EDITORIALE DI STEFANIA ZUCCARI
NUTRIRE LA MENTE ENERGIA PER VIVERE CRESCERE E AGIRE
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nche le emozioni e la mente vanno nutrite, non è solo il nostro corpo fisico che ha bisogno di nutrimento per vivere, crescere e agire nella realtà. Mentre l’energia fisica proviene dal cibo che mangiamo, l’energia emotiva ci giunge dalle relazioni che instauriamo e dalle persone che frequentiamo. La qualità del cibo determina lo stato di salute del nostro organismo, e nella nostra coscienza va operata un’attenta scelta della provenienza delle energie che nutrono le nostre emozioni. La nostra cultura non è abbastanza attenta a questo importante aspetto, eppure per la qualità della vita è necessaria una buona capacità di vivere e usare le emozioni in senso positivo per agire consapevolmente senza lasciarsi travolgere. Il teatro può influire positivamente in questo senso: per acquisire padronanza, attraverso la voce, i gesti, le espressioni del corpo, del proprio “io” ed imparare ad esprimere le proprie emozioni come forma di comunicazione verso gli altri, verso il pubblico. Qui, un ruolo importante è costituito dai Laboratori che la UILT promuove e che tanto interesse stanno suscitando soprattutto per l’educazione al teatro delle nuove generazioni. Sono momenti di correnti emozionali che dal maestro vanno verso i giovani e viceversa e accrescono le reciproche energie. In ognuno di noi alberga il desiderio di un percorso di crescita, che educhi il nostro corpo e il nostro animo, e il teatro può essere un momento importante di questo percorso quando nei personaggi veri o inventati si riconosce una parte di noi per accoglierla o respingerla. STEFANIA ZUCCARI Giornalista iscritta all’ODG del Lazio, è stata una delle firme della prestigiosa rivista “Primafila” di Nuccio Messina, che ne ha guidato i primi passi nel settore dell’informazione sullo spettacolo dal vivo, e con il quale ha fondato la rivista “InScena” di Gangemi Editore, insieme ad altri redattori e giornalisti dello storico periodico. Attiva nel settore della comunicazione, collabora con varie testate e produzioni editoriali.
Materiali per la stampa, testi, immagini, progetti e notizie, oltre a suggerimenti e suggestioni possono essere inviati almeno un mese prima della pubblicazione alla mail della Direzione: scena@uilt.it La scadenza per l’invio è l’ultimo giorno di: febbraio, maggio, agosto, novembre. 3 Foto nel sommario: TEATRO DEI DIOSCURI, GRANDI MANOVRE, LA CANTINA DELLE ARTI, COSTELLAZIONE alla Rassegna TRACCE (foto Davide Curatolo). In Copertina: “Del Don Giovanni” del TEATRO DEI PICARI di Macerata: Francesco Facciolli e Leonardo Gasparri (foto Cinzia Zanconi).
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SPECIALE
SEGUIRE
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È UN VIAGGIO CHE METTE IN AZIONE TUTTI I NOSTRI SENSI,
COME I SEGUGI NEL LORO COMPITO ESSENZIALE;
…E
MENTRE LO SGUARDO SEMBRA INDIRIZZATO ED ATTENTO SOLO ALLA VISIONE
DI SEGNI RICONOSCIBILI A TERRA TANTE ALTRE SITUAZIONI VENGONO ESPLORATE E CONOSCIUTE;
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NON SOLO COME VESTIGIA DEL PASSATO MA SEGNALI ANCHE DI PASSAGGI RECENTI
LASCIATE, IMPRONTE ATTUALI PER IL FUTURO RICONOSCIMENTO DA PARTE DI OCCHI ATTENTI;
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SCELTE E I
SARTRE: L’ESISTENZA PRECEDE L’ESSENZA GIOCHI, MORALI INTELLETTUALI E DI SOCIETÀ, LA LIBERTÀ DI SCELTA È ESISTENZA.
SONO ESISTENZA.
CIÒ CHE RESTA DI NOI È ESSENZA. LA TRACCIA È ESSENZA»
L’ANGOLO DI ANTONIO PERELLI PRESIDENTE UILT
5TRACCE ad Oliveto Citra: il Sindaco Carmine Pignata con il Presidente Nazionale UILT Antonio Perelli, Flavio Cipriani e Antonio Caponigro
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are amiche e cari amici dell’Unione, in un mondo sconvolto dalle guerre, dalle migrazioni, dai disastri naturali, dai grossi affari finanziari internazionali, un mondo dove folli ideologie distruggono per sfregio le antiche vestigia del proprio passato; in un’Italia preda della corruzione dilagante, che sembra correre dietro un sogno di una politica e di un’unione europea che diventano ogni giorno più difficili da realizzare, ha ancora un senso parlare di bellezza, di cultura, di educazione, di teatro? Sembrerebbe quanto meno fuori luogo o, peggio, fuori del tempo: ma non è così. Anzi, sono convinto che tutte quelle attività che nel nostro relativamente piccolo noi come Unione riusciamo a mettere in pratica, tutti i nostri sforzi per realizzare una Rassegna, un Festival, tutte le volte che progettiamo, discutiamo ed alla fine realizziamo qualcosa di bello o comunque di positivo, tutte le volte che vediamo concretizzarsi un nostro sia pur piccolo sogno che riguarda il teatro, ogni volta – siatene certi – è una piccola ma significativa vittoria contro l’approssimazione, la grettezza, il disinteresse, l’ignoranza, la bruttezza. E non mi sembra, scusate, cosa da poco. E tanto per fare un esempio, veniamo alle belle notizie. Grazie agli sforzi congiunti del Comune di Oliveto Citra, del Comitato Organizzatore del “Sele d’Oro” e del Centro Studi Nazionale della UILT, supportato come mai in passato dal Consiglio Direttivo, si è realizzato un piccolo grande sogno: la Rassegna – targata UILT – TRACCE, inserita nell’ambito del “Sele d’Oro”, svoltasi negli spazi messi a disposizione dal Comune, rappresentato da Carmine Pignata, un Sindaco, per parafrasare il titolo di una celebre commedia di Eduardo, con la “S” maiuscola.
sono riusciti sicuramente a coinvolgere un’intera cittadinanza in un’originalissima “atmosfera teatrale”, che raramente è dato di vedere e di vivere. Una goccia nel mare? Certo, la Rassegna TRACCE è stata una diffusa operazione di crescita culturale che avrebbe meritato sicuramente uno spazio più vasto, sicuramente un’altra eco e molti più applausi di quelli che ha avuto, ma è stata bellissima ed importantissima comunque, proprio perché frutto dello sforzo di pochi contro le mille avversità che deve sconfiggere chi “fa cultura”, come tutti quelli che operano nel teatro sanno perfettamente. E dunque un sentito grazie va a quei pochi e di certo un sincero grazie va anche a tutti coloro che hanno reso possibile l’impresa, da cui l’Unione esce non solo più bella, ma anche più consapevole dei propri mezzi e dunque più sicura del proprio potenziale operativo e del proprio ruolo nel panorama del teatro non professionistico italiano. Certamente, come ho avuto modo di verificare di persona nel mio ruolo di Presidente, esistono anche tra noi, come credo in tutte le famiglie numerose, alcuni problemi legati alla difficile convivenza tra personalità diverse, tra concezioni del volontariato che qualche volta divergono: ma sono convinto che ciò sia in qualche modo fisiologico ed appartenga alla nostra crescita, perché il lavorare non per una retribuzione concreta ma solo per il piacere di farlo – sentendolo nello stesso tempo come un impegno morale – coinvolge mente e cuore, spirito ed anima, con inevitabili simpatie ed antipatie, che fanno parte dell’umana natura. L’importante però è non “perdere mai la rotta”: e nell’Unione percepisco che si fa strada l’idea che siamo parte di una grande famiglia, in cui occorre essere tutti pronti ad un qualche sacrificio quando questo si rende necessario per il bene comune; solo così, se saremo consapevoli di ciò e sicuri di noi stessi, avranno allora maggior senso i nostri sforzi per lasciare una traccia duratura del nostro lavoro, disinteressato, quotidiano e volontario, per contribuire concretamente ad elevare il livello qualitativo del teatro non professionistico italiano e fare così “la nostra parte” nel compito ben più impegnativo della crescita culturale della nostra Nazione.
Lascio ad altri il compito di raccontare in questo numero di Scena, con parole ed immagini, quei giorni meravigliosi trascorsi in quel piccolo paese della provincia di Salerno, sicuramente più noto per le benefiche sorgenti fangose d’acqua termale della vicina Contursi che per la sua Rassegna Teatrale. Ma la citazione era doverosa, proprio perché Oliveto ha rappresentato un sogno, ha realizzato un’idea, ha concretizzato un Progetto. Ed è stato anche un esempio di come uomini di buona volontà, animati da una stessa passione e dotati d’una sana ambizione,
ANTONIO PERELLI
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TRACCE E IL SELE D’ORO AD OLIVETO CITRA
5L’Osservatorio di TRACCE: Enrico Pitozzi, Gerardo Guccini, Flavio Cipriani, Cathy Marchand, Francesco Randazzo e Moreno Cerquetelli.
LA CANTINA dELLE ARTI di Sala Consilina (SA); TEATRO dEI dIOSCURI di Campagna (SA); SChIO TEATRO 80 di Schio (VI); IL GATTO ROSSO di Verona; La Compagnia COSTELLAZIONE di Formia (LT), la Compagnia di RObERTO COSTANTINI (LT) e GRANdI MANOvRE di Forlì (FC) – che hanno presentato, messo in scena e discusso il proprio progetto teatrale.
Dal 3 al 6 settembre, una folta delegazione della UILT, ben 75 componenti provenienti da tutte le regioni, si è trasferita in un piccolo paesino dell’entroterra salernitano. Ad Oliveto Citra, questo il piccolo comune, infatti da trentuno anni si svolge il Premio Sele d’Oro Mezzogiorno, manifestazione culturale nata a seguito del tragico terremoto dell’Irpinia del 1980. Il Sele d’Oro mira a valorizzare i percorsi di sviluppo e di rinascita del Sud, parlando di un Sud diverso, che si distacca da pregiudizi e luoghi comuni da sempre legati ad esso, per dimostrare concretamente quanto si fa di buono al Sud. Tutto questo attraverso varie attività: incontri, seminari, mostre fotografiche, presentazioni di libri, appuntamenti dedicati al giornalismo, all’editoria, all’imprenditoria giovanile, all’economia e alla politica, alla cultura, alla musica, al cinema e al teatro. Da 17 anni, alla settimana culturale del Premio, si affianca il Festival Teatrale Nazionale Sele d’Oro, unico Festival italiano dedicato interamente al Teatro Contemporaneo, con opere d’impegno sociale ed alle problematiche dell’uomo contemporaneo. Proprio per questo la UILT ha scelto il grande contenitore del Sele d’Oro come location del suo ambizioso evento-esperimento alla sua prima edizione: TRACCE studio-osservatorio sul Teatro Contemporaneo.
Alla tavola rotonda sono stati presenti i componenti dell’Osservatorio Gerardo Guccini ed Enrico Pitozzi del DAMS di Bologna; Francesco Randazzo, regista e drammaturgo; Moreno Cerquetelli, giornalista di Rai 3 - critico teatrale - curatore della Rubrica Teatrale “Chi è di Scena”; Flavio Cipriani, direttore del Centro Studi Nazionale e un’ospite d’eccezione: Cathy Marchand del Living Theatre di New York. Inoltre TRACCE ha fatto da cornice al primo incontro tra l’intero Direttivo Nazionale UILT e l’intero Centro Studi Nazionale della UILT stessa.
La formula di TRACCE, voluta dal Centro Studi Nazionale, ha visto una quattro giorni di spettacoli, dibattiti, laboratori: 7 compagnie teatrali –
Durante i quattro giorni di TRACCE non abbiamo solo assistito a spettacoli e a discussioni, ma anche fatto ovviamente Teatro. Nella cornice di una piccola piaz-
TRACCE non si è presentato però come una competizione, né come una vetrina per le Compagnie, ma come un vero e proprio confronto sulla ricerca teatrale e sul teatro contemporaneo, che ha visto all’opera anche l’intero Osservatorio, che proprio a TRACCE ha tenuto la sua riunione annuale per discutere su “Lo spazio e le forme delle parole in scena”.
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zetta di Oliveto Citra “Il Postino di Neruda”, ogni pomeriggio si è svolto il laboratorio teatrale “Movimento Scenico” condotto dallo stesso Flavio Cipriani e da Loretta Giovannetti, con la collaborazione di Emiliano Piemonte, a cui hanno partecipato ben 26 ragazzi tra le compagnie scelte per TRACCE e non. Nonostante il progetto teatrale di quest’anno abbia avuto una veste tutta nuova, si è deciso di mantenere la “Giuria Giovani” che da sempre caratterizza il Festival Sele d’Oro. Una giuria popolare selezionata, che segue una formazione annuale, composta da circa 50 membri, in gran parte giovani, che quest’anno ha assegnato un unico premio: Miglior allestimento, andato allo spettacolo “Under” di GRANdI MANOvRE. Sul palco del piccolo Auditorium Comunale di Oliveto Citra sono andati in scena anche “Pulcinella a Colori” e “Natale in Casa Cupiello” (fuori concorso),“Estate 1980”; “76847 Giuliana Tedeschi”; “La Cattedrale” e “Io sono l’acqua”. TRACCE è stata una grande esperienza per tutti coloro che hanno partecipato: per le compagnie, per l’Osservatorio, per lo staff, per il pubblico, per i giurati e per chi ha lavorato dietro le quinte e che per vari motivi non è riuscito ad esserci, in un momento di incontro e confronto sul Teatro a 360°, tra nuove amicizie e amicizie consolidate. Tutti mossi da un’unica passione: il TEATRO. Grazie a tutti! Alla prossima avventura targata UILT! GIUSY NIGRO Uff. Stampa Teatro dei Dioscuri
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SPETTACOLI carica espressiva, trova strumenti tutti suoi, riuscendo efficacemente nel suo personalismo. Ettore Massarese diceva che l’accattivante vernacolo petitiano poco ha a che fare con il dialetto del tempo; è lingua autonoma, incisiva e dura, che trova l’humus ideale nella parodia e, dunque, nell’immediatezza della scena che sa coinvolgere anche sottoproletariato e piccola borghesia oltre all’aristocrazia in declino. Si pensi alle continue trasposizioni sceniche che Petito opera dal San Carlo al San Carlino per avere riscontro di un’operazione di mediazione culturale, unica nel suo genere, tra le classi sociali. Negli anni Cinquanta la fama di Petito è all’apice, la famiglia reale borbonica si reca spesso al San Carlino solo per lui. Dagli anni della repressione a quelli dell’Unità della Nazione filtra il sociale nella sua attitudine metateatrale e nel Pulcinella altro trasfigura, con dichiarati intenti di riforma della maschera, il reale. Negli anni del Verismo, la drammaturgia comico-parodistica osserva e registra la tradizione classica, la deforma e la traveste in consapevole finzione. Petito, tra Pulcinella e Pascariello, ricuce, con il personaggio-attore, la tradizione della Commedia dell’Arte e, sostanziandola del presente, getta le basi del Varietà novecentesco, del cinema e di quel filone di grandi attori popolari che annovera tra le sue fila anche la famiglia De Filippo che molto deve al suo Teatro (il padre dei De Filippo, Eduardo Scarpetta, ebbe Petito come Maestro). Si divertì ad inscenare un Pulcinella in veste femminile, cominciando proprio dal suo debutto come autore con la commedia “Pulicenella finto dottore e pezz’a l’uocchie” del 1851. Antonio segue le orme paterne, riaffermando l’amore e l’interesse per la Commedia dell’Arte cinquecentesca modificandone però, gli aspetti, le caratteristiche, le movenze, l’abbigliamento, il linguaggio e i contenuti della maschera di Pulcinella, recando a quest’ultima maggiore spessore psicologico.
Pulcinella a colori cromia de Totonno ‘o pazzo LA CANTINA dELLE ARTI - Sala Consilina (SA) testo e regia di Enzo D’Arco con Enzo D’Arco, Antonella Giordano, Eugenia De Stefano, Giulia Piscitelli, Patrizia Baisotti, Giovanna Radice www.lacantinadellearti.it
Dopo quattro anni e mezzo di repliche dal suo debutto, il mio “Pulcinella a colori”, ha voluto e vuole ricordare Totonno ‘o pazzo. E forse, ci voleva un altro pazzo a rendere un omaggio del genere al Re dei Pulcinella che chiuse gli occhi per sempre, sulle tavole dell’arte, 139 anni fa. Antonio Petito nacque a Napoli il 22 giugno 1822, primogenito di Salvatore Petito e Giuseppina D’Errico, detta Donna Peppa. Chiamato anche con l’appellativo di Totonno ‘o pazzo, fu autore, attore e capocomico napoletano di fama internazionale in quanto rese celebre, in tutto il mondo, la maschera di Pulcinella. Nel 1852, Petito ereditò dal padre la maschera e ricevette l’investitura del camice bianco, dallo stesso padre, sul palcoscenico del San Carlino, davanti alla platea degli spettatori. Da quel momento, fino all’ultimo giorno della sua vita, fu per il pubblico e per la stampa “Il Re dei Pulcinella” e “Il Re del San Carlino”. Con Petito irrompe nel Teatro la contemporaneità, con la moltiplicazione dei personaggi sulla scena, connessa alla pratica dell’improvvisazione. La sua arte del movimento invade gli spazi scenici e l’attore s’impone sul testo e sull’autore coinvolgendo lo spettatore in un dialogo diretto e immediato. Non si tratta di prepotenza dell’attore ma di geniale senso pragmatico che anticipa la rivoluzione teatrale del ‘900. Incolto e acuto, autore illetterato, “pazzo” e lungimirante, Petito, nella sua contraddizione e nella sua dilagante e potente
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Negli anni Sessanta il San Carlino fu sospettato di essere un covo borbonico. La Compagnia si trasferì al Teatro Capranica di Roma e rientrando al San Carlino nel 1863 venne assalita dai liberali costringendo Petito a rifugiarsi in soffitta per scampare all’assalto. Intorno al 1865 Petito continua a scrivere, o meglio, “contaminare” e rappresentare eventi sociali e di cronaca: “Pascariello da pezzente cafone diventa ricco e Guard’a voi! Una nuova donna barbuta”, che, insieme ad altre, costituiscono testimonianza di impegno politico e sociale. Sono celebri, inoltre, le parodie di opere letterarie come il “Faust”, “La Francesca da Rimini” (quest’ultima anticipa il Teatro nel Teatro pirandelliano), “La Bella Elena”, “Otello” ed opere come “So muorto e m’hanno fatto turnà a nascere”, del 1868, in cui si affronta il tema della metempsicosi. Le opere successive: “La lotteria alfabetica”, dove critica l’industrialismo piemontese, “Tre banche a ‘o treciento pe mille” e “Nu studio ‘e spiritismo pe fa turnà li muorte ‘a l’atu munno” testimoniano, sul finire degli anni Sessanta, l’adesione alle vicende storico-politiche d’Italia. Enzo Grano affermava che il primogenito di Salvatore Petito fu: «Un simbolo delle aspirazioni popolari e finì per insegnare al proletariato ad avere un nuovo rispetto per se stesso ed una serena coscienza dei propri doveri». La sera del 24 marzo 1876 Petito morì al Teatro San Carlino durante la rappresentazione de “La statua vivente spaventata da Pulcinella”, stigmatizzando il suo mito. Il mio lavoro teatrale, “Pulcinella a colori”, prende vita partendo, principalmente, da tre opere petitiane, “Pascariello surdato cungedato” (1873), “Francesca da Rimini” (1866) parodia dell’omonimo testo di Silvio Pellico e “Pulicenella finto dottore e pezz’a l’uocchie” (1851). Il travestimento e il metateatro animano questi testi, presi a canovaccio per il mio Pulcinella a colori. Usando la contraddizione, tanto cara a Petito, come fondamenta di una costruzione dai caratteri sperimentali, il viaggio avanza su due binari paralleli, vicini ma che mai si raggiungono, il reale ed il fantastico. Un Pulcinella “nuovo” scopre il suo mondo interiore animato da tanti colori, «…della concretezza e lealtà, della speranza e della fantasia, d’ ‘a passione e dell’ammore…». Aiutato e a volte “scarrupato” da due anime fantasticamente irriverenti, vive la sua storia terrena attraverso un’altra contraddizione, la fame e l’amore. La prima, atavica e secolare, intesa anche come fame di rivincita, di rivalsa politico-sociale. Il secondo vissuto come sentimento puro verso la Luisella di turno e come passione per la vita. Il mondo petitiano affolla questa mia operaomaggio. Gli ambienti cari, il San Carlino e i nomi di alcuni personaggi - Luisella, Saverio, Dorotea pezz’a l’uocchie - fanno riferimento al primo testo scritto da Totonno, “Pulicenella finto dottore e pezz’a l’uocchie”; Pulcinella e Pascariello, due personaggi di punta della scrittura e della scena petitiana, animano il mio “novello” Pulcinella, colorato in larga parte, per opera della mia scrittura inedita, creatrice del personaggio Donatina Benfatto e della rimodulazione di Costanza Papagno. Alla naturale e sonora scenografia fanno capolino, dall’angolo opposto, i costumi colorati ed eterei, il tutto bagnato dalla sperimentale classicità del commento sonoro. L’azione scenica, attraverso la pantomima parodistica, l’elemento fantastico ed una lingua diversa dal dialetto grammaticale, fortemente icastica e foneticamente autonoma, insieme alla potente fisicità attoriale, rendono questa pièce accattivante e irriverente, realistica e immaginifica, sonora e silenziosa, delatrice e fugace, in sintesi, “nuovamente” petitiana.
Natale in Casa Cupiello TEATRO dEI dIOSCURI - Campagna (SA) di Eduardo De Filippo, tra tradizione e tradimento regia di Antonio Caponigro con Antonio Caponigro, Emiliano Piemonte, Francesco Alfano, Maria Rosaria Volpe, Liberato Guarnieri, Ida Pili, Massimo Raele www.teatrodeidioscuri.com ovanna Radice
«…Ed allora, per un bisogno istintivo di liberazione, vivono urtandosi, ferendosi a sangue, giungendo fino all’odio, ma si adorano …. Essi stessi non sanno quanto si adorano!». Questo scrisse Eduardo a proposito della famiglia Cupiello. TEATRO DEI DIOSCURI, per festeggiare i suoi 30 anni di attività e ricordare i 30 dalla scomparsa del grande drammaturgo, attore e regista, si è avventurata nella messinscena di uno dei testi sacri della drammaturgia napoletana, partendo proprio da questa frase di Eduardo, pregna di significati autobiografici, come del resto quasi tutti i suoi testi. Nel rispetto della tradizione di Eduardo, il lavoro di ricerca di TEATRO DEI DIOSCURI, con un inevitabile tradimento, ha proposto una messinscena atemporale ed universale di “Natale in casa Cupiello”, diversa da quella classica, nel tentativo di dare nuovo vigore al testo stesso, pur mantenendone il fascino. Nel 2004, nell’ambito del nostro Progetto di ricerca teatrale “Tradizioni&Tradimento”, Giuseppe Rocca, docente dell’Accademia “S. D’Amico” condusse il Seminario dall’emblematico titolo “Io, l’erede – Eduardo tra tradizione e tradimento”, presentando un’interessante rilettura di “Natale in casa Cupiello” in chiave fortemente autobiografica; sullo sfondo il rapporto di odio/rancore del giovane figlio illegittimo Eduardo verso il padre Eduardo Scarpetta. Dal 2004 l’intervento di Rocca ha rappresentato per me un tarlo, un pensiero fisso, alla ricerca di una chiave di messinscena che potesse andare oltre la scontata visione folcloristica del grande testo di Eduardo. TEATRO DEI DIOSCURI, ex Compagnia “Amici del Teatro”, alla stregua della maggior parte delle Compagnie campane, ha iniziato il proprio percorso di palcoscenico con testi di Eduardo; tante compagnie tendono all’imitazione più o meno consapevole, a volte anche grazie alla visione dei filmati della RAI. Dopo i primi tentativi eduardiani, la mia Compagnia ha vissuto una lunga fase di rigetto, durata molti anni, fino a riaccostarsi ad Eduardo con la fortunata messinscena di “Sogno di una notte di mezza sbornia”, adattamento di un precedente testo di Athos Setti “La fortuna si diverte”. Infine abbiamo abbordato “Natale in casa Cupiello”.
ENZO D’ARCO
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Nato come atto unico nel 1931 (il secondo atto della famosa cena della vigilia di Natale), nel 1932 si aggiunge il primo atto, infine nel 1934 il terzo atto, quello del vero e proprio dramma. Proprio i rapporti familiari autobiografici, spinti fino all’odio, ma recuperati e profondamente sentiti nei momenti cruciali, filtrati alla luce dell’atmosfera natalizia (il presepe, la lettera di Natale) e del potere taumaturgico del cibo (il capitone, il pranzo della vigilia, il caffé, il brodo caldo, la pasta e fagioli), diventano la sostanza della nostra messinscena. Nei due triangoli, quello statico/della tradizione e della comicità scarpettiana, con l’estremizzazione della caratterizzazione di Luca, Nennillo e Pasqualino; quello dinamico/del tradimento in tutti i sensi e del dramma pirandelliano vissuto da Ninuccia, Nicolino e Vittorio, si dipanano le vicende della famiglia Cupiello. Concetta, perno principale dell’intera vicenda, esterna ed allo stesso tempo coinvolta nella stessa, tenta di dirimere, risolvere, rappaciare, riequilibrare i rapporti all’interno della famiglia, in questo contrastata dal marito Luca, inconsapevole antagonista, eterno bambino, che ha sempre visto il mondo come un giocattolo (il presepe) e vive in un’atmosfera trasognata, ai margini del dramma familiare, anzi smonta i tenta-
tivi di salvaguardia della famiglia fatti da Concetta: nel primo atto consegnando a Nicolino la lettera di addio di Ninuccia; nel secondo invitando a cena Vittorio Elia, amante di Ninuccia; nel terzo consacrando la relazione tra Vittorio e Ninuccia sotto gli occhi esterrefatti dell’appena ritornato Nicolino. Figura emblematica è quella di Nennillo (in napoletano col significato generico di bambino), che rivendica durante tutto il testo la propria identità di Tommasino, ricevendone il riconoscimento solo nel finale. Allora la famosa frase «Te piace ‘o presepio?» secondo la nostra messinscena nasconde la domanda/imposizione di E.Scarpetta/Luca Cupiello ad E.De Filippo/Nennillo: «Te piace ‘o teatro? Il mio tipo di teatro?» - E quel «NO!» atroce e beffardo non nasconde forse anche una volontà di affrancamento dal padre odiato e dal suo modo di fare teatro, rivendicando una propria identità e originalità autoriale? Tanti sono stati i rischi dell’imitazione di un’interpretazione tutt’ora incombente sul regista e sull’attore che si avventurano nella messinscena di “Natale in casa Cupiello”. Allora, nel lungo travaglio verso il debutto, abbiamo adottato alcune strategie per evitare tali rischi, soprattutto per cogliere la modernità ed essenzialità universale del messaggio di
Eduardo: lo sfrondamento del testo di tutti quegli elementi che abbiamo ritenuto superflui e un po’ folcloristici (i casigliani del terzo atto, il dottore, il lungo racconto della pasta e fagioli); l’analisi approfondita delle diverse edizioni (quella degli “Struzzi” Einaudi fino all’ultima postuma de “La Cantata dei giorni pari e dei giorni dispari”) con linguaggi molto diversi (più dialettale la prima, più italianizzata la seconda); l’adozione di ritmi veloci e moderni e di una recitazione asciutta; la scelta di attori in età cronologica molto attendibile rispetto alla vicenda, per rivivere la stessa in modo realistico; la continua osservazione del se stessi in scena; il grande flash-back che fa partire il testo dal terzo atto, per poi farvi ritorno e le inserzioni/fluttuazioni dei pensieri/parole che ciascun personaggio vive nei confronti degli altri, che contribuiscono a creare un’atmosfera onirica che fa da cornice alla vicenda. Il Natale, con i suoi simboli, diventa allora lo sfondo del ring su sui si giocano i rapporti di amore ed odio, di unione e separazione che caratterizzano una famiglia, nel caso specifico la famiglia Cupiello, ma anche l’intera famiglia umana. ANTONIO CAPONIGRO
76847 Giuliana Tedeschi corto teatrale senza parole SChIO TEATRO 80 - Schio (vI) di e con Elena Righele www.schioteatro80.it
76847 è un numero. Ma non è un telefono o un codice o una sequenza. È qualcosa di terribile che è stato tatuato per sempre nel braccio di una donna rinchiusa in un campo di sterminio nazista. Dietro quel numero c’è un nome e una storia. Il nome è Giuliana Tedeschi, un’insegnante di lettere di un liceo di Torino, che viveva serenamente la propria vita, tra i tanti amici e parenti, e che improvvisamente viene scossa da un problema che per lei non era mai stato tale: essere ebrea. La sua storia, che viene raccontata in questo breve spettacolo, prende avvio da quando viene arrestata, strappata dal suo lavoro e dai sui affetti, per essere rinchiusa nel campo di sterminio di Auschwitz. Qui inizia l’inferno, la spersonalizzazione, l’attribuzione di quel numero che vuole far dimenticare l’umanità del prigioniero. Giuliana viene addetta allo “Schuhkommando”: la raccolta delle scarpe dei destinati alle camere a gas. Tra brutalità e violenze riesce a sopravvivere, a ritornare in patria e riprendere la sua attività di insegnante. Per molti anni non dirà niente della sua tragica esperienza, ma poi, spinta dai suoi allievi, inizia a raccontare la sua drammatica storia e scrive un libro per non dimenticare, dal titolo “C’è un posto della terra”.
L’ispirazione mi è nata il giorno della memoria nel gennaio 2013, dopo aver visto un documentario che parlava di Giuliana. Ho successivamente elaborato un pezzo di “teatro-danza”, senza parole, per cercare di trasmettere tutto il dolore, la passione, la forza e l’umanità che stanno dietro al numero ”76847”. Il corto teatrale vuole essere una piccola “testimonianza storica”, per non dimenticare che la guerra porta sempre dolore, distruzione e forme estreme di antisemitismo. Una famosa frase è scritta in molti dei cimiteri di guerra: «Perdonare, ma non dimenticare». Il senso profondo di 76847 è proprio questo: ricordare, anche solo per un attimo, tutte le vittime innocenti morte nei campi di sterminio e tutti i sopravvissuti che, come Giuliana, sono tornati in patria e hanno raccontato la loro drammatica storia. L’esperienza del Festival di Teatro Contemporaneo TRACCE è stata molto significativa e importante per me, anche per l’inaspettata “traccia” che il corto teatrale ha lasciato nei cuori di molte persone, un risultato che non mi aspettavo e che mi ha dato una grande gioia: un altro modo “diverso” per non dimenticare... Dedico questo spettacolo a Giuliana perché, senza di lei e la sua incredibile storia, non avrei potuto realizzare quello che ho fatto. Ringrazio di cuore il Direttivo Nazionale, il Centro Studi UILT e, in particolare, Flavio Cipriani e Giovanni Plutino, per la fiducia in me riposta, per aver creduto in questo numero e nella sua storia: ”76847”. ELENA RIGHELE
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Estate 1980 IL GATTO ROSSO - verona di Federica Carteri regia di Roberta Zonellini e Federica Carteri con Federica Carteri, Alessandro Meneghelli www.ilgattorosso.eu
Sinossi – Liberamente ispirato ai romanzi “Yann Andréa Steiner” di Marguerite Duras e “Questo amore” di Yann Andréa, è la storia vera della passione proibita e travolgente tra i due nell’estate 1980, la storia di un grande amore. Lei ha 61 anni e lui 26 quando si conoscono, cinque anni prima, alla presentazione del film “India Song” della Duras. Da quel momento Yann le scrive, quasi tutti i giorni, per molto tempo fino a quando le lettere s’interrompono. Solo allora lei capisce. E risponde. Yann la raggiunge e in quell’estate di pioggia e di vento inizia una convivenza che terminerà solo nel 1996 quando Marguerite, ottantunenne, muore per un tumore alla gola. Note di regia – Il lavoro attoriale ha attraversato un lungo percorso passando per vari allestimenti dal teatro di narrazione (2013), se pur con una scrittura asciutta, non descrittiva né didascalica, per portare in scena una performance fatta di segni e non convenzionale come la storia che racconta. È seguita un’esperienza di video-teatro con musica dal vivo (2014), per poi approdare all’attuale versione (2015) che è un teatro post-drammatico, non testocentrico. Scenografia e luci sono scarne, solo la musica e gli interpreti sono prepotentemente presenti, per provare a dipingere il ricordo e l’emozione, e il segno che tracciano nella vita.
