Urban 140 -The Scandal Issue

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THE SCANDAL ISSUE

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PHOTO MARTINA GIOVANNA BARDOT

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MA VE NE ACCORGETE PURE VOI? CHE LÀ FUORI È TUTTO UGUALE, TUTTO STANDARDIZZATO, TUTTO CONFORME. CHE LA PRIVACY SE NE È ANDATA A FARSI FOTTERE, CHE ENTRARE IN LIBRERIA EQUIVALE A ENTRARE IN UN CIMITERO, CHE CON LA SCUSA DELLA PAURA SANNO DOVE SIAMO, COSA COMPRIAMO, COSA DICIAMO, COSA VOGLIAMO, E QUESTO PERCHÉ SPESSO I NOSTRI BISOGNI SONO DETTATI DA STRATEGIE DI MARKETING, CONDIZIONAMENTI PIÙ O MENO DIRETTI, PIÙ O MENO CONSAPEVOLI. DOVE SI VA DA QUI? IL TERRORISMO È DIVENTATO UN SISTEMA SOCIALE. ALLARMI METEO, ALLARME VACCINI, ALLARME CRIMINALITÀ. L’ALGORITMO REGNA SOVRANO. E LA SOLUZIONE NON SARÀ MAI UNA VITTORIA, UNA FUGA, LA SOLUZIONE SARÀ SEMPRE LIMITARE LA SCONFITTA, RIUSCIRE A SALDARE A SÉ STESSI UN SPAZIO VITALE, MODALITÀ STAND BY AL CELLULARE. LA VERITÀ È CHE AMO I PIRATI, COME QUELLI CHE NEL 700 LOTTAVANO CONTRO CIÒ CHE GLI ALTRI CHIAMAVANO SVILUPPO DELLA CIVILTÀ, FATTA DI REGOLE, MERCATO, IMPOSIZIONI, COMPORTAMENTI BORGHESI. LA VERITÀ È CHE I PIRATI OGGI SONO QUELLI CHE LEGGONO E FANNO LETTERATURA, ARTE, CHE VANNO CONTRO IL SENSO COMUNE, IL SENSO DEL PUDORE. QUELLI CHE RIVENDICANO IL DIRITTO DI ESSERE SÉ STESSI, ANCHE SE GIUDICATI SBAGLIATI. QUELLI CHE FANNO SCANDALO. QUELLI CHE RIESCONO A ESSERE SUBLIMI SOLO SE SCONVOLGONO, CHE TI SBATTONO IN FACCIA IMMAGINI, SENSAZIONI, PAROLE CHE PROVOCANO UNA REAZIONE AL LIMITE CON L’OSCENO. QUELLI CHE CI METTONO LA FACCIA DIFENDENDO LE PROPRIE IDEE E ACCETTANDO LE CONSEGUENZE (PAGINA 12). UN’ARTISTA CUBANA CHE RITRAE L’ESPERIENZA SOCIALE ESPLORANDO LA CRUDELTÀ, LO SPORCO, LA RISATA INQUIETANTE CHE CONFINA CON LA PAZZIA E, NATURALMENTE, IL SESSO COME MATERIA CRUDA, DIRETTA E CHE DICE: LE PERSONE CREANO SCANDALI SOLO PER COPRIRE PAURE E MANCANZA DI CORAGGIO (PAGINA 18). UNA CITTÀ, BERLINO, CHE È UN NON LUOGO PERENNE, DIVISA E FERITA, ABITATA DA VIANDANTI PERSI E DI FRONTIERA, CHE LOTTA PER RESTARE UMANA TRA CENTRI COMMERCIALI E STRASCICHI IDEOLOGICI (34). UN FOTOGRAFO CHE TRA UNA STORIES DI BELEN E UNA DELLE VACANZE AL MARE DELLA TUA COLLEGA TI SPARA DIECI SECONDI DI GUERRA, QUELLA VERA, A MOSUL, IRAQ. INFASTIDENDOTI L’APERITIVO, LA CENETTA, LA PERCEZIONE DELLA TUA LIMITATA E VOLGARE REALTÀ E FACENDOTI PENSARE CHE MENTRE IL GIOVEDÌ STAI GIOCANDO A CALCETTO C’È DAVVERO QUALCUNO CHE STA LOTTANDO PER LA LIBERTÀ DEL SUO POPOLO (14). EHI PERBENISTI, BENPENSANTI, STATE LONTANO DA QUESTE PAGINE. IL CONFORMISMO UCCIDE. GLI INFLUENCER FANNO MALE. IL CAOS, SE NON ALTRO, È UN ANTIDOTO ALLA NOIA, QUELLA CHE HA PRESO IL SOPRAVVENTO, QUELLA INTELLETTUALE. VIVA CHI RECA SCANDALO

MORENO PISTO


TH E SC A N D A L I S S U E / INTER VISTA

«A SEDICI ANNI HO TROVATO LAVORO IN UN PORNO SHOP. E' ABBASTANZA SCANDALOSO?» NOVE DOMANDE A ANDY BUTLER DEGLI HERCULES AND LOVE AFFAIR DI MARCO CRESCI


Andy Butler è una leggenda, dj e produttore di fama internazionale, gay dichiarato, ha creato gli Hercules and Love Affair un vero e proprio collettivo di musicisti e artisti LGBT nel 2007 facendosi conoscere presto in tutto il mondo con il disco anthem Blind, cantato da Anhoni. Da allora la formazione è mutata molte volte fino a solidificarsi nei tre elementi di oggi: il master delle cerimonie Andy, il trans-gender franco-algerino Rouge Mary e il vocalist belga Gustaph. Incontriamo Andy a Milano, dove ha aperto con la sua band il concerto degli Arcade Fire, un omone sorridente ancora affannato dall’esibizione che non vede l’ora di parlarci di Omnion, il quarto album della band.

In questo album c’è una presa di posizione sociale, cosa ti ha spinto verso questa direzione, è stata premeditata? Quando cominci a lavorare a un album l’unica cosa certa di cui sono a conoscenza è quello che non voglio fare, in questo caso quando mi sono messo al lavoro mi sono chiesto: «Quale contributo posso dare al panorama dance? Cosa manca alla scena e quale nuovo contributo posso portare? Cosa non vedo e vorrei fosse presente?». Quindi in conclusione ho deciso di creare un album di musica elettronica emotivo e sostanzioso, recentemente ho realizzato quanto la scena dance sia vuota e priva di messaggi significativi, tutto è divertente e esuberante ma non porta nessun messaggio.

Ciao Andy, come stai? Ciao, sono in tour con la mia famiglia quindi sto molto bene! É bello dopo tanti anni di lavoro essere circondato dalle persone a cui più tieni, gli Hercules and Love Affair sono la mia vita, non solo la mia band e credo che sia un gran privilegio.

Quindi hai cercato di colmare questo vuoto? Esattamente, sono un amante della musica e sono cresciuto nei night club, ho visto la scena dance crescere e evolversi ma mai come avrei voluto. Io amo ballare sul dancefloor e allo stesso tempo provare un’emozione intensa e non solo ballare con le mani alzate al cielo felice, non mi piacciono le emozioni statiche. Chi ha detto che non puoi piangere in discoteca se una canzone ti tocca nell’anima? Una canzone dance può anche essere edificante e con un sostanziale messaggio emotivo. Omnion è nato con questo desiderio. Il singolo Controller è una canzone disco che inneggia al mondo bdsm, ma allude anche al controllo politico sulla comunità, come è nata e come sei arrivato a Faris dei The Horrors per i vocals? È una scelta strana, ma funziona!... Controller è un pezzo disco con un’atmosfera squallida e dark, ho sempre amato le icone e lo stile della scena rock’n’roll degli anni 80, hai presente quei personaggi gotici e punk? Mi sono così ritrovato a chiedermi chi oggi incarna questo tipo di immaginario, volevo un vocalist con una voce potente e sporca che mi desse una sensazione di pericolo con la sua voce. Un giorno ero da un amico che lavora nella moda e mi ha fatto sentire un pezzo dei The Horrors, precisamente la cover di Your Love di Frankie Knuckles e mi sono innamorato della voce di Faris Badwan. Così l’ho contattato e ha accettato con entusiasmo. Per me Omion è un viaggio emozionale attraverso gli ostacoli che siamo costretti a fronteggiare in questi tempi difficili, la vedi anche tu così? Si, direi che è un disco reazionario. Non mi sono mai sentito così sensibile e irritato se penso a cosa accade nel mondo in questo momento, e non mi era mai successo prima in vita mia, forse anche per questo per me era impensabile fare un album dance allegro e positivo. Ho quindi in un certo senso provato a essere risolutivo, mettendo la speranza e un’energia positiva che spero traspari dalle canzoni. Quali pensi siano gli avvenimenti che ti hanno toccato di più nell’anima? La crisi dei rifugiati, ho avuto l’opportunità di vivere in Europa, in Belgio e la tensione a riguardo è palpabile e urgente, la gente dovrebbe provare a mettersi nelle scarpe di queste persone che si sono trovate senza un posto dove stare, poi il governo Trump e sicuramente la strage di Orlando. In un’epoca in cui si parla di no gender, manifesto che gli Hercules and Love Affair sbandierano dai loro esordi, non ti senti una sorta di pioniere? Non so se mi considero un pioniere ma quel che sto cercando di fare è presentare un modulo di alleanza, un riflesso del mondo reale. Le persone hanno complesse identità e spesso non riescono a ritagliarsi il proprio spazio, io stesso crescendo non riuscivo a trovarlo. Ero sensibile e giocavo con le ragazze e i bulli mi prendevano in giro perché ero un ragazzino gay. Così ho deciso di creare una comunità formata solo da persone che non avevano uno spazio in cui sentirsi a proprio agio. Sei mai stato etichettato scandaloso? Molte volte a cominciare dal mio coming out, ero arrabbiato e ribelle e facevo tutto ciò che non avrei dovuto fare, per i miei genitori ero uno scandalo continuo e io mi divertivo a provocarli. Ricordo che un’estate ai tempi dell’high school mi sono stati davvero addosso, volevano che trovassi un lavoro che mi dessi da fare, così ho trovato lavoro alla cassa di un porno shop e ero pure minorenne... Ma sono tornato a casa esclamando: «Mamma, Papà: ho un lavoro!». Non sono rimasti molto contenti. Cosa consideri scandaloso oggi? Non mi piace la provocazione fine a se stessa. Non mi piace chi cerca di attirare l’attenzione in questo modo. Per me lo scandalo è rappresentato da quelle persone coraggiose che hanno il coraggio di mettere la faccia difendendo i propri ideali e accettando le conseguenze. Il gruppo indie-pop libanese dei Mashrou’ Leila, che ha collaborato al disco con me, ha un frontman gay che si chiama Hamed Sinno. Questo ragazzo ogni notte canta di fronte a 5000 persone in Medio Oriente affermando: «Sono un uomo gay». Questo è uno scandalo che amo, avere il coraggio di ammettere in un paese tradizionale e conservatore chi sei veramente con la consapevolezza di rischiare la propria vita. Fa paura ma può cambiare le cose e lo sta facendo. DAL VIVO: 6/12/17 - MILANO, SANTERIA SOCIAL CLUB 7/12/17 - BOLOGNA, LOCOMOTIV CLUB


TH E SC A N D A L I S S U E / INSTA PORTFOL IO

LA GUERRA NELLE STORIES DEL TUO SMARTPHONE Ha vinto la prima edizione di Master of Photography e poi ha continuato a fare quello che già faceva: il reporter di guerra. Gabriele Micalizzi. Adesso se lo seguite su Instagram, tra una Stories della vostra collega al mare e una di Fedez e Chiara Ferragni, troverete le sue da Mosul o dalla Libia. Tra cadaveri, profughi e guerriglieri che sparano. Per tutto questo molti lo criticano, altri lo definiscono osceno. La verità? Ce l’ha scritta direttamente lui. Senza usare scuse né filtri colorati Non ho mai avuto grande aspirazione di mostrarmi sui social nonostante sia un tipo eccentrico, mi annoiano molto questo spettegolare digitale, sono stato obbligato a crearli per esigenze televisive di Sky Master of photography. All’inizio pensavo come tanti che magari come promozione potesse anche funzionare, ma dopo poco ho capito che il contenitore in questo caso modifica visceralmente il contenuto. Qualsiasi tipo di tematica che viene affrontata, può essere commentata da chiunque e in qualsiasi modo. Anche chi non ha cognizione di causa e magari con una emoticon insensata o postando una canzone rap, l’interazione e il confronto sono una cosa eccezionale, ma nel sistema social odierno un commento annulla l’altro, al posto che creare un dialogo. sopratutto se si accosta materiale di altre persone conoscenti o pseudo amiche.. agli amici dei tuoi genitori mixati con in contatti di lavoro, insomma una babele informatica. Quindi nel mio caso, quando si scrolla la mia pagina fb o instagram, la situazione che trova è la seguente: cadaveri e serate in discoteca, simpatiche donne in cerca di attenzione accanto a guerriglieri che sparano, milf al mare con profughi in fuga. Lavoro con la fotografia da quando i rullini li utilizzavamo tipo caricatore e tagliavamo al buio gli scatti eseguiti lasciando la parte ancora da impressionare all’interno del porta rullo, sviluppavamo in camera oscura e ci fumavamo le canne consumando kg e kg di carta. Mi è stato insegnato che lo strumento più utile era il cestino nella darkroom. Poi si consegnavano a mano o con il pony. Dall’arrivo dello smartphone tutti noi che lavoravamo nella cronaca abbiamo capito il potenziale, legato più all’utilità lavorativa. Spedire le foto in tempo reale finalmente…. ma personalmente ho sempre saputo che la fotografia sarebbe diventata il nuovo linguaggio che sostituirà la parola scritta definitivamente. Il mio approccio ai social è stato molto violento, da rimanere ermetico nel mio mondo oscuro ho incominciato a disseminare la rete con fotografie, informazioni e dati di qualsiasi tipo. E la cosa folle è che le persone ti seguono…e aspettano i tuoi contenuti…una cosa folle. Ma in realta c’è una forte dipendenza che si sviluppa dalle storie delle vite degli altri.. Sopratutto se fai una vita inconsueta come i fotogiornalisti.

personale, ovvero scrivendo qualsiasi cagata mi venisse in mente. Quindi i miei hashtag sono diventati tormentoni, e vengono usati da altre persone, molti amici aspettavano solo di leggere l’ultima cazzata che mi fossi inventato..mi avevano anche contattato da un blog… Instagram è perfetto ad esempio per tatuatori, cantanti, e tutti coloro che hanno bisogno di rassicurare i loro fan che stanno lavorando al disco, che stanno migliorando sui neo traditional, etc. Ma perchè un fotografo di guerra crea delle storie che durano 24 ore su un social network? I motivi sono vari: Specialmente l’ultimo viaggio che ho fatto, è stato massacrante, Ho provato a raccontare le mie giornate, quello che vede e vivo con una nota ironica. ho seguito l’avanzata a Mosul (Iraq) con battaglia finale dove l’isis è stato debellato, correndo su tetti di macerie e sgusciando da buchi creati nelle mura, casa per casa. La mattina seguente sono ripartito per arrivare a Raqqa in Siria, dove ho preso qualsiasi tipo di mezzo attraversato confini in barca e passato ore in un minivan a 45 gradi bevendo solo acqua bollente. Quindi diciamo che è uno stile di vita molto faticoso e un buon modo per evadere è sicuramente documentare con ironia la situazione scegliendo un commento divertente, oppure sdrammatizzare il fatto che mangio pollo e riso pranzo, cena e colazione… Ormai sono molti anni che vivo il medioriente, e sono vari i conflitti che ho coperto. Mi ricordo in Libia, guardavo questi ribelli, vestiti fichissimi, stile Rambo 2, sembravano usciti da un casting. Vestivano occhiali Ray Ban, cartucciere a croce che sul petto e il basco alla Mr. Bison di street fighter, portato in maniera impeccabile. Li capii che il cinema prima ha preso spunto dalla realtà per raccontare la guerra, ma ad un certo punto il cinema ha influenzato e deformato la realtà e di conseguenza la guerra. Ormai anche nella guerra più sperduta si ha un accesso alla rete e tutti ma proprio tutti hanno visto i classici hollywoodiani, quindi ognuno recita una parte e si atteggia ispirandosi a quei personaggi inventati che adesso sono un punto di riferimento.

