Treviso Città & Storie / Maggio 2020 / Free Press

DONNE ALLO SPECCHIO

Periodico di approfondimento puntuale e trasparente

N.19 ANNO III – Maggio 2020

Lavinia Colonna Preti Mara Mosole Federica Maria Galletti

GIAN PAOLO E DANIELE FRANCESCATO

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Natatorium Treviso

Grazie a voi continuiamo a volare

“Treviso tornerà a splendere” Abbiamo vissuto, in questi ultimi 50 giorni, un’emergenza drammatica.

Il nostro sistema sanitario, così come le strutture ospedaliere della nostra Città sono state messe in grave difficoltà da quello che abbiamo definito più volte un nemico invisibile, capace di costringerci a casa, di cambiare la quotidianità e le nostre abitudini e di annullare, di fatto, le occasioni conviviali, le tradizioni e le feste che, solitamente, caratterizzano il territorio in questo periodo dell’anno.

Colgo l’occasione, oltre che per salutare i lettori di Treviso Città & Storie, per ringraziare tutti i trevigiani che, nel periodo di sosta forzata hanno rispettato le norme imposte dai Decreti governativi e dalle ordinanze regionali e sindacali. Il senso di responsabilità dimostrato da tutti è stato ed è ancora lodevole. Anche con il sole e le temperature miti delle ultime settimane l’osservanza delle misure d’urgenza è stata rigorosa: è stato così possibile non solo salvare vite e diminuire la pressione sulle strutture ospedaliere ma anche arginare il contagio.

Anche nella “fase 2”, che dovrebbe iniziare il prossimo 4 maggio, sarà fondamentale continuare ad osservare le precauzioni igienico-sanitarie e riprendere la quotidianità con pazienza e senso civico.

Ci attendono, nei prossimi mesi, numerose sfide: sarà importante sostenere nel ritorno graduale alla normalità e nella ripartenza, famiglie, lavoratori e attività produttive così come sarà fondamentale dare nuova linfa al comparto turistico, fra i settori messi più in difficoltà dall’emergenza Coronavirus.

Sono certo che potrò contare su una comunità unita, tenace e solidale e che saprà, con forza e lungimiranza, riportare Treviso e il suo territorio nella dimensione splendente e operosa che l’ha sempre caratterizzata.

Il sindaco Mario Conte

TREVISO città&storie

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N.19 – ANNO III Pubblicazione di Maggio 2020 Periodico Reg. Tribunale di Treviso n. 263/18 ROC 32559 Direttore responsabile Mara Pavan marapavan@trevisocittaestorie.it Caporedattore Silvano Focarelli Direttore creativo Andrea Zuccon Special tribute Bruna Graziani In redazione Lorena Mazzariol, Ivana Prior Hanno collaborato Arturo Cardinale, Andrea Cartapatti, Carlo Cecino, Elisa Chironna, Marco Compiano, Lucia De Bonis, Giovanni Di Gregorio, Francesco Doimo, Valentina Facchin, Giorgio Fantin, Vittorio Filippi, Alessandro Fort, Edoardo Greco, Iacopo Iachini, Ferena Lenzi, Cinzia Mion, Mario Paganessi, Elisa Perillo, Luca Saugo, Nadia Sorato, Stefano Trevisi, Stefania Vecchia Product Manager Stefano Realini 366 8248566 Social media manager Gian Marco Scilla Ideazione logo Mauro Tittoto info@mtttt.it Art Director Eleonora Papini papini@mormorcreative.com Redazione redazione@trevisocittaestorie.it Stampatore L'Artegrafica - Casale sul Sile Via Martin Luther King, 68 0422 822754 Fotografia Marco Compiano FOTOFILM di Nicola Mattiuzzo Editore Treviso città&storie REA TV – 416768 di Mara Pavan

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PAROLA DI SINDACO di Mario Conte

EDITORIALE di Mara Pavan EDITORIALISTA di Andrea Zuccon

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IMPRENDITORIA ITIEFFE, nel segno della continuità di Carlo Cecino

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IMPRENDITORIA Piergiorgio Paladin di Mara Pavan

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DONNA E CULTURA Lavinia Colonna Preti di Mara Pavan

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DONNA E SPORT Mara Mosole di M. P.

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DONNA E INTRAPRENDENZA Joie de vivre di Federica Maria Galletti

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ARTE Marco Varisco di Mara Pavan

SAPORI Ristorazione A.C. e D.C. di Andrea Cartapatti

STARE BENE La prima visita dal dentista di A. C.

SAPORI Pancakes di primavera di Elisa Perillo

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TERRITORIO Saliscendi tra i filari delle colline del Prosecco di Valentina Facchin STORIA E AMBIENTE Treviso in Treviso, San Lazzaro di Arturo Cardinale

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COME ERAVAMO Vecia Treviso di Giorgio Fantin

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INIZIATIVA La maglietta solidale di Giovanni Di Gregorio

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MUSICA Fonte di vita

di Stefano Trevisi

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SOCIETÀ Treviso più forte del virus di Vittorio Filippi

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SCUOLA Lettera aperta alla Ministra Azzolina di Cinzia Mion

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SOLIDARIETÀ Restartability di Mario Paganessi

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STARE BENE Nutrizione funzionale e dermatite atopica di Nadia Sorato

CAMBIAMENTI di Edo Hub

HAPPINEZ L'aria che c'è di Stefania Vecchia

ABITO LA VITA Il Ponte di Lorena Mazzariol

TESTIMONIANZA Il turno inaspettato di Iacopo Iachini

IO ESCO di Silvano Focarelli,

Ivana Prior e Giulia Ponticello

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NAVIGAMENTE La legge dell'abbondanza di Edoardo Greco e Francesco Doimo

FREE PRESS pubbliredazionali Follow us @trevisocittaestorie

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IL PUNTO di Silvano Focarelli

SPORT & IMPRENDITORIA Consorzio Universo Treviso

di Luca Saugo

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STORIE DI SPORT ASD Volley Silea di Si. Foca.

CONFORME ALL’ART. 16 COMMA 2, D.L. 17 MARZO 2020, N. 18

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EDITORIALE

MARA PAVAN DIRETTORE DI TREVISO CITTÀ & STORIE

È tempo di AGIRE la parola T

utto l’universo chiuso in una stanza, ti amo e basta. L’ultima canzone di Francesco Gabbani ha una melodia leggera leggera che copre un testo, “Viceversa”, che tocca delicatissimi passaggi della relazione.

Erano i primi di febbraio, quell’universo profetico davvero si è rivelato per tutti la stanza, la casa con i suoi confini.

In quel “ti amo e basta” c’è una semplicità, un terreno su cui seminare risposte che toccano tutti i versanti di questa complicata faccenda che intreccia individuo, ambiente, economia, finanza e politica. Come abbiamo fatto fruttare questo tempo in noi? Ci viene nascosto qualcosa, e cosa? Perché ci hanno minato o distrutto il lavoro? Perché abbiamo dovuto perdere dei nonni senza nemmeno salutarli? Chi sono i Rothschild? Che differenza c’è tra informazione privata e informazione libera? Perché la Costituzione non viene rispettata? Perché siamo entrati in Europa? Perché loro fanno meglio di noi?

Fatalità c’è toccato di doverci chiudere in casa proprio quando 699 anni fa Dante scriveva la Divina Commedia, dall’oscurità alla rivelazione, quei 7 giorni ambientati proprio in primavera, compiono un simbolico tragitto di crescita che noi spalmeremo in chissà quanti mesi.

C’è toccato qualcosa di potente, siamo diventati tutti viaggiatori di pari livello. La lista dei “non” è diventata infinita tra divieti, attese, posticipazioni di incerta fattibilità.

Questa esperienza sta misurando il rapporto che abbiamo con la paura. Di quasi 7,8 miliardi di persone che abitano la terra esistono altrettante interpretazioni forgiate attorno alla storia, all’esperienza e alla proporzionata volontà di ricerca di

informazione di ognuno. Questa vicenda punge la coscienza di tutti noi.

Siamo liberi e schiavi contemporaneamente, e non è un’astrazione comune. È una realtà comune, in cui l’accumulo di dati dovrebbe essere solo percepito, catalogato e sedimentato. Le prese di posizione stanno separandoci.

C’è però un elemento che sta creando comunione.

Mi ha colpito la notizia che il mondo della Comunicazione, in questi mesi, stia già subendo una trasformazione, verso una maggiore chiarezza, spogliata dalla superficialità dal colore in eccesso.

Durante una telefonata con Eleonora, la nostra art director tra una webinar e l’altra, occupata da Venezia a Copenaghen a tenere le fila dei suoi clienti che pianificano il futuro, mi fa cogliere quanto l’essenza del dire sia in mutamento in cerca di una semplicità forse mai avuta dal dopoguerra in poi.

Ho notato quanto stia diventando più attento l’ascolto. L’uso della parola sta diventando più chiara, quasi coraggiosa. Più concreta.

Il telefono, la rete e tutti i canali che comunicano al di là della politica, non sono più uno scudo, stanno ritornando ad essere strumento e trasmettono la voglia di farsi sentire nella maniera più fedele possibile.

La voglia di esserci sfoderando il nostro pensiero migliore nella pozza di fango in cui abbiamo voluto cadere per molto più di una manciata di motivi che pensiamo di conoscere.

Esserci sarà attivare quel fondo d’amore di cui ci hanno dotati.

Agire sarà creare rapporti amorosi con le parole per generare una nuova Azione. Cum, insieme.

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EDITORIALISTA

UNIONE EUROPEA ...solo bandiere al vento

DI ANDREA ZUCCON

P

ensavamo sùbito l'Europa e invece ci troviamo con aver subìto l'Europa, stavamo pensando, almeno noi Veneti, a San Marco e alla sua grande storia e ci siamo trovati col marco, con la m minuscola, a dettare la nostra storia.

Trattasi di storia recente, un ventennio poco storico ma molto stoico, partito col cambio sbagliato, anziché la prima si è messa la folle (se non la retromarcia) e le follie di un Europa dei doveri per tutti e dei diritti per pochi, in cui anziché mantenere l'identità culturale delle nazioni, si è cercato di togliere identità specifica ad ognuna per inserirla nel calderone dell'anonimato, spacciandolo per Europa Unita, favorendo l'unione di 2 Germanie divise da un muro ideologico e produttivo abissale a discapito della vera unione europea. Sono favorevole all'Europa ma non a questa Europa è oramai il leit motiv che ricorre più frequentemente, ma qui ser vono fatti e non p a r o l e, r i s p o s t e f o r t i, p r e s e d i posizione. È servito un virus ad unire l'Europa nella tragedia e a mettere a nudo pietosamente i più crudi ed egoistici nazionalismi, i quali, dopo averci scaricato come presenti untori, si sono trovati unti anch'essi, palesando, in assenza di una strategia comune, che a 20 anni, il giovane Euro, è immaturo come non mai; è un essere egoista e narcisista che perde il controllo delle vecchie nazioni che ha inglobato promettendogli una vecchiaia serena, in una specie di slogan da case di riposo della terza età, che non riesce però a mantenere perché vuole cancellare l'identità culturale di ognuna di queste vecchie madame, anziché farne tesoro e qualificarne la loro specificità.

In un periodo in cui le mascherine ci mostrano gli occhi, in un ethinical way un po' forzato, ci aumentano le distanze, ci annullano il sorriso, e ci rendono distaccati non solo fisicamente, ci troviamo di fronte ad una scelta più unica che rara, che significa vedere in questo virus il bicchiere mezzo pieno, senza con questo festeggiare o ubriacarci; ma risulta fondamentale per ribadire quello che, all'interno di una nazionalità e di un orgoglio finiti con la seconda guerra mondiale e calpestati definitivamente negli anni ‘60, è il Made in Italy, il nostro cuore, l'unica cosa che ci riempie di orgoglio in giro per il mondo, noi "(...) popolo di poeti di artisti di eroi, di santi di pensatori di scienziati, di navigatori di trasmigratori", come recita la grande scritta sul Colosseo Quadrato all’Eur. Ecco forse dovremmo ripartire dalle

nostre origini, che sono quelle che hanno creato i prodromi del made in Italy, e in un Europa mai così disunita imparare una lezione fondamentale: non cercare di unire entità diverse per portarle sotto un'unica inutile bandiera, ma, mantenendo le divisioni regionali, trovare in ogni regione quelle caratteristiche peculiari che hanno contribuito al Made in Italy, anzi al Prodotto, Fatto, Vissuto in Italia, dalle nocciole di Bronte fino all'acqua minerale del Trentino Alto Adige, dalla fontina valdostana al prosciutto crudo friulano... per ritornare ad essere uno stato libero dalle vessazioni imposte da un Europa che anziché mantenere le identità peculiari di ogni nazione, stato o regione, ha cercato di imporre regole burocratiche calpestando la Storia. Ce la possiamo fare. Ce la faranno fare?

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IMPRENDITORIA

Due generazioni, un’unica missione: il Cliente al centro Q

DI CARLO CECINO

uando Daniele Francescato parla del padre Gian Paolo gli brillano gli occhi, nel suo volto si legge l’affetto indissolubile che li stringe.

Dovuto in primis ad un rapporto di sangue, ma in realtà è qualcosa che va oltre. Un legame fortificato dalle esperienze di vita passate insieme, in particolare nell’ambito lavorativo. I due sono i leader del Gruppo I.TI.EFFE, – acronimo di Impianti Tecnologici Francescato – un’azienda localizzata nella zona industriale di Padernello di Paese, specializzata nella realizzazione e nell’installazione di impianti termoidraulici e termoelettrici, con un occhio rivolto anche agli impianti fotovoltaici. Ad accoglierci nel “regno” di Gian Paolo e Daniele c’è solo il figlio. Il padre, 72 anni, reduce da qualche acciacco fisico di poco conto, è chiuso in casa per il dilagare del coronavirus. «Per uno come lui, abituato a relazionarsi spesso con le persone e i collaboratori non è facile questa condizione, anche se impegna il suo tempo dipingendo, l’arte è la sua grande passione» racconta Daniele, che di anni ne ha 40.

La storia di I.TI.EFFE ha radici lontane che portano a via Ortigara a Paese, nella casa dei fratelli Gian Paolo e Antonio. Dietro la loro abitazione si trovava un ricovero attrezzi.

Proprio da lì nel 1972 i due fratelli Francescato decidono di dar vita a “Termoidraulica F.lli Francescato”, insieme ad altri due collaboratori. Trascorsi quasi cinque decenni da allora, ne ha fatta di strada la piccola impresa. Il giro d’affari cresceva vorticosamente e

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“Nel comparto della tremoidraulica già dal ‘72 sui mezzi aziendali campeggiavano le nostre scritte pubblicitarie, vanto di papà che non ho mai potuto verificare perché sono nato nel ‘79” Daniele «Dal 2 gennaio del 1996 ho iniziato a lavorare per mio padre e mio zio. Per circa dieci anni ho faticato in vari cantieri, poi sono passato alla gestione delle commesse in ufficio» racconta Daniele, illustrando i primi passi di avvicinamento al mondo della termoidraulica, avvenuti quasi per caso.

Dopodiché, nel 2006 Daniele diventa con il padre socio dell’azienda e nel 2010 lo zio Antonio si defila per gustarsi la meritata pensione, passando il testimone di controllo dell’impresa al nipote, l’odierno responsabile commerciale e amministrativo di I.TI.EFFE. Viene spontaneo chiedere a Daniele se abbia mai avvertito qualche pressione da suo papà nell’intraprendere la sua attività, però lui chiarisce subito le cose.

«Non mi ha mai obbligato a seguire la sua strada. Certo, da piccolo respiravo l’aria del suo lavoro dato che il capannone con tutti gli attrezzi era dietro casa mia. E sì, credo che il suo sogno fosse quello di portare avanti l’azienda

i n u n’ a l t r a generazione.

Posso dire che lui ha colto l’attimo spe rando che io mi appassio nassi, ma non ho mai avuto insistenze da parte sua.

Mi ha dato carta bianca nelle decisioni e io ho fatto tesoro degli errori grazie anche ai suoi consigli. Di certo, mi ha insegnato che la motivazione è tutto e il senso civico ed etico ci deve sempre essere, costituisce il motore dell’azienda».

Dall’entusiasmo che Daniele esprime nella lunga chiacchierata, si intuisce che Gian Paolo gli ha trasmesso indelebilmente la voglia di fare e di innovarsi.

Papà Francescato, sottolinea Daniele: «È stato uno dei primi a far apporre la pubblicità della propria ditta sui camion nei primi anni ’80». Esempio concreto di quanto Gian Paolo fosse al passo coi tempi e avesse una visione aperta da sempre.

Oggi il Gruppo I.TI.EFFE rappresenta una realtà solidissima nel suo settore, che può vantare una forza lavoro di oltre 40 dipendenti; 15 appartenenti alla branca termoelettrica e il resto a quella termoidraulica. Attualmente opera in prevalenza su un raggio d’azione di 30 km dalla sede di Padernello, ma ha seguito particolari richieste di alcuni clienti storici persino in Friuli, Liguria o Trentino. Gli incarichi più desiderati si riferiscono a lavori di manutenzione di impianti in abitazioni singole o plurifamiliari, ma anche in industrie, in negozi o uffici. Insomma, l’impresa offre un ampio ventaglio di operatività, strizzando l’occhio al settore privato, non disdegnando comunque quello pubblico. Inoltre, con l’ampliamento al fotovoltaico a partire dal 2009, anche Daniele ha sempre mirato ad allargare gli orizzonti per il bene dell’attività e in questo periodo, inevitabilmente vincolato dall’esplosione del coronavirus, ITF ha aumentato la gamma di servizi. Difatti ha pensato di estendere la presente sfera della sanificazione dalla sola climatizzazione dei condotti aeraulici, alla sanificazione totale degli ambienti di lavoro, di negozi e di uffici che in queste e nelle

LE TRE GENERAZIONI F R A N C E S C AT O

l’annata chiave nella “timeline” della famiglia Francescato è il 1985, perché in quella data subentra la modifica della denominazione sociale e viene costruita l’attuale azienda di via Piemonte 9 a Padernello. Un considerabile edificio diviso in due piani e composto da svariati uffici tecnici molto confortevoli. In più un ampio magazzino dedicato alla tenuta di alcuni camion aziendali e alle attrezzature necessarie.

prossime settimane ne necessiteranno per questioni igienico-sanitarie. Una scelta approvata dall’intera équipe aziendale: «A me piace sempre condividere le idee con il resto del team, ogni venerdì mattina teniamo una riunione con tutti i collaboratori. Così i risultati manifestati dall’impresa sono il frutto di un pensiero univoco, senza voci fuori dal coro; il lavoro di squadra è fondamentale e genera l’entusiasmo nel trovare nuove idee. Io e mio padre non vogliamo essere al centro di tutto, siamo soliti delegare alcuni compiti e mansioni importanti, perché la fiducia tra datore di lavoro e dipendente deve essere cristallina».

Qui subentra un paragone calcistico per comprendere meglio l’ultimo concetto descritto da Daniele: «Come il giocatore deve sentire la fiducia dell’allenatore per rendere al meglio, allo stesso modo ciò si riflette in campo imprenditoriale, con i dipendenti che devono trovare un ambiente di lavoro dinamico e propositivo, un clima sereno e rilassato» chiosa il figlio di Gian Paolo. A proposito, il calcio è una passione comune a entrambi e Daniele sognava di diventare un calciatore professionista. Era un centrocampista di belle speranze, ha militato al Montebelluna, con una breve

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IMPRENDITORIA

ORGANIGRAMMA Gruppo I.TI.EFFE S.n.c.

parentesi al Venezia, fino a quando ha deciso di ritirarsi a 26 anni. Prima, nell’ottobre del 1997, si è sposato a 18 anni e oggi è il papà di tre figli: «L’essere diventato padre mi ha dato ancora più forza nel far crescere l’azienda. Sarei ipocrita se non dicessi che mi piacerebbe se qualche mio figlio proseguisse l’attività aziendale, ma ricordo ciò che ha fatto mio papà con me e non voglio riporre su di loro particolari aspettative. Al momento due sono all’università, vedremo cosa accadrà in futuro. Io butto l’amo, se pesco bene, altrimenti nessun problema».

Nella nutrita équipe di Gruppo I.TI.EFFE c’è comunque un altro Francescato, Matteo, a capo degli acquisti, non che cugino di Daniele: G I A N PA O L O E A N T O N I O F R A N C E S C AT O F O N D AT O R I D E L L A «Per me è come un T E R M O I D R A U L I C A F. L L I F R A N C E S C AT O fratello, siamo cresciuti insieme» ricorda il figlio di Gian Paolo. Fa parte dell’affiatata squadra pure Marina Pozzebon, inossidabile stakanovista che da 23 anni lavora per ITF e responsabile della parte contabile dell’impresa: «Possiede la memoria storica dell’azienda ormai» specifica Daniele.

PA P À G I A N PA O L O , A P PA S S I O N AT O D ' A R T E E P I T TO R E P E R D I L E T TO

Qual è il punto di forza di I.TI.EFFE? «La nostra forza è la tempestività dell’intervento, sia esso idraulico, elettrico o di manutenzione. La tempestività ci ha sempre contraddistinti e fatti apprezzare dal cliente.

A tal proposito nel 2014 abbiamo istituito un numero verde (800-39.40.41) disponibile H24, 7 giorni su 7. Al massimo in due ore siamo sul posto e forniamo un servizio serio, professionalmente completo».

Prima di salutarci, provo a strappare un ultimo commento a Daniele su papà Gian Paolo, e gli chiedo, qual è la grande qualità di suo padre?

«Ha sempre pensato all’interesse collettivo che a quello personale. Ha investito nell’azienda, nelle persone, piuttosto di arricchirsi individualmente.

Inoltre, ha saputo e sa imporsi nel modo giusto, facendosi voler bene da tutti». Ecco, il fil rouge invisibile che accomuna papà Gian Paolo e il figlio Daniele può riassumersi in una parola: generosità.

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Soci fondatori: Gian Paolo e Antonio Francescato Presidente: Gian Paolo Francescato Legale rappresentante e responsabile commerciale: Daniele Francescato Responsabile amministrativa: Marina Pozzebon Responsabile acquisti e manutenzioni: Matteo Francescato Responsabile settore sicurezza e fotovoltaico: Ing. Sabina Berlese Responsabile qualità: Geom. Luca Benetton Responsabile preventivazione meccanica: Perito ind. Eros Tonin Responsabile settore meccanico: Per. ind. Francesco Pasato e Per. ind. Luca Menegaldo Responsabile preventivazione elettrica: Per. ind. Mauro Sartorato Responsabile settore elettrico: Antonio Crema e Ing. Diego Vincenzi Segreteria: Federica Rosin Tecnici operativi: Stefano Granello, Davide Boffo, Gianni Gasparin, Stefano Miglioranza, Luigi Gemin, Matteo Carolo, Alessandro Zugno, Alessandro Cavallin, Massimo Gasparetto, Alberto Antonello, Timoty Balsarin, Gianluca Grassato, Daniele Morao, Giovanni Zaffalon, Simone Fuser, Massimo Nasato, May Rivera Lopez, Cristiano Durighel, Luca Bidoli, Saeed Ansari Dezfouli, Luca Sartor, Davide Zoccolari, Andrea Donato, Mario Gazzola, Francesco Massarotto, Simone De Bortoli, Elezi Ferit, Simone Milan, Luigi Marangon Orari uffici Lunedì/Venerdì: 8.00/12.00 – 14.00/18.00 Via Piemonte 9, Padernello di Paese Contatti +39 0422.959656 / Numero verde: 800.394041 info@gruppoitieffe.com facebook.com/itieffe www.gruppoitieffe.com

Per vedere il video di intervento: www.youtube.com/watch?v=hz-pzBua4Sk

Sostegno economico e consigli alle persone La risposta all’emergenza di BCC Pordenonese e Monsile Una realtà di oltre 18mila soci, operativa su un territorio di 93 comuni grazie alle sue 58 filiali presenti in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. Un punto di riferimento per 74.300 clienti, che possono contare sul lavoro e sulla passione di 407 dipendenti.

Sono questi i principali numeri di BCC Pordenonese e Monsile, la Banca di Credito Cooperativo nata a gennaio 2020 dall’aggregazione di due tra i principali istituti bancari del territorio, che oggi si colloca ai primi posti tra i soggetti aderenti al Gruppo Iccrea del Triveneto, per numero di soci e per totale di attivo.

La forza di BCC Pordenonese e Monsile risiede nell’attenzione verso i territori in cui opera, con progetti appositamente pensati e realizzati per sostenere un tessuto economico e sociale tra i più attivi d’Italia, soprattutto in questo periodo di forte difficoltà che coinvolge le famiglie e le imprese di tutto il Paese. Proprio per aiutare i settori più colpiti, la BCC non si è fatta cogliere impreparata e ha subito predisposto alcune misure necessarie per fornire un primo concreto sostegno.

In particolare, BCC Pordenonese e Monsile ha inizialmente stanziato in collaborazione con i confidi locali, un plafond di 10 milioni di euro per rendere più agevole il pagamento degli stipendi dei dipendenti, il saldo delle fatture e di tutte le altre spese necessarie per il rilancio del comparto turistico, commerciale e dei servizi nel Nordest.

Consapevole delle difficoltà vissute dai territori colpiti dal coronavirus, la BCC ha attivato presso la filiale di Monastier di Treviso una raccolta fondi aprendo un conto corrente intestato a “Monsile con te Mutua del Credito Cooperativo”. Per tutti coloro che intendessero partecipare il codice Iban è IT08 X083 5661 8100 0000 0063 601 e i versamenti dovranno riportare la causale “emergenza Covid-19”.

I fondi raccolti saranno destinati a favore delle strutture ospedaliere e della Protezione Civile attive in Friuli Venezia

Giulia e in Veneto, per supportare l’operato di quelle persone che lottano ogni giorno in prima linea. La Bcc ha già versato i primi 100.000 euro.

Sul fronte dell’organizzazione interna BCC Pordenonese e Monsile ha inoltre predisposto tutte le misure necessarie per evitare il più possibile gli spostamenti dei propri dipendenti garantendo comunque i principali servizi a tutti i clienti e ai soci nel rispetto delle normative di salute e sicurezza previste dalle istituzioni, prevedendo l’apertura delle filiali solo il mattino, su appuntamento prenotabile attraverso il numero verde o il modulo digitale per le richieste di appuntamento tramite il sito internet.

Per i soci è stata recentemente predisposta la polizza assicurativa gratuita “Andrà tutto bene”, grazie alla quale le persone con un’età massima di 71 anni che dovessero essere colpite da coronavirus, potranno beneficiare di una diaria da ricovero e di una diaria forfettaria a seguito delle dimissioni dall’istituto di cura in caso di ricovero in terapia intensiva. Al supporto economico è stata inoltre affiancata una consulenza psicologica e sanitaria, con personale specializzato a disposizione dei soci che abbiano bisogno di consigli e pareri specialistici. Una vera Banca di Credito Cooperativo non ha infatti soltanto il compito di fornire servizi a livello finanziario, ma deve essere un vero e proprio punto di riferimento per consigli, idee e proposte che aiutino le persone più in difficoltà a superare momenti difficili e a ripartire più forti di prima. È proprio partendo da questo principio che tutti i dipendenti di BCC Pordenonese e Monsile hanno continuato a svolgere il loro lavoro con passione, con coraggio e con la consapevolezza dell’importanza del loro ruolo verso tutti i soci e i clienti che, soprattutto in questo momento, si sono affidati alla loro competenza e alla loro conoscenza dei bisogni delle persone che ogni giorno si recano agli sportelli. Perché questo significa affidarsi ad una Banca di Credito Cooperativo.

Segui gli aggiornamenti nel sito www.bccpm.it e su facebook.com/BccPordenoneseMonsile

IMPRENDITORIA

Piergiorgio Paladin

Fattore RH Comunicativo DI MARA PAVAN

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TREVISO città&storie

“Facevo i compiti negli studi di Antenna3”. Siamo agli inizi degli anni ’80 e siamo con chi ha nella parola Comunicazione tutte le sue declinazioni ben rispettate. La radice antica cum potrebbe anche essere il suo logo interiore: insieme. Ad intervista inoltrata si ritrova a raccontarci quanto poi il latino, appreso in quei banchi di scuola scottanti, percepiti allora come un limite

alla sua esuberanza, gli avessero trasmesso un metodo che tuttora usa per affrontare il suo lavoro. “Il latino mi ha insegnato l’analisi, mi ha insegnato un metodo di ragionamento che ho imparato a tradurre così: sappi pescare nella tua testa la forma migliore per tradurre gli elementi che hai a disposizione”.

Papà Roberto è stato un antesignano, f o n d a t o r e d i Te l e M a r c a a

IMPRENDITORIA

Montebelluna, commerciale nella comunicazione dai primi anni ’70, titolare della Dinamo, agenzia di pubblicità che ha segnato la storia della comunicazione locale con valore e correttezza riconosciuto dall’affetto di tutti. Mamma Evelina, decisamente mamma e al contempo attiva anche lei in Antenna3, è stata una caposcuola delle donne d’oggi, con la differenza che quando aveva 19 anni, è nato Piergiorgio.

Cresce giocando all’aria aperta della campagna di Vascon con nonno Piero e nonna Maria da cui apprende le leggi della natura: dalla semina al raccolto, dai diversi animali da cortile a cui correre dietro al pane fatto in casa. A parte aver sfondato con il trattore il deposito attrezzi - ora salotto della casa in cui vive con la moglie Silvia e il piccolo Cesare e nelle cui pareti ancora echeggiano le urla dei nonni, diciamo che è stato un bambino tranquillo.

Da una parte la potenza aerea delle parole dall’altra la stabilità della terra hanno cristallizzato un processo di verifica che passa per l’opposto quasi innato.