Un estratto dal titolo “Estate di pioggia e di vento” aveva debuttato il 29 marzo alla Rassegna “Corti in Festival” di UILT Veneto a Conegliano (TV) ed è stato selezionato dal Centro Studi Nazionale UILT per andare in scena a Bologna all’Assemblea Nazionale dell’11 aprile scorso con altri 4 lavori di altrettante Compagnie. In scena Federica Carteri nel ruolo di Marguerite ed Emiliano Fiorini in quello di Yann. Durante le prove del lavoro nella sua interezza ci siamo resi conto che il punto focale di tutta la storia di Marguerite e Yann si concentra nel momento del loro incontro e che sarebbe stato uno stralcio che basta a se stesso per sintetizzare il complesso rapporto di attrazione e possesso, sudditanza psicologica e al contempo dominanza, dolcezza e aggressività. Un equilibrio di contrasti che ha fatto emergere momenti estremamente carnali di passione istantanea e devastante e di confronto tra un uomo e una donna che stanno per buttarsi in una relazione che contro tutte le aspettative li avrebbe legati per tutta la vita. Inoltre l’esperienza del corto ci ha dato il “polso” di quella che poteva essere la risposta del pubblico ad un lavoro così particolare. Purtroppo il percorso con Fiorini si è concluso, per problemi personali dell’attore, agli inizi dell’estate e ci ha visti costretti alla sostituzione con Alessandro Meneghelli che è coincisa anche con un’ulteriore evoluzione del processo drammaturgico. Il testo, seppur fatto di una scrittura scarna ed essenziale, immediata e a volte brutale nel rispetto dello stile sia della Duras che di Andréa, ci appariva troppo didascalico rispetto
all’energia mossa in scena dalle azioni fisiche degli interpreti. Ne è seguito un lavoro “per sottrazione” dove abbiamo progressivamente eliminato blocchi interi di battute e monologhi lasciando ai soli corpi la narrazione, ma ancora sentivamo la necessità di “pulire” i dialoghi. Il risultato è stata una ulteriore riscrittura che in una pagina di copione e una manciata di battute racconta in modo poetico l’intera relazione tra Marguerite e Yann e che tuttavia è diventata una storia universale trascendendo la vicenda biografica dei personaggi. Portiamo in scena Marguerite e Yann, raccontiamo esattamente la loro relazione e i loro sentimenti, ma è la storia di tutti, di un uomo e una donna. Non serve conoscere la vita di Duras, e non importa nemmeno, quello che mettiamo in scena è una storia d’amore e di passione, di incomprensioni, di conflitti, di addii e di ritorni. Abbiamo scelto di non interrompere il flusso emotivo ed emozionale dei corpi con le parole, queste giungono come dei pensieri con una traccia audio (per problemi tecnici non è stata trasmessa nella performance di Oliveto Citra). Il copione, che da 27 pagine si è ridotto a 2, è stato fagocitato da una scrittura scenica estremamente dettagliata in cui il tessuto drammaturgico è fatto di corpi e velocità estremamente rallentate, che segnano una dilatazione del tempo e un segno fisico plastico, quasi fotografico, alternate a momenti invece molto più rapidi, quasi violenti, durante gli amplessi e la lotta, in cui il corpo ha un ritmo diverso, più “sporco” e scomposto, fatto di istinto animale e di sensi. In tutto il lavoro la musica e la luce di-
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segnano e sostengono l’emissione emotiva degli attori e le uniche due pause di silenzio, prima e dopo la lotta, diventano un momento in cui il respiro, la fatica, il tumulto emotivo, assumono un peso, il tempo si amplifica e l’emozione rimane sospesa. Il percorso di questo lavoro tuttavia non è ancora concluso poiché abbiamo deciso di inserire una scena finale che darà un ulteriore livello di lettura, ancora diverso, ma per il momento non voglio anticipare altro. Per quanto riguarda l’esperienza di TRACCE trovo sia un’opportunità che dovrebbero cogliere tutti, non solo le Compagnie selezionate per esibirsi, sia da un punto di vista umano che di studio. È stato un momento di confronto estremamente formativo che ci ha permesso di relazionarci non solo con altre Compagnie che si misurano, come noi, con il Teatro contemporaneo, e con colleghi che hanno scelto percorsi diversi ma anche e soprattutto con docenti e personalità che hanno offerto una serie di input e visioni difficili da dimenticare. Gli spunti colti durante i convegni e le conferenze e naturalmente i laboratori, sono una risorsa cui attingeremo spesso nel nostro percorso di ricerca e sperimentazione, hanno stimolato la nostra innata curiosità e permesso di scorgere altre strade, magari non adatte a noi, a volte premature, ma che ci hanno ancora di più motivati e spinti a continuare a lavorare sodo. Siamo tornati in “sala prove” con una serie di strumenti in più nella nostra “valigia dell’attore” e con tanta voglia di riempirla ancora e presto e sempre più spesso. FEDERICA CARTERI
La Cattedrale COMPAGNIA TEATRALE COSTELLAZIONE - Formia (LT) liberamente ispirato a “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo e a “L’Opera da Tre Soldi” di Bertolt Brecht drammaturgia e regia di Roberta Costantini aiuto regia di Marco Marino con Alessandro Acquista, Amelia Cimmino, Angelo De Clemente, Daniela Florio, Elisabetta Lisi, Fabrizio Pace, Gianluca Paolisso, Maria Rosaria Pugliese, Marilena Casatelli, Roberta Costantini, Simone Nardoni, Veruschka Cossuto. www.costellazioneteatro.it
Nel nostro territorio, noi facciamo fondamentalmente formazione; nel senso che non decidiamo di fare uno spettacolo, prendendo un testo, andando in sala, imparando il copione a memoria e provando così tutte le sere... Abbiamo scelto un altro tipo di percorso, che è quello di formare le persone che vogliono avvicinarsi al teatro. Io nella vita sono teatroterapeuta, faccio questo lavoro da circa 25 anni e lo riporto all’interno del Laboratorio. Quindi ogni spettacolo che la Compagnia Teatrale COSTELLAZIONE propone, è il risultato di un anno di lavoro in sala. In genere partiamo con un’idea: c’è qualcosa che ho da dire, sento l’esigenza di comunicare alcune cose, e vado a cercare dei testi che abbiano al loro interno queste tematiche. In questo caso, “Notre dame de Paris” di Hugo raccoglieva tanto di quello che avevo da dire, e con una contemporaneità veramente spiazzante, perché comunque Hugo appartiene ad un’epoca ormai molto lontana da noi. E quello che avevo notato, leggendo in maniera più approfondita tutta la parte della Corte dei Miracoli, che Hugo presenta in maniera piuttosto
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romantica, è che calzava perfettamente, si sovrapponeva a ”L’Opera da Tre Soldi” di Brecht. Quindi è stato divertente mettere insieme queste due opere, fare uno studio contemporaneo e cercare di trovare quali punti di contatto avessero, trasporlo in azione, e in laboratorio creare la drammaturgia e la regia. Perché questo è quello che noi facciamo: drammaturgia e regia vanno di pari passo. Come regista e come formatrice io parto con un laboratorio intensivo che dura tre mesi, da ottobre fino a dicembre lavoriamo sulla formazione pura. Da gennaio cominciamo lo studio sui testi, e da quel momento comincia la costruzione dello spettacolo; si sperimentano tutte le possibili situazioni per poter rendere in maniera non strettamente testuale, ma più che altro corporea e simbolica, quelle che sono le tracce dello spettacolo. Personalmente non amo la scelta della scenografia tradizionale, per cui, come sensazione intima, ho la necessità che sia lasciata al pubblico la possibilità di immaginarla. Lavoriamo sempre su una quadratura nera, all’interno della quale vengono inseriti degli elementi di scena, dei costumi, che possono essere utilizzati in maniera simbolica, tanto da poter lasciare all’immaginazione dello spettatore la possibilità di vedere quello che vuole vedere. E questo ci ha dato modo di confrontarci con le persone che vengono a vedere gli spettacoli, e di vedere quanto di altro sono riusciti a vedere all’interno di un lavoro che per noi a un certo punto è finito. Ne “La Cattedrale”, gli elementi fisici che abbiamo scelto sono sette scale d’acciaio. Perché questa scelta? Perché generalmente non mi piace contestualizzare in un momento storico i lavori, mi piace che siano atemporali. Le tematiche e le provocazioni che volevo lanciare con questo lavoro sono uni-
versali, sono del nostro tempo ma anche di un tempo passato e probabilmente ci saranno anche nel futuro. Quindi bisognava mettere dentro degli elementi anacronistici rispetto alla storia di Hugo. Perché le scale, perché l’acciaio? Perché all’epoca di Hugo si stava costruendo la Tour Eiffel, e questo ferro che imperversava a Parigi lui lo considerava un elemento di cambiamento che non accettava molto, così come l’avvento della stampa che stava cambiando la comunicazione, un certo modo di essere e di pensare. Quindi l’acciaio mi sembrava l’elemento giusto per un discorso di universalità. Poi, come sempre, noi utilizziamo tantissimo gli abiti, i costumi, che non servono mai soltanto per vestire l’attore; tutto ciò che l’attore ha, a partire dalle cose che indossa, quelle che tocca, sono comunque parte integrante di un sistema, e questo sistema è rappresentato dal corpo dell’attore, dagli elementi che sono in scena, dalle musiche, che sono come un altro attore in scena, e dalle luci. Per cui la voce, il movimento, la luce, la musica, tutto si integra in una sinergia che serve per la comunicazione finale. “La Cattedrale” nasce così, seguendo questi canoni che sono i canoni della Compagnia. Ha debuttato dopo un anno di lavoro: abbiamo cominciato il Laboratorio a ottobre 2012 ed ha debuttato a novembre 2013. In questo momento abbiamo circa 40 persone in formazione e diversi spettacoli che stanno circuitando. Siamo molto contenti e molto felici, perché il nostro lavoro è ripagato fondamentalmente dalla risposta del pubblico; pubblico che diventa universale, perché non è soltanto un pubblico territoriale, non è un pubblico soltanto italiano ma è anche internazionale, poiché i nostri spettacoli li presentiamo molto spesso all’estero: dalla Corea del Sud al Canada, dalla Finlandia al Marocco, Lituania, Belgio, Francia.
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“La Cattedrale” l’anno scorso ha rappresentato l’Italia al Festival Apostrof di Praga, e abbiamo avuto la grandissima soddisfazione di arrivare terzi. Queste sono gratificazioni immense, emozionanti: confrontarsi, è un’esperienza che arricchisce sicuramente sotto il profilo artistico, perché si impara veramente tanto nel confronto con le realtà estere, e anche sotto il profilo umano è veramente molto formativo. In tutta la prima parte lo spettacolo si estende anche in platea, perché generalmente non amo lavorare soltanto sul palcoscenico, ma mi piace il contatto col pubblico; quindi i nostri spettacoli hanno sempre un momento o più momenti di interazione. Perché credo che la relazione con la persona che sta guardando lo spettacolo debba essere attiva, proprio per dare la possibilità allo spettatore di entrare nello spettacolo in maniera vera, con tutta la sua creatività, e poter partecipare con le proprie emozioni. Per quanto riguarda la regia e lo sviluppo drammaturgico, condivido con mio marito Marco Marino questa passione stratosferica, perché la nostra vita è il teatro. Fortunatamente abbiamo la possibilità di condividerla, lavoriamo in coppia. Devo dire che ho poi la fortuna di lavorare con dei ragazzi straordinari. Chi si avvicina alla nostra Compagnia sa perfettamente che fatichiamo tanto: siamo in sala tutti i giorni 4 o 5 ore la sera, con qualche giorno di riposo. Quindi chi si avvicina alla Compagnia COSTELLAZIONE sa che deve lavorare, sa che poi avrà modo di fare delle esperienze, che sono sicuramente meravigliose, ma sono possibili soltanto se c’è un sacrificio, un lavoro forte, e chi fa questo tipo di percorso lo sa. ROBERTA COSTANTINI
Io sono l’acqua COMPAGNIA RObERTO COSTANTINI - Formia (LT) testo di Rosamaria Caputi e Mauro Mazzetti regia di Roberto Costantini con Sabrina Marciano
Sinossi – Una donna divenuta tutt’uno con l’elemento che le ha dato la morte, riemerge e fa zampillare parole che rimbalzano come fa l’acqua sui ciottoli. Quel suo interminabile riprendere fiato, atto che apre con violenza lo spettacolo, le rende la possibilità di costruire un suo mondo attraverso il racconto, spesso interrotto dal dubbio: qual è la verità? Superato il dolore per la perdita della madre morta di parto, torna l’eco serena di un’infanzia vissuta sulle ginocchia dell’affettuoso padre, di una giovinezza sbocciata tra le braccia del suo amato, di un progetto di vita radioso. Eppure c’è qualcosa che (dis)turba tutto questo, un valzer malsano, un altare rimasto vuoto, il velo del convento. Soprattutto l’acqua, che torna a chiamarla a sé, misteriosa e luminosa come la follia, fino a far crollare le sue sicurezze e farle ricordare, ancora una volta e dolorosamente, chi è davvero, e quale destino ancora la attende. “Io sono l’acqua” nasce da un percorso drammaturgico di Roberto Costantini, e si ispira, per grandi linee, alla vicenda biografica dell’Ofelia shakespeariana. A differenza di questa, però, la protagonista ha un ruolo attivo nei confronti di tutti i personaggi che racconta: la sua parola crea il suo mondo, il suo corpo racconta storie non dette, le sue verità emergono sotto forma di immagini sospese proprio sopra la sua bara.
Lo spettacolo offre notevole possibilità di espressione alla sua unica interprete, poiché è articolato in una scrittura scenica semplice ma dalla simbologia ben strutturata. La protagonista crea il suo mondo attraverso una parola preziosa, resa tale dai testi di Rosamaria Caputi e Mauro Mazzetti, che diviene talvolta canto, vocalizzo, e che non comunica direttamente il senso ultimo della narrazione: giochi di parole, assonanze e allusioni rimandano costantemente a una verità “altra”. Verità che emerge, letteralmente, attraverso le capacità narrative del corpo, strumento che contiene ed esalta la dimensione vocale grazie alle rivelazioni del Teatrodanza. Le proiezioni permettono di leggere quanto di più riposto si annida nella mente della protagonista: dapprima i ricordi più sereni, poi il trauma subito e, infine, il trauma rimosso che la conduce ad annegare nuovamente nella follia. ROBERTO COSTANTINI
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Under GRANdI MANOvRE - Forlì (FC) elaborazione e regia di Loretta Giovannetti con Francesca Fantini e Massimo Biondi
«...C’è un unico modo per farsi distruggere. Permettere agli altri di trasformarti in qualcosa di diverso da quello che sei». Il testo è un unico atto scandito da più scene, una libera elaborazione registica da 2 testi e da uno stage tematico su “Il corpo della Parola”. È un meticoloso lavoro teatrale che vede in scena un incredibile crescendo emotivo: dalla leggerezza iniziale, si assiste ad un’evoluzione/involuzione sia verbale che fisica, amplificata dalla situazione claustrofobica del bunker dove sono rifugiati e dai caratteri diversi dei personaggi che, con un realismo inaspettato, ci mostrano squarci di sarcasmo porporino e cruda realtà. L’ambientazione è un vecchio bunker antiatomico sotterraneo che il proprietario (Mike) non ha smantellato, resa con una scenografia essenziale: una rete da letto singolo, un mobiletto usurato, uno sgabello, un tavolino e due sedie di legno.
Erano tutti nel pub quando avvenne l’esplosione nucleare. Amy si sveglia nel bunker antiatomico di Mike. Lui l’ha salvata. Hanno poche cose per sopravvivere in quel luogo claustrofobico: un po’ di cibo in scatola, una radio, un vecchio gioco di ruolo. Bisogna aspettare. Bisogna andare d’accordo. È una convivenza forzata dove il male e il bene si graffiano a vicenda. È uno spettacolo dalla dinamica potente, appassionata e crudele sfiorata da venti di cupo umorismo. Un gioco a due di impossibile tenerezza, di compiaciuta sopraffazione, di amore distorto e inquietante. è un percorso che lascia cicatrici. Inesorabilmente...
5La regista Loretta Giovannetti e gli attori di GRANDI MANOVRE ricevono il Premio “Sele d’Oro” dal Sindaco di Oliveto Citra Carmine Pignata.
LORETTA GIOVANNETTI
[ Tutte le foto di TRACCE per SCENA sono di davide Curatolo ]
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DALL’OSSERVATORIO g FLAvIO CIPRIANI direttore Centro Studi Nazionale UILT
4L’idea è quella di incontrarci annualmente, con questo Osservatorio-Forum, affrontando degli argomenti teatrali, argomenti che ci interessano particolarmente, e che interessano la contemporaneità. Ci troviamo in un posto dove già da 31 anni si studia e si attua teatro contemporaneo, con l’intento di poter annualmente crescere insieme, grazie alla comunione tra l’Amministrazione comunale, il premio Sele d’Oro e noi. 4Qui non c’è distinzione tra teatro amatoriale, o più o meno professionista, e il concetto della nostra riunione annuale sarà questo: parlare di argomenti di teatro, attuali e aperti, così come lo è l’argomento di questo Osservatorio, la parola. Tutti i giorni sperimentiamo nel nostro lavoro quanto sia difficile capire dove metterla, come metterla, come sperimentare la parola; forse è la parte più difficile. 4Spero che questa iniziativa abbia una cementificazione, possa mettere radici in questo luogo. g CAThY MARChANd Attrice del Living Theatre
4In questo momento di grande cambiamento del mondo, di grande orrore e di grande barbarie, sono importanti queste piccole isole dove poter ancora riuscire a confrontarci con l’umano, attraverso l’arte. Questo è fondamentale per affrontare l’orrore. 4Citazioni di Julian beck: «Tutto quello che sta succedendo, succede perché la nostra società accetta le modalità di una società omicida e le fa apparire meravigliose, fa gran caso di banalità; se vuoi vedere la verità devi essere pazzo, abbastanza pazzo da affrontare l’orrore». «Preferisco un teatro disturbante a un teatro piacevole; faccio teatro per svegliare coloro che dormono». g GERARdO GUCCINI docente dAMS di bologna
4Nel momento in cui ci si rinnova come persone e si fa teatro, si fa un teatro diverso. 4L’uso della parola e della voce a teatro sono due elementi distinti. 4Il lavoro sulla voce può includere la parola in quanto portatrice di suono, la
parola come dispositivo sonoro. 4La voce non è un’entità restringibile o assoggettabile esclusivamente al modello orale della parola portatrice di senso e comunicata. 4Nella dimensione laboratoriale sulla vocalità, la parola non è tanto l’emersione del pensiero, ma è l’organismo fonico che si applica ad un esercizio sulla sonorità della voce: una cosa è la dimensione del lavoro vocale, una cosa è il montaggio dell’elemento verbale. 4Il Teatro dialettale è tale perché si modella su un parlato territorialmente delimitato, che trova nella scena il proprio rispecchiamento integrale. 4Il dialetto non mette al proprio centro, come proprio fattore costitutivo, la dimensione strettamente semantica della parola, ma l’intonazione portatrice di senso. g FRANCESCO RANdAZZO drammaturgo e regista
4La nozione di “verbo”, nella sua primigenia definizione, è sì “parola”, ma anche e soprattutto parola che denota l’azione; parola in movimento e in divenire, che irradia sensi e immagini, significati e dialettiche. 4L’Occidente ha privilegiato per secoli la rappresentazione della parola drammatica e poetica, in quanto primaria e sostanziale rispetto all’atto rappresentativo della stessa. 4Nel verbo, nella struttura del verbo, nella morfologia della parola stessa, c’è l’accadimento. 4La parola è il cardine solidissimo di un modo di rappresentare il Teatro tutto legato all’iconicità della parola. 4Citazione da Pirandello: «L’opera d’arte è quello che resta, anche se nel tempo vive nel momentaneo spettacolo che se ne dà nei teatri; e tra tutti gli altri spettacoli che possono per un momento entrare nella vita del popolo, il teatro è quello che ne assomma e rispecchia più intimamente i valori morali. Il teatro è quello che resta». 4La perentorietà della parola autosufficiente viene via via scardinata dalla perentoria necessità di rappresentare. 4La nozione di testo immobile e inalterabile è di per se stessa rischiosamente limitante, se non sterile, nella creazione di uno spettacolo.
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g ENRICO PITOZZI docente dAMS di bologna
4La parola serve a far vedere una cosa che non hai lì sotto gli occhi, a dire l’indicibile, evocare qualcosa che non è lì materialmente. 4La grande forza del Teatro è continuare a cercare delle forme; perché vediamo sempre di più di quello che abbiamo davanti. 4Il corpo sonoro permette di giocare sulla dimensione del suono in scena; il suono incide profondamente su colui che ascolta, lo spettatore comincia ad abitare la scena perché è coinvolto dentro una dimensione inglobante. 4L’intonazione, la dimensione del suono della parola, è la sua atmosfera, la sua temperatura, è il modo in cui quella parola incide sull’attenzione di qualcuno. 4È necessario tenere in tensione tra loro la dimensione sonora della parola, la sua materialità, l’intonazione, e la dimensione del significato. 4La pratica ha sempre un confronto diretto con la scena; non posso non pensare da una pratica, se no non riesco ad individuare gli elementi fondamentali sui quali si lavora in scena. 4La potenza del corpo si esprime anche attraverso la dimensione sonora della voce. g MORENO CERQUETELLI Giornalista di Rai 3, curatore della rubrica “Chi è di scena”, critico teatrale
4A teatro si è visto un ritorno della parola, attraverso soprattutto gli attori “fabulatori”; negli ultimi anni molti sono tornati a quella che è l’essenza del teatro, cioè il racconto diretto. 4Nel teatro, la riscoperta del proprio specifico sta nella parola, nella comunicazione diretta tra attore e pubblico; si manifesta in una forma nuova, in una nuova scrittura scenica. 4Un attore può inventare sensazioni, far diventare una parola fisicità. 4La parola, anche attraverso il mezzo televisivo, conserva tutta la forza e la potenza di evocazione che ha nel teatro. 4Lo specifico del teatro viene recepito dal mezzo televisivo e veicolato come nuova tecnica di comunicazione. [ a cura di dANIELE CIPRARI ]
R IFLESSIONI DI FLAVIO CIPRIANI DIRETTORE CENTRO STUDI UILT
LA VALIGIA DELL’ATTORE
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uando si intraprende la difficile via di uno studio, si è sempre e continuamente in fasi di riflessione e di interrogativi. La problematica più pressante, ed almeno sicuramente una delle più importanti, è quella di capire quale sia il punto da dove iniziare, e quindi le direzioni di diramazione da questo punto focale. Quando ho deciso che fosse il momento di iniziare ricordo che non ho avuto dei dubbi importanti: il ‘900 teatrale, e quindi quel periodo in cui persone geniali hanno cambiato il modo di fare teatro con un impegno anche etico che per molti di questi uomini ha pesato nella propria vita privata sino in alcuni casi all’estrema conseguenza.
Ma allora in questo momento quali sono i dubbi, e se non dubbi almeno riflessioni? Molti studiosi considerano questo momento unico, il ‘900 teatrale con i suoi riformatori, i registi pedagoghi, gli studiosi che hanno avvicinato il teatro alla scienza, come ormai un reperto museale. La mia personale convinzione è che se volessimo anche considerarli processi “museali”, concetto che non condivido in alcun modo, potremmo aggiungere che i musei non sono nati per conservare le ceneri ma per tenere vivo il fuoco! Quelle piccole fiammelle che si sprigionano dal fuoco possono colonizzare e provocare incendi. Ora, quello che penso è chiaro, evidente: come si diceva durante un laboratorio con Michele (Monetta), quando si pensa a queste persone che hanno elaborato e messo in pratica le loro teorie rivoluzionarie si ha una visione quasi idealizzata, come di persone che vivessero e continuassero a vivere in un Olimpo, ma che poi sono persone vere, uniche, perché hanno creduto e frequentato l’utopia, sono persone che vivevano fisicamente nel loro presente, ma che agivano già nel futuro; e sono persone (poche ormai) che ancora continuano a frequentare il presente ed ancora continuano a proiettarsi nel futuro... e penso ad Eugenio Barba! Maestri viventi
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e non guru spirituali, ma persone con una grande umanità e disponibilità, ancora convinti e disponibili a lavorare proiettati nel futuro di nuove generazioni. Ed è questa l’altra importante riflessione: qual è il motivo per cui si continua a negare quell’onda lunga di genialità che ancora “bagna” i nostri lidi? Ed ancora oggi, e di tempo ne è trascorso, qualcuno mi saprebbe indicare dei nomi da poter avvicinare a quelli a cui ho fatto riferimento? Mi saprebbe indicare delle scuole di pensiero (teorico-pratico) che possano mettere in crisi questi riferimenti? Forse il problema non sarà quello di nascondersi dietro teorie che poi facilmente si dimostrano confutabili? Qualcuno sembra aver dimenticato o ignora da dove siamo partiti, oppure finge di non sapere di agire frequentando quei concetti? Fondamentalmente sono sicuro di un concetto essenziale: di teatro dovrebbe scrivere e teorizzare chi ha frequentato chi si è occupato di teatro, e non solo chi ha studiato il teatro! In un convegno alcuni anni fa insieme ad Eugenio Barba, l’Odin e tanti studiosi che frequentano ed hanno frequentato l’ISTA e l’Odin, mi trovai a confutare alcune teorie che non riuscivo a capire, teorie che PROFESSAVANO l’estraneità del teatro - contemporaneo? ..moderno? …post moderno? …non saprei! - rispetto alle teorie e gli studi del ‘900. Poi ricordo si proiettavano alcuni esempi di teatro per dimostrare l’estraneità rispetto agli insegnamenti del ‘900. Quale fu la mia conclusione ed intervento? Quella a cui accennavo: qualcuno ignorava il ‘900, qualcuno fingeva di non avere rapporti estetici con esso, anche se concretamente ne frequentava le teorie! Ma allora qual è il problema? Sicuramente quest’onda sotterranea continua ad agire, ma come si diceva da piccole fiammelle nascono fuochi nuovi, che portano in sé il seme dei fuochi originari ma hanno una loro vita di fuoco autonomo! Ma torniamo alla valigia. Si può teorizzare di fare a meno di concetti teorici-pratici che possano aiutarci nel nostro essere artigiani? Si può accedere direttamente alla creatività senza aver frequentato metodiche e sperimentato personalmente? Anche l’artigiano che acquisisce una metodica di lavoro osserva ed acquisisce tecniche che successivamente esercita di persona, ma solo dopo averle osservate, studiate e praticate sotto la guida esperta di un artigiano. La creatività è il modo di usare, di utilizzare strumenti che vengono tramandati e studiati. «La creatività determina la unicità rispetto al lavoro dell’attore. È la dinamica attraverso la quale personalizza la tecnica materializzandola in una realtà personale». «Il lavoro dell’attore è il risultato di una tensione dialettica tra due poli: la tecnica e la creatività». In quella valigia convivono tecnica e creatività, perché profondamente in relazione tra di loro ed inscindibili in quanto una realtà organica unica, «da un punto di vista teorico ma anche pratico operativo si può agire distinguendoli come fossero due campi operativi e teorici individuali».
spetto a tali metodiche che sono state tramandate e continuano ad essere tramandate! Sono state messe in atto solo situazioni di personalizzazione di queste metodiche, sempre più spesso dimostrazione di non perfetta traduzione di concetti. Nella continuità di questa mia riflessione vorrei sottolineare quei concetti che determinano la continuità, ma anche poi la successiva personalizzazione delle teorie di due maestri. Jerzy Grotowski teorizza una distinzione operativa tra l’occuparsi di tecnica e di creatività: il training dedicato alla ricerca della tecnica, le prove momento in cui si ricerca la creatività, e soprattutto nello spazio delle prove concretizza un momento fisico-concettuale che serve a favorire il momento creativo: l’improvvisazione. Nell’evoluzione dei suoi studi fondamentale è il passaggio al concetto di performer che sostituirà il concetto di attore: «il performer è un uomo di azione, è uno stato dell’essere (non semplicemente un uomo che fa la parte di un altro). La creatività è azione. L’azione è per il performer quello che il personaggio e l’improvvisazione erano per l’attore». Quando Eugenio barba inizia il suo lavoro con l’Odin mette in atto una metodica ereditata dal suo maestro proseguendo nella rivoluzione attuata dallo stesso: nel training l’attore lavora separatamente la tecnica, nelle prove - attraverso improvvisazioni - esperimenta e ricerca la creatività. Sino a questo momento c’è continuità. «L’improvvisazione costituisce un importante momento di esplorazione della propria soggettività e non ha niente da spartire con l’idea tradizionale del personaggio» ma, e questo determina quel percorso che porta ad essere a sua volta un maestro, da questo punto fermo Eugenio Barba elabora una propria idea, dove quel concetto che teneva separate le prove dal training si esaurisce sino a che «il training si trasforma nello spazio dove l’attore invece di compiere una serie di esercizi stabiliti lavora personalmente sulla propria energia fissando partiture». L’improvvisazione si trasforma dalla sua caratteristica di esplorazione soggettiva in una attività che serve a costruire materiali scenici, «ad elaborare CONSAPEVOLMENTE UNA PRESENZA SCENICA». «Training come TEATRO DEGLI ATTORI dove il regista agisce rielaborando e montando le partiture composte dagli attori». In definitiva è un lavoro che riguarda un concetto che modernamente è sempre proposto e studiato: la presenza scenica. Quindi «il training e le prove come due momenti di uno stesso lavoro centrato sullo sviluppo della creatività individuale». Ma ora possiamo ritornare alla riflessione iniziale: è necessario avere un bagaglio personale, e possiamo affermare che è possibile attuare metodiche diverse di acquisizione e soprattutto renderle attive su se stessi. Questo è anche quello che ci hanno tramandato i maestri con teorie e pratiche diverse. Altro suggerimento che viene da una modesta esperienza di vita e teatrale nello specifico, è di avere queste teorie e pratiche, che ancora considero attuali, sempre presenti nella nostra valigia immaginaria, e fermarsi a riflettere e considerare quello che è attualmente la nostra cultura teatrale e quanto essa deve a questi “abitanti di un Olimpo” da cui ancora riceviamo segnali di vita.
Agli inizi il genio di Stanislavskij nella sua opera già indicava i due campi operativi: il lavoro dell’attore su se stesso si occupava dello studio teorico-pratico della tecnica, il lavoro dell’attore sul personaggio si occupava della creatività. Il lavoro dell’attore su se stesso si è sviluppato e concretizzato in due momenti essenziali: il training e le prove. Vorrei che qualcuno indicasse eventuali cambiamenti e rivoluzioni ri-
FLAVIO CIPRIANI
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L’INTERVISTA DI STEFANIA ZUCCARI
IL CORPO VOCALE Atelier Nazionale del Centro Studi UILT Amelia - 5/7 giugno 2015 Intervista al Maestro
©ph. Maurizio Buscarino
YVES LEBRETON Nell’ambito delle iniziative di formazione del Centro Studi Nazionale UILT nella sede di Amelia, il maestro Yves Lebreton, che ringrazio per la sua cortese disponibilità, ha risposto ad alcune«C’È domande relative sia al tema dell’Atelier IL CORPO QUALCUNO NELLA MIA VOCALE, che alla sua visione artistica e al percorso personale. L’artista nasce a Parigi il 5 marzo 1946. Dal 1962 al 1966, studia musica classica: chitarra, pianoforte e violoncello. Dal 1963 al 1966, studia arti grafiche e pittura all’Accademia delle Belle Arti di Parigi. Dal 1964 al 1969, studia “mime corporel” alla scuola di étienne Decroux a Parigi. Dal 1969 al 1975, fonda e dirige in Danimarca l’Atelier Teatrale “Studio 2” all’interno del Teatro Laboratorio Inter-Scandinavo per l’Arte
dell’Attore. Nel 1976, lascia la Danimarca e fonda a Parigi la compagnia “Théâtre de l’Arbre”. Nel 1981, trasferisce il “Théâtre de l’Arbre” in Toscana dove crea nel 1983 in una vecchia cascina restaurata il “Centro Internazionale MENTE, MA NON SONO IO»di Formazione, Ricerca e Creazione Teatrale: l’Albero”. Gli spettacoli di Yves Lebreton sono stati presentati in 33 paesi: Argentina, Germania, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Costa Rica, Danimarca, Egitto, Spagna, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Haiti, Olanda, Ungheria, Italia, Islanda, Messico, Norvegia, Polonia, Rep. Dominicana, Russia, Svezia, Svizzera, Cecoslovacchia, Uruguay, U.S.A, Venezuela, Jugoslavia, Portogallo.
