Libro Tommaso Andrea Lorenzone

PIMAN

T.A. LORENZONE SACERDOTE DELL’ARTE

MANASSERO PIETRO

TOMMASO ANDREA LORENZONE, SACERDOTE DELL’ARTE

Tommaso Andrea Lorenzone (Pancalieri 1824 - Torino 1902)

Foto Archivio Centrale Salesiano.Roma

Indice Prefazione

Capitolo 1 Vita e Opere ............................................................................................... pag.

1

Capitolo 2 Partecipazioni alle Pubbliche Esposizioni della SocietĂ Promotrice delle Belle Arti di Torino ............................................................................ pag.

20

Capitolo 3 Pale d’arte sacra ........................................................................................ pag.

33

Capitolo 4 Opere devozionali ...................................................................................... pag. 107

Capitolo 5 Ritratti ........................................................................................................ pag. 122

Capitolo 6 Opere Profane ........................................................................................... pag. 166

Capitolo 7 Critica ......................................................................................................... pag. 193

Appendice ................................................................................................................... pag. 202

Prefazione Ho affrontato questa ricerca su Tommaso Lorenzone per curiosità intellettuale e soprattutto per l’amore verso la storia del mio paese, di cui il pittore è uno dei figli più importanti.

Dico subito che non sono un esperto di pittura e lo strumento base di questa ricerca è stata soprattutto… la mia buona volontà! Spero che questo lavoro – consultabile gratuitamente da tutti - sia di aiuto agli appassionati, ai collezionisti, e di qualche supporto per gli esperti ed i professionisti: critici, operatori culturali, case d’aste e antiquari.

A grandi linee la personalità artistica di Lorenzone è già stata delineata dai non numerosi esperti che si sono occupati (quasi sempre assai sinteticamente) dei pochi quadri noti del pittore pancalierese, anche se tra di essi taluno ha ritenuto di giudicarlo - poco generosamente e riduttivamente - un mero esecutore di immagini sacre stereotipate.

Il mio lavoro di dilettante ha portato alla conoscenza di decine di opere – dipinti ad olio o ad acquerello, lavori grafici – che permettono di definire meglio alcuni aspetti, cosa che i competenti potranno approfondire con riferimenti più ampi e articolati e valutazioni più approfondite: una buona occasione di stimolo sarà il centocinquantenario della grande ancona di Maria Ausiliatrice, ricorrente il 9 Giugno 2018.

Quel che è certo è che nelle migliori pale di soggetto religioso Lorenzone mostra personalità non solo nello stile di impostazione classica, ma anche nell’espressione sincera e nella tavolozza cromatica.

Così pure nella ritrattistica – forse il campo in cui il pittore meglio si realizza - non solo dà prova di grande tecnica (in particolare nell’acquerello) ma sa anche cogliere gli aspetti psicologici del soggetto.

Infine – in età giovanile, quando il mercato glie ne diede la possibilità – mostra di sapersi adeguare allo spirito dei tempi, di potersi esprimere in multiformi soggetti, con capacità virtuosistiche.

Purtroppo non mi è riuscito di trovare opere di solo paesaggio, di scene di vita, oppure di soggetto bellico, che senz’altro esistono: a chi approfondirà la ricerca questo compito, che se soddisfatto permetterà un giudizio finale completo.

Lorenzone in definitiva fu figlio dei suoi tempi, fece cioè parte di quel bellissimo movimento artistico che nacque e prosperò nell’Ottocento in Piemonte, in parallelo alla formazione di una estesa classe borghese, all’attività meravigliosa del cattolicesimo sociale impersonato da don Bosco ed altri grandi sacerdoti e soprattutto contemporaneamente con l’affermarsi di quella grandiosa azione ideale-politica-militare , decisiva per le sorti dell’Italia, che prende il nome di Risorgimento.

Certo nell’elenco degli artisti operanti all’epoca in Piemonte il suo nome non va collocato in prima fila.

Penso che lui, persona schiva e modesta, si ritenesse un bravo artigiano. Ebbe i suoi momenti di notorietà all’epoca delle due grandi pale del santuario salesiano di Maria Ausiliatrice, realizzate su commissione diretta di don Bosco, e oggi è ricordato esclusivamente in ambito religioso.

Quindi , al di là dell’importanza del tutto particolare che la figura di Lorenzone riveste per la storia del nostro piccolo paese di Pancalieri ( e cioè un nome conosciuto in tutto il mondo grazie alle case salesiane in ognuna delle quali vi è una riproduzione della grande pala dell’altare principale di Maria Ausiliatrice), vorrei sottolineare il valore della sua opera come parte del grande movimento pittorico dell’Ottocento piemontese, e a tal fine desidero qui citare, a proposito dell’arte in generale, un breve passo di un grandissimo scrittore: ‘Quando ci si avvicina a questo firmamento e si comincia a scorgere anche degli astri di seconda e terza grandezza, e ciascuno di essi risalta anche perché fa parte dell’intera costellazione, ecco che il mondo diventa più grande, l’arte più ricca.’

Goethe, Viaggio in Italia.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato durante la ricerca. Non ne faccio l’elenco completo, che sarebbe troppo lungo e poi di alcuni a suo tempo colpevolmente non mi sono appuntato il nome! Mi scuso quindi con coloro che non cito: a tutti va però il mio profondo grazie.

Ricordo qui: la Congregazione Salesiana ed in particolare don Maffioli ; i Fratelli delle Scuole Cristiane; i frati Cappuccini di Torino e di Pinerolo; i Padri Oblati di Maria Vergine di Pinerolo; i Padri Domenicani di Chieri; la Congregazione delle suore di s. Anna, in particolare le sorelle della casa madre di Torino, e suor Francesca Sarcià e suor Sabrina Miriam Pollini della casa Generalizia di Roma; le Cappuccine Francescane di Torino; le Figlie di s. Giuseppe di Rivalba; la dott.ssa Serena Fumero del Castello di Racconigi.

Tra chi mi è più vicino vorrei menzionare per il loro prezioso aiuto i miei fratelli Giorgio, Roberto e Franco e soprattutto mio nipote Alessandro, per le sue utilissime indicazioni e il supporto fotografico; il dott. prof.

Nicolao Belmondo e suo fratello Paolo. Vorrei anche segnalare i nomi delle signore Rita Soddu e Magnani Paola che da lontano mi hanno seguito con informazioni e incoraggiamenti e dei coniugi Silvana Chiattone – Domenico Coalova.

Una nota: non so a chi rivolgermi per eventuali diritti di alcune immagini. Chiedo comprensione perché quest’opera non ha fini di lucro, anzi….

P.S. Sarei lieto di ricevere segnalazioni di opere di Lorenzone finora sconosciute al mio indirizzo e-mail p.manassero@alice.it Sarebbe per me la più grande ricompensa per il mio lavoro. Grazie.

L’autore.

Pancalieri 2 Maggio 2019

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CAPITOLO 1

VITA e OPERE Nascita Pancalieri, il mulino del ‘400

‘Thomas Andreas, filius Joannis Dominici et Mariae Luciano, jugalium natus et solemniter baptizatus die decimoterzia februari, anno millesimo, octicentesimo,vigesimo quarto ab Patrito vic.to – Patrini Gaspar Sema et Theresia Lucianus uxor Joannis Baptistae’ ovvero ‘Tommaso Andrea Lorenzone figlio di Giovanni Domenico e di Maria Luciano, nato da regolare matrimonio e solennemente battezzato il giorno 13 Febbraio 1824 dal vicecurato Patrito. Padrini Gaspare Sema e Teresa Luciano moglie di Giovanni Battista’.

Così recita l’atto di battesimo: il documento è conservato negli archivi della parrocchia di Pancalieri (To), il paese dove Tommaso Andrea Lorenzone nasce. All’epoca non esisteva lo stato civile, per cui l’esatta data di nascita va probabilmente riferita a qualche giorno prima. Pancalieri dista una trentina di chilometri da Torino ed è situato al confine della provincia di Cuneo. Un borgo agricolo - all’epoca - di oltre 2000 abitanti.

Educazione artistica Lorenzone si trasferisce a Torino in data non conosciuta, certo in giovanissima età , poiché nella capitale sabauda risulta iscritto nel 1838 (a 14 anni) alla Regia Accademia Albertina e giudicato ‘giovine di belle speranze, che fa studi distinti ed è savissimo di costumi’ [1] . All’Accademia il pancalierese segue i corsi di Pittura e di Nudo sotto la direzione di di G.B.Biscarra; altri insegnanti piuttosto noti sono i pittori Vacca Luigi, Francesco Gonin e Pietro Ayres e, per la storia e la mitologia, il letterato e docente universitario Pier Alessandro Paravia. Suoi condiscepoli sono Giovanni Arnaud, Bettini, Felice Barucco, De Giorgi, Felice Festa, Bartolomeo Giuliano, Costantino Sereno [2].

La riforma dell’Accademia del 1824, voluta da Carlo Felice prevedeva, oltre a concorsi – detti Accademie - aperti a tutti gli artisti, dei concorsi semestrali , riservati agli studenti , con premi minori. Il primo premio era costituito da una pensione di 18 lire al mese per 6 mesi ed una medaglia d’argento. I premi minori avevano lo scopo “l’incoraggiamento dei giovani, mediante la ricompensa de’ loro progetti, tanto nella teoria che nella pratica”.[2 bis] Lorenzone era un allievo modello, che nel corso degli anni riceverà un sacco di premi e menzioni.

Il 23 Aprile 1842 figura tra i premiati nella solenne seduta tenuta in Palazzo Madama alla presenza di S.A.R. il principe Ferdinando duca di Genova: in tale occasione gli viene consegnato il 2° premio ( il 1° non fu assegnato) per l’accademia del nudo in disegno del Marzo 1842 [3]. Un mese dopo, precisamente il 29 Maggio 1842, il consiglio dei professori assegna, votando, delle menzioni d’onore. C’è chi ottiene la menzione a pieni voti, chi con un voto solo. Per Lorenzone si ha invece un caso particolare. Dice il registro dei verbali [4] : “Lorenzone Tommaso di Pancaglieri (sic!) assente; viene contemplato per la menzione onorevole, dietro l’asserzione del di lui distinto ingegno fatta dal Professore Direttore”. In altre parole, essendo Lorenzone risultato assente (forse per un certo periodo di tempo), interviene lo stesso Biscarra, Direttore dell’Accademia, a tesserne le lodi.