A 7 anni la prima lezione di vita è stata sportiva. Il papà giocatore nel Villorba calcio coinvolge il figlioletto in una partita, Piergiorgio accetta solo perché c’erano i suoi amici. “Ho sentito addosso senza possibilità di revisione che non era la mia strada e la mia dimensione.

L’ho capito solo dopo quanto quel terreno mi avesse insegnato: nella vita devi sapere cosa sai fare.”

L’altro regalato dell’educazione scolastica glielo ha fatto Don Bordignon, professore di Storia e Filosofia del quale ha ammirato il fare scanzonato, condito da espressioni dialettati per comunicare materie a tratti esclusive in modo accattivante, “giocava a calcio il torneo

della scuola era uno di noi senza perdere il suo ruolo mai.” Un altro pezzettino di pane che è andato a nutrire Piergiorgio.

Gli Stati Uniti lo vedono ancora procedere in modo binario, ospite in casa di ambasciatori di sera frequentata persone altolocate e di giorno con la bicicletta datagli in dotazione andava a caccia di un lavoro. Non lo voleva nessuno perché non aveva la security card, lo ha preso solo un ristornante italiano per il quale ha fatto il busboy, un passo prima del lavapiatti.

Così oscillando si è portato in Televisione. Così ce lo ricordiamo in “ Tutti al Mare”, 23 anni voglia di vivere accesissima, il format prevedeva simpatiche interviste pomeridiane sulla riva di una esplosiva Jesolo. Il calar del sole lo portava al Matilda insieme agli amici per dare seguito ad interminabili giornate.

“Bar sport”, un’altra trasmissione di carattere sportivo, segna anche un punto innovativo nella scelta della parola: “siamo stati i primi nel ’96 ad utilizzare il titolo dell’omonimo libro di Benni per una trasmissione televisiva” Nel 2000 recupera quel sassolino calcistico instillato dal padre, diventando l’Ufficio stampa per l’allora florida squadra trevigiana che militava in serie B. È il 2001 nasce Ideeuropee. A Treviso mancava una società che facesse Ufficio Stampa, le aziende andavano a Milano a farsi seguire. Prima con Marika Lion e dopo con l’arrivo di Andrea Vidotti, visti e piaciuti, sono partiti seguendo la comunicazione dei primi che hanno creduto in loro: Astoria Vini e Carron Costruzioni. Oggi Ideeurepee collabora con importanti partner tra i quali il gruppo tecnica, Fassa Bortolo, 3D Group, Schneider, Electric. Si sono fatti conoscere per l’eccezionale capacità di organizzare eventi aziendali e soprattutto iniziative che avevano la capacità di sollevare interesse mediatico, come Griglie Roventi, manifestazione tuttora in vita o quell’Aperizoma ideato per il Mamma Mia che ha cavalcato un’onda, breve ma intensa: erano ritornati prepotentemente di moda i jeans a vita bassa lasciando scoperti gli slip femminili sgambati che ancora dovevano modernizzare le loro forme.

Quel capriccioso lembo di tessuto

intimo, su cui ogni occhio cadeva, era il posto perfetto per metterci un logo: nascono i primi slip sponsorizzati regalati a pioggia in una grande festa del locale. Per questa idea Piergiorgio e la sua squadra sono entrati nel mondo dei modelli nel libro "Avventure e disavventure di marketing aziendale”.

Piergiorgio, come suona l’espressione “pensare globale, agire locale” declinandola in termini di Comunicazione?

“Prima di tutto non si può prescindere dal contesto in cui siamo. Pensare di paragonare il modo di fare comunicazione americano ed europeo, meglio ancora italiano non ha senso. Siamo un popolo caldo ed empatico e da questo dobbiamo partire per fare una comunicazione che arrivi con chiarezza.

Servono i luoghi che raccolgono attorno ad un tavolo le energie di confronto e se serve che di scontro. Tutti noi che lavoriamo nella comunicazione dobbiamo avvalerci del grande parametro di Bruno Ballardini che spiega organicamente come la più grande operazione di marketing della storia sia stata commissionata dalla Religione Cattolica, che ha posizionato il simbolo per eccellenza, la croce, nel posto più alto e rappresentativo che essere umano abbia mai creato, il campanile. Al contempo il sistema della rete ha reso la globalità accessibile a tutti per cui, mi

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IMPRENDITORIA

rivolgerei ora ad un’azione che vada oltre questi aspetti, amalgamando le questioni in maniera meno scissa”.

C’è una ritualità nel procedere alla creazione?

“Mi serve un pezzo di carta e una matita. L’idea la vedo, la rappresento in solitudine. Il passo successivo è radunare attorno ad un tavolo tre o quattro persone - tra cui sempre Nelly Marsura collaboratrice storica dal 2002, socia dal 2018 e mio perfetto alter ego rigorosamente diverse meglio se opposte in cui so chi è critico, chi è più spietato e chi più romantico. Poi mi diverto a litigarci. Lo scopo è di convincerli che l’idea è buona. Se non ci riesco so che non lo è.“ Il Pastificio Comunicazione* è l’espressione della raggiunta maturità dell’agenzia e infondo anche del propulsivo Piergiorgio. In questo incubatoio di idee ha fatto confluire tutte le sue passioni dall’amore per il vintage style e alle contemporanee forme, dalla relazione alla creazione e quel tocco ludico che lo ha sempre contraddistinto.

“Volevo un luogo che creasse cultura della comunicazione, non leggerla ma crearla. Un luogo fisico che mettesse assieme le persone che la fanno. Coinvolgimento gratuito che scambia abilità. Al suo interno Amalgamenti, è il progetto sociale di coworking gratuito destinato a 3 under 29 che si occupano di comunicazione e che a fine anno lasceranno il posto tramite bando, ad altrettanti loro colleghi.

SOSteniamo le Serrande è la risposta del Pastificio al Covid.

“Da sempre i piccoli negozi di frazione danno identità ai luoghi e alle società. Amo il moderno quanto ciò che ha segnato la storia locale. Sacrificare le botteghe per Amazon è oggi inammissibile. Facciamo quello che sappiamo fare per vivificare queste realtà in momento così difficile.

Invece dei tutorial spesso autoreferenziali, abbiamo pensato di regalare una nuova immagine ai negozi per essere pronti a rinascere quando tutto questo sarà finito. Con una rinnovata immagine.”

*Il Pastificio è uno spazio pensato per diventare un crocevia di idee, una fucina di soluzioni, un ambiente di contaminazioni in grado di attrarre e sviluppare talenti che si occupino di veicolare la cultura della comunicazione. L’ispirazione è nata dalla storia di questo luogo, un edificio di archeologia industriale che ospitava il Premiato Pastificio A.M. Zaro, fondato nel 1867. Da qui si è deciso di rivisitare in chiave moderna l’approccio del vecchio laboratorio artigianale fatto di idee, esperienza e formazione. In questo luogo convivono tre realtà: Ideeuropee, agenzia di comunicazione integrata (ufficio stampa, grafica design, organizzazione di eventi, social media marketing, marketing associativo e politico e consulenza strategie di comunicazione; Subjet832, agenzia di branding, graphic design e videomaking e Come, studio che si occupa di interiore e lightnigh design.

Piergiorgio e il Basket Il basket è la colonna sonora di Piergiorgio Paladin in questo sport c’è metaforizzata la dimensione del suo stile di vita fatto di squadra, di fisicità, di azione rapida giocata in un breve spazio temporale che si compie con adrenalinica strategia, una dimensione in cui “accade sempre qualcosa” come ci dice Piergiorgio. Paladin ha giocato a basket fino a qualche anno fa, pur essendo per sua ammissione un po’ scoordinato, ciò non gli ha impedito, non solo di giocare, ma anche di allenare e di fondare una squadra di basket amatoriale, "I Vasconiani”, nata quando aveva 20 anni e tuttora esistente.

Nel 2012 nasce il Consorzio Universo Treviso Basket di cui è cofondatore e attualmente vicepresidente, sugellando quel patto che aveva stretto con se stesso con il quale si riprometteva che presto o tardi avrebbe dato un contributo tangibile per il basket cittadino.

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Nella Grecia antica, l’aggettivo holos significava «tutto, intero, completo, totale»: quale altro termine potrebbe, ora, sintetizzare la volontà di considerare il benessere della persona nella sua interezza (corpo-mente)?

Il club HOLOS, aperto da Edoardo Calvetti nel cuore di Treviso, in piazza Filodrammatici, non è una palestra in senso stretto: i servizi di personal training, pilates, yoga, allenamento ad alta intensità, medicina sportiva, fisioterapia ed educazione alimentare sono accomunati da un obiettivo: puntare a un equilibrio perfetto tra stile di vita, nutrizione e salute, a qualsiasi età. La bellezza, perciò, diventa

@holos.treviso HOLOS, Piazza Filodrammatici 4, 31100 Treviso

conseguenza di uno stato. Più che l’estetica tout court, sono una certa raffinatezza motoria e il senso di armonia a fare la differenza. Per questo, dopo una iniziale valutazione medico-sportiva delle cause di eventuali squilibri, dovuti a fattori interni ed esterni, fisici ed emotivi, HOLOS individua il percorso più adatto alle esigenze di ciascuno. Ogni programma personalizzato è un mix unico di at tività finalizzate alla riattivazione del potenziale di salute e vitalità. Esso agisce sui meccanismi di rigenerazione cellulare, sul metabolismo e sui livelli energetici, al fine di migliorare la qualità di vita e la salute. Perché, si sa, mens sana in corpore sano!

DONNA E CULTURA

DI MARA PAVAN

“Non sono abituata a parlare di me”. Trasmette le sue conoscenze alla città, veicola il senso delle arti in tutte le loro forme, si fa tramite, ascolta e canalizza, sembra quasi una missione quella di voler estendere ed impreziosire la cultura della sua terra natia. Lavinia Colonna Preti è bilanciata in ciò che appare e consapevole che nella vita è stata sì fortunata ma che ha fatto più volte affidamento nella sua più spiccata risorsa: la gentile attitudine al cambiamento.

Non lo dice lei a dire il vero, lo diciamo noi dopo averla incontrata, più di una volta, al fine di cogliere i suoi aspetti più sottili. Si è prestata ad una avventurosa intervista non su ciò che fa ma su ciò che è.

“Ho talmente avuto tanto dalla vita che ho una predisposizione al dare, mi sento piena”.

Ha una intelligenza sociale fortissima accompagnata da una gentilezza che la sta contraddistinguendo.

Ben lontana dal sentire il punto di arrivo personale, così naturalmente predisposta alla riuscita delle imprese con cui si è misurata, sta attraversando una fase di svolta con se stessa: spogliare e rivelare quella parte di lei che è là che le parla e che la sta portando ad alzare il livello della propria visione.

Il suo luogo di azione naturale è sotto gli occhi di tutti, fuori apparentemente dalla comfort zone. È nel silenzio di certi spazi, da due anni a questa parte

“Rimanere nella dimensione dell’allievo ti garantisce umiltà e miglioramento continuo” F OTO D I G I OVA N N I G A S T E L .

P E R L A V I N I A , A P PA S S I O N ATA D I F OTO G R A F I A , È I L M I G L I O R R I T R AT T I S TA VIVENTE AL MONDO

Lavinia Colonna Preti 18

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DONNA E CULTURA

molto pochi, che si apre una ancora inesplorata dimensione che ha tutta la voglia di intraprendere.

La nostra formazione di partenza è determinante. Ognuno di noi cresce allenato in un particolare campo esistenziale, e raggiungere obiettivi è il campo del nostro Assessore alla Cultura.

Alla parola difetto si riconosce un certo estremo perfezionismo che la deforma a fare sempre il meglio in tutto ciò che intraprende. Una schiavitù da cui non pensava un giorno di volersi liberare.

Di certo la politica contribuisce a demolirlo amabilmente.

Complessa, le tante componenti e i molteplici fattori non sempre governabili rendono questa dimensione imprendibile, dove il controllo può esserci solo nella fiducia di fare del proprio meglio in piena coscienza: “La politica ha forgiato il mio carattere, in meglio”.

Un carattere formatosi in una famiglia solida che pur nella diversità ha fatto emergere la complementarità delle vite di papà Giordano e mamma Maria Amelia.

La loro storia è un intreccio tra arte, intraprendenza e pragmatismo, una storia tra il fuoco delle arti e il calore della terra.

Giordano è uomo di cultura enciclopedica e di coraggiose imprese negli anni ’60 a Rio de Janeiro, dove dopo l’Accademia di Belle Arti a Venezia si trasferisce inizialmente invitato da un amico e dove probabilmente sarebbe rimasto per tutta la vita se non fosse stato sollecitato al rientro in patria dalla famiglia e dalla mamma Giulia (nata a Belluno famiglia Protti). Suo papà Anteo, nato a Castelfranco ed ingegnere della SADE, era già mancato anni prima. Fu proprio in questa circostanza che conobbe in piazza San Leonardo la mamma di Lavinia. Fu uno di quei colpi di fulmini che un tempo portavano a

convolare a nozze in sei mesi e poi così naturalmente a durare per sempre. Papà dipingeva, e ritrarre la sua unica piccola e bellissima figlia era un diletto.

“Ho assimilato senza fatica cultura e cura, in un ambiente “d’altri tempi” dove essere severi era una qualità condivisa, a ritmo di jazz, tango e milonghe, ho letto grandi opere e al contempo imparato a uncinetto e cucinare piatti creativi come la pasta fatta a mano con il cacao. Il mio parco giochi era Venezia. Perdermi tra i misteri di quella città tuttora per me è perdermi in emozioni lontane ma sempre nuove”.

Ecco il seme che apre al fiore della bellezza, al gusto per ricreare magia, stupore come precedenza ad ogni azione. Per la sua città vuole la stessa cura che ha vissuto in casa da bambina, la forza delle sue scelte risiede nella culla delle sue informazioni.

Niente ha più presa al mondo di una persona che espande ciò che è.

“Non credo nell’assoluto, credo nelle eccezioni” Certo ricoprire un ruolo richiede un’argomentazione a parte. Noi che si guarda da fuori dobbiamo far appello al nostro personale rapporto con il ruolo che ricopriamo, prima di esprimere giudizi.

Al di là della faccenda politica, non manchiamo di osservare in questa occasione quanto il rispetto del lavoro passa per l’accettazione, lasciar lavorare chi è via via in carica è un dovere di ognuno. E l’alternanza partitica forse è un sano avvicendarsi, fermo restando che più che mai oggi politica è uguale a persona, soprattutto a livello locale.

Dalla finanza alle pubbliche relazioni, dalla fotografia al marketing culturale e

territoriale, Lavinia è un’imprenditrice della comunicazione e Veneto Secrets è la creatura lavorativa più amorosa tra quelle intraprese recentemente - nata nel 2016 con l’idea di fare turismo esperienziale, dando forma all’immagine di un Veneto legato alle tradizione ma anche all’avanguardia - dopo le sue due lauree, dopo i master e i mondi visti questo step politico proprio non l’aveva pianificato. “Infatti mi sento un amministratore che ha sposato il progetto politico di una persona in cui credo molto”.

Ha conosciuto Mario Conte durante uno dei riti più identificativi della nostra città, l’aperitivo.

Li hanno fatti semplicemente conoscere e mentre il non ancora candidato e futuro Sindaco, all’epoca era solo consigliere comunale, la ascoltava esprimersi nel suo lavoro e nella visione culturale per la sua città, le disse: “cosa faresti per Treviso?”. È così che hanno condiviso un sogno, quello di mettersi al servizio della loro città con una visione fatta di tanti progetti e uno spirito giovane e intraprendente.

“A Treviso si guarda al domani” “È un momento duro in cui il ruolo di noi amministratori si fa ancora più importante e carico di responsabilità. Insieme ai miei collaboratori stiamo lavorando per non "perdere" nessun evento o festival trovando nuove date per tutti gli organizzatori di iniziative e rassegne e stiamo andando avanti con la programmazione estiva. Quando il virus sarà sconfitto dovremo farci trovare pronti alla ripartenza, più forti e compatti di prima. In qualità di Assessore sto anche facendo il possibile insieme agli altri assessori di tutta Italia per portare avanti le istanze del mondo della cultura e dello spettacolo ed anche del turismo nella speranza che nessuna categoria sia dimenticata dal governo, stiamo tutti facendo degli enormi sacrifici.

Imprescindibile sarà creare una sinergia tra cultura e turismo. Mi appello non solo al ministro Franceschini, ma anche a Regioni e tavoli tecnici del turismo affinché, quando ci sarà la ripartenza del mercato domestico, si crei un coordinamento tra i due settori. Penso ad eventi da trasformare in pacchetti turistici per favorire le mini permanenze dei turisti e ad accordi con mezzi di trasporto locali e nazionali per agevolare con degli sconti gli spostamenti dei visitatori. Insomma, la cultura faccia da traino al turismo”. Nel decreto Cura Italia, al vaglio del Parlamento, ricorda l’assessore, “potrebbero essere messe delle

misure fiscali a vantaggio del turismo, detraibilità per chi decide di fare le vacanze in Italia. Sarebbe importante pensare anche a un bonus cultura vero e proprio, sottoforma magari di buoni spesa per eventi culturali”.

Vero che ogni crisi nasconde grandi opportunità ed in questo caso, privati della nostra quotidianità, ci stiamo rendendo conto di quanto la Cultura sia importante a livello economico e sociale. È il motore che fa spostare le persone e che dona emozioni a tutti noi. Spero che questo rimanga una volta che ci saremo lasciati tutto alle spalle, così come la riscoperta di ciò che è importante e di ciò che non lo. L'occidente per molti aspetti stava vivendo un periodo buio: mancanza di valori e spiritualità, ossessione per il "sempre connessi", ritmi di lavoro insostenibili e totale mancanza di sensibilità per il nostro pianeta terra.

Questo momento è l'occasione per ripensare il modo in cui viviamo e non dare nulla per scontato.

Stiamo lavorando a una filiera che colleghi il Polo museale, l’università e le aziende. Il nostro forte sono i prodotti artigianali e manufatturieri e vanno legati alle arti applicate per dare risalto alla storia locale.

Insomma, lavoriamo per rendere più appetibili i nostri progetti in modo da coinvolgere le imprese del territorio.”

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Ca’ Maria Adele L’amore per i viaggi ha condotto Lavinia nei posti più belli del Veneto e non solo. La sua passione per la fotografia l’ha poi spinta a trovare un connubio per esprimere entrambe le dimensioni imprenditorialmente con la guida online che propone i migliori indirizzi per vistare la regione (www.venetosecrets.com). In una delle sue frequenti visite veneziane finisce per alloggiare nel Palazzo che custodisce una boutique hotel chiamato Ca’ Maria Adele, proprio di fronte alla Chiesa della Salute. Una permanenza talmente familiare da tornare a Treviso carica di emozioni e foto. Quando le fece vedere al padre, scoprì che quel luogo era stato la dimora di Giulia Protti, la nonna paterna di Lavinia il cui padre lo aveva comprato e restaurato nel 1920. È rimasto della famiglia fino agli anni Trenta. Dal 2003 la lunga vita di questo palazzo si è trasformata, grazie ai fratelli Alessio e Nicola Campa, in una struttura ricettiva dalle magiche atmosfere in cui Lavinia spesso torna per rivivere l’incanto di un personalissimo passato.

Credits: Ca’Maria Adele “E questo sogno che mi ha convinta ad accettare. Su suo suggerimento mi sono candidata con una lista civica. Al di là di destra o sinistra, i buoni progetti politici, soprattutto a livello comunale, sono fatti in primo luogo dalle persone giuste ed io amo condividere esperienze di passione.

Mai avrei pensato che una volta eletto Sindaco mi avrebbe chiesto di far parte della sua squadra. Ne sono onorata e lavoro ogni giorno duramente per rendere orgoglioso lui e i colleghi della Giunta e del Consiglio Comunale.”

Milano è la città che più la rappresenta, è stata casa sua fino al 2010, dove ancora torna per trovare le sue amiche più care.

Ama invece Londra per lo stile inglese, per il loro senso civico e delle istituzioni, per la produzione letteraria, e per Agatha Christie, una grande donna che come tutte le grandi donne scardinano senza farlo emergere.

Nel suo vocabolario ricco e positivo, c’è una parola che spicca tra le altre: strategia.

Lavinia ha strategie trasversali, vive costantemente, con un piano B in atto, da cittadina mi sento in mani sicure, come essere umano cerco di esplorare la fragilità nascosta in un bisogno estremo di pianificazione.

Cosa la disarma?

Non ha chiaramente un rapporto diretto con il significato della parola, e risponde toccando il massimo sistema: “la salute, nemmeno la mia, ma quella dei miei genitori”.

Appare sempre pronta e la mia esperienza con lei, quasi una trilogia, me lo conferma. Finisce per non rispondermi facendo emergere una battagliera dimensione di sfida con cui affronta vita e la professione.

Squadra.

“C’è solitudine al momento nella mia vita, escluse le poche persone che da anni condividono con me la vita, è un lavoro che crea confini che sto cercando di abbattere. Sono sinceramente grata

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alla squadra che ho attorno a me. E per squadra intendo Giunta, Consiglieri ma anche i pochi amici fidatissimi conosciuti in campagna elettorale che condividono con me questa avventura e la mia assistente Nadia, che gestisce non solo la fitta agenda ma anche ogni urgenza, con grande tatto e sensibilità nei miei confronti, mi sento protetta. Grazie al tempo e alle vicende di questi due anni ho imparato a riempire l’agenda al 70%, mi tengo uno spazio per gli imprevisti.”

Ambizione.

Potrebbe apparire ambiziosa. Ma è una parola non risolutiva per definirla. “Quando lavoravo in alta finanza nella City o nella moda a Milano ho ricevute proposte che avrebbero appagato l’ambizione di chiunque, ma non me la sono sentita di accettare, dentro di me sentivo che la mia intimità, la mia casa era più artistica e che sono solo in grado di andare dove mi porta il cuore”. È mai successo che vicende sentimentali rallentassero il corso della tua professione?

“Mai. Le relazioni che ho avuto e ho sono fuse con la mia vita, spesso si amalgamo e potenziano ciò che mi piace esprimere professionale. Devo avere affianco a me un complice nel lavoro”.

I social.

“Sono solo un amplificatore che non si sostituiscono certo al ben più importante contatto con le persone. Rispetto a un tempo, a assessori e amministratori fanno perdere anche tanto tempo, ma trovo doveroso usare gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione per arrivare più rapidamente ai cittadini e rimanere in contatto con loro. Ricevo almeno una trentina di messaggi al giorno solo su FB; centinaia di mail e messaggi whatsapp.

Compatibilmente con le urgenze, rispondo a tutti.”

Cosa la meraviglia?

“Il bene disinteressato. L’idea delle affinità elettive regna quasi segreta dentro di me.”

Cosa ha compreso fin qua della vita?

“Che rimanere nella dimensione dell’allievo ti garantisce umiltà e miglioramento continuo.

Il miglior regalo che puoi fare a te stesso è coltivare senza sosta le tue passioni, questo ti salva sempre, ti porta nella tua direzione anche se le esperienze ti possono dirottare apparentemente altrove.

Il bene porta bene, e consapevole che posso essere fraintesa usando questa parola, dico: è una strategia che appaga sempre. Dove la strategia per me è la naturalezza del pensiero fuso con il talento.”

“Mi interessa il giudizio delle persone che stimo.”

Ci spiega che la querelle per la mostra di Santa Caterina, Natura in posa, non esiste. “La mostra sta andando più che bene, va considerato che non ci sono più i numeri degli anni duemila, basti pensare che la mostra a Venezia per i 500 anni di Tintoretto ha chiuso con 130.000 visitatori, quella sul Verrocchio, maestro di Leonardo a Firenze con 140.000; quindi 40.000 in 2 mesi e mezzo mesi a Treviso è un buon traguardo, considerato che si punta ai 100.000 visitatori. Comunque non sta qui il punto, perché non si tratta assolutamente di considerare una mostra comparata ad un’altra, ma si parla di un complesso progetto culturale territoriale strategico, identitario e originale, costruito per la città di Treviso, fatto, oltre che da Natura in Posa, da tanti altri eventi e mostre che si è aperto due anni fa e culminerà nel 2022 con una grande mostra anche al Bailo e tante altre iniziative che dovrebbero dare alla città la garanzia di un’offerta culturale di altissima qualità spalmata su 12 mesi e pubblico totale ben superiore a quello di un’unica mostra.

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DONNA E SPORT

Mara Mosole DI MARA PAVAN

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a cambiato le regole, vinceva con i maschi ed era la prima tra le donne, in che ambito? In tutto. Mara Mosole ha la metà della mela in se stessa, esattamente ripartita tra bellezza e azione. Dice di aver preso, e siamo d’accordo con lei, la fisicità e l’azione dal papà Remo e l’autorità dalla mamma Gabriella, una donna forte e capace di tenere testa al papà. Due colonne portanti che hanno creato 4 figli, due femmine e due maschi, una squadra simmetrica.

Mara mamma, Mara imprenditrice, Mara ciclista, Mara amica... Mara e il suo sorriso su tutto, si porta in giro con la grinta che precede ogni sua impresa.

Le due ruote non sono nate con lei, con lei è nata una carica inesauribile e da vera sperimentatrice si è cimentata in tutto, complici spazi aperti, aria di campagna e tanta concretezza. La prima gara seria che ha visto Mara in sella è stata nel 1978 a Bergamo, aveva 10 anni. Il papà aveva comprato una draga su piattaforma per la ghiaia in una ditta di Brembate, nasce un gemellaggio con la città e suo cugino Roberto, suo coetaneo e già ciclista, doveva gareggiare. Andò che quel giorno Roberto aveva la febbre e non potendo gareggiare fu la sua grande occasione. “Corro io al posto suo, che problema c’è!” Tutti e due biondini, occhi azzurri, capelli rasati, la chiamavano “Robertino” e si dimostrò capace arrivando tra i primi. Essere la prima è nella sua natura, una leonessa e non nasconde di aver sempre gareggiato per vincere.

Nella campagna di Saletto si poteva girare in lungo ed in largo, le mura attorno casa erano come una grande pista, lei i suoi fratelli e tutti gli amici che arrivavano a trascorrere il pomeriggio davano vita a competizioni sportive di ogni specie, calcio, pattini, corsa, a piedi o in bicicletta, erano sempre giornate di sport e divertimento.

Quanti spintoni nella strettoia dietro casa!

Senza pensieri, si infilava le scarpe da pallone di due numeri più grandi dei fratelli e giù di pallonate per ore.

Il figlio Mattia l’ha soprannominata “Merckx” vincente ed inesauribile come lui e ci racconta che niente la carbura come un numero sulla schiena.

“Nel lontano 1986 in ritiro con la Nazionale Italiana capitanata dalla grande Maria Canins, durante un allenamento nell’affrontare una salita, mio tallone di Achille essendo una velocista, affaticata e stanca di essere sempre l’ultima, tolgo dalla tasca un vecchio numero che avevo conservato di una gara e me lo appiccico dietro: ti giuro, in saliva volavo!!.” Un atto evidentemente solo simbolico ma che le ha fatto realizzare

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TREVISO città&storie

Il fascino indiscreto di un sorriso sulle due ruote

I N F O T O : “ E R O I C A” A P R I L E 2 0 1 6 A B U O N C O N V E N TO CON LUCIANO BERRUTI

quanto potente poteva essere per lei: “con il numero sulla schiena divento un Leone”.

Nella vita ha sempre lavorato tanto fin da bambina, dall’orto ai lavori domestici, scaricando casse di uva, pulito casa, cucinato dolci, cantando e facendo casino sempre e sperimentando ogni tipo di sport.

Cosa è importante su tutto?

“Essere unici, essere diversi ognuno per le proprie qualità.”

E quale qualità ti riconosci?

Passo per “una baruffante”, in realtà si tratta solo di scambi di opinioni non condivise.

Dico in faccia la mia verità e credo che di questi tempi sia quasi un talento al giorno d’oggi.

Il padre Remo, le ha insegnato i valori, a lavorare e la capacità di risolvere i problemi, ma aggiunge consapevole: “quasi tutti, non risolvi solo quando il cuore non batte più e si spegne.”

La prima grande delusione?

“Terza media. Ero brava in matematica, anche se a scuola ero ben vivace e già la bicicletta aveva rapito il centro dei miei interessi, mi abbassavano i voti e mi infuriavo. Ho avuto la stessa esperienza con mio figlio. Chiedetemi di farne dieci, ma non chiedetemi di andare a parlare con i professori. La scuola è tutta da rifare.”

Quella volta che sono caduta.

Era il 17 giugno del 2017, solo due anni fa separano Mara da quell’evento che ricorda come decisivo per cristallizzare per sempre un aspetto di lei che schiettamente definisce “menefreghismo” ma che ha tutta l’aria di essere un modo acceso per proteggersi e amarsi alla follia, che se non lo facciamo per primi noi, non lo fa nessuno per noi.

“Ero in allenamento, sono caduta, di faccia, ho perso coscienza mi sono svegliata in ospedale tumefatta, sfigurata, immobile con la chiara realizzazione che potevo morire. Nella vita mi sono guadagnata tutto dal lavoro alle relazioni, è troppo preziosa per permettere al mondo di ferirmi.

Quindi da quel giorno sono diventata ancora più...menefreghista.”

Gli uomini di oggi.

Bella come il sole sfreccia oggi in ogni Ciclostorica esistente, attiva nei social quasi sempre sulle due ruote con i suoi pois contagiosi, circondata dagli amici uomini.

Cresciuta tra uomini, sta bene in mezza agli uomini. E ci dice “Quelli sportivi hanno una marcia in più, c’è più schiettezza nel mondo sportivo anche nel modo di vivere i sentimenti, forse perché hanno una preparazione all’obiettivo.”

Le buone amiche.