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www.yves-lebreton.com
Cos’è il corpo vocale? Lo spazio e l’importanza della parola nel teatro contemporaneo, e quale parola? Cos’è per te la parola, un corpo vocale che parla? No, è un corpo che emette suoni, non per forza che parla. Questo arriva dopo, e si tratta del corpo verbale, che è un altro tipo di approccio, in continuità con il corpo vocale. Il corpo, dopo aver scoperto la nascita del suono vocale, la produzione della voce, articola questa produzione vocale fino a utilizzare le parole, e dunque un testo. Tra il corpo e la voce abbiamo un elemento comune, che è il respiro. Il respiro è essenziale per il corpo, per muoversi nello spazio e soprattutto per esprimersi. Corpo e respiro sono necessari l’uno all’altro. E il respiro è anche indispensabile per l’emissione vocale, dunque il corpo vocale è il corpo che scopre la sua produzione vocale tramite il respiro e il gesto vocale. Il primo passo è la produzione del suono vocale: una volta che il suono vocale è scoperto, che abbiamo trovato l’atteggiamento giusto per sostenere la produzione della voce, nello spazio e nello stesso momento nel tempo, possiamo articolare. Ma non si tratta di parlare: si tratta di scoprire il linguaggio fenomenale che abbiamo a disposizione, che noi non utilizziamo, che sono le vocali e le consonanti, i versi, i colori vocali che l’uomo può produrre con il suo apparato fonatorio. Poi questi colori si possono agganciare l’uno con l’altro nella configurazione di parole, che siano italiane, francesi, tedesche, giapponesi... Ma senza il suono vocale la parola non può nascere, non esiste. La parola è un’estensione dell’emissione vocale, dunque prima mi concentro sulla produzione del suono, e questo è il corpo vocale; dopo posso avvicinarmi alla parola, tramite il corpo verbale. Tu sei un Maestro. Quali sono stati i tuoi Maestri? Cosa hanno dato a te, e cosa tu vuoi invece trasmettere ai tuoi allievi? Ho avuto la fortuna di nascere a Parigi. Lì sono nato e ho avuto la fortuna di fare le mie prime esperienze artistiche; volevo dedicarmi prima alla pittura, poi alla musica; al teatro non ci avevo pensato affatto. Per caso mi si è presentata l’opportunità di avere un’esperienza teatrale amatoriale - si inizia sempre a questo livello - e questo è stato il cambiamento: sono stato attratto dal linguaggio artistico che è il teatro, ho sentito subito che il corpo era predominante. Nella mia prima esperienza di teatro amatoriale, teatro classico, con un testo e una parte da interpretare, ho sentito che le parole che dovevo recitare in scena non erano sufficienti; avevo bisogno di trovare una fonte che mi rimandasse al corpo, non sapevo il perché e il come, ma sentivo che mi mancava una base, che era il sostegno fisico della mia recitazione in scena. Il parlare non mi era sufficiente, ho cercato dunque una scuola per investire questo spazio, che è l’espressione corporea, e ho avuto la fortuna di conoscere la scuola di Étienne decroux. Appena sono entrato nella scuola di Decroux ho rinunciato al teatro parlato e mi sono concentrato unicamente sull’espressione corporea. Dunque il mio Maestro è étienne Decroux, il mio unico Maestro, non ho fatto altre esperienze formative. Però Decroux si è concentrato principalmente sul linguaggio del corpo, non ha investito il linguaggio vocale, anche se lui in partenza era un attore di prosa, non di pantomima. La sua ricerca è nata nell’ambito del teatro e non del mimo, e questo crea grande confusione: la gente pensa che Decroux sia un mimo moderno, invece è un attore. Un attore che ha sentito, come io l’ho sentito in maniera intuitiva, che il corpo era fondamentale, e appena tu tocchi il corpo, appena sveli le possi-
bilità espressive del corpo, scopri un mondo che è sufficiente in se stesso. Il corpo può dire tutto, e soprattutto lo dice in maniera allusiva, dà spazio all’immaginario. La parola è incastrata dentro il mondo reale, perché nella vita quotidiana parliamo tra di noi, dunque la parola è ingabbiata in questa realtà; invece il corpo supera questa realtà, ti dà anche la possibilità di aprire una finestra su un mondo onirico, poetico, e anche puramente astratto. La danza ne è l’espressione più viva, soprattutto il teatro danza di oggi. Dunque, a partire dall’esperienza che ho fatto nella scuola di Decroux, ho voluto sviluppare questa esperienza verso la voce e ho utilizzato il corpo come base, come ponte per accedere all’emissione vocale, e tra il parlare e il corpo mi sono confrontato con il linguaggio della voce puro, senza l’uso della parola. Uno spazio che tuttora non è sviluppato a livello teatrale, si passa dal movimento alla parola e si dimentica che tra le due c’è questo spazio magico che è l’espressione sonora. Le vocali sono come dei colori, le puoi mescolare insieme, ma abbiamo tre colori fondamentali e tre vocali fondamentali: O, A, I. Le mescoliamo insieme e otteniamo delle vocali intermedie. E ogni vocale ha una vibrazione, è un colore e dunque ha una qualità espressiva, che si collega anche al tuo corpo; ogni vocale è collegata alla tua struttura corporea, e dunque è uno spazio che mi affascina perché è un nuovo linguaggio scenico che non è ancora utilizzato. Non utilizziamo il suono come espressione; lo facciamo tramite le parole, all’interno delle parole l’attore può tirare più o meno su certe vocali o certe consonanti, martellare la parola, scolpirla con la materializzazione sonora, ma è sempre schiavo della parola. Invece possiamo liberarci della parola, non più parlare ma realizzare dei movimenti che sono fisici, e nello stesso momento vocali, e attingere a un’espressione totalmente nuova, dove l’attore non recita più ma crea dei suoni a partire dalle vocali e dalle consonanti, le mescola insieme. Questo è un tipo di linguaggio che mi interessa e quello che propongo all’interno dei miei laboratori sul corpo vocale. Questo è un passo successivo che Decroux non ha compiuto, anche se nell’ambito della scuola ne parlava, ma non c’era nessuna preparazione dell’attore in questa direzione. Perchè hai scelto di vivere in Italia? E qual è la tua definizione di formazione? C’è differenza tra la formazione in Italia e all’estero? Non posso giudicarlo, e non mi interessa. Da un paese all’altro le cose cambiano, certo, però l’uomo è sempre quello. Puoi cambiare paese, andare in Cina, in India, in Italia, in Sudamerica... Parlano diverse lingue, hanno diverse tradizioni, diverse culture, ma alla fine la realtà umana è sempre quella, è sempre l’uomo, è sempre il linguaggio dell’uomo. Dunque il corpo va al di là di tutte le culture, tocca l’essenziale, l’universale. Abbiamo tutti un corpo, e possiamo tutti esprimerci attraverso questo corpo: la tristezza, la rabbia, la felicità, il benessere, che siano espressi da un cinese o da un italiano non sono tanto diversi; il linguaggio corporeo è di natura universale. Dunque per me non c’è una grande differenza tra un paese e l’altro. È vero che abbiamo delle culture un po’ diverse, non tocca a me approfondirle, è più compito di un antropologo o di un etnologo che di un artista; ma passando da un paese all’altro, facendo le tournée, certo vedo che il pubblico francese è diverso da quello italiano, da quello tedesco, brasiliano, americano... Se mi sono stabilito in Italia è grazie al pubblico italiano, che rispondeva con maggiore disponibilità ai miei spettacoli. Forse perché voi avete una cultura del gesto:
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l’uomo italiano non smette mai di gesticolare quando parla, il corpo è sempre vivo e presente. La Commedia dell’Arte è nata in Italia, non in Francia; ha invaso poi la Francia, Molière senza la Commedia dell’Arte non sarebbe esistito, la sua base è quella, a partire dalla quale si è poi sviluppato. Questa potrebbe essere una spiegazione della mia scelta di venire in Italia; l’italiano ha una predisposizione all’espressione fisica, all’espressione corporea, e quando vede un attore che non si esprime attraverso le parole ma attraverso il gesto, per lui è familiare, lo capisce. Nel sud dell’Italia, a Napoli per esempio, la gestualità è ampia, generosa, permanente. E in più l’italiano ha questa molla particolare che è l’immaginazione: ha fantasia, gli piace giocare, entra subito in sintonia con te se tu utilizzi l’ironia, non si trova spiazzato come per esempio il tedesco, che è inquadrato dentro delle regole fisse, e se vai oltre queste regole ha difficoltà ad entrare in contatto. Invece l’italiano non si pone questo problema, addirittura gli piace essere fuori dalle regole. Dunque c’è tanta affinità tra il linguaggio corporeo e la cultura italiana. Questo l’ho ritrovato anche in Brasile, seppur in maniera molto diversa: c’è una grande cultura del corpo, sono molto disponibili su questo piano, ma in maniera diversa dagli italiani, senza entrare nei particolari. L’espressione viene dal corpo o dalla mente? La sorgente dell’espressione è sempre interiore. Ma poi cosa è la mente? È facile mettere un nome a qualcosa che non conosciamo. Abbiamo tante parole per nominare delle cose che non arriviamo a capire. Parliamo per esempio dell’infinito, ma nessuno può capire cos’è l’infinito; o l’eternità, è un concetto che nominiamo, proviamo ad attingere a questa nozione attraverso una parola, ma non è una definizione. Dunque la mente è una nebulosa, è uno spazio ancora totalmente da esplorare; ma io parlo di energia, invece che di mente, o di pensiero, di sentimento, di emozione. Alla fine è un’energia, un’energia di natura collegata alla tua psiche, ma questa energia ha diversi aspetti: può essere cosciente, incosciente, subcosciente, sovracosciente. Non sappiamo come funziona la mente, non sappiamo ancora come funziona il cervello, non sappiamo come è nata e come funziona la coscienza; ne abbiamo qualche piccola indicazione, ma tutto
questo fa parte del mondo interiore. Questo mondo interiore non esiste se non c’è un’incarnazione, se non c’è un mondo fisico; fa parte del mondo fisico, non faccio una separazione tra mente e corpo, tra spirito e materia. Lo spirito è dentro la materia, e la materia è dentro lo spirito. È la materia che permette allo spirito di incarnarsi, di partecipare alla vita. Se la materia sparisce, lo spirito non si può più materializzare, diventa un’astrazione pura, non ha più esistenza; dunque la mente per me non è confinata all’interno della psiche. La mente è dentro il nostro corpo, ogni cellula del nostro corpo ha un flusso energetico; gli atomi che sono alla base della costituzione della materia sono ovunque nel corpo, nel cervello come nella pelle, nelle viscere. Siamo composti di atomi, e questi atomi sono la sorgente dell’energia. Dunque l’espressione - che sia fisica, vocale, pittorica, musicale, letteraria - non fa altro che esteriorizzare un potenziale che è vivo dentro di te. L’interiorità è la fonte e nello stesso momento l’obiettivo, l’espressione e il canale di passaggio che ti permette di proiettare fuori la tua identità, un certo vissuto, una certa qualità interiore, e di collegare questa interiorità allo spettatore che ti ascolta o che ti guarda tramite i sensi; tramite il proprio corpo lo spettatore assimila l’energia che tu proponi, fino a far nascere dentro di lui anche una qualità interiore. Dunque il mondo interiore per forza è la sorgente e anche la finalità dell’espressione; è un ciclo che si chiude su se stesso. hai risposto anche alla domanda successiva: se l’arte è più tecnica o istinto, e se è la tecnica a suscitare l’emozione o è l’emozione a sostenere la tecnica. Possiamo affinare il discorso dicendo che la tecnica non produce il mondo interiore, non produce l’emozione, ma la tecnica permette di filtrare il mondo interiore e di renderlo tangibile per te stesso e per lo spettatore. Permette di creare un ponte tra l’interiorità e l’esteriorità. Più tecnica c’è, e più c’è finezza del linguaggio; più la tecnica è raffinata, precisa, e più il mondo interiore può essere trasmesso in maniera più integra. Tutto il problema dell’artista - o dell’espressione in generale, non unicamente dell’artista ma anche dell’uomo di strada - è la fedeltà tra la forma che tu proponi e la motivazione che suscita questa forma. Se la
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forma non è proprio il riflesso del sentito interiore, allora tu crei un malinteso; la trasmissione e la comunicazione non si realizzano. La trasmissione, la comunione, l’unione dello spettatore e dell’attore, si realizza quando la motivazione, dunque il mondo interiore, è totalmente espresso, quando la forma diventa totalmente trasparente. La tecnica garantisce questa trasparenza.
LIBRI DI YVES LEBRETON «SORGENTI. Nascita del teatro corporeo» edizioni Titivillus, collana “Altre visioni”. «éTIENNE DECROUx. La statuaria mobile e le azioni» edizioni Titivillus, collana “Altre visioni”.
LA MASCHERA DI FRANCESCO FACCIOLLI
SUA CUIQUE PERSONA A CIASCUNO LA SUA MASCHERA persōna personă, personae s. f. I decl.|n. f. I décl.|s. f. I decl.
personalità (s.f.), personaggio (s.m.), carattere (s.m.), ruolo (s.m.), maschera (s.f.)
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ià nella traduzione del termine maschera in latino persona troviamo tutto il fascino di questa parola, di questo concetto, di questa metafora. Nell’immaginario collettivo, a livello ingenuo, la maschera è generalmente associata al Carnevale, o comunque ad occasioni particolari in cui abbiamo la possibilità di “travestirci”, di assumere altre sembianze; questa finzione ci consente di dare sfogo alla nostra fantasia, di diventare - per un breve arco di tempo - un personaggio altro dalla nostra realtà quotidiana, differente da ciò che noi stessi siamo o che crediamo di essere. Dobbiamo tener presente che fin dall’infanzia, ciascuno di noi pur di sentirsi amato e inserito nel contesto sociale in cui vive e opera (famiglia, scuola, gruppo dei pari, ecc.) tende a mettere da parte i bisogni più profondi e la sua natura più intima e radicata, divenendo con il tempo sempre meno libero. Ben presto iniziamo a comprendere quali sono i comportamenti accettati e quelli rifiutati e – per paura di restare soli oppure di essere giudicati o non accettati per quello che siamo – di conseguenza ci adeguiamo, anche a spese della nostra stessa identità, libertà e spontaneità. Tutto questo avviene in gran parte al di fuori della nostra coscienza e razionalità; una volta divenuti adulti crediamo di conoscerci e pensiamo: «chi meglio di me può sapere chi sono…?»; ma in fondo, ciò che conosciamo veramente è la nostra apparenza, la facciata che ci sforziamo di presentare agli altri e a noi stessi, in altri termini la nostra maschera sociale.
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Realtà e apparenza, verità e finzione sono concetti opposti, ma in fondo fra loro strettamente connessi, che hanno da sempre affascinato l’animo umano, trovando espressione in differenti settori, dall’arte alla filosofia al teatro. Di qui l’interesse in particolare per la “maschera”, proprio in quanto ciascuno di noi recita nella società un ruolo, cioè appare agli altri come un carattere, un personaggio, indossando appunto una maschera. «OGNI UOMO MENTE, MA DATEGLI UNA MASCHERA E SARÀ SINCERO» [ OSCAR WILDE ]
Sembra un ossimoro quello di Oscar Wilde, ma in realtà coprire la nostra “maschera sociale” con una maschera-oggetto, manufatto, permette di liberarsi, di svelarsi per quello che si è. La maschera non cela, svela. La maschera permette una comunicazione extraverbale. Una comunicazione che va oltre il linguaggio parlato, razionale, convenzionale e si spinge in terreni più “animali” più istintivi. La maschera permette a persone di lingue e culture differenti di condividere esperienze, sensazioni, idee.
Che cos’è la Maschera?
Molte maschere sono ricavate da elementi naturali quali cortecce, foglie, parti animali. Ma la maschera è fatta soprattutto di energia, di spirito. Un attore o una persona che indossa un qualunque indumento o accessorio è la stessa persona con addosso quel particolare accessorio. Un attore può indossare un cappello, una sciarpa, ma non cambia la sua natura. Nel momento in cui un attore o una persona indossano una maschera, in quello stesso momento “trasfigurano” diventando “altro da sé”. La maschera apre dei canali di comunicazione sconosciuti, arcani, che superano le barriere linguistiche, comportamentali, razionali e dialogano ad un livello più profondo, più arcaico.
A cosa serve la Maschera? È importante sottolineare brevemente come le numerose ricerche etnoantropologiche hanno distinto le differenti funzioni della maschera all’interno delle varie aree continentali: in linea molto generale, la maschera è strumento con cui captare la forza soprannaturale degli spiriti e appropriarsene, utilizzandola a beneficio della comunità. La maschera non è un travestimento con il quale si cerca di nascondere la propria identità personale, l’uomo mascherato non vuole farsi passare per una divinità, ma è la divinità stessa che lo possiede temporaneamente e che agisce attraverso di lui. La maschera si configura quindi, come un efficace mezzo di comunicazione, essendo uno strumento che permette di alienarsi dalle convenzioni spazio-temporali, al fine di proiettarsi all’interno di un mondo “altro”, divino, rituale, mistico. Nelle popolazioni antiche la maschera era il mezzo privilegiato di comunicazione con le divinità e i defunti.
La maschera è un artefatto che si indossa che può ricoprire l’intero viso o solamente gli occhi. È utilizzata fin dalla preistoria per rituali religiosi, rappresentazioni teatrali o feste popolari. Incerto l’etimo della parola: probabilmente deriva dal latino medioevale màsca, strega, tuttora utilizzato in tal senso nella lingua piemontese. Si trova traccia dell’origine del termine nell’antico alto tedesco e nel provenzale masc, stregone. Dal significato originale si giunge successivamente a quello di fantasma, larva. L’evoluzione linguistica portò probabilmente all’aggiunta di una “r” facendo assumere al termine la forma dapprima di mascra e successivamente di mascara. Alcuni studiosi hanno suggerito una derivazione dell’etimo dalla locuzione araba maschara o mascharat, buffonata, burla, derivante dal verbo sachira, deridere, burlare, importata nel linguaggio medievale dalle crociate. Tuttavia tale vocabolo è già presente in alcuni testi anteriori alle crociate. Altri vedono un possibile accostamento con il termine pregallico baska da cui abbiamo il verbo francese rabacher, fare fracasso. Si è dunque probabilmente giunti ad una sorta di processo di assimilazione all’interno del significante “maschera” sia dell’aspetto primordiale di anima cattiva o defunto, sia di un aspetto goliardico e festoso. Comune a innumerevoli popolazioni è l’utilizzo di tale simbolo sin dall’età arcaica, raramente sostituito, ma spesso affiancato da pitture corporali, tatuaggi o scarnificazioni.
Di cosa è fatta la Maschera? La maschera come oggetto fisico può essere fatta di diversi materiali a seconda delle tradizioni e delle funzioni. I materiali usati principalmente sono il legno (Bali, Giappone, Europa, Africa), il cuoio (Italia, Cuba), la carta (Europa, India, Cina).
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Nella Grecia arcaica e classica la maschera è legata alla sfera della morte, dell’ira degli dei (maschere rituali di divinità nel loro aspetto irato, esibite dai sacerdoti, in particolare durante rituali misterici). In questa tipologia d’impiego è spesso uno strumento di comunicazione con lo spirito del defunto per evitare che questi nuoccia ai congiunti. Il rapporto fra maschera e morte si accentua nel mondo ellenistico e all’interno dei culti misterici romani. La maschera di Sileno, ad esempio, diviene uno dei simboli per eccellenza della morte iniziatica (affreschi della Villa dei Misteri a Pompei). è proprio all’interno del contesto greco-romano che possiamo ritrovare l’interrelazione fra sacro e profano, attuata per mezzo dell’uso teatrale della maschera. La maschera teatrale è un oggetto che riproduce generalmente le fattezze di un volto (umano, animale o soprannaturale) e che viene indossato sul volto dall’attore. Le maschere sono usate in molte tradizioni teatrali di diversi continenti, dal teatro classico greco e latino fino al teatro Balinese, alla Commedia dell’arte, al teatro No giapponese. Nel Teatro greco e latino le maschere avevano la doppia funzione di caratterizzare il personaggio e fungere da cassa di risonanza sonora per amplificare la voce e rendere più udibili i dialoghi. Il Teatro Osco, una forma di teatro diffuso nel centro Italia prima della conquista romana usava caratteri fissi per i personaggi rappresentati da maschere. L’uso di maschere è adottato nelle forme di teatro tradizionale di tutto il mondo. Il Teatro Topeng balinese è un teatro rituale in maschera, dove molti personaggi “vivono” sulla scena solo con i gesti e i movimenti del corpo. La loro comunicazione non è affidata alla parola ma all’espressione corporea.
In Europa l’uso della maschera ebbe grande successo con la Commedia dell’arte italiana. Il suo successo durò dalla seconda metà del ‘500 fino al ‘700 inoltrato. La Commedia dell’Arte si sviluppò in Italia; diffusasi poi in tutta Europa, divenne molto popolare in Francia. La definizione Commedia dell’Arte (arte ha il significato medievale di mestiere) distingueva il teatro di attori di professione da quello praticato nelle corti da letterati e cortigiani e sui sagrati delle chiese da chierici e diaconi. Le compagnie professioniste erano composte da artisti e acrobati girovaghi. Tali compagnie non mettevano in scena testi d’autore ma, basandosi su un canovaccio, rappresentavano vicende ispirate alla realtà quotidiana, arricchite con numeri acrobatici, danze e canti. Le commedie si basavano su personaggi ben riconoscibili e dai caratteri stereotipati, su un’enfatica gestualità, dialoghi improvvisati, interludi musicali e buffonerie, per soddisfare un vasto pubblico di diversa estrazione sociale e culturale. Tutti gli attori, con l’eccezione della coppia dei giovani innamorati, portavano la maschera. Le maschere riproducevano alcuni caratteri ben riconoscibili, tali da ovviare in parte all’assenza di un copione e da orientare immediatamente la comprensione del pubblico. La popolarità della Commedia dell’Arte, sia in Italia sia all’estero, fu straordinaria ed influenzò molto teatro a venire. In Inghilterra, influenzò la grande arte di Shakespeare. In Francia la commedia ispirò il teatro dei maggiori commediografi francesi, come Molière e Marivaux. Non si è mai smesso di scrivere per le maschere, basti pensare al Pulcinella di Stravinskij, balletto dei primi del ‘900 o al Pulcinella di Manlio Santanelli, autore contemporaneo napoletano che con quest’opera ha conquistato i maggiori teatri di tutto il mondo. Proprio Santanelli, nella sua opera, dà una definizione emblematica della maschera: «LA MASCHERA NON SIAMO NÉ NOI NÉ GLI ALTRI MA QUALCOSA CHE STA GIUSTO IN MEZZO. E MENTRE È GUARDATA, GUARDA. GUARDA VERSO DENTRO E VERSO FUORI ALLO STESSO MOMENTO.» FRANCESCO FACCIOLLI
Nelle foto delle pagine precedenti: Maschera con volto di satiro in terracotta policroma, 300-100 a.C. Maschera di Agamennone. Mosaico romano del I secolo a.C. con maschere tragica e comica. Maschere della Commedia dell’Arte. In questa pagina: Maschere da Alaska, Africa e Tibet. Maschera di Sileno negli affreschi della Villa dei Misteri di Pompei.
LA BIENNALE DI VENEZIA 43. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO Il 43. Festival Internazionale del Teatro della biennale di venezia si è svolto quest’anno dal 30 luglio al 9 agosto con al centro della programmazione le attività di biennale College - Teatro, linea strategica della Biennale che coinvolge tutte le discipline ed è rivolta alla formazione di giovani artisti, a cui si offre la possibilità di operare a contatto di maestri per la messa a punto di “creazioni”. All’interno del Festival, infatti, accanto agli spettacoli saranno presentate le nuove creazioni di biennale College - Teatro, stabilendo un rapporto diretto tra creatività e Festival. La biennale College - Teatro, per chi non avesse avuto la possibilità di assistere alla Biennale, è una sorta di laboratorio scientifico che favorisce l’incontro tra artisti e giovani professionisti di tutto il mondo. Grazie alla partecipazione di grandi maestri internazionali che ancora una volta sono stati presenti, gli spettacoli sono stati presentati dagli stessi autori che hanno svolto anche la funzione di guide dei workshop di creazione. Straordinari spettacoli di grandi compagnie e artisti internazionali sono stati i protagonisti del 43. Festival, come aveva preannunciato Alex Rigola, il direttore del Settore Teatro: da un lato i Leoni d’oro delle passate edizioni, Jan Lauwers con la Needcompany, Thomas Ostermeier con la Schaubühne, Romeo Castellucci e la Socìetas Raffaello Sanzio, e dall’altro artisti i cui spettacoli sono stati presentati in prima italiana alla Biennale: Christoph Marthaler, Falk Richter, Agrupación Señor Serrano, Fabrice Murgia (Leone d’argento 2014), La Zaranda, Christiane Jatahy, Lluís Pasqual (Direttore della Biennale Teatro 1995). Accanto a loro: Oskaras Koršunovas, Milo Rau, Antonio Latella. La Biennale di Venezia, in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale, ha presentato inoltre la sezione Young Italian brunch: quattro compagnie, che con Latella e Castellucci hanno contribuito a completare la partecipazione italiana del Festival e hanno usufruito della possibilità di essere visti da programmatori internazionali. Anche il pubblico è stato fra i protagonisti della Biennale: un pubblico formato da appassionati e curiosi che intendono approfondire le loro conoscenze, capire il mondo poetico dei registi e la loro metodologia: questo tramite workshop e spettacoli degli artisti aperti agli spettatori: ogni incontro si è svolto il giorno successivo al debutto sulla scena, proprio per dare modo al pubblico di avere un riscontro concreto sullo spettacolo visto. Gli incontri inoltre sono stati programmati in modo da consentire la partecipazione a tutti gli iscritti ai workshop di Biennale College, permettendo loro la conoscenza diretta anche di quegli artisti che conducono percorsi diversi dal proprio. I workshop di biennale College, otto percorsi di sette giorni con la presentazione finale di una micro produzione della durata di circa 15’ presentata il 9 agosto, hanno avuto come tema conduttore “La terra trema”, capolavoro neorealista di Luchino Visconti. Infatti la biennale College - Teatro si ispira alla tematica della Biennale Arte 2015, All the worlds futures, così che gli artisti impegnati nei suoi laboratori hanno potuto aprire una riflessione sulle diverse strade che l’umanità sta seguendo. Ai workshop per attori e registi si sono aggiunti tre percorsi sulla drammaturgia (Pascal Rambert, Yasmina Reza, Mark Ravenhill), uno sullo spazio scenico e l’illuminotecnica (Albert Faura e Max Glaenzel) e uno di critica. Quest’ultimo con l’obiettivo di creare documentazione e comunicazione attorno alle attività del Festival e costituire allo stesso tempo un’importante attività formativa per i giovani critici che vi hanno preso parte.
Paolo baratta, Presidente della Biennale di Venezia, ha evidenziato come con questa 56ma edizione, la Biennale compie 120 anni costituendo un indispensabile punto di osservazione del fenomeno della creazione artistica nel contemporaneo. «Oggi il mondo ci appare attraversato da gravi fratture e lacerazioni, da forti asimmetrie e da incertezze sulle prospettive. Nonostante i colossali progressi nelle conoscenze e nelle tecnologie viviamo una sorta di “age of anxiety”». Sono stati presenti 136 artisti dei quali 88 presenti per la prima volta, provenienti da 53 paesi, e molti da varie aree geografiche che ci ostiniamo a chiamare periferiche. Delle opere esposte, 159 sono stati nuovi lavori. Evocare i fenomeni anche drammatici che caratterizzano il tempo presente vuol dire far entrare la storia. Il presente vuol essere compreso attraverso i segni, i simboli, i ricordi che la storia ci consegna e dai quali traiamo elementi negativi ma anche positivi. Nella biennale vivono 120 anni di storia delle arti, di varia natura: nell’Arte, nell’Architettura, nella danza, nel Teatro, nella Musica e nel Cinema. Qualche altra citazione: Falk Richter, drammaturgo e regista per la prima volta in Italia, che in “Never Forever,” insieme al coreografo israeliano Nir de Volff, ha dipinto una società post-umana, percorsa da guerrieri metropolitani, individui in lotta per la sopravvivenza pronti a commettere atti estremi; la compagnia spagnola La Zaranda con “El Régimen del Pienso” che ha messo in scena l’alienazione del posto di lavoro; il teatro politico di Milo Rau con il suo International Institute of Political Murder che in “Hate Radio” ha ricostruito la stazione della Radio-Télévision Libre des Mille Collines e le sue trasmissioni, strumento di una aggressiva campagna razziale che contribuì in maniera determinante al genocidio dei Tutsi in Rwanda nel 1994; la regista brasiliana Christiane Jatahy, che come Richter per la prima prima volta in Italia con la Biennale, ha ricondotto un classico strindberghiano, Julia, ai nostri giorni facendo coesistere cinema e teatro, mondo reale e mondo virtuale; Antonio Latella con i tre monologhi “MA”, “Caro George” e “A. H.” riuniti in una serata unica: un trittico sul ‘900 attraverso tre figure emblematiche (Pasolini, Francis Bacon, Adolf Hitler) che rappresentano anche tre differenti prospettive sull’uomo e sulla sua relazione con il mondo; Jan Lauwers e la Needcompany con “The blind poet”, partendo da una visita nella moschea di Cordova denuncia le menzogne della storia e la manipolazione delle informazioni attraverso i secoli; Oskaras Koršunovas ha trasformato i camerini degli attori nel palazzo di Elsinore per il suo “Hamlet”; mentre Romeo Castellucci e la Socìetas Raffaello Sanzio in “Giulio Cesare. Pezzi staccati” hanno estrapolato dallo storico spettacolo realizzato nel 1997 due monologhi, pezzi staccati del “dramma della voce alle prese con il potere retorico della parola”; la compagnia Agrupación Señor Serrano, Leone d’argento per l’innovazione teatrale del Festival, con “A House in Asia” ha raccontato una caccia all’uomo come fosse un western, una storia di indiani e cowboy: attraverso un dispositivo che mescola modellini in scala, video proiezioni, manipolazione dell’immagine in tempo reale e performance, la casa di Osama Bin Laden diventa il contenitore di tutte le scene dello spettacolo, dalla Casa Bianca alle praterie dell’Afghanistan. Infine, la grande metafora sull’intolleranza e l’abuso di potere di “El Caballero de Olmedo” di Lope De Vega, un classico del siglo de oro, che che Lluís Pasqual ha portato in scena con giovani attori. www.labiennale.org/it/teatro
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STEFANIA ZUCCARI
A RTE E STORIA DI PAOLO SANTINI
LEONARDO E IL TEATRO
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entre Leonardo da Vinci andava componendo una delle meraviglie di ogni tempo dell’arte pittorica, il cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano, nel quale tradurrà tutte le conoscenze maturate in quel momento dalla sua esperienza, il suo ingegno produceva straordinari risultati anche in altri innumerevoli campi. Uno di questi, probabilmente con un posto d’onore fra quelli che privilegiava rispetto ad altri, era la progettazione degli apparati scenici per rappresentazioni teatrali da tenere durante le grandi feste per la corte sforzesca. In realtà aveva cominciato già a Firenze, anni prima. Feste che duravano giorni, con centinaia di persone coinvolte e gli ingegni di corte mobilitati per lunghi mesi per garantire la buona riuscita. La grandezza di una corte nell’Europa del tempo si misurava anche dalla capacità di organizzare festeggiamenti. E gli ambasciatori presso le rispettive corti prestavano grande attenzione nel relazionare ai rispettivi sovrani sulla buona riuscita o sui fallimenti. L’esordio milanese che aveva decretato la fama del genio vinciano - dopo il grande periodo fiorentino era stato in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, fra il 1489 e il 1490.
Il 13 gennaio del 1490 Ludovico il Moro fece allestire, nella Sala verde del Castello Sforzesco affrescata da Leonardo, in onore degli sposi, la memorabile “Festa del Paradiso”. E fu proprio Leonardo, con una mirabolante invenzione, a portare in scena nientemeno che la rappresentazione del Paradiso, effigiata sulla base delle conoscenze, delle credenze e dei dogmi dell’epoca. L’invenzione fu annunciata da suoni e grandi giochi di luci e fu descritta nei minimi particolari da Jacopo Trotti, ambasciatore estense alla corte milanese. Un Paradiso a forma di mezza ellisse, dorato all’interno, contenente i pianeti ruotanti intorno a Giove; materialmente i pianeti erano rappresentati in scena da sette attori, tutti cortigiani, che indossavano ricercati costumi disegnati dal genio vinciano. Al di sopra di essi si trovavano le costellazioni con i dodici segni zodiacali illuminati. Leonardo utilizzò molto il vetro per questa macchina scenica, e ne ottenne un effetto grandioso. Rimangono come preziosa testimonianza alcuni pregevoli disegni di feste nuziali, come i quattro fogli di Windsor che contengono disegni di maschere e di sistemi di illuminazione. Anche l’anno 1491 fu ricco di rappresentazioni teatrali sotto la sapiente regia tecnica leonardesca, come il torneo in casa di Guido da Sanseverino e le feste per le nozze “incro-
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ciate” fra dinastie di Ludovico il Moro con beatrice d’Este e di Alfonso I d’Este con Anna Maria Sforza, che andavano a rinsaldare un asse di potere formidabile fra le due nobili famiglie stabilizzando politicamente un contesto territoriale nel centro nord della penisola italiana di importanza europea. Ma torniamo a Leonardo impegnato a Milano nel cenacolo e alle attività svolte in contemporanea; siamo nel 1496 e il genio di Vinci progetta e sovrintende alla realizzazione degli apparati scenici per la “danae” di Baldassarre Taccone, nella magione milanese di Giovan Francesco Sanseverino conte di Caiazzo. Tre ore tonde di coinvolgente spettacolo in cui la corte di Ludovico Sforza rimane incollata alla scena ed assiste ad apparizioni di personaggi volanti, spettacolari discese dal cielo, mirabolanti effetti speciali con improvvise apparizioni di personaggi avvolti dalla luce accecante. Era la consacrazione definitiva del genio come ingegnere teatrale e scenografo. La guerra e le vicende personali portarono poi Leonardo ad abbandonare Milano, lasciando oltretutto incompiuto il monumento equestre a Francesco Sforza (ci piace ricordare qui che un monumento equestre in bronzo realizzato nei primi anni duemila dalla scultrice americana Nina Akamu a partire da disegni leonardeschi orna oggi una piazza della nostra città ed è conosciuto in tutto il mondo). Tornerà a Milano dal 1506, ed è proprio in questo periodo che studierà una serie di meccanismi per la rappresentazione di “Orfeo” di Angiolo Poliziano, un pezzo di storia del teatro rinascimentale italiano. «Quando si apre il Paradiso di Plutone allor sian diavoli che sonino in dodici olle a uso di voce infernali; quivi sia la morte, le furie, Cerbero, molti putti nudi che pianghino; quivi fochi fatti di varii colori ... movino ballando», narra Leonardo in uno dei suoi taccuini, oggi foglio contenuto nel codice Arundel. La scena che rappresenta Plutone emergente dagli inferi attraversando una montagna che si apre da sola è memorabile: è la prima volta che nelle rappresentazioni teatrali moderne una macchina di scena completa una mutazione senza interruzione della scena medesima per consentire di montare argani o carrucole varie. Fu Carlo Pedretti, dopo aver pubblicato il cosiddetto “foglio del teatro”, a rintracciare la testimonianza grafica del meccanismo a saliscendi con argano e carrucole utilizzato per l’apertura della montagna meccanizzata. Ancora Pedretti riferisce all’allestimento dell’“Orfeo” e quindi al 1508 la progettazione della macchina teatrale utilizzata per simulare un volatile in azione, l’”ocel de la comedia”. Ecco che ancora una volta le passioni di Leonardo si intrecciano, si annodano fra loro, e la tematica del volo entra di prepotenza anche nel teatro. Che per Leonardo è anche e soprattutto allegoria dell’esistenza. Lo aveva imparato dagli umanisti che aveva frequentato alla corte medicea. Nel 1509 in occasione dell’ingresso di Luigi xII a Milano fu Leonardo a curare gli apparati di scena dislocati sulle strade destinate ad accogliere il corteo regale con il sovrano alla testa. E qui compare per la prima volta il celebre leone meccanico che offre al re un mazzo di gigli. Si tratta di un automa semovente che Leonardo via via negli anni seguenti perfezionerà sempre di più fino ad adottare soluzioni tecniche che poi faranno pensare addirittura all’automobile. Di certo è il primo carro automotore semovente funzionante della storia della tecnologia. Lo stesso Vasari ci racconterà poi: «Venne a suo tempo in Milano il re di Francia; onde pregato Lionardo di far qualche cosa bizzarra, fece un lione che caminò parecchi passi, poi s’aperse il petto e mostrò tutto pien di gigli». Anni dopo, nel luglio del 1515, quando France-
sco I entrò a Lione dopo il rientro in Francia, i fiorentini presenti in città rappresentati da Lorenzo di Piero de’ Medici, commissionarono a Leonardo un modello completamente automatizzato del Marzocco di Donatello, il leone emblema di Firenze, per celebrare degnamente il sovrano amico. Il genio vinciano, traendo spunto dal suo primo leone meccanico, ne realizzerà un modello che avrà grande fortuna. Il leone prendeva avvio da solo, camminava per una certa distanza, poi si fermava e dopo essersi seduto il suo petto si apriva nello stupore generale mostrando una enorme quantità di fiori con i gigli a dominarne ogni altro, in onore del re di Francia e come omaggio della città gigliata. La complessa invenzione, dall’alto contenuto tecnologico, ebbe un successo straordinario anche per le diverse allegorie che alludevano ai rapporti fra i Medici e la corte francese. Il fantasmagorico automa del leone meccanico fu ripreso dal vinciano anche nel 1518, ormai in pianta stabile alla corte di Francia, in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Madeleine de la Tour d’Auvergne e Lorenzo di Piero de’ Medici, duca di Urbino nonché nipote del Magnifico, celebrate nel castello di Amboise e festeggiate poi a Firenze all’arrivo degli sposi. Pensare che il carrello automotore, indagato in profondità in una memorabile lettura vinciana dallo studioso americano Mark Elling Rosheim qualche anno indietro e riprodotto ed esposto in più varianti all’interno del nostro Museo Leonardiano a vinci, sia servito a Leonardo per trasportare automi semoventi sulla scena e oggi noi lo consideriamo come l’antesignano dell’automobile ci fa riflettere ancora una volta sull’opera del genio e ci stupisce una volta di più. E ci affascina la sua voglia continua e potente di stupire sempre e comunque. Leonardo non dimenticherà mai la lezione appresa nel circolo umanistico fiorentino di Lorenzo il Magnifico e non dimenticherà i grandi personaggi di quello strepitoso convivio. Insieme alle loro opere e al loro pensiero filosofico che rimetteva la figura umana al centro dell’universo. E tutta la sua esistenza terrena sarà frutto di quell’esperienza. In questo segno, Leonardo continuò fino alla sua morte ad organizzare feste di corte ed a progettare macchine di scena. E per lui il teatro fu soprattutto una grande passione. PAOLO SANTINI Assessore alla cultura e turismo, Comune di Vinci.
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5Bozzetto dell’allestimento per la Festa del Paradiso. 3Macchina al Museo Leonardiano e veduta di Vinci (FI).
L’APPROFONDIMENTO DI LAURO ANTONIUCCI
LA T RAGEDIA GRECA Nel suo testo “Il Teatro greco”, Ettore Romagnoli [grecista e letterato, 1871-1938] così si esprime a proposito della Tragedia greca: “[…] della più pura e perfetta poesia che fiorisse mai sulla terra”.