L’anno successivo, il 12 Marzo 1843, nella seduta per le premiazioni tenuta nel palazzo stesso della Reale Accademia, gli viene conferito il 2° premio ancora per il nudo in disegno ottenuto per la prova dell’Agosto 1842 [4]. La seduta del 18 Febbraio 1844, relativa ai concorsi del 1843, vede Lorenzone

2 pluripremiato con una sequela di primi premi [5]: 1° premio per nudo in disegno - prova del Marzo 1843;1° premio per pieghe in disegno - prova del Maggio 1843; 1° premio per pensiere d’invenzione all’acquarello - prova del 19 Luglio 1843;1° premio per nudo dipinto all’olio - prova del 12 Agosto 1843. Altri premi riceve ancora per l’anno 1844, come risulta dal verbale del consiglio dei professori.

Nella seduta del 9 Agosto 1844 gli viene assegnato il 2° premio per la classe del bozzetto dipinto all’olio. L’argomento è ‘Achille che piange la morte di Patroclo’; dice il verbale: ‘La Commissione non gli accordò il primo premio, perché la composizione è alquanto fredda e particolarmente la figura principale, più l’araldo seduto sul davanti non prende sufficientemente parte all’azione’. [4]Otto giorni dopo i Professori si radunano per giudicare la classe del nudo, relativamente al gruppo in dipinto ad olio: dal verbale della seduta del 17 Agosto 1844 veniamo a sapere che il concorrente è uno solo, Lorenzone, che comunque ottiene il premio con l’approvazione di nove insegnanti su dieci.

Attribuendogli il premio , i professori muovono però un’osservazione critica : ‘La commissione osserva che il colorito tende alquanto alla monotonia, e specialmente nelle ombre’. [5]Ed infine per la classe delle pieghe dipinte ad olio ancora il 1° premio! Le Accademie semestrali per gli studenti – per quanto gare artistiche ‘minori’ - erano comunque concorsi di un certo rilievo nella società torinese del tempo, tant’è che se ne faceva menzione in un articolo della Gazzetta Piemontese – giornale ufficiale del regno di Savoia - del Gennaio 1845.

G.B.Biscarra: Autoritratto- GAM Milano

G.B.Biscarra, direttore dell’Accademia, come pittore manifestava forti legami con il neoclassicismo accademico (a Firenze aveva avuto come maestro Benvenuti, caposcuola del neoclassicismo nella querelle con il romanticismo), senza però ributtare la visione romantica, anzi palesando una misurata adesione al romanticismo storico. Nella sua produzione inoltre un posto di rilievo andava alla pittura religiosa, nella quale veniva associato ai puristi , cioè a quella corrente pittorica che si proponeva di affermare i valori della religione cristiana rivolgendosi ai ‘primitivi’, ovvero gli artisti del ‘300/‘400 dell’Italia centrale. Questi sono dunque i valori che G.B. Biscarra trasmise ai suoi allievi : in particolare come insegnante dava massima importanza al disegno, allo studio dell’antico e specialmente del nudo. Con tali presupposti è facile comprendere che la formazione del Lorenzone fu eminentemente classicistica - attentissima al disegno, all’anatomia, al colorito – con blanda attenzione al purismo; nella sua educazione fu presente inoltre anche una temperata componente romantica. Da tutto ciò ne risultò un impianto classico di fondo che fu di base per una elegante ed efficace versatilità. Non dimentichiamo anche, nel discorso sul suo cammino di apprendimento, l’influsso che su di lui avranno avuto le opere in visione presso la Galleria Sabauda, istituita da Carlo Alberto nel 1832 per dare a tutti la possibilità di fruire della visione di quei magnifici quadri acquistati dai suoi antenati in centinaia d’anni di collezionismo sagace e ambizioso

3 L’Accademia di Belle Arti ( poi Accademia Albertina) L’Accademia Albertina

I nuovi Regolamenti, approvati nel 1824 sotto Carlo Felice, stabiliscono un’età minima di ammissione, quella di 12 anni, e strutturano l’attività didattica in modo rigoroso , stabilendo una distinzione di fondo tra le scuole preparatorie e quelle speciali.

Le scuole preparatorie sono 1ª e 2ªScuola del Disegno, Scuola del Nudo, Scuola d’Anatomia, Scuola delle Statue, Scuola delle Pieghe, Scuola di Prospettiva, Scuola di Storia e di Poetica. Le scuole speciali, ovvero i corsi superiori, sono la Scuola di Pittura, Scuola di Scultura, Scuola di Architettura e Scuola di Incisione. Le varie scuole vengono dotate di ampio materiale didattico (calchi, stampe, disegni, manichini, testi, ,ecc.)

Già nel 1829 Biscarra - Direttore artista, Primo pittore, Capo e Maestro della scuola di Disegno, Pittura e Direttore dell’Accademia del Nudo - con molto senso pratico, prospetta una scuola speciale (dopo il corso preparatorio di disegno) di pittura di genere, ritratti, ecc.

Con Carlo Alberto avvengono alcuni cambiamenti. Viene attuata la distinzione tra professori insegnanti e quelli di merito: tra questi Francesco Gonin e Pietro Ayres.Il letterato Pier Alessandro Paravia, docente universitario di eloquenza, succede a Boucheron nella cattedra di insegnante di storia e mitologia,Tomaso Raggio è nominato sulla cattedra di incisione, Alessandro Antonelli diventa il titolare di Architettura e prospettiva, Giuseppe Caggiano di scultura. Importante il cambio sulla cattedra di pittura dove a G.B.Biscarra succede il lombardo Carlo Arienti, un esponente di chiara fama del romanticismo storico: una chiara indicazione di cambiamento, per seguire gli sviluppi dei tempi. Viene poi introdotta la carica di ‘professore estero’ che favorisce i contatti con diversi maestri tra cui i protagonisti del neoclassicismo: Benvenuti, Camuccini, Thorvaldsen, Hayez ed altri.

G.B.Biscarra: Scuola del nudo - collezione privata

Scuola del nudo. Il disegno del modello vivente (solo maschile) costituiva un’esercitazione fondamentale: due ore giornaliere durante l’inverno, quattro nei mesi estivi.

Biscarra sovrintendeva, e provvedeva direttamente alla scelta dei modelli, in numerosi casi tre, ‘cosa ottima per la pittura, ove la varietà del colorito e dei caratteri sono lo scopo principale’. Inoltre nei mesi di aprile e maggio curava lo studio dei panneggiamenti sul manichino, formando gruppi con costumi di abbigliamento vari, armature., ecc, onde far apprendere dal vero l’effetto della luce sui diversi corpi.

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Periodo giovanile 1842-1864 Clienti illustri: i Savoia E’ noto l’interesse che Carlo Alberto aveva per i disegni, che comprava da librai, collezionisti o direttamente dagli artisti; tutti i suoi acquisti riguardavano disegni di antichi maestri o ‘disegni di artisti contemporanei, talora in rapporto diretto con la corte’ [6]. In tale ambito si inserì presto Lorenzone, perché poco più che diciottenne già ebbe casa Savoia come cliente : lo dimostra il pagamento di Lire 240 per tre disegni da parte della casa di Sua Maestà, registrato il 19 settembre 1842 [7]. Un’altra prova che il giovanissimo Lorenzone gode da subito di ottima considerazione è la sua partecipazione alla grandiosa iniziativa editoriale ‘Famiglie celebri d’Italia’ del conte milanese Pompeo Litta. Tra i tantissimi fascicoli, di gran lunga il più importante e ricco di illustrazioni fu quello sui Savoia, che uscì nel 1846 : la sua elaborazione aveva richiesto sei anni, dal 1839 al 1845, avendo tra l’altro ottenuto l’appoggio dello stesso Carlo Alberto, che pagava direttamente gli artisti partecipanti all’impresa (se non tutti, alcuni). Ebbene, tra le firme di tanti artisti di maggiore età e notorietà , compare anche quella di Lorenzone, autore dei disegni di due acqueforti , il che conferma da una parte la stima che il pancalierese già vantava nel settore della grafica, dall’altro la sua entratura nei riguardi della casa reale.

All’epoca Carlo Alberto, tra le sue diverse iniziative in campo artistico, decise di sostenere quelle di contrasto all’Islamismo nel Nord Africa, come la costruzione di nuove chiese e relative opere d’arte, come descritto dall’illustre letterato Paravia nel 1845 . Lo scrittore loda il re che sostiene questa nuova crociata, “.. e a valersi a ciò del pennello de’ nostri giovani artisti, e lor commettendo devoti dipinti, formati sulle opere di antichi maestri, coglier così il doppio scopo, e di favorire le arti nel colto Piemonte, e di aiutare la civiltà e la fede in que’ barbari lidi . Questi quadri, che la generosa pietà di Carlo Alberto destina alle chiese di Oriente, sono eseguiti sulle migliori opere degli antichi maestri (Raffaello, Guercino, i Carracci, Guido Reni, ecc..), da’ migliori allievi usciti dalla scuola del nostro cav. Biscarra”[8] . E fra questi l’autore nomina, accanto ad Angelo Beccaria, Biscarra figlio, Pietro Degiorgi, Giuseppe Giordanello, Leone Mecco, anche il nostro Tommaso Lorenzone, che quindi appena ventenne era già impegnato a dipingere per la casa reale con un incarico di prestigio.

Il rapporto con i Savoia si concretizzerà definitivamente nei primi anni ’50 con i grandi ritratti ad olio di Vittorio Emanuele I e della moglie Maria Teresa realizzati su committenza di Vittorio Emanuele II, e del bellissimo ritratto a tempera della regina Maria Adelaide.

Esso continuerà più in là nel tempo con lo sfortunato figlio di Vittorio Emanuele e Maria Adelaide, il principe Odone affetto da rachitismo . Infatti avendo Odone l’intenzione di far costruire nel Santuario di Crea una nuova cappella in cui si doveva rappresentare la disputa di Gesù Cristo coi dottori (siamo all’incirca nel 1866/67), diede l’incarico a Lorenzone di “formare i disegni per l’esecuzione delle statue attingendone il pensiero da un quadro del celebre Overbeck ‘ [esponente di spicco della corrente pittorica dei Nazareni] [9] ; sarebbe toccato poi a un artista romano modellarle.