Poche ma buone, in primis Alessandra Cappellotto, una grande collega ciclista, ex Campionessa del Mondo su strada, rivali ma amiche, testimone di nozze, madrina di Mattia, confidente, insomma una sorella. E la sua amica Patty, sincera e solare come Lei. “L’ho conosciuta da poco, durante un evento sportivo dei miei bambini, chiedendo una collaborazione nella fornitura del vino per il rinfresco, ma si è creato un feeling bellissimo, mi sembra di conoscerla da sempre”.

L’accessorio femminile a cui non puoi rinunciare?

“Il sorriso. Sta bene con tutto. È un aggancio per far circolare il bene. Un giorno un tipo che guidava una macchina d’epoca mi ha fermata dicendomi: impossibile non notarti, sei l’unica che gira con il sorriso più largo che abbia mai visto, senza guardare il cellulare e con il vestito a pois!”

Come spesso accade, chiedo un curriculum, me ne gira uno che è una meraviglia.

“Ne leggo tanti per il lavoro che faccio, così ho deciso di farmene uno, sia mai che un giorno possa servire”.

Lo pubblichiamo integralmente, solo a leggerlo strappa quel sorriso che è diventato il suo punto cardinale.

“Sono la responsabile dell’ufficio risorse umane in un’azienda di 180 dipendenti. Ho iniziato a lavorare subito dopo le scuole medie, alternando l’attività lavorativa, con la mia passione per il ciclismo. Sono sempre stata una sportiva, corsa a piedi, nuoto, sci, pattinaggio, a 10 anni ho provato ad andare in bicicletta per divertimento, vincevo con i maschi ed è diventata la mia professione fino all’età di 23 anni, anno in cui mi sono sposata. Ho vinto una cinquantina di gare tra strada e pista, sono stata campionessa Italiana ed ho disputato 4 Mondiali: 1984 Barcellona (Spagna) Pista 1985 Bassano del Grappa (Italia) Pista 1986 Colorado Spring (America) Strada 1987 Villach (Austria) Strada Ho girato il mondo, conoscendo bellezze e culture del posto, allargando le mie amicizie e nonostante passino gli anni, continuo a pedalare in giro per l’Italia, perché mi sono appassionata anche alle ciclostoriche.

Pedalate non competitive con abbigliamento antecedente al 1987. Dal 2017 sono Presidente di una squadra Ciclistica di

bambini dai 7 ai 14 anni, dove con alcuni collaboratori gestisco la Società che attualmente conta 45 tesserati, organizzando anche eventi sportivi. Sono divorziata ed ho un figlio di 29 anni, si chiama Mattia ed ha corso anche lui in bicicletta per 16 anni.

Adesso lavora, ma vive ancora con me perché dice che le donne sono complicate ma con me si diverte troppo.

Il mio motto è…Una giornata senza sorriso è una giornata persa.”

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DONNA E INTRAPRENDENZA

Joie de vivre

Storia di una communication manager

DI FEDERICA MARIA GALLETTI

S

ono cresciuta tra il verde delle colline e i monumenti liberty di Salsomaggiore Terme, un piccolo paesino in provincia di Parma.

La mia vita trascorreva tranquilla, quando all’età di 6 anni ho ricevuto un regalo inaspettato, una compagna di classe speciale, autistica.

Per me lei non ha mai avuto etichette, né era diversa dalle altre mie compagne, era semplicemente speciale. Rossella aveva un modo tutto suo di comunicare che non le permetteva di giocare con gli altri, così iniziai a passare tutti gli intervalli con lei e il suo mondo fatto di sorrisi e di mani che creano forme meravigliose diventò il mio.

Da questo legame nacque l’amicizia tra le rispettive mamme che portò a galla la profonda esigenza di famiglie come quella di Rossella, di avere un luogo dove i bambini speciali potessero trovarsi e uscire dalle loro famiglie e dalle strutture dedicate a loro così tanto fredde di amore. Così nacque “Associazione Il Faro 23”, un’associazione per bambini e ragazzi disabili, un posto magico dove ho passato la mia infanzia e poi la mia adolescenza, fatto di canzoni cantate con la chitarra tenendoci per mano, deliziose merende e mani piene di colori ma soprattutto un cuore sempre pieno di una grande consapevolezza: ogni mio problema è cosi piccolo dinnanzi a loro e alla fine sapete, sono loro che hanno sempre dato a me e non io a loro.

Dobbiamo agire pensando che facciamo la differenza, perché la facciamo.

I ragazzi del “Faro 23” mi hanno insegnato l’arte di comunicare anche in silenzio, mi hanno insegnato a sorridere ogni giorno qualunque cosa accada perché la vita è davvero troppo bella, mi hanno insegnato che bisogna abbracciarsi anche senza un perché e che alla fine la diversità è solo un nostro modo di vedere le cose.

- Ciò che abbiamo fatto per noi stessi muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri resta per sempre Milano è stato il mio sogno fin da bambina e finito il liceo è diventata la mia casa. Milano è una città che ti

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TREVISO città&storie

DONNA E INTRAPRENDENZA

da tutto se lo sai prendere, ti fa sentire al tuo posto senza pregiudizi.

Milano mi ha dato l’opportunità di incontrare persone meravigliose, compagni di vita che sono diventati punti fissi come fratelli e sorelle.

Mi sono iscritta all’università scegliendo il corso “Pubbliche relazioni e comunicazione di impresa” ma non mi bastava, io volevo arrivare il più velocemente ai miei obbiettivi. Ho iniziato fin dal primo anno ad avere “fame" di saper fare, di imparare un mestiere. Il mio sogno era quello di lavorare nella moda, negli eventi e nel lusso.

per l’amore dei dettagli; grazie a una foto di uno scorcio del locale postata nel mio profilo Instagram. Un caffè, l’amore per le persone e la voglia di creare un brand, una realtà diversa, completamente cosmopolita ci ha legati. Bloom è a primo sguardo un locale meraviglioso, sapientemente studiato in ogni suo dettaglio e materiale, ma è anche una famiglia fatta di persone splendide che sognano, sognano in grande. Bloom è un posto che ti fa sentire a casa qualsiasi sia la tua provenienza.

Per loro sono la responsabile della comunicazione e delle pr, mi troverete lì con il mio Mac e il mio caffè macchiato in tazza grande.

Studiavo di sera e nei weekend e lavoravo di giorno prima con piccoli stage e poi per società conosciute a livello internazionale a testa bassa e tanti sacrifici, ero nel mio sogno e mi sono anche laureata.

Ho imparato in dieci anni di Milano che i sogni si realizzano se hai una meta ben definita e sei disposto a rinunciare.

Instagram @federicamaria_galletti

A Milano avevo la mia “famiglia”, avevo il mio lavoro e facevo quello che mi piaceva e per cui avevo studiato, ma mancava qualcosa.

Mancava lui.

Il luogo di lavoro mi ha fatto incontrare Nicola un trevigiano doc; si occupava della parte commerciale, ma faceva arrivare il radicchio tardivo dall’eshop di suo fratello gemello “il fiore della salute” a tutti noi colleghi. Nicola mi ha stravolto la vita nel giro di pochi mesi, ad aprile 2019 ci siamo fidanzati a luglio parlavamo di doverci fermare da una giostra che amavamo per tanti aspetti ma che andava troppo veloce per la nostra vita.

Sono felice di non accontentarmi mai e di avere sempre un pizzico di follia, così a settembre ho lasciato senza pensarci un secondo, tutto quello che avevo costruito con tanta fatica.

Sorrido al pensiero di come la vita è inaspettatamente imprevedibile, a gennaio 2019 non ci avrei scommesso un caffè.

Per essere felici ci vuole coraggio e così Treviso è diventata la mia casa, è diventata la vita che ho scelto. Ho scelto una vita scandita dalla luce dell’alba e dai colori caldi dei tramonti che osservo stupita dalla nostra casetta bianca che affaccia su una buca del golf della Ghirada. Quanta bellezza. In questa nuova pagina bianca della mia vita ho dovuto rincominciare da zero, a 30 anni non è più semplice come a 19. Ammetto ci vuole coraggio e tanta voglia di mettersi in gioco; tutto d’un tratto non avevo più un lavoro né la mia grande famiglia milanese.

Non avevo più voglia di un “posto fisso”, volevo scegliere, scegliere i miei clienti, scegliere i progetti che più mi rubavano il cuore. E così è stato uno dopo l’altro sono arrivati semplicemente facendomi conoscere per quella che sono.

Uno dei primi clienti è arrivato per caso. O forse no. Nulla accade per caso. Treviso è magica e ancora la devo scoprire in tutte le sue sfaccettature. Sono certa che i simili si attraggono sempre e cosi la mia cliente e amica Elena Miano, con i suoi meravigliosi gioielli “me studio”, mi hanno portata a scoprire in un pranzo un posto che ora posso chiamare la mia seconda casa.

L’incontro con i founder di Bloom mi piace pensare che è nato

Non mi sono mai fermata così tanto, ma mi ha permesso di riflettere tanto. Il mondo ci ha fermato, ci ha fermato per pensare ma anche per guardarci indietro e scoprire di più su noi stessi. Amo scoprire e imparare ogni giorno da chiunque, dal collega capace allo stupore di un bambino per le piccole cose.

Se siamo umili impariamo continuamente.

Ognuno di noi penso abbia capito che la vera ricchezza non è fatta di oggetti o proprietà possedute. Io sono ricca di amici visionari, creativi, amanti di arte, di poesia, di moda, di food, di musica che ogni giorno hanno fame di raccontare e raccontarsi in questo mondo. Sono ricca di persone che amano farti sentire giusta e speciale, mai sbagliata o diversa. Sono ricca di amore, da un uomo che con i suoi occhi grandi fa della gentilezza e dell’umiltà una lezione quotidiana; È una persona ricca, ricca di coraggio, di attenzioni, di sorrisi e di affetto per ogni essere umano senza paura. Il caro Seneca a tal proposito scrisse “Se vuoi sentirti ricco, conta le cose che possiedi e che il denaro non può comprare”. Signori e signore le piccole cose sono di una bellezza disarmante.

“Joie de vivre” è il mio motto e voglio che sia sempre il mio modo di essere.

Per dare un piccolo aiuto ai miei bambini speciali: Associazione il faro 23, Salsomaggiore Terme IBAN: IT 54V06230 65900 000035520069 Per qualsiasi informazione: Elisabetta 349 0891345

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ARTE

“La trasparenza c’è solo se tu vuoi che ci sia” Fragile il vetro? Tu prova a prendere una massa vitrea di tre centimetri per tre, quel corpo diventa cemento armato

DI MARA PAVAN

C

he viaggio! Intervistare Marco Varisco è stato un bel viaggio, un sali-scendi, gran paesaggi, distese e picchiate, profumi e ricordi, attorni a lui rumori e flussi di persone che neanche un aeroporto. Questo posto in via Nervesa della Battaglia n.59 è un filtro, e uno scolapasta allo stesso tempo. assisto alla forza attrattiva tipica di chi sa creare, interpretato dalle sue parole “prima o poi tutti arrivano qua”.

Marco è un uomo consapevole della ricchezza storica, del patrimonio artistico e artigianale che il mondo del vetro attraverso padre, nonno e avi tutti, si è consegnato a lui concretamente fin dai primissimi anni di vita, mai per gioco sempre per devozione e un senso di trasmissione profondo e innamorato.

Non si trattava solo di continuare una fortunata eredità, la sfida non era solo mantenere ciò che si sarebbe mantenuto da solo, tanto è la bellezza universale che il vetro rappresenta e ha rappresentato dal III millennio dopo Cristo, quanto...

Stop. Marco mi ferma, e mi racconta di quando a 13 anni finite le scuole medie, imposte e piene di contenuti semi inutili alla vita, ha iniziato la sua vera sete di conoscenza ed esplorazione. In taluni campi ha letteralmente indagato. “Mi sono chiesto perché dovevo credere a Plinio il Vecchio il quale trasmise questa Cristo datazione (2000 a.c, ndr), il “vetro” si sa esiste in natura come cristallo di rocca, come una fusione di sabbie è presente fin

Marco Varisco 26

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ARTE

La cena dei 12 apostoli, come un’arte in posa. Ogni anno inscena per pochi amici intimi l’esperienza rinascimentale nella cornice Varisco. Pesce crudo e buon vino dove ogni sorso è reverenziale: nel tavolo del Sacro banchetto spiccano i calici del Duce, quelli incisi da nonno Marco nel 1939.

dall’era Neolitica (7000 a.c.) utilizzato come utensile. Ma il vetro soffiato o colato nato dalla creazione umana è un fluido solidificante la cui storia è fatta risalire appunto all’epoca fenicia, in realtà le mie ricerche mi portano molto più indietro nel tempo. E dopo la storia dei Teschi di Cristallo ne sono ancora più convinto.” Oltre ad avermi incuriosita, abbiamo una spiegazione più esauriente del perché maneggia e modella questa materia con tanto piacere.

Il suo è stato un procedere in sottrazione, di 100 anni in 100 anni, dopo aver attraversato le generazione del suo albero genealogico, è approdato agli alchimisti e ai sublimi incastri di fuoco e terra che si trasformano in materia.

“L’unica certezza è l’appartenenza familiare.”

Il suo compito non è stato solo innovare un mestiere antico, ad una personalità come Marco non poteva bastare tale seppur nobile continuazione, per lui riconoscersi ed elevarsi, lasciare il suo

personalissimo segno era un rispetto che doveva a se stesso: “sono sempre stato un capo branco dalla mente affamata, il primo avversario di me stesso sono io”.

“Amo ascoltare gli anziani. C’è solo da imparare dai loro racconti. Quando credi di sapere, loro ti ricordano l’umiltà, ascoltandoli scopri sempre quanto già è stato fatto e pensato.

Solo la tua porzione di cuore rende unico ciò che fai. Ho 53 anni ma me ne sento 100” Appare mamma Bruna, appare la sorella Cristina, appare indaffarato il sacro

papà Italo a cui chiedo: “come è questo figlio?” Risposta: “un rompiscatole, ma è il mio orgoglio”.

Il suo rapporto con il tempo incarnato nella figura del padre e dei nonni è fortissimo, determinante. Tutti sanno di nonno Marco, da cui ha eredità il nome, forse non tutti sanno del suo rapporto litigarello con nonna Maria, detta “Celerina” originaria di Zurigo. Mentre lo ascolto parlare, i suoi occhi nero pece, ricostruiscono nella mente le fisionomie di questa nonna granitica che si faceva l’insulina sulla coscia senza nemmeno togliersi le calze, appassionata di tutto, seguiva i mach di Mike Tyson, la Formula Uno, leggeva quotidiani in due giorni, lentamente ma leggeva tutto, proprio tutto. Se la nonna regalava al suo nipotino i Ferrero Rochè - i suoi cioccolatini preferiti tutt’oggi - lui li scartava, se li mangiava e avvolgeva la dorata stagnola con i ricci delle castagne dell’albero davanti al laboratorio.

Quante parole!

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ARTE

“Sono affascinato dal mondo spirituale, non so come esattamente maneggiarlo ma per esempio qui esiste una Treviso Templare che è tutta da scoprire. Per certo, mi sento avvolto dalle entità superiori e non perdo occasione per trarre dalle figure bibliche forza ed ispirazione” Dove o come senti nascere la spinta alla creazione?

“Quando creo devo avere la tradizione che mi spinge.

Devo avere il profumo della torta di mele di mamma rigorosamente pasta frolla e abbondanza di mele - o quella che andavo a prendermi da Franco Ardizzoni la domenica mattina, il ritmo della balera che mi ricorda nonna; a volte metto anche radio Sorriso (mi fa vedere la App sul cellulare affiancata a Virgin Radio, e sorridiamo compici ai contrasti, ndr) mi sintonizza a tempi che non ci sono più ma che mi hanno plasmato come io plasmo l’opera a cui mi dedico.”

Undici di Marca è la coniugazione sociale del suo essere amicale, del suo essere collegato con il mondo che non sempre regala gioie e fortune: “Fare del bene è normale”. In realtà non è proprio da tutti far confluire le proprie conoscenze a scopo che vanno oltre a se stessi, per questo tra le cose che infiammano il nostro Marco è l’essere usato per tali scopi, capitata raramente ma ho in mente tre casi che stanno lì nella mia vita per ricordarmi che è umano che accada.

Ma che con me poi è proprio finita”.

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“Mi piace Napoli. E anche i napoletani”.

Uno spasso ascoltarlo nella sua versione filosofico turistica, in cui mi rivela il suo rapporto con i viaggi che devono essere rigorosamente accordati, forti dell’appartenenza alla cultura che si va ad incontrare, ben lontani da ambienti stereotipati o troppo alla moda.

E mi parte a bruciapelo così: “vai su booking prenota un volo per tempo, in 50 minuti sei a Napoli, con 21 euro sei in centro, trovi uno dei tanti B&B che a 35 euro ti regalano una esperienza a 4 stelle unica, fai un giro nei quartieri spagnoli e poi vai da Nennella, ti mangi una pasta con le patate mentre 20 camerieri attorno a te in cambia rossa ti spaccano il piatto per terra,

F OTO A D E S T R A : N O N N A M A R I A D E T TA “ C E L E R I N A”

che quando lasci la mancia si mettono a cantare il miglior repertorio. Con i gusti appagati, vai alla Cappella di San Severo e guarda dritto il Cristo Velato.

Basta. In due giorni tu recuperi il senso delle tradizioni che abbiamo perduto.”

Diciamo che ha reso l’idea.

“Detto questo io con Treviso ho un elastico. Torno sempre a casa.”

E a casa sua al di là della sua arte, ha fatto una squadra senza numeri, perché davvero tanti sono gli amici con cui condivide momenti e passioni, come quella della bicicletta da quando quel giorno Andrea Pinarello lo convertì per sempre al giallo fluo della sua due ruote che oggi sfreccia tutta intonata con un cristallo grosso come un cecio sul manubrio.

“Amo la tipicità. Rende unico qualsiasi esperienza.”

La Scomposizione La scomposizione, una creazione tutta Marco Varisco, rispetta una dicotomia spiccata della sua persona: “sono modernissimo per certe cose è antichissimo per altre”.

La generazione Varisco ama lasciar segni. Nonno Marco e papà Italo, hanno dato vita ad un’incisione di un certo tipo, Marco ha avuto l’intuizione di Unire due elementi opposti, “da un pezzo classico, che sia vaso, bicchiere o piatto, scompongo, taglio, seziono ed elaboro, spesso andando in sottrazione, collaborando con la struttura del vetro, se non le porti rispetto, si frantuma”.

SOLIDARIETÀ

Oltre il labirinto

Restartability Ripartiamo dalla capacità di ricominciare in modo radicale e positivo DI MARIO PAGANESSI PRESIDENTE E DIRETTORE GENERALE DELLA FONDAZIONE OLTRE IL LABIRINTO

I

l 2 aprile è stata celebrata la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day) istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU. Nel territorio di Treviso da oltre 11 anni è attiva la Fondazione Oltre il Labrinto onlus che ha sempre organizzato per questo evento iniziative di sensibilizzazione in partner con i Comuni, Enti del territorio insieme a tantissimi volontari.

M a ques to anno è s tato decisamente

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diverso. Le iniziative programmate non ci sono state, per ovvi motivi.

La vita di tutti noi è stata investita dallo tsunami che porta il nome coronavirus.

Mai come in questo periodo i soggetti fragili sono nudi, sono deboli, sono sopraffatti, sono senza rete, sono frastornati.

Per migliaia di famiglie con a carico una persona autistica lo tsunami è stato devastante, ha lasciato le famiglie ancora più sole di prima. Le poche reti di suppor to, dalla scuola ai centri educativi, all’assistenza domiciliare con gli educatori, sono venute meno. Tutte le persone con disabilità intellettiva hanno dovuto subire, dall’oggi al domani, un cambiamento di routine, senza capire perché o poter essere accompagnate in questo cambiamento.

Tutto ciò, ha generato in loro un profondo senso di disagio e frustrazione.

Parliamo di una situazione drammatica.

L’educazione di un bambino con autismo richiede un lavoro intensivo e qualificato, ed è un percorso lungo ed estenuante e la

mancanza di continuità rischia di vanificare il lavoro di abilitazione fatto.

Per i soggetti più grandi, che ancora vanno a scuola o sono inseriti in dei centri (rari) o in attività di vita indipendente, si interrompe quella quotidianità, quella routine, quel contatto con i compagni, con le addette all’assistenza, con le educatrici, essenziale per la socialità e l’integrazione. I ragazzi restano a casa, con le proprie stereotipie, il proprio isolamento e una leggera, ma costante, regressione.

Il carico di questa disabilità invalidante sta esaurendo le famiglie che aggiungono lo stress dell’emergenza a stress comuni. Tra le paure più pesanti, la possibilità di ammalarsi e ritrovarsi in ospedale con il dramma di chi possa seguire il proprio figlio o figlia o, ancora peggio, vedere ricoverato il ragazzo disabile e andare incontro al rischio di un triage sfavorevole così come sta avvenendo negli USA. Ma il problema è anche legato al fatto che gli stessi esperti di autismo, che sono psicologi, analisti del comportamento e in ogni caso tecnici in grado di gestire le svariate situazioni comportamentali a volte problematiche di una persona autistica, si sono trovati in una situazione nuova in cui non esiste alcun riferimento in letteratura scientifica (nds lockdown e disabilità). Rimangono comunque le uniche figure professionali in grado di dare indicazioni valide e di aiuto alle famiglie nella gestione dei soggetti con autismo. Purtroppo non si può dire altrettanto della scuola o di quei centri che in maniera pedissequa hanno declinato indicazioni valide per tutti gli studenti normotipici ma assolutamente non adatte per i soggetti con autismo.

La Fondazione Oltre il Labirinto onlus ha da subito attivato dei servizi gratuiti a favore di tutte le famiglie. Tra le varie iniziative oltre all’assistenza continua della preziosa dr.ssa Lucia Piccin che si è messa a disposizione delle famiglie per fornire gli strumenti per gestire questo cambiamento, va ricordato il punto di ascolto per famiglie gestito dalla dr.ssa Paola Matussi che ogni giorno gestisce decine e decine di chiamate da tutta Italia aiutando psicologicamente le

persone. Inoltre insieme a Marco Varisco e l’XI di Marca la Fondazione ha fornito pasta fresca prodotta dai suoi volontari, ha messo a disposizione i suoi automezzi per le consegne a casa per soggetti disabili o con fragilità. La consegna è seguita dal segretario della Fondazione, il dr Carlo Giustini.

Purtroppo il famoso pranzo per l’autismo previsto per la domenica delle Palme e la mostra dei quadri dei ragazzi della Fondazione che doveva essere esposta insieme a SAVE in aeroporto di Venezia sono state rinviate.

Molti pensatori, negli ultimi anni, parlano di una competenza emergente chiamata “restartability”, ovvero la capacità di ricominciare in modo radicale e positivo nel lavoro e nella vita. Ecco, forse bisogna ripartire da qui, da un nuovo inizio collettivo che rivaluti il concetto di fare rete, di cooperare di premiare e sostenere chi lavora e chi ha idee collettive.

In questo 2 aprile, c’è stato poco da celebrare. C’è da pregare di superare quanto prima questo momento e di riscoprire valori di solidarietà, fratellanza e amore che sembravano svaniti in una società fomentata dall’intolleranza per il diverso e dal poco rispetto per i deboli. C’è da pregare di rinascere consapevoli che la vita non ci appartiene, ci attraversa, e dobbiamo essere capaci di gesti gentili, di compassione e di bontà d’animo, soprattutto con chi è meno fortunato di noi.

Da pochi giorni dagli Stati Uniti attraverso il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) arrivano nuovi dati sulla prevalenza dei casi di autismo nei bambini registrando una crescita portando il numero a un bambino su 54, mentre due anni prima era stato uno su 59, e di un bambino su 166 nel 2000. Stabile resta il rapporto fra maschi e femmine che è di 4 a 1.

Sentiamo che il mondo è cambiato, e lo è e ci rendiamo conto che le cose saranno diverse. La perdita di normalità; la paura del pedaggio economico; la perdita di relazioni. Tutto questo ci sta colpendo e stiamo soffrendo. Collettivamente. Non siamo abituati a questo tipo di dolore. Ma non è un semplice dolore, è un dolore anticipato, ovvero quel sentimento che proviamo per ciò che riserva il futuro quando non siamo più sicuri. Di solito si concentra sulla morte. Questo rompe il nostro senso di sicurezza e non è più personale ma è collettivo. Per chi ha un figlio autistico è una sensazione che ha già subito nel momento della diagnosi e del rendersi conto che nulla sarebbe stato come nei progetti o nei sogni. Partono in vantaggio, perché questo dolore anticipato lo hanno già provato e troveranno prima l’accettazione di questo cambiamento. Il dolore anticipato è la

mente che va verso il futuro e immagina il peggio. Per calmar ti, devi vivere nel presente e accettarlo.

Ma quale è l’ansia maggiore per una famiglia con a carico una persona autistica? Risponde la dr.ssa Paola Matussi “diventare adulto e indipendente per un ragazzo disabile mentale, con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo e autistico è un processo quasi impossibile. Indipendenza, lavoro, matrimonio, figli, niente di tutto questo è alla sua por tata. Il concetto di speranza e di futuro diventa per i genitori un’utopia di difficilissima realizzazione con un carico a volte insopportabile di angosce e delusioni. Cosa sarà di mio figlio dopo di me o, meglio, oltre me è una domanda che i genitori si rivolgono spesso in modo ossessionante senza avere risposte adeguate alle loro domande”.

Queste seppur brevi e succinte considerazioni, possono evidenziare quanto grande sia la preoccupazione delle famiglie: dopo anni di tentativi di recupero e di sforzi per intervenire efficacemente lungo una sorta di calvario tra assenza di strutture di sostegno e di metodologie adeguate da un lato, e di incredibili dif ficoltà burocratiche, incomprensioni, emarginazioni, pregiudizi di ogni genere etc. dall’altro, i genitori di un adulto disabile mentale grave vedono davanti a loro un vuoto impressionante: chi interverrà da un punto di vista riabilitativo quando il loro figlio sarà adulto e cosa succederà di lui quando loro non ci saranno più o non saranno più in grado di occuparsene? Si è in presenza di una condizione tragica destinata a peggiorare con il passare degli anni. Con il passare del tempo, infatti, le pressioni sociali crescono e la tolleranza diminuisce. I bambini si trasformano da piccoli biz zarri con una strana espressione sognante, in incomprensibili adulti ai quali le persone si avvicinano con disagio e spesso con timore. Una certezza però esiste: qualora venga garantito un contesto di vita stabile e organizzato, affettuoso, tollerante ma stimolante e animato da una costante tensione abilitativa, le persone con disturbo generalizzato dello sviluppo e con autismo sono in grado di percorrere un importante cammino di crescita con un conseguente sviluppo di capacità e competenze in grado di condurli verso più elevati livelli di autonomia e di indipendenza.

Prosegue Paola Matussi “Ci attende una sfida impegnativa. Le fasi che si stanno susseguendo in questo periodo devono essere comprese per poterle gestire al meglio. La prima fase dopo le restrizioni imposte dai recenti decreti per contrastare l’epidemia era caratterizzata da atteggiamenti reattivi (flash mob) e di negazione (questo virus non ci riguarda), con il passare del tempo

si è entrati in una fase di elaborazione che passa attraverso la rabbia: mi stai facendo stare a casa, senza assistenza, senza lavoro; la contrattazione: va bene, se mantengo una distanza sociale per due settimane andrà tutto bene, giusto? la tristezza: non so quando finirà. Per arrivare al ri-orientamento, all'accettazione. In questa situazione le strategie di coping, cioè l’insieme delle strategie psicologiche e comportamentali attuate per affrontare un problema, sono determinanti; bisogna cercare di attivare meccanismi che por tino a cambiamenti positivi nell’individuo, quelli che vengono definiti Post-Traumatic Growth (PTG), attraverso lo sviluppo di nuove prospettive personali e di crescita individuale.”

Chiudo ritornando al concetto di dolore anticipato, è mente che va verso il futuro e immagina il peggio. Per calmarti, devi stare nel presente ed iniziare a progettare il futuro. Come Fondazione ci stiamo preparando al dopo che dovrà vedere un profondo cambiamento anche da parte della Pubblica Amministrazione che se da un lato in alcuni casi ha dato dimostrazione di esserci, dall’altro, soprattutto nel campo sociale ha mostrato tutta la sua inadeguatezza a livello strutturale, tecnico e di governance.

Purtroppo penso che alla fine salteranno fuori i desaparecidos salendo sui carri…

Ma i leoni rimarranno leoni, ed i cani rimarranno cani e noi dovremo continuare come dei leoni la nostra battaglia per creare un mondo inclusivo, dignitoso e sostenibile per i nostri ragazzi. Una cosa è certa, le persone autistiche possono imparare e non dobbiamo mettete un limite alla capacità di adattamento. Sin da subito bisogna lavorare per far sì che quello che sembra impossibile oggi sia possibile domani.

Questa vita mi ha dato tanti dolori e tante gioie. Ringrazierò sempre fino alla fine dei miei giorni di avere avuto un figlio disabile.

La sua presenza, la sua esistenza, è stata per me un regalo. Grazie a lui sono cambiato, sono maturato, sono cresciuto, sono diventato più profondo e capisco meglio il senso profondo della vita e del suo infinito valore di amore. Oggi la sfida non viene meno, cambia i perimetri ma prosegue.

TREVISO città&storie

W W W. O LT R E L A B I R I N T O . I T

SOLIDARIETÀ

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MUSICA

I DI STEFANO TREVISI

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l caso determinò che proprio nei giorni in cui l’Italia iniziava a fare i conti con il dilagare del Covid-19, mi fossero fissate da parte del servizio sanitario alcune terapie a cui dovevo essere sottoposto. Con i famosi permessi e autorizzazioni, allegando le prescrizioni e impegnative varie, anche nei giorni della chiusura totale me ne sono uscito da casa (tutto ben bardato) e sottoposto a queste terapie. Premetto questo perché abito fuori Treviso, in un comune tranquillo, in una strada altrettanto tranquilla in cui il mio dirimpettaio è un arzillo vecchietto con la passione per la caccia e poi altre famiglie ordinate, pacifiche e soprattutto discrete.