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oesia, dunque, e poesia è la traduzione del termine greco poiesis che significa fabbricazione, costruzione. È con la poiesis, infatti, che l’uomo creò un linguaggio diverso da quello del quotidiano, per dar vita a momenti particolari della comunità, come cerimoniali religiosi, politici, profetici oppure per dare maggior forza a comunicazioni particolari. Ma anche per soddisfare momenti ludici che, grazie a magie artistiche, riuscivano a far vivere episodi di amore e di guerra ad un pubblico eterogeneo. Come ormai sappiamo, le gesta narrate dall’Iliade e dall’Odissea sono attribuite ad Omero, pur con tutte le riserve possibili. Indicato come il primo grande poeta greco, sappiamo anche che i versi non erano scritti ma trasmessi oralmente. Cantori, aedi, forti della loro memoria, componevano versi davanti al pubblico per narrare le gesta di Ettore o le avventure di Ulisse. Questo tipo di performance riporta a modalità che ci sono note per la nostra attività teatrale. Infatti questi esecutori interpretavano un testo improvvisato, senza la possibilità di interrompersi o cancellare e aggiungere, apportando modifiche, insomma, come avviene nei testi scritti. Come diremmo oggi, era “buona la prima”, ed era in parte irripetibile, in quanto nata per e in determinate occasioni.
I poeti antichi (ma a volte anche quelli più recenti) si rivolgevano alla Musa della poesia, perché li soccorresse non per creare i versi, in quanto quelli nascevano da loro, bensì per permettere che li potessero cantare, declamare in quanto, senza il volere della Musa, non avrebbero mai potuto farli conoscere. Un rapporto con la religione molto forte, quindi, che sarà materia di forte supporto delle prime tragedie, che privilegiarono il racconto del mito, escludendo la cronaca. Unica eccezione I Persiani di Eschilo, che raccontano le vicissitudini derivanti dalla disfatta di Salamina. Nietzsche, a proposito del mito, sostenne che fu la tragedia a rinverdire il mito, sollevando la società greca che stava fatalmente retrogredendo. Queste, quindi, le pietre fondamentali della struttura di base della tragedia, le cui origini certe, almeno al momento, ci sono sconosciute. Aristotele nella sua Poetica ci dice che: «LA TRAGEDIA FU IN ORIGINE UNA IMPROVVISAZIONE DEI CORIFEI, CHE GUIDAVANO I DITIRAMBI».
E cos’erano i ditirambi? Erano una festa in onore del dio Diòniso, celebrata dai satiri suoi compagni. E chi era Diòniso? Chi i satiri? Diòniso non era un nume greco. Veniva dall’Oriente, forse dalla Tracia. Come giunse in Grecia, accompagnato da uno stuolo di donne, le Mènadi, e da fiére, produsse feste notturne ricche di fiaccole, con musiche di flauti, cembali, cròtali, il tutto accompagnato da abbondanti libagioni, con il contributo tradizionale dei Satiri. Queste creature erano divinità minori che popolavano la natura selvaggia. Venivano rappresentati come esseri semi-umani e semi-caprini, itifallici. Esiodo li bolla come «buoni a nulla e solo capaci di cose assurde». Le loro presenze nelle cerimonie dionisiache erano molto folcloristiche, esprimenti tutte le qualità goderecce che potessero allettare gli uomini. Erano compagni ed amanti delle ninfe (molto pericolose per gli umani). Gli attributi caprini erano molto accentuati nei secoli antichi, con coda, corna, orecchie e zampe di capra, mentre dal IV sec. a.C. vennero più umanizzati, con accenni molto leggeri di quelle caratteristiche animalesche. Forse perché si cercò di offrire una giusta interpretazione di questi personaggi che, probabilmente, prendevano spunto dall’abbigliamento con pelli caprine con cui si vestivano i componenti del coro nelle rappresentazioni della tragedia più antica. La prima nota storica dell’esistenza di Diòniso la troviamo nell’Iliade di Omero. Nel VI canto, al verso 130 e seguenti: «a lungo visse, quando contese coi Numi immortali, e che le Ninfe, nutrici dell’ebbro Diòniso, un giorno cacciò pei gioghi santi di Nisa. Gittarono quelle tutte i loro tirsi a terra, battute dal pungolo aguzzo dell’omicida Licurgo: Diòniso, tutto sgomento, […]». L’accoglienza a Diòniso e al suo corteo non vide all’inizio un gran favore.
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Anzi. La resistenza fu tenace, al punto che i dionisiaci subirono vere e proprie persecuzioni. Le Baccanti di Euripide ce ne offre un esempio. Ma che cosa portò a questa reazione? Rivediamo la situazione del credo religioso dell’epoca. Il popolo greco, per riuscire a dare un senso, la giusta sopportazione alla grama vita che stava conducendo, “creò” l’Olimpo con tutti i suoi dèi. Divinità che rappresentavano in prevalenza fenomeni naturali. I più importanti, i più potenti dèi erano, ricordiamolo, Zeus (Giove) dio della folgore, del tuono, del cielo, padre e capo assoluto dell’Olimpo; Poseidone (Nettuno) dio del mare, dei terremoti; e poi Era, dea della terra, delle sementi e Apollo, il dio che con il suo carro trascinava il sole attraverso i cieli e che era anche il dio della musica ecc. Inoltre facevano parte dell’Olimpo divinità legate all’amore (Venere), al sonno (Orfeo) e a tutti quei sentimenti per cui l’uomo non trovava spiegazioni. Comunque tutte argomentazioni legate alla concreta realtà umana, che imponevano una condizione assolutamente servile, schiacciati dal peso della divinità al di sopra di tutti gli esseri viventi. La speranza era di vedere tornare gli dèi sulla terra come, si diceva, erano soliti fare nei tempi d’oro. L’arrivo di Diòniso mutò questo rapporto, con una concezione della divinità più spirituale e relativo senso del divino da parte del credente. È vero che Dioniso adoperò mezzi concreti, materiali, perché gli uomini potessero sentirsi librare verso l’alto. Grazie, però, alle sonorità della musica, garantite anche dalla nuova cetra a sette corde, alla danza, alle libagioni, al sesso, tutte cose che facevano parte dei suoi riti, condusse i suoi adepti a mete fino ad allora sconosciute. Le forti emozioni che ne scaturivano, portarono gli uomini a provare la felicità data dall’estasi e alla comprensione di espressioni come spiritualità, amore, sacralità, trascendenza: cioè, divinità. Ecco allora che l’affermarsi di questa divinità portò a voler raccontare, rappresentare il suo mito al popolo minuto, ricreando quelle atmosfere con musica e danza, attraverso un’orchestra ed un coro. E all’inizio, la tragedia nacque dal coro, come Nietzsche scrisse: «[…] questa tradizione ci dice con piena risolutezza, che la Tragedia è nata dal coro tragico e che in origine era unicamente coro e nient’altro che coro». Ribadisce poi, citando Schiller dalla famosa prefazione alla Sposa di Messina (1803): «Egli considera il coro come un vivente muro di cinta che la tragedia alza intorno a sé, per isolarsi nettamente dal mondo reale e serbarsi il suo campo ideale e la sua libertà poetica». Schiller combatte il concetto comune del naturale, la pretesa comune dell’illusione nella poesia drammatica, con questo argomento capitale: mentre a teatro il giorno stesso è meramente artificiale, l’architettura meramente simbolica e il linguaggio metrico ha un carattere ideale, nel complesso
ciò che domina è l’errore: non basta che si tolleri solamente come libertà poetica proprio ciò, che pure costituisce l’essenza di tutta la poesia. «L’introduzione del coro, quindi – egli afferma – sarebbe il passo decisivo con cui nell’arte si dichiara apertamente e lealmente la guerra ad ogni naturalismo». Infine aggiunge: «[…] Il Greco si è costruito per questo coro l’impalcatura aerea di un finto stato di natura e vi ha collocati finti esseri naturali. La Tragedia è cresciuta su questo fondamento e, certo, già solo per questo venne fin dagli inizi dispensata da una minuziosa riproduzione della realtà». Sempre Nietzsche dichiara con forza che la musica fu l’altra componente che determinò la fortuna della tragedia: «Ed ecco che il genio neonato della musica dionisiaca afferra il mito moribondo; e nella sua mano esso rifiorisce, con colori che non ha mai mostrato, con un profumo che suscita il presentimento nostalgico di un mondo metafisico […] Con la tragedia il mito attinge il suo contenuto più profondo, la sua forma più espressiva: esso si risolleva, ancora una volta, come un eroe ferito, e tutta l’esuberanza di forza, insieme con la saggia calma del moribondo, gli accende negli occhi un ultimo possente splendore». Ciò che avete letto in questo brano, amici miei, lo possiamo definire solo un assaggio di quelle meraviglie che si possono scoprire approfondendo questo argomento. Vi invito a leggere i versi di Archiloco, Semonide, Alceo, Anacreonte, Saffo, Pindaro, tra quelli che mi vengono alla mente, e le tragedie dei grandi Eschilo, Sofocle e Euripide. Anche se di quest’ultimo Nietzsche scrisse: «Che cosa volevi, o sacrilego Euripide, quando cercasti di piegare ancora una volta ai tuoi servigi questo moribondo (il mito)? Tra le tue mani gagliarde esso perì; e allora avesti bisogno di un mito contraffatto, mascherato, che come la scimmia di Ercole sapesse solamente adornarsi della pompa antica. E come ti morì il mito, ti morì anche il genio della musica: anche se con avida rapina hai saccheggiato tutti i giardini della musica, pure non sei riuscito ad ottenere che una musica contraffatta e mascherata. E poiché abbandonasti Dioniso, Apollo abbandonò te. Scova pure dalla loro tana tutte le passioni, ed esorcizzale nel tuo cerchio magico; affila e aguzza pure per i discorsi dei tuoi eroi una dialettica sofistica: anche i tuoi eroi hanno solo passioni contraffatte e mascherate, e recitano solo discorsi contraffatti e mascherati». Desidero chiudere con le stesse parole del Romagnoli con cui ho iniziato, e cioè che la tragedia greca rappresenta la bellezza «della più pura e perfetta poesia che fiorisse mai sulla terra». LAURO ANTONIUCCI
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SOCIAL N ETWORK DI PAOLO ASCAGNI & FRANCESCA RIZZI
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ome ormai sapete, la UILT Nazionale ha dato inizio ad una stagione di presenza e di attività anche nell’ambito dei social network, dov’erano già operative, peraltro, diverse strutture regionali, con risultati lusinghieri. Mancava, però, un riferimento ufficiale per tutta l’organizzazione... una questione in sospeso a cui l’attuale presidenza ha voluto dare una risposta. Il 14 marzo 2015 è stata aperta la pagina Facebook della UILT Nazionale, l’8 aprile l’account di Twitter. Abbiamo pubblicato centinaia di notizie, commenti e dati, con testi, fotografie, link, piccoli video; tecnicamente si tratta di messaggi che su Facebook vengono chiamati post, su Twitter, appunto, tweet (cioè cinguettio). Le statistiche sono decisamente buone. In pochi mesi i “mi piace” sulla pagina Facebook sono diventati 2.103; abbiamo pubblicato, fino al 18 settembre, 189 post, con 208 foto e immagini. Per quanto riguarda Twitter, abbiamo inviato 133 tweet con 97 foto, che hanno ottenuto 20.009 visualizzazioni. La copertura di Facebook, cioè le persone raggiunte, è stata notevole; per fare un esempio, solo nei quattro giorni di TRACCE, ha superato quota 41mila. Si tratta, del resto, di strumenti di conoscenza, visibilità e interazione di straordinaria efficacia, che ci permettono di dare il giusto risalto alle iniziative della UILT, la grande qualità del suo lavoro e delle compagnie associate, le notizie in genere sul mondo del teatro... nonché qualche spunto di riflessione, che non fa mai male; quando pubblichiamo frasi significative di drammaturghi e letterati, o qualche breve estratto di opere teatrali, otteniamo sempre dei bei riscontri. Le pagine che seguono sono incentrate sulle caratteristiche fondamentali dei social network che al momento sono utilizzati anche dalla UILT, cioè Facebook e Twitter. Come potrete notare, queste note sono veramente un semplice «Abc» della materia; le abbiamo calibrate, infatti, sulle persone che non ne hanno conoscenza, o ben poca. Gli esperti ci perdoneranno, ma abbiamo l’esigenza di fornire una piccola guida soprattutto a coloro che si affacciano per la prima volta sul mondo dei social. Abbiamo poi aggiunto alcune regole di utilizzo specificamente adattate alla nostra realtà. Si tratta di suggerimenti e consigli che possono aiutare le strutture UILT a gestire meglio questi strumenti, anche per evitare inconvenienti tecnici o legali; alcune indicazioni, invece - poche ed espressamente segnalate - sono da seguire alla lettera, perché in qualche caso è veramente necessario ed importante assumere comportamenti omogenei, a tutela della UILT, delle sue strutture e delle persone direttamente implicate nella gestione operativa dei social. Vi lasciamo, ora, alla lettura... non prima di aver ringraziato calorosamente tutte le persone che fedelmente seguono, interagiscono e quindi aiutano i social della UILT ad avere sempre più risonanza e visibilità in rete. Il loro contributo è stato, e sarà, fondamentale per l’efficacia di tali mezzi, e quindi - perché questo è lo scopo - per dare lustro al nostro caro, magico e appassionante universo UILT.
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L’INSERTO PROGETTO «SOCIAL NETWORK UILT» la rete significa che è interessante per i suoi utenti; ed un alto numero di interazioni conferisce prestigio e popolarità in rete alla pagina. aLa pagina può essere interessata alle sponsorizzazioni, cioè operazioni promozionali a pagamento per presentarla ad un certo numero predefinito di utenti (selezionati anche in base a dei filtri) e quindi creare le condizioni per aumentare i "mi piace”. aCon lo stesso meccanismo della pagina, si possono anche sponsorizzare le singole notizie che verranno poi diffuse su Facebook ma anche al di fuori del social network, cioè nell’intera rete web (tramite Google e i principali motori di ricerca). In sostanza, con spese anche minime - da 1/2 euro in su - si possono contattare migliaia di persone, a seconda della selezione scelta (nazionale, regionale, eccetera). aLa pagina prevede anche la possibilità di visualizzare, da parte di chi l’amministra, i propri dati statistici, al superamento dei 30 "mi piace”. aLa pagina deve essere aperta da una persona fisica già presente su Facebook, che diventerà il suo amministratore responsabile. Possono essere inseriti altri amministratori, con livelli di intervento diversi. L’amministratore vero e proprio può fare tutto (gestire la pagina e modificare le impostazioni); ad un gradino inferiore c’è l’editore, che può solo pubblicare notizie nella pagina; c’è chi può vedere solo le statistiche... È sempre opportuno, per chi accetta di diventare amministratore di una pagina, di richiedere all’Associazione, o a chi lo nomina, una “lettera di incarico”.
Premessa Un servizio di “rete sociale” (social network) è una struttura informatica che gestisce, tramite Internet, strumenti vari di relazioni sociali. Questi servizi web sono basati sulla creazione di profili personali pubblici (in tutto o in parte) vincolati da un sistema di riferimento e da regole interne, finalizzato a tenere contatti on-line con l’esterno, secondo varie modalità ed eventuali restrizioni. I social network sono diversi, ma i più noti sono i seguenti: Facebook
nato nel 2004 1 miliardo di utenti di cui 24 milioni in Italia
Google Plus
nato nel 2010 1 miliardo di utenti di cui 12 milioni in Italia
nato nel 2006 500 milioni di utenti di cui 10 milioni in Italia
nato nel 2003 500 milioni di utenti di cui 5 milioni in Italia
nato nel 2010 150 milioni di utenti di cui 4 milioni in Italia
Oggi gran parte dell’informazione e della comunicazione passa attraverso i social network. La crescita di questi strumenti è esponenziale - soprattutto per le loro caratteristiche di rapidità ed interazione - ed i mass-media tradizionali sono sempre meno incisivi. Noi abbiamo ritenuto che la UILT non dovesse essere tagliata fuori da questo circuito di conoscenza e visibilità; avendo la possibilità e le risorse per entrarci, e naturalmente nella massima libertà di scelta, la UILT avrebbe sbagliato ad autoescludersi da questo contesto. La UILT ha grandi qualità e grandi potenzialità: si tratta solo di farle conoscere sempre di più e di valorizzarle nel modo che si merita - essa stessa e tutti i suoi associati.
aLa modalità di accesso è unica, cioè aprendo un account. aDal proprio account si possono inviare messaggi di testo con una
lunghezza massima di 140 caratteri, che diventano 120 - o meno se vengono inseriti link o foto (una foto “pesa”, mediamente, 22 caratteri). aLa logica di fondo è quella del microblogging di notizie date in sintesi, l’informazione in breve, l’immagine che colpisce; l’eventuale approfondimento è demandato al link, che può rinviare ad un sito, un articolo, un video. aI messaggi inviati dal proprio account sono visibili a tutti, a meno che non venga impostata qualche limitazione; esiste una sezione riservata, per i messaggi esclusivamente personali. aChiunque può accedere alla pagina pubblica degli altri account. La ricezione delle notizie di un account è possibile, invece, solo se si è collegati come follower (seguace). Cliccando il tasto “segui” di un altro account, si entra nel suo elenco di following attivando la possibilità di ricevere le sue notizie con puntualità. aAll’inverso, quando il proprio account viene seguito da un altro, questi diventa un follower. Tutti i propri tweet, quindi, arrivano in via prioritaria ai propri follower. aÈ evidente che più si alza il numero dei follower, più i messaggi del proprio account aumentano di visibilità. Ma in Twitter il discorso non è solo quantitativo (non è Facebook!). È il modo in cui si scrive su questo social network a fare la differenza. aUn elemento di scrittura fondamentale è infatti il cosiddetto hashtag: parole o combinazioni di parole, scritte senza spazi e precedute dal simbolo cancelletto (#). Inserendo nel proprio messaggio un hashtag (ad esempio: la vita è il #teatro), è come se gli si mettesse un’etichetta: si crea un collegamento a tutti i messaggi contenenti lo stesso hashtag. Per gli utenti, quindi, l’hashtag diventa un filtro di ricerca per argomento. aTwitter, dunque, permette collegamenti e ricerche per argomenti: questo elemento qualitativo lo rende più tematico, più specifico, più raffinato. Ecco perché può essere utile anche un numero non molto elevato di follower, ma formato da operatori di quel settore, giornalisti, esperti...
I social network per la UILT Al momento, gli strumenti che presentano maggior interesse per la UILT sono Facebook e Twitter, per le caratteristiche loro e dell’associazione. È necessario, quindi, darne una descrizione di massima, utile anche ad individuare, in prima battuta, le principali problematiche pratiche di gestione. FACEbOOK
aL’accesso può avvenire secondo due modalità: il profilo oppure
la pagina fan, il primo per le persone fisiche, la seconda per tutto il resto. aLa modalità da utilizzare per la UILT è ovviamente la pagina. aLa pagina non raccoglie “amici” ma “mi piace”. Le limitazioni del profilo (al massimo 5mila amici) non sono quelli della pagina: i cosiddetti ”mi piace”, infatti, possono essere illimitati. aCliccare “mi piace” su una pagina significa connettersi ad essa. Da quel momento l’utente riceve l’aggiornamento delle notizie che verranno visualizzate sulla sua home; nella pagina, invece, comparirà il nome di chi ha cliccato. Se la pagina viene lasciata aperta alla possibilità di pubblicare, chi clicca “mi piace” può poi postare direttamente nella pagina stessa. aIl “mi piace” sulla pagina è diverso dal “mi piace” sulla singola notizia. Quello sulla pagina va eseguito una sola volta, mentre quello sulla notizia va ripetuto ogni volta che un utente trova una notizia interessante (e in questo caso, oltre al “mi piace”, può decidere di condividere la notizia sul suo profilo o commentarla). aÈ evidente che più una pagina presenta dei “mi piace” (sia di pagina che di singola notizia), “condivisioni” o “commenti”, più per
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aIl secondo elemento fondamentale di scrittura è la menzione (@).
equivale, su Twitter, a diventare follower - sugli account UILT nazionali. È un invito che deve essere preso con il dovuto impegno (anche coi profili personali, coinvolgendo gli amici, eccetera), altrimenti il progetto non può funzionare. È un impegno, peraltro, che si esaurisce in una volta sola, in pochi secondi... Si sta chiedendo, insomma, una collaborazione davvero minima. aPeraltro in questo modo le compagnie potranno girare direttamente alla pagina UILT le notizie che li riguardano: un’opportunità importante per pubblicizzare le proprie iniziative ed i propri lavori. aÈ preferibile che la possibilità di pubblicare sia riservata solo all’amministratore e a poche altre persone, che devono essere in stretto contatto fra di loro (e autorizzate!). aDeve essere chiarito con molta nettezza che la pagina UILT è una vetrina dell’associazione, e non un luogo di polemiche, discussioni e critiche (queste hanno il loro luogo naturale nelle mail, le riunioni istituzionali, gli organismi). Deve essere detto con altrettanta nettezza che le polemiche non possono essere accettate nella pagina UILT, e che gli eventuali responsabili si assumeranno le conseguenze previste dallo Statuto. È spiacevole usare questi toni, ma è bene precisare subito i termini della questione e, nel caso di comportamenti scorretti, intervenire con la dovuta serietà: se non si fa così, il progetto fallisce (ad oggi, comunque, possiamo dire con soddisfazione che non ci sono stati problemi). aLa questione è diversa nel caso in cui sia la UILT a voler polemizzare o criticare affermazioni o comportamenti esterni, nel caso cioè di prese di posizione ufficiali. La decisione spetta agli organismi direttivi; sarà poi il Presidente a dare il via libera all’amministratore della pagina Facebook. Bisogna sempre tenere conto che i social network sono strumenti aperti alla visione e alla lettura di migliaia di persone, e ciò che vi viene scritto non è privato, ma pubblico... con tutte le ovvie conseguenze e responsabilità del caso, anche penali. Ogni struttura UILT ha la piena ed esclusiva gestione e responsabilità dei propri strumenti social. Sarebbe comunque molto interessante realizzare qualche forma di sinergia fra le diverse pagine della UILT, da studiare ed approfondire con la collaborazione di tutti i diretti interessati; in tal senso, questo progetto è ancora in divenire e suscettibile di ulteriori miglioramenti.
Utilizzandola è possibile scrivere un messaggio pubblico citando un preciso destinatario, tramite il suo nickname (preceduto, appunto, dal carattere @). La menzione richiama l’attenzione di chi è stato menzionato direttamente, e normalmente genera la condivisione da parte di quest’ultimo ai propri follower. Può essere posizionata in qualunque punto del messaggio. Esempio: vogliamo lanciare via Twitter una notizia che vada genericamente a tutti, ma ci interessa che la veda soprattutto il giornalista Pietro Rossi, il cui nickname è @Red. Ecco il testo: “È uscito il nuovo numero di #Scena, rivista della UILT. - leggetelo su: www.uilt.it/scena_archivio.html - @Red” aÈ possibile collegare Twitter a Facebook, nel senso che un messaggio scritto nel proprio account di Twitter compaia automaticamente nella propria pagina Facebook. È una modalità poco gradita agli utenti più esigenti, ed è diventata sempre meno utilizzata proprio a causa della diversità di scrittura applicata dai due social. I vantaggi dei social network L’utilità di questi strumenti è di tutta evidenza: visibilità, pubblicità, rapidità di comunicazione, facilità di arrivo ad una platea immensa di persone... il tutto gratuitamente (o nel caso di sponsorizzazioni, a costi ridottissimi). Ma c’è un altro elemento che deve essere considerato in tutta la sua importanza: i social network creano le condizioni per una interazione fra le persone. E non è vero che essi sostituiscono i rapporti umani: danno invece la possibilità di crearli ed integrarli, quando la modalità diretta non è possibile in tutto o in parte (e se qualcuno li usa in modo distorto, non è colpa del mezzo). Questo aspetto della questione evidentemente è molto interessante, per una associazione con soci sparsi in tutta Italia. A proposito di pubblicità, sappiamo bene cosa significhi utilizzare le forme tradizionali; volantini e manifesti, inserzioni su giornali o in Tv, costano cifre molto elevate. Per una compagnia, stampare solo mille volantini significa affrontare una certa spesa, peraltro finalizzata ad un numero ristretto di persone... e per una sola volta. Facebook e Twitter, al contrario, pubblicizzano una notizia ad una platea potenzialmente di migliaia di persone, in modo immediato e reiterabile più volte, tutto a costo zero. Inoltre, le sponsorizzazioni di Facebook possono andare anche fuori dal proprio circuito: migliaia di contatti, per una spesa di pochi euro... È chiaro che la “platea di migliaia di persone” è teorica, ma la possibilità di essere visti da un po’ di gente è decisamente più alta rispetto al volantino... peraltro a costo zero, rispetto a spese ben diverse. È chiaro che le “migliaia di contatti” delle sponsorizzazioni possono fare la fine del volantino: non letti nel primo caso, buttati nel cestino nel secondo. Ma si sa fin dall’inizio che qualsiasi forma di pubblicità rischia di non lasciare traccia; la differenza sta nel fatto che spendere 4 euro per un indotto potenziale di migliaia di persone, è sempre meglio di cento persone a costi enormemente più alti... In definitiva, siamo di fronte alla possibilità di utilizzare strumenti di straordinaria efficacia in modo gratuito. Possiamo cioè entrare in circuiti di comunicazione e pubblicità estremamente interessanti, in assenza dell’ostacolo tipico di queste operazioni: investimenti proibitivi di denaro - il che ci ha permesso, tra l’altro, di avviare una fase sperimentale, riservandoci tutte le verifiche del caso.
Per il momento, alleghiamo alla presente una guida operativa, con le seguenti finalità: - dare un’informativa tecnica di base alle strutture che fossero interessate ad aprire una pagina Facebook o un account Twitter. - dare qualche nota di approfondimento alle strutture già presenti sui social network. - consigliare a tutti alcuni elementi di opportunità, di buone metodologie, di miglior efficacia. - segnalare alcune regole fondamentali a cui attenersi, elaborate dalla UILT Nazionale nell’interesse della nostra associazione ed a tutela delle persone che gestiscono o gestiranno tali strumenti. Per vostra comodità, ricapitoliamo, qui di seguito, tali regole essenziali - che, lo ripetiamo ancora, sono di estrema importanza per una corretta gestione di questi strumenti e per evitare problemi all’associazione e a chiunque li utilizzi: asu Facebook, ogni struttura UILT deve aprire una pagina, e mai un profilo. ail logo della UILT deve essere utilizzato solo nelle pagine ufficiali dell’associazione, senza ritocchi e/o personalizzazioni; nei profili personali di singoli associati, il logo non deve essere utilizzato aprima di aprire una pagina Facebook e un account Twitter, occorre approvare preventivamente il progetto con apposita delibera del Direttivo UILT di competenza, con espressa individuazione dei gestori (tecnicamente amministratori) e con relativo conferimento di incarico.
La gestione operativa Il vero punto nodale del progetto sta nella gestione, perché ci si deve comunque attrezzare affinché tutto fili liscio. Qui di seguito diamo le indicazioni pratiche essenziali per ottenere i risultati migliori, tenuto anche conto delle caratteristiche e finalità della nostra associazione. aLa pagina UILT deve essere aperta da una persona già presente su Facebook, assumendo la veste di amministratore. È opportuno che sia la stessa persona ad aprire l’account su Twitter. aL’amministratore va affiancato da altre persone, che assicurino la funzione di garanzia istituzionale. Bisogna però individuare un nucleo operativo ristretto, quello che effettivamente deve poi lavorare, perché è indispensabile la continuità del servizio (un impegno quasi quotidiano). aBisogna spiegare alle compagnie ed alle strutture UILT già presenti su Facebook la necessità di cliccare il tasto “mi piace” - che
La guida allegata è stata redatta - per quanto riguarda la parte tecnica - da Francesca Rizzi, una delle amministratrici dei social network della UILT e professionalmente attiva in questo settore. A tal proposito, la signora Rizzi conferma la sua disponibilità anche all’eventuale organizzazione di corsi di formazione, specificamente orientati - per la sua duplice competenza - al mondo del teatro. PAOLO ASCAGNI vice-presidente nazionale UILT
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smartphone o da tablet: in questo modo si ricevono dei messaggi che ci avvisano di cosa si sta muovendo nei nostri social (ad esempio, un nuovo “mi piace”, un commento di altre persone...). In questo modo i nostri profili social sono sempre con noi, e possiamo renderci conto con semplicità di cosa sta accadendo in nostra assenza. Come regola generale, Facebook andrebbe di norma controllato diverse volte al giorno; in ogni caso, scegliendo le opportune impostazioni, Facebook ci consente di filtrare e/o bloccare molte azioni sul nostro profilo. A tal proposito, consigliamo un’attenta lettura della sezione relativa alla privacy (meglio se da computer). Twitter, invece, presenta - almeno potenzialmente - minori problematiche circa la tempistica di monitoraggio ed il rischio di “invasione” della propria privacy.
NOTE PER I SOCIAL NETWORK PROGETTO UILT 1 - COS’è UN SOCIAL Una rete sociale (social network) consiste in un qualsiasi gruppo di individui connessi tra loro, da diversi legami sociali, ed è una delle forme più evolute di comunicazione in rete. I principali social network oggi esistenti sono Facebook, Instagram, Twitter, Google+, LinkedIn, Pinterest. Un social network NON è un sito internet e non è una chat. Ogni social network ha una ‘natura’ specifica e un suo specifico linguaggio, perciò uno NON vale l’altro.
6 - COME SI INTERAGISCE SUI SOCIAL E PERChè (mi piace, commenti, condivisioni) Facebook - Connettersi a un profilo privato è semplice: basta chiedere l’amicizia, o rispondere a una richiesta di amicizia. Ovviamente tali richieste devono essere accettate dal ricevente, altrimenti la procedura non si può completare. Connettersi alla pagina (tipicamente di una associazione) è ancora più semplice: basta cliccare l’icona “mi piace”. Da quel momento si riceveranno gli aggiornamenti su quanto verrà pubblicato in quella pagina. Attenzione: gli aggiornamenti rimangono attivi nel tempo, ma solo se si continua ad interagire con la pagina, attraverso i pulsanti Mi Piace, Commenta, Condividi, che si trovano sotto ogni post (notizia) pubblicato nella pagina. Importante: ogni interazione che si fa con un post aiuta la pagina ad avere più visibilità! Twitter - Si interagisce in modo molto semplice, cioè cliccando “segui” sull’account di un utente (persona o struttura). In questo modo si riceveranno nella propria home i tweet di quell’utente. Le altre azioni possibili sono il retweet (operazione simile al “condividi” di Facebook) o il preferito, che si attiva selezionando il tweet con la stellina (operazione simile al “mi piace” di Facebook). Il retweet è decisamente preferibile ed è molto più efficace del semplice preferito, in quanto ricondivide a tutti i follower (a tutti i propri contatti) il singolo tweet.
2 - IdENTITà SUI SOCIAL Nella nostra associazione utilizziamo i social per scopi informativi, promozionali e divulgativi. Come UILT Nazionale abbiamo una pagina Facebook ed un account su Twitter, e così è anche per alcune strutture e centri studi regionali. È molto importante che gli associati che interagiscono con i nostri social ufficiali (e con i profili di altre persone, associati o meno) curino la loro cosiddetta identità digitale. Nei profili personali bisogna utilizzare il proprio vero nome ed una foto dove si risulti riconoscibili, ma assolutamente mai il logo della UILT. Il nome della UILT di appartenenza non va mai indicato vicino al proprio nome (ad esempio, non va bene un profilo aperto come “Giovanni Rossi - UILT”), ma semmai nelle informazioni generali interne (ad esempio, nel campo “lavora presso...” di Facebook, o nella descrizione di Twitter denominata “bio”). Il logo ed il nome della UILT vanno utilizzati solo ed esclusivamente nelle pagine o negli account ufficiali dell’associazione. 3 - ChI SEGUIRE SUI SOCIAL Tutti i social che utilizziamo hanno dei motori di ricerca che permettono di ricercare amici, colleghi e strutture. Prima di tutto, è quindi importante cliccare mi piace sulla pagina di Facebook della UILT Nazionale - Unione Italiana Libero Teatro e seguire, cioè diventare follower, di @UILTteatro su Twitter. Oltre alla UILT Nazionale, ovviamente possiamo seguire le altre strutture UILT ai vari livelli, che sono tutte ricercabili nei motori di ricerca all’interno dei vari social. Inoltre abbiamo la possibilità di entrare in connessione con altri associati della UILT e naturalmente con tutte le persone ed enti di nostro gradimento e/o interesse.
7 - MOdERAZIONE Il mondo dei social si basa sull’interazione delle persone, che a loro volta interagiscono con i contenuti dei vari strumenti. Gli altri utenti possono infatti commentare i nostri post, condividerne il contenuto, porre quesiti... o magari disconoscere e criticare le nostre affermazioni (qualche volta, anche in modo maleducato!). è facile comprendere quanto sia indispensabile ed importante la moderazione dei commenti, perché essi sono pubblici. Non possiamo mai ignorare la platea, potenzialmente vastissima, che ci sta osservando. Nel caso di osservazioni critiche, occorre rispondere in modo appropriato, coinvolgendo sempre il gruppo dirigente della struttura UILT di riferimento. Sconsigliamo, comunque, le polemiche eccessive, in ogni forma, perché quasi sempre sono nocive in termini di immagine... ovviamente finché si può! In caso di commenti contenenti frasi di cattivo gusto o ingiurie, si può procedere - sempre in accordo con la struttura UILT - alla cancellazione del commento stesso. Tale scelta, come pure il blocco/segnalazione di un nominativo, è però da considerarsi una estrema ratio, in quanto Facebook considera non positivamente la prassi del “nascondere” i commenti non graditi. Su Twitter, invece, è molto più semplice ignorare - ed eventualmente bloccare in modo efficace gli eventuali “troll”, cioè i disturbatori di professione...
4 - COME SI SCRIvE SUI PRINCIPALI SOCIAL Facebook - È consigliabile scrivere in modalità discorsiva (non c’è limite di caratteri ma è più efficace utilizzare messaggi brevi) e prediligere l’utilizzo di foto, video e link. È buona cosa prestare attenzione alla frequenza/orario di pubblicazione delle notizie (post): sono consigliabili le ore serali e il week end, con una frequenza di pubblicazione almeno giornaliera o plurigiornaliera. Twitter - Il messaggio (tweet) non può superare i 140 caratteri complessivi, compresi link e foto. È quindi necessario essere sintetici, con la massima attenzione a scrivere in modo comprensibile e non equivoco. Nel messaggio è sempre meglio includere un hashtag (cioè una parola preceduta dal simbolo #) ed utilizzare quelli indicati nelle specifiche campagne (ad esempio, per la nostra assemblea di Bologna avevamo creato l’etichetta #UILT2015). Si possono menzionare (@name) altri utenti Twitter - che sono da selezionare accuratamente dal punto di vista tematico e di opportunità - per attirare la loro attenzione ed invogliarli a ricondividere i nostri contenuti. Agli utenti attivi sia su Facebook che su Twitter si sconsiglia il collegamento dei profili tra loro (come accadeva di frequente negli anni scorsi, quando molti pubblicavano su Facebook in modo automatico da Twitter), perché ormai le modalità di scrittura si sono consolidate e caratterizzate in modo sostanzialmente diverso.
