenevano una quarantina di scolari.

I banchi erano in legno massiccio monoblocco di colore nero ed avevano due sedute; il piano superiore era unico, leggermente inclinato, al centro del quale c’era un calamaio incorporato che veniva rabboccato tutte le mattine dal bidello; sotto l’elemento superiore c’era un ripiano sul quale veniva riposto la cartella: che era quasi sempre di stoffa, confezionata alla buona da qualcuna della famiglia che era in grado di cucire; solo alcuni potevano permettersi il lusso di una cartella di cartone.

I quaderni avevano la copertina nera e i libri erano solo due: il sussidiario e quello per le letture: avevano poche e striminzite immagini.

Le penne erano a inchiostro, costituite da un tondino di legno del diametro di 6/7 millimetri, lungo una quindicina di centimetri, alla estremità del quale si innestavano i pennini simili a quelli delle penne stilografiche. I pennini erano di due tipi: a campanella o a cavallotto; quando si spuntavano venivano sostituiti. Oggi si butterebbe tutto.

I banchi erano disposti in tre o quattro file a seconda dell’ampiezza dell’aula. Al centro, di fronte ai banchi c’era la cattedra di legno massiccio, poggiata su una pedana molto ampia e che nell’insieme incutevano timore e autorevolezza. Alla sinistra o alla destra della cattedra c’era la lavagna sorretta da un telaio anch’esso in legno con un piccolo ripiano per i pezzetti di gesso e un pezzetto di stoffa per cancellare. In alto, sulla parete dov’era addossata la cattedra c’era il crocefisso e l’altoparlante dal quale il direttore scolastico diramava i comunicati. Quasi tutte le scuole avevano al loro interno un refettorio dove gli alunni meritevoli e quelli più bisognosi potevano beneficiare di qualche pasto gratuito. I turni scolastici erano tre: dalle otto alle undici; dalle undici alle quattordici e dalle quattordici alle diciassette. Ogni classe aveva un solo maestro o maestra: non c’erano insegnanti di sostegno. Al bagno si andava una sola volta durante la lezione; tutta la scolaresca, in fila per tre o quattro, si fermava nel corridoio davanti ai servizi e a turni di tre o quattro per volta si entrava. ***

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