Stars 'N' Stripes N°39

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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano

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MARCH MA DNE SS -

31 OCCHI PUNTAT I SU... 27 GIL BE RT A RE NA S

LA N CAA D ALL A ‘A’ ALLA ‘Z’

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NBA ST ANDING S

CO SA SUC CED E... NEW YORK KNICKS

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FOCUS 1 CARMELO ANTHONY

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IL PERSONAGGIO 1CHAU NCE Y BILLUP S

Stars ‘N’ Stripes ideato da: scritto da:

Domenico Pezzella Alessandro delli Paoli

Mirko Furbatto

Bennedetto Giardina

IL PROFILO 1 AMAR’E STOUDEMIRE

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COSA SUCCEDE... DENVER NUGGETS

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FOCUS 2 WILSON CHAN DLER

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IL PERSONAGGIO 2 RAYMOND FELTON

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IL PROFILO 2 DANILO GA LLINARI

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Raffaele Valentino

Nicolò Fiumi

Domenico Landolfo

Stefano Panza

Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco Stefano Livi

info, contatti e collaborazioni:

Lorenzo de Santis

domenicopezzella@hotmail.it


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S T A R S ‘ N ’ S T RI P E S

CHE COSA SUCCEDE...

Si poteva aspettare la fine della stagione e magari provare a prendere Anthony da free agent, ma invece il proprietario del team della Grande Mela ha preferito avere l’ex Syracuse sacrificando tre quinti dello starting five Doveva cambiare tutto con l'arrivo di 'Melo. La squadra doveva fare quello stint in avanti nello sprint playoff, doveva rispondere colpo su colpo a chi voleva il gioco funambolico di D'Antoni troppo inconsistente e banale. Tutti smentiti i sogni di gloria dei New York Knicks, sul baratro della mediocrità nella corsa all'oro in una Est che a parte le big four Boston, Orlando, Miami e Chicago, vede un grappolo di squadre che vogliono scoprirsi grandi. I ragazzi newyorkesi sono adesso al 6^ posto, con un record che supera di poco il 50%, cercando di mettere fra sè e gli avversari alle loro spalle quante più vittorie possibili, per un posto nell'elite che manca al Madison Squadre Garden da ormai almeno un decennio. Uno sconvolgimento che nella Grande Mela si spera possa essere arrivati alla fine. Solo fino a pochi anni fa, i Knicks erano sinonimo di stravolgimenti, di squadre smantellate, di un Isiah Thomas che gestiva i giocatori come burattini, di scelte sbagliate al draft e di grandi campioni venuti a svernare nella big city. Quest'anno la società con il suo menager Ainge sembrava aver messo la parola fine a ogni possibile terremoto ed ecco invece l'arrivo di Carmelo Anthony e praticamente mezza squadra che

Tutto e s dei

fa le valige e si trasferisce ad ovest dai "pepitoni" dei Nuggets. Non c'è più tempo per l'ambientamento di Felton, per le follie cestistiche di Chandler, per la crescita del Gallo, per la mole di gioco costruita intorno a Stoudemire. Creare un duo vincente è difficile se hai nel roster due soliti che hanno bisogno di almeno 20 tiri ciascuno a gara.Non a caso il miglior rookie della stagione, Fields, ha avuto un repentino calo


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DI

D OMENICO OMENICO L ANDOLFO ANDOLFO

subito, la scelta i Knicks e Dolan di rendimento nelle ultime partite dall'arrivo del prodotto di Syracuse. Seppure lo score delle ultime 10 recita 6-4, la mole di gioco espressa non è la stessa, e possiamo prendere ad esempio la gara della squadra di D'Antoni contro una delle leader (sicure avversarie nel primo turno di playoff) della lega come Dallas dove è arrivata una sonora sconfitta senza mai essere realmente in partita. Certo le condizioni deficitarie di Stoudemire e il mancato inseri-

mento ancore nei giochi da corri e tira di D'Antoni sono due alibi pesanti, ma il fatto che New York non sia mai riuscita a piazzare i suoi break offensivi contro i texani che di certo non fanno della difesa il loro pezzo forte. Quali le soluzioni a breve termine? Cercare di trovare una quadratura di squadra, di creare un gruppo che con due leader a trainarlo sappia crescere e scoprirsi grande, perchè la Mela merita questo successo.


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FOCUS

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Il rito del ‘fig prod ALLA FINE L’EX SYRACUSE HA OTTENUTO QUELLO CHE VOLEVA: NEW YORK

“This is the place”- La celebre frase pronunciata dai Padri Pellegrini quando nell’autunno del 1620 sbarcarono sulle coste del Nuovo Mondo, alla foce del fiume Hudson, ben si adatta a Carmelo Anthony. The place, il posto – per Melo si chiama New York. Anzi, si è sempre chiamato New York. Casa dolce casa. In tutte le grandi storie, c’è sempre una data che fa da spartiacque. Nel caso di Anthony è quella del 21 febbraio. Siamo pericolosamente prossimi alla dead line degli scambi Nba. Dopo mesi di rumors, indiscrezioni, fughe di notizie, ripensamenti, e di frasi del tipo: “ Penso solo a giocare


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orno gliuol diigo’

DI

V INCENZO INCENZO

DI DI

G UIDA UIDA

con i Nuggets”, le agenzie di mezzo mondo battono la notizia. I New York Knicks cedono ai Denver Nuggets Danilo Gallinari, Raymond Felton, Wilson Chandler, Timofey Mozgov e 3 milioni di dollari cash, in cambio di Carmelo Anthony, Chauncey Billups, Anthony Carter, Shelden Williams e Renaldo Balkman. E’ il 21 febbraio, un giorno che segna la fine e l’inizio di un’era. Termina il sodalizio che dal 2003 legava Anthony ai Denver Nuggets. Si apre quello che lo legherà, presumibilmente a vita, ai New York Knicks, con tanti saluti ai Nets (peraltro consolati con Deron Williams..), ai Lakers e ai Bulls, che invano l’avevano corteggiato. Ora leggendo tra le pieghe dello scambio, salta subito all’occhio che, i New York Knicks per arrivare a Melo, hanno ceduto quattro giocatori del quintetto, smantellando una squadra costruita intorno a Stoudemire, che aveva acquisito la sua identità, corroborata da un discreto numero di vittorie. Trade o non trade - Le fazioni favorevoli e avverse allo scambio non si contano ancora oggi. Va subito detto, che non è uno scambio equo, come mai accade quando si muove un giocatore di questo calibro. Inoltre è una trade impossibile da giudicare nel brevemedio periodo. Ci vorrà del tempo per capire chi ha fatto veramente il colpo. E molto dipenderà dalla capacità dei Knicks di affiancare a Anthony, Stoudemire e Billups (che in faretra ha almeno ancora due anni ad alto livello), un adeguato supporting cast. Da italiani, avremmo voluto vedere Danilo Gallinari in maglia Knicks per molto tempo ancora. Ma questa per Danilo può essere l’occasione della vita, perché a Denver, dove coach Karl stravede per lui, ha la possibilità di diventare un uomo franchigia, e non una bellissima (ma semplice) tessera del mosaico. La filosofia e la storia della Nba, ci dice che se hai la possibilità di avere in squadra 2/3 superstar, devi fare di tutto per averli. Costi quel che costi. E Anthony a New York è costato parecchio. Non solo a livello economico (triennale da 65 milioni di dollari), che è l’ultimo dei problemi, ma soprattutto a livello di rapporti interni tra la proprietà, la dirigenza e lo staff tecnico. Sia il general manager Donnie Walsh, sia coach Mike D’Antoni, volevano Carmelo Anthony, ma non erano disposti a pagare un prezzo così alto. Non la pensava così il proprietario James Dolan, il quale ha spinto più di tutti per avere Melo, consigliato pare da quel Isiah Thomas, che tanto male ha fatto ai Knicks in panchina e dietro alla scrivania. Melo è Melo e non si discute. Dopo i mugugni di qualche “radical chic”, il nativo di Brooklyn ha già conquistato i tifosi blu-arancio. Fin troppo scontato. Adesso però Anthony deve dimostrare qualcosa di molto più importante. A New York il titolo manca dal 1973. I playoff dal 1999, l’anno della finale persa con i San

QUESTE LE CIFRE IN CARRIERA

...LE CIFRE IN QUESTA STAGIONE...