Quindi per me instagram è sempre stato un vettore per mostrare la mia produzione, ma poi ho capito che quello che fai interessa fino ad un certo punto, quello che interessa veramente è il personaggio, è quello che tu fai nella tua dealy life, più assurda è la tua vita più hai appeal.

Ormai l’occidente ha contaminato tutto il mondo anche se molte differenze culturali rimangono forti, facciamo tutti le stesse cose, ci compriamo le stesse cose, pensiamo alle stesse cose. In medio oriente solo i bambini si mettono i bermuda, anche a 50 gradi, se non fumi non sei un uomo, e se vuoi un minimo di credibilità devi portare scarpe a punta lucide.

Da subito ho utilizzato gli hashtag in maniera

In questo mare di piattume universale, diciamo

THE SC


CANDAL ISSUE


THE SCA


ANDAL ISSUE

che la povertà e la mancanza di mezzi aiutano a mantenere un’identità. Infatti capita di trovare accrocchi ed attrezzi incredibili che mostrano ancora un’artigianalità geniale intrinseca nell’uomo che non si è uninformato agli standard. Ad esempio i pick up blindati dell’esercito curdo fatti dal fabbro di quartiere, le autobombe dello stato islamico pura ingegneria con prodotti casalinghi. Quindi quando ritrovo questa freschezza non posso che emozionarmi e raccontarla a questo mondo che ci spinge sempre di più a diventare automi non pensanti. Non so se la mia vita sia più interessante di quella altrui, ma sicuramente ho scelto di fare questo lavoro con i suoi pochi pro e tanti contro, spinto dalla voglia di avventura. Come tanti sono cresciuto con Indiana jones e Mad max, quindi non potevo che pensare che la realtà sia veramente come in quegli scenari apocalittici alla Ken Shiro… Anzi penso che sia proprio questo il motivo per il quale mi trovo così a mio agio in determinate circostanze. Penso sia proprio il back ground che mi ha fatto tanto sognare poi mi ha trascinato fino a qui, dove la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. Ora posto video di guerriglieri che tirano bombe a mano e sparano con mitragliatori, ma non è compiacenza autoreferenziale per sentirmi cool, ma tutt’altro: penso che sia il modo più puro per arrivare a persone normali senza il filtro editoriale. Quello che vorrei che le persone capissero guardando le mie storie è che magari tu il giovedì pomeriggio giochi a calcetto, nello stesso momento qualcuno sta lottando per la libertà del suo popolo contro un nemico che vuole opprimerlo, e siamo tutti esseri umani. Ci differenzia solo il luogo e la circostanza, pensate mai a quello che diceva Tyler Durden: Non apprezziamo abbastanza quello che abbiamo, le situazioni in cui possiamo vivere. Tutta questa libertà viene dal sacrificio altrui, e oltre a non dargli valore ci lamentiamo spesso e volentieri. Io ci metto sempre qualche giorno quando ritorno nella società a placare i miei istinti anarchici. Passo la maggio parte del tempo con gente armata che non ha regole in luoghi dimenticati, tornare nel mondo “reale” mi sconvolge, vedere la poca solidarietà… le persone che incontro in difficolta estreme sono sempre gentili ed attente al prossimo, noi siamo l’individualismo assoluto. Per non parlare delle tematiche che affrontiamo socialmente…dobbiamo sempre parlar male di qualcuno che sta peggio di noi, o ha fatto scelte diverse dalle nostre. Al lavoro ho visto meeting dove si discute su scelte di colore pastello per prodotti fotografati per instagram, con tanta ferocia che manco al vertice tra l’OCSE e Porosenko per il protocollo di Minsk. Diciamo che stiamo un po’ a mostro, passatemi il termine. I contenuti e il contenitore… puoi suonare Dies Irae come Verdi in persona ma sei seduto sul cesso di casa a braghe calate tua di certo non darai la stessa emozione. Comunque la cosa positiva del social è l’immediatezza e purezza, la cosa negativa è la veriditicita’ che ne consegue dal fantabosco di chi lo guarda e commenta. Però almeno è un mezzo utile per provare ad arrivare a colpire in faccia chi guarda sempre quello schermo illuminato, magari con il giusto input un giorno spegnerà quello che schermo e scoprirà che era tutto davanti ai suoi occhi…. oltre quello schermo.. senza filtri colorati.


TH E SC A N D A L I S S U E / A RTISTA

IN UN MONDO CREATO DA ME NON ESISTEREBBE LA PORNOGRAFIA MA SOLO LA LIBERTÁ. Intervista a Amalia Angulo DI FRANCESCA PETRONI Anno Domini: Instagram 2017. Amalia Angulo è una pittrice cubana che ha deciso di esprimere la propria arte attraverso la rappresentazione esplicita del sesso. Il suo intento non è scandalizzare, non vuole promuovere la pornografia e neanche fare critica, ma raccontare come dietro l’animo umano si nasconda una grande inquietudine. Allora cosa può essere definito ancora scandaloso? Raccontami di te: chi sei? come ti chiami? quanti anni hai? Mi chiamo Amalia Angulo, ho 27 anni, sono un’artista nata a Cuba nella città di La Habana. Come ti sei avvicinata all’arte? Crescendo tra artisti legati alla danza, al teatro, alla musica, alla letteratura e alle arti visive, ho sviluppato un modo di pensare alternativo. Tramite i dipinti e i disegni riesco a esprimere il mio pensiero laterale. A volte mi capita di creare oggetti che possano arricchire la visione degli altri. Chi sono le donne e gli uomini nei tuoi dipinti? si amano? I soggetti principali dei miei dipinti sono immagini e personaggi del mondo della pornografia, ma uso anche alcune celebrità e personaggi pubblici. Queste figure coabitano un mondo che di solito chiamo distopico, ma che è per la maggior parte quello che si cela dietro l’esperienza sociale umana esplorando la crudeltà, la paura, il macabro, lo sporco, la risata inquietante che impaurisce fino alla pazzia e naturalmente, il sesso, come materia cruda e volgare. Osservare come i miei dipinti promuovano l’essere morbosi in un mondo saturo di immagini sessuali mi colpisce e mi smuove. I miei dipinti non sono una critica o una scusa per il sesso o il porno, non hanno senso morale e non parlano di amore. A chi ti ispiri? Hai riferimenti? Mi ispiro ad artisti figurativi contemporanei come: Scott Daniel Ellison, Christian Rex van Minnen, Dana Schutz, Ryan Travis Christian, John Currin, Genieve Figgis, anche da altri artisti di epoche lontane e vicine come per esempio: Andy Warhol, Louise Bourgeois, Lucian Freud, Tiziano, Francis Bacon, Goya, Frans Hals, Artemisia Gentileschi, Georgia O’Keefe...

Come hai iniziato a lavorare in questa maniera? Perché? Ho iniziato a lavorare su questo tema da circa 4 anni, quando ho deciso di concentrarmi a riprodurre nei miei dipinti e disegni quello che osservavo con stupore intorno a me. Come l’impeto sessuale che guida la maggior parte delle persone, in modo quasi ossessivo quasi come quando da piccola ebbi l’istinto di soddisfare i miei personali desideri sessuali e fui stigmatizzata per quello. Lontano da qualsiasi maniera puritana di essere, in un mondo creato da me non esisterebbe il porno, tutte le persone sono libere. Cos’è la donna per te? e l’uomo? Come intendi l’amore nella tua arte? Mi sembra che ogni persona quando deve scegliere un ruolo da svolgere nella società sceglie bianco o nero, quando in realtà esistono infiniti toni o sfumature. Nella società di oggi ci sono interessi che cercano attraverso diversi mezzi e narrazioni, di fare della donna un maschio e dell’uomo una femmina, c’è confusione. Quando questo meccanismo è imposto, non credo che sia sano. Essendo nata donna quando trovo all’interno di me degli impulsi maschili decido di esplorarli o di reprimerli secondo i miei desideri, penso sia naturale. Naturalmente, come le ore del giorno, l’essere maschile e femminile sono concetti e categorie create dall’umanità stessa, mi sembra che siamo molto più complessi come individui. Nonostante questo sono sedotta dall’immagine dell’autoritario a letto. Non credo nella vittimizzazione delle donne. Nella storia dell’umanità e nel mondo di oggi ci sono esempi di come ogni essere umano è libero di lottare con tutta la sua forza e la sua creatività per prevalere. Vuoi essere scandalosa? Che vuoi comunicare? Perché i miei piccoli disegni al giorno d’oggi scandalizzano qualcuno? Mi meraviglia. Cos’è uno scandalo per te? Lo scandalo per me è quando le persone prestano maggiore attenzione a ciò che accade nelle vite degli altri. Le persone sembrano creare grandi scandali per coprire le loro paure o piuttosto la loro mancanza di coraggio.


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Right here, right Nhow (Hotel, Friedrichshain).

TESTO ROBERTA BETTANIN PHOTO MAX SCHENETTI

Foto scattate con

LIBERA, GENEROSA, LONTANA DALLE COSTRIZIONI. UNA CITTÀ A GAMBE APERTE DOVE PUOI ESPRIMERE LA TUA CREATIVITÀ, SESSUALITÀ, INDIVIDUALITÀ. È QUESTO CHE HA RESO GRANDE BERLINO. MA QUALCOSA STA CAMBIANDO. COSA, SIAMO ANDATI A CAPIRLO DURANTE I GIORNI DELL’IFA, LA FIERA INTERNAZIONALE DELL’ELETTRONICA. UNA GIORNALISTA, UN FOTOGRAFO E IL NUOVO SMARTPHONE WIKO WIM, CON CUI SONO STATE SCATTATE QUESTE IMMAGINI. TRA MADONNE TRANS, BACI SAFFICI E ATMOSFERE DA THE PARTY IS OVER


BANG BANG BERLIN

Hackesche Hรถfe: in primo piano la madonna trans, sullo sfondo coppia di colore con bambino bianco

Foto scattate con


Roberta Bettanin e Marco Ferrero al Sage Restaurant

Hackesche Hรถfe

Foto scattate con


BANG BANG BERLIN

I TEMPLI DELLA TECHNO SONO MUSEI DA VISITARE ORMAI E LO STILE DI VITA HA IL SAPORE HEROIN-CHIC. MA RIMANE LA CITTÀ PIÙ UMANA DEL CONTINENTE Erich Honecker e Leonid Brežnev, amore letale tra Germania dell'Est e Unione Sovietica.

Foto scattate con


Monkey see, Monkey bar. Il bar del 25hours Hotel si affaccia direttamente sull'area dedicata alle scimmie dello zoo di Berlino. A DESTRA: un venditore ambulante di Bretzel tra la Porta di Brandeburgo e il Reichstag; graffiti nell’area davanti alla Urban Spree; l’antenato del selfie divenuto un must: il Fotoautomat; il celebre aeroporto in disuso di Tempelhof, ora surreale parco cittadino; un muro, un’anima.

Foto scattate con


BANG BANG BERLIN

Berlino è un non-luogo. A 28 anni dalla caduta del muro,

la città è ancora un posto di frontiera, diviso e ferito, che lotta per mantenere la sua particolarità tra i colpi d’assalto di un capitalismo occidentale che, nell’ottica di guadagno e nel nome dello sviluppo, dimentica che cosa ha fatto di Berlino un mito e sparpaglia inutili centri commerciali sempre vuoti e palazzi con appartamenti di lusso che resteranno invenduti qua e là, bloccando viste iconiche e imbruttendo una città che architettonicamente già bella non è. Arm aber sexy diceva il sindaco della città nel 2003: povera ma sexy, e ancora è così. Berlino vive di assistenzialismo del resto della Germania, anche se ormai è una città in continuo fermento, sviluppo e cambiamento, incubatore delle start-up d’Europa. Nonostante questo - o anche per questo - gli stipendi sono molto più bassi rispetto a quelli della parte occidentale dello stato, e di conseguenza anche il costo della vita è sensibilmente più basso. Motivo che, da sempre, attira giovani da tutto il continente, da tutto il mondo. Berlino è un crogiolo di razze e nazionalità diverse, che hanno ripopolato una città che si era svuotata dopo la seconda guerra mondiale e durante la divisione. Berlino è

aperta, libera, liberale. Berlino accetta tutti come sono, ed è generosa con chi ha qualcosa da offrirle. È l’ultimo - o forse l’unico -

baluardo di tolleranza in una Europa che soccombe all’ideologia nazionalista di ritorno, ed è quello che l’ha fatta diventare il mito che in effetti è. Tolleranza che non solo si esprime nell’accettazione di una immigrazione costante, intra ed extra-comunitaria, ma anche nello stile di vita del singolo. A Berlino puoi

mangiare a qualsiasi ora del giorno e della notte, tirar mattino in un locale in qualsiasi giorno della settimana, esprimere la tua creatività o la tua sessualità nel modo che ti pare più adeguato, e liberarti del peso delle costrizioni della società, che siano idee o semplicemente abiti troppo stretti. Per questo, nei celeberrimi club berlinesi, è notoriamente assolutamente vietato fare foto. Quello che però per taluni è il paradiso, per altri è l’inferno. Con l’avanzata, seppur difficile, del suddetto modello capitalistico, cadono anche gli ideali che hanno fatto di Berlino quello che è. La gentrificazione di intere aree che prima erano vive di bar, club e negozi 24/7 (i cosiddetti Späti) ha fatto morire intere aree che ora sono deliziose all’occhio ma vuote di spirito, con i loro caffè a tre Euro e i cupcake vegani, belle da instagrammare, ma da vivere? Del resto chi nei primi anni 2000 si è insediato in quartieri come ad esempio Prenzlauer Berg ora ha fatto magari carriera, sicuramente figli, e sotto casa sua non vuole più quella deboscia che lo aveva tanto attratto in giovane età. È la naturale evoluzione della vita. Purtroppo. Il processo per fortuna è ancora lungo, ma la Berlino dei club

aperti tutto il week end, dei techno-rave pazzi come ce li ricordiamo dai filmati degli anni 90 e della moda fetish sta piano piano scomparendo, soppiantata da nuove generazioni che non hanno mai vissuto tragedie come guerre o dittature, che non sanno cosa significhi venire spogliati della dignità e della libertà personale e che, quindi, non hanno bisogno di lottare per riappropriarsene. Il mito di Berlino è fermo quindi ad anni che ormai sono passati e non torneranno più. La scena underground nata qui dopo la caduta del muro e diventata iconica per tutta una generazione si è trasformata in mainstream,

rendendo i templi della techno musei da visitare e lo stile di vita un qualcosa da scimmiottare snaturandolo del suo significato più profondo e portandolo all’estremo senza alcuna connotazione politica, alla ricerca di una coolness da rivista patinata dal sapore heroin-chic. Nonostante questo, Berlino rimane la città più umana del continente, ultimo avamposto europeo dell’incontro tra le ideologie di est e ovest che le rifiuta entrambe a favore di una libertà dell’individuo e di un rispetto del singolo, ancora memore di quanto vivere nella mancanza di questi principi base possa far male.