Molte hanno esposto il tricolore; nessuna il disegno con gli arcobaleni, pur non mancando i bambini, e per quanto riguarda i flashmob musicali delle 18 non era cambiato assolutamente nulla: quello che suona sempre con le finestre aperte, se il clima lo consente, sono io, quindi se i miei vicini non tollerano il mio lavoro, non solo non ne sono al corrente ma soprattutto l’avranno vissuta fino ad ora come una amara condanna. L’ho premesso perché in questi quaranta giorni di #rimaniamoacasa, uscendo in auto e percorrendo qualche chilometro attraversando i centri abitati, ho notato scolorirsi sempre di più gli arcobaleni dei disegni appesi alle terrazze e ho visto gli stessi non venir sostituiti; e quelle stesse terrazze farsi sempre più silenziose allo scoccare delle diciotto come ormai ci racconta la cronaca. In Francia e in altri Paesi europei è rimasto il ritrovarsi alle diciotto per ringraziare con un lungo applauso quanti in queste settimane si stanno prodigando con il loro intervento nella cura di coloro che sono stati colpiti dal virus. Mi faceva riflettere questa cosa. Credo che l’hashtag #andràtuttobene (non può andare tutto bene con oltre diecimila morti, diciamocelo) dovrebbe essere sostituito da quello #andràmeglio, alimentato dalla speranza che tutti nutriamo. Eppure quei disegni e i flashmob musicali dal terrazzo hanno fatto il giro del mondo. Alle diciotto erano in molti sul davanzale a cantare e suonare, ognuno come poteva; la risposta italiana a quel

sentimento di vulnerabilità che abbiamo provato fin dai primi giorni di diffusione del virus. E il mondo oltre alle fotografie agghiaccianti delle file lunghe e silenziose delle camionette militari cariche delle salme dei deceduti di Bergamo, ha potuto vedere una Italia che reagiva cantando tamurriate, innidimameli, la propria canzone preferita lanciata dal telefono o dallo stereo, non venendo meno al suo spirito guascone e mediterranee; chi semplicemente stava ad ascoltare, chi usando anche i coperchi delle pentole o chi, coraggiosi fino alla fine, riesumavano il tanto famigerato flautodellescuolemedie (scritto tutto attaccato come il nome di un mostro terrificante). Addirittura era stata programmata una carta di sala per tre giorni: prima sera Inno di Mameli, a seguire Azzurro per concludere con Il cielo è sempre più blu. Volenti o nolenti, criticando o sostenendone la necessità, questi “riti comunitari” hanno per molti ristabilito un senso di fratellanza italiana, una unità di cuori ed appartenenza, un tutti uniti lungo la penisola della musica. Anche se qualche giorno prima qualcuno aveva assaltato un treno per fuggire da Milano indossando il primo Woolrich trovato in casa, inforcando il trolley da viaggio e commentando sul proprio smartphone “Siamo come profughi”, dimostrando il senso di umanità e responsabilità di un serial killer alle prese con la scelta della vittima (e purtroppo le vittime ci sono state).

Le Sante Messe trasmesse in diretta Facebook e celebrate dai numerosi sacerdoti che così facendo hanno raggiunto con un mezzo nuovo le persone e le loro comunità parrocchiali, all’inizio erano prive di musica.

E in quel momento color che vi ha assistito ha sentito la mancanza del canto, anche accompagnato da una chitarra che a detta di molti “proprio in chiesa non ci dovrebbe stare”. E così i celebranti si sono attrezzati in ton ando da so li i cant i (qualcuno scoprendo una dote, qualche altro solo una buona volontà) o scegliendo delle musiche di accompagnamento per un rito che è vivo e Vita, ma se celebrato davanti ad uno schermo grigio e freddo (come lo ebbe a definire un caro amico sacerdote) rischia di essere semplicemente una infilata di monologhi del prete. La musica è parte integrante della Liturgia, è amplificazione dei segni celebrati. E molti per la prima volta se ne sono resi conto e hanno capito che non è un accompagnamento come il ciuffo di prezzemolo sopra un piatto di portata.

La musica c’entra con la vita. E ai più che non si erano mai posti nemmeno la domanda, o che lo ripetevano come slogan, questi quaranta giorni lo hanno dimostrato e continuano a farlo.

E non solamente perché in queste settimane ascoltiamo tantissima musica, la condividiamo nei social, partecipiamo ai challenge (in italiano, semplicemente sfide) delle cover (in italiano, copertine) dei dischi della nostra vita, la cerchiamo in tute le applicazioni delle radio on line che prima eravamo abituati ad ascoltare in auto ma

perché mai come in queste settimane in cui siamo stati costretti a vivere una condizione di isolamento, la musica ci si è presentata come una oasi di salvezza e soddisfazione.

Per ovviare ai fastidi della quarantena, che fa dire a qualche scellerato che “sembra di stare in guerra”, in Italia e in Europa numerosissimi sono stati i teatri e le società di concerti che hanno messo a disposizione gratuitamente le registrazioni d’archivio dei loro concerti e cartelloni.

Forse questa è l’operazione artistica più democratica degli ultimi cento anni. Per molti sarà stata la prima volta, la prima occasione di ascoltare una sinfonia di Beethoven eseguita da una orchestra sinfonica; o la possibilità di assistere ad un Barbiere di Siviglia e scoprire dove si colloca l’aria “Figaro qua, Figaro la” che più o meno tutti accenniamo quando dobbiamo scimmiottare un cantante lirico (e scoprire così che Figaro non è un tenore ma un baritono). E numerosi sono gli artisti che nei vari social network offrono quotidianamente dei piccoli concerti utilizzando le dirette social; dando così alle persone una ulteriore opportunità di conoscere nuovi repertori, nuovi territori.

E tutto questo ci ricorda quanto abbiamo lasciato prosciugare quel grande fiume rappresentato dalla tradizione musicale del nostro Paese, fino a vederlo seccare. Che non significa citare, a caso o meno, le nozioni di quella tradizione, ma significa avere la consapevolezza che non abbiamo a disposizione degli strumenti che permettano di apprendere una conoscenza perché la musica, dopo i tre anni oscuri dell’educazione musicale nella scuola media, non la si studia più, non se ne parla più nel curriculum scolastico.

La musica, questa sconosciuta; la musica, che racconta la vita, la morte, la sofferenza, la gioia, la noia. La musica che bisogna comprenderla partendo dalle sensazioni, dalle emozioni che ci suscita (ecco che ricompare la nostra italianità, il cuore) ma che è anche scienza.

La musica è anche matematica, ma non la matematica dei numeri che animano le statistiche quotidiane dei deceduti e dei positivi. La musica è scienza matematica, che insieme alle sue sorelle Geometria, Aritmetica e Astronomia indicavano un percorso un cursus; e integrata con le arti umanistiche tracciava il percorso per l’uomo che voleva essere libero e consapevole. Mai come dopo questa quarantena si smetterà di cercare di spiegare la musica con discipline a lei ancelle (e in nulla sorelle); perché è in questa quarantena che abbiamo capito quanto in sé la Musica sia salvifica, in sé compiuta e perfetta Queste settimane mi hanno offerto il tempo di assolvere alla promessa fatta ad un amico editor il quale mi chiese di leggere uno studio dedicato a Leonardo da Vinci a dir poco rivoluzionario. E lungo il corso della lettura di pagine dense e ricche di contenuti nuovi e sorprendenti, si ripresentava forte un messaggio di Leonar do: “L’ac qu isto di qua lunque

cognizione è sempre utile all’intelletto, perché potrà scacciare da sé le cose inutili e riservare le cose buone”. Questo pensiero unito alla riflessione di Leonardo sulla Musica, che è suono delle sfere, musica universale, mi spingeva a pensare quanti di questi quaranta giorni ci sono stati utili per cercare di capire e investigare quanto accadeva ci accadeva intorno, partendo anche dai balconi dove molti hanno fatto musica. Nelle sue Confessioni, Agostino di Ippona spiega che la misurazione del tempo, e di conseguenza il senso della memoria, avviene nella nostra mente con le stese modalità con cui nella nostra testa si srotola la melodia di un versetto di un salmo cantato. Il tempo lo si misura ascoltandolo e cantandolo, fingendolo nella mente nel presente della nota cantata poco prima che arrivi la nota futura, e lasciando quella presenta appena cantata, che diventa il passato. Dice Agostino: “Io misuro, mentre è presente, l’impressione che le cose fanno su di te nel momento in cui passano”. E questa può essere una chiave di lettura stimolante del tempo trascorso degli ultimi giorni. Ma Agostino ci infila un interessante shock addizionale: e quando misuriamo il silenzio? E diciamo che quel silenzio è durato per tanto tempo quanto è durata la voce?

Perché i flashmob ai balconi avevano come funzione inconscia quella di dare una voce a delle città vuote e paurosamente silenziose.

Per noi che, nel flusso della confusione e del caos della quotidianità, abbiamo perso il diapason e stavamo non perfettamente intonati, il silenzio assordante di questi giorni è diventato parte integrante del suono della vita. E nella sorpresa di scoprire tanto silenzio intorno a noi, la Musica universale si è rivelata nella sua totale e luminosa bellezza.

In queste settimane, più o meno consapevolmente, si è assistito ad un riavvicinamento alle cose che erano state trascurate da troppo tempo, e abbiamo capito quanto esse siano connesse alla vita, proprio nel momento in cui, per conservarla questa vita del pianeta, siamo stati invitati a stare fermi, seduti, in una inattiva azione. Ci resterà un sentimento di allarme, di grande vulnerabilità determinato dall’indeterminatezza del rischio che abbiamo corso e che continueremo per lungo tempo a correre. Ma dovremo

imparare a conviverci J O H N C A G E , I L PA D R E D E L con questa sensazione, SILENZIO IN MUSICA, AU TO R E D E L FA M O S O senza dimenticare le 4’33’’, IL BRANO CHE NON bussole che abbiamo S I S U O N A P E R C H É R I S U O N A usato in questi I L S I L E N Z I O I N TO R N O quaranta giorni. Dopo le prime settimane dove il sentimento era quello di uno stato fuori del tempo, io stesso, nelle settimane successive, ho visto l’agenda infittirsi di riunioni, incontri, appuntamenti, lezioni, corsi tutti rigorosamente on line.

Tornati ad uno stato pre Covid19, il sapore che mi lascia la celebre affermazione di Albert Einstein “La conoscenza vi renderà liberi” è assolutamente nuovo. Molti mâitre à penser dicono che non impareremo niente da quanto vissuto, e forse è vero. Diciamo che forse abbiamo sperimentato in questa quarantena che non ci basterà credere di sapere per conoscere. E quindi, in questa distinzione che si applicherà a tutto quello che andremo a fare, torno al caro vecchio e saggio Leonardo che diceva “perché nessuna cosa si può amare né odiare, se prima non si ha cognizione di quella”. Siamo chiamati ad un grande cambiamento.

C’è la speranza che al ritorno della vita normale, la civiltà degli apertivi e della movida ceda qualche passo ad una civiltà attenta ai contenuti: un concerto in più, un teatro in più e qualche sprizzettino in meno. È un discorso snob? Non credo. In queste settimane in cui tutte le categorie merceologiche hanno avuto il loro spazio per raccontare il disagio determinato da quanto stiamo vivendo, nessuno ha seriamente parlato del comparto della Cultura che solo in Italia coinvolge milioni di addetti ai lavori. Al ritorno alla vita “normale” siamo invitati a viaggiare italiano, mangiare italiano e comprare italiano; ma in questo ci dovrebbe stare anche la cultura (in tutte le sue declinazioni) “prodotta” in Italia. La consapevolezza dovrebbe rendere liberi, e dopo tante settimane chiusi in casa reagendo allo schermo di uno smartphone o di un tablet osservando un Paese che al balcone si sente unito nelle note di una qualche canzone, il rischio di esserne emozionati e commossi ci mette in una strada che è un vicolo cieco.

Perché commozione e conversione non coincidono quasi mai, se non nelle vite dei grandi santi.

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SOCIETÀ

Treviso, una provincia più forte del virus DEL PROF. VITTORIO FILIPPI

P

asqua segna, anche simbolicamente, un punto di svolta – che si spera venga confermato – per la pandemia che ha interessato il Trevigiano. Un punto di svolta nella misura in cui i numeri mostrano senz’altro una decrescita che fa ben sperare (addirittura nessun nuovo contagio il giorno di Pasqua), anche se i circa 140 decessi imputabili al virus sono il prezzo di vite umane finora pagato dalla provincia. Sapendo che – in mancanza di farmaci ad hoc o meglio di un vaccino il virus rimane e non può dirsi certamente sconfitto.

Poi però ci sono altri prezzi, ancora in via di quantificazione per così dire. Il primo è quello psicologico dato dallo shock collettivo che ci ha colpito. L’infezione, del tutto imprevista, ci ha improvvisamente privato di certezze, di sicurezze e di “normalità” che davamo per assicurate e scontate.

Confortati dai numeri di una demografia che mostravano – soprattutto per le donne – una longevità crescente tanto da porre Treviso in cima alle province italiane. Una longevità addirittura giovanile nel modo di viverla, mentre sarà proprio l’invecchiamento – nel comune di Treviso gli anziani sono il 27 per cento della popolazione – a mostrare la grande fragilità di fronte alla pandemia di una popolazione longeva ma con correlate ed inevitabili cronicità e multipatologie in atto.

In secondo luogo la quarantena – durata in realtà più dei quaranta giorni di cui alla parola veneziana – ha completamente ridisegnato la nostra socialità. Limitandola fortemente all’esterno ed esplodendola per converso all’interno delle mura di casa. Obbligando a reinventarci modalità e stili di convivenza domestici – magari non senza tensioni o problemi – e spingendoci massicciamente tra le braccia

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delle tecnologie comunicative, la rete in primis. Per cui da animali sociali (come ben sottolineò Aristotele) – per i quali ad esempio i riti dell’aperitivo ne segnavano i comportamenti - siamo divenuti animali isolati ma anche social, forzati a vedere “il cielo in una stanza” (per dirla con le belle parole di Gino Paoli) attraverso lo schermo casalingo che però ci connette potenzialmente con tutti. Anche con la scuola, come sa chi ha figli in dovere di seguire le videolezioni. Una socialità mediata ma globale per un virus globale.

Il terzo punto si chiama incertezza. In difficoltà nell’elaborare le novità del tempo presente, dobbiamo anche affrontare mentalmente il post-pandemia. Cioè con il futuro prossimo. Che, avendo interrotto i ritmi della consuetudine e della “normalità”, appare im-prevedibile e denso di incognite: incognite politiche, economiche, lavorative, finanziarie, solo per citarne alcune. Valgono le parole scritte da Aldo Moro costretto nella prigionia: “quando si rompe così il ritmo delle cose, esse, nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo”. Ecco, questo ritmo si è bruscamente spezzato ed oggi nessuno, onestamente, può conoscere le dinamiche dei prossimi mesi. Però, facilmente, possiamo intuirne le difficoltà e le tensioni.

Per quanto riguarda Treviso, area notoriamente manifatturiera ed internazionalizzata, uno studio della locale Camera di commercio suggerisce che con l’emergenza fino al 30 marzo (e siamo andati ben oltre) vi era la possibile contrazione delle esportazioni di 20 miliardi di euro nelle sole dodici province più colpite dai contagi (sono incluse Padova, Treviso, Venezia).

Non solo: occorre anche aggiungere la criticità negli approvvigionamenti, i blocchi delle merci italiane alle frontiere, le

misure di distanziamento sociale nei vari Paesi, la sospensione delle attività produttive, le interdipendenze delle filiere produttive. Treviso importa un miliardo di euro dalla Cina (valore 2019): parametrando su questo valore e sul primo trimestre del 2020, è possibile un ammanco di input per 70 milioni di euro. Se a ciò aggiungiamo la paralisi del turismo, del commercio e dei pubblici esercizi non solo il bilancio si incupisce, ma getta ombre sulla tenuta futura dell’occupazione e sull’andamento dei consumi.

Però abbiamo anche due grandi risorse certe da cui ben ri-partire: siamo una provincia reattiva perché economicamente forte e socialmente coesa. Due ottime ricchezze per non farci prendere dal virus devastante – peggiore di quello biologico – dello sgomento, dell’impotenza, della depressione.

VITTORIO FILIPPI (Treviso, 1954) ha insegnato Sociologia all’Università di Venezia ed allo Iusve di Venezia. Si occupa di famiglia, demografia, invecchiamento. È editorialista per il sociale del “Corriere del Veneto” e collabora con la rivista di demografia “Neodemos” e con la rivista di “Psicogeriatria”.

SCUOLA

Lettera aperta alla

Ministra Azzolina Onorevole Ministra, sono una dirigente scolastica in quiescenza ma non quiescente, molto anziana, diciamo a forte rischio di coronavirus ma non così lenta nei riflessi da non aver colto, in una sua recente intervista alla stampa, delle frasi che mi hanno riportato il sapore molto antico e quasi ammuffito di una concezione DELLA DOTT.SSA della valutazione scolastica veramenCINZIA MION te d’altri tempi. Naturalmente sono convinta che le parole in questione le siano sfuggite, sappiamo cosa succede quando siamo pressati dai giornalisti…Le frasi sono quelle che si riferiscono alla promozione per tutti ma alle pagelle che saranno” vere: se lo studente “merita” 8 avrà 8, se merita 5 avrà 5… alla fine tutti avranno un voto. Chi risulta insufficiente recupererà l’anno prossimo… (qualcuno riferisce anche se un allievo non è stato presente potrebbe prendere anche 4, ma io non l’ho sentito, spero non sia vero) Credo fermamente che nella confusione della pandemia le sia sfuggito che già la docimologia (scienza della misurazione) negli anni 60/70 aveva stabilito che i voti numerici su scala decimale sono soggettivi ed arbitrari perché applicati come se fossero unità di una scala perfetta, con differenze tra un voto ed un altro di una misura perfettamente uguale..., e noi sappiamo tutti che non è così, inoltre li applichiamo come se stessimo misurando e non valutando. Discorsi scontati. Scontati?

Ma non voglio riprendere la vecchia tiritera, ormai, della lotta al voto per tutti i sacrosanti motivi che ormai tutte le persone di scuola conoscono bene (quante volte l’abbiamo predicato, recentemente un webinar con 3.000 partecipanti) ma le disposizioni legislative continuano a richiederlo almeno come risultato quadrimestrale e finale, e moltissimi docenti continuano ad applicarlo per inerzia, sottomissione, rigidità, incapacità ad usare altre modalità, mancanza del cosiddetto carisma professionale, uso del voto come spauracchio, non conoscenza della valutazione formativa, rifiuto della fatica di osservare, annotare, sfrucugliare dentro al processo di insegnamento-apprendimento dove si annidano le lacune, di quale tipologia sono, (strutturali o elementari?)… Figuriamoci se non si è capito finora….se si capirà ora…

Ma invece questa è forse la volta buona ed allora insieme a Lei, mi perdoni, desidero fare un ragionamento semplice

semplice: ”Se si ammette all’anno successivo, in altri termini “si promuove”, un ragazzino - uno studente come dice lei - che riporta un voto insufficiente, quando si deve riprendere a settembre, ed attivare il recupero delle lacune (il docente titolare oppure un altro docente, perché sappiamo tutti che la continuità non può essere garantita) cosa si è venuti a sapere o a ricordare rispetto a quali sono le smagliature che devono essere rimagliate? Se davanti si para un numero che al massimo offre la possibilità di attivare una “classifica” tra tutti gli appartenenti alla classe - che così non viene più considerata una “comunità di apprendimento”, allora diventa difficile avviare un recupero puntuale, significativo, azzeccato e tempestivo. La classifica è inutile sempre perché non siamo ad un concorso, e ridicola al tempo del coronavirus che almeno in questo potrebbe comportare un ridimensionamento delle competizioni inutili e dannose, e rimettere un po’ a posto i valori che contano, mettendo in ombra quelli che possiamo tralasciare.

La classifica aveva un senso quando si scremavano le eccellenze, ai tempi della scuola elitaria, cara Ministra, che discendeva dalla riforma Gentile, ma poi, come senz’altro saprà, abbiamo avuto la scuola di massa (1962, con la scuola media unica), poi la scuola dell’integrazione (L517/77 che ha introdotto la famosa Valutazione formativa (ahimè negletta e trascurata) che Lei, onorevole Ministra, sponsorizzando il voto, aiuta a svalutare e mettere in ombra. Naturalmente sono certa che lo fa in buona fede. Lei conosce la realtà dei voti e di questi parla…

Ma non ho finito, oggi la scuola è diventata dell’inclusione, dove ogni docente, Dirigente, personale non docente, genitore, EELL, Associazione professionale del territorio deve costruire reti di relazioni fiduciarie per far raggiungere il “successo formativo” a tutti i soggetti (regolamento Autonomia). Qui il discorso diventerebbe troppo tecnico e lungo e penso che Lei sia presa da compiti urgenti e difficilissimi da gestire per cui chiudo, sperando però che abbia colto il significato di questa lettera semplice ed accorata, di una vecchia, ma non ammuffita, persona di scuola e che non sottovaluti il rischio di aumentare il numero già alto dei dispersi (caduti fuori dal contenitore scuola), alla vista di un voto negativo, secco, coma una scudisciata.

Con fiducia, Cinzia Mion FB Cinzia Mion

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STARE BENE

Nutrizione Funzionale e Dermatite Atopica

DELLA DOTT.SSA NADIA SORATO

Scopri perché ne parliamo proprio in primavera!

L

a Dermatite Atopica (DA), nota anche come “eczema”, è una malattia infiammatoria cronica della pelle che colpisce quasi il 20% della popolazione generale. Provoca intenso prurito, secchezza cutanea, formazione di chiazze rosse con vescicole e in alcuni soggetti può essere accompagnata anche da rinite e asma allergico.

Di fatto la pelle perde le sue proprietà di fungere da barriera nei confronti del mondo esterno. Ciò determina: 1) un aumento nella perdita di liquidi (la pelle non riesce più a trattenerli) con conseguente secchezza cutanea e intenso prurito difficilmente alleviabili con creme idratanti; 2) un aumento del contatto tra agenti esterni di varia natura (allergeni, microbi, inquinanti) e il sistema immunitario presente sotto la cute con conseguente peggioramento delle chiazze e circolo vizioso di infiammazione.

Perché ho la Dermatite Atopica?

“La DA è una malattia che ha una forte componente genetica. Se ne soffri probabilmente altri membri della famiglia hanno patologie allergiche, come l’asma o le pollinosi. Il fattore genetico non si può cambiare e pertanto la malattia è cronica, cioè non è totalmente guaribile, ma si può fare tutto il possibile per tenerla sotto controllo ed evitare che influenzi pesantemente e negativamente la tua vita.

Sulla componente genetica agiscono poi quelli che definiamo “fattori ambientali”: inquinamento, stile di vita, dieta, terapie farmacologiche, allergeni stagionali, ecc.

Questo è il motivo per cui la malattia non si presenta ogni giorno uguale a se stessa, ma può andare da periodi di completa remissione (simile alla guarigione, ma come ti ho spiegato non si può guarire) a periodi di fulmineo e incontrollato peggioramento. È molto importante che tu sappia come puoi agire su alcuni di questi fattori per tenere sotto controllo la tua dermatite.”

Quali sono le terapie farmacologiche standard?

“Per il trattamento della DA si utilizzano prevalentemente prodotti ad uso cutaneo a base di corticosteroidi, con tutti gli effetti collaterali annessi (tra cui l’assottigliamento e la sensibilizzazione della pelle, rischio di infezioni fungine) motivo per cui ne è sconsigliato l’uso continuativo. Possono essere utilizzati anche antistaminici per via orale e spesso possono essere consigliati anche trattamenti di esposizione controllata a raggi UVA e UVB. Nessuna di queste opzioni rappresenta però una cura definitiva. Come già spiegato purtroppo la componente genetica fa sì che la malattia sia

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sempre nascosta e pronta ad esplodere.”

Perché è importante parlare di Dermatite Atopica proprio in questo periodo?

“Se soffri di DA, la primavera è un periodo complicato e adesso ti spiego perché. La forma più comune di DA, detta estrinseca, presenta elevati livelli di IgE (immunoglobuline E) sieriche totali. L’aumento di IgE è tipico delle malattie allergiche nelle quali: una molecola molto importante governa la risposta allergica: l’istamina.

L’istamina svolge molteplici e importanti ruoli all’interno del tuo organismo: è coinvolta nel funzionamento del sistema immunitario, in una corretta digestione, nei meccanismi del sistema nervoso centrale per il quale funge da neurotrasmettitore.

Ogni persona ha una propria capacità di tollerare l’istamina e ciò dipende dalla genetica dell’individuo. Pensa a te come ad un vaso e all’istamina come all’acqua.

La capienza del vaso determinerà quanta acqua ci puoi versare prima che trabocchi.

Se hai la DA il tuo vaso è piccolo e quindi si riempirà molto in fretta determinando la comparsa dei sintomi tipici della DA; se non soffri di malattie allergiche hai invece un vaso molto capiente che puoi riempire a tuo piacimento. Ricorda che tutto ciò che presenta delle caratteristiche allergiche riempie il tuo vaso e carica questo sistema.

In primavera i pollini, indipendentemente che tu ne sia allergico, contribuiscono a riempire di acqua il tuo vaso, fino a farlo traboccare. Più si supera la capienza più l’acqua in eccesso traboccherà con impetuosità. Tradotto nei fatti: più il carico di istamina è elevato, più violenta è la reazione della DA. Ecco perché da un giorno all’altro il peggioramento può essere repentino e incontrollabile.

STARE BENE

La grandezza del vaso non la puoi decidere tu, ma è determinata dal tuo DNA. Quello su cui puoi agire è quanta acqua metti in quel vaso ogni giorno, la velocità con cui versi l’acqua e la velocità con cui l’acqua evapora dal vaso. Puoi quindi agire sui fattori ambientali. Ciò significa che non devi vivere passivamente la tua malattia, ma puoi agire proattivamente per tenerla sotto controllo. Ora ti spiego come farlo con la dieta.”

Perché la Nutrizione Funzionale è cosi importante nei casi di dermatite?

“Come ti ho spiegato, nella DA è importante ridurre i carichi di istamina perché la capacità di tollerarla è particolarmente ridotta.

Lo scopo della Nutrizione Funzionale nel trattamento della DA è quello di lavorare sulla reattività del paziente mirando ad abbassare il suo contenuto istaminico, cioè aiutandolo a svuotare il vaso in modo che la goccia non lo faccia traboccare.

Ci sono 3 livelli nei quali la Nutrizione Funzionale lavora e corrispondono ai 3 motivi per cui si può verificare un accumulo di istamina.

1) l’istamina può accumularsi per via “esogena”: proviene cioè dall’esterno, principalmente dai cibi 2) l’istamina può accumularsi per via “endogena” cioè viene prodotta direttamente dal tuo corpo, anche in risposta ad alcuni cibi 3) l’istamina può accumularsi a causa del malfunzionamento di DAO che è l’enzima che dovrebbe occuparsi dello smaltimento dell’istamina in eccesso (una sorta di fornelletto che scaldando l’acqua la fa evaporare più velocemente). DAO può funzionare male a causa di problematiche genetiche oppure a causa del consumo di particolari cibi. Anche un altro enzima, chiamato HMT, è importante per la degradazione dell’istamina e in questo terzo punto andrà valutata anche la sua funzionalità.”

Ora spieghiamo come agire con la Nutrizione Funzionale punto per punto. “È comunque opportuno che tu non faccia questo percorso da solo. Infatti, difficilmente puoi capire in maniera autonoma su quale dei tre punti precedenti ti devi focalizzare. Il mio consiglio è di farti sempre guidare da un professionista della Nutrizione Funzionale che valuti il tuo quadro generale per indirizzarti al meglio. Tieni inoltre presente che il trattamento in acuto della DA con la Nutrizione Funzionale prevede delle cosiddette “diete ad eliminazione” che non possono e non devono essere utilizzate a vita ma devono essere riviste e modificate nel tempo.

Come ti ho spiegato prima, ci saranno dei momenti dell’anno o delle situazioni specifiche nelle quali è necessario un intervento più rigido e altri momenti nei quali è

consigliabile avere più tolleranza. Questi momenti e situazioni specifiche dipendono dalla storia unica dell’individuo, dall’ambiente in cui immerso e spesso anche dalle sue relazioni sociali e devono quindi essere valutati attentamente dal professionista.

1) Accumulo per via esogena.

Il primo passo da compiere è eliminare tutti gli alimenti che sono ricchi di istamina e che quindi riempiono il tuo vaso molto velocemente. Rientrano in questa categoria: bevande alcoliche fermentate (soprattutto il vino, lo champagne e la birra), alimenti fermentati (come i crauti, l’aceto, la salsa di soia, lo yogurt, ecc), salumi (in particolar modo pancetta e salame), alimenti inaciditi (panna acida, latticello, ecc), frutta essiccata (albicocche, prugne, datteri, fichi, uva passa), la maggior parte degli agrumi, i formaggi stagionati (anche di capra o pecora), la frutta a guscio (noci, anacardi, arachidi, mandorle), alcune verdure (solanacee cioè peperoni, melanzane, pomodori, patate e gli spinaci), il pesce affumicato e alcune specie di pesci (sgombri, lampughe, tonno, acciughe, sardine).

2) Accumulo per via endogena.

Il secondo passo prevede l’eliminazione degli alimenti che provocano il rilascio di istamina. Rientrano in questa categoria: l’alcol, alcuni tipi di frutta (banane, papaia, ananas, kiwi, fragole), il cacao, il cioccolato, il latte vaccino, le noccioline, i pomodori, i molluschi, il germe di grano (glutine), molti conservanti artificiali e coloranti.