Il progetto non poté realizzarsi per le lungaggini burocratiche e soprattutto per la morte prematura del principe, ma il fatto testimonia della stima che permaneva a casa Savoia nei confronti del pittore pancalierese. Tra l’altro Lorenzone disegnò il ritratto di Odone che figura nell’anteporta della biografia dello stesso scritta dal can.° Valerio Anzino, cappellano di sua Maestà.

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Lorenzone e il Risorgimento La morte di Santa Rosa, Lorenzone 1850

E’ un periodo, quello giovanile, in cui si può presumere Lorenzone assai attivo anche nel campo dei temi patriottici d’attualità, come dimostra l’opera su carta ad inchiostro , acquerello e biacca dal titolo ‘La morte del conte di Santa Rosa’, riferentesi ad un episodio di grande eco ed importanza nella Torino del 1850. La morte del pio ministro dell’Agricoltura, cui furono negati i sacramenti perché non aveva voluto ritrattare la sottoscrizione delle leggi Siccardi, scosse tutta la città. E’ un’opera di piccola taglia ma di grande importanza, poiché indica il positivo inserimento dell’artista nella corrente risorgimentale, non solo attraverso i rapporti professionali con la casa regnante protagonista di quella determinante fase della storia d’Italia, ma anche con l’inserimento tempestivo in un evento pubblico di alto rilievo emotivo, partecipato in modo eccezionale dalla popolazione. Qui Lorenzone dimostra di ‘sentire’ pienamente gli avvenimenti dell’epoca, e di saperli rappresentare con laico spirito risorgimentale, palesando una personalità ben diversa da chi lo vuole meramente un pittore confinato nell’hortus conclusus delle opere religiose. D’altronde l’attenzione verso i personaggi risorgimentali viene attestata dalla bella opera ad olio che ritrae Giuseppe Garibaldi con sullo sfondo, a lato, la ‘casa bianca’ di Caprera.

Sui più importanti di detti personaggi si esprimerà , sempre nella stessa epoca, con opere grafiche tradotte in litografie, per la casa editrice UTET. Da non dimenticare infine alcuni bozzetti di militari – riprodotti nel capitolo 7 - che farebbero pensare ad almeno un dipinto riproducente una battaglia delle guerre d’indipendenza. Da ricordare anche un lavoro dal titolo ‘Viva l’Italia’ di cui purtroppo non conosciamo l’immagine, ma dal significato molto chiaro.

Pubbliche Esposizioni della Società delle Belle Arti (’44-’59) e altre opere Ma indubbiamente – al di là delle opere succitate - la vetrina più prestigiosa, nella quale il giovane artista si mette in mostra fin da subito, è quella delle Pubbliche Esposizioni della Società Torinese delle Belle Arti, di cui parleremo nel prossimo specifico capitolo, bastandoci qui già ampi cenni.

Nel 1844 - ancora studente - partecipa per la prima volta alla mostra, non temendo di confrontarsi con pittori anche di buona fama.

Giulietta Colbert in Barolo ritratto di L.Bernero

L’anno successivo, il 1845, presenta un dipinto di committenza della marchesa Giulia Colbert in Barolo, relativo alla costruzione dell’Ospedaletto di santa Filomena da parte della grande mecenate. Il salotto di casa Barolo era un punto di incontro delle più alte personalità dell’epoca , come Cavour, Cesare Balbo, Cesare Saluzzo, ambasciatori, nunzi, principesse della casa regnante, oltre al segretario – bibliotecario Silvio Pellico: possiamo immaginare quindi quali importanti conoscenze poteva fare il giovane artista con la protezione della notissima benefattrice, attorno alla quale gravitò anche – per un certo tempo - don Bosco. Da non dimenticare, a tal proposito, il fatto che don Pietro Ponte, compaesano di Lorenzone e quasi coetaneo, ottenne dalla marchesa nel 1848 l’incarico di cappellano ed elemosiniere : una amicizia senz’altro utile per il pittore, su cui torneremo più estesamente in seguito.

6 La quotazione dei quadri del pancalierese è medio-alta: lo dimostra il prezzo de ‘L’ultima ora del Rinnegato tra le braccia di Egilda’ del 1846 . D’altronde il giovane pittore gode presto di una certa notorietà, se già nel 1847 Vittorio Angius, curatore per la Provincia di Pinerolo dell’importante ‘Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il re di Sardegna’ di G.Canalis, ritiene di annoverarlo tra le personalità di rilievo della zona , con specifico riferimento, oltre ai numerosi premi vinti da studente, al quadro del 1846 succitato: “Tommaso Lorenzone da Pancalieri nella provincia di Pinerolo riportò diversi premii di pittura come alunno della reale accademia Albertina. Nel 1846 presentò alla pubblica esposizione, che si fa in Torino per cura della società promotrice, un quadro che fa fede del progresso in cui sono gli studi artistici nella predetta reale accademia”. [10] Nello stesso 1847 Luigi Rocca, segretario della Società Promotrice delle Belle Arti, riserva un’ottima recensione a ‘La Madonna del Rosario con San Francesco di Sales e la Beata Margherita di Savoia’ .

Il biennio seguente rappresenta un periodo fondamentale per la storia del Piemonte e d’Italia. Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto firma lo Statuto , il 23 dello stesso mese pubblica un proclama per annunciare l’aiuto al Lombardo-Veneto in rivolta, il 25 l’esercito piemontese passa il Ticino dando inizio alla prima guerra d’indipendenza. Sappiamo come andarono le cose. In questi due anni intensissimi e drammatici il pittore non partecipò alle mostre della Promotrice.

Invece, iniziata l’era di Vittorio Emanuele II°, Lorenzone torna alle Pubbliche Esposizioni, e si cimenta con l’espressione romantica, fruendo di riferimenti letterari come in ‘Rinaldo e Armida nell’isola incantata’(1850) oppure sfruttando temi tradizionali come‘Una figlia alla tomba della madre’(1851).

Con una certa sorpresa registriamo, nel 1851, la partecipazione del pittore alla importante Esposizione Generale delle Belle Arti di Bruxelles, che si tenne dal 16 agosto al 31 ottobre, con il quadro ‘Rinaldo e Armida nell’isola incantata’del 1850. E’ vero che il dipinto era stato venduto - e quindi l’iscrizione all’Esposizione era dovuta al proprietario del quadro - ma è altrettanto vero che , per un preciso articolo di regolamento, era necessaria l’autorizzazione scritta dell’autore. Dunque Lorenzone, seppure indirettamente, partecipa alla grande mostra triennale che quell’anno vede la presenza di ben 773 artisti - per un totale di 1479 opere - provenienti da Belgio, Francia, Olanda, Germania, Italia, Baviera, Svizzera, Spagna. Gli italiani sono 24. L’opera del pittore pancalierese supera l’esame del giurì d’ammissione, ma non riceve una buona critica [11]. E’ notevole comunque che la sua partecipazione sia segnalata non soltanto dalla rivista ufficiale della mostra, ma che venga citata anche da altra rivista [12].

Nel 1853 la partecipazione di Lorenzone alla Pubblica Esposizione della Promotrice di Torino è massiccia, con ben 11 opere di cui 10 ritratti, tra i quali spicca quello delle ‘LL.AA.RR. il Principe Ereditario [Umberto] ed il Principe Amedeo Duca d’Aosta’ (figli di Vittorio Emanuele II° e di Maria Adelaide), quest’ultimo a riprova del suo legame con i Savoia , e tutti e dieci a testimonianza della stima di cui godeva come ritrattista nella società torinese. L’undicesima opera, il dipinto di soggetto religioso ‘La Madonna col putto, Santa Teresa, San Marcello e San Bartolomeo’ , pur segnalata in un contesto assai critico sulla pittura piemontese ed in particolare quella religiosa, viene citata da un annuario francese - pubblicazione non specializzata per l’arte ma di carattere generale - dell’anno successivo, insieme ad altri soli tre quadri di soggetto sacro, segno che era un autore già degno di considerazione anche in Francia. [13] La Madonna col putto,ecc. Lorenzone 1853

Tra l’altro uno dei pochi dati della vita del pittore risale proprio al 1853, anno in cui risulta residente in Torino, via Sottoripa n.1 , l’attuale via Provana , che parte dai giardini Cavour ; la via traeva il nome dalla sua giacitura, sotto uno dei rialzi di terra che costituivano i bastioni, poi mutati in giardini. Essa

7 era stata aperta meno di vent’anni prima, nel 1835: si trattava quindi di una buona sistemazione, di recente costruzione e abbastanza centrale.

Il pancalierese all’epoca è chiamato a lavorare anche in provincia, tant’è che nel 1855 realizza una bella ancona , di grandi dimensioni per la parrocchiale di Piobesi Torinese,‘La Vergine col Bambino, S.Giovanni Battista, e con i santi Antonio Abate, Rocco e Sebastiano’.

Nel 1857 presenta una pala d’altare, ‘Sacra Famiglia con s.Anna,s.Gioachino, s.Giacomo’,dipinta per la cappella della tenuta ‘Il Groppo’, non lontano da Saluzzo, proprietà di un suo compaesano, e ciò fa pensare che quella sia stata una buona occasione per una rimpatriata, transitando dal paese natale.

Fatta salva la costante della committenza di soggetto religioso, questo è un periodo in cui il pittore cerca di diversificare la sua produzione , rivolgendo le sue attenzioni anche ai soggetti letterari o storico-letterari, come ‘Armida si innamora di Rinaldo’, ‘Lamberto si scopre a Lisa’, ‘Le ultime ore di Ferruccio’, quest’ultimo elogiato ancora dall’avv. Luigi Rocca, Direttore Segretario della Società Promotrice e critico.