Foto scattate con


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BANG BANG BERLIN LE FIERE PETTINATE SONO AL TRAMONTO. QUI CI SONO SFILATE, TALK, DJ SET, LIVE DI M.I.A., ADDETTI AI LAVORI E PUBBLICO. IL B&&B BY ZALANDO É STATO UNA BOMBA. UN PARCO GIOCHI DELLO STREETWEAR. UN FESTIVAL DELLO STILE E DELLA CULTURA CONTEMPORANEA. VERY BOLD, AUDACE, SFACCIATO, IN EVIDENZA

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DAY 1, BERLIN, 1 SEPTEMBER 2017

Il primo giorno del Bread & Butter 2017 di Zalando è stato lanciato con il botto, i visitatori colorati e fashionisti hanno affollato l’Arena Berlin trasformandola nel luogo più cool in quanto tendenze street. Centro nevralgico della giornata la B&&B Box, un’eroica installazione posta al centro del festival protagonista di talk live con lo streaming delle sfilate commentate via diretta sui social rendendo il tutto interattivo. La location avvolta da un’atmosfera festosa e rilassata a bordo del fiume Sprea, tra corner di street-food, tra cui spiccava la cucina di Chan Hon Meng il primo chef di street food stellato Michelin, una spiaggia a bordo del fiume sprea con palme e sdraio e la Badeschiff - letteralmente «nave per il bagno» - la piscina pubblica galleggiante più famosa di Berlino, per l’occasione inglobata nell’area dell’evento. Il tema di questa seconda edizione del Bread & Butter curata da Zalando era Bold, il voler spingersi oltre i confini, rompere gli schemi sia nella moda che nel proprio stile di vita; portavoce di questo manifesto non poteva che essere l’iconica Dame Vivienne Westwood, protagonista del talk Get a Life, in cui per oltre un’ora ha intrattenuto i fortunati presenti parlandoci della filosofia zen del Tao e dell’importanza dell’arte e della letteratura cinese nelle nostre vite, recitando a memoria alcune poesie dentro a un abito di paillettes stile sirena post-punk e una maglietta con la scritta Buy Less: «My best creation ever». Per quanto riguarda le sfilate la passerella del B&&B è stata inaugurata da Topshop che ha fatto sfilare una donna versatile con capi portabili sia sul lavoro che per una night out seguita dalla sfilata di Zalando, aperta dalla modella attivista Adwoa Aboah ha visto sfilare in passerella persone comuni ma note nella scena berlinese. Con lo scorrere delle ore l’atmosfera si faceva sempre più calda tra i dj set d’autore di Staycore e Bass Gang che ci hanno trasportato verso l’evento più atteso della giornata, il live di M.I.A. che si è rivelato una bomba. L’esibizione è culminata con un invasione di campo del pubblico invitato da M.I.A. a far parte della sua esibizione come in una coinvolgente festa di strada.

DAY 3, BERLIN, 3 SEPTEMBER 2017

L’atmosfera ad alto voltaggio continua anche durante la giornata finale del Bread&Butter di Zalando. Protaginisti indiscussi il duo di designer olandesi Viktor & Rolf che per la prima volta hanno portato il loro spettacolo haute couture Conscious fuori da Parigi, seguito da un live talk in cui i designer hanno raccontato la loro storia creativa dagli esordi in Olanda al raggiungimento dello stardom parigino. La passerella ha visto sfilare anche Napapijri che ha trasportato i visitatori di B&&B in un viaggio multisensoriale digitale. L’esperienza comprendeva un rinnovamento delle famose Quattro Stagioni di Vivaldi, eseguite in diretta da quattro artisti urbani: Sharon Doorson, Jan Blomqvist, TOKiMONSTA e Raleigh Ritchie. Il talk dell’ultimo giorno ha visto protagonista David Fischer creatore della piattaforma Highsnobiety, la Bibbia dello street style, un talk più che altro basato sull’importanza dei social media, Instagram in primis, e sulle esigenze prettamente consumer dei suoi utenti, onestamente attendevo questo talk e mi aspettavo qualcosa di più illuminante della top 5 dei brand più cliccati su Highsnobiety, insomma poco high e tanto low… Il Bread & Butter by Zalando è stata una festa lunga tre giorni, che ha visto unirsi in una sola cosa sia consumer che addetti ai lavori senza distinzioni, operazione che si è rivelata uno dei punti forza della manifestazione; difatti l’interazione del pubblico pagante ha portato una rinnovata energia che ha contagiato d’entusiasmo anche chi è abituato a frequentare questi eventi a porte chiuse. Bold is the word.


BANG BANG BERLIN

DAY 2, BERLIN, 2 SEPTEMBER 2017 Quella del sabato è stata la giornata più affollata, già dalle prime ore è stato difficile farsi

largo tra la folla che in fila rigorosa aspettava di partecipare ai workshop e ai laboratori di customizzazione presenti in ciascuno stand della fiera, dalle foto volanti sui tappeti elastici di Reebok alle Nike Air disegnate live a fumetti. Sul versante sfilate è stato il turno di Topman che ha presentato una collezione fresca per l’uomo contemporaneo audace e senza paura. Mentre Hugo Boss ha aperto il suo show con una passerella con ponteggi da parkour per una moda attuale e dinamica. Nel pomeriggio Adwoa Aboah, modella e fondatrice della piattaforma GURLS TALK, ha portato a B&&B il dottor Lauren e Maxim Magnus, blogger e modello transgender di lifestyle a Londra, per un talk sul femminismo odierno e sulla positività del proprio corpo che ha commosso e motivato i presenti, rivelandosi uno degli highlights del festival. Durante la giornata è stata anche inaugurata la mostra Get a Life di Dame Vivienne Westwood, che metteva in risalto la sua ultima collezione che vuole sensibilizzare il mondo al problema del climate change, da sempre nel cuore della designer attivista. La serata si è chiusa con la performance di FKA Twigs presentata da Mercedes-Benz, la cantante e ballerina britannica ha incantato i presenti avvolta in un’atmosfera sospesa tra Final Fantasy e l’immaginario dei samurai, in cui l’arco di un violino simulava una spietata lama tagliente. La notte è culminata con l’energia piena del party The Vogue Ball presentato da Come Extra Fly, dove abbiamo assistito all’esibizione di alcuni dei più bravi ballerini di voguing, parola d’ordine: extravaganza.



come COSA II DOVE II QUANDO II come Traguardare, Brexit,City i WOO di guida Napoli (cittàsesso che merita, il portfolio THE SCANDALl’uragano ISSUE Dixolution 3.0. La al felice anale (e godetevi pure per etero), il rap da pagina 55),dii Mudimbi, locali in cui riflettere di avanguardia la mostra che italo-congolese il balcone su piazzale Loreto deieSelton, i film di piùDavid cazzutiBowie dal Lido di più cheleuna mostra è un racconto della diversità in ognuno di noi puritani Venezia, drag di Candy magazine e l’ultima provocazione di JPG. Astenersi


CDQC I MUSICA sta arrivando un nuovo fenomeno: Mudimbi DI STEFANO NAPPA Tachicardia, che è nell’EP Le Tre Marie, rispecchia molto me stesso e lo stile che non ho mai cambiato, nemmeno quando sono entrato alla Warner Music. Ho sempre vissuto il rap e la vita con la stessa dose d’ironia e d’incoscienza. Non costruirò mai qualcosa di diverso da quello che sono. Il tuo stile è molto particolare e questo disco lo rende originale in ogni pezzo, com’è nato e cosa hai provato quando l’hai ascoltato per la prima volta finito? Le canzoni sono nate ognuno nella maniera più disparata e disperata, alcune le avevo nel cassetto e altre sono nate in studio di registrazione. Donne è nata proprio così, mentre Ceri componeva la base e io ero seduto sul divano, poi non siamo usciti dallo studio fino a quando il pezzo non era finito. Qualcun’altro invece nasce a distanza come quelli con Jeeba e Zaghi. Adoro il fatto che ogni canzone è diversa dall’altra perché sono nate proprio in maniera diversa con una storia altrettanto diversa. Quando ho ascoltato il mio album finito ne avevo già le palle piene e piansi perché poi sapevo benissimo che avrei dovuto portarlo in giro live (haha). L’ostacolo più duro che hai affrontato durante la composizione? Ce ne sono tanti ma SBA è stato quello che mi ha fatto sputare sangue perché ciò messo due settimane per capire di cosa dovesse parlare. Ascoltavo la base, provavo degli incastri, entravo in un loop mentale cercando di capire cosa mi stesse trasmettendo la musica, ma non sapevo letteralmente cosa cazzo dovevo metterci sopra. L’altro è Empatia perché Jeeba e Zaghi essendo musicisti mi dissero: «Mudimbi tu canti in minore», io tutt’ora non so che cazzo significa visto che vado sempre a orecchio, il guaio fu che loro non riuscivano a farmi una base come la volevo io. Fortunatamente poi si sono uniti con Ale Bavo e Filo Q dove l’ostacolo è stato superato, ma l’ho vissuta un po’ male.

Fin dal suo primo esordio Mudimbi, rapper italo-congolese nato e cresciuto a San Benedetto Del Tronto, ha dimostrato una originalità particolare sia nella metrica della sua musica che nelle scenografie. Avete presente gli adesivi che tappezzavano Milano con ritratto un paffuto bambino di colore su sfondo azzurro, quello è Mudimbi e la foto è la cover del suo album. Lo abbiamo incontrato per ripercorrere con lui la strada che lo ha portato al suo disco Michel, il suo primo sotto contratto dopo vari progetti che gli anno spianato la strada. Parliamo prima di tutto della copertina di Michel, come l’hai scelta e perché hai deciso di tappezzare le città con la cover del tuo viso da bambino ovunque? É nato tutto per caso, c’era questa foto da trent’anni sul comodino di mia madre a cui lei è legata tantissimo e mi sono detto sai che c’è? Uso la cosa più bella che ha fatto lei fin ora, cioè me, (haha spero), su quello che ho fatto di più bello io fin ora, che è quest’album. Poi ho usato il mio nome come titolo sempre per rimanere collegato e in sintonia con queste sensazioni, mentre gli adesivi in giro per l’Italia nascono dall’idea di incuriosire i fan quando ancora giravo con il vecchio tour, ma avevo già pronto le tracce dell’album. Senza spiegare niente li distribuivo durante i live, credo di averne stampati un 5000 però da qui a ritrovare la mia faccia stampata per le città il passo è stato molto lungo e soprattutto a mia insaputa. Un mio amico che ricordava la foto dal mio profilo Instagram privato mi scrisse che Bologna era piena e mi mandò persino l’articolo del Resto Del Carlino, che pensava si trattasse di un bambino scomparso. Per fortuna nessuno scrisse né numeri di telefono né altro sotto, sennò si poteva creare un allarmismo preoccupante. Alla fine involontariamente si è creata curiosità che ha portato all’ascolto del disco persone che forse nemmeno mi conoscevano. Ah, comunque io odio gli adesivi (ahha). Restando sempre sul tema foto, perché hai voluto posare per le locandine di Empatia dove ti raffigurano in 4 film e serie tv diversi? Ti dico una cosa in anteprima mondiale! Le locandine le abbiamo anche stampate e si troveranno per ora ai miei live e l’idea mi è partita dalla cover di “Casa Blanca” che mi ha veramente emozionato. Io non sono molto legato al cinema o ai telefilm sono mediamente legato più a quello che partorisce la mente umana. In questo video l’idea nata con Federico Cangianiello era proprio quella di ricreare dei riferimenti al cinema d’amore o a Baywatch, perché la canzone parla di questa passione sentimentale ed è una novità per me e per chi mi conosce. Quindi abbiamo pensato di colmare con le immagini l’ironia che manca nel pezzo, creando un contrasto molto bilanciato. Nel video indossi una parrucca bionda, quindi in realtà vorresti essere biondo o avere i capelli come nella pubblicità Soul Glo nel film Il Principe Cerca Moglie? (ahah) Biondo tutta la vita. Io, tutte le volte che metto quella parrucca godo di emozioni vere. Prima di Supercalifrigida chi eri? come sei arrivato a scrivere e a pubblicare questo pezzo? L’ho scritto a 18 anni e lo cantavo in giro per le dancehall fino a quando non l’ho pubblicato su un EP e messo in free download col titolo Pull Up. Tra l’altro registrato a casa di questo mio amico che si sfondava di bong (ahah). Questa traccia come

Il primo disco che hai comprato o quello che ti ha fatto innamorare della musica? Io vado sempre nel panico quando mi chiedono queste cose. Ricordo il periodo dei dischi, dei tape che scambiavo con gli amici ma non saprei dirti proprio il primo disco, posso dirti quello che mi ha segnato in primis Marshall Mathers di Eminem. Busta Rhymes è il mio preferito ma quando ho ascoltato per la prima volta Fabri Fibra sono impazzito, me ne sono innamorato subito e ti dico una chicca che non conosce nessuno... Io, Eminem e Fabri Fibra siamo nati tutti il 17 ottobre. Fibra poi è nato il venerdì del 17 ottobre 1976 mentre io il venerdì del 17 ottobre 1986 e vivo solo per dirgli questa cosa di persona. (ahaha). Una volta stavo per scrivere al management di Fibra: sono nato lo stesso giorno a dieci anni di distanza, fatemi diventare famoso! É il destino, toccherebbe fare un disco insieme?? Guarda avrei tanto piacere di conoscerlo perché per me è veramente un icona. Sono sempre sui suoi passi, sono sempre lì ad ascoltarlo a ogni uscita. Hai un rito scaramantico prima di salire sul palco, oppure bevi qualcosa e vai liscio? Non sono una persona scaramantica, l’unica cosa che faccio è rispondere crepi a chi mi fa un in bocca al lupo, anche se la mia ragazza mi ha spiegato che si dovrebbe rispondere grazie, quindi insomma, non c’ho capito un cazzo (ahha). Ero tra il pubblico del Red Bull Culture Clash e ho assistito a qualcosa di assurdo, tu come l’hai vissuto visto che eri tra i protagonisti? Io ci tengo a raccontare più quello che abbiamo vissuto dietro le quinte che quello che è successo sui palchi in sfida. Nel dopo ci siamo ritrovati tutti insieme con uno spirito di festa e per me è stato un Gardaland 2.0. Non aspettavo altro che andare a salutare e ringraziare gli altri artisti che hanno partecipato all’evento. Qualcuno era più predisposto, qualcuno un po’ meno ma sto cazzo però, realmente io sono andato con il sorriso. Poi io non mi sarei mai aspettato che Danno dei Colle Der Fomento mi mandasse a fanculo in freestyle com’è successo (ahah) se me l’avessero detto dieci anni fa avrei risposto: «ma che cazzo stai a di!». Per me è stato un traguardo! Tempo fa è nato il filone degli ODD Future con Tyler, The Creator che ha portato una nuova aria da respirare a livello di sound, odio i paragoni ma un po’ ti prendi con il suo stile no? Se mi dici questo mi fai solo un complimento. Sicuramente Tyler fa un tipo di musica un po’ diverso dal mio cioè lui canta quello che gli pare come vuole, ma la cosa che ci accomuna secondo me, è il fatto che entrambi ce ne fottiamo di tutto, cercando di essere noi stessi sia live che sui dischi, senza prevedere se possa piacere o meno. Spesso mi paragonano a altri artisti, l’ultima volta durante la registrazione di un video mi hanno detto: «Te comunque sei il nuovo Celentano», ovviamente sono morto di risate. Ma in un incontro di Street Fighter tra te è Tyler come lo attaccheresti? con quale pezzo? Cazzo! Ragazzi! (ahah) se dovessi incontrarlo gli farei ascoltare subito Supercalifrigida perché so che va’ oltre la lingua e poi gli farei vedere il video di Empatia (ahah). Quindi ci vedremo ai tuoi prossimi live, cosa devo aspettarmi? Tutto nuovo con un live più lungo e scenette nuove, stavolta ho anche lavorato sulla mia tintarella (ahah). Poi devo trovare il modo di andare in spiaggia vestito da baywatch, una volta sono andato in giro per San Benedetto Del Tronto vestito da Steve Urkel e non puoi capire quante persone mi hanno chiesto le foto! Questo prima ancora di essere un cantante.