Dal momento che l’istamina viene prodotta anche per fermentazione batterica nell’intestino, lavorare sul benessere intestinale è di fondamentale importanza. Se soffri di malattie infiammatorie intestinali (come la proliferazione batterica del tenue o SIBO, oppure la sindrome del colon irritabile) probabilmente produci più istamina endogena e a questo bisogna porre rimedio con una attenta valutazione della tua salute intestinale e una dieta ad hoc che risolva il problema alla base e potresti non vedere benefici se ti limiti ad eliminare gli alimenti sopra citati.

3) Deficit degli enzimi che degradano l’istamina.

In questo terzo passo è opportuno eliminare dalla dieta i cibi che bloccano il DAO, cioè uno degli enzimi che si occupa dell’eliminazione dell’istamina.

Rientrano in questa categoria: l’alcol, le bevande energetiche, il tè nero, il tè mate, il tè verde. Eliminare questi alimenti dalla dieta fa si che si accumuli meno istamina nel tratto gastrointestinale. La funzionalità di DAO può essere compromessa anche nel caso tu soffra di malattie infiammatorie intestinali (quelle che abbiamo visto prima a cui si aggiungono il morbo di Chron e la colite ulcerosa) e anche in seguito all’uso o all’abuso di alcuni farmaci (come gli inibitori di pompa usati nella gastrite, alcuni

farmaci antiinfiammatori, alcuni antidepressivi, ecc).

Nel terzo passo deve essere indagato anche il funzionamento dell’N-metiltrasferasi (o HMT) l’enzima che si occupa della degradazione dell’istamina a livello tissutale e nervoso. Nel caso in cui il professionista ritenga che HMT non stia funzionando correttamente può rendersi indispensabile l’integrazione con Vitamine del gruppo B in forma attiva e sarà lui stesso a consigliarti gli integratori e i dosaggi più adatti.”

Riepilogando, quali sono i passi importanti che deve fare una persona affetta da DA? “La persona con dermatite deve innanzitutto avere una diagnosi precisa da parte del dermatologo di fiducia, che deve verificare anche l’eventuale presenza di IgE elevate per determinare se la forma è estrinseca o intrinseca. Per le forme acute è opportuno seguire i consigli farmacologici del medico e in ogni caso fare anche approfondita valutazione nutrizionale. È importante rimuovere i cibi ad alto contenuto di istamina per almeno tre mesi, ma questo deve essere fatto accompagnati da un professionista che aiuti a mappare i cibi che scatenano i sintomi. Sempre in questo contesto l’approccio di Nutrizione Funzionale dovrà tenere in considerazione anche eventuali patologie infiammatorie dell’intestino e porvi rimedio tramite alimentazione ed integrazione. Con il monitoraggio costante della situazione i professionisti sanitari coinvolti (il medico specialista e il biologo nutrizionista) indicheranno anche l’utilizzo degli integratori alimentari più utili ed efficaci.

Infine il paziente deve agire anche sui fattori ambientali da lui stesso controllabili: per esempio rimuovendo gli acari dell’ambiente, curando la pulizia degli animali da compagnia e la qualità dell’aria soprattutto in casa, scegliendo indumenti e prodotti per l’igiene personale che siano ipoallergenici.”

Dott.ssa Nadia Sorato La dr.ssa Nadia Sorato è Biotecnologo e Biologo Nutrizionista e da 7 anni svolge la professione a Silea. Ha orientato i suoi studi alla medicina e alla nutrizione funzionale, fondamentali per proporre al paziente le associazioni di cibi corrette per stimolare il processo di guarigione in moltissime patologie. Ricopre incarichi di docenza ed è relatrice in eventi nazionali nei quali insegna ai colleghi come applicare correttamente la nutrizione funzionale per il trattamento di patologie complesse.

Contatti Mail: nadia.sorato@dietafunzionale.it Tel 04221740177 cell. 3929923150 Indirizzo: Piazza Europa 17 Silea

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STARE BENE

La prima visita dal dentista "I bambini sono i pazienti piĂš bravi"

DI A.C.

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STARE BENE

U

na presenza rassicurante, un viso dolce che ci strappa un sorriso quando le chiediamo come sia arrivata 4 anni fa alla sua specializzazione in Ortognatodonzia: “i bambini sono dei pazienti molto più bravi degli adulti.”

La dottoressa Alessandra Visentin, ci fornisce una guida per rendere naturale e non traumatica la prima visita dal dentista, delle semplici regole di avvicinamento ad una figura medica che rimarrà tra le più frequentate nel corso della vita dei nostri piccoli.

Dottoressa Visentin quando è consigliabile fare una prima visita odontoiatrica?

“Secondo le linee guida ministeriali si consiglia una prima visita verso 18-24 mesi indipendentemente dalla presenza o meno di problematiche dentali. Sempre in presenza di un genitore.”

Come dobbiamo preparare il bambino all’incontro?

“Risulta utile e divertente preparare il bambino come fosse un evento importante ma “naturale” e giocoso. Prima di tutto consiglio di dire al bambino, magari il giorno prima della visita, qualcosa come “andiamo a contare i denti”, lo scopo è farlo familiarizzare con il nuovo ambiente e la nuova figura. Consiglio sempre di non arrivare al primo appuntamento con una problematica acuta, proprio per non far registrare e associare il concetto di dolore al dentista. È importante fissare l’appuntamento nei giorni in cui il bambino non ha altri impegni prima e che non sia stanco.

Nei bambini molto piccoli l’ideale è fare le visite al mattino quando sono più riposati e non dopo l’asilo o durante orario del riposino. Sembra banale ma risulta importante anche non dire frasi come “non piangere” o “se non fai il bravo ti deve fare la puntura” che vanno a creare uno stato di allarme.

Giocare con le parole è un buon metodo”.

ciuccio etc). Se sono già evidenti delle malocclusioni vengono indicate ai genitori e monitorate.”

Con che frequenza vanno fatti controlli?

“Se non ci sono indicazioni particolari va bene una 1-2 volta anno. Se c’è rischio di lesioni cariose si valuta il bambino ogni 3- 4 mesi a seconda del caso.”

Vanno curate le carie sui denti da latte?

“Sì, sia per evitare dolori al bambino sia perché i denti decidui sono importanti per mantenere lo spazio per i denti permanenti. Se un dente cade troppo presto a causa di una carie vanno valutate delle terapie ortodontiche per mantenere lo spazio perso.”

Cosa sono le sigillature?

“Questa procedura assolutamente indolore serve a prevenire le carie sui molari permanenti. Con- siste nell’applicare una resina nei solchi e fessure del dente per impedire la colonizzazione batteri- ca con conseguente formazione di carie.”

A che età può essere indicato iniziare una terapia ortodontica?

“Ci sono tempistiche diverse a seconda della diagnosi di base. Alcune terapie sono volte a correggere i problemi scheletrici e/o funzionali (succhiamento, deglutizione scorretta, respirazione orale) e in genere vengono eseguite tra i 6 e 10 Anni.

Le terapie per “allineare” i denti vengono fatte a permuta completa.

Ogni terapia viene individualizzata sul piccolo paziente e per ogni caso viene fatta una valutazione con modelli, foto e radiografie.” *Asio Ortodonzia: specializzazione dell’odontoiatria che si occupa specificamente di diagnosticare, prevenire e trattare le irregolarità facciali e dentali, e di risolvere le parafunzioni ad esse correlate.

Dott.ssa Alessandra Visentin Dopo la laurea in Odontoiatria conseguita nel 2008 ha cominciato ad occuparsi in special modo all’odontoiatria pediatrica specializzandosi nel 2016 in Ortognatodonzia, la branca della stomatologia che si occupa della correzione delle malocclusioni dei mascellari e delle conseguenti alterazioni che portano all’estetica del volto e sulle funzioni della respirazione, della masticazione e della fonazione. Segue costantemente corsi di aggiornamento, certificata per Invisalign e ortodonzia linguale Incognito. Socia ASIO. Esercita la sua professione presso la struttura sanitaria Medical Noalese del direttore, dottor Lorenzo Teschioni, a San Giuseppe di Treviso e presso altri centri in provincia di Treviso.

Generalmente durante una prima visita cosa dobbiamo aspettarci?

“Si fanno valutazioni riguardanti la prevenzione (controllare il livello di igiene domiciliare, valutare le abitudini alimentari corrette o meno ed eventuali parafunzioni- succhiamento dito, Via Noalese, 51/a 31100 Treviso T 0422 430205 M 338 5217312 studioteschioni@gmail.com studioteschioni.it

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Medical Noalese

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Odontoiatria avanzata Restaurativa estetica Pedodonzia Ortodonzia mobile, fissa e invisibile Protesi fissa e mobile Gnatologia Parodontologia Implantologia Chirurgia maxillofacciale

Medicina estetica Ringiovanimento viso e corpo Chirurgia dermatologica AdipositĂ localizzate e cellulite Cicatrici - Esiti cicatriziali Smagliature Patologie Vascolari Inestetismi viso e corpo ObesitĂ Neoformazioni cutanee Lifting non chirurgico Blefaroplastica non chirurgica

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SAPORI

Ristorazione DI ANDREA CARTAPATTI @ANDREFOODANDBEVERAGE

A.C.

E

ra il 15 aprile quando mettevo mano a penna e taccuino per definire la traccia del pezzo di questo numero. Non potevo, dato il periodo che stavamo tutti tristemente e forzatamente attraversando, evitare di affrontare il dopo... il momento della rinascita.

quotidiana in piccole botteghe di vicinato che sono vere e proprie “cattedrali del gusto”.

Non ci fermeremo all’etichetta o al blasone di un vino, ma cercheremo prodotti meno convenzionali, più naturali. Vini che abbiano, in ogni caso, un’identità spiccata e che vada oltre ai cliché d’inizio millennio quando, ahimè, abbiamo bevuto per anni vini che di annata in annata erano di una somiglianza a dir poco “imbarazzante”.

Di certo mi sento di dire che il COVID-19 spaccherà in due un’epoca: la nostra.

Potremo parlare di nuovi A.C. e D.C. in termini di definizione temporale.

Non saranno riferiti a Cristo, ma saranno invece i periodi Ante Corona e Dopo Corona.

Questo virus resetterà e ridisegnerà molte cose, anche nella ristorazione ed in chi la propone.

I pressapochisti di prima non avranno più molte chances, gli improvvisati si dovranno specializzare oppure avranno vita breve, i più seri si rimetteranno in sesto e con sacrificio e dedizione ce la faranno.

Queste settimane ci hanno visti tutti barricati in casa, come nemmeno i più azzardati “vini del falegname” in voga vent’anni or sono, e ci hanno permesso di vivere una quotidianità che avevamo smarrita.

Nel contempo, questo tempo, ha creato a tutti un danno economico che limiterà e ridisegnerà il modo di approcciare i consumi “fuori casa”.

La spesa pro-capite diminuirà per ovvi motivi ed il cliente diventerà più selettivo.

ANTE-CORONA

Le gente avrà voglia di uscire, e di riprendere a fare la vita di sempre.

Le persone torneranno a frequentare i ristoranti ma con spirito diverso, soprattutto all’inizio.

Si farà più attenzione al portafoglio, dopo questo periodo di pausa forzata, ed anche alla qualità; si alzerà fisiologicamente l’asticella e l’avventore sarà più esigente. Un po’ come dopo altri episodi che hanno toccato da vicino ristorazione ed ospitalità, mi viene da pensare a cosa è stato l’11 settembre in termini di indotto turistico e gastronomico per la nostra vicina Venezia e la successiva “ricostruzione” di quanto era stato perduto.

Anche questa crisi, come ci insegna la storia, porterà però con sé una componente di opportunità.

In questa nuova dimensione, con forza e coraggio (perché di questi avremo necessariamente bisogno) potremo anche rifondare una nuova tradizione laddove per mille motivi, camin facendo è andata persa o storpiata al punto tale da non essere più identificativa di territori e popoli.

DOPO-CORONA

Sarà una tradizione che avrà il gusto come unico protagonista, al centro di un palcoscenico ove gli attori sapranno fare un passo indietro e mettersi al servizio della materia prima senza solo ser-

virsi della stessa.

Questo virus resetterà abitudini e costumi, ci farà rivalutare molte cose e spero anche alcuni valori; ci porterà ad un approccio più obbiettivo anche in campo alimentare ed enogastronomico.

Smetteremo di idolatrare chef e blogger da rivista patinata e inizieremo ad apprezzare di più agricoltori e pescatori, contadini e allevatori e chi con fatica porta avanti l’attività

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TREVISO città&storie

Non succederà tutto questo?

In tempi di clausura forzata, fatemi almeno sognare!

Voi, sempre cari ed affettuosi, lettori fate le vostre considerazioni... #perdereunsaporeèperdereunsapere

D.C.

Pe

ri

Tu

tti

vola con la a t a

SAPORI

ricetta pancakes

Pancakes di primavera DI ELISA PERILLO KIDS FOODBLOGGER, PER LA VOGLIA DI VIVERE

Allegria e spensieratezza. Queste sono le prime cose che mi vengono in mente quando preparo i pancakes e li mangiamo tutti insieme. Con un po’ di frutta fresca di stagione e qualche piccolo trucchetto, possiamo far trionfare la primavera nelle nostre tavole con questo grande classico delle colazioni. Provateci con i vostri bimbi: questi pancakes sono spesso oggetto dei miei laboratori di cucina e sono sempre un successone.

Ingredienti (circa 8 pancakes)

Procedimento

• 150 g di farina (di farro o tipo 1) • 2 cucchiaini di zucchero (circa 10g) • un pizzico di sale • 1/2 cucchiaino di lievito per dolci • 1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio • 220ml di latte (oppure se l’avete 100g di yogurt bianco + 120ml di latte) • 1 uovo

In una ciotola mescolate insieme la farina, lo zucchero, il sale, il lievito e il bicarbonato di sodio.

In un’altra terrina, sbattete insieme il latte e l’uovo con una frusta a mano. Unite il tutto con la farina e mescolate fino ad amalgamarli.

Ungete una padella antiaderente con un filo di olio di semi. Quando è ben calda, versate il preparato e abbassate la fiamma. Appena si formano le bollicine in superficie, girate il pancake e cucinate poco l’altro lato.

R I C E T TA D I S P O N I B I L E S U L S I T O W W W. P E R I A N D T H E K I T C H E N . C O M

TREVISO città&storie

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CONSEGNE A DOMICILIO DI FRUTTA E VERDURA

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Pastificio Borgoverde La Bottega della pasta fresca di Nicola, non si è mai fermata.

Ha nutrito a domicilio dando soddisfazione alle nostre pance, tra gnocchi, pasticci e ravioli di giornata vi attende per le nuove proposte di stagione

La Bottega della Pasta Fresca

TERRITORIO

DI VALENTINA FACCHIN, LOCAL BLOGGER

Le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene si estendono su un territorio collinare estremamente affascinante e ricco di tradizione. Un itinerario molto suggestivo e ricco di luoghi da scoprire ed assaporare, che si sviluppa per 120km da fare in auto, moto, bici e magari alcuni tratti a piedi. Preparatevi ad ammirare un paesaggio naturale modellato dall’uomo, recentemente entrato nel Patrimonio dell’umanità UNESCO.

Saliscendi tra i filari delle colline del Prosecco l'itinerario 46

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Partendo da Valdobbiadene in pochi minuti si raggiunge San Pietro di Barbozza, dove si inizia ad ammirare il cuore pulsante delle Colline del Prosecco, incorniciate dai filari che di tanto in tanto lasciano spazio ad un piccolo borgo, a delle cantine o a dei casolari. La sinuosità delle colline ed il verde vivido delle viti rende questo spettacolo naturale un luogo ideale per un’esperienza a diretto contatto con la natura. La prima visita che vi consiglio è l’Osteria Senz’Oste, Via Delle Treziese 4 Valdobbiadene, credo sia uno dei miei luoghi preferiti. Se desiderate potete fermarvi per uno spuntino, oppure semplicemente fare una piccola escursione e ammirare il paesaggio. Da qui godrete di una vista superba, la mia preferite sulla Collina del Cartizze e tutto il territorio antistante ad essa.

Continuando sulla Strada del Prosecco in direzione Follina passate per i borghi di Combai e Miane. Follina conosciuta per l’Abbazia di Santa Maria, risalente al secolo XII, regala un’atmosfera magica e mistica. Un’abbazia cistercense, che mostra diversi punti in comune con la vicina Abbazia di Santa Bona a Vidor (privata, aperta sporadicamente durante l’anno), come ad esempio le colonne agli angoli del chiostro caratterizzate da un nodo a mezza altezza.

Concedetevi del tempo per visitare il chiostro, estremamente suggestivo.

TERRITORIO

L’accesso è gratuito e, nella foresteria dell’Abbazia, è possibile pernottare.

In pochi minuti di distanza sorge il borgo di Cison di Valmarino, un’opera d’arte in sé. Conserva perfettamente la Chiesa di San Giovanni Battista del XVII secolo, la Loggia ora sede del municipio, le antiche Cantine Brandolini. Non mancate di fermarvi al Bar Roma proprio nella piazza centrale, entrate anche solo per un caffè, è carinissimo!

A questo punto sono certa che Castelbrando, avrà colto la vostra attenzione.

Un imponente castello da fiaba ove poter liberare la vostra fantasia e rivivere le suggestioni del Medioevo, prevedete del tempo per vistarlo con calma. Il complesso ospita un hotel, una spa, un paio di bar, una pizzeria ed un ristorante. Lasciate il vostro mezzo all’ampio parcheggio alla base del colle su cui si erge il castello e salite o in funicolare, in base all’orario può essere gratuita, altrimenti munitevi di 1€(la discesa è sempre gratuita) oppure salite a piedi.

Dalla mia esperienza, dopo la visita, val la pena prendere qualcosa da bere e godersi il panorama. Evitate la pizzeria, trovate proposte migliori altrove.

La scoperta delle colline prosegue verso il Molinetto della Croda, si trova a Refrontolo ed è un mulino adiacente il fiume Lienza. Un tempo qui vi si macinavano le granaglie, ora completamente ristrutturato è sede di varie manifestazioni. Un angolo incantevole e rilassato, ideale per un break.

Rolle diventato nel 2004 il primo borgo d’Italia tutelato dal FAI è da visitare con la calma che la zona richiede, se potete, andateci in moto o in bici e lo gusterete al meglio. Particolarmente bella è La Pieve di San Pietro di Feletto edificata attorno all’anno mille. Alcuni degli affreschi sono stati rinvenuti abbastanza recentemente e da qui si schiude una vista meravigliosa sulle Colline del Prosecco.

ABBAZIA DI S A N TA M A R I A

la Grande Guerra.

Numerosi sono i luoghi di particolare interesse lungo questo incantevole itinerario, tanto che risulta impossibile poter visitarlo in un singolo giorno. In alternativa vi suggerisco di suddividerlo e crearvi delle tappe, magari con degustazioni in cantine selezionate.

IG @aroundandabouttreviso FB facebook.com/AroundAboutTreviso www.aroundandabouttreviso.com M O L I N E T TO DELLA CRODA

LA PIEVE

A Farra di Soligo sorge il complesso difensivo delle Torri di Credazzo. Un castello a tre torri, di cui non è chiaro quando sia stato edificato, ma sembra si aggiri attorno al XIII sec. per volontà dei Collalto. Attualmente è una proprietà privata, per cui non accessibile, ma si può fare una passeggiata fino alle vicinanze circondati dai vigneti.

E infine, in questa lunga scoperta di un territorio molto affascinante, tra natura, storia e arte, una visita va dedicata alla Chiesa di San Vigilio a Col San Martino. Realizzata probabilmente intorno al secolo X, ha subito diversi cambiamenti, fino ad essere utilizzata come osservatorio dall’esercito austro-ungarico durante

TO R R I D I C R E DA Z Z O

CHIESA DI SAN VIGILIO TREVISO città&storie

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E. San Lazzaro Mozzato 10. San Zeno 9.

Treviso in Treviso

I 1616 - ACQUAFORTE - PIETRO BERTELLI

niziamo il viaggio tra le zone del comune di Treviso, dall’ambito denominato San Lazzaro, e dalle parti del territorio in cui è suddiviso che attualmente sono chiamate Mozzato e San Zeno. Le mappe dei catasti napoleonici censivano questo ambito con i nomi di “Borgo Altinio”, “S. Antonino” e appunto “S. Lazzaro”, quest’ultimo fulcro di una delle principali arterie napoleoniche, la strada del Terraglio.

Documenti antichi ci raccontano del Terraleum nell’anno Mille, quel terrapieno ricavato dallo scavo dei fossati la cui centralità viene colta, come vedremo, persino secoli prima.

Ciò è quello che emerge dalla ricerca multidisciplinare messaci a disposizione dall’ar-

DI ARTURO CARDINALE

trovar ristoro e rifugio per la notte: ampie case, con un vasto portico davanti, delle quali una era la ben nota osteria della Frescada, tuttora esistente appena fuori territorio comunale. Attorno al monastero di San Zeno si sviluppò un borgo con una distinta vitalità civica e religiosa nel 1318.

Dopo la ricostruzione del nuovo perimetro delle mura urbiche avvenuta a cavallo dei secoli XII- XIII, il borgo era collegato alla città in forma diretta, attraverso una porta, alla quale venne attribuito lo stesso nome di San Zeno.

Il ponte sul Sile era l'unico ponte di attraversamento per il transito dal contado a sud alla città e viceversa. L'area a sud, attestata sul Sile, era cresciuta in maniera esuberante proprio grazie al flusso costante di persone in questo importante attraversamento e aveva sviluppato delle funzioni specifiche e particolari: più che di insediamenti venne a completarsi di servizi pubblici quali una prima struttura ospedaliera, il castello, i due conventi di S. Paolo e di S. Margherita, i mulini pubblici e i folli da panni di S. Martino.

chitetto Gianfranco Trabucco.

Origini - Medioevo Il Venturini nel 1978 ricavando il materiale dai documenti antichi, scrive che il Terraleum era una strada di notevole importanza la cui origine si perde nei secoli di una fitta foresta di pianura ricca di querce, carpini, olmi e pioppi, e coglie elementi per farlo risalire fin dal 776 (quando Treviso era sede di un ducato longobardo). Dalla caduta dell’impero romano in poi, la zona crebbe gradualmente.

Il corso d’acqua esistente da tempo immemore - che probabilmente fino al 1200 era un argine navigabile - nemmeno Liberali è riusciti a comprendere con certezza se fosse artificiale o meno, fatto sta che il materiale ammucchiato dallo scavo sulla riva orientale fu spianato rendendo transitabile il passaggio. Nel 1316 il Comune ordinò una radicale sistemazione.

Andata sempre più in disuso la via d'acqua, aumentava del pari l'importanza della strada, sulla quale sorgono una serie di conventi e monasteri con funzioni di ospedali e ospizi aperti ai viandanti Pellegrini e ammala- ti. Fu sempre qui che sorsero le prime locande e stazioni di posta presso le quali i viandanti potevano

Tutto si svolse in accordo con la mentalità secondo cui era opportuno mantenere lo spazio urbano per la residenza e riservare le zone periferiche all'edilizia dei servizi.

La porta Altinia, aperta in occasione dell'innalzamento delle mura comunali tra la fine del XII e l'inizio del XIII era detta in origine "Porta Nuova" e si apriva sulla "via publica appellata via Zermanesa", e sulla "via publica per la qual se va a Sant'Anthonino".

Nella località di S. Zen, che nel 1300 pare fosse infestata da lupi per la cui cattura gli abitanti del borgo - ricevevano premi dal Comune, si costituì presto una realtà demografica ben definita, con caratteristiche più affini ad una comunità rurale che non a quella cittadina, dove la stessa presenza di attività artigianali come quella delle fornaci testimonia la tendenza all'autosufficienza economica, tipica delle comunità isolate ed autonome.

L'approvvigionamento di laterizi veniva garantito alla città, infatti, soprattutto dall'attività delle fornaci di S. Zeno e da quelle che funzionavano a Caffoncello.

Veneziano Fin dal secolo XIV la Serenissima, consolidate le sue fortune con i traffici marittimi con l'oriente, si era assicurata assieme a Treviso gran parte del territorio Veneto.

Treviso dopo la guerra di Cambrai del ‘500 sarebbe divenuta presidio militare e il

“L’uomo nella storia ha lavorato per costruire le città, ora sono vuote e si vedono in tutta la loro bellezza e vulnerabilità. Anche alla luce degli eventi dovrà evolversi per affrontare i seri problemi che il sistema vivente pone e al contempo le impellenti, inderogabili urgenze ambientali e climatiche, al fine di ricongiungersi con la natura e vivere bene” Gianfranco Trabucco

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TREVISO città&storie

STORIA E AMBIENTE

Ambiti e Parti "L'analisi della città e del suo territorio, ha consentito di pervenire alla definizione di sotto-unità urbane e territoriali dotate di una identità propria, che permette di distinguerle rispettivamente nel quadro della comune appartenenza al generale processo di formazione urbana e territoriale di Treviso.

Le unità urbane e territoriali così determinate sono definite "AMBITI", in quanto possono raggruppare più località che appaiono strettamente legate le une alle altre per le particolari comuni origini storiche.

Sostanzialmente la suddivisione del territorio comunale nei dieci ambiti individuati corrisponde infatti al processo di crescita radiocentrica della città, orientato rispetto agli assi della grande viabilità di terra e fluviale (e ricondizionato dalla disposizione ottocentesca del tracciato della ferrovia), a partire dal nucleo urbano originario.

Un ulteriore approfondimento dell'indagine ha riguardato invece le singole località, definite dai relativi toponimi consolidati, che sono state riconosciute come unità urbane e territoriali elementari che si presentano come vere e proprie "PARTI" di città in quanto dotate di una particolare coerenza, omogeneità e/o compiutezza di impianto, ovvero in quanto circoscritte da forti barriere naturali o artificiali.”

Terraglio, che costeggiava ancora un canale congiugente Treviso a Venezia, un liquido cordone ombelicale, dall'incessante scambievole nutrimento di coltura e di derrate agricole.

In quegli stessi anni (1423) proprio dal Terraleum, giungeva a Treviso S. Bernardino da Siena a rinvigorire la regola dei francescani.

Dodici anni dopo, i Trevigiani, avrebbero eretto per i frati di sua osservanza (francescani minori) su quella stessa strada vicino alla chiesa di S. Lazzaro un convento votato, per volere dello stesso santo predicatore, a S. Maria del Gesù.

I cambiamenti portati dalla costruzione delle nuove mura e dalla Spianata di questo primo tratto compreso nei 500 passi tuttavia segnarono la fine dei monasteri e annullarono la gradualità dell'impatto data dal borgo, rendendo la città austeramente isolata.

Il celebre frate progettista fece alzare ulteriormente e rafforzare le mura, soppresse già nel 1368 le altre porte, tra cui quella del Terraglio, fu mantenuta a sud solo Porta Altinia ed inserita nei bastioni murali rinascimentali contrassegnati dai leoni alati.

Tutto intorno, la bellezza del paesaggio, l’entroterra e la laguna si definivano in una tavolozza di colori che riflettevano la percezione gioiosa di queste terre e della natura, naturale compendio della vita in città.

Tra i campi risaltava, non a caso, la traccia dritta ed alberata del Terraglio come segno di congiunzione e collegamento diretto ed

intenzionale tra le due città: non avrebbe tardato a divenire, per tutta la sua lunghezza, meta ambita di residenza per i patrizi, qui vi si villeggiava in giugno e in settembre musicando e danzando, in piacevoli passeggiate nel parco, nella caccia e nella pesca, in circoli culturali come quello tenuto dalla nobildonna Isabella Teotochi, sposa di un Albrizzi in villa Albrizzi Franchetti, fuori Treviso, in tempi napoleonici.

Motivo di orgoglio da parte della Serenissima nel settecento, tanto che anche un personaggio Goldoniano paragona Mestre ad una “Versailles” affermando: "in nessun luogo d'Italia o fuori d'Italia si può trovare una strada come il Terraglio così lunga, unita, così popolata con palazzi da città e da sovrani".

Successivamente, nel periodo del Regno d'Italia la zona si urbanizzò spontaneamente: con le residenze, nacquero alcuni opifici e alcune strutture commerciali e artigianali, e venne costruita, a ridosso delle mura, la circonvallazione per lo scorrimento del traffico t e r r i t o r i a l e v e r s o i l Fr i u l i e i v a l i c h i internazionali.