Il 1859 è l’anno decisivo per il Risorgimento : il 26 Aprile inizia la seconda guerra d’indipendenza che si conclude vittoriosamente a Solferino e San Martino il 24 Giugno. Proprio il 1859 vede il pittore concludere le sue partecipazioni alle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice con ‘L’aura del mattino’, un’opera , dal titolo, di paesaggio: le scene di genere, i paesaggi e le vedute sono ormai in percentuale le opere più presenti in mostra e tra gli acquisti, e l’artista pare volersi adeguare alla tendenza del mercato. Dalla partecipazione di Lorenzone alle Esposizioni della Società Promotrice rileviamo che , su 25 opere presentate in nove rassegne , ben 21 erano già allogate, prova dell’ottima clientela che possedeva il giovane artista : partiamo da personaggi della borghesia per andare alla nobiltà e giungere fino alla casa reale. Oltre ai tre disegni forniti a Carlo Alberto nel 1842, ai ritratti di Madama Cristina e del figlio per le acqueforti del volume del Litta sui Savoia, al ritratto dei due principi Umberto e Amedeo del 1853, l’artista eseguì altri 3 ritratti dei Savoia , oggi nel castello di Racconigi ; oltre ad altri ancora, di grafica. Note sono anche alcune opere di devozione privata, una presente a Superga e altre due a di Racconigi - forse tutte e tre provenienti da Palazzo Reale di Torino - ad ennesima riprova dei rapporti con la casa regnante, avvalorando la tradizione che egli sia stato pittore di corte ai tempi di Maria Adelaide [14], fatto asserito anche in un almanacco del 1903 [15].

Dal ’59 al ’64: ritratti , opere grafiche, pale d’arte sacra Oltre alla partecipazione alla Pubblica Esposizione della Promotrice, l’attività di Lorenzone nello stesso 1859 dev’essere stata intensa. Intanto continua ad essere un ritrattista ricercato, come attesta il bel ritratto a tempera della Contessa Laura Govone Vicino ; anche il ritratto a tempera dell’Ufficiale potrebbe essere datato lo stesso anno (forse un giovane militare che si fa ritrarre prima della partenza per la guerra). Alcuni bozzetti a matita che ritraggono dei militari fanno pensare – come già detto - anche a opere di soggetto bellico dell’epoca.

Laura Govone Vicino Lorenzone 1859

8 Apoteosi di s.Francesco da Paola - Lorenzone 1859

Poi, nel campo delle opere religiose, ottiene in città una importante committenza direttamente dai parrocchiani, quella dell’‘Apoteosi di S.Francesco da Paola’ che, realizzata nello stesso 1859 ottenendo pubblici elogi sul giornale dei cattolici conservatori ‘L’Armonia’, andrà a sostituire l’anno successivo l’analoga opera del Dauphin, sull’altare maggiore della reale chiesa di S.Francesco da Paola in via Po. Proprio in questa via (all’attuale numero civico 31), all’epoca, il pittore ha il suo studio, con ingresso nella porticina accanto alla farmacia del Regio Ospedale di Carità, situata nel ‘palazzo degli Stemmi’ , estendentesi tra via Montebello e via Rossini .

In occasione dell’articolo succitato de ‘L’Armonia’, l’anonimo critico annota due aspetti fondamentali del carattere del pittore, che ne spiegano le scelte future: “il primo è una rara modestia, l’altro è l’essere totalmente alieno dalle brighe e dalle mene politiche: la qual cosa, nei tempi che corrono, è fatale per chi abbisogna del pubblico favore”. Il giornalista poi sottolinea l’importanza del sostegno alle belle arti della Chiesa: “Ed è qui appunto che il Lorenzone trova il miglior appoggio per dare libero sfogo al suo genio artistico”. [16].

Dopo il 1859 Lorenzone non si ripresenta più alle Pubbliche Esposizioni della Promotrice, nonostante la loro accresciuta importanza; ma intanto il pittore sta consolidando la stima raggiunta.

Infatti l’artista è richiesto anche fuori dal suo consueto ambito territoriale, come nella diocesi di Casale Monferrato: opere religiose del periodo sono la pala di ‘S.Biagio con S.Giuseppe ed il Bambino’ nel Duomo di Casale , probabilmente del 1861, e l’ancona col ‘Martirio di S.Lucia’ di Conzano (15 Km circa da Casale Monf.to) del 1862. Nello stesso anno, sempre in zona, ottiene dalla marchesa Maria Assunta Fassati la commessa di un quadro per l’altare della Madonna nella parrocchiale di Montemagno, in occasione della festa del S.Cuore di Maria dell’8 Settembre 1862 : l’opera al momento non è stata rintracciata . Il quadro fu benedetto da Don Bosco, che era amico dei marchesi Fassati [17] . Questa coppia di coniugi era molto religiosa : il marchese - Comandante delle Guardie del corpo di sua maestà - si prestò a fare il catechista nell’oratorio del Valdocco ; la moglie dama della regina Maria Adelaide - divenne presidente delle dame di S.Vincenzo de’ Paoli di Torino. Il marchese e la moglie furono tra i primi e grandi benefattori di don Bosco, che li frequentò non solo a Torino, ma anche a Montemagno, dove i marchesi avevano una villa.

Lorenzone prosegue nel frattempo l’attività come ritrattista, come dimostrano il ritratto di Garibaldi ed i bei ritratti del 1861 di Luigi Pomba, nuovo capo della casa editrice UTET, e della moglie Emilia.

Questa importante conoscenza spiega come il pittore non abbia ancora circoscritto la sua attività alle opere religiose; di rilievo sono infatti le sue realizzazioni nel campo grafico, in collaborazione con la UTET ed altre case editrici. Ricordiamo qui la partecipazione ai volumetti della serie ‘ I contemporanei Italiani’: si tratta delle biografie dei più eminenti personaggi dell’epoca, edite appunto dalla UTET , dove ogni opuscolo riporta nel frontespizio interno l’immagine litografica del protagonista. Le prime quattro opere, del 1860, sono dedicate alle personalità pubbliche più importanti del momento : i primi due trattano dei capi degli Stati che con la loro alleanza hanno concorso all’Unità d’Italia, e cioè Vittorio Emanuele II° e Napoleone III° ; il terzo e il quarto riguardano Giuseppe Garibaldi ed il Conte di Cavour: i quattro ritratti sono appunto opera di Lorenzone (incisi da Carelli); anche tutti quelli che seguono – in tutto i disegni sfiorano i settanta - sono opera sua.Ancora per la UTET nel 1861 l’artista collabora a diversi numeri della celebre rivista ‘Il Mondo Illustrato’ con disegni per xilografie; in tale contesto diverse opere sono ambientate in Campania (anche se un

9 disegno è tratto dichiaratamente da una fotografia) il che, aggiunto a un’altra opera – di epoca sconosciuta - anch’essa ambientata nella stessa regione , potrebbe far pensare ad un viaggio di Lorenzone in tale regione d’Italia. Prove non ne abbiamo, ma certo si trattava di un viaggio non inusuale per i pittori piemontesi.

Nel 1861 l’artista pancalierese partecipa con 4 disegni alle illustrazioni del romanzo ‘La strega di Monza’ di Giuseppe Bertoldi: i soggetti delle sue opere sono cavalieri rinascimentali.

Nel 1862 Lorenzone realizza il disegno per l’acquaforte dal titolo ‘I Deputati lombardi offrono nuovamente la corona ad Adalberto II° rifugiatosi in Corsica’, inserita in un libro illustrato sulla dinastia sabauda a cura di Luigi Cibrario, e probabilmente in tale epoca realizza anche i disegni per le acquaforti che ritraggono Adalberto II° e Odone. Sono opere agiografiche, che esaltano l’antichità e la vocazione storica al processo di unificazione d’Italia da parte dei Savoia. Così pure l’acquerello dal titolo ‘Viva l’Italia’- cui abbiamo già acennato -, potrebbe essere un’opera dei primi ’60 celebrativa dell’Unità d’Italia .Nel 1864 sorprendenti sono i suoi disegni per sette litografie del primo volume de ‘Le sirene più celebri di tutti i tempi’, opera che raccoglie biografie di donne famose nel bene e nel male: sante e concubine, madri e amanti, ecc. E’ un libro costituito da quattro volumi arricchiti da numerosissime illustrazioni, usciti nel 1864, ’66,’68,’70. L’artista si impegna qui, con buoni risultati, nel nudo femminile ; notevole il fatto che, nonostante la partecipazione all’opera di un pittore di fama come F. Gonin (il quale realizzerà la maggior parte delle illustrazioni dei 4 volumi) l’onore di realizzare il frontespizio del primo volume tocchi proprio a Lorenzone.

Particolare del frontespizio de ‘Le sirene più celebri di tutti i tempi’ Lorenzone 1864

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Maturità 1865- 1886 Lorenzone dopo il ‘64 diventa un pittore quasi esclusivamente d’arte sacra .

Come mai il pittore pancalierese, che dimostra di godere di così buona considerazione, non parteciperà più ai volumi de ‘Le sirene più celebri di tutti i tempi’ che seguirono il primo?

Il 1865 fu l’anno cruciale per Lorenzone, uno spartiacque nella sua attività artistica. Del 1865 è infatti l’importantissima committenza di Don Bosco per l’ancona di Maria Ausiliatrice, che segnerà una tappa fondamentale nella vita del pancalierese. Da tale data troveremo il pittore come autore quasi esclusivo di arte sacra: perché?

Possiamo tentare di anticipare una risposta sintetica di carattere generale.

Il Piemonte aveva assunto un ruolo egemone in Italia, guidandone l’unificazione, ed entrando quindi in contrasto con la Chiesa, la quale a sua volta - come testimonia l’enciclica Sillabo - avversava il nuovo Stato unitario. Questo rapporto conflittuale ha conseguenze anche “‘sul piano della produzione artistica, spaccando quell'unità fra committenza ecclesiastica e committenza governativa che aveva caratterizzato l'Italia preunitaria. Il mondo degli 'artisti per la Chiesa' si andrà separando sempre di più sia da quello degli artisti ufficiali governativi che da quello dei colleghi legati al circuito intellettuale e mercantile”[18].