CDQC I MUSICA SELTON: tutte le culture del mondo convivono in piazzale loreto DI STEFANo NAPPA Abbiamo incrociato Ramiro dei Selton sul balcone del loro quartiere generale, a Loreto, dopo la presentazione del nuovo disco Manifesto Tropicale Manifesto Tropicale è il quinto album dei Selton, gruppo brasiliano formatosi a Barcellona e residente a Milano. Quattro amici di Porto Alegre, ex compagni di scuola, si rincontrano per caso in Spagna, vengono notati da un produttore italiano che li invita a Milano a registrare il primo disco e da allora non abbandonano più la città.

É arrivata la Universal Music! Come vi siete conosciuti? Tutto è successo in modo naturale anche se loro ci corteggiavano da po’, infatti, noi facevano le fighe di legno. L’anno scorso poi sono venuti anche al Mi Ami Festival quando abbiamo suonato con il disco appena pubblicato e lì è nato un po’ tutto. Un feeling molto particolare che ci ha convinti nella decisione. Cosa ti aspetti da chi ascolterà questo disco? Sono curiosissimo nel vedere la reazione che avrà la gente, perché lo sento molto diverso. Sono raccontate cose diverse, ci sono più pezzi riflessivi, più bassi rispetto al precedente. Forse dietro ogni pezzo c’è un po’ della vostra storia no? In qualche modo sì! Ma non racconta la nostra storia in maniera così didascalica, però c’è tanto della nostra identità. Infatti dal nome forse si capisce proprio che abbiamo trovato la nostra. Questo mix, questo melting pot di culture, di lingue e d’influenze che arrivano da tutti i lati. Nell’album c’è un brano ti tocca particolarmente? É una scelta difficile ma sceglierei Terraferma, un brano che è nato in maniera molto autobiografica ma che ha due chiavi di lettura e contiene il messaggio del disco. L’idea del titolo infatti l’abbiamo presa non dal manifesto antropofago scritto durante gli anni 20 da Oswaldo de Andrade, dove c’è un’analisi sull’identità del brasiliano che fin dalla sua nascita è abituato a assorbire culture che gli arrivavano da fuori, ma proprio dal fatto che noi siamo nati stranieri, perché abbiamo tutti origini altrove. Io per esempio ho padre egiziano, nonno greco, bisnonna italiana e madre con origini dall’est europa. Oggi ci troviamo a Milano e ci ritroviamo nello stesso contesto, basta che fai un giro per Loreto e vedi tutte le culture del mondo.

Come vi siete conosciuti? Ci conosciamo da quando siamo ragazzini, abbiamo fatto lo stesso liceo e i genitori di Ricky sono amici dei miei dai tempi dell’università. Però realmente ci siamo incontrati a Barcellona tutti in viaggio e abbiamo iniziato a suonare per strada. Poi è arrivata la trasmissione di Fabio Volo «Italo Spagnolo» con il suo produttore musicale che è letteralmente impazzito per noi quando facevamo i Beatles riarrangiati alla nostra maniera. Qui è iniziato tutto. Come avete fatto a girare il video Cuoricini suonando in piedi sul Tagadà? (ahaha) A guardarlo non sembra così difficile invece è stato devastante. Siamo andati anche un giorno prima per provare, ore e ore sotto il sole con la ballerina Melania Pallini però alla fine ne è valsa la pena. Ma una ragazza per conquistarvi da sotto al palco cosa dovrebbe fare? Eh... Diciamo niente di scandaloso, forse (ahah).

LCD Soundsystem – American Dream

GHEMON – Mezzanotte

– Masseducation (Loma Vista Recordings)

«Scrivo canzoni tutto il tempo... e all’inizio del 2015 mi sono ritrovato con più canzoni di quante ne avessi mai avute prima di qualsiasi nostro album». Così esordiva James Murphy nel 2016 quando annunciava il ritorno dei suoi LCD Soundsystem, a 5 anni di distanza dal super concerto del Madison Square Garden. Quello, per capirci, in cui la band dava per sempre l’addio alle scene. Come a voler chiarire subito la faccenda: non si tratterà di una semplice reunion, si fa sul serio. Ovviamente i mormorii non sono mancati, e nemmeno le pressioni: dopo tre dischi divenuti ormai dei classici, tour mondiali e un’ultima spettacolare esibizione, se decidi di fare retromarcia non puoi sbagliare. E infatti American Dream, quarto album di Murphy e soci, suona da paura. In questo lavoro sono presenti molti dei collaboratori storici, inclusi Al Doyle degli Hot Chip alla chitarra, Pat Mahoney alla batteria e Nancy Whang ai Synth. Poi però il capo dei lavori resta Murphy, che ancora una volta mette in luce un songwriting stringato e cinico, che manco a dirlo matcha perfettamente su una produzione, più dark rispetto al passato, in cui la dance elettronica e l’attitudine punk degli LCD vanno a braccetto. Si ritorna alla dichiarazione iniziale: Murphy non ha mai smesso di scrivere canzoni e sentiva la necessità di condividerle, con l’aiuto degli amici di sempre, e il risultato è un disco che non presenta grosse novità, suona come un grande album degli LCD Soundsystem e lo fa maledettamente bene.

Ma quando arriva il disco di Ghemon? Questa domanda negli ultimi mesi è stata il perno di molte conversazioni e sul web si sono create mille aspettative diverse. L’artista di Avellino ritorna sui dischi dopo il successo di OrchiDee a distanza di più di tre anni. L’album, anticipato dal singolo Temporale, è il seguito di una maturazione artistica notevole. Il lavoro fatto su se stesso è evidente fin dalla prima traccia. La voce, forse finalmente al massimo della sua potenzialità, trova una dimensione fissa su arrangiamenti composti in maniera naturale che vivono in un’esclamazione decisa e intensa sul timbro delle sfumature di una mezzanotte, che tutti abbiamo vissuto almeno una volta nella vita. Lui stesso usa ogni brano come terapia per riemergere dai momenti difficili e rispecchiarsi nelle sue 14 tracce è semplice. Il ragazzo baciato da Calliope riscrive la poetica della black music italiana alzando ancora una volta l’asticella della qualità sonora. Le donne, i rapporti interpersonali, le cadute e le risalite, il buio e la ricerca della luce sono i temi principali che Ghemon orchestra attraverso il dono della parola. In questo disco servirebbe un punto per inserire la propria firma nella storia della musica italiana o forse il punto sta nel concept della copertina che una volta sfilata dalla sua custodia si rivela senza censura: coraggiosa, carnale e sincera.

St.Vincent per la prima volta in carriera si è presa una pausa dai tour. Fino a tre anni fa la sua vita e i concerti praticamente coincidevano. E infatti col tempo questi sono diventati un’estensione della sua personalità, eventi sempre più studiati, folli, ricchi di coreografie e colpi di scena. Va da sé che i dischi precedenti ne venissero pesantemente influenzati, ed è altrettanto facile da capire quanto Masseduction, il nuovo lavoro di St. Vincent, prenda da tutto ciò che Annie Clark (suo vero nome) ha vissuto in primissima persona, lontano dai palchi. Racconta della sua vita privata, il che comprende in qualche modo la love story con Cara Delevigne, ma più in generale parla degli effetti che una pausa da quello che hai sempre fatto può avere sul tuo modo di pensare e di agire. Tutt’altro che una passeggiata nel caso della Clark: un misto di eccitazione, eccessi e panico, come viene ben raccontato in Pills, hit ossessiva alla quale partecipano la stessa Delevigne nei cori e Kamasi Washington col suo sassofono. La forza di Masseduction sta ancora una volta nel genio dell’artista americana, nella sua capacità di stravolgere l’uso canonico di qualunque strumento coinvolga nei pezzi e della chitarra in particolare, fornendo come al solito un prodotto pop di avanguardia, che si fa apprezzare, senza pesare. St. Vincent ha fatto forse il suo disco più bello e sexy, e non è una sorpresa, vista l’urgenza con la quale da sempre si approccia all’arte, e più nello specifico, alla musica.

(DFA Records/Columbia)

Ettore dell’orto

(Macro Beats Records)

STEFANO NAPPA

St. Vincent

Ettore dell’orto


CDQC I CINEMA I A CURA DI SILVIA ROSSI

SUBURRA DI STEFANO SOLLIMA

Ammore e malavita DEI MANETTI BROS

Blade Runner 2046 DI Denis Villeneuve

Se ne parla da tanto tempo, da quando è uscito il film. Già Stefano Sollima, nelle interviste di allora, anticipava che il suo Suburra sarebbe stato il primo film italiano a uscire in contemporanea in tutti i paesi del mondo su Netflix. Netflix si stava piano piano facendo strada nel nostro Paese e i cinefili impolverati e i registi conservatori già storcevano il naso. E invece oggi la notizia è che, finalmente, sta per uscire la prima produzione italiana originale Netflix, e il 6 ottobre saremo tutti connessi in streaming per vedere Suburra – La Serie. Ad accoglierci ci sarà immediatamente il bello e bravo Alessandro Borghi che torna prepotentemente con il suo Numero 8. Con lui ci sono Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini). Tutti diversi per origine, ambizioni e passioni, che si troveranno a fare alleanze per realizzare i loro più profondi desideri. Con loro volti noti del cinema italiano. Partiamo subito dall’unica nota amara: perché tutti quei volti noti? Perché non riniziare con solo facce nuove a cui affezionarsi. E che solitamente garantiscono una recitazione di gran lunga migliore dei veterani? A eccezione di Borghi, che sia chiaro. I primi due episodi, gli unici diretti da Michele Placido, introducono al mondo ciò che il film omonimo già aveva narrato. Nella Capitale diverse forme di potere s’incrociano, ognuno deve comunicare con l’altro per far si che vada tutto bene. Potere religioso, potere politico e potere criminale. Il Samurai sta a capo di tutto. Ad unire tutti è un progetto di nuovo porto ad Ostia: famiglie mafiose ostiensi, politica, mafia zingara e i siciliani. Ci sono tanti personaggi e tante sottotrame e questo definisce la reale potenzialità di tenerci attaccati allo schermo… del computer. Dal 6 ottobre disponibile su Netflix.

I due fratelli del cinema italiano uniscono alla perfezione commedia e azione, cliché estremi e guizzi d’ingegno in un film che vi conquisterà. Ammore e malavita arriva dopo il successo di Song’e Napule, e continua a far ridere, parecchio, e unisce il malaffare con la musica neomelodica. Le atmosfere sono quelle Song’e Napule e si evolvono fino a creare il film in un kolossal musical con protagonista il loro attore feticcio Giampaolo Morelli (l’amatissimo l’ispettore Coliandro) nei panni di Ciro, un ragazzo di borgata trasformato in killer a pagamento che con il suo fratello d’armi Rosario (un sorprendente Raiz) è da anni al servizio di una coppia di camorristi. Don Vincenzo è l’impeccabile Carlo Buccirosso, che qui si sdoppia nel ruolo di un commesso in tutto simile al boss, donna Maria una folgorante Claudia Gerini che canta, balla, e recita in napoletano Quando donna Maria, appassionata di film, dagli action alla James Bond alle commedie romantiche in stile Notting Hill, elabora un piano per uscire di scena insieme al marito boss e a ventiquattro diamanti, il povero commesso sosia viene ucciso e messo nella bara come Don Vincenzo. Ma quando un’infermiera vede per sbaglio il boss vivo è deciso che deve essere eliminata. E quando Ciro va per ucciderla scopre – sulle note di What a Feeling di Flashdance in napoletano – che si tratta della sua fidanzatina di ragazzo. Rifiutandosi di ammazzarla finisce inevitabilmente in una spirale di violenza e regolamento di conti. Ecco già state ridendo. Al cinema dal 5 ottobre per 01 Distribution.

Trentacinque anni dopo. 35 anni di tempo per far entrare nella testa delle persone, anche quelle che non l’hanno mai visto, la mitica frase simbolo di del film: «Ho visto cose…». 35 anni dopo trona Blade Runner. Il teaser e poi il trailer di Blade Runner 2049 hanno scatenato un effetto dirompente e forse inatteso. Una forza suggestiva travolgente. È come se tutti fossimo lì ad attendere il momento giusto per tornare nelle strade della Los Angeles più inospitale che si possa immaginare, di rivivere le emozioni di un film che per molti ha rappresentato una visione del futuro, una sfera di cristallo. Quelle scenografie cyberpunk e quell’atmosfera di disillusione e di pessimismo tipica del noir, innalzata qui all’ennesima potenza. Come si sarà comportato Denis Villeneuve nei confronti dell’originale di Ridley Scott? In un sequel - che dal trailer appare più un remake – il regista e l’entourage sembrano riprendere tutto da dove era: le cicatrici, la postura del taciturno Blade runner Rick Deckard, le insegne luminose di aziende che furoreggiavano negli anni 80, gli occhi verdissimi e le fascinose replicanti, programmate per piacere. L’incontro del nuovo protagonista, l’agente K – Ryan Gosling, con Rick Deckard (Harrison Ford) è una nuova epifania, dopo quella del ritorno di Han Solo due anni fa. Il trailer lascia capire che il tutto avverrà in un paesaggio apocalittico: un deserto interrotto solo da rovine, un museo a cielo aperto abbandonato. Un’altra buona? C’è anche Jared Leto! Al cinema dal 5 ottobre per Warner Bros.