8 - PROFILO E PAGINA SU FACEbOOK (policy) Facebook non lascia scampo ad interpretazioni: nella sua policy si evince chiaramente che il profilo è riservato a persone fisiche, con un nome e un cognome. Tutto quello che esula dalle persone fisiche deve avere una pagina. Google Plus, ad inizio maggio 2013, ha bloccato d’ufficio tutti i profili non intestati a persone fisiche. Per il momento Facebook non l’ha ancora fatto in modo massivo, ma lo potrebbe fare senza preavviso da un giorno all’altro... e comunque a fronte di segnalazioni di irregolarità pervenuti da parte di altri profili. La regola è quindi chiara (e comprensibile) e va rispettata, se non vogliamo correre il rischio di vederci bloccato senza preavviso un profilo che non rispetta la policy di Facebook.
5 - CONTROLLO dEI SOCIAL (notifiche e frequenza di accesso) I profili social, una volta aperti, vanno presidiati e monitorati: rappresentano la nostra identità digitale, che non va in alcun modo trascurata. Una semplice modalità di controllo può essere quella di attivare le cosiddette notifiche tramite applicazioni (app) da
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Raccomandiamo a tutte le strutture UILT che intendono aprire una pagina Facebook di approvare preventivamente il progetto in sede di direttivo, individuando il nome del o degli amministratori, con espresso conferimento di incarico: la pagina rappresenta uno strumento ufficiale di quella struttura e la coinvolge in modo pubblico, con tutti gli effetti e le conseguenze - anche giuridiche - del caso. A chi avesse già aperto la pagina, senza tale procedura, consigliamo una delibera di ratifica. Una volta aperta, è necessario che la pagina venga movimentata ed aggiornata con continuità e con attenzione. Una pagina Facebook statica e scarsamente attiva, è un vero e proprio boomerang negativo: è meglio evitare, se non si ha la certezza che qualcuno della struttura possa impegnarvisi con la dovuta meticolosità. 9 - I SOCIAL NETWORK COME MOdALITà dI MISURAZIONE dEL GRAdIMENTO Avere dei profili sui social che si presentano attivi, moderati, con un congruo numero di interazioni, è un ottimo biglietto da visita. Ancora una volta le interazioni sono un termometro importante... ma anche la capacità di raccogliere un buon numero di amicizie sui profili personali e di “mi piace” sulle pagine. Su Twitter è la stessa cosa: se i follower crescono e crescono anche i retweet, e se riusciamo ad aggregare follower qualificati e di prestigio, possiamo concludere che il gradimento della nostra attività sui social sta aumentando ed in modo rilevante. Le statistiche (insight) fornite da Facebook (funzione attiva solo per le pagine, e non per i profili personali) e da qualche tempo anche da Twitter, ci aiutano a capire quali contenuti incontrano maggiormente il gradimento della nostra platea: ciò ci permette di affinare sempre più la nostra comunicazione sui social. Lo studio di questi dati è fondamentale per la buona riuscita della comunicazione.
APPENdICE OPERATIvA PER LE STRUTTURE: COME APRIRE UNA PAGINA SU FACEbOOK Come più volte ribadito, il profilo è destinato alle persone fisiche mentre per le strutture è necessario aprire una pagina. La procedura di apertura è molto semplice e guidata. Si deve sempre partire dal profilo di una persona fisica, che sarà poi anche il primo amministratore della pagina (e quindi autorizzato ufficialmente ad operare da parte della struttura). Il primo passo è cliccare sulla freccina in alto a destra, scegliendo poi “Crea una Pagina”. A quel punto si devono solo seguire i passaggi indicati. Come “tipologia”, occorre scegliere la seconda, “Azienda, organizzazione o istituzione”. Nella seconda maschera, bisognerà invece scegliere, dal menù a tendina, l’opzione “organizzazione”.
10 - L’IMPORTANZA dEI SOCIAL NEGLI EvENTI dAL vIvO I social sono uno strumento imbattibile per efficacia e velocità, nelle dirette live di eventi (assemblee, convegni, seminari, rassegne, etc). Questi eventi in diretta non fanno altro che esaltare i principali punti di forza dei social: immediatezza e facilità nel veicolare, ricondividere e rendere virali contenuti testuali e visual (foto e filmati). Per noi della UILT, il primo esempio è stato l’Assemblea nazionale di Bologna (11-12 aprile 2015). Abbiamo inserito 26 post su Facebook, con 6 video e 40 fotografie. La copertura totale è stata di 2.394 persone raggiunte; ogni singola notizia ha coinvolto centinaia di persone, con un picco unitario di 673 (diventata 1.004 nei tre giorni successivi). Per quanto riguarda Twitter, abbiamo effettuato 44 tweet, con 7 video e 59 fotografie. L’account, aperto pochi giorni prima dell’assemblea, ha totalizzato in quindici giorni 6.796 visualizzazioni, con 1.447 visite al profilo. Ma il banco di prova più significativo è stato TRACCE, lo studio-osservatorio sul teatro contemporaneo organizzato ad Oliveto Citra insieme al PREMIO SELE D’ORO (3-6 settembre 2015). In questo caso, rispetto a Bologna, abbiamo sperimentato anche la modalità delle sponsorizzazioni, con esiti francamente imprevedibili. Su Facebook, abbiamo inserito 49 post con 65 fotografie, che hanno dato una copertura totale di ben 41.105 persone raggiunte, con 1.691 interazioni nei post... un risultato eccezionale! Ogni singolo post ha raggiunto da un minimo di 250 persone ad un massimo di quasi 1.000; ognuno ha avuto varie condivisioni, commenti e ”mi piace” (qualcuno più di 100!). Come accennato, abbiamo sponsorizzato 8 post (costo unitario 10 euro), per evidenziare tutti gli eventi e i loro principali protagonisti (spettacoli, laboratori, dibattiti, momenti istituzionali). Ognuno dei post ha raggiunto un minimo di 4.148 persone, un massimo di 6.880. Su Twitter, abbiamo inserito 21 tweet, ognuno con fotografia, documentando sempre ogni evento. Non abbiamo il dato estrapolato dei quattro giorni di TRACCE; possiamo però notare che, mentre in tutto il mese di agosto il nostro profilo Twitter aveva avuto 1.521 visualizzazioni e 194 visite, solo nei primi 8 giorni di settembre ne aveva già avute, rispettivamente, 2.112 e 451... l’effetto-traino è evidente!
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Il logo deve essere quello ufficiale. Evitate ritocchi e/o personalizzazioni, perché possono creare confusione e dare un segnale di pressappochismo. Peraltro, quando qualcuno effettua una ricerca generica come UILT, vedrà comparire tutte le nostre strutture presenti sui social, con a fianco il logo: ed è visivamente efficace una sequenza di tante pagine con lo stesso logo. Consigliamo, per quanto riguarda il nome, di aggiungere alla sigla anche la denominazione per esteso, per evitare confusioni con il sindacato UILT (cioè la UIL Trasporti). Ad esempio: UILT Lazio - Unione Italiana Libero Teatro. Una volta aperta la pagina, è molto importante iniziare ad invitare i propri amici a mettere “mi piace”. La pagina infatti non ha un contatore di “amicizie” (come nel profilo personale) ma di “mi piace”. Le persone quindi sono libere di seguirvi ed anche di non seguirvi più, se non sono più interessate alla vostra attività. Utilizzando le impostazioni, potrete aggiungere tutti gli amministratori che ritenete utili, attraverso la funzione “Ruoli della Pagina”. La scelta è molto importante, perché sono loro a poter gestire la pagina, inserire le notizie, movimentarla... e renderla viva. Ogni struttura UILT ha piena autonomia sulla gestione della propria pagina. La UILT Nazionale vi chiede di segnalare al Nazionale gli amministratori delle pagine, per poter creare una rete di conoscenza e di collegamento, al fine di realizzare qualche progetto comune di cui parleremo nei tempi e nei modi opportuni. Grazie a tutti della collaborazione. FRANCESCA RIZZI amministratrice dei social network UILT
N EL MONDO Compagnia dei Giovani di Trento
(H)AMLET IN SALSA FRANCESE ALLO SHAKESPEARE FESTIVAL!
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a COMPAGNIA DEI GIOVANI di Trento, dopo la “pausa internazionale” dello scorso anno seguita alla doppia trasferta canadese-ucraina del 2013, quest’estate ha provato nuovamente la soddisfazione di calcare le scene estere. È stata infatti selezionata per rappresentare l’Italia alla XvI edizione dello Shakespeare Festival, svoltosi dal 26 luglio al 2 agosto nel sud della Francia. Mentre nell’ultima occasione internazionale era stata apprezzata quale “The most expressive” nell’ambito della “Joy Fest” in quel di Kiev con lo spettacolo grottesco “Tango” del polacco S. Mrozek, in quest’occasione, data la specificità autorale di questo meeting internazionale, è tornata in sella al proprio cavallo di battaglia: lo spettacolo in salsa comica “(h)Amlet!”. Questa prima fortunata produzione, che ha segnato la nascita del progetto della COMPAGNIA DEI GIOVANI nel 2008 e ha visto le ironiche disavventure di un regista e dei suoi attori alle prese con il “mostro sacro” di tutti i teatranti scorrazzare dall’Est Europa (Lettonia e Bulgaria) al Nord America (Canada) passando per la Germania, è giunta infine all’ottava stagione di repliche in quel di Tournon sur Rhône e Tain l’hermitage, graziose località sedi di questo interessante festival dedicato alle opere del Bardo. Tale simposio non competitivo ha dato alla compagnia l’opportunità di confrontarsi a livello teatrale con altri 8 gruppi culturali (provenienti da Europa, Asia e Africa) di 5 diverse nazioni (Francia, Ungheria, Russia, Iran e Algeria), per un totale di oltre 100 partecipanti tra attori, tecnici, organizzatori e addetti ai lavori. Rispetto alle altre esperienze internazionali vissute nelle precedenti stagioni, i cui cartelloni prevedevano molti spettacoli al giorno anche in contemporanea, essendo un festival shakespeariano i
giovani organizzatori - che da un paio di edizioni hanno preso le redini della manifestazione dandole un taglio rilassato in stile happening - hanno optato per proporre al massimo due spettacoli a giornata, facendo sì che ci fossero tempi morbidi da dedicare non solo agli allestimenti, alle prove e alle tradizionali discussioni-confronto post spettacoli, ma anche alla visita delle attrazioni circostanti della regione del Rodano: dalle visite dello Château di Tournon e dello splendido centro gotico di Lione sino alle delizie della fabbrica di cioccolato Valrhona di Tain! Se da un lato la mancanza di una “giuria” di esperti esterni, pur in un contesto senza assegnazione di premi, ha tolto quell’ulteriore valore aggiunto al semplice e proficuo confronto tra i realizzatori diretti degli spettacoli, che la compagnia aveva avuto occasione di apprezzare come strumento di crescita in altri festival esteri, la possibilità di partecipare ad alcuni workshop mattutini ha rappresentato una piacevole novità, come nel caso del laboratorio interculturale sugli stereotipi nazionali emersi tramite improvvisazioni. E così, dopo l’energica apertura giovanile con “La dodicesima notte” della compagnia di casa che ha fatto decollare un’inaugurazione in sordina, due differenti riproposizioni di “Romeo e Giulietta” (una in stile match di improvvisazione seguita da una universitaria rock-punk) e altrettante de “La Tempesta” (dall’entusiasmante presenza e precisione attoriale russa ad un’originale coproduzione franco-iraniana dall’atmosfera psichiatrica) passando per una distillata quanto registicamente notevole versione giovanile ungherese di “Othello”, è giunto anche il momento della messinscena italiana che vede protagonista una sgangherata compagnia alle prese con l’Amleto. Complici gli 8 anni di vita
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di questo storico spettacolo, che ha visto un fisiologico avvicendarsi nel corso del tempo di ben 11 attori nei panni dei 7 personaggi e alcune indisponibilità lavorative, le problematiche metateatrali dell’opera hanno rischiato di allargarsi al vero cast! Nonostante questa difficoltà iniziale la troupe si è compattata ancora una volta: Stefania Tarter, Elisa Palagano, Tiziano Chiogna, Luca Bertolla, Massimiliano Tardio e Hans Peter Gottardi hanno dato nuova divertente vita ad “(h)Amlet”, sempre con la regia di Michele Torresani (ricalatosi in quest’occasione con soddisfazione anche nella veste di attore, seppur impolverata dagli ultimi anni dedicati esclusivamente alla regia!) e l’assistenza tecnica di Giovanni Agostini, Alessio Tolotti e Loris Valerio. In attesa della prossima avventura, un’altra importante esperienza internazionale di crescita e confronto che la COMPAGNIA DEI GIOVANI, ora nuovamente disponibile con le ultime due produzioni (le commedie “Sonno” di E. Luttmann e “Terapia di gruppo” di C. Durang), consiglia a tutti di provare! Info: compagniadeigiovani@gmail.com
Spazio espositivo agli Antichi Forni di Macerata e spettacoli per festeggiare il ventennale: il saluto del Presidente VENTI ANNI… COME FARE IN POCHE RIGHE A DESCRIVERE VENTI ANNI DI STORIA DE IL TEATRO DEI PICARI! SIAMO UN GRUPPO NUMEROSO ED ETEROGENEO, UNITO DA UN INTERESSE CULTURALE COMUNE E CONSAPEVOLE: IL TEATRO. IL TEATRO CHE CI FA SENTIRE PARTE DI UNA COMUNITÀ VIVA E VERA. VENTI ANNI…. SONO UNA TAPPA IMPORTANTE NELLA VITA DI UN’ASSOCIAZIONE. MOLTE COSE SONO CAMBIATE E MOLTE CAMBIERANNO, MA OGGI COME VENT’ANNI FA, LA PASSIONE CHE CI LEGA CI PERMETTE DI PERSEGUIRE UNO SCOPO COMUNE CON LA PROFESSIONALITÀ E LA SERIETÀ CHE HA SEMPRE CONTRADDISTINTO IL NOSTRO TEATRO AMATORIALE. VENTI ANNI.... ABBIAMO PENSATO DI FESTEGGIARLI INSIEME A TUTTI VOI, PARENTI, AMICI, TEATRANTI, CITTADINI E ISTITUZIONI. UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE VA PROPRIO A VOI, PER AVERCI SEMPRE SUPPORTATO E SOSTENUTO CON GRANDE FIDUCIA, AFFETTO E STIMA, PER AVER CONDIVISO EMOZIONI E MOMENTI IMPORTANTI CHE HANNO SEGNATO LA NOSTRA VITA, NON ULTIMO QUESTO NOSTRO VENTENNALE! ABBIAMO VOLUTO CREARE UNO SPAZIO DI INCONTRO, AGGREGAZIONE E PARTECIPAZIONE, CERTAMENTE DEDICATO A NOI E ALLA NOSTRA STORIA, MA SOPRATTUTTO DEDICATO A VOI, PERCHÉ SENZA IL PUBBLICO NON CI PUÒ ESSERE IL TEATRO.
IL TEATRO DEI PICARI Macerata Presidente: Laura Nocelli www.ilteatrodeipicari.it
5 Foto di “Del Don Giovanni” e la Mostra del ventennale agli Antichi Forni di Macerata. 4 “Il diavolo con le zinne” di Dario Fo.
(Foto Cinzia Zanconi)
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L’ANNIVERSARIO DI WALTER CORTELLA
I PRIMI VENTI ANNI DE
I L TEATRO
DEI
PICARI
Breve excursus della vita artistica della prestigiosa formazione maceratese
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ra il 1995 quando sulla scena del teatro amatoriale faceva la sua comparsa un bel fiocco azzurro ad annunciare la nascita di un nuovo gruppo, «Il teatro dei Picari». E in quell’occasione la già folta comunità artistica di Macerata accolse con gioia il nuovo arrivato che emise il suo primo «vagito» in città, nel prestigioso teatro «Lauro Rossi», cimentandosi ne “La grande magia” di Eduardo De Filippo, con la regia di Sante Latini e le coreografie di Barbara Staffolani. Confuso tra il pubblico c’ero anch’io, in veste di giornalista de Il Resto del Carlino, e ricordo molto bene il loro felice debutto.
Il «pezzo» che scrissi allora costituisce, in certo qual modo, il certificato di nascita de «I PICARI», ultimi arrivati nella grande famiglia delle formazioni teatrali della nostra città, tutte nate dalla storica Compagnia «Oreste Calabresi». Già il nome di battesimo la diceva lunga sul carattere guascone della neonata formazione. Con l’aiuto della memoria giornalistica, tenterò di delineare una breve «storia», o meglio un piccolo omaggio, al costante impegno e alla bravura di tutti i componenti di questo prestigioso gruppo che occupa da tempo una invidiabile posizione nel vasto panorama del teatro amatoriale italiano.
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5IL TEATRO DEI PICARI al Festival del teatro amatoriale di Montecarlo. 4Francesco Facciolli nei panni di Pulcinella 6e nello spettacolo “I Menecmi”. 4“Il diavolo con le zinne” con Scilla Sticchi e i diavoli Lucia de Luca e Leonardo Gasparri. 4“Del Don Giovanni” di vari autori da quattro secoli di Convitati di Pietra per la regia di Francesco Facciolli.
Da quel lontano debutto molta acqua è passata sotto i ponti e quei «ragazzi» di un tempo hanno respirato a pieni polmoni tanta polvere di palcoscenico, crescendo tutti in buona salute. Ma fin da subito fu facile cogliere nella loro ancora acerba interpretazione una indubbia potenzialità che sarebbe esplosa nel tempo, fino a fare di quel manipolo di giovani e volenterosi attori un Gruppo di elevata caratura artistica, apprezzato in Italia e all’estero. Dicevo del carattere de I PICARI. Stavano ancora muovendo i primi timidi passi, quando uno di essi, sicuramente il più intrepido, volle indossare i panni del regista. Detto e fatto: assunse così, con slancio... picaresco, la guida dei suoi compagni e con essi iniziò un’esaltante avventura che continua ancora oggi, con grande soddisfazione di tutti. Quel giovane regista, vera anima della Compagnia, era Francesco Facciolli. Per il suo esordio alla regia, volle fare le cose in grande, assumendosi un enorme rischio. Si cimentò in un capolavoro eduardiano, “Questi fantasmi”, nel doppio ruolo di attore-regista. Una sfida da far tremare i polsi a chiunque, ma non a quell’intemerato picaro napoletano, da poco trapiantato in terra marchigiana. Forse fu proprio la sua napoletanità, oltre alla baldanza giovanile e alle indiscusse doti artistiche e di leader, a infondergli coraggio e sicurezza. Sta di fatto che quel debutto fu un vero e proprio successo. Facciolli non tentò nemmeno di imitare il grande Maestro: capì che sarebbe stato un suicidio. Diede, invece, vita ad un Pasquale Lojacono tutto «suo», poco eduardiano e caratterizzò l’opera conferendo maggiore comicità ad alcuni personaggi di
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secondo piano, come Raffaele il portinaio, Carmela la sorella guarda-porta un po’ svanita e Gastone Califano, interpretati rispettivamente da Fabrizio Luchetti, Scilla Sticchi e Sante Latini. Da quel lontano 1996, IL TEATRO dEI PICARI ha fatto, sotto la sua guida di regista vulcanico e poliedrico, cose davvero pregevoli, ottenendo tanti e lusinghieri successi di pubblico un po’ ovunque, legittimati da ambiti premi ricevuti in importanti festival nazionali. Nell’arco di questi venti anni I PICARI hanno messo in scena circa una ventina di lavori. Dopo quell’ever green di Eduardo, fu la volta de “L’Avaro” di Molière, dal taglio tipico della commedia dell’arte, un genere nel quale I PICARI si trovano a proprio agio poiché consente a ciascuno dei protagonisti di esprimere appieno tutto il suo potenziale artistico. A seguire, furono allestiti “Gli esami non finiscono mai” e i «rivoluzionari» “Liolà” e “I Menecmi”, nei quali il regista, dimostrando spiccata personalità e grande coraggio, introdusse ardite contaminazioni e interessanti variazioni sul tema. Addirittura li delocalizzò: spostò, ad esempio, l’opera di Pirandello dalla campagna agrigentina a Napoli e raddoppiò i due fratelli plautini, arricchendone la vicenda con il contributo di Shakespeare, aiutato nella stesura del nuovo testo da Giuseppe R. Festa. Risultato: due opere in certo qual modo nuove, originali, di notevole pregio artistico e di grande presa sul pubblico che hanno proiettato I PICARI alla ribalta del teatro che conta. Ambedue ottennero lusinghieri consensi in due edizioni del Festival di Pesaro, la manifestazione regina del teatro amatoriale italiano, la ribalta nazionale più ambita da chi calca le scene per pura passione.
E che dire del grande “Pulcinella” di Manlio Santanelli del 2006? Un allestimento che impressionò favorevolmente lo stesso autore. Ricordo il commento della signora Santanelli, durante lo spettacolo: «Non ho mai visto mio marito così felice al debutto di un suo lavoro». Quel “Pulcinella”, interpretato con assoluta bravura da un Facciolli strepitoso e sempre più a suo agio nel complesso personaggio della tradizione partenopea, rappresentò l’Italia nel 2009 al prestigioso Festival mondiale del teatro amatoriale di Montecarlo. Ebbene, in quella sorta di olimpiade, che si tiene ogni quattro anni nel piccolo Principato e alla quale ogni compagnia del mondo aspira a partecipare, I PICARI ottennero un incredibile successo di critica e di pubblico, paragonabile a quello del Gruppo TE.MA. di Macerata che venti anni prima aveva presentato un memorabile “Don Chisciotte”, diretto da Diego Dezi e interpretato dalla superba coppia Paolo Piangiarelli-Piergiorgio Pietroni. Ma intanto nel 2012 veniva messo in scena “Il diavolo con le zinne”, di Dario Fo, che ha portato alla ribalta una sorprendente Scilla Sticchi nei panni di Pizzocca Ganassa, la rozza serva longobarda, la sempre brava Lucia De Luca,
nell’insolito ruolo del diavolo Frangipane, lo straripante Leonardo Gasparri (l’imbranato diavoletto Barlocco) e un super Gigi Santi, nei panni porporati dell’ambiguo cardinale Ambone. Ultimo in ordine di tempo, è arrivato il pluripremiato “del don Giovanni”, in una riscrittura originale ispirata a vari autori (Mozart, Da Ponte, Tirso de Molina, Goldoni), rappresentato la scorsa estate anche a Tours, in Francia. In questo lavoro, già più volte replicato e sempre con grande successo Facciolli, autore-regista-attore, inserisce ancora una volta il «suo» Pulcinella, ponendolo al servizio dell’incauto don Giovanni, interpretato da un Leonardo Gasparri ormai «maturo» per ruoli ancora più impegnativi. Accanto a questi spettacoli di successo, I PICARI hanno messo in scena, nel corso degli anni, molti altri piccoli capolavori, da “voglia di volare” di Sergio Cicconi a “Picasso ha dormito qui” di Robin Hawdon, con l’esordio alla regia di Andrea Pensini, da “La ridiculosa historia di Pulcinella cornuto”, tratta da Molière a “Serata benni” diretta e interpretata da Maurizio Vallesi, a “Pritu e lu duppiu spusaliziu”, tratto da un testo in vernacolo maceratese del
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‘600 rielaborato e diretto da Riccardo Nocelli per arrivare ai più recenti “Le voci della collina” da Edgar Lee Masters e “Le une e le altre”, un collage di figure femminili, tratto da Gloria Calderon Kellet, entrambe per la regia di Lucia De Luca. La vasta produzione de I PICARI è frutto della collaborazione di tutti i componenti del gruppo, uniti da un solido rapporto di amicizia, basato sul rispetto e la stima reciproca. Dalla stesura/adattamento dei nuovi testi alla realizzazione dei fantasiosi costumi, dalla progettazione delle scenografie di Pino Facciolli, connotate da originali linee fuggenti, alle maschere in cartapesta o cuoio, dalla formazione delle nuove leve a quella dei vari registi, tra i quali sono da annoverare anche i già citati Leonardo Gasparri e Gigi Santi, tutto viene «fatto in casa», in un laboratorio che lavora a tutto tondo. In questi ultimi quattro lustri, sotto la lunga presidenza di Mauro Molinari prima, poi di Scilla Sticchi e ora di Laura Nocelli, I PICARI, vera e propria fucina di tanti giovani talenti, hanno realizzato, davvero cose egregie. Buon compleanno!
WALTER CORTELLA
I N REGOLA A CURA DI DOMENICO SANTINI
SIAE Società Italiana degli Autori ed Editori le regole da tenere a mente
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el continuare il percorso attraverso lo spinoso terreno degli adempimenti burocratici per le nostre compagnie, una delle ultime novità è quella riguardante l’obbligatorietà del codice fiscale per aprire la posizione SIAE. In effetti non è proprio una novità, poiché già gli uffici della Società Italiana Autori ed Editori lo richiedevano, ma è comunque una conferma avuta dall’Agenzia Entrate, di cui rendiamo noto il testo. A seguire, la relazione del Dott. Angelo Pediconi e dei suoi collaboratori inerente il tema SIAE nel Convegno di Pesaro, di cui abbiamo già pubblicato nel numero precedente della rivista l’intervento del Dott. Guido Martinelli sulla natura giuridica delle compagnie amatoriali e i rapporti con il Fisco e l’Enpals.
CERTIFICAZIONE ObbLIGATORIA anche per le FORMAZIONI dILETTANTISTIChE O AMATORIALI È POSSIBILE APRIRE L’INIZIO ATTIVITà SIAE SOLAMENTE AI POSSESSORI DI CODICE FISCALE (e/o di Partita Iva). In relazione all’apertura di Inizio di attività spettacolistica SIAE da parte di Associazioni e/o Enti, fino ad ora concessa anche ai non possessori di Codice Fiscale, avvalendosi della clausola di OCCASIONALITà DI SPETTACOLO, l’Agenzia delle Entrate, su richiesta di consulenza giuridica da parte della SIAE, con parere del 12 maggio 2015 ha precisato:
(omissis)... Con riferimento al concetto di occasionalità, fermo restando che la sussistenza o meno di tale requisito deve essere verificata in maniera casistica, si può evidenziare che secondo dottrina e giurisprudenza I’occasionalità si ha quando l’attività è posta in essere in modo accidentale o sporadico e senza che il soggetto abbia predisposto nulla per effettuarla. (omissis)... dovrà assoggettare ad IVA i proventi conseguiti dall’organizzazione, seppure occasionale, dell’evento. Il concetto espresso “senza che il soggetto abbia predisposto nulla per effettuarla” ne stabilisce precisamente i termini per gli spettacoli e/o manifestazioni rivolte ai NON SOCI, soprattutto in presenza di sbigliettamento. Ne consegue che se fino ad ora alcune Agenzie Siae permettevano di poter aprire l’inizio attività anche se non in possesso del Codice Fiscale (quindi a realtà NON COSTITUITE), ora questo NON E’ PIU’ POSSIbILE.
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La "SOCIETà ITALIANA dEGLI AUTORI" nasce a Milano il 23 aprile del 1882. A costituire l’associazione fu un’assemblea composta da scrittori, musicisti, commediografi ed editori dell’epoca. Tutto ebbe inizio in un palazzo del centro della vecchia Milano, il palazzo Ponti (allora si chiamava Pullè), in via Brera n. 19. Del primo Consiglio Direttivo della Società Italiana degli Autori facevano parte nomi storici della cultura e dell’arte italiana, da Giuseppe Verdi a Giosuè Carducci, da Francesco De Sanctis a Edmondo De Amicis. Allo storico Cesare Cantù fu conferita la carica di presidente onorario, mentre l’intellettuale Tullo Massarani fu il primo presidente effettivo. Tra i promotori della Società figuravano inoltre Roberto Ardigò, Arrigo Boito, Ulrico Hoepli, Edoardo Sonzogno, Giovanni Verga, Pasquale Villari, Giuseppe Zanardelli. Il primo obiettivo della neonata "Società per la tutela della proprietà letteraria ed artistica" fu quello di educare il pubblico sui principi giuridici e morali della protezione delle creazioni dell’ingegno. Grazie a questa attività figurerà tra i fondatori dell’Unione di Berna nel 1886 e successivamente siglerà la Convenzione di Berna, fondamento della tutela del diritto d’autore nel mondo. Nel periodo dal 1896 al 1926 SIAE si è trasformata in un’organizzazione vera e propria con il compito di intermediare il diritto d’autore. Alle Sezioni dedicate al Teatro e ai Diritti Musicali si aggiunse nel 1920 la Sezione del Libro, incaricata dalle associazioni di autori ed editori di controllare il servizio della timbratura dei frontespizi delle opere pubblicate in volume. Nel 1921 venne stipulata la prima convenzione con lo Stato Italiano per la riscossione dell’Imposta sugli Spettacoli. Cominciò così la collaborazione che rende di fatto SIAE un interlocutore privilegiato dello Stato e di altri Enti e Istituzioni pubbliche e private. Il 1926 fu un anno altrettanto importante: entrò in vigore la nuova legge sul diritto d’autore, che per la prima volta riconobbe non solo il diritto economico ma anche quello morale. Un fondamentale passo avanti che sarebbe stato poi recepito anche a livello internazionale nella Convenzione di Berna. Infine, nel 1927 la Società divenne ufficialmente "Società Italiana degli Autori ed Editori". Il 22 aprile del 1941 viene emanata la legge n. 633 - tuttora vigente - per dare alla disciplina del diritto d’autore una sistemazione ampia ed organica. Modificata nel tempo da 19 direttive europee e da altre leggi nazionali, definisce anche la natura di ente pubblico di SIAE e ne riconosce in via esclusiva l’attività di intermediazione per l’esercizio dei diritti economici sulle opere (art. 180). Questa norma è stata integrata e precisata dalla legge 9 gennaio 2008 n. 2 “Disposizioni concernenti la Società Italiana degli Autori ed Editori” che, all’art. 1, definisce SIAE “ente pubblico economico a base associativa” e fissa le regole della sua governance e della sua attività imprenditoriale.
Dall’intervento del Dott. Angelo Pediconi SIAE di Ancona La SIAE è una organizzazione statale che tutela i diritti degli autori ad essa iscritti. Il suo ruolo è quello di richiedere a chiunque rappresenti opere teatrali, opere musicali, poesie, etc... un compenso stabilito da parametri che possono variare dalla capienza del luogo della rappresentazione o da particolari richieste provenienti dagli “aventi diritto” (Agenzie, autori, traduttori). - L’autore iscritto alla SIAE non può rinunciare al suo compenso ma può devolverlo, dopo averlo ricevuto dalla SIAE stessa, a chiunque. - Un’opera inedita di un autore iscritto SIAE va regolarmente pagata e l’autore la deve depositare quanto prima alla SIAE. - Anche per spettacoli gratuiti vanno pagati i diritti di autore, insieme alle musiche (se ci sono). - Per gli spettacoli gratuiti con autori non tutelati basta presentare alla SIAE la Liberatoria dell’autore sulla sua non iscrizione alla SIAE. - In caso di spettacoli con ingresso “ad offerta”, l’incasso va dichiarato per il versamento dell’IVA. - Le musiche e gli accompagnamenti musicali, se sono riconoscibili, pagano la SIAE anche se hanno una durata di 1015 secondi. Le musiche inferiori ai 4 minuti pagano l’11% + IVA dell’importo dichiarato e quelle superiori ai 4 minuti il 13% + IVA sempre del dichiarato. - Gli importi “minimi” per ogni spettacolo variano con l’ISTAT di anno in anno a seconda del numero dei posti. è importante per le compagnie amatoriali, prima di iniziare a preparare uno spettacolo, interpellare la SIAE circa la sua messa in scena poiché: - Se l’autore italiano è morto da più di 70 anni, l’opera è di dominio pubblico e può essere rappresentata. - Se l’autore straniero è morto da più di 70 anni ma ci sono i diritti di un traduttore italiano vivente o morto da meno di 70 anni bisogna pagare i diritti di traduzione, a meno che non si traduca da soli o si faccia tradurre da chi non è iscritto SIAE. - Se l’autore non è iscritto alla SIAE basta la sua liberatoria. - Se l’autore è iscritto alla SIAE la stessa concederà il numero dell’opera e quindi la messa in scena dell’opera. Bisogna tenere a mente che: - A volte l’autore, il traduttore, o l’Agenzia, che detengono i diritti di un’opera pretendono di essere interpellati e concedono l’opera “a tempo determinato” con le date, e quindi il permesso di rappresentazione viene concesso volta per volta; - Qualche volta pretendono una somma anticipata a garanzia che le rappresentazioni dichiarate siano poi fatte; - Possono bloccare le rappresentazioni se una compagnia professionale mette in scena la stessa opera. Qualsiasi riduzione o adattamento alle opere tutelate necessitano del permesso scritto dell’autore, degli eredi aventi diritto, del traduttore, o dell’Agenzia che ne detiene i diritti (vale molto per le opere straniere). Questa è una delle disattenzioni più frequenti. Non è permesso tradurre un’opera di un autore straniero che in Italia abbia già una agenzia di tutela presso la SIAE (esempio: W. Allen, Ayckbourn, Simon...ecc). Non è permesso rappresentare opere cambiando il titolo e, qualche volta, l’autore: c’è di mezzo una denuncia penale. CONVEGNO NAZIONALE FISCO - SIAE - SICUREZZA. PESARO, HOTEL DES BAINS, 4 OTTOBRE 2014
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T&T PER DIRLA IN GOLDONI Novità di Mauro Cattivelli
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È disponibile attraverso il sito www.cattivelli.net “Per dirla in Goldoni”, il nuovo testo teatrale firmato dal commediografo romano Mauro Cattivelli, già autore insieme a Paolo Quattrocchi di opere brillanti come “Favolescion” e “Attento alla cioccolata, Callaghan”. Questa commedia in due atti ci catapulta nella Venezia del 1750, in casa di un Carlo Goldoni alle prese con l’ostica promessa – fatta all’impresario Gerolamo Medebach – di scrivere sedici nuove opere entro la fine dell’anno, la prima delle quali sarà “Il teatro comico”. Sedutosi allo scrittoio, Goldoni inizia ad abbozzare i personaggi principali e tenta di dare un filo logico alla sua commedia nonostante distrazioni di varia natura: tra ripetute richieste amorose da parte di sua moglie Nicoletta, interventi della madre-dirimpettaia e azioni di disturbo messe in atto da colleghi-rivali, il grande autore veneziano è costretto ad interrompere continuamente il suo lavoro. Ed è proprio nei momenti in cui il “creatore” si allontana dalla sua postazione che i suoi personaggi prendono vita. Secondo un collaudato schema di commedia nella commedia, dalla carta e dalla penna le figure si animano, interagiscono, assumono tutti i contorni degli “attori” impegnati nella lunga attività di costruzione di uno spettacolo, salvo poi ritornare inerti quando Goldoni torna al suo posto per meditare sul prosieguo del testo. Testo che, come realmente accaduto in occasione della stesura de “Il teatro comico”, diventa infine l’occasione per proporre i contenuti della riforma teatrale goldoniana, il superamento degli schemi e dei caratteri della Commedia dell’Arte in favore del “teatro realistico”, la vittoria del copione sul canovaccio, della vita quotidiana – rappresentata in modo verosimile – sugli stereotipi e sulle maschere.