Pontremoli .:vittorioso assalto a s.Martino

Passando su un terreno più analitico, osserviamo che i due anni che vanno dal 29 Aprile 1859 al 18 Marzo 1861 (Inizio della 2° guerra d’Indipendenza - Proclamazione del Regno d’Italia) rappresentano un biennio di grandissima intensità per la storia d’Italia e del Piemonte. E’ quindi logico che gli eventi di quegli anni siano molto rappresentati dagli artisti, sia in contemporanea, che nel periodo successivo . Abbiamo dunque i reportages di guerra : il momento doloroso del distacco, i combattimenti, la nostalgia di casa e della famiglia, le rappresentazioni dell’epopea Garibaldina e le opere di propaganda. Proprio alla Promotrice del 1861, all’ingresso, sullo scalone dell’Accademia, è posta la grande tela ‘Presa del villaggio di Palestro’ (autore Raffaele Pontremoli; proprietà di V.Em.II°). Negli anni seguenti la testimonianza diretta verrà affiancata e poi sostituita da una pittura di celebrazione retorica, con intento divulgativo e didattico, destinata alle istituzioni pubbliche. Ora quei soggetti, battaglie, sangue, sentimenti forti, non rientravano molto nelle corde del nostro, (anche se alcuni bozzetti farebbero pensare a sue ‘incursioni’ nel campo) né lui possedeva forse un linguaggio pittorico adeguato al dinamismo delle scene e alla forza delle espressioni, e questa può essere una ragione del suo limitarsi al campo religioso. Occorre però dire che, per quanto critici e responsabili delle istituzioni si appellassero agli artisti affinché facessero della ‘grande arte’, e nonostante l’Unità d’Italia, la tematica patriottica - storica - morale stava affrontando la parabola discendente, sostenuta economicamente soprattutto da monarchia ed enti pubblici. Tra la gente comune invece si affermavano tematiche meno impegnate : un alto gradimento, con notevole successo di vendite, riscontravano i quadri di genere, cioè i brani di vita contemporanea , domestica , cronachistica, sentimentale, umoristica . Contemporaneamente si stava affermando la grande corrente del paesaggismo piemontese, con Antonio Fontanesi , Camino, Avondo, i rivariani , i genovesi, ed altri ancora.

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Giuseppe Camino: paesaggio montano

Il grande successo convincerà tanti, che in passato avevano fatto della pittura di figura il loro cavallo di battaglia, a ripiegare sui nuovi generi.

Ora, se si può ipotizzare che anche nel tratto di vita borghese, la ‘tranche de vie’, Lorenzone si sentisse impacciato (comunque alcuni suoi bozzetti suggeriscono l’ipotesi che l’artista , affrontando il mercato, abbia fatto qualche incursione – magari isolata - anche nelle tematiche sopra indicate, cioè le scene di vita famigliare, folklore orientaleggiante , pur non congeniali al suo spirito e alla sua tecnica), meno spiegabile appare invece la sua renitenza nei confronti della pittura di veduta, motivo sul quale si doveva essere bene espresso nel 1859, se il suo ‘L’aura del mattino’ era stato acquistato dalla Società Promotrice stessa. Non era certo la tecnica che gli faceva difetto in materia, vedi gli inserti paesaggistici in diverse tele d’arte sacra , oppure la capacità di sapersi adeguare alle nuove esperienze , come attesterà in seguito la bella veduta di montagne sullo sfondo di ‘Nostra Signora de la Salette’(1882) . Dunque, nel dibattito acceso da tempo tra i sostenitori della ‘grande arte’ - quella dei temi storico-romantici- risorgimentali - e quelli della moderna pittura di paesaggio e di genere, il nostro si rifugia nel genere sacro, probabilmente per la consapevolezza di non riuscire ad interpretare adeguatamente le nuove tendenze, in relazione anche al mercato .

Ma c’è anche una importantissima causa di carattere politico-economico, ad influire sulle scelte del pittore : essa consiste nello spostamento della capitale a Firenze, all’inizio del 1865. L’evento ebbe delle ripercussioni pesantemente negative sulla pittura a Torino, con un netto calo del mercato dell’arte ‘profana’, che essendo legata all’ambiente intellettuale in cui si calava e rapportava, tendeva a spostarsi nel nuovo centro di potere.

Si spostarono a Firenze in breve tempo le principali istituzioni del regno, ossia la Corte Reale, Camera e Senato, i Ministeri e gli uffici pubblici, le rappresentanze diplomatiche dei vari stati asteri.

Si allontanarono quindi da Torino molti rappresentanti dei ceti che avevano fatto la fortuna dei pittori, e cioè i reali e gli aristocratici a loro più direttamente legati, i politici, gli intellettuali, gli alti burocrati, i professionisti.

Il forte calo delle commesse dei privati costrinse gli artisti meno pronti a navigare in mare aperto a rifugiarsi nel sicuro approdo della commessa di carattere religioso, dato che al gran sviluppo industriale di Torino - che così rimediava alla perdita della capitale - si accompagnarono un forte aumento della popolazione e la costruzione di nuove chiese per venire incontro ai bisogni sociali, di conforto, assistenza e istruzione delle masse popolari.

Non dimentichiamo che artisti di maggior bravura e notorietà potevano far affidamento su beni famigliari , altri si appoggiavano ai valori economici e promozionali di cattedre dell’Accademia.

Insomma, la vita per un pittore professionista non era poi così facile. Rileva infatti molto opportunamente G.L.Marini: “E’ bene puntualizzare che ogni artista ha sempre dovuto confrontarsi con l’aspetto mercantile della propria attività, cioè occuparsi della vendibilità della produzione che, per risultare appetibile, e largamente, doveva inserirsi in un giusto sistema di aspirazioni estetiche ben precise e variabili nel tempo. La figura dell’artista…eroicamente insensibile alle esigenze di pane e companatico, salvo poche eccezioni patologiche, è sovente un’invenzione letteraria” [19] Dunque Lorenzone, gli piacesse o no, nel 1865 compì la sua scelta quasi obbligata. Non sono comunque estranei, nelle sue decisioni, gli aspetti caratteriali già sottolineati qualche anno prima dall’anonimo critico de ‘L’Armonia’ , e cioè quello della modestia di un carattere schivo , appartato

12 rispetto alle mene politiche “ per andare a versi di chi dispensa le corone e le grazie, ed incensare gli idoli del giorno: la qual cosa, non fu, non è e non sarà mai conveniente per lavori che traggono vantaggi da favorevoli ed opportunistiche relazioni sociali” . Conclude l’estensore dell’articolo comparso nel giornale dei cattolici conservatori dell’epoca: “..i più insigni capolavori artistici furono ordinati, od almeno ispirati dalla religione cattolica”[16].

Ed è appunto il campo in cui l’artista, fin da giovane, esprimeva la maggiore vocazione.

Lorenzone e Don Bosco: Maria Ausiliatrice Come si conobbero Lorenzone e don Bosco? In mancanza di informazioni dirette si può fare un’ipotesi : la probabile liason tra Lorenzone e don Bosco fu Don Pietro Ponte (Pancalieri 1821-Torino 1892), compaesano del pittore, amante dell’arte e ancor più della musica, personalità di certo rilievo nella Torino dell’epoca, che ebbe modo di presentare il pittore alle sue importanti conoscenze.

Don Pietro Ponte Studiò nel convitto s.Francesco d’Assisi a Torino, dove risiedette dal 1842 al 1846 (ordinato sacerdote nel 1844): qui conobbe don Bosco che vi aveva iniziato la sua attività pastorale nel dicembre del 1841. Si occupò dell’assistenza ai ragazzi immigrati ,tra cui gli spazzacamini, sotto la direzione di don Cafasso, e alla morte di questi lo sostituì nell’assistenza religiosa ai carcerati. Fu uno dei primi aiutanti di don Bosco per fare il catechismo nel primo oratorio di don Bosco ,la ‘tettoia Pinardi’. Don Bosco nel 1844 fu nominato dalla Marchesa Giulia di Barolo cappellano dell’Ospedaletto di s.Filomena , allora in costruzione (incarico che non tenne a lungo); a sua volta don Ponte fu nominato nel 1848 cappellano ed elemosiniere della Marchesa di Barolo, presso la quale ebbe modo di stringere amicizia con Silvio Pellico.

Don Bosco nel 1849 fu con don Ponte a Pancalieri, ospite della famiglia dell’amico e i due ritornarono insieme a Torino a piedi. Don Ponte continuò a collaborare con don Bosco negli oratori e in particolare diresse quello di s.Luigi dal 1849, ma nel 1852 se ne andò per divergenze di vedute e per spirito di indipendenza; in seguito diresse l’oratorio di s.Martino dal 1852 al 1866 , anno in cui prese a occuparsi della San Vincenzo.

Il sacerdote pancalierese ispirò la pubblicazione dal 1876 del bollettino mensile ‘La voce dell’operaio’ , che divenne praticamente la voce di tutte le società operaie del Piemonte.Dal 1877 fu direttore dell’Istituto delle suore di s.Anna

(fondate dai Marchesi di Barolo) e rettore della annessa chiesa. Morì a Torino il 20 ottobre 1892.

In tale contesto relazionale quindi , grazie a Don Ponte, Lorenzone poté conoscere Don Bosco e la Marchesa di Barolo, prima del 1845. Infatti Lorenzone - come abbiamo visto - su incarico della stessa Giulia di Barolo realizzò il quadro ‘Un voto alla Madonna’ appunto per l’Ospedaletto di s.Filomena, dipinto che fu esposto alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti che iniziò il 5 Maggio del 1845.

Dunque l’artista e il santo si conobbero in età giovanile, e Don Bosco poté seguire passo passo l’opera di Lorenzone nel campo della pittura sacra.

Abbiamo già visto che il pancalierese ebbe nel 1862 la commessa di un quadro per la parrocchiale di Montemagno dalla marchesa Fassati e che l’opera venne benedetta da Don Bosco: il grande religioso era amico dei marchesi Fassati, e aveva certo fatto da trait d’union tra i nobili e l’artista.

Come mai il santo nel 1865 scelse proprio Lorenzone per un’opera così importante come l’ancona dell’altare principale di Maria Ausiliatrice ?

Anche qui non abbiamo notizie, possiamo solo ipotizzare che giocarono in favore del pittore la conoscenza di lunga data e la sua affinità espressiva con i gusti di Don Bosco, volti di preferenza verso lo stile “eclettico, orientato tra Rinascimento e Controriforma”[20] .