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Antonio Spurs. Il primo decennio degli anni 2000 è filato via tra campanello d’allarme. Anthony di sicuro è un difensore peggiore umiliazioni e scherni. Basterà il di quanto fossero Chandler o lo ritorno del figliol prodigo per stesso Gallinari, seppur in sisteritornare ai fasti di una volta?. ma difensivo sui generis. In sinteQuestione di feeling – Anthony si, c’è da lavorare. Carmelo da solo non può bastare, perché Anthony è uno dei più grandi reain questa lega nessuno vince da lizzatori del basket contemporasolo. Certo, c’è Stoudemire. neo, e ora gioca in un sistema Bisogna però che i due suonino che sembra non essere adattissilo stesso spartito. A pelle, i due si mo alle sue caratteristiche. Melo “prendono”. Insomma Melo e e D’Antoni devono trovare un Amar’è, parlano lo stesso linguagpunto d’incontro, e facendo quegio: entrambi vengono dalla strasto devono includere anche da, ma sono diventati delle superStoudemire. Non facile, ma non star. E tecnicamente? Qui qualimpossibile. che problemino c’è. L’isolamento Il record – New York è 6 vinte e 5 in post medio è il pane quotidiaperse dall’arrivo di Anthony. I no sia per Anthony che per Nuggets sono 8-2. Denver segna Stoudemire. Insomma, pur di più e ha aumentato gli assist. I essendo diversi, giocano spesso Knicks hanno vinto contro squagli stessi spazi, prendendo tiri dre da playoff (Hornets e simili. L’altro problema è che i Hawks), ma hanno fatto delle due vogliono spesso (e con ottibrutte figure con squadre non me ragioni) la palla in mano, e irresistibili come Pacers e questo alla lunga tende a fermare Cavaliers. L’assenza di Chauncey la fluidità di un attacco incentraBillups ha pesato, ma non può to su ritmo e spaziature. essere l’unica giustificazione. D’Antoni deve trovare una soluUn’altalena di risultati difficile da zione, che vada bene per entramspiegare, perché le spiegazioni bi e per la squadra. sono molteplici e complesse. Una A livello di fatturato la convivensola cosa è certa. New York ha za sembra andare a gonfie vele. trovato il nuovo Re. Carmelo Anthony viaggia sui 25.2 Il leader carismatico, la vera punti di media. Stoudemire a superstar, l’uomo dell’ultimo tiro. 26.6. I Knicks prima dell’arrivo Che sia anche quello che condel prodotto di Syracuse segnavadurrà i Knicks al titolo? Solo il no 107.7 punti a partita. Ora ne segnano 110.4. Ma in difesa c’è tempo potrà dircelo. Di certo, Anthony è nel posto giusto per prostato un peggioramento. Si è passati da 107.2 a 108.7. Un piccolo varci. This is the place.

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IL PERSONAGGIO - 1

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DI

B ENEETTO ENEETTO

GIARDINA GIARDINA

Chauncey ‘Mister Big Shoot’ Billups Il suo ritorno a casa tra le montagne del Colorado è già terminato, ora è il terzo lato del triangolo dei Knicks

Mr. Big Shot, l'uomo da 6 finali di Conferences consecutive, l'MVP nel trionfo con Detroit nel 2004 è pronto per una nuova grande sfida. Chauncey Billups saluta per la seconda volta la sua Denver, stavolta con meno rimpianti rispetto a 11 anni fa, quando approdò a Minnesota, ma con la consapevolezza di avere probabilmente l'ultima possibilità per vincere ancora. Per Billups si spalancano i cancelli del Madison Square Garden di New York, e anche


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se più in ombra rispetto all'altro nuovo arrivo, Carmelo Anthony, sul parquet ha già dimostrato di poter essere un'arma importantissima per i nuovi Knicks. Sicuramente non è il playmaker più adatto al run 'n gun di Mike D'Antoni, ma la sua leadership in cabina di regia e la proverbiale pericolosità dall'arco lo hanno reso sin dalle prime partite un punto di forza per New York. Venti punti e 6 assist di media nelle prime uscite in casacca blu-arancio, oltre ad alcune triple pesanti, marchio di fabbrica suo e dei Knicks, sono state la risposta per quei pochi che vedevano il suo arrivo più in funzione del contratto (13 milioni in scadenza, con eventuale team option da 14 milioni) che non per il reale apporto mostrato sul parquet. Zittiti immediatamente tutti quelli che avevano storto il naso dopo la cessione di Felton, protagonista di un'ottima stagione nella Grande Mela, Billups ha messo al servizio della banda di D' Antoni tutta la sua esperienza per la rincorsa alla migliore piazza possibile per i prossimi playoffs. Lo stesso Billups non sembrava essere particolarmente entusiasta della nuova avventura in quel di New York, dopo aver ribadito più volte di voler chiudere la carriera nella sua città natale, e lo stesso playmaker non ha negato quanto in realtà gli sia dispiaciuto lasciare Denver: «Ho dovuto dire alle mie bambine che ero stato trasferito dall'altra parte degli Stati Uniti, gli ho detto che non è stata una mia scelta, che non potevo farci niente e che dovevo andare. Non è stata una bella scena, poi ai Nuggets lascio gente seria su tutto, una grande organizzazione. Mi mancheranno, ma ora sono un Knick, e farò del mio meglio per rendere orgogliosi i tifosi di New York» Queste le parole di Billups alla presentazione ufficiale con la canotta numero 4 di New York, a cui hanno fatto seguito quelle di Donnie Walsh, presidente della franchigia newyorkese:

QUESTE LE CIFRE IN CARRIERA

...LE CIFRE NELLE ULTIME TRE PARTITE...


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«Da questa trade non abbiamo ottenuto solo Carmelo Anthony, ma anche Chauncey Billups, che è un giocatore devastante. È un giocatore di qualità, e con la sua esperienza ci permetterà di sopperire alla partenza di Felton». Lo stesso Walsh, dopo l'ottimo impatto di Billups con i Knicks, ha affermato di poter rinnovare il contratto al playmaker veterano, innanzitutto, prospettandogli ancora altri anni di carriera «Per il modo in cui sta giocando, credo che farà come Jason Kidd, e continuerà fino a 39 anni» - senza però dare indicazioni su come verrà rinnovato il contratto dell'ex Nuggets, ovvero se verrà utilizzata la team option da 14 milioni, oppure se le due parti si accorderanno con una nuova firma. È evidente che il Billups di oggi non è quello che ha guidato Detroit al titolo 7 anni fa, ma può risultare un'arma micidiale, soprattutto in vista dei prossimi playoffs. Dopo 7 anni lontani dalla post season, i Knicks potranno puntare su uno dei più perfidi animali da playoff, oltre che su un team di assoluto valore, e sarà qui che Billups potrà guadagnarsi la piena fiducia del tifo blu-arancio.