LA STRONCATURA

MOTHER! |Darren Aronofsky CON Jennifer Lawrence Promettiamo che ridaremo a mother! una seconda possibilità. Forse. Ci abbiamo pensato a lungo. L’intenzione è interessante. L’esagerazione è troppa. mother! di Darren Aronofsky non ci ha, purtroppo, convinti. Troppa la voglia di stupire, troppa arroganza. C’è la voglia di sconvolgere, spaventare con temi importanti su cui riflettere ma Darren, che pesantezza! E che confusione! Chi bussa alla porta di quella casa nel bosco? Uomini rispettabili (all’apparenza), donne attraenti, assassini, folli. Non c’è pace per la bella coppia di sposini (Jennifer Lawrence e Javier Bardem) che vive in mezzo alla natura, lontano dal caos delle grandi città. L’amore è letteralmente sacrificio tra quelle mura poco rassicuranti, che sembrano godere di vita propria: la stufa si accende da sola, le pareti pulsano e, qualche volta, respirano. C’era forse, per mother!, l’ambizione di diventare il Rosemary’s Baby del 2017? C’è troppo di tutto e per questo si allontana dal capolavoro di Polanski. L’horror del 1968 attaccava il capitalismo, la borghesia e si interrogava sulle contraddizioni dei benpensanti. Era una parabola amara sulla speranza perduta, sull’oscurità dell’esistenza. Ancora oggi se ne parla di quel finale interpretabile. Darren Aronofsky cerca di girare un film politico, attraverso tutti i drammi della follia moderna. I genocidi, la repressione, l’incapacità di comunicare, i desaparecidos. E ancora, le tensioni religiose, il terrorismo e l’eterna lotta tra il diavolo e l’acqua santa, senza dimenticare il cannibalismo e le messe nere. Intanto i rumori assordanti si moltiplicano, e le parole diventano urla, strepiti, e sfociano nella violenza sregolata. Torna Darren, dacci un altro Requiem for a Dream, un altro Cigno Nero… Torna.

Al cinema dal 28 settembre per 20th Century Fox


venezia DREAM TEAM: Abbiamo incontrato i registi più tosti della 74esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e abbiamo visto i loro film. Tra tutti quelli presentati, questi, vi assicuriamo, non dovete perderli una ballad buffa e triste, irragionevole e pazzoide The Leisure Seeker di Paolo Virzì Cast helen mirren e donald sutherland The Leisure Seeker, che in Italia uscirà con il nome di Ella & John, è il soprannome del vecchio camper con cui Ella e John andavano in vacanza coi figli negli anni Settanta. Per sfuggire a un destino di cure mediche che li separerebbe per sempre, la coppia sorprende i figli ormai adulti e invadenti salendo a bordo di quel veicolo anacronistico per scaraventarsi avventurosamente giù per la Old Route 1, destinazione Key West. John è svanito e smemorato ma forte, Ella è acciaccata e fragile ma lucidissima: insieme sembrano comporre a malapena una persona sola. Quel loro viaggio in un’America che non riconoscono più – tra momenti esilaranti e altri di autentico terrore – è l’occasione per ripercorrere una storia d’amore coniugale nutrita da passione e devozione, ma anche da ossessioni segrete che riemergono brutalmente, fino all’ultimo istante. Paolo Virzì dice: «Non avevo previsto che un giorno avrei diretto un film ambientato del tutto in un altro Paese. Finora mi ero sempre sottratto a progetti americani dei quali mi era stata offerta la regia. Mi hanno convinto a provare almeno a scrivere una sceneggiatura e ho promesso ai produttori: se Helen Mirren e Donald Sutherland interpretano Ella e John, faccio il film. Era solo un modo per spararla grossa e mettere le mani avanti. Il destino però mi ha spiazzato: imprevedibilmente Mirren e Sutherland hanno accettato. Poche settimane dopo facevo i bagagli per attraversare l’oceano: non potevo privarmi del godimento di condividere un’esperienza con due attori così geniali e leggendari. Ma senza alcun intento di diventare “un regista americano”. Mi sento figlio del cinema italiano, seppure ormai la condivisione globale di storie e visioni renda labili e obsoleti i confini territoriali. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura. Mi sembra che ne sia venuto fuori un road movie sulla libertà di scegliere ogni istante della propria vita, con la semplicità di una canzone. Una ballad buffa e triste, con qualcosa di irragionevole e di pazzoide, ma vitale e felice».

persone imperfette, scelte sbagliate Suburbicon di George Clooney Cast Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Oscar Isaac

Esce il 14 dicembre Suburbicon è una pacifica e idilliaca comunità periferica caratterizzata da case a buon mercato e giardini ben curati... il luogo perfetto dove crescere una famiglia. È esattamente quello che stanno facendo i Lodge nell’estate del 1959. Tuttavia, l’apparente tranquillità cela una verità inquietante, quando il marito e padre Gardner Lodge è costretto a farsi strada nel lato oscuro della città fatto di tradimento, inganno e violenza. Questa è la storia di persone imperfette e delle loro scelte sbagliate. Questa è Suburbicon. George Clooney dice: «I fratelli Coen firmarono la sceneggiatura originale di Suburbicon negli anni ottanta. Per una serie di motivi il film non fu mai realizzato e venne accantonato. L’anno scorso io e il mio socio Grant Heslov stavamo lavorando a una storia accaduta a Levittown, Pennsylvania, nel 1957, ispirata al breve documentario Crisis in Levittown. Chiamai i fratelli Coen per chiedere loro se potevamo provare a dare un’occhiata al copione e farne un film storico ambientandolo in una città come Levittown. Loro si dimostrarono entusiasti, e noi ci mettemmo subito al lavoro. È un film che volevo fare perché mi piacevano i temi. Mi sembrava un momento appropriato per parlare di muri e minoranze che fanno da capro espiatorio, anche se all’interno di un thriller insolito. Ho sempre amato l’idea di un omicidio consumato in una città perfetta con tutta la gente che guarda nella direzione sbagliata. È la storia di un’epoca e di un luogo dai quali, purtroppo, non ci siamo mai veramente allontanati».

Esce il 25 gennaio 2018 la favola ultraterrena The Shape of Water di Guillermo del Toro Cast Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones.

prossimamente in uscita Si tratta di una favola ultraterrena ambientata intorno al 1962 sullo sfondo dell’America della Guerra Fredda. All’interno del remoto laboratorio governativo di massima sicurezza dove lavora, la solitaria Elisa è intrappolata in una vita di silenzio e isolamento che viene cambiata per sempre quando lei e la sua collega Zelda scoprono un esperimento segreto. Guillermo del Toro dice: «Le favole sono nate in tempi difficili e complessi, quando la speranza sembrava perduta. Ho realizzato The Shape of Water come antidoto al cinismo. Personalmente ritengo che quando parliamo di amore – quando crediamo nell’amore – lo facciamo in modo disperato. Temiamo di apparire ingenui e perfino falsi. Ma l’Amore è reale, assolutamente reale; e, come l’acqua, è la forza più gentile e più potente dell’Universo. È libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al quale è destinato, fino a quando non lo si lascia entrare. I nostri occhi sono ciechi, ma lo stesso non si può dire della nostra anima. Riconosce l’amore in qualsiasi forma arrivi a noi».


CDQC I LOCALI I A CURA DI MARCO TORCASIO Kitchen Society / Nippoitalici di qualitá

SUSHI B / B come basta sapori dozzinalI

Allo chef Alex Seveso piace dare scandalo. Italianissimo, viene dal Lago Maggiore, ma autore di un concept ristorativo che strizza l’occhio all’estetica e alla tecnica della cucina del Sol Levante. La sua Kitchen Society è un laboratorio che ama combinare lo stile nipponico all’animo italiano, i sapori fusion del sushi ai migliori ingredienti del Bel Paese, dando vita a una carta sorprendente. Tutto accade in una viuzza della vecchia Milano, in un scenografico loft su più livelli, dallo stile rustico chic, con vetrate su strada e un insolito dehors estivo. Selezionati oli extravergine d’oliva, capperi di Pantelleria, granelle di pistacchio di Bronte, creme di tartufo bianco e erbe mediterranee, sono materie prime di piatti che nella loro completezza però non profumano soltanto d’Italia. Tra le novità del rinnovato menu il Nigiri Rocher, un gamberone braciato al pepe con granella e crema di pistacchio, che si ispira nella pralinatura al noto cioccolatino; i Risottini Fusion con riso giapponese non mantecato anche in versione giallo Milano (con zafferano) come quello con gamberi, avocado, peperoni e crema al tartufo bianco o quello con mix di salmone, orata, tonno e gamberi con olive, capperi e basilico. Tra gli uramaki rolls Alex style spicca quello con orata, burro e salvia (rivisitazione di una classica ricetta lacustre, il risotto con pesce persico). Tanti nuovi piatti che vanno ad aggiungersi a squisiti antipasti come il burger di salmone scottato alla piastra su riso condito e alghe goma wakame, la caprese di tonno tonnato con mozzarella di bufala, il totanetto scottato ripieno di riso con peperone su purea di fagioli cannellini al vino bianco, il gunkan di King Crab con acciughe del mar Cantabrico, uramaki di gamberi rossi al pesto ligure e diverse proposte con jamon iberico Pata Negra de Bellota de cebo de campo, anche in versione mini hamburger.

Se ci trovassimo negli USA sicuramente qualche cronista di battaglia non perderebbe occasione di definirlo Sushi Gate. Questo scandaloso sopravvivere della cosiddetta ristorazione all you can eat. Tra pigrizia, poca informazione e troppa buona fede malriposta, molti di noi continuano ahimè ancora a frequentarne qualcuno. Per carità ognuno è libero di farsi del male come crede, ma noi no. Noi abbiamo deciso di smettere e di riconsiderare da cima a fondo il rapporto a due che intratteniamo con la cucina giapponese. B come basta scarsa qualità del pesce. Basta porzioni squilibrate. Basta sapori dozzinali e pastellature tossiche. B come Sushi B, l’oasi del gusto distante anni luce da simili scenari, che esalta invece ai massimi livelli l’esperienza gustativa di chi ama il sushi. Mi piace immaginare che quella B dell’insegna sia messa lì proprio come proclama di tutti i possibili basta di cui sopra. Al timone c’è un’attenta proprietà giapponese che dà voce contemporanea alla cucina autentica del Sol Levante. Concetto chiave per l’esperienza a tavola al Sushi B è quello dell’omakase, parola nipponica che indica la piena fiducia nei confronti di qualcuno, in questo caso dello chef con due menu degustazione. Sarete serviti da una delicata signora in abito tradizionale giapponese, Taeko, e di fronte a voi due Sushi Chef, Tetsuaki Maruyoshi e Takashi Shimazu, piatto dopo piatto vi accompagneranno fino a un climax di gusto a 360°. Il Giappone trionfa anche nel ristorante gourmet con la cucina dello chef Niimori Nobuya. Oltre all’ampia carta, sono interessanti i piatti speciali e i secondi di pesce come il Gyusuji Don, aberdeen angus marinato con soia, sake, mirin, dashi e zenzero, o il Kakuni di maiale cotto a bassa temperatura per 40 ore. B come be there!

Kitchen Society I Via Gerolamo Chizzolini 2 I MILANO I SEMPIONE

SUSHI B I Via fiori Chiari 1A I MILANO I BRERA

DON JUANITO / non ignorate la cucina delle ande

LA RAMPINA / panino smart, pRANZO fast? ma ripigliatevi

Sono diverse le cucine etniche che abbiamo imparato a apprezzare negli anni, forse più grazie a quelle contingenze modaiole che hanno coinvolto ristoranti indiani, thailandesi, messicani, brasiliani come in un disegno circolare, che a effettivi e curiosi slanci di gusto. La sollecitazione dei sapori continua che amiamo sottoporre al nostro palato, in tempi di contaminazioni internazionali però non può ignorare i colori, i profumi e i sapori inconfondibili della cucina andina, da scoprire al Don Juanito. Nato nel 2003 come tavola calda, divenuto poi bistrot del Don Juan e trasformato oggi da un restyling in sintonia con la crescita della qualità dell’offerta, accoglie tanti pezzetti di un meraviglioso continente, attraversato in tutta la sua lunghezza dalla particolare catena montuosa delle Ande. Tra mais, platano, carne, pesce, legumi, cereali, ingredienti originali come il peperoncino rocoto, sono ormai parecchie le proposte solo argentine nella metropoli meneghina. Pochissime, se non nessun’altra, quelle orientate ad avere qualcosa di più ampio respiro, qualcosa che racconti in modo vero e sincero tutte le sfaccettature del continente sudamericano. Notevoli la Causa Peruana (tipico piatto peruviano, con pure di patate, aji amarillo, lime gamberetti o pollo), il Pulpo a la Parilla (polipo alla griglia con patate, olive e pomodori ) e il ceviche di ricciola marinata con lime, coriandolo, mais bianco e patata dolce.

Zero sbatti, imbruttimento a go go e delivery a domicilio come se non ci fosse un domani. Una cosa che contraddistingue noi milanesi è l’alto tasso di pigrizia una volta evacuate le mura lavorative. Al ristorante ci andiamo in taxi e la spesa la facciamo online. Il panino è smart e il pranzo è fast. Uè ripigliati! ci urlerebbe qualcuno se fossimo ignare comparse di una commedia all’italiana. E allora perché non scandalizzare amici e colleghi e proporre niente meno che una cena in un ristorante storico, con radici cinquecentesche, protetto dalla campagna lungo la via Emilia? Tranquilli, sono solo pochi chilometri da Milano. Un’antica osteria, La Rampina, la cui identità risiede nell’impegno costante della famiglia Gagliardi che cura da generazioni questo gioiello bucolico. La proposta culinaria è quella di papà Lino e del giovane figlio Luca, sapientemente equilibrata tra tradizione milanese, lombarda e innovazione ricercata. Il nome del ristorante anticipa agli ospiti lo stretto legame tra questo casale del Cinquecento e la storia del territorio che lo accoglie. Le cronache narrano che il generale Radetzky, in fuga da Milano durante i moti delle Cinque Giornate, accampò l’esercito proprio davanti al cortile de La Rampina. Scandalizzati da così poca milanesità? Tranquilli, il tocco international di Luca Gagliardi saprà consolare il palato anche dei più radical chic con un risotto al limone, scamorza affumicata e camomilla preceduto da un soufflé d’ortica, crema di patate viola e crumble alla lavanda.