Valdocco , Don Bosco- ritratto di Paolo Gaidano

13 MariaAusiliatrice- Lorenzone 1868

Notizie dirette sul rapporto tra il pittore e il santo le abbiamo proprio per il 1865: Lorenzone è impegnato in una simpatica discussione con Don Bosco a proposito della commessa del quadro di ‘Maria Ausiliatrice’. Don Bosco esprime il suo pensiero, descrivendo la pala come l’avesse già davanti agli occhi : in alto la Madonna con gli angeli; vicino a lei una miriade di apostoli, martiri, profeti, vergini, confessori ; in terra gli emblemi delle grande vittorie di Maria e i vari popoli del mondo. Lorenzone lo ascolta senza trar fiato e poi muove le sue obiezioni, notando che ci sarebbe voluta piazza Castello per dipingere tal quadro, dimostrando il suo assunto misure alla mano, con le regole della proporzione. E comunque anche ridimensionato, il quadro era di dimensioni tali che per poterlo realizzare il pittore dovette affittare un altissimo salone di palazzo Madama! Il lavoro durò tre anni (anche se in quel lasso di tempo il pittore non si dedicò esclusivamente ad esso, come dimostra il bel Sacro Cuore di Gesù del 1867 a Costigliole d’Asti) e coinvolse emotivamente l’artista con grande intensità. Allorquando il quadro fu portato in chiesa e sollevato al suo posto, Lorenzone cadde in ginocchio prorompendo in un pianto dirotto [21 vol VIII].

E’ d’obbligo qui riportare anche una coda negativa di quella grande opera : il racconto è però da prendersi con le molle, perché fece parte di una serie di rilievi critici che molto tempo dopo - già nel secolo XX°- un ostinato avversario della beatificazione di Don Bosco , il canonico Emanuele Colomiatti, inviò in Vaticano. La storia sarebbe questa: al momento del pagamento della pala di Maria Ausiliatrice, Don Bosco aveva detto al pittore di disporre della sola metà della cifra concordata per l’opera. Il Lorenzone ovviamente se l’era presa (ed è naturale pensando che l’importo doveva essere rilevante in quanto il quadro aveva richiesto tre anni di lavoro) ed era stato poi rabbonito con la promessa di altre committenze. Cosa che infatti avvenne con il quadro di s.Giuseppe nello stesso santuario di M.Ausiliatrice.

Occorre dire che la disponibilità finanziaria di Don Bosco derivava solo dalle offerte , in particolare nell’occasione dei due dipinti di M.Ausiliatrice dall’intervento di certe benefattrici, la signora Gilardi per il quadro di Maria Ausiliatrice e la marchesa Fassati per quello di s.Giuseppe. Ad ogni modo Don Albera (2° successore di don Bosco) così ebbe a commentare in seguito la vicenda : “Credo che il Lorenzone si sia lamentato anche troppo. I fornitori di Don Bosco solevano dire: ci fa aspettare, ma ci paga completamente” [22]. Tornando a cose positive, sottolineiamo che la notorietà del pittore deriva proprio dalla grande pala di Maria Ausiliatrice, inaugurata insieme con la chiesa nel 1868: l’icona della Madonna col Bambino è diffusa in tutto il mondo grazie alla presenza delle case salesiane, della cui spiritualità è il simbolo. Il grande dipinto ottenne l’approvazione del popolino e del mondo religioso, più che quella dei critici. Ci fu chi gli dedicò persino una poesia, come il seguente EPIGRAMMA [23] La Vergin che pingesti Gloriosa degli Apostoli nel coro Assisa tra i celesti E’ cosa sì divina, Che quasi al vero il mio pensier s’inchina.

Sì, Lorenzon, facesti Mirabile lavoro Sopra il valore dell’argento ed oro.

Se già poteva tanto Il tuo mortal pennello Destar ne’ petti sovrumano incanto Oh qual fia mai, qual fia, Spettacol santo e bello Allora quando, come forte anelo, Il suo Figliol ci dia Di Lei svelata contemplare in cielo?

14 Pio IX, Lorenzone 1870

Si deve probabilmente a questa fama popolare, ma soprattutto all’appoggio di Don Bosco, l’incarico di eseguire il ritratto di Pio IX a ridosso del 20 Settembre 1870. Per il momento purtroppo - anche qui non si è rinvenuto alcun documento relativo al viaggio a Roma, né alla committenza, ma il dipinto che si trova al Museo Pio IX a Senigallia , e il guazzetto conservato a Palazzo Chigi di Ariccia (copia monocolore in formato ridotto, forse un bozzetto), esprimono nello sguardo e nell’atteggiamento del pontefice il dolore per l’accaduto, l’abbattimento, il sentimento di prigionia. Sono opere cioè che sanno di reportage, di immediato, quasi un’istantanea, ben difficile da immaginare a casa propria , puranco per un pittore così bravo nel dipingere fisionomie senza una conoscenza diretta, basandosi su fotografie o precedenti ritratti . Ricordiamo qui altri due ritratti di Pio IX del Lorenzone: uno è un dipinto di attribuzione, l’altro una litografia del 1861.

Reso noto e famoso dall’ancona di M. Ausiliatrice, Lorenzone riceverà parecchie committenze, dipingendo un notevole numero di pale d’altare per chiese di congregazioni, a testimonianza di quanto fosse apprezzato negli ambienti religiosi, e fino al termine della vita un’infinità di S.Cuori di Gesù e di Maria. Alcuni esemplari di tali opere devozionali del dopo Maria Ausiliatrice, risalenti al periodo in cui stava dipingendo il S.Giuseppe per Maria Ausiliatrice , Lorenzone li eseguì proprio per chiese del suo territorio d’origine.

Nel 1871 il pittore realizza per la parrocchia di S.Giovanni Battista a Casalgrasso (CN), paese di là dal Po a tre Km da Pancalieri, il SS.Cuore di Maria , benedetto il 4 Febbraio 1871 e nello stesso anno il S.Cuore di Gesù. Purtroppo di tali due opere, nonostante approfondite ricerche, non si è trovata traccia: ad esse si accenna in una storia di Casalgrasso, scritta dal parroco dell’epoca G.B.Cerva , conoscente di Don Bosco, che fu anche molto probabilmente il committente. [24] L’anno successivo , il 1872, vede Lorenzone impegnato proprio per il paese natale. Dipinge infatti, su incarico del parroco di Pancalieri don Camerlo [24 bis] un quadro del Sacro Cuore di Gesù dal costo di Lire 187,80 pagato grazie alle offerte di parecchie personalità civili e religiose del posto. Il dipinto venne esposto in occasione della consacrazione della Parrocchia di Pancalieri al Sacro Cuore di Gesù il 17 Gennaio 1873, al termine di esercizi spirituali predicati dall’abate Chaney, dall’abate Michelotti e da Don Ponte [24 ter]. Anche quest’opera non è stata ritrovata.

Tornando al fruttuoso rapporto tra Lorenzone e Don Bosco, rileviamo che il successo popolare dell’ancona di Maria Ausiliatrice viene replicato con la seconda commissione da parte di Don Bosco per la stessa chiesa. Il ‘S.Giuseppe con la Madonna e il Bambino’, anch’essa opera di notevoli dimensioni, terminata nel 1873 ed inaugurata l’anno seguente, il 26 Aprile festa del patrocinio di s.Giuseppe, ottiene un nuovo grande successo popolare [21 vol IX]. La folla in chiesa tratteneva il fiato nell’attesa di vedere se l’opera, coperta da un telo, era bella quanto si andava dicendo. Quando il quadro venne scoperto, in un sommesso bisbiglio si accavallarono gli elogi al s.Giuseppe, al Bambino, al cesto delle rose,ecc. Dovette intervenire un suono di campanello per ristabilire il silenzio ed iniziare la funzione religiosa.

L’Unità cattolica del 7 maggio scrisse : “ Il quadro è nuovo lavoro del signor Lorenzone, la cui valentia, massime in opere di soggetto religioso, non abbisogna delle nostre parole per essere conosciuta”.

S.Giuseppe con la Madonna e il Bambino Lorenzone 1874

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Opere d’arte sacra successive Il beato Valfré all’assedio di Torino Lorenzone 1874

Nel 1874 il pancalierese realizza ancora un quadro di grandi dimensioni, uno dei suoi capolavori: ‘Il beato Valfrè all’assedio di Torino’ per la chiesa di S.Filippo in Torino. Il 1876 vede l’artista realizzare la pala della ‘Trinità’ per la casa madre delle suore di s.Anna della Provvidenza in via della Consolata a Torino , su committenza della superiora suor Enrichetta Dominici .

Anche in provincia come già visto il pittore è apprezzato, tant’è che nel 1877 esegue la tela della ‘Tentazione di s.Tommaso’ per la chiesa dei Domenicani a Chieri e nello stesso anno una ‘Sacra Famiglia’ per la congregazione delle suore ‘Figlie di s.Giuseppe’ di Rivalba (To).

Nello stesso periodo è al lavoro nuovamente per la congregazione delle suore di s.Anna, con la pala per l’altare della chiesa dell’Istituto in via Massena a Torino, che rappresenta ‘L’educazione della Vergine’, in coerenza con le finalità dell’Istituto, opera che replica con diverse varianti per un’altra casa delle suore di s.Anna, in Toscana.

Nel 1882 Lorenzone dipinge per la chiesa salesiana di s.Secondo in Torino ‘Nostra Signora di La Salette’, tela singolare per il bel paesaggio che sta alle spalle della Madonna.

Nel 1885 esegue ‘Nostra Signora del Suffragio con s.Francesco d’Assisi e s.Chiara’ , per la chiesa di Nostra Signora del Suffragio annessa al monastero delle Clarisse Cappuccine, a Torino in corso Casale. L’artista fece attendere per parecchio tempo le religiose, a quanto pare per ragioni di salute: “Dovendo eseguire questo quadro il rinomato pittore Lorenzone ed essendo egli quasi sempre ammalato, si dovette aspettare undici mesi prima di averlo” [25]. Purtroppo tale opera fu gravemente danneggiata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale nel 1943 e venne improvvidamente buttata via. Per la stessa chiesa esegue anche un’opera di ritocco ad una tavola dall’altare laterale destro dedicato a S.Giuseppe, oltre a realizzare un S.Cuore di Gesù [26] .

L’artista continua ad essere molto stimato dalle istituzioni ecclesiastiche, tant’è che in occasione di un congresso internazionale sulle opere religiose del 1885, l’arcivescovo di Cagliari raccomanda le stampe del Sacro Cuore eseguite su disegno di “due pii pittori di Torino, Lorenzone e Reffo” [27] . Le sue incisioni saranno di ispirazione per i pittori religiosi popolari anche dopo la sua morte, come dimostra ad esempio un affresco all’esterno di un’abitazione a Maggiate (No), rappresentante s.Giuseppe che tiene in braccio Gesù Bambino, dipinto nel 1903 da Leopoldo Rinaldi di Armeno, che si ispira ad un’immaginetta della stamperia De Maria di Torino, inserita nel catalogo 1870 e basata su un’incisione del Lorenzone [28].