Fonte foto: facebook.com

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IL PROFILO

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DI

N ICOLÒ ICOLÒ F IUMI IUMI “I pezzi cominciano ad andare al loro posto. Stiamo capendo come giocare assieme e prima lo capiamo, meglio sarà per noi.” E meglio sarà per Amare Stoudemire, ben consapevole di essere alla fermata decisiva della sua carriera. Sul palcoscenico più grande mondo, con il “suo” allenatore in panchina e ora con due superstelle (non dimentichiamoci di Billups) al suo fianco in campo. Fallire l’obiettivo questa volta sarebbe una macchia indelebile per il resto della sua carriera. Già, perché per la prima volta STAT si rende conto di essere l’uomo di riferimento della squadra, se non unico, comunque in compagnia di Carmelo Anthony. A Phoenix, la presenza di Steve Nash aveva sempre mitigato i commenti su di lui, specie per quella tendenza del canadese di fare aumentare a sproposito le cifre dei giocatori al suo fianco. Nessuno ha mai negato l’impatto di Stoudamire come una delle ali grandi migliori della Lega, ma c’era sempre quel se… “E se non giocasse con Nash?”. “E se non ci fosse uno scienziato della pallacanestro che lo mette in condizione, ogni sacrosanta partita, di segnare almeno una decina di punti facili facili?”. Tutte domande che sembravano avere trovato una risposta a cavallo tra dicembre e gennaio, con una serie di prestazioni da MVP assoluto, ma che adesso hanno ricominciano ad assommarsi a nuovi quesiti: “Ce la farà Amare a convivere con una stela col carattere di Carmelo Anthony? Con istinti cestistici totalmente opposti rispetto a quelli di Nash? Un giocatore che pensa, in linea di massima, prima al tiro che al passaggio e che, altro punto focale, tende a pestare le piastrelle di parquet che tanto piacciono al numero 1?”. Le prime risposte del campo non sono state troppo incorraggianti in tal senso. O meglio, sono state molto altalenanti, come logico attendersi da una squadra che nel bel mezzo della stagione cambia totalmente la propria fisionomia. Ma certo, dopo le prime 15 partite post trade, 7 vittorie e 8 sconfitte non fanno contento nessuno. Specialmente nella Big Apple. A riguardo va detto che Stoudemire sembra aver avuto una presa di coscienza importante, che va al di là della presenza da leader in campo ma si estende all’essere una presenza vocale anche all’esterno, dando l’esempio per seguire il piano tecnico di coach D’Antoni. A tal proposito sono state chiare le parole dopo la brutta sconfitta contro i Pistons di qualche giorno fa, con un Carmelo Anthony dele-

Fino all’arrivo di Anthony era stato abituato ad essere l’unica Superstar incontrastata dello spogliatoio e del Madison. Riuscirà la sopravvivenza con Melo?

at’ sarà ‘pioniere’ w Yo r k ?


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terio con 2/12 al tiro e troppe forzature, nemmeno presentatosi in conferenza stampa: “Dobbiamo attenerci al piano tecnico di coach D’Antoni. Io l’ho fatto in passato e posso testimoniare che è vincente. Quindi dobbiamo attenerci a esso ed eseguirlo alla perfezione.” Nessun riferimento diretto, ma tutti, a partire dal diretto interessato, hanno capito che all’ex Denver Nuggets non conviene più di tanto mettersi in proprio e voltare le spalle a compagni e coaching staff. I partiti dei pro e dei contro hanno già cominciato a schierarsi apertemante. Dopo la terza sconfitta in altrettante partite contro i derelitti Cleveland Cavaliers i cori di chi non vede di buon occhio l’unione dell’uomo da Syracuse con STAT si sono levati a un volume assordante. Stoudemire necessita di una squadra che si muova attorno a lui, creandogli situazioni dove può punire la difesa prevalentemente fronte a canestro, partendo sempre almeno da tre metri a canestro. A quel punto ha un arsenale offensivo sconfinato. Può mettere palla per terra e attaccare il ferro concludendo sia con dei lay up che con violenza per schiacciare. Oppure può affidarsi a un tiro dalla media di anno in anno più pungente. Ma il punto fondamentale è che il suo gioco parte spesso dalla zona attorno il pitturato. Ossia da dove, per la maggior parte, Anthony ha sviluppato il suo gioco nei sette anni di permanenza a Denver. Dove l’impianto di George Karl era basato sugli isolamenti. In primis per lui, che ricevendo dal post medio fermava la palla e decideva se colpire col jump shot o attaccando il canestro. Pensare, per l’appunto, di traslare due giocatori del genere all’interno del sistema di D’Antoni che si basa soprattutto sul movimento dei suoi interpreti prima ancora che della palla, non è esercizio semplice. Pensare, poi, che uno dei due dovrebbe, necessariamente, rinunciare ad alcuni dei privilegi di cui gode da tutta la carriera, è pratica ancora più ardua. Ci sarebbe poi anche il rovescio della medaglia (in positivo). Perché, comunque, avere due attaccanti del calibro di Anthony e Stoudemire è un privilegio concesso a pochi. E nella settimana tra il 2 e il 9 marzo, con quattro vittorie in cinque partite, di cui due sui campi non facili di Atlanta e Memphis, i sostenitori del nuovo Dinamic Duo hanno avuto materiale su cui costruire le proprie teorie. Come i 111 punti di media tenuti in quell’arco temporale, segnati tirando il 55% dal campo e il 47% da 3, segno che l’attenzione delle difese dedicata ai due protagonisti aveva aperto spazi ai compagni che Melo e Amare avevano saputo vedere e servire. “Dobbiamo muovere la palla, farlo come una vera squadra e così facendo mettere in ritmo i nostri compagni di squadra, come ad esempio Landry (Fields)”. Altre parole uscite dalla bocca di Stoudemire dopo una sconfitta, che testimoniano come il credo di D’Antoni sia lo stesso dei tempi di Phoenix. Giocare di squadra e muovere la palla. Cercare un tiro rapido e poi, nel caso, affidarsi alle mani dei due totem offensivi per segnare verso lo scadere dei

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24 secondi. Stoudemire, come visto, sa bene che questo sistema funziona perfettamente, dati i trascorsi a Phoenix. Il più ora sta nel farlo capire al suo nuovo compagno di avventure. C’è poi il capitolo difesa. E qui, obiettivamente, le argomentazioni si fanno complicate. Pensare che la stessa difesa possa sopportare insieme Stoudemire e Anthony, con le loro rilassatezze difensive, risulta piuttosto complicato. Per loro fortuna, l’allenatore è più votato all’attacco, ma è innegabile che Amare, se vorrà davvero lanciare un messaggio ai suoi compagni di squadra, dovrà far vedere una maggiore attitudine al sacrificio difensivo. Se è veramente lui l’anima di questi nuovi Knicks, dovrà essere lui stesso a mostrare a Anthony la retta via per far compiere alla loro squadra un passo in avanti molto importante. Perché New York, con questa impostazione di fondo, non si trasformerà mai in una squadra con marchiata impronta difensiva, ma per poter ambire a traguardi importanti nel futuro deve assolutamente migliorare l’impatto nella propria metà campo. Non è neanche lontanamente pensabile concedere 119 punti prima ai Cavaliers e poi ai Pacers, in entrambi i casi tra le mure amiche del Madison Square Garden. Stoudemire, dal canto suo, dovrà smettere di limtarsi a dare un contributo in termini di stoppate, ma pensare ad utlizzare la sua straordinaria mobilità, se rapportata alla stazza, per aiutare i suoi compagni anche in altre fasi della manovra difensiva. Uscire con più convinzione sui pick & roll, pensare anche di reggere cambi difensivi sfavorevoli talvolta. Considerati i mezzi fisici a disposizione, è evidente che si tratti solo e unicamente di un salto di qualità di livello mentale. Basterebbe convincersi di non dover fare per forza 40 punti per essere determinante, ma magari prendere qualche rimbalzo importante in più o fare un uscita più decisa per aiutare un compagno in difficoltà. Coinvolgendo emotivamente anche Anthony e ponendo i presupposti per una storia che a New York attendono di vivere da anni.

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CHE COSA SUCCEDE...