DON JUANITO I corso di P.ta Vigentina 33 I Milano I CENTRALE

LA RAMPINA I Via Emilia fraz. Rampina 3 I SAN GIULIANO MILANESE


CDQC I LOCALI La SINERGIA tra Rudy e il BOND lungo il naviglio di Milano DI STEFANO NAPPA

Rudy Corpetti non è il classico barman che spaccia aromi solamente per vanto davanti a una bella donna. Lui è la rinascita di uno dei locali più fighi di Milano dove suonò persino Marcelo Burlon. Gli abbiamo chiesto come, dove e quando è cominciata la sua storia d’amore col food & beverage moderno. Come sei arrivato al BOND? Perché ti trovi qui? Il BOND è arrivato nella mia vita perché, tra il 2011 e il 2012, la proprietà mi aveva chiamato per una consulenza, in teoria era una collaborazione a scadenza perché stava cambiando gestione, dallo storico proprietario Claudio Antonioli che lo aprì nel 2002. Poi nell’ottobre 2013 c’è stata la svolta, il BOND è passato completamente sotto la mia gestione. Cos’è cambiato nel locale da quel momento? A livello di design non è cambiato molto siamo riusciti a trasformarlo da un locale notturno come molti altri che apriva alle 18:00 con il classico aperitivo più una piccola programmazione musicale, a un locale trasversale aperto da mattino a sera. Il grande cambiamento è stato sulla nostra proposta di food & beverage: colazione e pranzo con un concetto di healthy food, successivamente abbiamo lanciato un business lunch con un menù ad hoc che cambia ogni giorno e un menù bistrot che funziona sempre da pranzo fino a notte lasciando la cucina sempre aperta. E il mondo musicale? Abbandonato? Selezioniamo playlist adeguate per ogni singolo momento e quando è possibile collaboriamo per proposte live, sapendo che c’è un contesto condominiale da rispettare. Attualmente siamo molto adatti a collaborazioni come quella che è avvenuta con voi di Urban Magazine durante il Salone del Mobile. Ma questa esperienza diversa in che consiste? É quella di creare una sinergia con il cliente, basata sul dialogo e sulla spiegazione su ciò che si sta bevendo o mangiando. Per noi è molto importante che il cliente riesca a riconoscere i sapori e i profumi, infatti il nostro menù attuale dei cocktails, che cambiamo ogni 4 mesi, si chiama proprio Cocktails Guide. Non una lista di drink ma una vera e propria guida. Ogni persona può riconoscersi in un cocktail o il BOND ha il suo classic? Ogni persona può e deve farlo, in base al proprio umore e desiderio di quel

momento! Ovviamente ci sono drink di maggior successo, come il Rimmel che viene presentato con una sorprendente crosta di cioccolato fondente, oppure Il Fine Lavoro, l’Islay Milano e Il Terra di Mare. Quest’ultimo rappresenta proprio il nostro lavoro, la nostra filosofia, ossia lavorare la materia prima in maniera semplice e intelligente per esaltarne i sapori e i profumi. Qui il Gin Mare, un Gin molto conosciuto, lo abbiamo abbinato al succo di limone fresco di Amalfi, a uno sciroppo al rosmarino e a una essenza di olio al peperoncino fatti da noi, con aggiunta di peperone giallo prima cotto a bassa temperatura per togliere la pelle e poi la polpa viene utilizzata con il resto dando vita ad un concetto di Bar-Cucina moderno. L’episodio più imbarazzante o molesto che è successo in questo locale? Oggi la considerazione della professione barman è cambiata anche in Italia. Stare dietro un bancone, se fatto con grande professionalità, ti dà fama e fascino soprattutto con le donne. C’è un gioco sottile che s’innesca perché nel dialogo sul cocktail cerchi di creare un’empatia per capire i suoi gusti, le sue preferenze e di cosa lei abbia bisogno in quel momento, e se questo capita quando sono accompagnate comunque si crea sempre un po’ di imbarazzo. Invece un episodio simpatico è stato quando un ragazzo preso dall’euforia della serata si è spogliato nudo. Ovviamente lo abbiamo fatto uscire subito però lui con insistenza voleva rimanere al BOND, e più volte ha tentato di rientrare, con la sua pinna al vento. Senza margini di budget se tu dovessi ospitare un artista esclusivo di qualsiasi tipo in questo locale chi sceglieresti? Più che farti nomi di grandi artisti, nel nostro piccolo stiamo cercando di dare spazio a molti artisti italiani poco conosciuti in ambito nazionale. Spesso facciamo delle esposizioni di studenti delle varie università milanesi. Tempo fa abbiamo ospitato gli scatti di Larry Woodman o le opere del collettivo Oltre Collage. Le nostre porte sono aperte sopratutto a giovani artisti che hanno qualcosa da raccontare. Alla fine di tutto questo cos’è il BOND? Il BOND non è un marchio, non è un brand ma un luogo dove poter vivere momenti di condivisione e aggregazione, dove ogni incontro può diventare una scoperta, ogni diversità è ricchezza e dove scoprire aromi e sapori stimolanti. Un’esperienza che può trasformare la tua giornata e il tuo umore.

BOND - Via Pasquale Paoli, 2, 20143 Milano


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THE SCANDAL ISSUE

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CDQC I MEDIA

candy MAGAZINE: transgender, androgino, crossdressing e una passione sincera per l’estetica Di strip-project.com Un tempo le scelte erano più limitate: nascevi maschio o femmina e poi c’era da capire il tuo orientamento sessuale. Poi boom! Il 900 è stato il secolo dell’emancipazione dei grandi cambiamenti. Mai prima d’ora nella storia è stato vissuto un periodo come il 21° secolo in cui uomini e donne hanno avuto a disposizione così tante opportunità per modificare il proprio corpo dalla testa ai piedi e così tanti modi per poter cambiare la propria apparenza. Ci sono metodi soft, come il make up, o più invasivi come la chirurgia plastica, ma è ormai chiaro che stiamo vivendo in un’epoca meravigliosa per quanto riguarda la libertà di esprimersi. Questa libertà si traduce in una celebrazione della diversità, stilistica ed estetica. Ogni individuo ha la libertà di apparire ed essere ciò che vuole. Su questa forza Candy Magazine, ha costruito le sue basi. Ottobre 2009. Esce il primo Candy. Il nome è una celebrazione di Candy Darling, l’attrice trans lanciata da Warhol. Nessuno prima d’ora aveva mai osato niente di simile. Il magazine è interamente dedicato al mondo transgender, androgino, cross dressing in tutte le sue manifestazioni. Si capisce subito che è qualcosa che va oltre lo scandalo e che non è un trend editoriale passeggero. Candy è l’unico magazine del panorama editoriale in grado di rendere l’idea di quanto è stato, è, e sarà importante e ricco il linguaggio transgender e del travestimento a livello artistico e culturale. Un magazine come Candy non nasce su due piedi, la sua genesi ha una storia che precede la nascita. Delle vite precedenti, diciamo. Il creatore di Candy è Luis Venegas. Classe 1979, spagnolo, alle spalle ha collaborazioni editoriali di altissimo livello ed è un creativo, un editor, un editore. In Spagna e nel mondo si era già fatto notare negli anni precedenti con tre pubblicazioni: Fanzine137 (dedicata ai suoi personali eroi e icone di stile), EY! MAGATEEN (sui ragazzi sexy) e THE PRINTED DOG (una raccolta di foto di cani ritratti dai più famosi e importanti fotografi). Già da questi esperimenti visionari si evince il mondo di Venegas. Spesso le grandi menti hanno una visione e vanno per la loro strada, senza nemmeno farsi aspettative sul risultato. Quello che Venegas aveva sempre desiderato era fare un magazine di moda e stile, ma quando lanciò CANDY un po’ ispirato dalla iconica copertina di Vogue Italia con le modelle di colore, non sapeva ancora che avrebbe anticipato e cavalcato un trend così potente. Due mesi dopo nel dicembre del 2009, Amanda Simpson è diventata la prima donna trans alla Casa Bianca; la piccola Shiloh Jolie-Pitt, a soli 4 anni, decide di cominciare a vestirsi da maschio; la bellezza brasiliana Lea T diventa la

prima modella transessuale testimonial della campagna pubblicitaria della casa di moda francese Givenchy; a luglio dello stesso anno il meraviglioso modello androgino Andrej Pejic è l’uomo della settimana della moda parigina e diventa un icona internazionale e RuPaul la drag queen più famosa al mondo vince un Emmy come miglior presentatore di un reality show e così via, come se fosse stato normale, invece era stato semplicemente normalizzato da Candy. Il sogno di Louis Venegas era esattamente quello di creare un magazine che fosse per tutti, uno spazio dedicato alla libertà individuale che potesse anche incoraggiare le persone a trovare il coraggio di diventare ciò che avessero sempre voluto essere. Venegas ha indubbiamente un occhio di riguardo verso il passato ma senza nostalgia, non è mai melanconico, semplicemente è convinto che sia importante conoscere quello che c’è stato prima per avere uno sguardo proiettato nel futuro. Tra i servizi più memorabili , meritano una googolata la cover con James Franco truccato da donna e fotografato da Terry Richardson, Tilda Swinton scattata da Xevi Montanè e il servizio di Mariano Vivanco che impersonifica tredici playmates . Su Candy troverete sì foto d’autore bellissime, scatti di Avedon, Irving Penn e nomi noti, ma Venegas, da buon visionario e innovatore quale è, ama soprattutto andare alla ricerca di giovani talenti, e ci tiene a evidenziare in ogni piccolo

dettaglio di questo capolavoro di rivista che non c’è nessuna ideologia politica dietro, ma una passione sincera per l’estetica senza limiti del mondo tansgender e del travestimento troppo spesso associato solo superficialmente a scenari di degrado o scandalistici.


CDQC I DANZA articolo maschile singolare DI FRANCESCA PETRONI I tutù, le scarpette, i nastri rosa, e lo chignon. La danza è per le ragazze. Le bambine che sognano di fare le ballerina e i maschietti i calciatori sono temi ormai superati e discussi, ma se per questa occasione vi suona meglio chiamiamola pure il danzo. Abbiamo intervistato Ivan Spinella e alcuni degli 8 danzatori di U_nited, una compagnia che va oltre la visione di genere composta da corpi maschili, forti e uniti. Come nasce United? Da dove deriva il nome? Ivan Spinella: U_Nited nasce da una sala prove, una sala prove dove per caso eravamo solo uomini. Durante quella giornata mi è piaciuta l’aria e la sintonia che si era creata in sala, così ho deciso di fissarne delle altre. Ho continuato e così ho iniziato a fare esibire i ragazzi come ospiti durante i concorsi. Vedendo il risultati ho deciso di dare un nome ed un seguito al tutto, così è nata la compagnia. Perché avete deciso di creare una compagnia solo maschile? Ivan Spinella: Sono uomo e nella danza mi piace l’uomo. La forza, l’energia, l’unione e lacapacità che ha di saper far gruppo. Questo si vede tanto nel lavoro artistico della compagnia ecco perché soli uomini e non perché io sia maschilista, cosa che tante donne pensano. Quale linguaggio coreografico viene utilizzato? Che significato date all’uomo? Ivan Spinella: Il linguaggio coreografico di U_Nited è prettamente di contaminazione. Unisce la tecnica e l’energia della street dance con le dinamiche della danza contemporanea. In scena si vedrà la forza, la passione e tutti i sentimenti di questi 8 giovani ragazzi, che lavorano per costruire il loro futuro in una nazione che spesso tende a sottovalutare questa arte. C’è qualche artista a cui ti sei ispirato? Ivan Spinella: Non sono stato ispirato da nessun artista in particolare, ma mi sono lasciato ispirare dalla vita, da quello che stava succedendo attorno a me e dai miei danzatori che sono sempre pronti a proporre nuove idee. Spesso le cose più belle le abbiamo sotto al naso, non c’è sempre bisogno di andare a vedere troppo lontano, o oltreoceano come fanno tanti, il rischio è diventare fotocopie di altri. Come descriveresti lo spirito della compagnia? Francesco Vanella: Uno spirito sano, pieno di voglia. U_Nited è uguale a Uniti. Siamo in 9 compreso il coreografo , un gruppo di persone che condivide un solo obbiettivo quello di raggiungere mete molto lontane.

Quali sono i vostri prossimi progetti? Daniele Laganà: Innanzitutto ritrovarci tra pochi giorni tutti in sala prove, come all’inizio. Ad ottobre siamo stati invitati da Mirella rosso per il “140 danza d’autore” con tanti altri coreografi e compagnie a Milano. Ma l’appuntamento più importante è il 2 dicembre, sarà il nostro debutto in teatro. Abbiamo già ballato in diversi teatri quest’anno e ogni volta che siamo saliti sul palco l’adrenalina era a mille e il risultato è stato sempre positivo. Ci sono tanti altri progetti che stiamo valutando ma siamo ancora studenti e la mattina siamo impegnati. Dobbiamo sempre ringraziare il nostro coreografo Ivan Spinella, che per noi è una guida e un maestro di vita. Cosa pensi quando sei sul palco ad esibirti con U_Nited? Ralf Della Chiave: Quando io ballo con U_Nited riesco a sentire l’energia di ogni singola persona su quel palco. Penso proprio che sia per il mio passato che quando ci esibiamo ballo come se fosse l’ultima volta che lo faccio senza risparmiarmi un solo secondo, questo posso farlo grazie alla forza che mi trasmettono i miei compagni che adesso chiamo fratelli e grazie al fuoco che ci trasmette il nostro coreografo, capitano, amico, confidente Ivan Spinella. Quando inizia la coreografia, è come se iniziasse una battaglia: il corpo inizia a tremare i muscoli si fanno rigidi e in quel preciso istante non c’è niente che ti possa fermare. Molto spesso i ballerini sono in minoranza rispetto alle ballerine. Cosa si prova a danzare in un gruppo di soli uomini? Cesare D’Amico: Personalmente quando danzo non credo molto nel gender maschile o femminile ma penso al corpo in generale senza inibizioni senza ruoli stabiliti. Però devo dire che far parte di un gruppo di soli uomini è differente, nell’energia, nella forza, nella tenacia e nella caparbietà che spesso ci unisce, creando anche piccoli scontri che tirano fuori il lato bruto e selvaggio di noi . Di cosa parla il vostro spettacolo? Riccardo Titi: U_nited vuole portare in scena l’evoluzione dell’uomo, partendo da un passato antico fino a un futuro non troppo lontano. Questo cammino si svilupperà grazie alla forza del gruppo. Durante il percorso storico l’uomo ha attraversato momenti difficili e anche questo si vedrà sulla scena. Come sono le vostre sale prove, descrivete il vostro rapporto in sala? Filippo Beccati: A volte le sale prove possono essere faticose, soprattutto dopo alcune ore di lezione, ma quando vedo i miei compagni mi viene voglia di non fermarmi mai. Prima di iniziare ci facciamo sempre due risate insieme, in questo modo ci tiriamo su il morale se c’è qualcosa che non va. Quando si tratta del lavoro vero che creiamo in sala, gli animi non sono gli stessi. Durante il montaggio delle coreografie ovviamente stiamo zitti e concentrati, anche perché non si andrebbe più avanti con il lavoro.