Dopoguerra - Attuale Attualmente la zona è racchiusa a nord dalla cinta muraria e dal fiume, a sud ovest dalla ferrovia, che ha completato nel tempo l'accerchiamento con le linee secondarie per Montebelluna e Castelfranco, ed è attraversata dal cavalcavia della circonvallazione costruito nel 1938 dopo un'annosa questione e per il quale si ammetteva ancora nel 1910 la necessità. “L'impianto ferroviario infatti lasciato dove è, date le enormi difficoltà di essere e sovra e sotto passato dalle attuali arterie di comunicazioni, rimarrebbe un insormontabile muraglia, ben più dannosa di antiche mura di cinta di città, che dovunque vanno scomparendo o che, dove ragioni storiche di alta importanza, o rispetto d'arte non consentono l'opera demolitrice del piccone, possono, se non altro, in ogni dove, da tagli a livello vivifiPROGETTO DEL SOTTOPASSO DELLA FERROVIA (INGG. CANTON, GIURIATI POI catori essere solcate ed MILANI) PRESENTATO DAL PODESTÀ E PUBBLICATO NEL 1928. LA VISTA DAL aperte". (Comune di Treviso CENTRO STORICO VERSO SANLAZZARO (P. DEL FABRO) RAPPRESENTA LA CITTÀ CHE SACRIFICA IL LIMITE MURARIO, A FAVORE DELL’ESPANSIONE NEL TERRI- 1910) TORIO, CON UN MODELLO DI PIANIFICAZIONE E INTERVENTI ATTENTI AL VER- Da qui cominciava già a DE E AL DECORO URBANO. delinearsi l'eventualità di spostare più a sud la stazioNapoleonico - Austriaco ne ferroviaria: provvedimento che non ebbe Nel corso dell'800 (1806 - 1813), come si seguito e la situazione rimase invariata vino vede nelle mappe del catasto napoleonico ai giorni nostri. ed austriaco, si rettificava l'ultima parte del Da quella “Treviso in Treviso” (Cima Terraglio, le autorità asburgiche inserivano 1699), si scopre che viviamo in un monquesta zona storicamente acquitrinosa nel do costruito dall’uomo con misura e prosistema urbano, scegliendola come area per porzione dove, pur avendo attecchito l'insediamento dello scalo della nuova strada flagelli di ogni genere, i rapporti tra ferrata Venezia - Vienna (1851). natura ed interventi si sono espressi con Alla stazione fu assegnata la posizione più vicendevolezza costante per lungo tempo comoda, "d'altro canto - giustifica l’ingegneprima che fossero compromessi dalla re Giuriati - nessuno poteva intravvedere mancanza di visione e da uno sviluppo l'avvento delle tramvie urbane e di altri veicoincentrato esclusivamente su aspetti parli a trazione meccanica". ziali.

VISIONI DI PROGETTO E REALIZZAZIONI DELL’ARCHITETTO GIANFRANCO TRABUCCO

“Il fare umano sia integrativo e non distruttivo della bellezza del mondo” Giovanni Urbani

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COME ERAVAMO

Vecia Treviso

DELL’ARCHITETTO GIORGIO FANTIN PADRE FONDATORE DELLA CONGREGA DELLE TRADIZIONI TREVIGIANE

N

el 1947 papà e due amici portarono le famiglie al mare, villeggianti ci chiamarono i residenti di San Pietro in Volta, far Lido e Pellestrina. La prima scottatura è ancora un ricordo, ma il tuffo dalla roccia della spiaggetta con occhi aperti fra le gambe è ancora emozione viva per la prima stralvolta bracciata. E dai giovani pescatori imparai a rimanere sott’acqua, fino al 1955 quando il rugby mi assorbì.

Questo sport mi portò poliziotto a Padova nella squadra delle Fiamme Oro perché avevo vinto, diciottene studente, il titolo italiano col Faema Treviso. E diventai amico degli atleti probabili olimpici, da Livio Berruti a Mazza, Cavalli, i fratelli Lievore, Ambu, Roveraro, ecc. Nell’estate 1958 il m.llo Auliera mi invitò a riattivare il consueto campeggio estivo a Jesolo Lido in località Ca’ Gamba, un quadrilatero 100x100 con tende a due posti per i superiori sul lato d’ingresso, altri due lati con fila di tende a 8 posti per guardie, con l’alza bandiera al centro. Qualificato “furiere”, nel tempo libero prima di mezzogiorno e nel tardo pomeriggio attraversavo la strada per la vicina splendida spiaggia, tuffandomi subito e proseguendo in mare aperto fino a che fossi sfinito. Era

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TREVISO città&storie

Jesolo, estate del 1958: Nicoletta Strambelli, il Vat69 ed io

COME ERAVAMO

l’allenamento quotidiano prima dell’inizio del campionato, allenamento al mare di tutta la squadra quell’anno col francese Poulain già ad agosto. Nello scontro fra due file opposte presi una testata che mi fratturò la mascella sinistra, proprio a ferragosto con gli ospedali chiusi.

Era la “mia”Jesolo, che ogni sera veniva riempita per libera uscita da 100 celerini e ci accoglieva al “Marina” e al “Bagni” in piazza Drago. Con una bicchierata, fra chi si ritrovava per il ritorno, presso l’Albergo Centrale dei fratelli Santin. All’Hotel Bagni assieme ad una ragazza inglese ho sentito il concerto di Umberto Bindi, che alla fine ci ha salutato stringendoci la mano.

Ritornato a casa, da civile a gustarmi l’olimpiade di Livio Berruti ed a lavorare, l’aspettativa desiderata era l’estate a Jesolo dove godevo di ritrovare gli amici nel campeggio spostato e ritrovato, ma anche nell’osteria prima di arrivare in centro paese gestita da tre sorelle “Befane”, ma la più giovane era bella e corteggiata, che aiutavo al banco con la mia bevanda allo scaker, e poi andavo a ballare in piazza Marconi anche se ero timido e non molto bravo.

Finiti gli scontri in campo a Treviso (il tempo dei tre anni dell’Ignis), gli amici inseparabili erano Sandor “el puteato”, il “Cocco” dalla Fiera, “Neni”, “Ceka” commesso all’Alta Moda, e più tardi il “Bizzo” più giovane e “Cicin”. Soltanto Armellin trasportatore era proprietario di una 1400 cabriolet con tettuccio apribile di telo, e si pagava alla domenica 250 lire ciascuno per la benzina. Da Caorle, dove vivevano fra il ristorante “da Duilio” e il “Desiré” dancing all’aperto, gli amici traslocarono a Jesolo nella mia riserva, ed abbiamo affittato da Franco Perini l’appartamento vicino al suo per tre mesi; goduto con sentimento, soltanto però sabato e domenica perché tutti lavoravamo. La “domestica” ingaggiata girava nuda, soltanto con un succinto grembiule, ma si lamentava per la mancanza di vettovagliamento durante la settimana.

“Checa” Busato, quello di “Signori” e “Signore” accompagnò la “domestica” dove noi eravamo la sera dopo averle comperato un abito elegante, e la licenziammo in tronco.

Era il tempo del Vat 69 un bel dancing all’aperto verso la pineta dove la nostra compagnia ne ha combinato di tutti i colori, anche con una sfilata di moda, noi travestiti con abiti femminili. Dopo aver fatto amicizia con un ricco autotrasportatore mestrino e la sua bellissima moglie, è scaturita una scommessa “pranzo per tutti” con una gara di nuoto fra il nostro Giugovaz giocatore lidense e maratoneta di nuoto Venezia-Pescara. La gara bene reclamizzata, fra una folla gaudente sulla spiaggia, si risolse quasi subito perché il “nostro”, che non nuotava da tempo, si inabissò. Ma poco prima della partenza il marito, per far vincere la moglie, aveva assicurato la disponibilità della cena a tutta la compagnia.

Questa era Jesolo a quel tempo, la nostra Jesolo con l’apertura nel 1960 del ristorante da “Alfredo” in largo Tempini dove Giorgio alla piastra esaudiva la nostra famelica golosità e Vincenzo riforniva di bevande al bar la nostra assidua compagnia. A Treviso organizzammo la cavalchina dello studente all’Hotel Treviso con un certo guadagno, che ci permetteva di poter affittare un appartamento a Jesolo per tutto l’anno,e lo trovammo in via Bafile sopra la farmacia.

Ginetto Santin aprì il primo night club a fianco dell’albergo Centrale frequentato da noti calciatori di mezza Italia. Il “Tibidabo” aveva il portiere all’ingresso e buone orchestre da night, bancone a semicerchio, noi col nostro whiskey a lire 500 anziché 800 anche con due/tre bottiglie di Coca cola per guadagnare l’intera notte con una sola consumazione.

Da Genova nel 1963/64 arrivò un gruppo di musicisti e il capo di cui non ricordo il nome, interrompeva il brano,

quando entravo, riprendendo subito con la canzone che mi piaceva: “Quando,il mio amore tornerà da me..” Mi aveva raccontato del suo amico cantautore, un certo Luigi Tenco (!) attualmente a Roma perché innamorato di una principessa Pignatelli. Ce l’ho ancora nel cuore! Anche perché questo lento lo ballavo con una entreneuse milanese snella, alta, vestito lungo scollato nero. Orario del locale dalle ore 22 alle ore 2 ma alle volte fino al mattino. Giocammo alla carta più alta al banco, pegno tre whiskey, restò il “Cocco” col re dei mattoni Carlesso, nostra ansia, vinse il “nostro”, apparvero in un minuto oltre trenta bicchieri. Ginetto sussurrò: “10 solo ne avrei versati se avesse perso”. Il “Cocco” ed io ci siamo ubriacati ballando sulla pedana il nostro primo twist. Ginetto Santin ci portò così anche nel suo nuovo locale in pineta “Il Clubino” meraviglioso, con piccola pista da ballo e la piscina, quante volte! Ma bisogna riassumere, e così segnalo: • partita di calcio sulla sabbia, tre tempi da 20 minuti, “baeoneri” con Reif,Pasinato, John Charles, ecc. alloggiati all’albergo Centrale contro noi rugbysti su proposta di Ginetto Santin con bicchierata in spiaggia: 1° tempo 3 a 0, 2° tempo 5 a 2, 3° tempo 5 a 6 per noi; • comperato da Renato Castagnotto una “Balilla” funzionante con olio bruciato, Sandor ed io verso Jesolo ritrovati con camicia bianca a pois, auto lasciata in prestito alla cameriera del “Tibidabo”, per sempre; • le due ragazze avevano invitato, unici italiani, io e il “Cocco” alla serata di addio del gruppo sulla spiaggia a mezzanotte, nudi tutti, baci e abbracci, ritorno a casa con la mia 600, “gatu sòno?”, “no”, un chilometro dopo siamo finiti nel fossato fra carte e dischi; • gita da Jesolo di notte con motoscafi, io con Baietto, Cocco/Neni/Sandor con Brisolin, Mario Baietto in albergo a Portorose, io mozzo unico libero nella “mia” barca; • l’amico Scarpa con galoppatoio, tutti a cavallo, io scacciato perché vestito come un buttero, “Cocco” e “Bizzo” alzati alle sette per cavalcata sulla spiaggia, anche quanto rientravamo tutti a casa alle 2 di notte; • Club Adriaco per il tennis, “Cocco” e “Ceka” buoni giocatori, io una schiappa e stavo con le ragazze e con “Neni” e “Sandor”, per la cena gratis • in piazza Mazzini l’autobus della Siamic ci investì, la mia Peugeot 404 si rovesciò sul fianco, col rimborso della riparazione e verniciatura di rosso eseguita dal carrozziere Maritan, fratello del Maritan aiutante di Maniero conosciuto a Jesolo e nel ristorante a San Donà; • Bettin (se ricordo) padovano proprietario del “Muretto”, dove ho sentito Bruno Lauzi che cantava dall’alto di uno sgabello, ci rintracciò al Vat 69 da tam tam ricevuti per farci arrivare nel suo nuovo locale, gratis un mese; • Gobbo nostro amico ci chiese consiglio per gestire la nuova costruzione bar/ristorante/sala da ballo del “King” all’ingresso del Lido e dopo la nostra risposta positiva, partecipammo all’inaugurazione, a tante belle serate, e invitati per il decennale; • Angelo Gentile, proprietario del porto al faro di Jesolo, era un amico di “quelli del martedì”, aveva posto barca anche Sartorato che mi procurò uno strappo da urlo alla coscia destra eseguendo lo stacco di partenza per lo sci d’acqua.

Sono stati dieci anni indimenticabili, con tanti altri ricordi e avventure, perché la bella spiaggia di Jesolo è cresciuta anche con il nostro “lavoro” alle spalle, garantendo le notti di luci abbaglianti. E non posso dimenticare quando portammo Franco Fabrizi che stava girando “Signori e Signore” in due appartamenti piano terra e primo di notte, con dieci signore trevigiane. E così sia.

TREVISO città&storie

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INIZIATIVA

L’Italia che brilla in una maglietta da indossare con orgoglio

F OTO D I M A R C O C O M P I A N O

GIOVANNI DI GREGORIO

stato colpito ma non affondatore per chi con passione e La sua precoce predisposizione alla moda fin da bambina ha creatività, vuole continuare ad esserci. guidato Monica Mastella nelle sue Così ecco che un pomeriggio di metà scelte professionale, da modellista marzo Monica torna con i ricordi a ad imprenditrice il passo è stato quella maglietta che tanto le aveva breve. Da quando aveva 20 anni è portato fortuna. Nella sua azienda a stato un crescendo di esperienza nel Quinto di Treviso, da sola, in un controllo qualità di famosi brand. laboratorio deserto, si è messa a L’organizzazione di dinamiche realizzare le stesse t-shirt bianche, aziendali è stata per anni la sua ricreando con i cristalli l’eterno specialità. Ben lontana tricolore. “Volevo esserci, - ci dice dall’attendere l’occasione si è fatta nella vita propulsore di lussuosa volevo esserci per me stessa per bellezza. non mollare e per dare il mio contributo all'ospedale di Treviso”.

Nel 2009 nasce il brand Momas Così di questo valore di passione, inaugurato con patriottica e presenza e solidarietà, tutto il semplice eleganza con una t-shirt candida su cui si esprimeva una ricavato ha voluto che fosse brillantinata bandiera italiana. È devoluto alle strutture che stanno salvando le vite umane. diventata il suo capo di punta, Ad appoggiarla amiche portatore della sua linea made imprenditrici, Emma Gobbo con in Italy legata alla esaltazione Edo Hub, Manuala Fiorotto, del mondo femminile: tute easy chic e capi sempre impreziositi esperta in comunicazione e la dal suo tocco. preziosa consulenza di Alferina Mazzoleni.

Nel 2014 nasce la punta di Ognuno ha partecipato con la diamante della stilista, Monica propria esperienza per Mastella rappresentata da una Tutto il ricavato sarà devoluto all’ospedale divulgare il messaggio. La preziosa pietra in cui appare al Ca’ Foncello di Treviso centro una magnifica M. stampa si è occupata Disponibile in: bianco / nero / blu dell’iniziativa, come i social e Monica personalizza e illumina Costo: 50 euro poi la rete, sempre i t e s s u t i . Ta t u a l a n o s t r a Per info: info@monicamastella.it sorprendente, di amicizie e seconda pelle con eleganza e conoscenze. Molti sono i unicità. messaggi che continuano ad arrivare grazie alla spontanea Gli accadimenti di questi mesi stanno facendo attingere a forze sconosciute, il delicato meccanismo imprenditoriale è bontà dell’iniziativa.

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EDO HUB

Cambiamenti di Edo Hub

Q

uesta crisi economica dovuta alla pandemia Covid-19 porta alla luce oggi più che mai le contraddizioni e le ingiustizie interne al sistema finanziario. Solo in pochi sono riusciti a trovare delle soluzioni concrete e praticabili, utili ai singoli e alle famiglie per riuscire a superare questo momento.

Perché? Perché c’è una contraddizione insita al sistema stesso. Le più grandi istituzioni finanziare sono infatti nate per guadagnare e non per far guadagnare ai loro clienti.

Non solo, questa crisi sta provocando molta sofferenza nelle persone, ed è proprio per questo che è arrivato il momento di tornare ai fondamentali, ai valori che ci hanno sostenuto nei giorni difficili del passato.

Per quanto riguarda la mia personale esperienza, questo momento mi ha fatto ricordare quando all’età di 8 anni a causa di una situazione spiacevole in casa mi sono trovata a dover affrontare da sola un viaggio di 7 km in bicicletta con mio fratello Giovanni di 2 anni seduto nel seggiolino e uno zaino in spalla con pochi abiti dentro. Mia madre che all’epoca aveva il pancione, mi aveva detto di andare a vivere a casa dei nonni, che li sarei stata al sicuro e che presto ci avrebbe raggiunti.

Ed infatti così è stato, e nella casa dei nonni è nata Eleonora mentre stringevo la mano a mia madre.

Quando poi ho compiuto 13 anni facevo parte di una famiglia di quattro fratelli con una madre dal cuore immenso ma senza soldi per mangiare.

Ho capito che dovevo fare qualcosa per cambiare la situazione, che potevo decidere io il mio futuro al di là di ciò che mi era successo in passato; c’era una forza invisibile in me che mi impediva di rinunciare ai miei sogni.

Ho cominciato a divorare libri, volevo sapere tutto ciò che poteva cambiare immediatamente la qualità della mia vita e delle persone che amavo. È stato il mio cuore a guidarmi e a definire il modo in cui avrei dovuto pensare da quel momento in poi.

Allo stesso modo, in questo particolare momento storico, sento il bisogno di aiutare le aziende e le persone in difficoltà, perché conosco bene questo stato d’animo, so cosa

significa non avere nulla e svegliarsi la mattina con la paura del futuro.

Da 16 anni faccio parte del mondo della formazione e posso dire di averne viste e sentite di tutti i colori in merito a percorsi di miglioramento personale o per quanto riguarda la creazione di modelli di network tra imprese allo scopo di gestire il denaro in modo alternativo.

Nel mio settore, come anche in tutti gli altri, si possono trovare infatti professionisti più o meno etici. Solo nel tempo ho imparato a riconoscere chi veramente ha questo lavoro nel cuore come missione e chi invece guarda solo ad un tornaconto personale.

Per questo motivo ho sviluppato una buona dose di scetticismo e quando ho fondato la mia azienda tre anni fa, mi sono chiesta se c’è davvero qualcosa di nuovo da dire sulla consapevolezza dell’essere umano e cosa effettivamente funzioni davvero.

basata sulla condivisione e l’aiuto reciproco con lo scopo di unire le forze tra aziende diverse, dove si guadagna grazie ad un modello di scambio basato non solo sul valore economico dei propri prodotti e servizi ma anche sul valore della contribuzione data.

"Il futuro ha molti nomi. Per i deboli, è l’irraggiungibile.

Per i timorosi, è l’ignoto.

Per i coraggiosi, è l’ideale."

Victor Hugo Ad oggi voglio fare un ringraziamento speciale alla mia collaboratrice e ricercatrice, la dottoressa Succol Ginevra per non essersi fermata neanche un giorno durante questa quarantena per realizzare questo progetto.

È a questo punto che ho capito quale fosse il tassello mancante. Quello che ancora non è stato possibile concretizzare sotto forma di un qualsivoglia percorso formativo riguarda la parte invisibile dell’essere umano, il suo inconscio, il suo sistema emotivo nascosto, quell’intangibile parte di ognuno di noi che risulta difficile descrivere a parole e che questo periodo storico sta facendo emergere sempre più con il rischio che prenda il sopravvento destabilizzandoci.

Noi di EdoHub siamo riusciti a sviluppare dopo anni di studio e di sperimentazioni un metodo in grado di rendere tangibile questa parte di noi. Quando si è in grado di vedere l’intangibile è allora che si realizza la vera consapevolezza, la quale è in grado di permetterci di reagire nel modo più corretto per noi stessi alle problematiche relative all’ambiente che ci circonda... ora più che mai.

Grazie a una vasta rete relazionale, un entusiasmo contagioso e un’inesausta passione ho pensato di coinvolgere i migliori per settore condividendo con loro competenze ed esperienza allo scopo di aiutare più persone possibili. È qui che nasce l’idea dell’app di edohub

Emma Gobbo emmagobbo@edohub.it +39 340 2570799 www.edohub.it

Una nuova App per unire la forza delle aziende TREVISO città&storie

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PIZZERIA

S. Lucia S PAG H E T T I H O U S E

PIZZERIA E RISTORANTE CON MENÙ DI CARNE E DI PESCE Di Fusco Antonio e Mario Via Terraglio, 78 - 31100 Treviso | T 0422 402583 | F 0422 326121 FB Pizzeria Santa Lucia Treviso Chiuso il Giovedì www.pizzeriasantalucia.net

TENDENZE

u n o caff m a i v e? e B

Il primo profumo che sentiamo al mattino, che accompagna dolcemente il nostro risveglio, la pausa al lavoro con un collega, l’occasione per incontrare un amico o quando semplicemente vogliamo ricaricarci. Un momento della giornata che prendiamo per coccolarci, per fermare i nostri pensieri nelle nostre giornate frenetiche.

Questa nostra tradizione ha origini lontane: nella storia le caffetterie erano salotti intellettuali, luogo di ritrovo di scrittori, filosofi e rivoluzionari dove, di fronte a una tazza di caffè, si discuteva di progetti e si scrivevano poesie. Le nostre abitudini sono cambiate, ma il ruolo del caffè è stato mantenuto nelle case di noi italiani.

Quando si entra in un bar o in una caffetteria si ricerca il dolce e amaro profumo del caffè, che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria; ci sediamo, scambiamo due parole con il barista e respiriamo, è profumo di famiglia. In queste settimane è diventato un delizioso lusso, da gustare al mattino, leggendo un libro sul comodino da troppo tempo, o dopo pranzo sul divano guardando la primavera sbocciare.

Ripenso al mio primo corso di caffetteria; al tempo non potevo sapere che quello era solo "il primo chicco” di un lungo percorso. Per me la parola “caffè” è quella che più si avvicina a “passione”.

Forse non tutti sanno che sparsi per l’Italia esistono tantissimi "Coffee Lovers", una comunità affiatata di appassionati e professionisti che dedicano la loro vita a far conoscere e apprezzare questa bevanda.

La grande “Coffee Family” mi ha spronata a migliorare costantemente: corsi di degustazione, dirette sui canali social di settore, formazione online, coffee challenge, brewing, eventi, fiere e tanto altro.

Tutto questo al fine di portare ai clienti di Bloom la migliore esperienza sensoriale possibile e far conoscere questo mondo che si nasconde dietro la loro pausa caffè.

Chiudo gli occhi e vi vedo, seduti al vostri tavoli oro e azzurro cielo a sorseggiare i nostri caffè, manca poco signori e signore. Gustiamoci questi istanti.

Vi aspettiamo da Bloom.

Feed your mind.

F OTO D I LU I G I B O N AV E N T U R A

“Beviamo un caffè?”

Una domanda ricorrente nelle nostre giornate.

Benedetta Coffe specialist da Bloom

Via San Liberale 10, 31100 TV @bloom_feedyourmind #Imbloom

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HAPPINEZ

HappiNez

L’ aria che c’è DI STEFANIA VECCHIA

A

nnuso l’aria come se fossi un animale selvatico in cerca di una traccia. L’avete mai fatto? Mai provato a farlo al mattino appena svegli?

L’attenzione si sposta su cosa mi dice quest’aria.

L’aria non la vedo, la percepisco con altri sensi, e ne vedo gli effetti, aria di primavera, d’estate di burrasca o lieve. Muove le cose, foglie polvere capelli, agita l’acqua, fa venir voglia di respirare più a fondo o di ripararci.

L’aria entra ed esce costantemente dalle nostre narici.

L’Aria è vita su questa terra per noi esseri umani, creature straordinarie (anche nel complicarci la vita). Siamo davvero creature straordinarie, magie che alle volte ci dimentichiamo di essere. Un naso felice è in grado di comprendere con il sentire “l’aria che tira oggi”.

Respirare è vita, è piacere, è gratitudine.

Quando respiro e sento l’aria che entra ed esce, mi scopro a sorridere perché sono viva e con un sacco di possibilità per giocare nella vita al meglio.

Cosa mi dice l’aria, il vento in questi giorni?

Cosa muove fuori e soprattutto dentro di me?

Come sempre ci parla di grandi possibilità di incredibili opportunità di scoprire ancora di più chi sono cosa desidero e come provare a mettere in atto nel piano materiale i miei sogni. Diceva Mahatma Gandhi che “la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia.”

Annusando l’aria scopriamo i nostri talenti.

L’aria di oggi è indubbiamente più profumata, l’aria è più pulita perché ci siamo fermati. È un tempo di limitazioni su più fronti.

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Siamo sempre noi che scegliamo come agire nei momenti difficili...facile? No, non lo è e nessuno ce lo insegna, pochi ci mostrano che possiamo scegliere.

Mi viene in mente una donna, Vicky Wall che nel momento più difficile della sua vita ha creato Aura Soma. Vicky era farmacista e podologa, e nasce con il dono di vedere l’aura (corpo di luce). Questo dono rimane per lo più nell’ombra fino a quando Wicky, nei primi anni '80, si lascia guidare dalla voce del padre, ormai morto, e crea con le proprie mani le bottiglie Equilibrium, le quali rac- chiudono al loro interno due frazioni: la parte superiore oleosa (materia e personalità) e l’altra, inferiore, acquosa (spirito e anima).

Le Equilibrium contengono le energie del regno animale, vegetale e dei colori. La miscela ottenuta dalle bottiglie che unisce gli elementi, viene applicato sulla pelle.

Un progetto che esprime una bellezza elevata, un racconto della natura che porta la frequenza delle piante dei minerali e aiuta ad entrare in risonanza per comprendere chi siamo e cosa sta accadendo in noi.

Nevio Vitali maestro di danze Sufi e professionista in Aura Soma, ha nel suo studio tutte le 119 boccette. Vederle tutte insieme è uno spettacolo di forza e colori.

(FB Nevio Vitali, nevitali@gmail.com).

Questo è il numero 19 di Treviso Città & Storie, vediamo cosa racconta la Equilibrium 19 che nel rosso e nel viola porpora sazia l’aspetto visivo e olfattivo.* Peccato non poterlo sentire esattamente ora che state leggendo, ma vi invito ad immaginare una sfumatura di Armagnac per avvicinarci insieme alla sua fragranza.

N E V I O V I TA L I

HAPPINEZ

* “La ri-energizzazione del nostro corpo e della vita materiale attraverso un cambiamento del nostro modo di pensare.”

Questa pozione aiuta la rigenerazione dell’energia attraverso un cambiamento di consapevolezza. Il rosso (materiale) su porpora (spirituale) ci ricorda che siamo qui per spiritualizzare il processo del vivere nel mondo, in modo che qualsiasi nostra circostanza o condizione possa essere rinnovata dallo spirito onnipresente che ci supporta dall’altro e da dentro. Può indicare il desiderio di voler creare una circostanza o condizione ideale che può non essere in accordo con quello che c’è.

Agitando la bottiglia si ottiene il colore Magenta” (chalicewell.it) Risuona? La vita è un gioco sacro, proviamo a giocarlo insieme.

Stefania Maria Aida Vecchia

The Ground

Se mi dai una mano

The Ground Quando la mutazione chiama, The Ground risponde.

Questo è il primo libro di Stefania Vecchia, un condensato di vita che aiuta le vite.

Il Mio Libro Desiderio Metodo

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C A CURA DELLA DOTT.SSA LORENA MAZZARIOL, PSICOLOGA UMANISTA E SCRITTRICE

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he esordio quest’anno! Che forma sta prendendo l’albero interiore?

Nonostante tutto, questo è un anno rotondo vorrei dire morbido, nel ripetersi del venti, del due che si tuffa nel suo zero per ritrovare l’uno. Forse in questo movimento stanno scritti gli eventi più duri testimonianza di una nuova consapevolezza.

Ho fantastico nel mio sogno di inizio anno che trovare l’uno è come iniziare la tessitura di un unico telo, non un semplice passo dell’andare dentro. Se ci soffermiamo sulla parola esordio troviamo che ordire è parente dell’ornare, così come ci rendono edotti Moretti e Masetti, due autori che curano l’idea di Massimo Frascati di “una parola al giorno”. E ci dicono, nella loro accurata ricerca del significato profondo delle parole, che nell’ordire troviamo l’ordine di una disposizione in serie dei fili, e partecipa di un’antica radice di regolamento armonico. Così l’esordio promette sviluppi futuri già allestiti. Un esordio indelebile nella mia memoria, oggi ha il tempo di accettare di imparare dagli errori. Mi riferisco al mio primo giorno di insegnamento alle elementari, avevo vent’anni e il fuoco nelle vene. Mi sembrava tutto raggiungibile e possibile anche quando i bimbi stessi mi rimandavano le loro “impossibilità”. Qual è stato l’errore che ho commesso? Volere a tutti costi che loro e anche le famiglie comprendessero che si poteva fare qualcosa per quella situazione. Certo che si poteva ma non è possibile imporre la volontà di cambiare, se loro non erano disposti a farlo! E io ho peccato di potere di onnipotenza senza però perdere la mia volontà di trasformazione, per me, per la mia vita. E questo mio lavoro interiore era la cosa più importante che potessi fare.

Non perdermi di vista per aiutare gli altri perché comunque agli altri sarebbe sicuramente arrivato qualcosa di buono, in forme, in tempi, in spazi a me non concesso di sapere, almeno a quell’epoca.

o p lI Sicuramente sentire che il presente è il mezzo per integrare il passato e creare l’avvenire è stato utile per me e spero anche per loro.

Un sali e scendi di esperienze che si intrecciano per tessere quell’unico telo dai colori tenui, forti e a volte contrastanti, ma così armonici tra di loro. E tra i fili, alle volte aggrovigliati, è necessario affrontare un ponte e non è sempre così leggero e scontato attraversarlo.

Il PONTE è il nostro terzo addobbo: è una struttura utilizzata per superare un ostacolo naturale o artificiale, che si antepone alla continuità di una via di comunicazione, così recita Wikipedia. Il simbolismo del ponte che permette un passaggio è uno dei più universali. È il passaggio dalla terra al cielo, dal mondo sensibile a quello sovrasensibile, un arcobaleno che unisce ciò che non siamo già e ciò che facciamo per ritrovarci e ce lo ricorda ogni volta che appare tra il sole e la pioggia. E la vita è l’attraversamento di ponti; Venezia può essere considerata simbolicamente il cammino che ognuno di noi deve fare: la terra piana che invita a gustare la meta e poi un

F OTO D I A L A I N B O N A F I N I

ABITO LA VITA

onte ponte che ti ricorda l’ostacolo che può essere superato dal coraggio di salire quegli scalini e poi la terra piana e poi un ponte e un altro e un altro ancora, per perdere il fiato alla vista di San Marco, che ci obbliga a volgere gli occhi al cielo e a sentirci pieni.