Niente più isolamenti, gioco più veloce, per una franchigia che è in piena lotta per arrivare alla conquista dei playoff Quando il tuo uomo franchigia inizia la stagione in scadenza nella prossima estate lasciando trapelare la sua voglia di cambiare aria il prima possibile, il rischio che la stagione prenda una piega incontrovertibile verso sud è molto, ma molto alto. L'esempio Cleveland Cavaliers con Lebron James, per quanto diverso per tempi e modalità, è stato un tarlo continuo per il gm Masai Ujiri e per coach George Karl che hanno lavorato fino alla deadline perseguendo gli stessi obbiettivi: tenere unito il gruppo e cercare di dirimere il "Melo-drama" nel migliore dei modi, non inasprendo i toni con il fuoriclasse di Brooklyn e cercando di ricavare dalla sua cessione il maggior profitto possibile. Di certo con queste premesse in pochi si sarebbero aspettati una stagione brillante da parte dei Denver Nuggets con metà del loro roster tirato in ballo dagli addetti ai lavori ogni settimana in qualche mega trade che aveva come nodo principale sempre e comunque l'addio di Anthony. Ed invece il campionato dei Nuggets è andato fino a questo momento contro ogni pronostico della vigilia; quinti ad ovest, secondi nella northwest sopra i rivoluzionati Jazz e gli sfortunati Blazers ed a poca distanza dai Thunder, i Nuggets si incanalano verso il rush finale di stagione che potrebbe destinarli proprio allo scontro playoff contro Durant e Westbrook in una contesa che si rivelerebbe tra le più incerte e spettacolari del primo turno. La trade che ha portato a NYC Anthony e Billups (più Anthony Carter, Shelden Williams e Renaldo Balkman) ed in Colorado Gallinari, Wilson Chandler, Raymond Felton, Timofey Mozgov e Kosta Koufos (via Timberwolves) ha di certo cambiato volto alla franchigia di coach Karl ma, almeno in queste prime otto partite del nuovo corso, Denver ha tutt'altro che risentito della dipartita ,cestistica, dei suoi due cardini quali certamente erano Melo e Billups. In questa prima metà di Marzo i Nuggets hanno raggiunto la media di quasi 113 punti di media a partita

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realizzati (pur senza Gallinari assente per infortunio) e stanno facendo registrare i massimi di media in tutte le statistiche per rimbalzi catturati, assistenze (oltre 27 di media, ben 6 assist in più rispetto ai mesi precedenti), palle recuperate e punti subiti (scesi a 93,8 contro gli oltre 104 subiti di media nei mesi precedenti alla trade). Sarebbe troppo semplicistico ora affermare che dopo così poche partite i Nuggets abbiano guadagnato da questa trade, ma certamente chi pronosticava il tracollo nell'era post Melo al momento deve ricredersi ed esistono molti elementi che fanno pensare che questo trend possa essere confermato anche nel finale di stagione. Di certo Anthony rappresenta una delle migliori opzioni offensive esistenti sulle terre emerse del globo terrestre, ma l'addio dell'ormai N°7 dei Knicks oltre al talento indiscusso di Gallinari e Chandler ha portato una migliore distribuzione del pallone (fondamentale in una squadra che tracima talento individuale e personalità da ogni poro), una maggior partecipazione difensiva ed una crescente propensione al rimbalzo, fondamentali che da sempre non spiccano tra i


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DI

M IRKO IRKO F URBATTO URBATTO

uro roseo anche senza ‘Carmelo’ pregi del prodotto di Syracuse. La stessa cessione di Chauncey Billups, che nonostante le trentaquattro primavere ed il piccolo calo consequenziale che ciò comporta resta comunque uno dei migliori playmaker della pista, ha permesso a coach Karl di lanciare a briglie sciolte in starting five Ty Lawson scalando il neoarrivato Felton come backup in un'alternanza di play usciti da North Carolina. Di certo per il futuro la dirigenza dei Nuggets ha deciso di puntare fermamente su coach George Karl come trait d'union tra vecchio e nuovo corso, facendolo prima partecipare attivamente all'estenuante trattativa con i New York Knicks (sua pare la richiesta d'inserire Danilo Gallinari e Mozgov nella trade) e poi facendogli firmare il rinnovo triennale per uno degli allenatori più longevi e vincenti in attività. Ora Karl ed Ujiri hanno certamente la possibilità di plasmare una delle franchigie più futuribili dell'intero panorama professionistico, ma già quest'estate andranno fatte scelte importanti. Tra tutte di certo il rinnovo del centro brasiliano Nenè oltre al dover fronteggiare le numerose offerte per il neoarrivato Wilson

Chandler ed Arron Afflalo che i Nuggets dovranno pareggiare se vorranno tenersi i due giocatori, come del resto pare vogliano fare. E' facile prevedere che non sarà esteso il contratto di Kenyon Martin (16,5 i milioni presi dall'ex Nets in quest'ultima stagione) mentre è ancora incerto il futuro di Jr Smith, ma è complicato fare adesso previsioni sui free agent con l'ombra lockout che incombe su tutto il basket professionistico. Di certo Ujiri proverà a "sbolognare" Al Harrington ed il suo contratto in scadenza 2015 così come è facile pensare che nel caso in cui Felton non dovesse trovare il minutaggio da lui sperato potrebbe chiedere con forza la cessione ad un'altra franchigia e, visto anche il solo anno di contratto da 7,5 milioni di dollari che avrà quest'estate, i Nuggets non avrebbero alcun problema a trovare numerosi acquirenti per l'ex Knicks e Bobcats magari in cambio di un 4 che possa partire nel quintetto iniziale. Il futuro del basket tra le montagne del Colorado appare molto più roseo di quanto molti prevedevano nel "day after" post Melo.


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Da ‘feno a ‘ped di scam IL SUO NOME E’ STATO IL PRIMO AD ESSERE INSERITO NELLA TRADE

L'Nba è un mondo strano, lo sappiamo. Persino nell'ampia categoria dei campionati sportivi professionistici, dove pure di bizzarrie non ne mancano (a cominciare da quelle dei lidi nostrani), la lega americana di basket rimane un mondo a parte. Infatti appena il 6 gennaio il general manager dei New York Knicks, Donnie Walsh, affermava di voler rifirmare assolutamente Wilson Chandler, che in estate sarebbe diventato restricted free agent, definendolo un “helluva player” (fenomeno), salvo poi cambiare idea poco più di un mese dopo, quando il 22 febbraio scorso l'ha mandato a Denver, insieme a Raymond Felton e Danilo Gallinari oltre a Costa Koufos e future scelte


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omeno’ dina mbio’