THE SCANDAL ISSUE

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CDQC I LIBRI I INTERVISTA

il testo sacro dell’ingresso artisti

DI ELISABETTA CASTELLARI - illustrazioni di FELIx petruŠka

ovvero il secondo canale. L’entrata posteriore, il sesso anale. arriva in italia la guida pratica per prenderselo con piacere. anche se sei etero Quando si parla di sesso anale spesso si incappa in parecchi luoghi comuni: l’ano è una cosa sporca, privata, oppure non adatta alla penetrazione. C’è una fetta della popolazione mondiale che lo immagina come una pratica riservata alla comunità gay, oppure a baldanzosi maschi etero pronti a somministrarlo a compagne pazienti, che soffriranno un po’ pur di dar piacere ai loro compagni. Liberare la mente da queste frottole non è cosa facile, sopratutto in Italia. Dove abbiamo aspettato vent’anni per poter aquistare e leggere – senza temere scomuniche papali - Giuda al Piacere anale per Lei di Tristan Taormino (Syosset, New York, 1971). Un testo sacro sul tema che dopo la prima pubblicazione del 1997 torna oggi in una versione rivista e aggiornata dall’autrice, pubblicata per la prima volta nel nostro Paese da Odoya. Valentine aka Fluida Wolf (Londra,1984), traduttrice e attivista femminista pro-sex, è la curatrice dell’edizione italiana, e in autunno terrà un tour nazionale di presentazione del libro. In una chiacchierata ci spiega perché sia necessaria questa lettura. Il libro si può definire una moderna guida all’educazione sessuale? Si, questa definizione mi piace. Di educazione sessuale, aperta alle varie modalità e ai vari canali, c’è ne più che mai bisogno. Su questo argomento mancano le basi anche nelle generazioni più giovani. Nella nostra società si parla tanto di sesso, ma sostanzialmente male. Fa sorridere, come annoti ironicamente nella tua prefazione al libro, che oggi per prenderselo in culo sia necessaria una guida. Il libro scardina vecchie idee, un immaginario che arriva dal porno mainstream, da certi romanzi e immagini cinematografiche. Si pensa che un sedere è sempre lì pronto e disponibile. Basta forzare un po’ la mano e si va. Tristan Taormino spiega che per fare sesso anale sono necessari cura, amore e riscaldamento. È detto in modo chiaro che non c’è nessun motivo per cui il sesso anale debba provocare dolore. Bisogna andare per tappe: preparare la dilatazione e accompagnare l’eccitazione. Il libro è pieno di consigli pratici. Questo testo si rivolge a tutti. Coppie etero, omosessuli ed esploratrici solitarie. Mi sembra un invito ad addentrarsi in nuovi tipi di sessualità. Ci sono donne che sanno godere appieno della sessuaità anale. Per cui la pratica anale, da sole o in coppia, è fondamentale per la

vivere la loro sessualità. Ognuna di noi ha le sue preferenze. Il punto focale del libro è, a mio parere, che il partner ricevente è identificato come parte attiva nel rapporto. Dovrà comunicare di continuo le proprie emozioni e avrà il pieno controllo, decidendo ritmo e profondità. Dildo, plug, vibratori. Ci sono una grande quantità di sex toys che si possono utilizzare nel sesso anale. Taormino ne descrive un vero armamentario. I suoi sono consigli. I sex toys non sono qualcosa in più nel rapporto, ma piuttosto qualcosa di diverso. Ognuno deve misurarsi con i propri desideri. Tutto si può fare. Bisogna però sempre usare gli strumenti giusti: preservativo, molto lubrificante, e sex toys sicuri, con una base allargata che permetta di sfilarli dal retto facilmente. I miti da sfatare sono parecchi. I dati riportati nel libro sono sorprendenti. Le statistiche americane sul sesso anale, ad esempio, attestano che lo pratichino regolarmente meno del 30% degli uomini gay (la fellatio è molto più diffusa), contro il 20-45% delle donne. C’è sopratutto un grande tabù. E riguarda gli uomini etero: c’è la tendenza a dire che se a uomo piace il sesso anale è gay. Ci sono tantissimi etero a cui piace o che vorrebbero riceverne dalle loro parner. Ma hanno paura a livello culturale. Il fatto che un uomo si faccia penetrare da una donna ancora non è accettato; l’uomo ha paura di sembrare sottomesso. Ovviamente non è così perché nel rapporto sessuale ci si dà piacere a vicenda. Sta ora agli uomini rivendicare il diritto ad una sessualità anale. Questo libro è il prodotto di un femminismo che ha un approccio positivo e libero al sesso, che lo intende come uno spazio di potere che le donne devono prendere, anche come forma di riappropriazione del corpo. Oggi ci sono tanti workshop e libri sex positive. Ma c’è ancora sinceramente tanta strada da fare. Se si leggono le recenti statistiche sulle percentuali di donne che riescono a provare un orgasmo sono numeri molto tristi. In Italia è dagli anni Settanta che le donne hanno iniziato a prendere parola in modo forte sulla propria sessualità. Il problema resta l’accessiblità a certe informazioni. Bisogna lavorare sulle giovani donne prima che i miti soppiantino la realtà. Ovvero prima che i retaggi culturali della chiesa cattolica o dell’industria pornografica etero-patriarcale e mainstream diventino macigni pesanti e difficili da spostare.

I TOYS SCELTI PER VOI

GIOCHI ANALI e CURIOSITÀ

palline e catene anali – si trovano in lattice o in plastica dura e sono tenute insieme da un filo di cotone o di nylon che termina ad anello. Nei sexy shop se ne trovano di tutti i tipi, anche molto economici. Attenzione però. Prima dell’acquisto verificare sempre che non abbiano parti irregolari o potenzialmente taglienti.

masturbazione anale – molto consigliata ai principianti. Guardarsi il

dildo strap on – ovvero un dildo da indossare – appoggiato sul monte di Venere – per avere le mani libere durante il rapporto. Meglio sceglierne uno sottile con una imbracatura semplice e funzionale.

Aneros

– assomiglia a un plug ma ha due maniglie sottili alla base. Nato a scopo medico per il massaggio prostatico, è diventato un sex toy molto cool.

sedere e accarezzarsi con tocco lieve è il miglior modo per iniziare ad addentrasi nel mondo dell’erotismo anale.

anilingus/rimming – è possibile fare sesso sicuro anche durante un rapporto oro – anale. Il dental dam è una “diga dentale” in lattice che funziona come un preservativo per la lingua. Spanking – pratica amata anche nel mondo del BDSM (bondage, dominance, submission and sado-masochism) è la classica sessione di sculacciate sul sedere. Da esercitare con qualche attezione (mai colpire l’osso sacro), dà piacere in forma di colpetti e attira il sangue nell’area, favorendo il processo di eccitazione anale.


CDQC I BEAUTY JEAN PAUL GAULTIER / LO SCANDALO DIVENTA UN PROFUMO DI ALEX VACCANI Come si fa a non amare Jean Paul Gaultier? Anche solo per quello che ha rappresentato per la moda e il costume? È impossibile. La sua carriera è stata costellata da scandali; ha messo gli uomini in gonna, ha dato a Madonna lo storico corsetto a cono, ha rifiutato, prima che diventasse trend topic, i confini di genere, tanto per ricordarne alcuni. Diciamocelo, per il nostro Jean Paul il politicamente corretto è sempre stato noioso. Torna adesso con una nuova fragranza tutta al femminile che farà parlare di sé. Il suo nome è Scandal quasi a sigillare tutte le provocazioni dello stilista e di tutte quelle donne che si sentono sexy, amano farsi notare, e si sentono libere e forti, come tutte le muse di Gaultier, qui idealizzate in una ministra che di giorno e dedita al suo ruolo, ma che di notte diventa una predatrice che si aggira per le strade e i locali di Pigalle. Niente è lasciato al caso, il flacone è ironico e sexy con il tappo da cui emergono due leggiadre gambe, come quelle delle immagini storiche di Guy Bourdin, che aleggiano all’in su come ad annunciare uno scandalo che sta per accadere o che si è appena consumato. Per più di vent’anni i flaconi di Gaultier rappresentavano dei busti ma oggi libera le gambe. Il profumo creato da Daphé Bugey è avvolgente e stordisce i sensi. Il cuore di questa fragranza riguarda la vita divisa tra il giorno e la notte: inizia in maniera più gourmand, con miele fresco che profuma di gardenia e arancia rossa, quasi come se fosse un ricordo d’infanzia e continua con un carattere mieloso più seducente e accompagnato dal patchouli. Alla fine della giornata però, il giorno e la notte sono entrambi presenti e mandano messaggi irresistibili, dove lussuria e lusso s’incontrano in una vita fatta di scandali. Dal 3 al 23 ottobre puoi provare la nuova frangranza di Jean Pual Gaultier da Sephora in Corso Vittorio Emanuele.

CDQC I TECHNO Garmin VivoActive HR / sfortunatamente non sa fare il caffè DI ETTORE DELL’ORTO Ping-pong, baseball, curling. Ecco alcuni dei pochissimi sport ai quali quelli di Garmin non hanno pensato, quando hanno concepito il nuovo VivoActive HR. Ora, non è che chi scrive sia in grado o abbia velleità di confrontarsi con chissà quante attività fisiche, ma con questo smartwatch universale della casa americana, pensato per chi non ama particolarmente stare fermo nel weekend, basta chiedere, sfiorandone lo schermo e lasciar fare. Subito a un primo impatto salta all’occhio il design minimal, essenziale e discreto: quadranti customizzabili per formato e colori, un paio di tasti e uno schermo rettangolare che facilita lo scrolling. Un minuto netto è il tempo necessario per prenderci confidenza, e realizzare come sia possibile cucirsi il VivoActive su misura in base alle proprie esigenze, a cominciare dallo sport che si vuole praticare: la lista è lunga e comprende corsa, bici, nuoto, golf, camminata, sci, sci alpinismo, sup, per ciascuna attività è possibile programmare un allenamento specifico in base al livello di partenza e rilevarne i dati salienti. Una volta scaricata sullo smartphone la App Garmin Connect il gioco è fatto: tramite Bluetooth e in maniera del tutto automatica il VivoActive trasmette tutte le informazioni in tempo reale, con tanto di diagrammi che mostrano di volta in volta miglioramenti e aggiornamenti vari, ad esempio le calorie bruciate ogni giorno. E siccome il riposo è fondamentale, tanto quanto gli allenamenti, il rilevatore cardio incorporato nel VivoActive è in grado di individuare le ore di sonno effettivo giornaliero. Un orologio di ultima generazione, buono per tutte le stagioni, il cui taglio marcatamente urban ha nella connettività il suo asso nella manica: mail, messaggi, notifiche social e chiamate compaiono sul display in tempo reale, senza bisogno di estrarre il telefono dalla tasca. Sfortunatamente non sa fare il caffè.

GARMIN VIVOACTIVE HR PREZZO: 269.99 EURO GARMIN.IT


CDQC I LIBRI

ROMANZO I Il cadetto (TERRAROSSA EDIZIONI) di Cosimo Argentina QUANDO NON SEI TU CHE LEGGI LE PAGINE MA SONO LE PAGINE CHE TI BOMBARDANO I NERVI OTTICI DI LORENZO MANFREDI NON MI SENTIVO UN EROE E NON AVEVO UN VERO E PROPRIO PROGETTO, ERA QUINDI PIACEVOLE PENSARE CHE QUALCUNO SI SBATTESSE PER COSTRUIRMELO Questo è Leonida Ciorci, il primo devitalizzato personaggio sputato dal cranio di Cosimo Argentina, benemerito scrittore, il più talentuoso tra i suoi contemporanei. Dico primo perché Leo è quello che ha sverginato Argentina in termini prettamente editoriali, essendo il protagonista del suo romanzo di debutto, Il Cadetto. Pubblicato nel 1999 dai lagunari di Marsilio, esce in una nuova versione redux per la neonata Terrarossa. Nuova versione: non è che il socio cambi giusto qualche virgola. Ci sono episodi inediti e uno stile di scrittura in linea con la sua produzione più recente. Con Cosimo non leggi le pagine, sono le pagine che ti bombardano i nervi ottici e finiscono per leggerti dentro. La storia, la trama è un calderone di esperienza che spesso viene bollata dai critici incamiciati come romanzo di formazione, i più forbiti addirittura sciabolano il termine austroungarico bildungsroman. Leo non sa che arte prendere, nella vita. Mezzo mediocre a scuola, decide alla cazzo di cane di imbarcarsi nell’avventura dell’accademia militare di Modena, quella dove formano i cadetti, i futuri eroi della Patria che torneranno a casa in cappotto di legno e tricolore ad avvolgerne il sudario. Ma non fa per lui, sicché mette firma e prova a fare l’universitario sbandato a Bari, giurisprudenza. Inanellato un ulteriore fallimento anche nella città di San Nicola e di Antonio Cassano, il buon Ciocri (storpiatura italianizzata di Choukri, mitologico e inavvicinabile scrittore

magrebino) si dirige alla volta dell’hinterland milanese dove ha raccattato un lavoro come impiegato nel settore scolastico. A Mi-l’ano spurga un po’ del suo impeto artistoide scrivendo copioni teatrali assieme alla grande Alda Merini. A me gli scrittori che schiaffano verità biografica vissuta e fantasia fanno impazzire. Hemingway, Bukowski, Céline, Conrad. Gentaglia da baraonda. Cosimo appartiene a questa progenie demoniaca. Oh, veramente è stato amico della Merini. E anche della Pivano, se è per questo. Le pagine ambientate a Taranto, prima durante e dopo la sessione di esami della maturità, sono coltellate testate calci sulle gengive. Ti scuotono i meandri delle ‘ndrame, dell’anima, delle budella. Le leggi e nei canali uditivi si riproduce in automatico Albakiara di Vasco e Siamo Solo Noi. Folleggiare sui PX 125 con bermuda e camicia aperta, i bagni serali con la palla solare che si infiamma e rosseggia. Nostalgia sicura che vi si avvolge intorno al collo come un boa costrittore strangola la preda. E poi in copertina ci sono tre, quattro bottiglie di Raffo. La Raffo è la birra di Taranto. Non è tutta ‘sta birra, ma in rapporto qualità-prezzo (costa un misero euro) è la lager più accettabile che possiate trovare sul mercato. In sostanza, chi non lo legge non merita di vivere. Davvero.

