Vado, Tokyo e torno

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on perdonerò mai Marlene Dietrich per aver convinto le donne di poter essere sexy anche con i pantaloni. Solo dall’anti-erotica Germania nell’epoca del trionfo del freddo meccanismo industriale poteva giungere una sollecitazione così sciagurata. A mio avviso, infatti, non c’è nulla che valorizzi la bellezza di una donna come le sue gambe, che a loro volta vengono esaltate dall’uso della gonna. Chiunque la pensi come me, può trovare in Giappone il paradiso dei propri sensi. Non so se questo sia dovuto al fatto che le Madame Butterfly non siano molto formose e, consapevoli dei loro limiti e delle loro virtù, puntino molto sulle loro bellissime estremità inferiori. Credo inoltre che non abbia molto senso domandarsi la ragione recondita di un fenomeno così gradevole. Ammirarlo è di sicuro più gratificante. Me ne accorgo già il primo giorno gironzolando per Ginza, il quartiere dell’alta moda. Se qualcuno fosse ancora invischiato nello stereotipo dell’asiatica piccola e bruttina necessiterebbe passarvi pochissimi minuti per liberarsene una volta e per tutte. Nonostante io sia tramortito da quattordici ore di volo e sette ore di attese agli aeroporti e dal famigerato jet lag, resto estasiato dalla parata di bellezza che mi sfila davanti. Ma non è solo un incanto di natura prettamente estetica, almeno nell’accezione più immediata che si possa conferire a questo concetto. Ciò che suscita in me una sincera ammirazione è la cura nei minimi particolari di ogni aspetto del proprio look. Nessun dettaglio viene lasciato al caso, dal fiocco che tiene su le treccine fino al gingillo che penzola dal cellulare. Queste accortezze richiedono diverso tempo in fase di preparazione e ritocco e quindi capita spesso di vedere sopra i mezzi pubblici le ragazze giapponesi sistemarsi minuziosamente le ciglia oppure disporre ogni singola ciocca di capelli come fosse la tessera più preziosa di un mosaico. È il rituale dei piccoli gesti a rapire. È la proporzione delle forme, l’armonia dei movimenti. In questo caso la cura di sé assume quasi un valore spirituale, rivelandosi il tramite fra la propria misura interiore e la perfezione del proprio stile. Senza esagerare, direi che tutto ciò è un profondo specchio dell’anima del paese, in cui la grazia, iki, è tenuta in altissima considerazione.

6. L’incanto e la grazia (delle gambe delle giapponesi)

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