Campagna, nell’entroterra salernitano, da dodici anni la Compagnia TEATRO dEI dIOSCURI tradisce il Teatro con un progetto antropologico e teatrale, un percorso completo di approfondimento delle tecniche teatrali, ma anche di nuovi percorsi di ricerca e sperimentazione. Il progetto, la cui Direzione Artistica è affidata ad Antonio Caponigro, con la consulenza di Michele Monetta, dal titolo “Tradizioni & Tradimento” (entrambe dal latino tràdere, cioè consegnare: consegnare, cioè riportare nel tempo, la prima; consegnare agli altri, quindi tradire, la seconda) prevede una serie di attività che mirano a formare da un punto di vista artistico-teatrale e sociale i giovani, e non solo, dell’intero Comprensorio Sele-Tanagro. Un forte valore ha il Laboratorio Permanente (La.Per) di Teatro, laboratorio biennale in cui vengono approfonditi i diversi linguaggi e tecniche teatrali, e che culmina in un saggio dimostrativo finale. Durante l’anno del La.Per, da ottobre a giugno, gli allievi del Laboratorio teatrale seguono anche stage pratici, seminari, videoforum, incontri che ogni anno si focalizzano su un particolare argomento. Quest’anno il fil rouge degli incontri è stata LA TEMPESTA di W. Shakespeare. Interessanti, a questo proposito, sono stati i due giorni di stage teorico e pratico con il regista, attore e Docente di Recitazione Gianni Caliendo. Durante la parte seminariale, aperta anche al pubblico esterno, il regista ha trattato in modo particolare la vita dell’autore inglese soffermandosi sul suo essere cortigiano, drammaturgo e attore; sui contatti con i Comici dell’Arte italiani; sul mondo elisabettiano e sul divieto delle donne di calcare le scene inglesi. Ore intense di lavoro pratico, invece, quelle che hanno coinvolto gli allievi del La.Per e i componenti della Compagnia TEATRO DEI DIOSCURI che si son ritrovati ad interpretare Shakespeare con parola, gesto, azione alla luce del Metodo Mimico di Orazio Costa. L’obiettivo è stato quello di creare atmosfere e suggestioni grazie all’interazione di tre versioni dell’opera: quella originale in inglese, la traduzione italiana e la versione in napoletano di Eduardo. I SAGGI – SPETTACOLO 2015 “Ali” di Francesco Silvestri È la storia di un novello Icaro alla ricerca di un padre che non incontrerà mai, un padre che ha scelto la libertà e che indica al figlio la stessa come senso della vita. Icaro si alza in volo sulle ali di un aliante avuto in regalo dal padre prima che quest’ultimo andasse via senza più tornare. La ricerca del babbo, per ringraziarlo, si rivela un avventuroso viaggio at-
Le compagnie interessate ad ulteriori informazioni sul testo possono consultare il sito: www.cattivelli.net/q&c È inoltre possibile richiedere un copione direttamente all’autore, inviando una email all’indirizzo: qec@cattivelli.net. DANIELE CIPRARI
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IL
PROGETTO
TRADIRE SHAKESPEARE 12 anni di Tradizioni, 12 anni di Tradimento! Teatro dei Dioscuri - Campagna (SA) traverso le meraviglie e le insidie del mondo. Si imbatterà in Osvaldo ed Asdrubale, due goffi cacciatori che lo scambiano per un uccello del malaugurio, ed in tutte le figure mitologiche ricondotte a dimensioni attuali. Il "viaggio" diventa momento fondamentale di formazione personale, un affrancarsi dall’età infantile per entrare in quella adolescenziale, se non adulta. Ed è la libertà stessa ad indurre il protagonista ad abbandonare naturalmente il motivo primario della sua avventura. Una favola giocosa alla riscoperta del "bambino dentro ognuno di noi" e che, nel rifiuto di sbrigative etichette o di confini anagrafici, manifesta con i caratteri originali del teatro uno sgranare gli occhi sul mondo senza porre limiti alla capacità di meravigliarsi. Allievi I livello: Antonella Ceriello, Giusy Conte, Cristian Palladino, Giusi Sorano, Raffaella Spagnuolo, Giulia Taddeo, Giusi Taddeo, Vincenzo Vacca De Dominicis. Regia di Emiliano Piemonte.
“La Tempesta – work in progress” Ritenuta la penultima opera di William Shakespeare - l’ultima scritta da solo - e considerata da molti il lavoro che segnò l’addio alle scene. Su un’isola imprecisata del Mediterraneo, l’esiliato Prospero, vero duca di Milano, trama per riportare sua figlia Miranda al posto che le spetta, grazie ad illusioni e manipolazioni magiche. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il Re di Napoli Alonso, stanno navigando per il mare, di ritorno da Cartagine, il mago invoca una tempesta che rovescia gli incolumi passeggeri sull’isola. Con l’aiuto della magia e del suo servo Ariele, spirito dell’aria, Prospero riesce a castigare la natura bassa di Antonio, a redimere il Re, a far innamorare sua figlia con il principe di Napoli Ferdinando. In scena musiche e luci d’atmosfera ed oggetti evocativi che si prestano a svariati significati, corpi pennellati cromaticamente e voci in azione nello spazio articolato dell’Auditorium, sono il risultato di un primo livello di ricerca. La performance di quest’anno, con il titolo “La Tempesta – work in progress”, giocata in italiano, inglese e nel napoletano della traduzione di Eduardo De Filippo, vedrà una versione più estesa e dettagliata alla fine del percorso del prossimo anno. Allievi II livello: Antonella Cariello, Elisabetta Cataldo, Rossella Cerrone, Cristian D’Ambrosio, Isabella De Marco, Rosario Di Francesco, Giulia Di Giuseppe, Carmen D’Incecco, Gerardo Guarnieri, Ludovica La Monica, Antonella Lieto, Dario Marzullo, Enza Maria Mastrangelo, Angelica Zottoli. Regia di Antonio Caponigro.
LE COLLAbORAZIONI Per le attività di lettura e scrittura creativa; drammaturgia; regia e messinscena; fonetica, articolazione, dizione, recitazione, canto; teatro di figura; storia del teatro e dello spetta-
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colo; uso del corpo, mimo; scenografia, scenotecnica; costumistica; uso delle luci e dell’audio, oltre ai propri operatori, TEATRO DEI DIOSCURI si avvale della collaborazione di Esperti e Docenti di varie Accademie e Università: Accademia Nazionale d’Arte drammatica “S. d’Amico” di Roma; Università La Sapienza di Roma; Università Roma Tre;Università di Salerno; U.P.S. (Università Pontificia dei Salesiani) di Roma; dams di bologna; Icra Project (Centro Internazionale di Ricerca sull’Attore) di Napoli; U.I.L.T. (Unione Italiana Libero Teatro). CORSI e PER-CORSI La Rassegna Teatrale Corsi & Per – Corsi, è la sezione estiva di Tradizioni & Tradimento, in cui TEATRO DEI DIOSCURI propone spettacoli e performance in luoghi dalla vocazione artistica e culturale del Centro Storico di Campagna privilegiando spazi aperti o circoscritti, piazze, vicoli, chiostri, sagrati, tutto ciò al fine di evocare e rivivere antiche e sempre attuali atmosfere, particolarmente coinvolgenti per lo spettatore. La Rassegna si svolge nella seconda metà di agosto, una scelta che va ad inserirsi proprio nell’ottica della valorizzazione della cittadina nascosta tra i monti Picentini. Tre gli appuntamenti di quest’anno. Nel Chiostro del Palazzo di Città, “Frammenti di-versi: ‘Chiacchiere, juoche e fantasia…int’e vicule d’’a casa mia!”, spettacolo di poesia, musica, danza, teatro e animazione con testi di Maria Caponigro, per la regia di Antonio Caponigro, e lo spettacolo “Ali”. Nella particolare atmosfera del Cortile del Seminario invece è andata in scena “La Tempesta”. IL SENSO dI T&T Antonio Caponigro: «Tradizione & Tradimento è partito come lavoro di ricerca sulla tradizione nel tentativo di rinnovarla. A questo primo obiettivo, nel corso dei 12 anni di attività, se ne è aggiunto un altro: la consapevolezza che la Tradizione rappresenta le nostre innegabili e incancellabili radici, ma che la stessa abbia necessità di Tradimento (ricerca, rilettura, rinnovamento) per restare al passo con i tempi, per continuare a dirci qualcosa, senza restare un affresco d’epoca. Quindi in noi la consapevolezza di un compito arduo, che si sviluppa anche attraverso la Rassegna estiva Corsi & Per – Corsi, in spazi antropologicamente abbandonati che ci piace rivivere non con semplici e scontate rievocazioni storiche, ma in modo nuovo e alternativo». GIUSY NIGRO Uff. Stampa Teatro dei Dioscuri www.teatrodeidioscuri.com
L’OPINIONE DI ANDREA JEVA
Compagnia Teatrale Colonna Infame
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l cartellone della rassegna di teatro dialettale IL TORRIONE, organizzata dal Comune di Citerna in collaborazione con la Proloco di Citerna, la Regione Umbria, il gruppo alimentare Valtiberino, la SOGEPU e la U.I.L.T. (Unione Italiana Libero Teatro), ha presentato venerdì 24 aprile 2015 al Teatro Bontempelli di Citerna, la Compagnia Teatrale COLONNA INFAME di Conegliano Veneto (TV), con lo spettacolo “I 39 Scalini” tratto dal romanzo di John buchan, adattato per il teatro da Patrick barlow. L’evoluzione dell’adattamento teatrale del romanzo di Buchan (da cui sono stati tratti ben quattro film, tra cui, il più famoso è senza dubbio “Il club dei 39”, diretto da Alfred Hitchcock nel 1935 e che ha fornito infine a Barlow il materiale sostanziale per lo spettacolo), è davvero curiosa e vale la pena ripercorrerla brevemente. La prima versione teatrale del romanzo, con l’idea di farla recitare a soli 4 attori, usando come scenografia scale a libro, tavole di legno, un grande lenzuolo e un cane di peluche, è stata concepita e scritta da Simon Corble e Nobby Dimon (teatranti tuttotondo), e ha debuttato nel 1995 a Richmond in Inghilterra davanti a 90 persone, per poi riproporsi in vari teatrini, salette comunali e spazi scolastici. In pratica una produzione come dire “fatta in casa”.
Nel 2005 Patrick Barlow (drammaturgo, regista e attore), è invitato a riscrivere il copione e ad interpretare il ruolo del protagonista. Il nuovo copione mantiene lo spirito originale, ma si basa molto più sul film di Hitchcock. L’adattamento firmato da Barlow debutta nel giugno 2005 presso il West Yorkshire Playhouse di Leeds, regia di Fiona Buffini. In seguito, per la regia di Maria Aitken (che ha poi firmato anche la regia dello spettacolo realizzato in Italia nel 2009), presso il Tricycle Theatre di Londra nell’agosto del 2006 ed al Criterion Theatre di Piccadilly nel settembre 2006. L’adattamento arriva poi a Broadway all’inizio del 2008, vincendo nello stesso anno 2 Tony Awards (Luci e Suono), e nominato per altri 4 Tony: miglior commedia, miglior regia (Maria Aitken), migliore scenografia, migliori costumi. Contemporaneamente diventa un successo anche in Israele, Sudafrica, Finlandia, Grecia, Italia, Germania, Repubblica Ceca, Turchia, Corea, Australia e Spagna. Uno sviluppo avventuroso e fortunato, proprio come la trama della commedia. Londra. Durante uno spettacolo teatrale in cui si esibisce Mister Memory (con una memoria fotografica eccezionale, che sarà poi la chiave del mistero della storia), Richard Hannay, un giovane canadese, incontra una donna che dice di chiamarsi Annabella Smith – nome evidentemente falso, e che gli
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5Compagnia Teatrale COLONNA INFAME di Conegliano Veneto (TV) www.colonnainfame.it
generale, è stato proprio quello del protagonista Richard Hannay (Gianni Della Libera che firma anche la regia), che ha dovuto recitare un solo personaggio, ma l’ha fatto in modo impeccabile. Ci piace inoltre menzionare anche i tecnici (Alex & Bianca Della Libera) e i consulenti (Eros Marcon&Belinda Mazzer), che riteniamo elementi fondamentali per la compattezza dell’intera performance. La regia (Gianni Della Libera), come abbiamo detto, è stata influenzata in modo considerevole dall’importante allestimento inglese che ha poi spopolato a Broadway. È da apprezzare comunque sia il ritmo che il regista ha dato allo spettacolo, sia la messa in scena generale, con bellissime musiche, luci essenziali, la scena giustamente scarna proprio per favorire il superamento dello spaziotempo e che senza ingombranti fronzoli ha servito efficacemente il testo. Fra tante cose positive dello spettacolo, è quasi d’obbligo citarne almeno una meno positiva e che riguarda non propriamente la commedia di cui abbiamo parlato, ma il suo genere, il thriller che per sua natura, a nostro modo di vedere, si lascia fruire solo all’istante con scariche di notevole adrenalina, ma che trattiene poco di sé una volta terminata la storia. Pubblico numeroso e molto divertito.
chiede di ospitarla a casa sua. La donna confessa a Richard di essere una spia, ma la notte stessa sarà assassinata con un coltello piantato nella schiena da alcuni individui penetrati nella casa. Annabella fa in tempo a mostrare una cartina della Scozia con indicata una località. Prima di morire parla anche dei “39 scalini” una congrega di pericolose e spietate spie, con a capo il professor Jordan, un pericoloso personaggio senza molti scrupoli. Richard si sente in pericolo di vita, e decide di raggiungere la Scozia quando la polizia inglese, subito dopo la scoperta del cadavere nella sua abitazione, inizia a dargli una caccia spietata. Comincerà per Richard una lunga fuga, in compagnia di Pamela, un’avvenente bionda, incontrata in precedenza, che porterà Richard a cavarsela brillantemente in un convegno politico, in una casa abitata da un vecchio piuttosto avido e manesco, nella brughiera scozzese, in un albergo gestito da una simpatica donna e addirittura nella casa del nemico. Abbiamo tutti i temi del thriller: lo spionaggio, l’innocente accusato di un delitto che non ha commesso, la fuga, e il protagonista che è completamente scagionato alla fine. Naturalmente il finale è lieto, Pamela e Richard sono nell’appartamento di quest’ultimo. È Natale, e in lontananza si sente il pianto di un bambino. Per rendere appieno l’idea dello spettacolo possiamo dire che i quattro attori, nel giro di due ore, recitano decine di personaggi, anche contemporaneamente. In particolare: un attore ha la parte del protagonista, un’attrice recita i ruoli di tutte le protagoniste femminili e gli altri due recitano qualunque altro personaggio che i primi due incontrano. Buoni, cattivi, uomini, donne e anche oggetti inanimati: una grande fabbrica di idee!
ANDREA JEVA
Nato ad Andria nel 1953, nel 1980 si diploma presso la Civica Scuola d’arte drammatica “Piccolo Teatro” di Milano. Costituisce la Compagnia TeAtro e interpreta ruoli significativi in vari spettacoli. Collabora poi, per alcuni anni, con il Teatro Niccolini di Firenze, come interprete in varie produzioni e come amministratore di compagnia. Nel 1983 scrive i radiodrammi “I Gracchi” e “In punta di piedi”, che vengono trasmessi dalla RAI. Nel 1986 è amministratore di compagnia nel Gruppo della Rocca di Torino e, l’anno seguente, nel Teatro Stabile di Genova. Nel 1987 scrive la commedia “La sera della prima” che viene portata in scena, per la sua regia, dalla Fontemaggiore di Perugia. Nel 1989 realizza, con il Teatro di Porta Romana di Milano, la tragicommedia “Una specie di gioco”, curandone anche la regia e, nel 1990, “Cuccioli”, regia di Giampiero Solari. Nel 1991 scrive la commedia “Land Ho!” che viene prodotta dal Teatro di Sacco di Perugia. Nel 1993 inizia una lunga collaborazione con il Teatro Sistina di Roma come amministratore di compagnia; nel 1996 “Sort of a game” viene rappresentata al Fringe Festival di Edimburgo. Nel 2001 la tragicommedia “Aiutami, aiuto, aiutami” viene rappresentata al Teatro Sette di Roma. Nel 2002 la tragicommedia “Isole” viene rappresentata al Theater Im Keller di Graz. Nel 2004 la tragicommedia “Quartetto blues” viene rappresentata al Festival delle Nazioni di Città di Castello. Nel 2005 scrive la tragicommedia “Etruschi!”. Nel 2008 è organizzatore per il Todi Arte Festival. Nel 2011 cura l’elaborazione drammaturgica dello spettacolo “Discovering Pasolini Appunti da un film mai nato” coprodotto da La MaMa E.T.C. di New York e La MaMa Umbria International di Spoleto, regia di Andrea Paciotto, rappresentato al Teatro della Pergola di Firenze nell’ambito del programma “Il Teatro Italiano nel Mondo” realizzato da Maurizio Scaparro. Nel 2012 traduce ed elabora per la scena il racconto “The Test” (L’Esame) di Richard Matheson, prodotto dall’Associazione Culturale “Eunice” di Perugia, regia di Andrea Paciotto. Attualmente alterna il lavoro di insegnante, attore, organizzatore teatrale e drammaturgo.
Lo spettacolo visto a Citerna si è ispirato chiaramente alla regia di Maria Aitken, con una serie infinita di trovate, siparietti, colpi di scena. Molto gustosa una battuta che possiamo prendere ad esempio per indicare lo spirito arguto dello spettacolo: con i quattro attori in scena, vediamo da dietro il sipario chiuso, una mano con una pistola che spara a uno di loro, questo, morendo, ha la forza di dire «Ma non doveva essere uno spettacolo con quattro attori!?». La COMPAGNIA COLONNA INFAME ha rappresentato con grande abilità lo spettacolo che da un punto di vista tecnico era molto impegnativo. Gli attori sono stati formidabili nell’immedesimarsi appieno nello spirito dinamico del testo. Sorprendente per bravura la protagonista femminile (Ivonne Tanieli), che interpreta con rilevante capacità camaleontica le varie figure femminili del copione: Annabella Smith, Pamela, Margareth, ecc. Perfetti anche i due Clowns (Amerigo Gardenal e Athos Tassi), hanno trascinato con giusta e stuzzicante ironia il pubblico nel vertiginoso gioco delle invenzioni del testo. Il ruolo paradossalmente più sacrificato rispetto al gioco
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NOI TEATRANTI? Una “brutta” razza! In gergo teatrale, esiste una netta distinzione fra “il morto” ed “il vivo” e Charles Dullin esemplifica molto bene un aspetto particolare: «Le polemiche letterarie, le inchieste, le teorie, quasi sempre servono a dissimulare un bisogno di pubblicità alquanto sgradevole. Nella repubblica delle lettere sono stati introdotti i buoni sistemi commerciali dei droghieri e dei vinai. Sono convinto che tutte le polemiche e le teorie non porteranno a niente. Quando si tratta di Teatro, io credo a quello che vedo. La povertà, la mancanza di risorse e di mezzi possono costituire un ostacolo, ma bisogna avere il coraggio di confessare l’imperfezione del lavoro compiuto. La nostra cultura drammatica deve interessare noi soltanto. Tentiamo di vivificare le nostre idee; esprimiamole teatralmente; siano esse l’anima di tutto quello che creiamo; ma non parliamone, più di quanto un uomo onesto non parli della propria onestà». (Da “La ricerca degli dèi”) I Teatranti di qualsiasi “razza”, siano essi dilettanti, amatoriali, professionisti, hanno di sicuro un elemento in comune. La suscettibilità! I Teatranti, molto spesso, se non sempre, difficilmente riescono ad accettare una critica da uno spettatore, figuriamoci da un collega! E questo è un limite che abbiamo. Un grosso limite che ci impedisce di vedere oltre, di vedere al di là dell’ostacolo, ponendoci nella condizione di stanziare inermi nel tentativo di giustificare il nostro operato artistico. Vogliamo raggirare, scavalcare “l’ostacolo”, senza comprendere che va affrontato, prima con noi stessi e poi con gli altri. Anche Pasolini, che non era un Teatrante ma che era immensamente affascinato dal Teatro, negli anni della sua “Affabulazione” si rese conto in prima persona della complessità dell’arte scenica: «Sempre più mi accorgo che fare Teatro non si improvvisa, è un’impresa che richiede l’impegno di una vita intera». Ecco, “Fare Teatro”! Fare Teatro non si improvvisa e bisogna che gli dedichiamo anima e corpo. Quindi, non perdiamo
tempo a “stanziare”, come fanno le “comare”. Il Teatro è azione, è movimento. Thomas Richards, che ha assistito per parecchi anni l’ultima fase di ricerca di Jerzy Grotowski, ha dovuto stanare da sé sia il morbo del dilettantismo, sia il morboso compiacimento in cui cadono quanti si ostinano a considerarsi “geni incompresi”, i migliori di tutti e di tutto. Facciamo uno “sforzo”, tutti. Rispettiamo i pareri di tutti. Rispettiamo il gusto di tutti. Accettiamo i no con lo stesso compiacimento, a volte anche eccessivo, di quando accettiamo i sì. Rispettiamo il lavoro di tutti. Non offendiamo, con le nostre rimurginazioni chi con onestà umana ed artistica esprime un parere. Non offendiamo chi ne rimane, magari anche inconsapevolmente, coinvolto in modo gratuito. Purtroppo, nel Teatro attuale, il cosiddetto “Teatro borghese” (quello dei mestieranti e delle grandi Compagnie teatrali che vivono sui finanziamenti pubblici), è rarissimo trovare autentica vita. Si continua a ripetere (re-citare, appunto!) frasi morte e pochi sono gli attori ed i registi capaci di infondervi il necessario alito di vita. Questo perché la principale motivazione (e spesso l’unica), che sta alla base del Teatro ufficiale e professionale, è il denaro. Noi, per nostra fortuna, facciamo Teatro per Vivere e non per mangiare. Facciamo in modo che questo concetto così bello ed alto, non venga infangato da inutili isterismi privi di fondamento. Peter Brook asserisce: «Posso prendere un qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo palcoscenico vuoto. Un uomo attraversa questo spazio mentre qualcun altro lo guarda, e questo è tutto ciò di cui ho bisogno perché si inizi un atto teatrale». (da “Lo spazio vuoto”) Cari Teatranti, il Teatro nella sua complessità, è un atto semplice e genuino. Auguro a tutti noi di conservare genuinità e semplicità nei nostri cuori, sempre sempre!!! ENZO d’ARCO
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libri & teatro di daniela ariano
Scaffale Contemporanea Conversazioni Con Pinter A CURA DI MEL GUSSOW
Nei confronti del pubblico nutro sentimenti contrastanti. Qualche volta lo amo. Disgraziatamente, però, come attore ho sviluppato una certa ostilità: può suonare infantile, ma tendo a guardare al pubblico come a un nemico. In altre parole, considero gli spettatori colpevoli finché non provano la loro innocenza. Io me li immagino, seduti uno di fronte all’altro: il giornalista – americano di New York – mingherlino, coi baffetti curati e gli occhiali dalla montatura leggera, ha l’aspetto di un gentleman inglese appena uscito dalla redazione di «The Times», siede impeccabile sul divanetto di velluto bianco della suite dell’Hotel Pierre a New York, il taccuino in una mano, il registratore nell’altra; il drammaturgo – londinese fino alla radice dei capelli – ha l’aspetto massiccio, sanguigno di un americano e verrebbe voglia di mettergli in testa un cappello da cow boy, siede sul divanetto di fronte con le lunghe gambe accavallate e il corpo sprofondato all’indietro, per mettere più spazio possibile tra se stesso e il mondo. Sono le tre di un pomeriggio dicembrino, coi fiocchi di neve che svolazzano oltre i pesanti tendaggi della suite. I due – il giornalista e il drammaturgo – si studiano, si osservano, anzi, meglio, il drammaturgo osserva il giornalista che, come un domatore, sorride sotto i baffi e cerca con voce pacata ma ferma, di ammansirlo. Eh sì, perché Pinter è molto diffidente, nei confronti del pubblico, dei giornalisti e del mondo in generale. Ci vuole tutta la professionalità e l’intelligenza critica di Gussow per riuscire a superare la barriera di circospezione sfiduciata che Pinter gli erge davanti come le mura di un castello. Piano piano però la barriera cede, Pinter l’irrequieto si rilassa, la conversazione prende il sopravvento, Pinter molla la posizione da pugile in difesa e si protende verso Gussow, che da bravo gentleman lo asseconda senza spostarsi di un centimetro. «Nel corso della conversazione, che proseguì fin verso sera», racconta Gussow, «Pinter si alzò tre volte, per mangiare un panino, per bere un caffè e, più tardi, per uno scotch con ghiaccio. Fumava in continuazione, sottolineando le pause con sbuffi azzurrini». È il 1971 e sono i giorni che precedono il debutto a Broadway di Vecchi tempi, la commedia di Pinter che ha già spopolato nei teatri londinesi. La regia è quella di Peter Hall e Pinter è a New York per seguire tutte le fasi dell’allestimento. Paradossalmente però – e qui si vede l’animo del bravo giornalista – questa prima intervista tratta solo di striscio la commedia in questione. Quella che si rivelerà una lunga conversazione tra due uomini che parlano lo stesso linguaggio, quello del teatro, si apre con una domanda secca: «Lei ha visto Il fuggiasco?», alludendo a una battuta di Vecchi tempi, ma sottintendendo la capacità
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di Pinter, come tutti i drammaturghi, di mettere pezzi di sé nelle proprie opere. E così via, tra una domanda e l’altra, Pinter finisce per parlare di tutto: di sé come uomo di teatro e di sé come uomo e basta. E già solo questa prima intervista che uscirà il 5 dicembre sul «New York Times» col titolo Una conversazione (pausa) con Harold Pinter, è una rivelazione perché dietro a ogni fatto d’arte si nasconde un uomo, e quando quest’uomo esce allo scoperto con tutte le sue umane fragilità, allora la sua opera si trasforma in epifania. Dopo questa prima intervista che ebbe, oltre tutto, il merito di rompere il ghiaccio tra il drammaturgo e il giornalista, ne seguirono molte altre, sparse in un arco di tempo che dal 1971 arriva al 1993, tutte raccolte nel libro edito dalla UBU Conversazioni con Pinter. Secondo Gussow, il Pinter che parla non è tanto diverso dal Pinter che scrive, anzi scriveva visto che il celebre drammaturgo (ma anche attore e regista) è morto nel 2008 all’età di 78 anni. Sempre troppo presto per chi, come lui, sprizzava genio da tutti i pori. Un genio che spinse la critica a coniare addirittura un termine tutto suo per definirlo, pinteresque, ma che in realtà è sempre sfuggito a qualsiasi catalogazione. Quando si è geni si è geni e basta, e peggio per chi non lo è o non lo capisce. Anche Mel Gussow però non era da meno – “era” perché anch’egli come Pinter non è più tra noi. Illustre critico del «New York Times», Gussow è uno dei pochissimi giornalisti che sono riusciti a far sbottonare Harold Pinter, notoriamente molto diffidente nei confronti della stampa e molto restio a parlare di se stesso e del suo lavoro. In queste interviste invece esce fuori tutta la sua anima, e i dialoghi che ne scaturiscono sono davvero una miniera inesauribile di spunti per chi ama il mestiere del teatro, disseminati di battute e risposte memorabili in cui Gussow incalza e Pinter, ormai domato, racconta a ruota libera il suo rapporto con gli attori, coi registi, con se stesso, col pubblico, col mondo. Un rapporto spesso complicato ma sempre estremamente vivo, punteggiato qua e là dallo humor divertito e sottilmente cinico – quello sì prettamente inglese – che pervade anche tutte le sue opere. L’AUTORE Mel Gussow (New York 1930 – 2005), è stato un giornalista e critico teatrale del «New York Times» con cui iniziò a collaborare nel 1969. Nel corso della sua carriera egli scrisse più di 4000 articoli e intervistò le figure più importanti del mondo del teatro, da Beckett ad Albee, da Miller allo stesso Pinter. Molte di queste interviste sono confluite negli otto libri che Gussow pubblicò durante i suoi trentacinque anni di intensa attività giornalistica. EDITORE Ubulibri [www.ubulibri.it] - Collana La Collanina 15 Dove acquistarlo online: http://www.ubulibri.it/pinter.htm Contenuti speciali: http://www.haroldpinter.org
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Scaffale I Sempreverdi doP
A CURA DI BRUNO MIGLIORINI, CARLO TAVAGLINI E PIERO FIORELLI Quanti di voi conoscono la pronuncia esatta delle parole Himalaya e fondaco, o sanno per certo se olla ha la “o” aperta o chiusa, o se l’ortografia di kyrieleison è corretta così oppure così: kyrie eleison? Ebbene, queste come altre mille parole, complete di accento grave o acuto (ma anche umlaut, tilde o circonflesso) al posto giusto, sono racchiuse in un libro che è molto più di un semplice dizionario. La sigla DOP, infatti, significa letteralmente: Dizionario d’Ortografia e di Pronunzia, come recita il sottotitolo. Non per niente è edito dalla RAI e utilizzato da tutti gli speaker e doppiatori italiani che conosco. Anzi, fu proprio uno di loro un po’ di anni fa, Gianluca Jacquier, speaker professionista nonché prezioso membro della mia ormai estinta compagnia teatrale, che mi fece conoscere l’eccellente mezzo di comunicazione. Utile sia a chi deve “pronunziare”, quindi a tutti coloro che hanno nella parola detta il loro principale mezzo di espressione – sì, cari attori, ce l’ho proprio con voi – sia a chi riserva i propri talenti alla scrittura. Per me, ad esempio, è un alleato insostituibile, visto che oltre a scrivere per il teatro dedico gran parte della mia vita lavorativa a correggere gli sfondoni altrui, e posso assicurarvi per esperienza che anche il più bravo tra gli scrittori scivola, di quando in quando, su un congiuntivo, un passato remoto o l’ortografia di una parola, l’ultima che mi ricordo di aver corretto coi capelli dritti è stata: congegnali congeniali. Riportato in auge negli ultimi mesi, aggiornato ai nostri anni con la supervisione di Piero Fiorelli e reperibile sul sito della RAI, il DOP fece il suo debutto nel lontano 1969, quasi alla fine del periodo glorioso della Radiotelevisione Italiana, quando a tenere sotto scacco l’attenzione serale degli spettatori erano attori di teatro del calibro di Lina Volonghi, Paolo Stoppa, Arnoldo Foà e molti altri. Un’epoca felice in cui televisione e radio si ponevano per davvero come divulgatori di cultura, e non solo di pacchi e pacchetti di dubbia provenienza. Come recita l’introduzione alla prima edizione: «La lingua nazionale non può essere più un patrimonio di minoranze, un monopolio di certe province o di certe classi», affermazione che già da sola sarebbe portatrice sana di magone, il resto è addirittura da pianto nostalgico completo di suono di violini in sottofondo. Continuano infatti i curatori del DOP: «Il dizionario è destinato in primo luogo agli annunciatori, ai lettori, ai presentatori, agli attori, a tutti in generale i professionisti del microfono, che consultandolo troveranno in esso una guida attendibile per risolvere le loro incertezze di pronunzia», ma non solo, «l’opera si rivolge peraltro, soprattutto per quel che riguarda l’ortografia, anche al più vasto pubblico». E se ciò ancora non bastasse: «La RAI si lusinga che quest’opera, frutto d’approfondito studio linguistico e d’assiduo impegno civile, possa non solo giovare a rendere più esatta, più coerente, più elegante la pronunzia di quanti
parlano in pubblico dai microfoni della radio e della televisione […] ma possa anche e soprattutto, più in generale, portare un utile contributo di precisa informazione e di formazione critica alla cultura italiana». E con queste parole, scritte quasi cinquant’anni fa, chiudo il presente articolo che non ha bisogno di ulteriori commenti ma solo di un’attenta quanto amara riflessione, non solo su quello che è divenuta la RAI dei giorni nostri ma su quello che siamo diventati noi che ne usufruiamo. GLI AUTORI Bruno Migliorini (Rovigo 1896 - Firenze 1975), è stato un filologo e linguista, presidente dell’Accademia della Crusca, direttore di diverse testate culturali e autore del primo libro sulla storia della lingua italiana fondato su basi scientifiche. Ebbe un ruolo di rilievo anche nel movimento esperantista italiano. Carlo Tagliavini (Bologna 1903-1980), è stato un glottologo e linguista italiano, insegnò glottologia in molte università italiane e straniere e fu autore di molti libri sull’argomento. Nel 1963 fu insignito della medaglia d’oro per benemeriti nel campo della scuola, della cultura e dell’arte. Piero Fiorelli (Firenze 1923) è un linguista e uno storico del diritto italiano. Accademico della Crusca e insegnate universitario, è un esperto di fonetica italiana e ha collaborato con l’Istituto enciclopedico Treccani. EDITORE RAI-ERI [www.eri.rai.it] rai-eri@rai.it Dove consultarlo online: http://www.dizionario.rai.it/ http://www.ibs.it/code/9788841857267/mello-bruno/trattato-scenotecnica.html http://www.amazon.it/Trattato-scenotecnica-Bruno-Mello/dp/8841857269 http://www.bibliotu.it
LIBRI & TEATRO
Chiunque fosse interessato a proporre un libro per la rubrica, può inviarlo in formato digitale (word o pdf) a scena@uilt.it, oppure in versione cartacea all’indirizzo della sede UILT in Via della Valle 3 05022 Amelia (TR). Il materiale inviato non verrà restituito. DANIELA ARIANO
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Daniela Ariano, romana, è autrice di cinema e teatro e regista teatrale. Attualmente, oltre a scrivere drammaturgie originali, realizza su commissione adattamenti teatrali dai classici dell'Ottocento e dei primi del Novecento. Come divulgatrice di cultura lavora nell'ambito della narrativa contemporanea e della scrittura creativa.
I N SCENA ATTIVITÀ NELLE REGIONI FESTIVAL NAZIONALE DI TEATRO DIALETTALE PREMIO RENATO BROGELLI Nella splendida cornice dell’Anfiteatro Fausto di Terni, il 2 agosto si è tenuta la premiazione delle compagnie partecipanti alla fase finale del vI FESTIvAL NAZIONALE dI TEATRO dIALETTALE, Premio RENATO bROGELLI, sapientemente organizzato dalla Nuova Compagnia TEATRO CITTà dI TERNI che ha poi concluso la serata con uno dei suoi cavalli di battaglia “Lu sdroligu de Sant’Agnese”. Con la capace guida del presidente della compagnia organizzatrice Cav. Silvano Locci ed alla presenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Terni Dr. Giorgio Armillei, dei responsabili UILT Lauro Antoniucci (Presidente sezione Umbria) e Domenico Santini (Segretario Nazionale) la serata ha coinvolto un folto pubblico ed ha visto la Compagnia LUNA NOvA di Latina aggiudicarsi, con lo spettacolo “Filumena Marturano” del grande Eduardo, il primo premio, continuando, in tal modo, a mietere successi in Umbria (vittoria anche al TORRIONE di Citerna). La bontà del lavoro della compagnia laziale/napoletana è stata confermata anche dal premio per la migliore attrice protagonista a Carmelina Guarino. Anche la compagnia napoletana MA ChI Mò FFA FA, che ha presentato il testo ”Una pura formalità” ha ricevuto vari premi, a partire da quello di gradimento del pubblico, a quello della regia di Alfredo Scarpato, al miglior attore protagonista Ciro Cirillo e non protagonista Enzo Gattullo. Hanno completato i riconoscimenti quelli dati a Fausta Bennati (Compagnia Teatro Città di Perugia - ARTEMIO GIOvAGNONI) quale migliore attrice non protagonista, per l’allestimento scenico alla Compagnia EL PASSIì e simpatia a Salvatore di Maio del gruppo ANSITEATRO. L’auspicio è che, nonostante le difficoltà attuali nel mondo della cultura, manifestazioni di questa rilevanza nazionale possano trovare nuova linfa e proseguire, come, peraltro, confermato da tutti gli intervenuti.