Nostra Signora De La Salette Lorenzone 1882

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Vecchiaia e Morte Transito di Giuseppe - Lorenzone 1893

Già in tarda età vediamo il pancalierese ancora al lavoro con pale di notevoli dimensioni, come le tre per la chiesa degli Oblati di Maria Vergine in Pinerolo del 1887 e anni seguenti .

Segue quel capolavoro di stampo veristico che è il ‘Transito di s.Giuseppe’ in S.Francesco da Paola a Torino, del 1893 .

Nel 1894 esegue la pala del Sacro Cuore per l’altare della chiesa del convento dei Capuccini di Busca (CN).

Realizza nel 1895 la grande tela della Consolata nella parrocchiale di Giaveno : quest’opera si merita un articolo pieno di elogi su ‘La Stampa’. Il critico anonimo ne definisce subito il carattere: “artista torinese modestissimo, che vive fuori del campo artistico” cioè fuori della ribalta, “ma altrettanto valente nel dipingere pale e quadri di soggetto sacro”.[29] Lorenzone svolge poi nel 1897 l’abbozzo del grande quadro del ‘Miracolo del Monte’, per la chiesa del Monte dei Cappuccini in Torino: opera per lui singolare, perché rappresenta una scena di massa, la cui dipintura fu realizzata dalla pittrice Amalia Grosso.

Intanto le sue opere pittoriche sono oggetto di riproduzione anche in altra forma: il 4 luglio 1897 viene inaugurata la nuova facciata della chiesa di S.Gaetano a Genova Sampierdarena, sede di parrocchia salesiana; su di essa sono posizionati due bassorilievi in stucco dello scultore genovese Angelo Marcenaro, Maria Ausiliatrice e Gesù tra i fanciulli (“sinite parvulos...”), di cui il primo è una rivisitazione dell’omonimo quadro del Lorenzone [30]. La chiesa fu distrutta nella seconda guerra mondiale da un bombardamento aereo, e non conosciamo localizzazione e autore del dipinto che ispirò la seconda opera: potrebbe essere anche questo del Lorenzone.

Il ‘Cristo con la Beata Caterina da Racconigi e santi’ del 1898, ancora nella parrocchiale di Giaveno, costituisce il canto del cigno dell’anziano artista, che ritrova sorprendentemente un grande smalto coloristico, di piena emozione.

Nello stesso anno, in occasione di un congresso eucaristico tenutosi a Torino dal 4 all’8 settembre nella chiesa del S.Cuore di Maria, appena terminata ma non ancora aperta al culto, fu inaugurato ‘il bellissimo quadro del Lorenzoni (sic!) di Pancalieri, raffigurante il Sacro Cuore di Maria [immagine a lato], che sovrasta all’impalcato, dove sedevano i vescovi’[31]. Il grande ovale era esposto sopra il palco dei vescovi (qui nella foto è seminascosto da un panno).

Dunque tutta una successione di opere importanti, cui alterna la realizzazione di una serie di lavori devozionali e ritratti di religiosi : di forte intensità il disegno per litografia di San Giuseppe Cottolengo (1892) .

L’ultimo anno di attività (1899) infine , vede il pittore impegnato in una stanca replica di s.Giuseppe con la Madonna e il Bambino per la parrocchiale di S.Paolo Solbrito. Con essa Lorenzone chiude una lunga e dignitosa attività artistica, che lo ha visto operare per oltre 55 anni , quasi esclusivamente per il Piemonte, al di là di quanto da taluno affermato: c’è infatti chi lo vorrebbe attivo nelle regioni contigue al Piemonte [32], chi infine afferma decisamente che Lorenzone fu ‘autore di centinaia di quadri religiosi sparsi in tutto il mondo’ [15] . Di tutto ciò non si ha riscontro, per quanto ci sia chi

17 riporta l’informazione che ‘in Francia era chiamato il pittore angelico’[33], a corroborare il fatto che in terra transalpina godesse di notorietà. Assolutamente non provata poi, allo stato delle attuali conoscenze, l’affermazione che sia stato frescante [14].

Il 28 Aprile 1900 il pittore si ritira all’Ospedale Cottolengo di Torino, dove viene inserito nella ‘famiglia’ di S. Antonio di Padova [34], secondo l’ usuale sistemazione. Si trattava di gruppi, intitolati ciascuno ad un santo, formati da qualche decina di persone, che dormivano in una camerata comune ed erano accuditi da alcune suore.

Possiamo immaginare come l’anziano artista abbia trascorso gli ultimi due anni di vita, discorrendo coi compagni di ricordi e rimpianti . Si racconta che Lorenzone, a distanza di tanto tempo, continuasse ad angustiarsi per il dimezzato importo di pagamento della pala di Maria Ausiliatrice. La ferita gli doleva ancora: infatti ‘usò ripetere sospirando che da Don Bosco non si sarebbe aspettato un trattamento del genere’[22]. L’informazione è però da prendersi con le molle , poiché proviene ancora dal canonico Colomiatti. Costui certo conosceva Lorenzone: fu proprio il religioso a donare ai Cappuccini il grande quadro del ‘Miracolo del Monte’ disegnato dal pancalierese, ma fu anche colui che cercò di ostacolare la beatificazione di don Bosco. Comunque, anche se fosse vero il racconto, esso sarebbe da annoverarsi tra le normali recriminazioni e sfoghi dell’età anziana, e non andrebbe ad inficiare il positivo rapporto che ci fu tra l’artista e il santo.

Il 6 Giugno 1902 T. A. Lorenzone muore all’età di 78 anni, celibe, nella casa di riposo. La Stampa ne dà semplice notizia il giorno 8, elencandolo tra i morti del 7, sbagliando di un giorno e sbagliando pure di un anno l’età: ‘Lorenzone Tommaso di anni 77, di Pancalieri, pittore’.

L’errore de La Stampa è lieve; ben più netti altri, che indicano come anno di morte chi il 1876, chi il 1901, chi il 1906. La datazione esatta , riportata nell’Archivio Storico del Comune di Torino, Atti di morte, 1902, è stata ribadita nel 1993 dalla direttrice di tale Archivio dott.sa Rosanna Roccia [35].

Neanche nell’ambiente salesiano si fa una minima menzione della morte di Lorenzone, come rilevato anche da Laura Borello nella sua opera su Maria Ausiliatrice: “Stranamente non è ricordata la sua morte sul Bollettino Salesiano”[36]. Insomma, Lorenzone muore dimenticato da tutti. Solo l’anno seguente qualcuno dà segno di accorgersi della morte dell’artista: nell’Almanacco Italiano del 1903 [15] compare infatti il suo necrologio - in mezzo a centinaia d’altri – costituito da quattro brevi righe, al termine delle quali viene indicato, come luogo della morte, Parigi!

Questo l’excursus artistico di Lorenzone, con pochissime conoscenze sulla sua vita, che rimane praticamente ancora quasi tutta da scoprire.

Chiudiamo con due immagini di Torino, la città in cui visse Lorenzone: una è l’ingresso , in via Po n.31, del suo studio in un dato periodo della sua vita. L’altra è quella del palazzo dove abitò, nell’attuale via Provana n.1.

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Bibliografia Cap.1 [1] Thellung Caterina - Due chiese e tre pittori: Don Bosco e l’arte figurativa a Torino in ‘Torino e Don Bosco’ Vol II p.345-359 - Archivio Storico della Città di Torino,1988.

Il documento citato dalla Thellung è un dattiloscritto su carta intestata dell'Accademia Albertina di Torino con alcuni dati relativi al pittore Tommaso Lorenzone, firmato da E. Rubino e datato 18 aprile 1934, inviato a Monsignor Lino Cassani R. Ispettore delle Antichità di Novara (Archivio Salesiano Centrale, Fondo Don Bosco, Roma).

[2] Stella Antonio - Pittura e scultura in Piemonte 1842-1851 - B.Paravia e c., Torino 1893 [2 bis] Regolamenti della Reale Accademia di Belle Arti –Stamperia Reale , Torino 1825 [3] Atti della distribuzione dei premi fatta da S.A.R. Ferdinando Duca di Genova il giorno XXIII Aprile MDCCCXLII agli allievi della R. Accademia Albertina – Torino 1842, Stabilimento tipografico Fontana [4] Biblioteca Storica dell’Accademia Albertina, sigla d’archivio AABATO26 [5] Biblioteca Storica dell’Accademia Albertina, sigla d’archivio AABATO22 [6] Sciolla Gianni Carlo - Quei leggerissimi tocchi di penna o matita: le collezioni di disegni in Piemonte - Edizioni Charta, Milano ; Regione Piemonte 1996 [7] Archivio di Stato di Torino.Sezioni Riunite. Casa di S.M. Regi Conti Servizi Secreti, 19 settembre 1842,tes.316,az.379 [8] Paravia Pier Alessandro - Carlo Alberto e il suo regno/orazioni di Pier Alessandro Paravia per la prima volta messe insieme e restituite alla nativa loro integrità – Voghera, tipografia Cesare Giani [9] Anzino Valerio - S.A.R. il principe Odone di Savoia duca di Monferrato - Tipografia del Collegio degli Artigianelli, Torino 1867 [10] Casalis Goffredo - Dizionario geografico storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna - Maspero e Marzorati ,1847.Pag.363 [11] Revue de l’exposition générale de Bruxelles-1851. Imprimerie et litografie des beaux-arts ,passage dt Prince 10, Galerie Saint-Hubert,1851.

[12] L’illustration: journal universelle , 1851 Vol. 18 [13] Bouloz Franҫois -Annuaire des deux mondes. Histoire générale des divers états 1853-1854 - Parigi ,Bureau de la revue des deux mondes 10 octobre1854 [14] Bessone-Aurely - Dizionario dei pittori italiani – Città di Castello 1915 [15] Almanacco italiano: piccola enciclopedia popolare della vita pratica e annuario diplomatico amministrativo e statistico, Anno 1903- Firenze: Bemporad [16] L’Armonia della Religione con la Civiltà- 28 Ottobre 1859. Tipografia Paolo De Agostini.