L ORENZO ORENZO

DI

DE DE

S ANTIS ANTIS

al draft, nella megatrade che ha visto parzialmente coinvolti anche i Minnesota Timberwolves, e grazie alla quale sono sbarcati nella grande mela Carmelo Anthony e Chauncey Billups. Effettivamente un “helluva player” Wilson Chandler stava dimostrando di esserlo, e la trade deve averlo colto di sorpresa, poichè era ormai diventato una pedina fondamentale nello scacchiere di Mike D'Antoni, tanto da registrare i suoi personali career high sia nei punti (16.8) sia nei rimbalzi (5.9) in 51 partite giocate(di cui 30 da titolare). Passato quasi inosservato nel draft 2007, anche perchè si infortunò durante uno dei primi provini con gli Hawks, Chandler venne scelto con la chiamata numero 23 dai Knicks dell'allora general manager Isiah Thomas, che non lo aveva visionato personalmente nel cosiddetto Pre-Draft (per i già citati problemi fisici) ma che lo conosceva per gli ottimi rapporti che lo legavano con lo staff tecnico di DePaul University, college dove l'ala del Michigan aveva speso due anni con buoni risultati. La prima stagione a New York sotto la guida dello stesso Thomas, Chandler la passò tra alti e bassi, iniziando a giocare con continuità solo quando le speranze di playoff dei Knicks erano andate a farsi friggere. Con il cambio in panchina e l'arrivo di D'Antoni però le cose hanno cominciato a cambiare, tanto che nel suo secondo anno della lega arrivano ben 70 partite da titolare e delle buone cifre, migliorate ulteriormente l'anno seguente, dove riesce anche a stabilire il suo carreer high in punti mettendone 35 contro Sacramento. Ora l'ex Benton Harbor High School sbarca ai Nuggets, dove presumibilmente manterrà elevato il suo rendimento. Infatti anche se le sue cifre, nelle prime 7 partite con Denver sono leggermente calate, l'ala possiede un gioco completo, ha un ottimo jump shot dalla media, è aggressivo e può arrivare al ferro oltre a poter disporre a suo piacimento dei difensori più piccoli in post basso, dall'alto dei suoi 2,03 conditi da 100 e rotti kili. Tutte queste abilità gli hanno permesso di diventare un opzione più che affidabile nell'attacco dei Knicks dietro Stoudamire e Felton. Per sua fortuna anche George Karl pratica un gioco veloce, fatto di transizioni rapide che lui può concludere con un tiro dalla lunga distanza, fondamentale in cui è migliorato moltissimo grazie al “run and gun” dantoniano, o con un comodo layup. Inoltre avendo insieme a lui praticamente metà della squadra con cui giocava prima della trade, l'aggiustamento non può che essere indolore, con la grande possibilità di affermarsi come top scorer nella squadra del Colorado e magari, anche a partire dalla prossima stagione, poter diventare un All-Star. Quindi adesso che i Nuggets, dopo 7 partite in 12 giorni e pochissimi allenamenti sulle gambe, avranno la possibilità di godere di tre giorni senza gare, aspettiamoci un Wilson Chandler più a suo agio nella nuova realtà, capace, chissà, di farsi rimpiangere amaramente da quel Donnie Walsh che così repentinamente ha deciso di privarsi dei suoi talenti.

QUESTE LE CIFRE IN CARRIERA

...LE CIFRE NELLE ULTIME TRE PARTITE...


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IL PERSONAGGIO - 2

Dal North Carolina a passando per New

Quando i Knicks firmarono Raymond Felton il 9 luglio 2010, nessuno avrebbe pronosticato per lui una stagione da 17 punti e 9 assist di media. L’ex giocatore dei Tar Heels di North Carolina, con cui ha vinto pure il titolo Ncaa nel 2005, finora non aveva brillato sui parquet Nba, limitandosi a giocare delle discrete stagioni ma nulla che

facesse pensare a lui come un punto fermo di qualsiasi franchigia, specialmente quelle che lottano a giugno per l’anello. Invece il gioco di Mike D’Antoni, il run&gun, ha esaltato le qualità di Felton (e quelle di molti altri giocatori), facendogli raggiungere un picco mai avuto prima in carriera. Purtroppo per lui i Knicks, avendo la necessità


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R AFFAELE AFFAELE VALENTINO ALENTINO DI

Denver w York

di costruire una squadra pronta a vincere subito, anziché aspettare la crescita dei propri giovani, ha ritenuto necessario scambiare Felton e altri giocatori futuribili come Wilson

Chandler, Timofey Mozgov e il nostro Danilo Gallinari in cambio della superstar Carmelo Anthony e dell’esperienza di un campione come Chauncey Billups. Denver ha ottenuto più di quanto potesse sperare e ora, senza Carmelo, sta ottenendo degli ottimi risultati, anche grazie a Felton. All’arrivo di Felton si era subito presentato il primo problema, ovvero se potesse coesistere con l’altro play dei Nuggets Ty Lawson. George Karl è un coach esperto e ha lasciato che il giovane play partisse titolare, ma Felton gioca più minuti (31 contro 25) ma soprattutto ha imparato a farli convivere, specialmente nei finali di partita dove Felton può essere l’arma in più grazie alla sua freddezza, dimostrata più volte (in ambito Ncaa, due suoi liberi nella finale del 2005 furono decisivi per la vittoria dei Tar Heels). Le sue statistiche sono ovviamente calate da quando è passato ai Nuggets, la causa oltre ai meno minuti giocati è il diverso stile di gioco praticato dai due allenatori. I freddi numeri parlano di 11 punti e quasi 7 assist, ma i numeri non dicono tutto. Cercando di dosare Felton come sta facendo per ora, Karl sta ottenendo più qualità dall’ex Bobcats, che ha impennato la sua percentuale al tiro da fuori, passando dal 32% di New York al 44% delle 9 partite coi Nuggets. In quel di Denver, sollevati dalla fine del “Melodrama”, guardano al futuro con ottimismo, avendo una squadra giovane e in prospettiva, con 1-2 ritocchi davvero molto forte. In quest’ottica uno come Raymond Felton from Marion, South Carolina, ha dimostrato di poterci stare eccome.


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IL PROFILO

Il ‘Gallo’ fa nei cuori e di coa


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DI

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA

«A dire il vero da quando è arrivato è andato oltre qualsiasi aspettative. E’ un giocatore diverso da quello che mi aspettavo. Sono contento di averlo e credo che potremo lavorare bene assieme». Queste le ultime dichiarazioni, queste le ultime parole spese da coach George Karl sul talento azzurro Danilo Gallinari. E dire che il

Dopo la trade con i Knicks si vociferava di un suo immediato addio ai Nuggets, ora l’azzurro ha dimostrato di essere una pedina fondamentale di Denver

fa b r e c c i a dei tifosi ach Karl


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nome dell’ex Olimpia doveva essere addirittura messo sul piatto della bilancia degli scambi dopo pochi giorni dall’arrivo nella città delle montagne rocciose. Il perché? Ovvio quella dell’idea di un giocatore che non poteva far parte del progetto Nuggets o quanto meno di una squadra che non era considerata come suo ambiente naturale. Ed invece tutto è cambiato. Sono bastate una manciate di partite al ‘Gallo’ per convincere coach Karl che il suo modo di stare in campo, quello modificato all’inizio di questa stagione, poteva essere importante ed utile anche alla sua nuova versione dei Denver Nuggets. Prima partita timida, per poi fare exploit in quella persa contro i Blazers in cui Gallinari ha chiuso con 30 punti prima di avere seri problemi al dito del piede che lo ha tenuto fuori dai campi di gioco per un paio di settimane. Trenta punti ed in generale una prestazione che ha messo in luce tutto il Danilo Gallinari che c’è in Danilo Gallinari. Un giocatore totalmente differente da quello delle prime versioni in maglia Knicks. Non il classico bianco europeo a cui chiedere di mettersi dietro la linea da tre punti e sparare in continuazione come una mitragliatrice, visti gli ottimi fondamentali da quel punto di vista. Se poi ad avere una amno del genere è un giocatore al di sopra dei due metri, allora era tutto oro colato. Quello il motivo per cui il nome dell’ex Olimpia è arrivato persino alla numero 6 del suo Draft e non solo per i rapporti che c’erano tra il papà Vittorio e coach D’Antoni. A dire il vero proprio l’ex compagno di squadra del papà del ‘Gallo’ aveva sempre sottolineato che la sua scelta andava anche al di là del tiro dalla lunga distanza ed una mano che in Italia ed in Europa ha fatto sfaceli a livello di media punti. Tra le tante cose lo stesso D’Antoni (che ci ha provato in tutti i modi a tenerlo a New York sin da questa estate) aveva messo in evidenza il carattere, ma soprattutto dei fondamentali di gioco a partire dal palleggio e dalla capacità di finire al ferro, che sarebbero potuti diventare un’arma importante nel futuro dei Knicks. Tutto vero, tranne che ora l’ex coach e playmaker, sempre di Milano, dovrà guardare tutto il suo lavoro e quello del suo coaching staff, fiorire altrove. Già perché quello sbarcato a Denver è un giocatore completamente differente. Un giocatore che costruitosi nei primi due anni la propria fama di tiratore dalla lunga distanza al quale non puoi lasciare nemmeno un centimetro, senza veder volare per aria una sfera di colore arancione che nella parte finale della parabola discendente aveva il solo ‘swish’ come rumore principale, ha saputo poi svoltare, anzi voltare pagina ed aggiungere altri capitoli al proprio gioco.