“Filumena Marturano” della Compagnia LUNA NOVA di Latina regia di Roberto Becchimanzi
[da UILT UMBRIA]
XXXV CONCORSO TEATRALE CITTÀ DI SOVERIA MANNELLI
I FESTIVAL REGIONALE U.I.L.T.
[da UILT CALABRIA]
Il Teatro amatoriale è “di scena” ininterrottamente a Soveria Mannelli dall’agosto 1981 e quest’anno, puntualmente, ha avuto luogo la XXXv edizione del Concorso Teatrale Città di Soveria Mannelli e Primo Festival Regionale U.I.L.T., manifestazione patrocinata dall’Amministrazione Comunale e della UILT. Sette compagnie in campo, tutte UILT, per contendersi gli ambiti premi, nei luoghi più suggestivi della bella cittadina calabrese, dove nel lontano 1972 è nato il TEATRO IN PIAZZA per iniziativa della locale compagnia “U Surice Pazzu” ora “I Commedianti“. Si sono esibite, nel mese di agosto LA RIbALTA di Vibo Valentia con “Pilato” di Rosario Gattuso, I COMMEdIANTI di Soveria Mannelli con “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo (fuori concorso), LA TORRE di Torre Melissa con “Sordi, gioielli e ...cose e fimmini” di Federico Mancuso, IL SORRISO di Isola di Capo Rizzuto con “Occhio vivo... clinicamente morto” di Franco Sacco, la Compagnia PIZZITANA di Pizzo con “E il Sommo Poeta disse a me...” di Silvano Murmura, I MONAChELLARI di Dipignano con “Il Melo, il Pero, il Pesco” di Rosanna Brecchi, STUAZZI E PITAZZI di Carolei con “due amici ‘mbrogliuni” di Mirella Ciancio e Ruggero Ingratta, la Compagnia hERCULES di Catanzaro in “Matrimoni e viscuvati” di Piero Procopio. Questi gli spettacoli in cartellone che si sono succeduti nelle varie location che la perfetta organizzazione de I COMMEDIANTI ha messo a disposizione ad un pubblico come sempre interessato e partecipe: Arena di San Tommaso, Piazza Bonini, Largo ai Giovani, Largo Chiesa di Colla. In Piazza Bonini, dove c’è “la casa che pende”, con il contorno di un meraviglioso pubblico si è conclusa la Rassegna che ha dimostrato quanto valide e preparate siano tutte le compagnie partecipanti e quanto arduo sia stato il lavoro della giuria. Questi i risultati: 1° Premio alla RIBALTA, premio che dà diritto alla compagnia di partecipare alle selezioni per il Festival UILT 2016, Premio Speciale della Giuria a I MONACHELLARI di Dipignano (CS) e Premio Gradimento Pubblico alla Compagnia HERCULES di Catanzaro. Ha chiuso la manifestazione, in una serata da festa del teatro, la compagnia I COMMEDIANTI presentando una replica di “Ppe’ curpa du’ caputrenu!” di Gino Capolupo, Direttore Artistico di tutta la manifestazione; presenti i rappresentanti di tutte le compagnie, le autorità locali con il sindaco Giuseppe Pascuzzi e il Presidente dell’UILT Regionale Angelo Latella. Hanno fatto da cornice all’evento estivo quali graditi ospiti la Compagnia di Catanzaro, FARE TEATRO di Tonino Angeletti che ha presentato “E poi?...Nèenta!” di Ciccio Verra e il GRUPPO 88100 sempre di Catanzaro con “Delitto a teatro” di Massimiliano Riccio, che si sono svolti nella “bomboniera” del teatro calabrese “IL PICCOLO” di Soveria Mannelli.
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FESTIVAL MONOLOGHI 2015 - VALERIA SABEL I Giardini Comunali di Castel Giorgio (TR), nella serata del 30 agosto hanno ospitato la serata conclusiva di un percorso teatrale dedicato alla presentazione di monologhi, ideato dalla locale Compagnia TEATRO CASTEL GIORGIO, guidata da Mario Facchini, ed organizzato con la collaborazione della UILT Umbria. Dopo aver presentato, con successo, nella primavera due serate di monologhi a carattere regionale, con la collaborazione dei Comuni di Castel Viscardo e Porano ed altre associazioni locali, si è giustamente pensato di allargare a livello nazionale la manifestazione. Grazie anche al contributo logistico del Comune di Castel Giorgio è stata posta in essere la suddetta serata che ha visto la presentazione di tredici monologhi in concorso, esaminati da una giuria guidata dalla regista Alice Rohrwacher e composta da esponenti del mondo cine/teatrale e da politici della zona. Da ricordare anche l’intervento, fuori concorso, del Presidente Nazionale UILT Prof. Antonio Perelli che oltre che con un monologo sulla Divina Commedia ha allietato i presenti con altre poesie e aneddoti romaneschi. La competizione è stata vinta da Stella Paci (PROGETTO TEATRO di Pistoia) che ha favorevolmente impressionato con il monologo “Ferite a morte” di Serena Dandini. Oltre alle targhe ricordo offerte dalla UILT Umbria (presenti il presidente Lauro Antoniucci e la responsabile Centro Studi Raffaella Chiavini), altri riconoscimenti sono andati ad Alessia Cardinali (GRUPPO TEATRO CASTEL GIORGIO) e Elisa Simonetti (Compagnia LA BATRECCOLA di Porano), ma soprattutto si è assistito ad una bella ed interessante esperienza di teatro che ci auguriamo possa ripetersi e migliorare in futuro.
[da UILT UMBRIA]
FESTIVAL TEATRALE UILT ABRUZZO ALL’ANFITEATRO ROMANO DI ALBA FUCENS
FESTIVAL TEATRALE AMATORIALE all’Anfiteatro Romano di Alba Fucens Comune di Massa d’Albe (AQ)
[da UILT ABRUZZO]
Dal 3 agosto al 21 agosto 2015, all’Anfiteatro Romano di Alba Fucens, si è tenuto il Iv FESTIvAL TEATRALE AMATORIALE UILT AbRUZZO con il patrocinio del Comune di Massa d’Albe (AQ) e il supporto organizzativo dell’Associazione Musicale “hathor” di Massa d’Albe. L’Anfiteatro è da considerarsi uno dei luoghi più prestigiosi ad accogliere eventi artistico-culturali e la rassegna ne è stata la prova evidente regalando al pubblico una cornice storica emozionante sotto un cielo stellato che ha portato lo spettatore a vivere la kermesse sentendosi al centro dell’universo. Ha aperto la rassegna la Compagnia Teatrale SAN PELINO con “Non bastava la fame e lo friddo; pure jo tarramuto!!!”, una simpatica idea che ha permesso, attraverso una coppia di anziani del tempo rimasti “ibernati” dentro una stanza sigillata fino ai giorni nostri, di affrontare il tema della tragedia del terremoto nella Marsica del 1915 ed il confronto tra la vecchia e la nuova generazione. La seconda serata è stata la volta della Compagnia Teatrale I RAGAZZI dELL’USCETTA, che hanno portato in scena il musical di Cenerentola tratto dal testo di un’amatissima insegnante del territorio. Unicità di questa manifestazione è stata rappresentata dal fatto che gli attori che hanno messo in scena questo spettacolo sono tutti figli di attori che trenta anni or sono hanno recitato il medesimo testo. Ha chiuso la prima fase del Festival la Compagnia Teatrale TRE CONChE con una divertente commedia, ricca di accenti ed idiomi propri di tutta la Marsica e non solo, dal titolo “difetti e Confetti” che ha affrontato anche temi abbastanza importanti quali il razzismo e la cura dei nostri anziani, usando, ad hoc, il verso del mitico Pulcinella che recita “...pazzienne ...pazzienne se dice o' vero”... La quarta serata è stata allietata dalla brillante commedia “Na fémmena busciàrda” della Compagnia Teatrale JE CONCENTRAMÉNTE, dove il protagonista, Diéche, è un “arrampicatore sugli specchi” professionista che ha a che fare per tutto il tempo con bugie e intrighi, con la complicità o l’avversione di vari personaggi che, ognuno con le proprie caratteristiche, si alternano sulla scena. La Compagnia Teatrale ANCh’IO ha messo in scena, per la quinta serata, una rappresentazione teatrale dal titolo “Jo Tarramuto!... curri fijia bella – don Orione nel terremoto della Marsica” che racconta il dramma del terremoto del 1915, come questo è stato vissuto dagli abitanti di un paese della Marsica, l’importante operato di Don Orione arrivato in soccorso della popolazione ed il suo incontro con il giovane Secondino Tranquilli (ovvero Ignazio Silone). La serata finale, con la consegna dei riconoscimenti a tutte le Compagnie partecipanti, è stata allietata dall’esecuzione delle più belle romanze di opere liriche ed operette eseguite da Clemente Franciosi (Baritono) e Natalia Tiburzi (Soprano) con la regia audio e luci dell’Associazione Musicale “Hathor”. Questa rassegna, apprezzata ogni anno dalle Compagnie e giunta al suo quarto appuntamento con grande successo da parte del pubblico, è testimonianza di quanto sia importante avere la possibilità di conoscersi e confrontarsi nell’ambito del magico mondo del teatro amatoriale, formato da uomini e donne che dedicano il loro tempo libero per realizzare, con grande passione, spettacoli di qualità. Un ringraziamento va all’Amministrazione Comunale di Massa d’Albe nella persona del Sindaco, Giancarlo Porrini, e del delegato all’evento, il consigliere Gianluca Santucci, alla UILT Abruzzo, nella persona del Presidente Carmine Ricciardi, alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo, all’Associazione Musicale “Hathor” e a tutti coloro che hanno prestato la loro opera per la riuscita dell’evento. Roberto Carattoli (Assohathor).
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TEATROLTRE RICORDA L’ATTORE FRANCO CATALANO Si è svolta a Sciacca (Agrigento), con il patrocinio dell’Assessorato comunale allo Spettacolo e alla Cultura, dal 20 agosto al 9 settembre la sesta edizione delle SERATE dI TEATRO COMICO dedicate a Franco Catalano, rassegna teatrale del genere comico in ricordo del grande attore comico e cabarettista agrigentino, scomparso nel luglio del Duemila. Ricordare l’amico Franco per TEATROLTRE di Sciacca è diventata una costante dell’attività annuale della compagnia siciliana: ricordando l’artista amico si ha modo di riunire a Sciacca una buona ed efficace rappresentanza del teatro regionale, capace di esprimersi nelle diverse tonalità dell’ars comica dalla tradizione al moderno, dal popolare al surreale. Via via sono passati dal palcoscenico del suggestivo atrio del trecentesco complesso di Casa Fazello la Compagnia MEdEA di S. Cataldo con ”Onorata famiglia belfiore” nuova scrittura di Ivan Giumento, il Teatro Stabile NISSENO con “L’Arte della beffa”, rifacimento da Boccaccio, LA SvOLTA di Licata con il moderno classico americano “Cercasi tenore” di K. Ludwig, a fare eco la Compagnia hELIOS di Campobello di Licata con “Funny Money” di Ray Cooney, poi è stata la volta della coproduzione Club Gruppo TEATRO 13-PORTA vAGNU di Sciacca che ha presentato il classico italiano “Il Cilindro” di E. De Filippo, a chiusura è andato in scena, fuori concorso, TEATROLTRE con una novità assoluta “Finale di commedia”, un adattamento di Franco Bruno, da una pièce di A. Leotta, con tendenze all’assurdo ed al surreale. Buono il gradimento del pubblico che ha partecipato anche alla valutazione dei lavori in scena, esprimendo col voto popolare il suo diretto apprezzamento. Alla fine delle rappresentazioni, il verdetto della giuria tecnica ha indicato come Spettacolo Comico “L’Arte della Beffa” del Teatro Stabile NISSENO, alla cui regista Cinzia Maccagnano ha assegnato anche il premio Migliore Regia; Miglior Maschera Comica maschile è andato a Luigi Progno, protagonista di “Funny Money” della HELIOS di Campobello di Licata; Miglior Maschera Comica Femminile è stata conferita ad Annarita Maretta, protagonista de “Il Cilindro”, portato in scena da Club Gruppo TEATRO 13 e PORTA VAGNI di Sciacca. Il riconoscimento Serata di Teatro Comico, assegnato dal pubblico, è andato al Teatro Stabile NISSENO con “L’Arte della Beffa”, mettendo d’accordo giuria popolare e tecnica.
TEATROLTRE di Sciacca (AG) www.teatroltre.it
[da UILT SICILIA]
25° TEATRO IN VISINAL A MARANO LAGUNARE (UD) Nel mese di luglio ha avuto luogo la 25a edizione di TEATRO IN vISINAL Rassegna Teatrale Nazionale che ha visto rappresentati sul palco all’aperto di Piazza Frangipane nel centro storico di Marano Lagunare (Ud), i quattro spettacoli selezionati dalla locale ASSEMbLEA TEATRALE MARANESE, fra i 63 che erano stati proposti da 47 compagnie di 12 diverse regioni italiane. Il 4 luglio ha aperto la rassegna la pluripremiata compagnia COSTELLAZIONE di Formia (LT) con il coinvolgente lavoro “La Cattedrale”, l’11, il 25 e il 31 sempre di luglio si sono susseguiti gli spettacoli “Una tonnellata di soldi” del Gruppo Teatrale LA TRAPPOLA di Vicenza, l’azzeccata rilettura di “Natale in casa Cupiello” del TEATRO dEI dIOSCURI di Campagna (SA) ed infine “L’Odissea di un pescivendolo” del gruppo LA bROCChETTA di Udine. Un’edizione che verrà ricordata, tutto è andato per il meglio con quattro splendide serate teatrali seguite da un pubblico sempre numeroso e attento ed un’organizzazione all’altezza della situazione. Prossimo impegno per l’ASSEMbLEA TEATRALE MARANESE sarà in quel di Monfalcone La premiazione del 25° TEATRO IN VISINAL (GO) il 22 novembre per il debutto del nuovo spettacolo “Amor sei tu”, rivisitazione organizzato da ASSEMBLEA TEATRALE MARANESE in dialetto veneto/maranese di “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare. Una tragiDorino Regeni con Antonio Caponigro commedia dove non c’è spazio per sentimentalismi e lirismi, ma tutto è più semplice, didel TEATRO DEI DIOSCURI di Campagna (SA) retto, vero e accompagnato da una verve comica: uno Shakespeare popolare presentato attraverso la parlata di Marano Lagunare, con il linguaggio della maschera e le tecniche [da UILT FRIULI VENEZIA GIULIA] Info: ass.teatralemaranese@libero.it della Commedia dell’Arte.
’U PARTITU DI LU MANCIA MANCIA L’Associazione Socio-Culturale bARONE MUSSO di Villafranca Sicula (AG) nel corso dell’estate ha portato in tournèe la brillante commedia dell’autore siciliano Rocco Chinnici “’U Partitu di lu mancia mancia”. Lo spettacolo ha suscitato molti consensi sia per le situazioni esilaranti nelle quali sono coinvolti gli attori ed anche per un tema, quello della politica, sempre attuale. La vita quotidiana di un paesino della Sicilia viene turbato dalle vicende politiche di un candidato a Sindaco che pur di arrivare al proprio scopo non si fa scrupoli di come ottenere i voti. La vicenda lo contrappone ad un altro candidato il quale alla fine sarà il proprio consuocero per l’inattesa relazione dei rispettivi figli. Le ragioni del buon senso al termine prevarranno sulla politica sporca e piena di imbrogli che non fa altro che danneggiare le persone. «Promesse, imbrogli, chiacchiere, si fa nemico delle genti!». Questo alla fine è il messaggio che viene lanciato come in ogni commedia, tutto si risolve al meglio. La regia è stata curata da Antonella Di Salvo. Hanno partecipato alla realizzazione dello spettacolo in qualità di attori Calogero Latino, Giuseppina Di Graci, Gisella Sanfilippo, Leonardo Maniscalco, Enzo Barone, Enza Mauceri, Leo Vitabile, Andrea Di Graci, Francesco Zagarella, Antonella Di Salvo, Bettina Parisi. Giovanni Provenzano (direttore di scena), Antonino Giarratano e Stefano Russo (tecnici di scena); trucco e parrucco: Mirella Grisafi, Margherita Blanda e Romina Zagarella; luci e audio Antonino Catalanotto e Adriano Mulè Cascio.
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Gli attori dell’Ass. BARONE MUSSO di Villafranca Sicula (AG) impegnati insieme all’autore della commedia Rocco Chinnici [da UILT SICILIA]
LA GAZZA COMPIE 30 ANNI PRIMA TEATRALE DI “AMLETO CHI?”
“Amleto chi?” regia di Max Bazzana Ass. Teatrale LA GAZZA LADRA di Portogruaro (VE) Info: ass.lagazzaladra@alice.it
[da UILT VENETO]
L’Associazione Teatrale LA GAZZA LAdRA nasce a Portogruaro (Venezia) nel 1984 dall’incontro di alcuni giovani appassionati di Teatro che dopo alcune esperienze coltivate in ambito scolastico hanno deciso di proseguire in questo percorso, fondando una Associazione. LA GAZZA LAdRA, Associazione UILT dal 2003, si chiama così in quanto l’ouverture dell’opera di G. Rossini ha accompagnato in maniera abbastanza casuale i primi spettacoli precedentemente alla fondazione… la Compagnia ci si è affezionata decidendo di prendere questo nome, ed anche oggi la ripropone al termine degli spettacoli salutando il pubblico, quasi come gesto scaramantico e liberatorio della tensione del palco. Sono passati ormai 30 anni dal 25 gennaio 1985 giorno, in cui LA GAZZA LAdRA debutta con la prima produzione “ufficiale” ed il 10 aprile scorso per festeggiare adeguatamente questo 30° compleanno ha presentato presso il Teatro L. Russolo di Portogruaro la prima del nuovo spettacolo “Amleto chi?”. È uno spettacolo di difficile definizione. Nato da un canovaccio, si è trasformato in copione attraverso le vite e i racconti degli attori de LA GAZZA LAdRA che, insieme al regista Max Bazzana, si sono messi in gioco in questa avventura teatrale. È questo spettacolo, infatti, un esperimento metateatrale (teatro nel teatro) come spesso Shakespeare amava proporre. Tuttavia non si tratta di una tragedia, come l’Amleto, né di una semplice commedia, come potrebbe suggerire il titolo dissacratorio, e nemmeno lo si può definire commedia musicale o musical, pur giocando in scena con la musica e il canto. È una narrazione, ma in più è anche una composizione di storie nascoste dentro altre storie. Il filo rosso che lega i diversi piani interpretativi è rappresentato dalla contraddizione tra la necessità umana dell’esperienza teatrale e il teatro della nostra epoca spesso più attento, citando alcune battute dello spettacolo, “a far lustro al potente o ai potenti di turno” e “ad avere la sala piena”, disconoscendo l’esigenza di scuotere o spronare lo spettatore ad una riflessione critica. Claude, un regista depresso che ha vissuto, perso e rincorso il palcoscenico, cerca di ritrovare un senso alla propria vita e ingaggia, a ridosso delle feste natalizie, degli improbabili e scalcagnati attori per mettere in scena l’ “Amleto”. Inadeguatezza, cialtronaggine, assurdità e ironia sono alcune delle maschere indossate dai personaggi/attori, utilizzate per nascondere più profonde e intime emozioni, e che verranno messe a dura prova dal lavoro sul “sacro testo” shakespeariano. In definitiva un’esperienza vorticosa per i personaggi e per il pubblico per ritrovare il coraggio “...di provare ancora a fantasticare...”.
SE QUERIS: “LA BELLA STATUINA” Dopo molti anni di attività registica con i miei compagni delle BRETELLE LASCHE, i nostri “cugini” e amici della compagnia SE QUERIS mi hanno chiesto di avventurarmi con loro in una nuova regia, fra le pagine divertenti della commedia satirica: ed io ho accettato con grande entusiasmo questa nuova sfida. Ho proposto alla compagnia una rosa di testi e la scelta è caduta su “La bella Statuina” (titolo originale: “Potiche”) scritta dai commediografi francesi Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy nel 1983, ma ambientata nel 1977. Dal copione teatrale il regista François Ozon (lo stesso di “Otto Donne e un Mistero”) trasse l’omonimo film presentato al Festival di Venezia nel 2010 con Catherine Deneuve e Gerard Depardieu. Questa commedia è un vero tuffo nell’atmosfera degli anni ‘70, in quel periodo storico che fu segnato dalla contestazione giovanile e operaia e purtroppo anche dal terrorismo. È la storia della famiglia di Roberto Da Col, grosso industriale locale dell’ombrello, che si trova coinvolta nei moti operai e negli scioperi di massa che scoppiarono in quegli anni un po’ in tutta Europa ed anche in Italia (basti ricordare le grandi agitazioni degli operai della Fiat a Torino). Nel 1977 io ero appena adolescente, ma ricordo ancora, come fosse ieri, l’atmosfera di grande cambiamento che caratterizzò quegli anni in Italia e in Europa: anni in cui caddero i tabù sessuali, le certezze della società patriarcale cominciarono a vacillare e il femminismo, nato nel ’68, prese forza anche in Italia e diede inizio a un radicale cambiamento nel modo di guardare alle donne. Da mogli, madri, donne oggetto, vittime di una società maschilista e sessista (che purtroppo tenta di imporsi ancora oggi a distanza di quasi 40 anni) e soprattutto da “belle statuine”, le donne divennero pilastri consapevoli in una nuova società che stava maturando e crescendo. In quell’atmosfera di grande fermento si sviluppa la storia di Susanna Fistarol, sposata Da Col, moglie bella e coccolata di un industrialotto di provincia, che la tradisce con le sue segretarie alla luce del sole. Susanna è la reginetta dell’elettrodomestico, signora un po’ “inutile” e frustrata che, dopo uno sciopero generale dei lavoratori della fabbrica del marito e in seguito
a un malessere temporaneo di questo, si vede costretta a prendere le redini dell’azienda di famiglia. Come in molti miei spettacoli, anche ne “La bella Statuina” la musica la fa da padrona. Verrete cullati dalle note di alcune famose canzonette popolari di quel decennio, dalle esilaranti coreografie ideate da Giorgio Tollot, dai vivacissimi costumi scovati da Fina Lo Consulo e dal ritmo indiavolato di questi dieci bravi attori, che spero vi faranno ridere e sorridere pensando a quanto i tempi siano cambiati da allora, ma anche riflettere su quanto bisogno di cambiare abbia ancora il nostro Bel Paese. Buon divertimento a tutti! (Note di regia di Francesco Portunato)
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Associazione Teatrale SeQueris Alpago Puos D’Alpago (BL) tel. 347 5640562 [da UILT VENETO]
FESTIVAL CAMPANIA
TRENTINO ALTO ADIGE
4SALA CONSILINA (SA)
4GRIES (BZ)
I° FESTIVAL "MONODRAMA" MONOLOGUE DRAMATIQUE
IL MASCHERONE
SALA 94 - LA CANTINA DELLE ARTI www.lacantinadellearti.it
17° FESTIVAL NAZIONALE dal 29 novembre 2015 al 17 aprile 2016
8 novembre TEATRO DI CONTRABBANDO di Napoli “Il club delle indecise” di Giovanni Meola
TEATRO COMUNALE DI GRIES (BZ) Ass. LUCI DELLA RIBALTA di Bolzano www.lucidellaribalta.it
29 novembre LUCI DELLA RIBALTA di Bolzano “Cose dell’altro mondo” di Jean Noel Fenwick
15 novembre TEATRI SOSPESI Comp. DELL’ASINO ROTTO di Salerno “La Ciorta di Zeza” di Carlo Roselli 22 novembre ACCURA TEATRO di Marsala (TP) “A testa Sutta” di Luana Rondinelli 29 novembre LA CANTINA DELLE ARTI di Sala Consilina (SA) “S.U.D.” di Enzo D’Arco
PIEMONTE 4PINEROLO (TO)
XXXª RASSEGNA CONCORSO DI TEATRO DIALETTALE
CITTÀ DI PINEROLO
dal 10 ottobre al 21 novembre TEATRO INCONTRO, Via Caprilli 31
organizzato da: Circolo culturale “Pablo Neruda” e Gruppo Animazione Teatrale “Piccolo Varietà” di Pinerolo
10 ottobre Gruppo Teatro CARMAGNOLA di Carmagnola (TO) “Ma chi a l’ha vist-la?” testo e regia di Gianni Chiavazza 17 ottobre Companìa Teatral J’AMIS DëL BORG di Moncalieri (TO) “Fé ‘d bin… a j’àutri” (Caviale e lenticchie) di Scarnicci e Tarabusi regia di gruppo 24 ottobre Companìa Teatral ALFA TRE di Torino “Na sèira ‘n piòla” testo e regia di Bruno Monticone 31 ottobre Companìa Teatral I NUOVI CAMMINANTI di Biella “La povera Tilde” testo e regia di Anna Bruni
7 novembre Companìa Teatral CARLA S di Torino “Aggiungi un posto a tavola” comedia brilanta an Piemontèis an doi at di Garinei e Giovannini regia di TreMaGi 14 novembre Companìa Teatral IL PICCOLO TEATRO CARAGLIESE di Caraglio (CN) “Cadò ‘d Natal” di R. Conney, adatt. di Ezio Alciati regia di Enrico Giuseppe Riba 21 novembre spettacolo fuori concorso Companìa Teatral PICCOLO VARIETà di Pinerolo (TO) “L’ardità ‘d magna Ninin” Comedia brilanta an tre at testo e regia di Luigi Oddoero Premiazioni al termine della serata
13 dicembre TERZO MILLENNIO di Cengio (SV) “Plaza Suite 719” di Neil Simon 24 gennaio FILODRAMMATICA DI LAIVES (BZ) “Il marito di mio figlio” di Daniele Falleri 14 febbraio COMPAGNIA AL CASTELLO di Foligno (PG) “Niente da dichiarare?” di Hennequin e Veber 13 marzo TERZO TEATRO di Gorizia “My Fair Lady” musical di G.B. Shaw 16 e 17 aprile LUCI DELLA RIBALTA di Bolzano “Questioni d’affari” di J. Chapmann e J. Lloyd
25° FESTIVAL INTERNAZIONALE “CASTELLO DI GORIZIA. PREMIO FRANCESCO MACEDONIO” È partito il 25° festival CASTELLO dI GORIZIA. PREMIO FRANCESCO MACEdONIO organizzato dal Collettivo Terzo Teatro. Il ricco cartellone del festival oltre alla prosa, si allarga alla musica, alla danza moderna, all’operetta, alla poesia, dando vita a circa trenta appuntamenti (alcuni con ingresso gratuito) dal 18 settembre a fine gennaio 2016. Tra gli spettacoli: “La commedia più divina” di THEAMA TEATRO di Vicenza, “La famiglia canterina” delle Sorelle Marinetti, Francesca Nerozzi e Jacopo Bruno con il Trio jazz dell’Orchestra Maniscalchi, “Uomo e galantuomo” di Eduardo De Filippo della Compagnia MASANIELLO di Torino, l’Associazione Culturale TEATRO IMMAGINE SUONO con “La divina Comedia de dante Alighieri”, “Zoo di vetro” di Tennessee Williams de LA RINGHIERA di Vicenza, “Pinocchio” da Collodi del TEATRO FINESTRA di Aprilia (LT), regia Raffaele Calabrese; “L’uomo, la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello, del Teatro ARMATHAN di Verona, regia di Marco Cantieri; “Piccoli crimini coniugali” di Èric-Emmanuel Schmitt de LA CORTE DEI FOLLI di Fossano (CN), regia Marina Morra; “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo della COMPAGNIA DELL’ECLISSI di Salerno, regia di Marcello Andria, “Mai Far La Lady” da Pigmalione di George Bernard Shaw commedia musicale (fuori concorso) del Collettivo TERZO TEATRO di Gorizia, adattamento e regia di Mauro Fontanini; “Il barbiere di Siviglia” da Beaumarchais, Teatro IMMAGINE di Venezia, regia di Roland Benoit; “Molto piacere” dal film “Carnage” di Roman Polansky, Teatro IMPIRIA di Verona, regia di Andrea Castelletti; “Processo al Furlàn”(de un giudice triestin) di Roberto Covaz, novità assoluta con Gruppo Teatrale per il Dialetto di Gianfranco Saletta. Info: www.terzoteatro.it .
NEL TEATRO DI VINCI LA III RASSEGNA TEATRALE NAZIONALE UILT SELEZIONE TOSCANA Dal 26 settembre al 18 ottobre nel TEATRO DI VINCI (FI) ha luogo la selezione Toscana della Terza Rassegna Teatrale Nazionale della UILT. Cinque gli appuntamenti: “Pinocchio… burattino senza fili” della Compagnia ZONA TEATRO LIBERO; “La scelta”della Compagnia L’ARABA FELICE; “L’arte della commedia” della Compagnia GAD CITTà DI PISTOIA; “Il malato immaginario” della Compagnia PROGETTO TEATRO; “Mammeraviglioso” della Compagnia SESAMO E CARTAMO. Due spettacoli vincitori verranno selezionati in rappresentanza della Toscana, da segnalare al Comitato Nazionale della Terza Rassegna Teatrale Nazionale della UILT che avrà luogo a Velletri (Roma) nel 2016.
MENAECMI, DUE GEMELLI LUCANI UNA COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI DI DUEMILA ANNI FA La magia del teatro. Il teatro quello vero, quello dal sapore antico. È essenzialmente tutto questo la nuova produzione teatrale della stagione 2015 portata in scena dalla COMPAGNIA SENZA TEATRO di Ferrandina in provincia di Matera. Il nuovo lavoro dal titolo “Menaecmi. due gemelli lucani” è un riadattamento di una commedia di Tito Maccio Plauto grazie alla regia di Francesco Evangelista. La pièce portata in scena conserva l’impianto classico delle produzioni teatrali dell’epoca: il genere della commedia degli equivoci con personaggi volutamente appena abbozzati e che si muovono, pertanto, con leggerezza in situazioni paradossali, ma costruite con sagacia per strappare l’ilarità del pubblico. Una trama che, solo apparentemente, sembra esile, ma si sviluppa in una successione di colpi di scena. LA TRAMA - La riscrittura teatrale propone sin dall’inizio una scena, in linea con il testo originale, dove in maniera propedeutica due ancelle accompagnano lo spettatore nel vivo della scena, spiegandone il contesto. Mosco è un mercante di Metaponto sposato con Pinzia dalla quale ha avuto due gemelli: Menecmo e Sosicle. Arrivato a Paestum per un viaggio di affari smarrisce Sosicle; una volta tornato a casa per il dispiacere battezza l’altro gemello rimasto a Metaponto con il nome di quello scomparso. Questo, intanto, fattosi adulto un giorno ritorna a Metaponto da Capua alla ricerca della sua famiglia. Nel frattempo in città l’altro gemello conduce una vita agiata e, sebbene sposato, è dedito al tradimento della moglie con la bella e avvenente Erozia. Proprio facendo perno su questo avvenimento s’intrecciano vari equivoci che determinano una esilarante interazione sulla scena dei due gemelli e dei rispettivi servi che vicendevolmente non sanno dell’esistenza l’uno dell’altro, fino alla scoperta finale. L’INTERPRETAZIONE - La grande maestria della COMPAGNIA SENZA TEATRO è quella di connotare e caratterizzare i personaggi per farli vivere di luce propria in una veste interpretativa tarata su misura, con grande beneficio per il ritmo della rappresentazione. Il doppio ruolo del protagonista Francesco Evangelista, nelle vesti dei gemelli, certamente non facile e agevole dal punto di vista scenico, alla fine si rivela il fulcro nevralgico. A questo si annodano, poi, le ottime interpretazioni dei due servi che si offrono da spalla, sebbene supportati da distinte e ben congegnate caratterizzazioni; un gioco scenico poliedrico che fa quadrato sulla scena quando s’incrociano, in maniera trasversale, il servo di un gemello con l’altro fratello e viceversa. In questo impianto fanno da contraltare le interpretazioni femminili nei ruoli classici della moglie tradita e dell’amante gelosa e allo stesso tempo possessiva. In questo modo lo spettatore viene catapultato in un altrove ipotetico: ecco la magia del teatro e la sua dimensione catartica; ossia la possibilità di proiettarsi in situazioni fantastiche e fantasiose messe in scena dagli attori in uno sdoppiamento temporale affascinante e coinvolgente. L’ambientazione della commedia, infatti, è dell’epoca romana, ma un passo appena fuori dalla scenografia e sul confine sottile della stessa lo spettatore è avvolto in un metacontesto che è quello proprio della commedia dell’arte del xVII secolo. Il telo, per esempio, che volutamente costituisce la scarna scenografia è una concessione del museo nazionale di Parma ed è una riproduzione di un quadro settecentesco di Hubert. Lo spettatore, in sostanza, assiste a uno spettacolo dentro lo spettacolo: è come se stesse guardando uno spettacolo teatrale di due mila anni fa messo in scena da una compagnia teatrale del seicento; una di quelle che di paese in paese arrivava con i loro carretti e metteva in scena il proprio spettacolo spesso per una sola sera, andando poi via di notte come fuggiaschi perché magari avevano caricato la loro rappresentazione di un surplus di sarcasmo diretto al potente di turno. Si crea, così, una dimensione metateatrale unica e particolare che trova il suo corollario nei passaggi di scena caratterizzati dal rapido cambio e scambio del doppio protagonista nel suo alter ego in visione diretta; praticamente gli attori non escono quasi mai di scena, ma come succedeva proprio nella commedia dell’arte siedono ai margini della scena stessa, addirittura con il copione in mano e diventano vicendevolmente i suggeritori palesi di chi recita. Scemano in tal modo i confini della scena e del fuori scena.