Anche Treviso può evocare tale sensazione anche se non ci sono gradini ma il grande Dante cita il ponte che porta il suo nome, dove Sile e Cagnan s’accompagna. Scrisse, così si narra, perché aveva osservato che le acque dei due fiumi non si confondono subito, le une sono limpide, le altre spesso torbide, ma le correnti ‘si accompagnano’ per un certo percorso.

Senza troppo addentrarmi nel significato storico ed esoterico del nono canto del Paradiso, mi soffermo sul simbolismo delle acque limpide e torbide e del ponte che troneggia sopra di loro.

Bisogna anche conoscere il male, il conflitto, la mancanza, per scoprire il bene e sceglierlo ogni volta che si attraversa il ponte, simbolo del l’ostacolo che si presenta davanti a noi.

Certo il male, le cose brutte si ricordano di più, stazionano imperturbate nella

ABITO LA VITA

nostra memoria e così sembra che il male sia più forte del bene ma questo solo perché si dimentica a fatica!

Le persone buone sono di più di quelle che hanno comportamenti cattivi e sono dei fari o delle piccole luci che in ogni caso, in un buio pesto, hanno la facoltà di farci vedere. Penso sia comunque importante affermare che nessuno è privo del bene, bisogna solo capire quali semi vogliamo annaffiare e quali ponti attraversare.” Tutti quelli che servono” mi viene da rispondere e cito Martin Luther King: può darsi non siate responsabili per ciò che vi è accaduto, ma lo diventerete nel momento in cui non farete nulla per cambiarlo.

E allora ponti Dante, San Francesco, de Pria e de Fero e tutti gli altri, fatevi avanti, le ginocchia vogliono salirvi e salirvi per scendere e salire, in un moto di benevolo percorso verso la verità e la notte che così diventa giorno.

Il Papa Vi presento il ponte nei tarocchi: il Papa, quinto arcano, è colui che unisce cielo e terra. “La sua missione - dice Jodorowsky - è unire gli opposti apparenti. (...) Non è isolandomi, ma imboccando tutte le vie che comunico la buona novella.”

Lui stabilisce un ponte che permette il collegamento, se si osserva la sommità dello scettro è simile ad una antenna. Il Papa riceve dal cielo e trasmette le informazioni ai fedeli e ai discepoli, unendo i due mondi, il terrestre e il celeste. Ha una mano sul cuore e guarda verso “L’angelo” che troveremo nel prossimo arcano, in un gesto benedicente che riconosce ed approva. È anche il papà buono che fa il profeta e spiega la vita ai figli con dolcezza e con spinte di azione verso il bene, essendo egli stesso esempio di duro lavoro per essere diventato quello che è. Invita a passare i ponti che non rappresentano un luogo in cui sostare ma la volontà a togliere ogni ostacolo. Benedice, dice bene, di ogni esperienza.

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TESTIMONIANZA

DOTT. IACOPO IACHINI CHIRURGO MAXILLOFACCIALE

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Il turno inaspettato

on abbiamo avuto tempo per pensare né tanto meno per ragionare. Ci ha colto così, di sorpresa, inatteso come un temporale estivo, quando tutto il mondo mediatico e gran parte del mondo scientifico minimizzava, ripetendo di non temere. Invece, ad un tratto, era qui, tra noi.

Ci ha davvero stupito questo virus, insinuandosi nelle nostre certezze, stravolgendole, indebolendo la nostra serenità, mettendo a nudo quanto sia fragile e contaminando (per sempre?!) la nostra quotidianità.

Penso che il virus, nonostante tutta la sofferenza provocata, ci stia anche insegnando molto, a me personalmente sia come uomo che come medico.

Quando la direzione del mio Ospedale ci ha proposto di collaborare, in questa fase di emergenza, con il primario e la mia collega abbiamo accettato, su base volontaria, quest’incarico.

Il nostro è un ruolo marginale, di supporto, i pazienti non li vediamo neanche. Vediamo però i loro letti quando si aprono le porte delle stanze, hanno solo un nome per me, un + rosso accanto se si tratta di pazienti positivi al tampone.

Vanno e vengono, qualcuno guarisce, qualcuno si aggrava, altri non ce la fanno.

La depersonificazione della malattia è la cosa che fa più male, la quasi totale assenza di contatto empatico con il malato.

Mai avrei pensato nella mia vita professionale di chirurgo di ritrovarmi in una situazione simile.

Il “mostro” lo si inizia a conoscere, i miei colleghi, straordinari per dedizione ed impegno, iniziano a prendere le prime misure, diagnostiche e terapeutiche. Presto si riuscirà ad arginare e a limitare, ma ad oggi è ancora presto!

Il nostro ruolo, adesso, è diverso da tutto ciò a cui siamo stati abituati, i protocolli cambiano di continuo e si percepisce una sibilante paura anche

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C’è chi lo smartworking non lo può fare, ma non se ne lamenta tra noi addetti ai lavori; e questa angoscia, talvolta, ti spinge a voler gettare la spugna perché pensi a chi ti aspetta a casa, che la quarantena la sta rispettando pedissequamente, e dentro ti laceri al pensiero che potresti portare con te questo mostro...

Ma non molliamo.

Tornando alla sofferenza generata, mi auguro possa servire a qualcosa; questo grande evento, naturale, sanitario, sociale e tutto ciò che ne verrà, deve assolutamente insegnarci che stiamo e stavamo sbagliando. Sono segnali lampanti di un cancro metastatico di cui il nostro mondo è affetto, e bisogna cambiare direzione. Il cambiamento socio-culturale che ne puo' derivare, mi auguro generi un’inversione di rotta consapevole, che parta dai governi arrivando a coinvolgere ogni singolo individuo. Ritengo che la differenza la fará ciascuno di noi, come singolo tassello di una grande collettività!

Per chiudere, poiché la battaglia è ancora lunga, il mio pensiero va a tutti gli infermieri e ai miei colleghi in prima linea, ai loro occhi stanchi, ai loro visi segnati, al loro cuore ammalato da tutta questa grande sofferenza... e penso a chi sta combattendo con la malattia, a chi non ce l’ha fatta... voglio sperare ne usciremo presto e soprattutto che

torneremo a fare il nostro lavoro con altri occhi. Ma ora non abbiamo scelta. Siete i miei eroi sì, siamo i miei straordinari eroi!

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IO ESCO

Cinema:

No time to die

NO TIME TO DIE (Usa, 2019) Regia di Cary Fukunaga con Daniel Craig, Ben Whishaw, Léa Seydoux, Naomie Harris, Ana de Armas

Il franchise James Bond è uno dei più redditizi al mondo: "Spectre" del 2015 ha incassato globalmente oltre 880 milioni di dollari, "Skyfall" del 2012 superò addirittura il miliardo di dollari.

L’agente segreto più famoso al mondo, in missione fin dal 1961, è arrivato alla puntata n. 25 più in forma che mai.

Eppure anche lui ha dovuto arrendersi al coronavirus. L’uscita dell’ultimo episodio, No Time To Die, in origine programmata ad aprile, uscirà in Italia il 12 novembre: tutto questo porterà ad una perdita fra i 30 ed i 50 milioni. E se non volete aspettare quel giorno per saperne di più, leggete qui. Tranquilli, niente spoiler, anche perché attorno alla trama vige un segreto quasi di stato.

Per Daniel Craig è il quinto (ed ultimo,

Teatro: #tratti Treviso Ricerca Arte, associazione di arte contemporanea, promuove una nuova iniziativa culturale: dopo le due rubriche già lanciate sui social come #TRAkids e #unartistalive @TRA, dedicate a bambini e artisti, prepara ora una terza rassegna, che vede come protagonista il teatro, intitolata #TRATTI: l’opera d’arte va in scena.

Sono stati coinvolti 15 attori e attrici, che si sono calati nel ruolo di guide e critici d’arte.

Ognuno di loro racconta attraverso un breve video la storia di un’opera contemporanea, inventandola, e dando così una personale interpretazione, a volte molto bizzarra. Attraverso sensibilità diverse e fantasia, gli attori si fanno ispirare da ciò che gli evoca il solo fatto di osservare l’opera: non hanno nessuna

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a suo dire) 007 ed è anche il più lungo in assoluto: 2 ore e 43’. Nei suoi panni, nell’ordine, ci furono Sean Connery, George Lazemby, Timothy Dalton e Pierce Brosnan. Craig rappresenta il Bond più duro e spietato, niente a che vedere con l’eleganza di Connery, l’ironia di Moore o il glamour di Brosnan, non contando gli insignificanti Lazemby e Dalton: all’inizio c’era più di qualche dubbio su quanto sarebbe piaciuto il cambio di rotta della produzione, dubbi dissolti, come detto, dagli incassi registrati. Peraltro No Time To Die ha avuto un costo astronomico: 250 milioni di dollari. Le riprese oltretutto hanno avuto dei ritardi per un incidente alla caviglia subito da Craig e per un'esplosione sul set nella quale sono rimasti feriti alcuni membri della troupe. Così l’attore inglese, che fra le altre location (Norvegia, Gran Bretagna, Scozia e Giamaica) ha recitato in Puglia e tra i Sassi di Matera, si è accomiatato: “Voglio solo dire, ed essendo piuttosto ubriaco non andrò avanti a lungo, che questa è stata una delle esperienze più belle della mia vita.” La storia è un po’ diversa da quelle a cui eravamo abituati: Bond è in pensione ma, poiché deve salvare il mondo per l’ennesima volta, un amico lo convince a tornare in attività. Dice Fukunaga: “Credo che il bagaglio emotivo fosse l’aspetto più intrigante per

informazione su autore o significato, di conseguenza ne nascono le interpretazioni più varie, arricchite da stili di recitazione diversi.

Ogni opera è stata parte di una mostra organizzata in passato da TRA: questa diventa dunque una preziosa occasione per ripercorrere le esposizioni realizzate negli anni.

Consapevoli del fatto che un teatro accada solo in uno spazio preciso, ovvero su un palcoscenico, ora difficile da calcare, TRA vuole comunque dare voce a questa forma d’arte.

L’associazione crede fortemente nella condivisione tra diverse esperienze artistiche, sempre stando al passo con i tempi: da qui la scelta dei canali online.

Verranno dunque proposte pillole di improvvisazione teatrale, pubblicate settimanalmente dal giorno 11 aprile sui canali social di Treviso Ricerca Arte, per intrattenere e dare sfogo alla fantasia.

me, era una cosa che volevo esplorare, e poi volevo approfondire la psicologia di Bond dopo il suo tragico rapporto con Vesper Lynd in Casino Royale. E ora, con il suo nuovo rapporto con Madeleine Swann, esplorare così comporti farsi carico di tutto quel peso nella nuova relazione.” Lavorazione non facile: regia e sceneggiatura erano state affidate a Danny Boyle e lo stesso Craig aveva rifiutato di partecipare (“Preferirei tagliarmi le vene che farne un altro“): poi è stato convinto da un congruo aumento del compenso. E già circolano dei nomi per designare il suo erede: Cillian Murphy, Benedict Cumberbatch, Idris Elba. In tal caso sarebbe il primo 007 di colore.

La Bond-girl è Ana de Armas, cubana, la nuova fidanzata di Ben Affleck: si presenta in scena con un lungo vestito nero, un paio di orecchini di diamanti, una pistola e una mitragliatrice tra le mani. Fra l’altro interpreterà Marilyn Monroe in Blonde, il biopic diretto da Andrew Dominik dall’omonimo romanzo di Joan Carol Oates. Ed il cattivo, che è davvero cattivo, è Rami Malek, reduce dal successo clamoroso nelle vesti di Freddie Mercury in, ha detto di aver chiesto al regista di voler interpretare un villain senza legami con una specifica ideologia o religione.

Un rimedio, aggiungiamo noi, che fa bene all’anima e allo spirito!

Contatti T 339 6443542 FB @tra.trevisoricercaarte IG tra_trevisoricercaarte trevisoricercaarte.org

IO ESCO

Durante le riprese de “La Passione di Cristo” di Mel Gibson, il protagonista Jim Caviezel è stato colpito da un fulmine, fortunatamente senza riportare conseguenze.

Wes Craven per il suo “Scream”, aveva inizialmente previsto un altro titolo, ossia “Scary Movie”. Titolo che poi fu utilizzato per la nota parodia sul genere horror realizzato dai fratelli Wayans.

Il sangue utilizzato sul set del cult movie del 1968 “La notte dei morti viventi” girato in bianco e nero da George A. Romero è sciroppo di cioccolato. Quello usato anche da Hitchcock in Psycho.

7 anni: tanto fu lunga la gestazione per il primo episodio di

Alien. A causa di dispute economiche tra i produttori e la 20th Century Fox, il progetto stava addirittura per essere accantonato.

Per girare la scena degli scoiattoli che rompono le noci in La Fabbrica di Cioccolato, Tim Burton ha rifiutato gli effetti speciali della computer graphic preferendo ricorrere a 40 scoiattoli ammaestrati.

In Iron Man e Avengers, l’acronimo J.A.R.V.I.S sta per “Just A Rather Very Intelligent System.” (Solo un sistema piuttosto intelligente). La voce di J.A.R.V.I.S., Paul Bettany, ha ammesso di non aver mai visto nessun film di Iron Man, né degli Avengers.

Durante la scena finale di Grease, a Olivia Newton-John si ruppero i pantaloni di pelle nera che indossava. Le vennero cuciti addosso in fretta e furia.

Steven Spielberg si è laureato nel 2002, dopo una pausa di ben 33 anni. Ha fatto la tesi su Schindler’s List.

Curiosità

In ogni scena dei film in cui interpreta 007, Sean Connery indossa una parrucca. SempreConnery, che pure ha interpretato grandi personaggi, rifiutò di girare in “Matrix”, “Il Signore degli Anelli”, “Jurassic Park”, “Indiana Jones 4” e “Blade Runner”.

Il film storico

Il Sorpasso Era l’anno di grazia 1962, l’Italia sguazzava ancora nella piena euforia del boom economico: l’anno prima la lira, nel centenario dell’Unità nazionale era stata proclamata la moneta più solida d’Europa, a nemmeno 20 anni dalla fine della guerra non solo c’era stata la ricostruzione ma gli italiani erano stati travolti da un’improvvisa ondata di benessere che li aveva storditi.

Le strade brulicavano di auto, ognuno aveva la sua (pagata in cambiali), le case erano piene di elettrodomestici, il televisore troneggiava in soggiorno, spuntavano palazzi come funghi. Il futuro era roseo (ma la congiuntura sarebbe arriva a metà di quel decennio), la gente comprava di tutto ed era euforica, ottimista. Qualcuno anche spavaldo. Come Bruno Cortona, 40enne cialtrone romano, immaturo, sfaccendato che vive alla giornata, insomma il classico “furbo”, rubacuori che balla le canzonette di Peppino di Capri e Edoardo Vianello, colonna sonora di quella mitica estate. È anche separato da una donna che dopo un po‘ aveva capito con chi aveva a che fare ed ha una figlia che se la fa con un “cumenda” milanese ricco sfondato. Bruno passa le sue giornate scorrazzando al volante della sua Lancia Aurelia B24S Spider supercompressa (ma il tachimetro è difettoso, “nun lo guarda’, segna de meno”) del 1955 sorpassando (e canzonando) tutti, con tanto di corna esposte in bella vista. Lo fa anche a Ferragosto, cercando invano una tabaccheria e soprattutto, visto che è terribilmente solo,

IL SORPASSO 1962, Italia, regia di Dino Risi con Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Claudio Gora, Luciana Angiolillo

una compagnia qualsiasi. La trova casualmente in Roberto Mariani (Jean Louis Trintignant, doppiato da Paolo Ferrari), timido studente di giurisprudenza, che trascinerà volente o nolente, nel corso di due giorni e una notte, in varie avventure sulle strade delle vacanze di metà estate. Fino a che il destino crudele deciderà di intervenire.

Dino Risi questo leggendario “road movie” da Roma alla Versilia lo girò proprio il 15 agosto del ‘62 firmando la sceneggiatura assieme a Scola e Maccari, in perfetto equilibrio fra la commedia all’italiana e il dramma sociale. Perché sotto la patina allegra e scanzonata del boom si annidavano segnali inquietanti e talvolta tragici: nel film ci sono una visita al cimitero ed un incidente stradale mortale prima di quello conclusivo. Ora noi non possiamo

immaginare Il sorpasso senza Gassman ma in origine avrebbe dovuto esserci Alberto Sordi: quando la produzione andò a Mario Cecchi Gori (il figlio Vittorio si vede con la maschera da sub che assiste alla partita di ping pong, c‘è anche Magalli seduto su una ringhiera) ci fu il cambio, visto che Gassman era sotto contratto con lui. Lo stesso Cecchi Gori non voleva quel finale così tragico, voleva quello con i due che sfrecciavano felici verso l‘avventura: lui e Risi avevano scommesso che se il giorno dopo l'ultima ripresa ci fosse stato il sole avrebbero girato il finale voluto dal regista; in caso contrario sarebbe stato quello del produttore. E quel giorno il sole splendeva alto nel cielo.

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Libri:

Morgana

Storia di ragazze che tua madre non approverebbe Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, Mondadori, 2019

RECENSIONE DI GIULIA PONTICIELLO

Moana Pozzi, Caterina Da Siena, Grace Jones, le sorelle Brontë, Moira Or fei, Tonya Harding, Marina Abramović, Shirley Temple, Vivienne Westwood, Zaha Hadid.

Donne solo apparentemente molto diverse. Ma cosa le accomuna?

Dal podcast Morgana di StorieLibere.fm di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri nasce il libro omonimo che racconta le storie di queste donne così straordinariamente potenti e rivoluzionarie. Ma non sono esattamente esemplari, perché strane, esagerate fino allo stremo, difficili da collocare e per questo ribattezzate Morgane.

Nel ciclo arturiano Morgana è la sorella di Re Artù. Divisa tra fata e strega, nemica del suo stesso fratello è una donna magnetica, seducente e allo stesso tempo molto pericolosa.

Le autrici pongono in antitesi alla sua figura quella di Ginger Rogers. Si parlerà di lei come di un nemico, di una sindrome, “la sindrome di Ginger Rogers”, appunto, che “implica che per stare accanto a Fred Astaire tu faccia le stesse cose, ma all’indietro e sui tacchi a spillo.” Un’ idea misogina che ci obbliga a dimostrare che per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini dobbiamo costantemente dare prova di essere migliori. Così Ginger poteva essere una ballerina altamente qualificata e più brava di Fred solo perché ballava con i tacchi. Ma le nostre Morgane che alla fine della lettura di questo libro diverranno le nostre eroine decadenti, ai loro traguardi ci sono arrivate senza alcun bisogno di dimostrare di essere migliori. Nessuna sindrome quindi per loro. Alcune hanno dovuto lottare duramente e non sempre le loro scelte ci troveranno d’accordo, ma ce le faranno comunque amare, tiferemo per loro, le vorremmo abbracciare. Anche se verranno attaccate, disprezzate e condannate le loro storie non possono essere altro che fonte di ispirazione perché non si tratta di appoggiare una forma di femminismo che mostra la donna come vittima bisognosa di riscatto in un mondo di uomini, bensì ci troviamo di fronte a delle vere e proprie bad girls che non risentono di questa costante necessità di raggiungere gli stessi obiet tivi degli uomini. Protendono

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piuttosto alla libertà, al coraggio di essere sé stesse a discapito della società in cui vivono o di cosa dicono o pensano gli altri. In momenti diversi o vicini e in realtà anche distanti tra loro hanno vissuto assecondando i propri desideri, dando ampio spazio ai loro talenti e credendo nelle loro potenzialità. Moana ha trasformato le sue pulsioni in un lavoro. Santa Caterina ha vissuto completamente al di fuori di ogni schema sociale del suo tempo. Grace ha dimostrato che restare padrona dei propri desideri permette di raggiungere vette sempre più alte. Le sorelle Charlotte, Emily e Anne sono state pioniere inconsapevoli di una nuova era scardinando le rigide regole imposte alle donne dalle convenzioni dell’epoca vittoriana. Moira ha costruito intorno alla sua bellezza la sua apoteosi agendo più sull’immaginario femminile che su quello maschile, al punto da renderla potente anche quando, secondo i canoni, bella non lo era più. Tonya ha imparato che se non riesci ad amarti, nessuno lo farà. Marina ha messo a dura prova il suo corpo e la sua anima per diventare la guerriera indiscussa della performance art rivendicando l’arte come atto di belligeranza. Shirley si è liberata dall’ immagine di bambina prodigio per diventare, con una forza sovraumana, sé stessa. La ribelle Vivienne ha stilato perfino un decalogo rivoluzionario per cambiare le cose. E Zaha ha creduto sempre ed esclusivamente nel talento per compiere la sua personale rivoluzione.

Insomma, perché dovete leggere Morgana ed entrare nella vita di queste incredibili donne? Perché quest’opera è dedicata a voi che credete nelle vostre capacità e che spezzate le catene del conformismo per raggiungere i vostri scopi, per far emergere i vostri talenti. In fondo si tratta di scegliere di vivere un po’ come si vuole. Meglio essere impopolari che rinunciare a sé stessi e alla propria affermazione personale.

Chi non vorrebbe essere una Morgana, un po’ fata e un po’ strega, che brilla di luce propria?

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il pensiero:

Ballate!

“Il corpo segue tre stati energetici: il pensiero, la parola e l’azione."

In questo tempo riflessioni e parole non ci sono mancati. Darsi al movimento libero tocca la sfera dell’azione, dell’emozione e oggi più che mai, è la chiave per far scorrer l’energia dei meridiani compressa dentro ai nostri corpi, il suo fluire fa sciogliere i blocchi emozionali aprendoci ad una visione più luminosa. Vi invito a sperimentare 5 minuti di follia al giorno a suon di musica, prendiamoci gioco della mente e dai pensieri fissi, riappropriandoci della nostra essenza che regna nella semplicità.

Dal mondo: Mattonelle edificanti per costruire una nuova partenza

A presto, Niki Gobbo Operatrice olistica in Kinesiologia niki.gobbo@libero.it

Concorso Letterario: di

Erica Forlin e Federica Guerretta illustrazioni di

Luna Colombini

Il teatro che vorrei... storie di amicizia Buongiorno a tutti, siamo Erica e Federica, le autrici del libro “Il teatro che vorrei”.

Abbiamo pensato ad un’iniziativa dedicata ai piccoli lettori! Avete già avuto modo di leggere il nostro racconto?

“Sospesi tra realtà e immaginazione Dodo, Henry, Gin e Sissi si muovono tra le strade di Canovaccio, popolato da curiosi personaggi.

I quattro amici hanno in mente un progetto e per realizzarlo hanno bisogno dell’aiuto di tutti gli abitanti! “Il teatro che vorrei” vi saprà condurre alla scoperta di un mondo ricco di creatività ed emozioni in cui non mancheranno i colpi di scena.”

Se lo avete già letto (o quando lo leggerete), vi accorgerete che le avventure dei protagonisti non finiscono mai: proprio per questo abbiamo scelto “un finale aperto”, per poter lasciare libero spazio all’immaginazione e alla scrittura del secondo atto!

E, indovinate un po'? Gli scrittori sarete proprio voi!

I nostri personaggi Dodo, Henry, Gin e Sissi sono pronti a salire sul palco per mettere in

scena, con l’aiuto della Compagnia Teatrale degli Opposti, un spettacolo mai visto prima!

Dunque, cari lettori, ecco a voi la nostra proposta: vi chiediamo di regalare un finale al nostro libro raccontando, attraverso la fantasia e creatività che vi appartiene, una storia sull’amicizia. L’amicizia quella vera, che vi fa sorridere, che vi permette di potervi fidare di qualcuno, che non chiede nulla in cambio: insomma, l’Amicizia con la A maiuscola!

Qui di seguito troverete alcune importanti risposte alle vostre domande: 1. A chi è rivolta l’iniziativa? Tutti i bambini possono partecipare: se i più piccolini ancora non sanno scrivere, ma avete letto loro il racconto o descritto le illustrazioni, ci farebbe davvero piace-re ricevere un disegno dei piccoli artisti. Libera scelta sulla tecnica pittorica, sul soggetto, sulle forme e i colori!

2. Quanto lungo deve essere l’elaborato?

La lunghezza del testo non dovrà superare una facciata di Word, vi chiediamo di utilizzare il font Times New Roman carattere12.

3. Che genere letterario devo scegliere?

Potrete scegliere il genere letterario che più vi piace (prosa, poesia, teatro ecc.).

4. Chi saranno i protagonisti? Nel vostro racconto potrete inserire tutti i personaggi del nostro libro o solo alcuni, magari quelli che vi ispirano più simpatia! I nuovi personaggi, nati dalla vostra fantasia, sono ovviamente i benvenuti.

5. Ci sarà un tema, filo conduttore? Il tema principale (uguale per tutti i partecipanti) sarà l’amicizia, quella con la A maiuscola.

6. Cosa serve inviare per poter partecipare?

- Il testo e/o disegni.

- Una foto del/la bambino/a con il nostro libro in mano (con volto coperto per la tutela dei bambini o altrimenti allegare un’autorizzazione firmata da un genitore per consentirci di pubblicare la foto sui social).

- Firmare il testo con il nome dell’autore e l’età.

7. Dove invio il mio testo o il mio disegno?

Le "maioliche" sono piastrelle in argilla, realizzate e dipinte a mano nella regione di Fez, in Marocco.

Giungono a noi come idea per decorare e rivestire una parete ma, con un tocco di magia, diventano "mattonelle edificanti" per costruire un futuro radioso!

Ogni mattonella è unica, contiene un "giardino" di forme geometriche e floreali, dai colori caratteristici di Fez: il blu cobalto, il giallo ocra, il rosso e il verde acqua. Sono tutte bellissime, ma una in particolare ti colpisce, ti attrae. Sceglila! Per te stesso o per le persone a cui desideri donare la "prima pietra" verso qualcosa di nuovo, un progetto da costruire, un obiettivo da raggiungere con tutta la forza e l'energia necessaria.

In questo periodo più che mai, è bello scambiarci una spinta verso la nuova partenza.

Chiara, Robe Turche via Canoniche 8, Treviso robeturche@gmail.com | FB: robeturche

Ai seguenti indirizzi: ilteatrochevorrei@gmail.com o edizionifederica@gmail.com 8. Fino a quando posso inviare il materiale?

Entro Sabato 7 giugno 2020.

9. Quando si conosceranno i vincitori del concorso? Qui viene il bello! Noi diciamo sempre che il teatro è di tutti e per tutti e anche il nostro concorso lo è! Tutti, ma proprio tutti gli elaborati, verranno pubblicati nei nostri profili social e nel blog di Edizioni Federica entro il mese di giugno, e potrete condividerli con tutti i vostri amici con l’#concorsoedizionifederica.

10. Costo di partecipazione? Non è previsto nessun costo di partecipazione, vi chiediamo solo voglia di scrivere, fantasia, immaginazione e grande entusiasmo!Edizioni Federica ha aderito al progetto organizzato da NW - Consulenza e Marketing – LIBRI DA ASPORTO, quindi tutte le librerie indipendenti potranno spedire i libri gratuitamente grazie all’aiuto di moltissimi editori italiani.

Aspettiamo numerosi manoscritti, non vediamo l’ora di leggerli!

Erica e Federica IG edizionifederica | FB Edizioni Federica www.edizionifederica.com

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Corsi online: Bon Ton

È Gianantonio Tramet il nuovo Presidente di Laboratorio 0246 la no-profit trevigiana che si occupa del senso motorio dei più piccoli Lascia dopo una decade la carica di Presidente – ma rimarrà come Presidente Onorario – la pluriolimpionica Valentina Vezzali, presente fin dalla nascita della no-profit nel 2011.

Lunedì 6 aprile, durante l’annuale Assemblea dei Soci, Gianantonio Tramet è stato votato all’unanimità Presidente di Laboratorio 0246. Proprietario della Società Tramite Broker SRL con sede nella Marca e focus sul food and beverage nel mondo della GDO, uomo concreto, innovatore, sportivo e sempre vicino ai giovani, molto conosciuto sul territorio trevigiano e operante in tutta Italia, "è la persona giusta per condurre l’Associazione trevigiana – con progetti

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Gli eventi subiscono uno stop, ma la conoscenza non si ferma mai. Giuliamaria Dotto Pagnossin, event manager trevigiana, in queste settimane di emergenza sanitaria decide di non abbattersi - nonostante il mondo degli eventi sia uno tra i più colpiti - e di far emergere un’altra grande passione regalando al web il suo “Bon Ton Time”. Il nuovo format nato dall’imprenditrice (che nell’ambito tiene corsi di business etiquette) consiste nel regalare al web una serie di pillole di galateo e buone maniere adatte a ogni genere, età e professione: regole curiose e utili sia in queste settimane che quando si tornerà a vivere la vera (e frenetica) quotidianità. Ogni venerdì nei canali ufficiali YouTube, Facebook e Instagram della società di comunicazione e organizzazione eventi (@giuliamariadotto) viene pubblicata una pillola contenente trucchi e suggerimenti su come apparire al meglio in ogni tipo di contesto, dal pranzo, o meglio colazione, in famiglia al business meeting in ufficio o, di questi tempi, a casa.

No-profit: Laboratorio 0246 di respiro nazionale – verso una nuova affermazione e progettualità", dice Giorgio Buzzavo, Direttore Generale e fondatore della no-profit.

Laboratorio 0246 no-profit si occupa da sempre - assistito dall'Università di Verona - di promuovere l’importanza di un sano e corretto benessere fisico dei bambini, e della promozione di uno stile di vita in cui il movimento faccia da padrone. Grazie a importanti collaborazioni, in questi dieci anni, Laboratorio ha saputo affermarsi in due campi e diventarne punto di riferimento: la costruzione di parchi giochi didattici inclusivi, e la formazione gratuita degli insegnanti all'attività motoria, disciplina completamente dimenticata dalla Scuola dell’Infanzia.