QUESTE LE CIFRE IN CARRIERA

...LE CIFRE NELLE ULTIME TRE PARTITE...


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Quello principale è il tiro dalla media distanza, o meglio quello che lo stesso Gallinari ha imparato a costruirsi con uno o due palleggi prima di alzare le braccia e far partire la sfera di cui sopra. Un piccolo dettaglio che rende prima di tutto più pericolosa la sua principale ‘skills’, il tiro da lontano, ma soprattutto che mette il difensore sempre più nella condizione di dover pensare su quello che l’azzurro è pronto a fare. Un’aggiunta arrivata con tante sessioni di tiro in allenamento, con tante prove durante i riscaldamenti delle partite dove il palleggio, arresto e tiro era una delle parti fondamentali. Un’aggiunta che poi non è certo arrivata da sola. Nei tre anni di piena attività passati con lo staff della Grande Mela, Gallinari ha migliorato quello che era un aspetto che nella Nba gli mancava, ma che aveva in Europa: l’arrivare al ferro dal palleggio. Certo tra Italia ed Eurolega non erano tanti i ‘corpaccioni’ dei lunghi e dei pari ruolo che sera dopo sera gli contestavano le penetrazioni. Ma la caparbietà e la voglia di migliorarsi giorno per giorno, lo ha portato a salire un altro scalino. Allo stato attuale, anzi, sono molto più le volte che si vede il numero 8 del milanese partire ed arrivare al ferro di quanto, invece, facesse all’inizio. Insomma quello che era un suo limite, ora potrebbe addirittura diventare il punto di partenza di un lato tecnico tale da renderlo pericoloso in tutta la Lega. Certo gli manca ancora qualcosa, specie per quanto riguarda la parte acrobatica per finire nel traffico e prerogastiva dei super atleti di colore, ma al momento sono già abbastanza i ‘poster’ regalati ai fotografi con schiacciate partendo dal palleggio in punta ed arrivando all’anello senza nessuno tipo di problema. Un miglioramento che regala effettivamente a Gallinari la possibilità di essere pericoloso su tre fonti cosi come impo-

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ne la classica triplice minaccia di attacco che si impara al minibasket: tiro, palleggio arresto e tiro e penetrazione fino al ferro. Una ‘triple offense’ che ha colpito i tifosi di Denver, che prima erano abituati a vederlo un paio di volte all’anno e sempre nelle vesti speciali di mastino sulle piste di colui che ha preso il suo posto al Madison Square Garden e che ora, invece, hanno imparato ad amare già dopo nemmeno un mese di permanenza a Denver. Lo stesso dicasi per coach Karl che ha dovuto, forse, tornare sui suoi passi e pensare che poi questo bianco italiano dall’inglese ormai fluente, non è solo il classico europeo sopravvalutato, ma un giocatore sul quale poter investire qualcosa anche per il futuro prossimo di una Denver alle prese con al ricostruzione post-Anthony. Anche perché la tecnica offensiva e quella difensiva (il fisico del Gallo attualmente è tale da poter tenere contatti anche di gente del calibro di James o dello stesso Anthony ndr) sono coadiuvate da un’intelligenza cestistica non indifferente che gli permette di capire dove, come e quando attaccare, forzare o farsi avanti con personalità e responsabilità. Tutte qualità che forse non servivano nel sistema della ‘run and jump’ di D’Antoni dove prima o poi un tiro pulito e immediato ti capitava tra le mani, ma che con un allenatore basato sui ‘concetti cestistici’ come Karl sono ancora una volta oro colato come quello della sera che lo ha portato tre i primi sei a stringere la mano a David Stern. «Mi sto ambientando – ha affermato lo stesso Danilo Gallinari nel post partita del nuovo scontro tra italiani e cioè tra i Raptors di Bargnani ed i suoi Nuggets -. E’ un sistema ed un modo di giocare del tutto diverso, ma quello che sto facendo attualmente è solo mettere in pratica quello che mi chiede il coach».

Fonte foto: facebook.com

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OCCU PUNTATI SU...

Da ‘Agent Zero’ a ‘Real Zero’?

Il titolo dell’articolo inizia oramai ad avere i connotati di una domanda retorica piuttosto che evocare un effettivo o presunto ridimensionamento del notoriamente superbo ed istrionico Gilbert Arenas, playmaker attualmente sesto uomo dei Magic di Stan Van Gundy. La realtà è diventata chiara quanto basta, per schiarire gli occhi anche più speranzosi e romantici di coloro che hanno amato e soprattutto ammirato il numero 0 da Arizona, riconducendoli verso una dura e amara certezza, che in quanto tale, cala definitivamente il sipario su un oramai defunta figura mitologica all’interno della NBA: Hibachi e

Agent Zero erano i soprannomi con cui Gil si era dichiarato alla lega durante l’apoteosi della sua corrente esperienza tra i pro: la sua simpatia travalicava i limiti del possibile, ed in un certo senso Gilbert è sempre stato diverso rispetto alle pur di loro estrose altre stelle NBA: ricordare il suo show all’All Star Game del 2007, quando si improvvisava giocoliere negli intervalli delle esibizioni, è una carezza al cuore tenendo presente di quanto quel ragazzo perennemente sottovalutato e “underestimated” nel corso della propria carriera, fosse finalmente riuscito a sbarcare il lunario prendendo addirittura le redini dello


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G UGLIELMO UGLIELMO B IFULCO IFULCO DI