“Menaecmi, due gemelli lucani” COMPAGNIA SENZA TEATRO di Ferrandina (MT) www.compagniasenzateatro.it
IL TEATRO dI PLAUTO - Questi elementi distintivi ci riportano direttamente alla dimensione del teatro plautiano, certamente innovativo e moderno per l’epoca. I personaggi sono maschere fisse ed è per questo che il pubblico è in grado di riconoscere facilmente il loro ruolo nel momento in cui entrano in scena o vengono citati. Rappresentano, insomma, uno stadio elementare dei rapporti sociali e appaiono prevedibili nelle loro azioni a causa della loro mancata caratterizzazione introspettiva che in realtà, però, non manca nel riadattamento proposto. Alla figura del servo sono collegati alcuni temi importanti anche a livello sociale; spesso questa figura è astuta o altre volte sciocca, ma sempre alle dipendenze del padrone, dal quale talora, però, si vuole affrancare. Nel caso specifico la doppia figura del servo rimarca ancora di più questa figura funzionale allo svolgimento della trama. Un altro elemento strutturale di grande importanza nelle commedie di Plauto è il riconoscimento finale, grazie al quale le vicende ingarbugliate trovano la loro fortunosa soluzione. La carica comica è assicurata da diversi fattori: un’oculata scelta del lessico, un sapiente utilizzo di espressioni, la scelta di figure tratte dalla vita quotidiana e una fantasiosa ricerca di situazioni equivoche in grado di generare l’effetto comico. IL SENSO TEATRALE - In sostanza, dunque, la leggerezza della commedia nasconde una profondità inaspettata che trascende dalla valenza tematica e dal contesto della commedia stessa che diventa, invece, quasi il pretesto per far assaporare allo spettatore spezzoni di storia dell’arte teatrale. Non si tratta, in altre parole, solo di una commedia brillante, scritta da uno dei maggiori commediografi romani, ma un contenitore originale dove risaltano le performance stilistiche della compagnia aragonese che porta in scena Francesco Evangelista nella doppia veste dei due gemelli, Generoso Di Lucca nella parte di Messenio servo di Menecmo II, Domenico Epifania in quella di Spazzola servo di Menecmo I, Marianna Regina nei panni di Erozia amante dei Menecmi, Piera Iacovazzi nella doppia veste di Doridippe (moglie di Menecmo I) e Coco Iutono (cuoco di Erozia); completano il cast Giuseppe Petrone che interpreta Mosco padre dei Menecmi e Silvana Labattaglia e Annarita Ventura nel ruolo delle due ancelle di Erozia. Infine le musiche e l’audio sono curati da Davide Di Prima, le scene e le luci da Adriano Nubile, l’organizzazione delle quinte da Simona Iacovazzi e i costumi da Monica Fiorito della Sartoria Artinà. Tutti attori e meta-attori, maschere a viso scoperto e interpreti di un teatro divertente, immersi in una dimensione quasi ludica, divertita e divertente, fino alla scena finale dove la mediazione interpretativa dell’attore protagonista va scemando fino quasi a perdere lo status di soggetto recitante. Sogno e realtà si sovrappongono e confluiscono in una stessa dimensione indistinta; i gemelli diventano una sola persona, un “se stesso” che è stato altro da se stesso fino a quel momento e che ora addirittura smette gli abiti di scena proprio sulla scena. L’attore ha scoperto se stesso sulle traballanti tavole del palcoscenico; ha preso consapevolezza del suo doppio e dell’altra metà e forse proprio per questo non può più recitare e non può che svelare la verità a se stesso e agli spettatori. L’attore che diventa spettatore. “Qui siamo attori, fuori siamo noi”. Ecco la magia del teatro. Il teatro della magia. (Giuseppe Balena)
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[da UILT BASILICATA]
IO ME E MONROE
“Io me e Monroe” di Mirko Zombetti regia di Federica Carteri e Roberta Zonellini ASSOCIAZIONE TEATRALE GATTO ROSSO Castelnuovo del Garda (VR) www.ilgattorosso.eu - www.spazioscart.it
[da UILT VENETO]
Un progetto che racchiude in sé elementi e approcci atipici per il teatro convenzionale, dalla drammaturgia alla messa in scena, e che prosegue il percorso di ricerca intrapreso dalla Compagnia GATTO ROSSO nella direzione di un teatro post drammatico. La drammaturgia è fatta sempre più con il corpo, le emozioni e la musica, e la parola è essenziale, poetica e “necessaria”, pertanto parte di un tutto, ma non esclusivamente il cuore e perno del lavoro. “Io me e Monroe” prevede la presenza in scena di due attori (Monroe e “cazzone”) e di due attrici che si relazionano tra loro o da soli, nell’espressione del personaggio (ognuno, sia uomo che donna, parte da Monroe) a volte solo con il corpo, altre volte verbalizzando e giocando con le parole tratte dalle storie di Monroe, e interagiscono con la regia e le sue proposte, programmate appunto per un’approfondita ed intima reciproca conoscenza e studio. Tutto è cominciato quasi un anno fa con una community sul social network Facebook in cui Mirko Zombetti (VR), ideatore e autore principale, dà vita alle vicende di Monroe e così la descrive: «Io me e Monroe è un’idea che nasce di notte scrivendo note sul portatile. Monroe non è un mio alter ego. Monroe è cinico, disincantato, stufo, annoiato, fondamentalmente solo, anestetizza la sua vita con l’alcool senza disdegnare gli psicofarmaci. Monroe ne ha viste cose: brutte, noiose, cattive ma anche belle, felici e vere. Vive di sé e dei suoi ricordi, le delusioni gli hanno consegnato un carattere difficile e burbero, le affermazioni che esterna sono il suo respiro. Racconta e dice quello che tanti, pur pensandolo tacciono. Allora è diventata questa l’idea, ogni tanto chiedo agli amici/amiche di essere loro Monroe, faccio una domanda e sulle risposte, scegliendo una foto che si leghi all’argomento, costruisco il post. Volete essere Monroe anche solo per un giorno? Basta che mi scriviate in privato. Prima o poi la domanda vi arriverà, chiaramente dovrò esercitare un minimo di controllo sui contenuti, ma sempre in accordo con voi. Il desiderio è quello di riuscire a fare un post al giorno, senza assillo però. Farlo diventare qualcosa di interessante che strappi un sorriso, amaro o divertente non importa. Sarà sempre pubblicato in contemporanea anche su Instagram. Adesso Monroe vi direbbe “mi avete rotto i coglioni, vedete insieme alla domanda di mandarmi una bottiglia… piena, cazzoni!!!” . Se vi farà piacere sarà sempre buona cosa condividere i post e mettere “like”. Se volete partecipare non Messenger per favore, preferirei al mio indirizzo di posta elettronica con oggetto: Io me e Monroe»...Per mesi mi sono spesso, quasi quotidianamente, trovata a condividere i post con le avventure di Monroe, a scrivere come lui anche, Mirko mi ha detto in battuta “vuoi rubarmi il lavoro? Anzi… Perché non ci fai una pièce teatrale?”. E io ho cominciato a pensarci. Le storie di Monroe hanno tutte la medesima caratteristica, sono brevi e brutali, ma poetiche anche, sicuramente emozionali. Non volendole snaturare mi sono chiesta come portarle in scena dando loro una continuità, come rendere la visione globale. Ma mi sono detta che in fondo non era nemmeno necessario: hanno già un loro filo conduttore e ben si prestano al metodo di lavoro e approccio al testo di Gatto Rosso, inoltre danno spazio e modo alla vera sperimentazione... (Federica Carteri - autore, regista, attrice -Ass. Teatrale Gatto Rosso, Spazio SCArt)
UNA ORIGINALE E DIVERTENTE MESSA IN SCENA LA STORIA DE TRII AMIS, TRE DONN E ... Il teatro è anche memoria da raccontare a chi non ha vissuto i bei tempi andati ma anche far ricordare a quanti, da giovane, hanno vissuto quei tempi perchè “vultas indree olter che bel l’è necesari” (ricordare oltre che bello è necessario) cita il nostro poeta. “Pieren ul busin” è il titolo dello spettacolo messo in scena da LA COMPAGNIA Gruppo Teatro di vimercate. Per chi non conosce il milanese “Busin” è un tipico contadino brianzolo (a nord di Milano) ma è anche un poeta e cantore dialettale (Carlo Porta, massimo rappresentante, scriveva le Businate ovvero racconti e poesie in dialetto) ed il nostro protagonista è contadino e poeta! La commedia non è la solita situazione di cortile o di ringhiera ma è una nuova e originale messa in scena tratta da un racconto scritto da un poeta della nostra città e ambientata in un qualsiasi paesotto della Brianza perché, nei bei tempi andati ma ancora oggi, tutti i paesi Brianzoli si somigliano. La chiesa, la fiera che coincide con la festa del paese in onore del santo patrono con la relativa usanza religiosa e mistica, un caratteristico sacrestano, un fiumiciattolo che attraversava il paese con un ponte se non antico almeno vecchio, l’albergo più o meno elegante, la prestigiosa villa di delizia di qualche conte o marchese e anche il tram che portava a Milano erano luoghi e situazioni negli usi e costumi della Brianza. “L’era ul dii de la fera ...” così inizia la nostra storia nel giorno della fiera di merci e bestiame. Pieren viene incaricato dall’amico di scegliere e comprare una mucca. Naturalmente gli affari vanno bagnati e non manca la classica cioca (ubriacatura) con amici, ci sono le donne pettegole sul sagrato della chiesa, c’è la mangiata nella classica trattoria del paese e non mancano nemmeno gli originali venditori ambulanti da fiera. Il finale, sia pur divertente, è molto riflessivo e poetico con un elogio all’amico trapassato intenso e ironico nel ricordo della loro giovinezza. Lo spettacolo, che in autunno varcherà i confini della Brianza, è un misto di divertenti scenette recitate (in un dialetto comprensibilissimo) intervallati da stacchi di poetica multimedialità e canzoni. Si ride, si ascoltano poesie e si riflette divertendosi, sempre nell’ambito della fiera paesana. (Carlo Confalonieri)
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Gruppo Teatro LA COMPAGNIA di vimercate (Mb) [da UILT LOMBARDIA]
N EWS PREMIO FERSEN ALLA REGIA A ROBERTA COSTANTINI A Milano il 19 ottobre nella prestigiosa cornice del Chiostro “Ave Ninchi” del Piccolo Teatro di Milano la Cerimonia di premiazione del PREMIO FERSEN ALLA REGIA E ALLA dRAMMATURGIA contemporanea, xI edizione. Ideazione e Direzione artistica: Ombretta De Biase. Il premio nasce nel 2003 con il duplice intento di rendere omaggio alla memoria di Alessandro Fersen, regista, attore e drammaturgo, e di dare un segno di incoraggiamento alla drammaturgia italiana vivente. Il Premio - assegnato da una giuria di elevata caratura composta da Enrico Bernard, Andrea Bisicchia, Fabrizio Caleffi, Anna Ceravolo, Ombretta De Biase, Corrado D’Elia - consiste nella pubblicazione integrale in ebook e in cartaceo delle recensioni agli spettacoli, in un volume antologico, a cura di Youcanprint, dal titolo: “Il Premio Fersen” e distribuito da Amazon Kindle Store, Apple Ibook Store, Ibs.it, Nokia Reading, LaFeltrinelli, Libreria Rizzoli, Hoepli, Ebook. Inoltre, i Direttori Artistici, fra cui alcuni membri della giuria dei Teatri di Milano come Teatro Libero, Teatro Franco Parenti, Teatro Caboto e dei Teatri di Roma valuteranno la possibilità di inserire lo spettacolo all’interno delle loro presenti o future programmazioni. Nell’elenco degli artisti premiati quest’anno, il premio alla regia di Roberta Costantini della Compagnia COSTELLAZIONE di Formia per “La Cattedrale”. Sezione drammaturgia: Gigi Borruso, per “Un errore umano”; Caroline Pagani e Filippo Bruschi, per “Luxuriàs. Lost in lust”; Biancanives Togliani, per “Goghgauguin”. Testi segnalati: “Un vecchio gioco” di Tommaso Urselli; “The yellow brick road” di Rosalina Conti. Sezione regia: Laura Sicignano e Alessandra Vannucci, per “Donne in guerra”; Marco M. Pernich, per “Genesi”; Roberta Costantini, “La cattedrale”.
“JAGO” DI ENRICO FAURO
ALGHERO OSPITA IL DEBUTTO A maggio del 2015 ha debuttato ad Alghero “Jago”, presso lo splendido Teatro Civico della cittadina catalana. Lo spettacolo, accolto con grande entusiasmo dal pubblico e dalla critica, sarà replicato per tutto l’anno in corso e per buona parte del 2016 nell’Isola e fuori. Si tratta di una performance realizzata con due interpreti (durata di 65 minuti). L’adattamento è di Enrico Fauro; la regia è nata da una collaborazione degli stessi interpreti: Antonio Scanu ed Enrico Fauro. Le musiche sono dell’Otello di Giuseppe Verdi. Giuseppe Verdi alla fine della sua brillante carriera di operista, si volle misurare con una messa in musica di questo lavoro, sentendo la necessità di operare un piccolo ma significativo cambiamento che poi non andò in porto in fase definitiva: l’idea di cambiare il titolo della sua versione, da “Otello” a “Jago”, dandogli il nome dell’antagonista principale della vicenda. Quest’intenzione iniziale è confermata anche nel preludio dell’opera - che poi venne
escluso dalla partitura definitiva - il quale esordiva proprio con il tema musicale sinistro e crudele di Jago. Probabilmente, dietro questa necessità di rinominare l’opera, vi era quella di voler rileggere l’Otello ponendo al centro dell’analisi il vero motore della vicenda, Jago, a causa del quale il Moro diviene effettivamente un protagonista passivo. Se indulgiamo in questa analisi, la Gelosia, universalmente ritenuta tema principale del testo shakespeariano, perde la sua posizione centrale, o perlomeno è la Gelosia di Otello a perdere il posto cardine. Infatti nell’analisi operata da noi si giunge a comprendere che la vera Gelosia nell’opera non è quella del Moro, bensì quella del personaggio che meno avremo pensato coinvolto in tal senso: la Gelosia di Jago. Nella tradizionale lettura infatti le ragioni che muovono Jago ad ordire il suo geniale e malevolo piano sono perlopiù vaghe o comunque non del tutto consistenti per giustificare un accanimento come il suo. Jago viene considerato “il cattivo” e questo al pubblico basta a spiegare l’efferatezza delle sue azioni. Ma in realtà se si scava delicatamente nella raffinatezza delle parole dell’alfiere veneziano, scopriamo la tridimensionalità di un personaggio umano, vittima a sua volta di paure inconfessabili, di una sete di rivalsa e di una radicale e ardente gelosia, profonda quanto ben celata, che diventa la sua ragione di vita. Amore e gelosia sono al centro dell’opera “Otello”, ma quindi non di Otello, bensì quelli di Jago. In questa ragione trova radice la nostra volontà di capovolgere il titolo, come suggerito dal Maestro Verdi, da “Otello” a “Jago”. La vicenda originaria si svolge tra Cipro e Venezia, mentre per noi la collocazione è vaga: potrebbe essere a Cipro, o nella testa di Jago, o più probabilmente in quella di Otello. Infatti
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tutti gli altri personaggi scompaiono e l’intera opera diviene un dialogo feroce tra i due. I due personaggi potrebbero essere uno la proiezione del demone dell’altro. Oppure potremmo essere di fronte ad un estremo confronto con la morte e potremmo dunque trovarci sulla “bergmaniana spiaggia” da Settimo Sigillo... perchè i nostri due protagonisti giocano a scacchi. E forse tutti gli altri personaggi diventano pedine di una crudele partita mortale. Ed ecco che, con questo espediente scenico, attraverso il quale non sappiamo quanto i due personaggi dibattano della partita a scacchi in corso o della reale loro sanguinosa vicenda, portiamo in scena in maniera nuova gli altri temi straordinariamente importanti dell’opera shakespeariana. Gli scacchi sono indissolubilmente legati all’inganno d’astuzia, quello della strategia terribile e geniale di Jago, e alla pazzia sanguinaria, quella di Otello. La strategia del gioco simile a quella di Jago, la pazzia di Otello, il sangue, legano quindi gli scacchi a doppio filo con la morte, cosa ampiamente indagata da Bergman. In fine la scelta registica vuole ribadire l’espediente utilizzato quasi ossessivamente da Shakespeare d’evidenziare il binomio bianco-Nero: nell’opera vi è un costante riferimento a questi due colori, che contrassegnano in maniera oppositiva le vere caratteristiche dei personaggi: tutto ciò che sembra nero, il moro Otello prima di tutto, è in realtà innocente e puro, mentre tutto ciò che è bianco, in realtà è oscenamente sozzo e annerito dal misfatto e dalla menzogna. Sembra quasi fare eco a questo principio la frase chiave d’apertura del Macbeth per bocca delle streghe: “Il bello è brutto, il brutto è bello” che sta per “Il vero è falso, il falso è vero”... nulla è ciò che appare. [notizia da UILT SARDEGNA]
LAB LABORATORIO “IL LAVORO DELL’ATTORE” Il Centro Studi UILT veneto ha organizzato a Verona per i propri soci sabato 7 e domenica 8 novembre il laboratorio teatrale “Il lavoro dell’attore”, con i docenti Roberto Totola e Marina Furlani. L’attore per essere creativo deve acquisire padronanza di un metodo. Ci sono alcune condizioni da rispettare e da sfruttare come oggetto di ricerca sempre più approfondita. Rimozione di vecchie abitudini stimolando un processo di auto – penetrazione che spinga fino al subconscio. Convertire questo processo in segni costruendo una partitura, eliminando le resistenze e gli ostacoli derivati dal proprio organismo sia dal punto fisico che da quello psichico (due parti che formano un’entità unica). L’attore deve rimuovere tutto ciò che lo blocca. Non si deve insegnare “come” si recita un personaggio, “come “ si muove. Tutto ciò dovrà nascere da egli stesso. La realizzazione dell’attore rappresenta il superamento delle mezze misure della vita quotidiana, degli intimi conflitti tra il corpo e l’anima, l’intelletto e il sentimento, i piaceri fisiologici e le aspirazioni spirituali. PROGRAMMA: 1. Allenamento dell’attore – Actor training 2. Esercizi di riscaldamento – Warm up exercises 3. Esercizi plastici ed acrobatica – “Plastice exercises” and acrobatics 4. Improvvisazione ed espressività - Improvisation and expression 5. Tecnica parlata e fonetica - Spoken and phonetic language techniques 6. Work in Progress teatrale - Theatrical creation [da UILT VENETO]
Informazioni: centrostudi@uilt.veneto.it Curriculum Roberto Totola: http://www.shiftingpoint.com/associazione/roberto-totola/ Curriculum Marina Furlani: http://www.shiftingpoint.com/associazione/marina-furlani/
TEATRO LABORATORIO ISOLA DI CONFINE Il Teatro Laboratorio ISOLA dI CONFINE presenta le attività di formazione del progetto “Tecniche di Comunità e Residenze Creative” a Marsciano (PG). I corsi, a cura di Valerio Apice e Giulia Castellani, sono: TEATRANDO INSIEME. Corsi per bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni diretti da Giulia Castellani, Davide Tassi e Valerio Apice. TEATRO E PERSONA. Laboratorio teatrale aperto a tutti – diretto da Valerio Apice. Tecniche, tradizioni, pratiche teatrali per dare vita a un teatro come evento di comunità. IL CORPO VIVO - L’EMOZIONE CHE DIVENTA DANZA diretto da Marika Gatto e Luisa Piro. Laboratorio integrato di danzamovimentoterapia ed espressività corporea aperto a danzatori, attori e chiunque sia interessato a scoprire ed esprimere la propria creatività e massimizzare le proprie potenzialità espressive attraverso l’arte del movimento. I corsi si svolgono ogni venerdì, sabato e domenica presso la Sala Eduardo De Filippo di Marsciano (PG). Il progetto nasce come continuazione di un'attività poliedrica, multiculturale e multidisciplinare portata avanti nel corso degli anni dal Teatro Laboratorio ISOLA DI CONFINE. Durante l'anno, vengono svolte numerose iniziative rivolte a varie fasce di età e professionalità diverse: dai seminari rivolti alla formazione dell'attore ai progetti dedicati al mondo della scuola, dalla produzione di spettacoli alle residenze artistiche. [da UILT UMBRIA]
Info: tel. 3497215545 - info@isoladiconfine.it - www.isoladiconfine.it
IMPROVVISAZIONE TEATRALE A PADOVA Alcune persone fraintendono l’Improvvisazione Teatrale. Per la maggioranza Improvvisazione è approssimazione e impreparazione, per alcuni è unicamente comicità o leggerezza. Per l’Associazione Culturale CAMbISCENA di Padova l’Improvvisazione Teatrale è creare storie e personaggi, situazioni ed emozioni senza seguire un copione, senza scenografie o costumi, senza canovaccio né suggeritore, ma solo grazie alla fantasia, alla spontaneità, all’interazione e all’ascolto. Improvvisare è scrivere sul foglio bianco della scena diventando allo stesso tempo autori, attori e registi di se stessi e degli altri. L’ispirazione arriva dalle nuove forme di teatro all’improvviso nate in Canada negli anni ‘70 che portano in scena il concetto del “qui ed ora”, le tecniche della narrazione spontanea, l’idea del coinvolgimento diretto del pubblico, la filosofia della creazione collaborativa. CAMbISCENA organizza nel territorio corsi e spettacoli di Improvvisazione Teatrale per diffondere e onorare questa disciplina che affonda le sue origini proprio in Veneto con la Commedia dell’Arte. Un "teatro che non ti aspetti", che ti stupisce e che ti diverte, un evento straordinario che coinvolge gli attori in scena e il pubblico in platea, tutti partecipi di un’esperienza unica e irripetibile. Info: tel. 3490683830 - info@cambiscena.it - www.cambiscena.it
[da UILT VENETO]
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R EGIONI U ILT UILT ABRUZZO Presidente Carmine Ricciardi Via Colle Scorrano, 15 65125 Pescara tel. 085.4155948; cell. 348.9353713 uiltabruzzo@gmail.com Centro Studi Margherita Di Marco Via G. Matteotti, 115 64022 Giulianova (TE) cell. 340.6072621 info@compagniadeimerlibianchi.it
UILT BASILICATA Presidente Maria Adele Popolo Via V. Bachelet, 7 75020 Nova Siri Scalo (MT) cell. 333.5035256 mariadelepopolo64@gmail.com Segretario Davide Domenico Di Prima Viale Mazzini, 175 75013 Ferrandina (MT) cell. 338.6558965; tel. 0835.555166 davide.diprima@gmail.com Centro Studi Catello Chiacchio Viale dei Peucezi, 175 75100 Matera cell. 338.3572177; tel. 0835.261287 lello44@libero.it
UILT CALABRIA Presidente Angelo Latella Via Ribergo, 2 trav. xI 89134 Pellaro (RC) cell. 347.9953185; tel. 0965.357359 angelo.latella@tiscali.it Segretario Antonino Denaro Via Nazionale, 82/a 89063 Melito Porto Salvo (RC) cell. 349.4021696 ctm.lafucina@gmail.com Centro Studi Luigi Capolupo Via Carlo Parisi, 26 89900 Vibo Valentia tel. 0963.45563; cell. 347.8505673 gino.capolupo@gmail.com
UILT CAMPANIA Presidente Orazio Picella Via Arno, 28 - 80126 Napoli cell. 349.7832884 orazio.picella@gmail.com Segretario Antonella Giordano Via Mura Rosse, 41 84036 Sala Consilina (SA) cell. 340.5656963 nellagiordano@tiscali.it Centro Studi Vincenzo D’Arco Via Giocatori, 18 84036 Sala Consilina (SA) cell. 339.4974746 enzodarco@alice.it
UILT EMILIA ROMAGNA Presidente Pardo Mariani Via Ermete Novelli, 2 40137 Bologna
62100 Macerata tel. 0733.233175; cell. 348.0741032 romagn.quinto@libero.it Segretario Gianfranco Fioravanti Via Gioberti, 2 63031 Castel di Lama (AP) cell. 335.221237 fioravantigian@hotmail.com Centro Studi Francesco Facciolli Via Olivieri, 35/E 62014 Corridonia (MC) cell. 349.2511326 frascidan@alice.it
cell. 392.7696927 pardo_268@hotmail.com Segretario Franco Orsini c/o Segreteria U.I.L.T. Via E. Novelli, 2 - 40127 Bologna cell. 335.6092909 franco.orsini17@gmail.com Centro Studi Giovanna Sabbatani Via A. Ristori, 12 - 40127 Bologna cell. 349.7234608 giosabba@libero.it
UILT FRIULI VENEZIA GIULIA
UILT MOLISE
Presidente Dorino Regeni Via F. Filzi, 4 33050 Marano Lagunare (UD) cell. 335.6692255 dorinore@libero.it Segretario Riccardo Fortuna Via Settefontane, 8 - 34138 Trieste cell. 335.311693 riclofor@tiscali.it Centro Studi Rita Carone Via T. Modotti, 5 34075 San Canzian d’Isonzo (GO) cell. 328.8175407 r.carone.csfvg@gmail.com
Commissario Mauro Molinari Via V. Cardarelli, 41 62100 Macerata cell. 338.7647418 mauro.molinari70@gmail.com Segreteria rivolgersi al Segretario nazionale Domenico Santini Strada Pieve San Sebastiano, 8/H 06134 Perugia cell. 348.7213739 segreteria@uilt.it
UILT PIEMONTE
UILT LAZIO Presidente Stefania Zuccari Via San Quintino, 5 - 00185 Roma cell. 335.5902231; tel. 06.70453308 stefania.zuccari@libero.it Segretario Enrico Cappelli Via San Crispino, 39 00049 Velletri (RM) cell. 333.7209172 enrico.cappelli@alice.it Centro Studi Gianfranco Iencinella Via San Michele, 47 04011 Aprilia (LT) cell. 328.0184666 ienci@tiscali.it
Presidente Alba Alabiso Via Morardo, 18/28 10040 La Loggia (TO) cell. 392.0618386; tel. 011.9658120 uilt.piemonte@gmail.com Segretario Guido Foglietta Via Veglia, 37/B - 10136 Torino cell. 349.8099462 fgmac73@gmail.com Centro Studi Fabio Scudellaro Via Mulino, 1 - 10060 Macello (TO) cell. 348.0430201 centrostudi.uilt.piemonte@gmail.com
UILT PUGLIA
Commissario Duilio Brio Corso Bramante, 66 10126 Torino tel. 011.5764595 comliguria.uilt.piemonte@gmail.com
Presidente Teresa Taccone Via Papa Paolo VI, 6 70013 Castellana Grotte (BA) cell. 328.0943771 teresataccone@yahoo.it Segretario Antonella Pinoli Via Luigi Sturzo, 15 70013 Castellana Grotte (BA) pinoli@email.it
UILT LOMBARDIA
UILT SARDEGNA
Presidente Corrado Villa tel. 039.2301308; cell. 348.6400350 corvi53@gmail.com Segretario Claudio Torelli Via Cugola, 37 - 46030 Virgilio (MN) cell. 347.3108695; tel. 0376.280378 claudiotorelli2@virgilio.it Centro Studi Omar Mohamed Via Mazzini, 14 - 20021 Bollate (MI) cell. 333.7379870 direttore.artistico@teatrogost.it
Presidente Marcello Palimodde Via G.M. Angioy, 84 - 09124 Cagliari cell. 393.4752490 mpalimodde@tiscali.it Segretario Viviana Loddo Via Giulio Cesare, 212 09042 Monserrato (CA) cell. 349.8789579 viviana.loddo@gmail.com Centro Studi Elena Fogarizzu Via G.M. Angioy, 84 - 09124 Cagliari c.studiUILTsardegna@tiscali.it
UILT LIGURIA
UILT MARCHE Presidente Quinto Romagnoli Via Emanuele Filiberto, 10
UILT SICILIA Presidente Franco Bruno
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Via Orti San Salvatore, 13 92019 Sciacca (AG) cell. 339.2067856 - tel. 0925.82163 franbruno@tiscali.it Segretario Vincenzo D’Asaro Via Cava de’ Tirreni, 6/A 92019 Sciacca (Ag) cell. 329.3785859 enzodasaro@libero.it Centro Studi Gaspare Frumento Via F.lli Bandiera, 5 92027 Licata (Ag) cell. 327.0086810 dietrolequinte.07@libero.it
UILT TOSCANA Presidente Moreno Fabbri Via del Roccon Rosso, 46 51100 Pistoia cell. 335.7020353 personae@virgilio.it Segretario Stella Paci Via Gentile, 590 51100 Pistoia uilttoscana3@gmail.com
UILT TRENTINO ALTO ADIGE Presidente Willy Coller Via Masi, 1 - 39055 Laives (BZ) cell. 347.4362453 trentinoaltoadige@uilt.it Segretario Elisabetta Marcantonio Via Resia, 16/E - 39100 Bolzano cell. 392.1043086 bettiblu@hotmail.com Centro Studi Dora Fronza Via Lunelli, 62 - 38100 Trento tel. 0461.825345 dorafro@gmail.com
UILT UMBRIA Presidente Lauro Antoniucci Via Quintina, 65 - 06135 Perugia cell. 328.5554444 lauroclaudio@hotmail.com Segretario Sabrina Billi Via Settembrini, 8/c San Mariano - 06073 Corciano (PG) cell. 347.6730770 sabrina.billi@libero.it Centro Studi Raffaella Chiavini Via Quintina, 65 - 06135 Perugia cell. 334.1327482 lauroclaudio@hotmail.com
UILT VENETO Presidente Michele Teatin Via degli Alpini, 7 37047 San Bonifacio (VR) cell. 328.2212927 veneto@uilt.it Segretario Daniela Boscato Via G. Pascoli, 8A 37032 Monteforte d’Alpone (VR) cell. 346.3757903 segreteria@uilt.veneto.it Centro Studi Elena Tessari centrostudi@uilt.veneto.it
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MO
CONCORSO NAZIONALE DEL TEATRO DIALETTALE STEFANO FAIT
STAGIONE DEL TEATRO DI LAIVES 2015/16 TEATRO DEI FILODRAMMATICI
GINO COSERI LAIVES
VEN23OTT15 > ORE 20.45
VEN11DIC15 > ORE 20.45
VEN22GEN16 16 > ORE 20.45
Compagnia Teatrale I Melannurca - Torino
Teatro Stabile di Bolzano - con Andrea Castelli
Compagnia Terzo Teatro - Gorizia
SABATO, DOMENICA E LUNEDÌ
LA SCELTA DI CESARE
MAI FAR LA LADY!
Commedia in dialetto napoletano in 3 atti di Eduardo De Filippo - Regia di Antonio Giuliano
Atto unico di Pino Loperfido Regia di Andrea Brandalise
Da “Pigmalione” di George Bernard Shaw Adattamento e regia di Mauro Fontanini
VEN06NOV15 > ORE 20.45
VEN08GEN16 > ORE 20.45
VEN05FEB16 > ORE 20.45
Compagnia Il Teatro dei Pazzi - San Donà di Piave (Ve)
Compagnia Teatro Veneto - Città di Este (Pd)
Gruppo Teatrale per il Dialetto di Trieste e Gorizia
VECI SE NASSE, NON SE DEVENTA
I CIASSETTI DEL CARNEVAL (chi la fa l’aspetta)
I BOTONI DE LA MONTURA
Commedia in dialetto veneto in 2 atti di Giovanni Giusto Regia di Giovanni Giusto
Commedia veneziana in 2 parti di Carlo Goldoni Regia di Stefano Baccini
Commedia di Carpinteri e Faraguna Regia di Gianfranco Saletta
VEN20NOV15 > ORE 20.45
VEN15GEN16 > ORE 20.45
VEN19FEB16 > ORE 20.45
Compagnia La Barcaccia - Verona
Filodrammatica di Laives
I Cababoz
EL CIEL SOTTO VERONA
IL MARITO DI MIO FIGLIO
LA NOTTE DEGLI OSCAR
Commedia in dialetto veneto in 2 atti Adattamento e regia di Roberto Puliero
Commedia brillante in 2 atti di Daniele Falleri Regia di Roby De Tomas
Serata di premiazione concorso
RECITA STRAORDINARIA FUORI ABBONAMENTO omaggio per gli abbonati
la FILODR
AMM
ICA DI LA La FILODRAMMATICA DI LAIVESATpresenta IVES pres
HOTEL CASAGRANDE - LAIVES
enta
NUOVO SPETTA 2015 COLO
Regia di Roby De Tomas
GIOVEDÌ 19 NOVEMBRE 2015 ore 20.30 Cena con delitto: “Ballo in maschera”
GIOVEDÌ 17 DICEMBRE 2015 ore 20.30 Cena con delitto: “Ballo in maschera”
GIOVEDÌ 21 GENNAIO 2016 ore 20.30 Cena con delitto: “Ballo in maschera”
GIOVEDÌ 18 FEBBRAIO 2016 ore 20.30 Cena con delitto: “Ballo in maschera”
ACQUISTO E PREVENDITA BIGLIETTI PRESSO: s FILODRAMMATICA DI LAIVES, via Pietralba 37, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.00
Organizzazione:
HOTEL IDEAL - LAIVES
con cena a base di pesce
s BERGER, Negozio Fiori, via Kennedy 131, Laives (BZ), tel. 0471 954218, orari di apertura: 8.00 - 12.00 / 16.00 - 19.00
s ÊTRE BELLE, Oltrisarco (BZ), via C. Augusta, 42/b orario di negozio tel. 0471 1812276
s TEATRO CRISTALLO BOLZANO, via Dalmazia, 30 - tel. 0471/202016 prevendita: mar/ven. dalle 17.00 alle 19.00, giov. anche 10.00 - 12.00, tel. 0471 067822
PER ULTERIORI INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI TELEFONICHE: tel. 0471 952650 (segr. tel. e fax) organizzazione: Loris Frazza cell. 366 6606396
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(FUORI ABBONAMENTO) PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA 0471 952650 - 0471 954218 - 366 6606396
PRENOTAZIONE BIGLIETTI ON-LINE: s www.teatrofilolaives.it info@teatrofilolaives.it s www.teatrodellemusepineta.it info@teatrodellemuse.it
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U.I.L.T. Unione Italiana Libero Teatro
47째 festival nazionale macerata teatro
18 ottobre - 6 dicembre 2015
VENDITA E PRENOTAZIONE DA SABATO 19 SETTEMBRE A SABATO 17 OTTOBRE BIGLIETTERIA DEI TEATRI IN PIAZZA MAZZINI, 10 (TEL. 0733 233508/230735) LE DOMENICHE DEGLI SPETTACOLI: PRESSO IL BOTTEGHINO DEL TEATRO LAURO ROSSI ( TEL. 0733 256306) IL COMITATO ORGANIZZATORE SI RISERVA IL DIRITTO DI VARIARE, PER CAUSE DI FORZA MAGGIORE IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL
VENDITA E PRENOTAZIONE DA SABATO 19 SETTEMBRE A SABATO 17 OTTOBRE BIGLIETTERIA DEI TEATRI IN PIAZZA MAZZINI, 10 (TEL. 0733 233508/230735) DOMENICA 18 OTTOBRE: BOTTEGHINO DEL TEATRO LAURO ROSSI (TEL. 0733 256306) ORGANIZZAZIONE, SERVIZIO STAMPA E INFORMAZIONI: 62100 MACERATA - PIAZZA OBERDAN, 5 - C.T.R. TEL. E FAX 0733 233520 - 338.4987322 www.ctrmacerata.it
SCENA - Trimestrale di informazione della Unione Italiana Libero Teatro - Anno XX/3 - n. 81 - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/03 (conv. in L. 27/02/2004) art.1 comma 2 e 3 Aut C/RM/01/2015