"Sono molto felice di far parte di questa squadra che ha lavorato con passione in questi anni – ha sottolineato Tramet – e sono convinto che riusciremo a dare insieme un respiro maggiore a questa realtà, in questo nuovo capitolo del libro, per i prossimi dieci anni". www.0246.it

G I A N A N TO N I O T R A M E T P R E S I D E N T E L A B O R AT O R I O 0 2 4 6

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Michele ha una formula semplice per l’accoglienza, dalla colazione alla cena,

Caffè in cucina dal lunedì al sabato qualità, bontà e cura Vi aspettiamo appena sarà possibile con tanta voglia di continuare

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Rubrica: Sottovoce (Parlando di)

Tradimenti A

parlar di tradimenti si pensa al solito maritino che si arrabatta fra doppi cellulari, pretesti, ansie ed emozioni della mezza età. Le statistiche dicono che anche le mogli raggirano la fedeltà in un turbinio di storie più o meno drammatiche con cuori infranti da promesse non mantenute, ma l’emergenza Corona Virus ha messo in discussione un po’ tutto, forse anche il nostro stesso tradire.

Saranno contenti i traditori potenziali, quelli che vorrebbero, che si atteggiano, ma non hanno il coraggio e nemmeno sanno da dove cominciare. Potranno dire a se stessi… c’era il virus! Lo faccio la prossima volta.

Dobbiamo ammettere che il peso morale dell’infedeltà si sta riducendo tanto da evadere i confini del matrimonio e caratterizzare tutti gli aspetti della vita.

Quanti amici sono diventati semplici conoscenti che cordialmente salutiamo come fossero nostri vicini? Quanti di noi cambiano gestore telefonico per approfittare di sconti, promozioni e riduzioni delle tariffe?

L’infedeltà entra anche nella spesa in conseguenza del proliferare di negozi e centri commerciali che ha favorito il curiosare in posti diversi alla ricerca di prezzi e prodotti migliori. Lo stesso vale per la clientela del parrucchiere, del sito dove acquistare on line e pure del medico di famiglia.

In questo nostro “tradire” diventa tutto importante ma per poco tempo, perché facilmente troviamo qualcosa altro, un altro amico, un altro amante, un altro partito, un altro gestore telefonico, un altro negozio. E cosa dire delle star che nascono come funghi in internet e come le comete svaniscono nel dimenticatoio. I fan di oggi visualizzano, regalano like e saltellano da un profilo all’altro come bambini golosi in una gelateria che per il timore di perdere qualcosa assaggiano tutto limitandosi a

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una veloce leccata perdendosi le sfumature dei sapori.

Il problema alla fine è uno solo, la fretta.

Un mio collega era solito ripetere frasi del tipo “Sono preso con le bombe” e “Sono sempre di corsa”. Le diceva anche al telefono ed io lo immaginavo con due cellulari in mano, dieci persone davanti che pendevano dalle sue labbra, una pila di fascicoli aperti sulla scrivania e collegamenti vari visualizzati sullo schermo del PC. Quando gli parlavo mi sembrava di essere immerso nell’olio tanto ero rallentato al suo confronto, come se fossi sulla luna in assenza di gravità in competizione con un atleta che correva l’ennesima maratona al meglio della sua forma fisica.

Ecco, credo che la corsa sia la migliore descrizione del nostro tempo, visto che non ci fermiamo mai. Ma cosa capita quando non possiamo più correre? In queste settimane di restrizioni siamo trattenuti e obbligati a fare il contrario del solito, costretti a frequentare le stesse persone, gli stessi pochi negozi, gli stessi vicini e costretti a non correre, anche perché i luoghi verso i quali farlo sono ben pochi. In questo strano periodo siamo costretti a tradire pure la nostra consueta tendenza a tradire, scoprendo, riscoprendo e sopportando i dettagli della famiglia, le vecchie fotografie, il cassetto con oggetti dimenticati, garage da riordinare e giardini da sistemare.

Chissà se avremo imparato qualcosa una volta trascorsa l’emergenza. In questa incapacità di soffermarsi, o almeno di rallentare, il tradimento è diventato stile di vita e l’opportunismo strategia di sopravvivenza alimentando un’esistenza sempre più relativa. Siamo un po’ tutti traditori che nell’intimo però pretendono la fedeltà altrui e quando siamo noi a essere traditi… allora, apriti cielo!

DI ALESSANDRO FORT

Biografia (Mestre 1963, trevigiano di adozione) Psicologo formatore e docente di Scienze Umane, appassionato di cultura cinese ed escursionismo, è autore di pubblicazioni caratterizzate da temi esistenziali fra cui i romanzi “Sul bufalo d’acqua”, “Yuan e Xin Li”, “I silenzi di Fumegai” e “Il mio sentiero”, di collaborazioni con alcune riviste e di numerosi racconti anche in antologie. fortalessandropensiero@virgilio.it fortalessandropensiero.blogspot.com Facebook - Twitter

NAVIGAMENTE.IT

La legge dell’abbondanza I DI EDOARDO GRECO E FRANCESCO DOIMO

nternet. A questa parola ognuno di noi associa diversi significati. Dal nerd che lo definisce con una complessità tale che ben poche persone riuscirebbero a seguirlo, al filosofo, che sebbene con parole meno inglesi del nerd avrebbe lo stesso risultato tra il pubblico.

Più di una volta ci sarà capitato di intravedere però la Rete come un qualcosa di molto complicato (che funziona con server e altri termini difficili) ma illimitato.

Qualcosa senza confini.

Ogni giorno infatti i nostri sguardi sono volti verso l’infinito ma non oltre la siepe dei colli di Recanati.

Quell’infinito sembra essere passato di moda, osserviamo invece un altro infinito che ormai pervade le nostre vite. È il mondo senza limiti contenuto all’interno dei nostri smartphone.

La legge dell’abbondanza, è uno dei dodici pilastri di Internet secondo Kevin Kelly, cofondatore della nota rivista Wired è appunto la vastità di ciò che si trova sul Web e si sposa a pieno con la sconfinatezza.

Detto così può sembrare molto teorico ma basta farsi una navigata per rendersi conto di quanto venga usata questa legge e lo dimostra Spotify. Abbonandosi all’app non si paga un pezzo di musica, si paga l’accesso a tutta la musica del mondo. Il tutto diventa merce.

Non si desidera una porzione, occorre di più. Antipasto, primo, secondo, contorni vari e dessert, con l’amaro gentilmente offerto dalla versione di prova.

Perfino graficamente la si vede questa legge, la freccia del logo Amazon parte dalla A e arriva alla lettera Z, sta proprio a indicare l’abbondanza dei prodotti che si trovano all’interno, capaci di coprire un intero dizionario. Un normale negozio non potrebbe

mai disporre fisicamente di tutta quella quantità.

Una ripercussione dell’abbondanza è proprio il fatto che ci sia un mercato per tutto. Per anni si è vissuto in una hit driven economy: nella quale i negozi di qualsiasi tipo vendevano solo i prodotti in grado di soddisfare un certo mercato e che avrebbero portato un profitto certo, ignorando gli altri. D’altronde gli scaffali sono limitati, quindi meglio riempirli di prodotti in grado di portare più guadagni no?

La hit driven economy è caratterizzata infatti da una mancanza di spazio fisico, i negozi hanno un determinato spazio sugli scaffali per cd, libri, musica ecc, nonché da una mancanza di domanda sufficiente: per proiettare un film in un cinema bisogna avere almeno un certo numero di interessati nella zona esatta in cui il cinema è ubicato, se quindi la domanda è considerevole ma dispersa geograficamente il film in questione non verrà pubblicato (nonostante gli indiani presenti negli USA non vi è la proiezione di film indiani perché questo numero non è considerevole per la domanda circoscritta).

Con l’avvento delle nuove tecnologie e di Internet questa situazione si è capovolta, rivalutando nicchie di mercato finora ignorate quali i docufilm e la musica indie. Ed ecco la novità: sommando insieme tutta la domanda per i film, musica, libri di nicchia si ottiene un volume molto maggiore ai soli “blockbuster”.

Questa è la cosiddetta Long Tail di Chris Anderson, dal nome dell’ex direttore di Wired e importante opinionista che l’ha coniata.

Oggi con questa teoria non vale più la legge di Pareto del 20-80 (20% dei film avrà successo e diventerà una hit, l’80% no), per ogni prodotto, qualunque esso sia, vi è un mercato: non conta dove o con che volume, l’importante è che ci sia. La rete può rappresentare uno spazio di vendita, comunicazione e racconto per i prodotti di nicchia.

Le piattaforme sfruttano la legge dell’abbondanza e scorrono lungo la Long Tail.

Prendendo sempre Spotify come esempio se si ascolta un artista famoso e si scorre sui consigliati, l’algoritmo consiglierà artisti simili ma con un posizionamento inferiore in termini di vendite, cliccando su quest’ultimo ci consiglierà artisti ancora più in basso e così via.

La cosa curiosa è che la somma di queste nicchie probabilmente varrà di più della somma dei top titoli che potrebbero stare in un negozio fisico di CD. Non è solo una questione di risparmio, Internet conosce i nostri gusti perché ha tutti i gusti e riesce ad accontentare chiunque grazia alla sua “coda lunga”.

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L’imperativo è diversificare!

SELF-MADE MAN

DI C. C.

Pizze solidali Stefano Rumignani ha contribuito generosamente a confortare il personale medico e paramedico dell’ospedale Ca’Foncello di Treviso consegnando personalmente nei reparti a rotazione le pizze fumanti sfornate dai punti vendita di Pizzevia.

king.co oo

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C

hi come lui ha creato una sorta di mini holding, è riuscito ad ammortizzare l’impatto con la crisi economica derivata dal diffondersi del Coronavirus. Lui è Stefano Rumignani, 50 anni imprenditore dinamico e lungimirante, ha saputo creare attorno alla sua attività principale, è agente per la MIRATO SPA, azienda leader nel mercato italiano di prodotti per l’igiene e la bellezza, due realtà in settori diversi seppur complementari.

Nel 1995 Stefano ebbe l’idea di fondare la catena Pizzevia. Assieme ad un suo amico coetaneo, che a quel tempo gestiva una pizzeria, balenò in mente di aprire la prima di una lunga serie di pizzerie da asporto.

Oggi Pizzevia conta 12 punti vendita nelle tre province Treviso, Venezia e Padova.

“Teniamo aperto sempre - sottolinea Rumignani - 52 settimane l’anno”.

Qual è il segreto di una buona pizza?

“In primis le materie prime, l’impasto, che vien preparato artigianalmente in un laboratorio centralizzato per poi essere distribuito in tutti i punti vendita, deve essere di alta qualità. Poi la cottura, che il forno a legna conferisce al prodotto un sapore ineguagliabile. In questo processo produttivo è determinante il ruolo del pizzaiolo, che non

deve solo limitarsi a saper fare la pizza, ma anche saper gestire i tempi, dal momento che in due, tre ore bisogna riuscire a sfornare un elevato numero di pizze cotte a regola d’arte”.

Detto dei prodotti per l’igiene e la bellezza e del food, parliamo ora dell’ultima sfida di Stefano.

Una decina di anni fa pensò che, vista la vicinanza di Treviso a Venezia, la crescente richiesta di ospitalità diversificata poteva trovare sfogo in una proposta alternativa alla ricettività di alberghi e B&B. Nasce così a Treviso RS Apartaments, che realizza e gestisce appartamenti di lusso creati per una clientela esigente e amante del confort, tutti rigorosamente ubicati in centro storico.

“La realizzazione degli spazi negli appartamenti di RS Apartaments è diventato il mio hobby. Seguo personalmente tutte le fasi, dalla progettazione alla ristrutturazione ed infine all’arredamento. Farlo, anche se faticoso, mi diverte.”

Padre di tre ragazze, Stefano dispone di poco tempo libero e lavora fino a tarda sera, ma ama definirsi imprenditore purosangue che si dedica volentieri al lavoro.

Che consiglio si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere attività?

“Nella vita bisogna porsi obiettivi raggiungibili, cercare di metterci passione e competenza in tutto quello che si fa, aiutati magari da un pizzico di fortuna che non guasta mai, cercando comunque di mantenere il livello di qualità della vita che ci soddisfi”.

9,4

P I Z Z E V I A E T R E V I S O C I T T À & S TO R I E ENTRANO NELLE CASE

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IL PUNTO. DI SILVANO FOCARELLI

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Basket

Volley

Non era così che doveva finire. Certo, la salvezza c’è. E per una matricola assoluta, quindi senza alcuna esperienza, con alle spalle nemmeno 8 anni di vita, aver conquistato la permanenza nella massima serie di pallacanestro è stata una grande conquista.

Ma sarebbe stato molto meglio averlo fatto al termine della regular season completa e non a 10 partite dalla fine: l’ultima gara giocata dalla DÈ Longhi è stata il derby al Taliercio contro la Reyer, era il lontano 9 febbraio e finì 79-73 per l’Umana campione d’Italia. Da lì in poi, a cominciare dalla grottesca trasferta a Pesaro, con immediato dietrofront e ritorno a casa nella notte, solo l’accavallarsi delle speranze di ripresa del campionato e dei timori di non farcela. Alla fine la FIP ha alzato bandiera bianca: ha vinto il virus, un avversario che non puoi stoppare, non almeno in tempi brevi. L’ultimo canestro l’ha segnato lui. Stagione terminata, anche in A2, non ci sono scudetto, retrocessioni, promozioni. Si è giocato per niente: le emozioni, le delusioni, le esaltazioni, i sold out del Palaverde, le schiacciate di Parks, le bombe di Logan, gli assist di Nikolic, le stoppate di Tessitori: tutto cancellato.

O meglio: sono il patrimonio d’esperienza che resterà, a ricordo della più assurda stagione di sempre dello sport italiano. "Credo proprio che questa sia stata la conclusione più logica-ha commentato il diesse di TVB Andrea Gracis-effettivamente ci sarebbero state troppe complicazioni per riprendere a giocare. Quindi è stata una decisione inevitabile, alternative personalmente non ne vedevo. In quanto al fatto che siamo salvi, in questo momento mi pare un fatto marginale: a me preme di uscire al più presto dall'emergenza. Chiaramente fino al momento dell'interruzione la squadra era sulla strada giusta per conquistare la salvezza e probabilmente anche qualcosa di più, oggi non possiamo che prendere atto che la stagione 2019-20 è finita." Quindi cercare di fare previsioni sul futuro è ancora più difficile. "Naturale. Dura immaginare cosa succederà l'anno prossimo, spero ci siano i presupposti per ricominciare, magari su basi diverse. E faccio fatica a pensare anche a come sarà questa estate. Meglio vivere alla giornata."

Già, il futuro. Forse le vere difficoltà devono ancora iniziare.

Quando si riprenderà a giocare? E soprattutto come? Il pubblico come reagirà? Quanti giocatori sono disposti a tornare? Ed a quali condizioni? Il lockdown ha comportato perdite ingenti in incassi e sponsorizzazioni, ci saranno tagli al budget, un roster da modificare se non da reinventare. Ed in questo senso la fuga di Logan e Parks certo non ha aiutato. Per Treviso Bsasket sarà una lunga, calda e complicata estate.

Tutto finito anche per le Pantere. L’8 aprile, dopo lunghe e laboriose riunioni, anche la FIPAV ha deciso di chiudere baracca e burattini, per cui l’Imoco, un po’ come la Virtus Segafredo nella pallacanestro ed anzi in misura maggiore, ha subito la beffa di vedersi togliere dalle mani uno scudetto che sembrava sempre più suo. Decisione fra l’altro che ha provocato le dimissioni dei presidenti delle due leghe, maschile e femminile. Al momento dell’interruzione le gialloblu conducevano in classifica su Busto Arsizio con un vantaggio di 9 punti, macinando avversari con ripetuti ed ineluttabili 3-0. Spiace dover rinunciare ad un probabile tricolore ma spiace ancor più veder sfumare, con ogni probabilità, alla chance di dare l’assalto alla preda più ambita, la Champions League. Per le campionesse del mondo una stagione nata trionfalmente (Mondiali, Supercoppa e Coppa Italia) ma finita nel più triste dei modi. E non per colpa sua. La società di Conegliano ha voluto far sapere cosa ne pensa: “Siamo di fronte a una situazione drammatica e imprevista che ha colpito pesantemente sia dal punto di vista sanitario che economico tutto il tessuto sociale e siamo consci ovviamente che la priorità assoluta sia la salute della popolazione e il contenimento dell'epidemia verso il quale vanno indirizzati tutti gli sforzi nel presente. Ma guardando al futuro confidiamo che anche lo sport possa essere considerato, a tutti i livelli, un bene primario per tutti i valori di cui è portatore, quelli sociali, quelli del benessere fisico, quelli dell'intrattenimento e, non da ultimo, quelli dell'indotto economico e dei tanti posti di lavoro di cui è motore. Confidiamo quindi che le autorità e gli enti preposti considerino, nelle varie fasi della progressiva "ripartenza", anche la pronta rimessa in moto delle attività sportive al fianco delle attività economiche, ovviamente con tutte le precauzioni e misure possibili, anche per dare un segnale di fiducia e ottimismo alla popolazione in un futuro che speriamo sia prossimo. Nel frattempo la società, lo staff e le atlete vogliono dedicare un pensiero speciale a chi in questi giorni drammatici sta lavorando in prima linea negli ospedali e sta giocando la partita più difficile e importante." Come se non bastasse tutto questo, al dispiacere si è sommata la tristezza per la scomparsa di “Paolone” Sartori, il mitico capo dei Non Plus Ultras: in tre settimane se l’è portato via il coronavirus. Un dolore immenso per tutto l’ambiente.

TREVISO città&storie

storie di sport

Rugby

Calcio

Il Guinness Pro 14 è sospeso a tempo indeterminato, in altre parole anche il Benetton Rugby per quest’anno ha chiuso. Per meglio dire: nessuna decisione su una data definitiva di ripresa potrà essere assunta sino a quando questi quattro criteri non vengano soddisfatti nei rispettivi territori dei Paesi partecipanti: 1. Le autorità locali di salute pubblica consentano la ripresa dello sport e degli allenamenti collettivi 2. Saranno rimosse tutte le limitazioni ai viaggi tra i territori coinvolti 3. Non siano previsti periodi di isolamento forzato o quarantena durante le trasferte nei territori coinvolti 4. La salute dei giocatori venga salvaguardata, in collaborazione con le strutture tecniche di alto livello delle Federazioni e delle squadre, anche per quanto riguarda un adeguato periodo di ripresa degli allenamenti Il Board dice inoltre che esaminerà eventuali proposte per portare a termine la stagione, ma francamente non si vede come, anche perché in alcuni Paesi, vedi quelli del Regno Unito, la pandemia è iniziata in ritardo rispetto all’Italia e quindi la situazione lì oggi è peggiore che da noi. Fra l’altro è saltato anche il 42° Torneo Città di Treviso di minirugby, la bellissima kermesse a livello continentale che portava ogni anno in Ghirada, a Paese ed a Monigo decine di migliaia di persone. Solo un’altra volta era stato rinviato, nel 1986 per paura di contaminazioni dopo il disastro di Cherobyl.

Il calcio dilettantistico si è completamente bloccato: il Comitato regionale della Federcalcio a marzo ha deciso di fermare l’intera attività, peraltro senza indicare una data certa per la ripresa. Questo vuol dire annullamento delle partite dei campionati giovanili e soprattutto dei dilettanti di Eccellenza, Promozione, Prima, Seconda e Terza categoria. In Promozione erano state giocate 22 giornate, dopo le quali il pompatissimo (alla vigilia) Calcio Treviso, entrato subito in crisi ed attraverso mille traversie, fra cui il susseguirsi in panchina di tre allenatori, aveva racimolato 39 punti, 16 in meno della dominatrice del girone, l’Opitergina. Che adesso, con il passaggio in Eccellenza già in tasca, rischia seriamente di vedersi beffata. Infatti ancora non s’è capito che fine farà questa stagione ma, sinceramente, non si vede come e soprattutto quando si potrà riprendere. Quindi anche nel calcio Dilettanti rischia di essere un anno buttato via.

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SPORT & IMPRENDITORIA

Consorzio Universo Treviso Pronto a riprogrammare il futuro I

l Consorzio Universo Basket tra poche settimane compirà 8 anni.

In questi mesi difficili spesso si ricorre alla metafora sportiva per trovare degli spunti, o meglio, delle spinte emotive e motivazionali.

Si cercano storie, personaggi, epopee che rappresentino un paradigma, un esempio in cui immedesimarsi, a cui carpire i segreti per affrontare le nostre sfide quotidiane.

E il mondo dello sport offre una gamma vastissima di eroi che hanno saputo rialzarsi, non sentirsi vinti dalla fatica, dalla sfortuna o dagli infortuni, da partenze ad handicap o da incidenti di metà percorso.

Poi ci sono le storie condivise, quelle che sono state vissute da intere comunità che hanno lottato con tutte le loro forze perché una città non scomparisse dal panorama di discipline in cui è stata a lungo protagonista. Per chi è di Treviso ed è interessato allo sport, la mente non può che portare a Treviso Basket e al Consorzio UniVerso Treviso.

La storia ci racconta che nel 2012, dopo anni di trionfi e oltre 6 lustri di impegno economico, Benetton abbandona la pallacanestro e, non trovando un acquirente per la società, si ritira dal massimo campionato nazionale (vinto per 5 volte, l’ultima nel 2006). Ma una città, una tifoseria, tanti ex atleti e altrettanti imprenditori non vogliono accettare questa sparizione: si riparte, gli ex giocatori fanno da testimonial, la gente versa spontaneamente dei soldi per dare ognuno il proprio contributo alla rinascita, piccoli, medi e grandi imprenditori decidono di scendere economicamente in campo e si associano in un consorzio.

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TREVISO città&storie

DI LUCA SAUGO

In 7 anni si passa dal campionato di Promozione allo storico ritorno in serie A grazie alla vittoria dei play off di A2 nella sfida finale con Capo D’Orlando del giugno 2019. È di questi (tristi) giorni la notizia del raggiungimento dell’obiettivo principale della stagione del ritorno in Serie A, la salvezza ottenuta purtroppo a campionato non concluso causa Corona Virus.

Con la grande incognita su quale sarà il futuro della pallacanestro in generale e quale ruolo potrà ricoprirvi TVB, capiamo insieme i segreti di un modello organizzativo della società professionistica che ha stupito l’Italia sportiva.

Treviso Basket è di proprietà al 100% di un Consorzio di aziende, per la precisione ad oggi sono 161.

Si tratta per la maggior parte di realtà della provincia di Treviso che si suddividono la responsabilità: “Siamo una realtà unica nel panorama sportivo italiano – dichiara Roberto Rizzo, il Presidente del Consorzio. I nostri soci si sentono tutti pariteticamente proprietari della società sportiva. Ognuno di noi è felicemente consapevole che con la propria quota detiene un pezzetto di una squadra molto amata dal pubblico e dagli appassionati in generale. Per accedere è richiesto l’acquisto di una quota (non se ne possono ottenere di ulteriori) e la successiva sottoscrizione di un contratto di sponsorizzazione della società sportiva con un contratto di 3 anni.

Questo per garantire continuità al progetto della controllata e una base solida su cui poggiare. Attualmente il contributo dei nostri soci copre circa il 25% del budget totale necessario ad affrontare la Serie A.”

SPORT & IMPRENDITORIA

Cosa spinge un’azienda ad entrare nella compagine?

“Gli elementi fondamentali sono 3: l’essere parte di una società sportiva sana e con un pubblico altrettanto corretto, la visibilità che si ottiene e le opportunità di business che vengono generate tra i soci.

Infatti nella mission del Consorzio c’è la creazione di rapporti tra le nostre aziende: grazie agli eventi creati ad hoc, al lavoro della segreteria e alle opportunità di incontro, molti nostri consorziati hanno imparato ad interagire, a richiedere forniture reciproche a sviluppare progetti comuni.”

Ci può dire alcuni numeri?

“Certo, partiamo dalla realtà economica che l’insieme delle aziende consorziate rappresenta: il fatturato aggregato è di oltre 3 miliardi di euro per oltre 6000 persone di forza lavoro (ricordiamo che De Longhi, il main sponsor di TVB, non fa parte del Consorzio). Nel solo 2019 sono stati stimati circa 2.5 milioni di euro di scambi tra soci, un numero che descrive al meglio la virtuosità del modello.”

Come funziona la governance?

“Ogni due anni i soci eleggono il loro CdA: i membri sono 7 e gli attuali sono, il sottoscritto, Carlo Zanatta di Impa, Piergiorgio Paladin di Ideeuropee, Marco Fabbrini di Ita, Oscar Marchetto di Somec, Stefano De Bettin di DBA Group e Valter De Bortoli di DB Group. Il Cda, una volta determinato, elegge il presidente e divide le competenze.

Paladin è vice presidente e delegato alla comunicazione, Zanatta, De Bortoli e De Bettin sono delegati a fare parte del CdA di Treviso Basket, Marchetto si occupa dell’analisi finanziaria, Fabbrini dello sviluppo associativo. Nessuno di noi si occupa di aspetti tecnici, completamente delegati al presidente di TVB Paolo Vazzoler, al direttore generale Giovannio Favaro e al direttore sportivo Andrea Gracis.”

Che futuro vede per il Consorzio e Tvb per il post Corona Virus?

“Purtroppo allo stato attuale non siamo in grado di capire cosa succederà: stiamo cercando di trovare la quadra per chiudere il bilancio di questa stagione, mentre per la prossima (che formalmente inizierà il 1° luglio) dobbiamo fare una serie di valutazioni. Posso solamente dire che faremo tutti il massimo per assicurare continuità, essendo comunque consapevoli che i problemi che vivremo noi saranno condivisi con tutti. Da presidente mi appello al senso di responsabilità di tutti i nostri soci affinchè rispettino gli accordi intrapresi e li invito a continuare a sostenere questa realtà unica, che sta facendo sognare un’intera provincia.”

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STORIE DI SPORT

ASD L

DI SI.FOCA.

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TREVISO città&storie

Volley

’Associazione Sportiva Volley Silea nasce nel 1994 su iniziativa di un gruppo di genitori decisi a formare una nuova realtà sportiva che a quell’epoca ancora mancava.

Il Volley Silea ha sempre concepito l’attività della pallavolo come occasione di sviluppo personale per le atlete, nel pieno rispetto delle compagne e delle avversarie, poiché la pallavolo è prima di tutto uno sport di squadra.

Uno sport dove l’attenzione deve essere sempre elevata, ed è forse l’unico sport esistente in cui, durante le fasi di gioco, non sono permesse fasi di rallentamento allo scopo di far sì che la palla non tocchi a terra. Questo è un compito riservato a tutte le giocatrici poiché tutte devono partecipare alle azioni difensive.

La pallavolo è riconosciuto per essere lo sport tra i più corretti, questo è sicuramente dovuto al fatto che non ci sia alcun contatto fisico tra le squadre

contendenti. Sicuramente è tra i più emozionanti.

Con l’ingresso dell’attuale Presidente Carlo Cisolla, avvenuta nel 2016 dopo un trascorso da dirigente, la società ha compiuto, raccogliendo quanto fatto di buono nel passato, un’ evoluzione sia tecnica che agonistica, ma sempre mantenendo e consolidando il ruolo di guida tecnico sportiva, partendo dai bambini e dai giovani, vero motore trainante di tutta l’attività.

Una crescita costante e progressiva che si consolida sempre di più nel territorio, divenendo una vera e propria palestra di vita che cammina in parallelo con l’insegnamento scolastico e la crescita nel sociale, oltre che in quello sportivo agonistico.

Le componenti importanti e centrali del progetto della ASD Volley Silea sono: - uno staff tecnico di 8 allenatori di assoluto livello che garantisce alle atlete sempre la migliore guida;

Silea

STORIE DI SPORT

- 21 figure dirigenziali ricoperte prevalentemente da genitori che mettono al servizio della società tempo e capacita’ attitudinali previste per lo svolgimento e l’impiego delle stesse; - un supporto medico che segue costantemente lo sviluppo muscolare e risolvendo le problematiche relative agli inevitabili infortuni; - un servizio di Segreteria che dialoga costantemente con i genitori, e importante filtro verso le istituzioni; - un addetto stampa; - e non ultimo un parco atlete in crescita costante.

Il motore di questa macchina per sviluppare tutta la sua potenza ha costante bisogno di lubrificante e carburante ed è per questo che negli ultimi due anni la società, investendo anche su una importante comunicazione mediatica, ha instaurato sinergie con l’Amministrazione Comunale (ultima importante conquista, l’utilizzo del PalaSilea), e con il territorio.

Di rilevante importanza è, numeri alla mano, la progressione nei primi tesseramenti che sfruttano il grosso bacino di utenza dato dalle scuole elementari.

Parallelamente alla parte istituzionale e di reclutamento, sono state raggiunte importanti collaborazioni con realtà economiche locali. Grazie all’impiego dei loro aiuti la società è cresciuta non solo con i risultati sportivi ma anche con la propria immagine imponendosi come una delle realtà, più organizzate nel panorama del volley trevigiano e veneto.

Da alcuni anni Volley Silea, oltre ad avere una decina di squadre impegnate agonisticamente (dalla S3 attraversando tutti i campionati giovanili, e con la partecipazione a categoria di Divisione Provinciale), è impegnata con la prima squadra nel Campionato Regionale, dove con la vittoria della serie D, quest’anno milita per la prima volta nel campionato di serie C. Il progetto del Volley Silea è quello di mantenere sempre invariata la propria identità sul territorio con l’obiettivo di affacciarsi alla ribalta Nazionale, con l’ingresso al campionato di serie B. Per conseguire questo importante traguardo è precisa volontà della società utilizzare il patrimonio umano e tecnico di assoluta eccellenza, costituito principalmente dalle atlete prodotte dal florido vivaio che rappresenta al meglio l’ottimo lavoro finora svolto e alimentato da amore e pura passione per questo sport.

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