show che negli anni era stato intrattenuto da gente come Shaquille O’Neal, Kobe Bryant, Kevin Garnett e LeBron James, di certo non gli ultimi arrivati. In quel periodo Gilbert era la superstar di riferimento assoluta dei Washington Wizards, una franchigia che navigava tra le prime 5 forze dell’Est, reduce da battaglie all’ultimo sangue con i Cleveland Cavaliers di un giovane, ma già dominante LBJ: Arenas dicevamo, era il punto di riferimento di quella squadra, l’uomo clutch cui spettava di diritto l’ultimo tiro. Ed è principalmente su questo aspetto che si è un po’ costruita la leggenda di GA, con il tiro della vittoria da distanza siderale contro gli Utah Jazz con lui che esultava di spalle al canestro ancor prima che la palla si fosse avvicinata al ferro, con i buzzer beater rifilati ai Cavs in post- season, con i sogni con i quali alimentava le speranze di tifosi di una franchigia notoriamente “trascurata”persino dai media locali e povera di una storia vincente come di contro non avveniva in altre metropoli statunitensi qualiLosAngeles, Chicago, Boston e, in misura minore New York. Sulla scia di incredibili prestazioni individuali, contornate pur sempre da medie stagionali notevoli ( in tre anni, rispettivamente dal 2005 al 2007, medie punti di 25.5, 29.3, e 28.4) si creò così la leggenda assoluta di Agent Zero, osannato dai media con la toccante pubblicità dell’Adidas sulla sua affascinante storia di outsider riuscito nel semiinavvicinabile social climbing della NCAA prima e della NBA in seguito, in grado routinariamente di stravolgere le previsioni ed emergere come protagonista di primo profilo. Arenas, al di là dell’aspetto tecnico, ha portato alla luce una capacità di comunicazione ai limiti dell’arte avvicinando notevolmente le precedentemente marcatissime distanze tra giocatori NBA e resto del mondo; Hibachi fu, infatti, uno dei primi giocatori a scrivere su un blog riconosciuto dalla NBA, segnando un trend poi seguito dal “resto del gregge” negli anni a venire (sulla sua scia Luol Deng, Tyson Chandler, Kevin Durant e via discorrendo..): ancora fu uno dei primi giocatori a diffondere video sul network you tube riprendenti allenamenti personali e, in particolare, divertentissime sfide con ex compagni di squadra, il “preferito” dei quali,“Lil’Soldier” DeShawn Stevenson, vittima di una sfida nel tiro da tre dove Gilbert lo ha sconfitto pur essendo costretto a tirare con una sola mano (!). Un animale da palcoscenico riconosciuto ed indiscutibile, ma anche uno stakanovista di altri tempi, forse meno freddo e calcolatore di un Kobe Bryant, ma con una simile voglia e ambizione di migliorare ulteriormente i propri standard: difatti non si spiegherebbe altrimenti quanto, nonostante due infortuni atroci, sia tutt’oggi un atleta pienamente recuperato, quantomeno in termini di salute. Un personaggio estroverso come pochi, volendo anche eccessivamente superbo, ma assolutamente frizzante e “amazing”( come si è poi auto definita la NBA stessa di lì a poco). La rivalità con James, i 60 punti in faccia a Kobe allo Staples, sfide che si moltiplicavano progressivamente..Gilbert era nell’Eden della lega e solo una catastrofe lo avrebbe potuto separare da un’ ulteriore ascesa verso il top, scippandogli le luci della ribaltà che era riuscito onestamente a guadagnarsi. E, ironia e tristezza della sorte, catastrofe fu: due infortuni gravissimi che lo hanno tenuto out per circa due anni e mezzo, problemi di natura legale per via del “gun-gate” col compagno Javaris Crittenton con conseguente squalifica di un anno. Un po’ la sorte, un po’ il suo caratterino gli si sono rivoltati così contro, punendo lapidariamente i suoi “claim” di “underrated superstar”. Il ritorno di questo inizio stagione ai Wizards con l’ombra di Hinrich (poi ceduto ad Atlanta) e del promettente John Wall ad ostruirgli il campo,ed il trasferimento attuale ai Magic, nei quali è confinato in panchina senza avere un minimo di feeling con lo spirito della squadra, sono gli ultimi e più recenti fotogrammi di una carriera mandata letteralmente a puttane; Gilbert ha avuto più di una opportunità per rifarsi un’immagine, riacquisire credibilità, reinventarsi un ruolo, e l’occasione di giocare per i Magic ne è stata la prova lampante: almeno per ora non è scoccata la scintilla che ha riacceso il sorriso simil2007 ad agent Zero, un corpo estraneo privo del ritmo necessario per giocare il basket frenetico dei finalisti del 2009. Chissà che con l’aria dei prossimi playoff non cambi qualcosa. Sottovalutarlo forse può essere l’arma migliore per vederlo rinascere e sorprendere tutti. Gilbert è appena ventinovenne, quindi tempo per rifarsi ci sarebbe. Tempo per un cambio di sceneggiatura ce n’è: la speranza altrettanto, la certezza, purtroppo, no. Avremo già da questa postseason le prime risposte.


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NBA STANDING ATLANTICDIVISION

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CENTRAL DIVISION

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REBOUNDS

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M ICHELE ICHELE TALAMAZZI ALAMAZZI DI

MARCH MADNESS

Tutta la Ncaa dalla ‘A alla Z’ Alcazar, Jordan aka 'Il cheerleader'. Colui che ha rischiato di passare alla storia, ma dalla parte sbagliata. Overtime di LouisvillePittsburgh: Kyle Kuric schiaccia il più 5, 'game over' pensa l'Alcazar, che entra in campo e lancia la palla in aria in segno di esultanza. Mancavano 3 decimi, è volato un tecnico e Pitt con due liberi di Gibbs e palla in mano ha avuto l'occasione di portare la gara al secondo OT. Per fortuna di Alcazar, non è successo... Bracket. Il tabellone, composto da 68 squadre e completato dal First Round che ha messo dentro le ultime quattor squadre. Come ogni anno, non mancano le escluse eccellenti: senza invito rimaste Colorado, ed è un peccato perché non vedremo Alec Burks al torneo, e Saint Mary's con la sua colonia australiana. Per loro c'è l'NIT. California Institute of Technology, Cal Tech per gli amici. Laddove sono nati 26 premi Nobel, da altrettanti anni non si assisteva ad una vittoria: dopo 310 sconfitte, però, contro Occidental, un tiro libero di Ryan Elmquist ha spezzato il digiuno. Vittoria 46-45, invasione di campo e festa-scudetto; ora la palma di pecora nera passa al baseball, a secco dal 1988. Draft.

Anche quest'anno, sono i freshman a dettare legge. Kyrie Irving, Perry Jones, Jared Sullinger, Terrence Jones, Harrison Barnes, Brandon Knight, Tristan Thompson e il turco Enes Kanter, mai visto a Kentucky per problemi di eleggibilità, finiranno verosimilmente tutti in lotteria. A poterli impensierire, oltre all'eventuale lock-out NBA, sono gli europei (Valanciunas, Mirotic, Motiejunas), qualche sophmore (Williams, Burks, Henson, Leonard) e i super Walker e Fredette. Perché il potenziale intriga sempre di più rispetto al prodotto finito. Pur se in tanti casi così finito non è.

Espn 30for30. Nella fortunata serie di documentari dell'emittente

televisiva americana, a Marzo non poteva che esserci spazio per il college basketball. La storia dei 'Fab Five' di Michigan la conoscete quasi tutti: le due finali perse, il timeout chiamato da Webber senza averne a disposizione, la cultura hip hop che entra nel basket. Jalen Rose ha ragione, quando dice che più del quintetto di North Carolina che vinse nel 1993 ci si ricorda di loro cinque. Perché quella di chi vincerà il titolo è solo una delle tante storie del mondo NCAA.

Final Four. Quest'anno si va a Houston, Texas. Per il terzo anno in

uno stadio da football americano: dal Ford Field di Detroit nel 2009 al Lucas Oil Stadium di Indianapolis lo scorso anno per arrivare al Reliant Stadium, la casa degli Houston Texas. Per il terzo anno consecutivo si avrà una capienza di circa 70mila posti a sedere, e difficilmente ne resteranno di vuoti, pur se la metà di questi avranno la testa rivolta al maxischermo centrale più che al campo. Dal 2 al 4 aprile non prendete impegni.

Gibbs, Ashton. La sua stagione è uno dei motivi per cui Pittsburgh ha il seed #1 a Sud-Est: quasi 17 a partita col 48% da tre, su quasi 7 tentativi a partita. Cresciuto nella gestione della squadra e dei ritmi, il suo tiro rimane non bello stilisticamente ma fluido e tremendamente efficace. Il 'Microwave' dei Panthers, già vincitore di un Mondiale Under 19, sembra avere le caratteristiche adatte per stupire a Marzo. Honor Code. Quello di Brigham Young University impedisce di fare svariate cose: farsi crescere barba e baffi, bere alcolici o anche un semplice caffè, fumare, imprecare e fare sesso prematrimoniale. Così capita che l'ala forte Brandon Davies, venga sospesa nel cuore del suo secondo anno per aver infranto il Codice: sul suo volto non c'è un pelo che sia uno, non fuma, non beve, non dice parolacce, ma alla sua ragazza non ha resistito. A Provo non scherzano.