IL FUMETTO Saga A.V. (Bao Publishing)

LA LIBRERIA Open – more than books

Almeno una volta nella vita ci siamo domandati che cosa fosse l’amore. E la risposta ce la siamo anche data, un po’ a caso, un po’ a pelle, di pancia, lasciati trascinare dalle sensazioni del momento. È impossibile dire con certezza che cosa sia l’amore, non credete? L’amore è qualcosa di potente e di effimero allo stesso tempo, è la sensazione astratta più concreta che ci sia, l’amore è qualcosa che nasce da due individui per svilupparsi in uno solo. L’amore è ovunque, in ogni cosa, oppure no. Oppure tutto è intriso di odio e rabbia e l’amore è quell’istante che ci salva dalla caduta dell’umanità, dal decadimento del mondo. L’amore nei tempi di guerra com’è, che cos’è? La spiegazione provano a darla Alana e Marko - nel fumetto Saga edito dalla Bao Publishing - i due soldati, due avversari, due abitanti di pianeti opposti e in guerra da sempre. Lo scontro tra Landfall e Wreath (i due pianeti coinvolti nella guerra) è pieno di cattiveria, di disprezzo, di rancore e basato sulla volontà di annientare il prossimo e di vendicarsi dei morti causati dal pianeta avversario. Ma quando Alana e Marko si incontrano sul campo di battaglia qualcosa va come nessuno si poteva immaginare: scopano. Ma scopano di gusto e scopano con amore. Da lì, nemmeno loro si aspettavano che potesse nascere qualcosa, qualcosa di vero, di reale, di emozionante. E invece nasce, cresce e prende anche un nome, il nome è Hazel. Una figlia che nasce in un universo in guerra, né carne né pesce, né aliena di Landfall, né alata di Wreath. Un obbrobrio per molti, un abominio che merita la morte per altri. Nessuno vuole che viva, nessuno vuole che possa esistere un essere che significhi la pace tra i popoli che hanno dato inizio alla guerra più feroce e malvagia della storia. Per Alana e Marko è facile scegliere che cosa sia per loro l’amore, la loro figlia Hazel. Da proteggere a tutti i costi da un universo che vuole mangiare più di quanto possa digerire. L’aggressività è intrinseca nel mondo, l’amore è la salvezza nella testa di Brian K.Vaughan. Saga è la storia di una famiglia che tra mille avversità, dovute alle loro origini e non solo, ai loro comportamenti e alle loro reazioni, sta cercando, con fatica, il loro posto, quello giusto, nell’universo. Ma quindi, voi, avete capito cos’è l’amore?

Stay tuned? No, stay open! è il nuovo mantra da ripetersi nella mente ancora e ancora. Il primo dei «5 elementi dell’ecosistema Open» – Stay Open, Stay Giver, Stay Curious, Stay Explorer, Stay Creative – che, diciamocelo, suonano un po’ come quei percorsi di autoaiuto in tot fasi. Ma il lettore milanese, come i lettori di tutto il mondo, è sempre un po’ in crisi esistenziale: una volta perché si sente costretto a seguire la corrente del mainstream, leggendo il libro in cima alle classifiche; una volta perché se ne vergogna, neanche fosse un’onta, e cerca di rimediare applicandosi alla letteratura di nicchia, che pure gli piace e lo fa sentire figo; e un’altra perché non sa come conciliare le due cose. Quindi, forse, un percorso in 5 fasi può aiutarlo a essere sincero con se stesso e farlo sentire in pace (almeno nel mondo letterario). Per questo Open si definisce, con le parole del suo ideatore, un ecosistema creativo. Varca la porta, sali le scale e entra in un piccolo grande mondo di mille metri quadrati, colorato e minimal, dove puoi leggere mainstream o underground senza pecche nell’orgoglio, perché tanto, credimi, non gliene frega niente a nessuno di cosa leggi. Entra con la mente aperta. Lasciati incuriosire da quello che c’è tra gli scaffali, nei tablet a disposizione e tra i libri dentro i frigoriferi. Esplora quell’universo in espansione che è il tuo modo di vivere, attraverso i workshop e gli eventi – non solo legati al mondo letterario/editoriale – che Open organizza per farti riscoprire la gioia che c’è oltre il lavoro. Sii creativo, ma a modo tuo. Perché la creatività non è creare qualcosa che gli altri potranno giudicare come estrosa, diversa... creativa. È avere quel guizzo che ti fa vivere le passioni come solo tu sai fare. È quell’estro che ti permette di creare te stesso, e lasciare che gli stimoli esterni ti penetrino dentro e ti completino. Se andrai alla Open, e ci andrai, fai tutto questo, ma fallo su un divano colorato con un libro in una mano e un drink nell’altra.

Fabio Fagnani

Viale Monte Nero 6, Milano

Federica Colantoni


CDQC I SHOPPING I A CURA DI FRANCESCA ORTU Paura, libertà e bellezza. intervista a Valentina Curzi, nuova art director di oxs stata giustamente incosciente nel fare questa scelta, senza pensarci troppo. Mi sono lanciata nel buio e trovo di aver fatto il salto nel momento giusto. Che relazione e equilibrio ci sono tra te, l’architettura e la moda? Fortissima per me. Tutte le volte che ho disegnato una collezione ho preso ispirazione dall’architettura. Per me c’è un legame indissolubile tra questi due mondi, anche se apparentemente potrebbe non sembrare. E per questa tua prima collezione? Sono andata a scavare nelle origini di oXs, negli anni 90 essendo nato nel 1991, andando a cercare tutto quello che lo rappresentava e che poteva darmi ispirazione, dall’arte alla moda, fino alla letteratura. Cosa hai mantenuto delle caratteristiche di oXs per mantenere intatta l’identità del brand? Innanzitutto ho cercato di mantenere la sua anima grunge e le stampe militari, capisaldi intoccabili del marchio. Poi ho cercato di guardare al passato con gli occhi del presente, di svecchiarlo e di dargli freschezza. Di rendere questi principi più attuali. oXs con te invece cosa diventa? Contemporaneo. Rinnovato, ma che mantiene la sua pelle. Non la stravolgerò, la travolgerò. Ci sono dei tratti distintivi che ti rappresentano al suo interno? Sì. Si notano tramite l’alleggerimento che ho dato nelle suole per merito di forature e reti stretch che gli attribuiscono un senso di libertà. Io sono uno spirito libero, sono una libera pensatrice, odio gli schemi e appena posso cerco di andare oltre. Penso che ci sia questo di me. Come sei arrivata a diventare la Art Director di oXs? Qual è stato il tuo percorso all’interno dell’azienda? Da anni faccio parte dell’azienda. Durante un lavoro di interior design nel loro negozio ho fatto degli sketch per sbaglio di borse e da li si è generato un flusso continuo. Ho iniziato a disegnare la loro collezione. Ho sempre ispirato il brand e ogni tanto mi capitava di disegnare anche le scarpe. Cos’è il design? È musica. Ti dà emozioni. È il senso del bello. Anche un bel paesaggio o una giornata di sole sono per me design. Tutto può essserlo.

Ha studiato architettura d’interni, creato linee d’abbigliamento, di borse e ora è l’art director di oXs. Riprende in mano questo marchio storico che aveva bisogno di un refresh. Come? «Senza cancellare la sua storia, i tratti principali, i modelli che lo hanno reso riconoscibile, ma con un atteggiamento più contemporaneo» Valentina quando sei entrata in contatto con la moda? Durante un master che ho svolto a Londra in fashion design. Inizialmente pensavo di diventare un architetto. Ho studiato architettura d’interni, ma in Inghilterra mi sono appassionata alla moda che mi ha strappata e mi ha fatta innamorare di questo frenetico e difficile mondo. In che modo? Ho sempre pensato che, al contrario di chi dice che l’abito non fa il monaco, esso lo faccia invece. Londra è una città in cui puoi essere te stesso, vestirti come vuoi. Camminando per le sue vie e osservando le persone sono rimasta incantata davanti ai loro look e al modo di essere. È stato così che ho scelto la moda, decidendo però di portare con me sempre i riferimenti e le ispirazioni dell’architettura. L’architettura e la moda appartengano entrambi al mondo dell’arte ma sono anche tanto differenti. Non hai avuto paura di sbagliare lasciando il tuo vecchio mondo? Credo che architettura e moda vadano di pari passo, sono come un cerchio. Io dico sempre che sono un anello che ho scelto di portare al dito. Sono

Mentre la musica, tua altra passione, come l’associ al design, considerando il gioco di parole che hai utilizzato? La musica riesce a darti emozioni contrastanti. Può farti piangere o ridere, come il design. Una bella scarpa o un vestito possono emozionarti tantissimo fino a farti provare felicità, come farti orrore. Una collezione dalla bellezza imperfetta quella ss18 di oXs? Assolutamente sì, tramite una femminilità mai scontata, che viene fuori con il vedo e non vedo delle reti forate che fanno intravedere la pelle del piede. Grazie a colori pastello, delicati e il verde militare che rimane il protagonista. L’innovazione per Valentina cosa rappresenta? È cercare di guardarsi indietro. Rubare dal passato con l’occhio del presente. Pensi si possa creare innovazione senza guardare al passato? Penso che oggi sia difficile, ma voglio sperare e credere che ancora si possa. Quali sensazioni hai provato durante la creazione della collezione? Paura. Mi ha accompagnata per tutta la creazione ma mi ha anche frenata, non facendomi fare cose troppo azzardate. Un augurio che ti faresti per questo nuovo ruolo? Mi augurerei di riuscire a stare sul tempo, un po’ come la musica. Vorrei che le miei collezioni fossero quicktime. Non vorrei arrivare né prima e né dopo le tendenze. Un attimo prima non si è capito e un attimo dopo è tardi.


cat/go boldly

Dockers/no compromessi Ebbene sì, il brand nato in California nel 1986, esattamente a San Francisco, e che da sempre detta le regole di una classicità casual, compie un importante passo in avanti nell’ambito dell’abbigliamento e soprattutto del pantalone. Il motto che lo contraddistingue e che recita la frase “Senza compromessi sulla qualità” assume un senso nuovo, quello di non accontentarsi mai e di dare sempre qualcosa in più, non solo all’interno del fashion system ma soprattutto a chi indossa Dockers, rendendo queste novità delle qualità indispensabili e irrinunciabili. A questo proposito, Smart 360 Flex è il nome della linea di pantaloni creata per la fall winter 17/18, realizzati in tessuto stretch quadrielastico. Cosa significa? Volgarmente, che questo tipo di tessuto ha la capacità di essere esteso in tutte le direzioni, al contrario del classico tessuto stretch, che invece si estende solamente in un verso. Un’elasticità a 360 gradi, come lo stesso nome della collezione fa intendere, garantendo resistenza, comfort e una funzionalità versatile, che non conosce limiti. Per di più essenziale, come lo stesso Dockers sa essere, rispettando così i canoni di uno stile casual e classico allo stesso tempo. Rispettando chi lo sceglie e chi, automaticamente, è disposto a vivere “senza compromessi”.

Urban utility, heritage d’ispirazione lavorativa nonché simbolo del grunge inglese dal 1991, merito del suo iconico modello Colorado. Il noto brand CAT footwear, nato in America con la sua prima collezione ufficiale nel 1988 e ormai marchio di lifestyle globale, va diritto per la sua strada viaggiando come un treno e posizionandosi tra i brand internazionali di outdoor e lifestyle. Giunto fino al mercato italiano con la collezione fall winter 17/18 nella quale spiccano know-how, contemporaneità delle forme, nuovi volumi e tecnologie delle suole, che attribuiscono alla linea comfort e stile underground proprio del brand, affiancati ad una buona dose di vintage. Autenticità e innovazione non passano inosservate per merito della campagna GO BOLDY che si sviluppa sulla base di due concetti fondamentali, capaci di spiegare appieno la linea di calzature, la comunicazione e il messaggio. Ruolo fondamentale, l’accordo con influencer di talento, dallo stile unico e differente e atteggiamento strong, che rispecchia appieno le qualità di Cat e della stessa campagna. Questo, per far sì il marchio e la collezione si posizioni in un determinato target e puntino a storie importanti e a ragazzi, provenienti da ogni parte del mondo, che abbiano voglia di comunicare qualcosa di grande e di diverso, che abbiano qualcosa da dire e soprattutto senza paura di farlo. In che modo? Con l’atteggiamento, che rappresenta il più importante, valido e soprattutto efficiente metodo di comunicazione. Più che dire, fare! Ma per fare, sappiamo tutti che ci vuole coraggio, audacia e senso di avventura. GO BOLDLY nella sua campagna mostra così la vita e lo stile di 5 ragazzi per far sì che la gente comune si possa immedesimare, per trarre in questo modo coraggio e trovare sé stessa, il proprio modo di essere, di vestire e di fare, spronandola a compiere realmente dei gesti che possano rappresentare un minimo cambiamento, in sé stessi o nella società. Chi sceglie Cat è un individuo che non solo personifica la città in cui vive, ma condivide gli stessi valori esposti dagli influencer in questione. Sono persone potenti, innovative e forti. Questa fall winter funge da carica, autorizzandoli a scuotere le cose e a interrompere le basi. La collezione assume così automaticamente un volto, un senso e un ruolo fondamentale, senza che qualcuno ne precisi modelli o tessuti.

Franceschetti /FUTURISMO DAL 67 Dal gusto raffinato e le linee tipicamente italiane, Franceschetti decide per la collezione fall winter 17/18 di stravolgere i suoi canoni stilistici, volgendo la sua attenzione a 50 anni fa. Design e artigianato Made in Italy assumono così automaticamente un altro senso, per trasformare la classicità del gentleman in carriera in una sportività senza tempo, merito della Archive 34, unico modello di sneaker facente parte dell’archivio del 1967. Una parentesi importante per il brand, che scelse di proseguire il suo percorso seguendo quei canoni di eleganza che hanno segnato la sua storia nel tempo. L’autunno/inverno di Franceschetti quindi comincia con una ricerca nell’armadio n. 34 che vuole essere un buon augurio per la stagione e un nuovo capitolo per le sue calzature, definendo una nuova raffinatezza nel guardaroba maschile. Per mantenere la ricercatezza questo modello diventa una scarpa da ginnastica mono prodotto dallo stile contemporaneo e dal nuovo design, presentata in otto versioni che mixano semplicità e particolarità delle pelli, degli inserti, spesso dalle tonalità fluo e dalle applicazioni, che spaziano dalle reti ai mini diamanti in metallo. Un altro aspetto importante? Le colorazioni utilizzate, totalmente differenti tra loro e per questo capaci di attribuire all’Archive 34 riconoscibilità, da sempre valore fondamentale del marchio Franceschetti.


SOMMARIO

URBAN 140 BIMESTRALE ANNO XV / NUMERO 140

EDITORIALE 11

GABRIELE MICALIZZI 14

MODA/ONE SHOT 21

B&&B BY ZALANDO 40

HERCULES AND LOVE AFFAIR 12

AMALIA ANGULO 14

BANG BANG BERLIN 34

CDQC 45

STAFF

TEXT

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Roberta Bettanin Federica Colantoni Ettore dell’Orto Fabio Fagnani Lorenzo Monfredi Stefano Nappa Francesca Ortu Francesca Petroni Silvia Rossi Strip-project.com Marco Torcasio Alex Vaccani

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SPECIAL GUEST: GABRIELE MICALIZZI NICOLA FAVARON AMALIA ANGULO FELIX PETRUŜKA MANUELE ALTIERI

Tattoo After Reading The Scandal Issue

COVER CREDITS PHOTO NICOLA FAVAORN FASHION EDITOR FRANCESCO CASAROTTO MAKE UP & HAIR RORY RICE @W-MANAGEMENT USING BALMAIN HAIR COUTURE

Uso alternativo di Urban dopo averlo letto

Illustrazione di Manuele

Altieri


RITRATTI

Entertainment Production offre la possibilità di realizzare per se o per una persona cara un ritratto personale di straordinaria qualità realizzato da grandi professionisti della fotografia e dello styling. Un bellissimo e inconsueto regalo per fissare un momento importante per se o per la propria famiglia. Per questo Entertainment Production ha strutturato sull’intero territorio nazionale una rete di fotografi e stylist, al fine di garantire una produzione di grande livello con tempistiche e costi estremamente interessanti. Contatti: lchiaromonte@milanofashionlibrary.it

P R O D U C T I O N





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