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Isaiah Thomas. Ultimamente se la passa sicuramente meglio lui del

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fisicamente super e al servizio della squadra: ecco uno dei motivi suo quasi omonimo 'Zeke', la cui fama dai tempi dei Bad Boys è in perché San Diego State ha coronato la sua stagione con il titolo della caduta libera. 175 centimetri di energia, talento e passione, al suo Mountain West. terzo anno ha trascinato i Washington Huskies al titolo della Pac-10 contro la favorita Arizona. Come? 45 minuti, 28 punti, gli ultimi due March Madness, la follia di Marzo. Quella che per un mese avvolge tutti gli appassionati di college basketball, dai tifosi della propria 'at the buzzer', previa magistrale stepback. alma-mater che si pitturano la faccia prima di colmare le arene agli d'oltreoceano che passano nottate insonni. Il termine Jimmer. Nella maggior parte dei casi non serve nemmeno pronun- appassionati risale al 1939, nel basket universitario l'ha introdotto negli anni '80, ciare il cognome, Fredette. Il James Taft che a 5 anni già sganciava triple nei campetti di Glen Falls e a fine liceo girava a 2404 punti, e con fortuna, l'allora telecronista della CBS Brent Musburger. inizia il Torneo NCAA a quota 2501 in maglia Cougars. Quest'anno, 28.5 di media, con tre puntate oltre i 40 ed una a 52, battendo il Nelson, Reeves. Leader di UCLA in punti (14) e rimbalzi (9), sembra quasi un piccolo clone di Kevin Love. Con una parte alta del record di Danny Ainge. Pure scorer, oltre che fenomeno di culto. corpo possente (e ricoperta di tatuaggi) e un baricentro basso, è un lungo atipico, più brevilineo di altri e in grado di attaccare fronte a Kemba Walker. Che fosse buono, lo si sapeva. Che potesse produrre canestro, oltre che dotato di un jumper in progresso. Le speranze un'annata così importante, forse lo immaginava solo lui la sera dei Bruins di far strada al torneo passano soprattutto da lui, leader prima di addormentarsi. 23.5 di media, le redini di Uconn in mano, migliorando il tiro e imparando a giocare a due velocità. Dopo una emotivo dello spogliatoio losangelino. logica flessione, è entrato in Marzo stracciando il record di punti per il torneo della Big East (130), vinta dagli Huskies partendo dal #9, Ohio Valley. E' la piccola conference dove ha evoluito quello che è il con 5 successi in 5 giorni, nella sua NY. Comunque vada a finire, miglior rimbalzista di college basketball delle ultime quattro stagioni. E, dal 19 febbraio scorso, anche dell'era moderna della DivisionKemba è stato 'Da Man' in questa stagione. I, passando un certo Tim Duncan (1570); prima di iniziare il torneo la sfida a Louisville, il counter era a quota 1643. Alto 203cm, è Leonard, Kawhi. Altro 'late bloomer', messosi sulla cartina del colle- ilcona Rodman della nuova generazione; per il momento, solo a causa ge basketball e soprattutto del prossimo draft NBA con un'eccellente stagione: un'ala piccola da doppia doppia (15.4 punti e 10.7 rimbalzi dei rimbalzi, visto che a parte la folta chioma di dreadlocks non si di media) non si trova tutti i giorni. Non un talento cristallino, ma segnalano altre stranezze.


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Princeton Tigers. Nella sfida tra 'secchioni' ha vinto la Ivy League

battendo Harvard (63-62) con un jumper forzato della guardia Douglas Davis, e guadagnando così l'invito al torneo NCAA. A guidarli è la guardia ex Milano (e Reggio Calabria, Siena Avellino) Sidney Johnson, da giocatore un Tiger anche assieme ad un altro milanese, Mason Rocca.

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la presenza di Kenny George, lo sfortunato centro di 234cm cui in seguito fu amputato il piede destro. Ora è entrata nel bracket grazie alla vittoria nell'expanded stage su Arkansas-Little Rock dopo un overtime, e i primi volti copertina del torneo sono JP Primm e soprattutto Matt Dickey, autore del canestro valso il supplementare. Vitale, Richard J. Dick per tutti, volto e soprattutto voce inconfondibile del college basketball dalla fine degli anni '70, dopo aver abbandonato la carriera di coach tra high school, college e anche NBA (Detroit Pistons). Va per i 72 a giugno, ma non tramonta mai. L'NCAA è anche Dick Vitale. “It's Awesome Baby”.

Quicken Loans Arena. Gli orfani di James, a Cleveland, quest'anno si consolano con l'East Regional: il 18 marzo poker di partite interessante, fra Villanova-George Mason, Marquette-Xavier, Indiana State-Syracuse e la locale Ohio State contro la vincente tra Alabama State e Texas-San Antonio. In attesa che tornino tempi migliori di Williams, Derrick. Michael Beasley con la potenza di Blake Griffin. Esagerazione? Sì, ma è il paragone più calzante per quest'alona di quelli attuali, dove oltre al Barone c'è ben poco. 204 cm, che muove i piedi come un ballerino e unisce doppia dimensione ad una forza fisica notevole nei pressi del ferro. In rialza Renardo Sidney, Mississippi State. Gangsta Mvp dell'anno: tanto anche la confidenza nel tiro da fuori, del brutto anatroccolo arrivato talentuoso quanto sovrappeso e irrequieto. Dopo un primo anno a a Arizona senza un passa da top recruit, ora è rimasto solo il naso guardare per le violazioni sull'eleggibilità (causa i soliti benefits), Renardone nostro ha pensato bene di mettere tra i suoi video di alla Scottie Pippen. Per il resto, è un magnifico cigno. highlights su Youtube quello dove prende a cazzotti il compagno di squadra Elgin Bailey. Era il 24 dicembre, della serie “A Natale siamo Xavier. Un anno dopo Jordan Crawford, il posterizzatore di LeBron che passando da Indiana a Xavier salì da 9.7 a 20.5 punti (ed ora è tutti più buoni”. Poi ha chiuso a 14.2 di media per i Bulldogs. in NBA a Washington), in casa Musketeers ci si gode un'altra crescita esponenziale, quella di Tu Holloway, piccola combo guard passaSullinger, Jared. 19 e 14 rimbalzi alla prima, 26 e 10 alla seconda, ta dai 12 dello scorso anno ai 20.2 attuali, che gli valgono il biglietto 17 e 10 di media. Nessun altro freshman, quest'anno, ha avuto lo di top scorer tra quelli in corsa all'East Regional. stesso impatto immediato e poi la costanza tenuta dall'ex mister Ohio, che ha trascinato i Buckeyes al seed #1 a Est. Sotto le plance, devastante per combinazione di tecnica e potenza fisica, una sorta Yancy Gates. Miglior marcatore e rimbalzista dei Bearcats, è ovviadi Man Child già NBA-ready, pur se tutto da costruire difensivamen- mente solo un pretesto per parlare ancora di Big East: Connecticut, Pittsburgh, Notre Dame, Syracuse, Louisville, West Virginia, te. Georgetown, St. John's, Villanova, Marquette e appunto la Cincinnati di Gates. Le undici squadre portate al torneo è record. E Tobacco Road. L'immortale rivalry del college basketball, quella tra perchè proprio Yancy? Andatelo a trovare voi, un argomento con la Duke e North Carolina, quest'anno ha fatto rima con Nolan Smith. Il Y. Noi non ce l'abbimo fatta. 9 febbraio, nella vittoria dei Blue Devils (79-73), l'ex Oak Hill Academy ha scritto 34, ripetendosi poi, invano, il 5 marzo a Chapel Hill (30) nella vendetta dei Tar Heels (81-67). La 'bella', in occasione Zeller, Tyler. E' arrivato anche lui: il settepiedi di North Carolina è della Championship Game dell'ACC, la scritta ancora lui, con Duke fra le liete sorprese della stagione, con 14.5 punti e 7.1 rimbalzi di ad asfaltate UNC (75-58) e Smith a quota 20. Ora potrebbero ritro- media, con un rendimento continuo come non mai. Centro modervarsi solo in semifinale: in un anno così indeciso, i Blue Devils sono no, grosso il giusto per correre bene il campo e con buon tecnica. Capace di picchi oltre quota 20 punti (cinque volte) e di mettere i favoriti, se non altro perché campioni in carica. anche il tiro decisivo, come avvenuto con Miami un paio di settimaUNC-Asheville. Fino a qualche anno fa, i Bulldogs erano famosi per ne fa, sul suggerimento di Marshall.


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