[17] Di Ricaldone Aldo - Il Monferrato tra il Po e il Tanaro Vol II -1998 [18] Sito Internet: Sapere.it > Canale Arte> I Pittori dell'800 [De Agostini] [19] Marini Giuseppe Luigi - Delleani e il suo tempo – Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008 [20] Farioli Paola – La Madonna di don Bosco – Elledici, Torino 2002 [21] Lemoyne G.B. – Amadei A. – Ceria E. Memorie Biografiche di Don Giovanni Bosco - Scuola tipografica Libraria Salesiana, S.Benigno Canadese 1898- S.E.I. ,Torino 1948 [22] Stella Pietro – Don Bosco nella storia della religiosità cattolica – Vol. III :la canonizzazione – LAS , Roma 1988 [23] ‘Il Galantuomo’ Almanacco per il 1869 - Tipografia dell’Oratorio S.Francesco di Sales, Torino 1868 [24] Cerva G.B - Il villaggio di Casalgrasso.Cenni storici ecc.. – 1929 [24 bis] Pancalieri, Archivio parrocchiale, breve biografia di don Camerlo scritta dal suo successore don Boccardo.

[24 ter] Pancalieri, Archivio Parrocchiale,Memorie Storiche, vol.II

19 [25] Annuario delle Cappuccine Francescane di Torino - Anno 1885 [26] Giuseppe Isidoro Arneudo- Torino sacra illustrata nelle sue chiese, nei suoi monumenti religiosi, nelle sue reliquie- Torino : G. Arneodo, 1898 [27] Congrès des oeuvres eucharistiques tenu à Fribourg du 9 au 13 septembre,1885 - Impr. De J. Lefort,1886.

[28] Chirono Laura- Edicole e immagini votive di Maggiate Inferiore- articolo su Internet [29] La Stampa, 23/24 Luglio 1895- Una pala artistica [30] AA. VV. - Ricordo delle Feste Giubilari celebrate dai Salesiani di S. Pier d'Arena e dai loro antichi allievi- San Pier d’Arena, Scuola tipografica salesiana, 1897 [31] La civiltà cattolica n°196-Vol.IV serie diciassettesima Roma 1898, pag.104 [32] Comanducci A.M. – Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei – Milano 1970 [33] Caffaro Pietro – Notizie e documenti della chiesa pinerolese – Vol V, Anno 1900 – pag.158] [34] Archivi della Piccola Casa della Divina Provvidenza (Cottolengo) [35] Merlone Rinaldo - Tommaso Andrea Lorenzone: pittore del sacro. Dalla parrocchiale di Piobesi alle opere della maturità - Centro Studi Piemontesi, Torino 1994, vol. XXIII, fasc.2 p.397- 406 [36] Borello Laura - L’Ausiliatrice: dall’Italia al Mondo - Edizioni MC Torino

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CAPITOLO 2 PARTECIPAZIONI

ALLE PUBBLICHE ESPOSIZIONI DELLA SOCIETA’ PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI Società Promotrice delle Belle Arti

La Società Promotrice delle Belle Arti venne fondata nel 1842: le due personalità più legate alla nascita e allo sviluppo della Società furono il fondatore, conte Cesare della Chiesa di Benevello e Luigi Rocca , impegnato per oltre 40 anni dapprima come segretario e critico dal 1845 ed infine Vicepresidente dal 1879,

Cesare Della Chiesa di Benevello, (Saluzzo, 13 settembre 1788 – Torino, 16 dicembre 1853) fu un letterato, scrittore, pittore e agronomo. Ed anche politico, divenendo Senatore del Regno di Sardegna. Discendente di una illustre famiglia piemontese , si laureò in Giurisprudenza, per poi dedicarsi ai più svariati interessi , aiutando ed ospitando artisti, letterati, architetti, uomini di scienza . Entrò in grande amicizia con Massimo D’Azeglio, il quale ne ‘ I Miei Ricordi’ ne descrisse la sua particolare personalità, di uomo che, nonostante la sua grande ricchezza, viveva in modo assai spartano, dormendo spesso dove capitava, anche negli sgabuzzini, lui proprietario di castelli, ville e palazzi.

“Egli non sentiva bisogni, mangiava ogni cosa, era indifferente al freddo, al caldo, ai comodi, alle eleganze, vestiva a caso e dormiva poco”[1]. Una sera a casa sua, nel gennaio 1842, sorse l’idea della Società Promotrice, di cui fu il primo Presidente. I primi anni ospitò nel suo palazzo di Torino le Pubbliche Esposizioni della Società.

Alberto Maso Gilli, acquaforte Archivio storico della città di Torino

Luigi Rocca (Torino, 1812 - Biella, 1888) . La sua famiglia era originaria di Neive ,appartenente alla borghesia agraria. Il padre Carlo Rocca era avvocato, e pure Luigi si laureò in detta materia, ma fu subito preso da altri interessi, ovvero dal campo artistico, cioè la pittura e la letteratura. Esercitò quindi il mestiere di giornalista, collaborando con diversi periodici non solo piemontesi, e diresse la bellissima rivista ‘L’Arte Moderna’ (1869-1874) . Ma soprattutto, tra i fondatori della Società Promotrice delle Belle Arti, vi si dedicò per quasi mezzo secolo; eletto Segretario nel 1845 in sostituzione del prof.

Paravia, mantenne questa carica fino al 1879, quando fu eletto VicePresidente , né mai per modestia e disinteresse volle accettare la carica di Presidente.. Fu anche fondatore del Circolo degli artisti.

Operò nel sociale , collaborando a Torino con diversi enti educativi ed assistenziali, e si impegnò pure come amministratore pubblico, in Torino , Cuneo, Alba, Neive, venendo eletto anche Deputato.

Collaborò con la società delle scuole infantili di Torino ed il Regio Ricovero di Mendicità .

Alberto Maso Gilli, acquaforte Album Pubblica Società delle Belle Arti del 1888

21 La Società Promotrice delle Belle Arti era un’associazione privata e nacque con un ben preciso obiettivo , quello di mettere a confronto ed in gara gli artisti, di pubblicizzarne le opere e quindi di favorirne la vendita.

Come narrò il Rocca, l’idea venne una sera del Gennaio 1842 in casa del conte Benevello, e suscitò subito entusiasmo e patrocinio presso il governo.[2] Il conte Benevello con l’aiuto del letterato Paravia e dell’artista Palagi e del teologo Antonio Corte, mise a punto il progetto iniziale, tanto che già nel Febbraio è sottoposto alla visione dei futuri investitori, e a Marzo lo statuto dell’associazione ebbe l’approvazione del Ministero dell’Interno.

Ad affiancare il presidente Benevello si fecero avanti rappresentanti dell’Accademia Albertina e di altre istituzioni culturali statali e universitarie. L’obiettivo era di arrivare a 100 quote di lire 20 l’una, ma si raggiunse un bel più roseo risultato, con 394 aderenti, sicché si poté dar subito attuazione al programma, e cioè una mostra in primavera, con l’acquisto da parte della Società di diverse opere d’arte, distribuite poi per sorteggio a un numero di soci corrispondenti; a tutti gli altri soci,non vincitori dell’estrazione, il dono di una litografia, che dopo pochi anni divenne un album che raccoglieva giudizi critici e riproduzioni litografiche – talvolta a colori - di opere in mostra, l’elenco di quelle comprate dalla società stessa, dal re, della famiglia reale, dalle istituzioni e dai privati. La parte redazionale fu curata per decenni dall’avv.Luigi Rocca.

L’elenco dei soci è rappresenta uno spaccato della società piemontese aristocratica e borghese : i membri della famiglia reale , aristocratici , burocrati , imprenditori , finanzieri e commercianti, esponenti del clero, e parecchi degli stessi artisti, tra cui non pochi dell’area milanese; infine le istituzioni : il Municipio, alcuni Ministeri, l’Ordine Mauriziano .

Nel giro di una decina d’anni gli iscritti alla Società Promotrice si allargherà molto, sia in termini numerici che di cetii. Se si va a vedere l’elenco dei soci della Società Promotrice ad es. del 1853 si scopre una sorprendente differenziazione di classi sociali : oltre ai rappresentanti della casa reale e degli aristocratici, vi compaiono alti burocrati e impiegati ministeriali, ufficiali di vario grado dell’esercito, esponenti del clero (vescovi, curati, teologi), liberi professionisti (medici, architetti, ingegneri, notai, avvocati, causidici, geometri), intellettuali, insegnanti, politici, finanzieri e commercianti, proprietari terrieri, impresari ed imprenditori , ed infine artigiani dei più svariati mestieri: indoratore, tipografo, marmorista, tappezziere, macchinista,ecc.

Nelle Esposizioni la pittura di genere e di paesaggio fa la parte del leone, meno sono le opere storiche; la commissione che deve scegliere le opere da comprare da parte della società è composta solo parzialmente da artisti, e non è scevra da polemiche sugli indirizzi di acquisto, che a parere dei critici trascurerebbe la pittura più ‘alta’, cioè quella storica.

Ma la Società raggiunge pienamente e con successo i suoi obiettivi iniziali, richiamando il pubblico e suscitando interesse per l’arte e gli artisti, muovendo finalmente acquisti diffusi.

La prima mostra, nel 1842 appunto, fu ospitata nel palazzo del marchese d’Oria di Cirié; successivamente fino al 1850 nel palazzo Benevello; dal 1851 al 1853 in un salone già praticato per il gioco della pallacorda; nel 1854 fu il turno di una parte del palazzo del Collegio delle Provincie. Nel 1851 c’è un cambio netto di gestione : al dimissionario Benevello subentra Ferdinando di Breme, che trasferisce le mostro all’Accademia Albertina , dove quindi l’Esposizione assume carattere di ufficialità e segna un incremento notevolissimo di visitatori e acquisti, con i privati che diventano i primi acquirenti per spesa complessiva, rispetto alla casa Sabauda e alla Promotrice.

Le Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice delle Belle arti diventano una occasione mondana, un ‘must’ che richiama tantissima gente,tant’è che bisogna attivare le forze dell’ordine per regolare gli afflussi : agenti raddoppiati nei giorni festivi!

22 “Le mostre della Promotrice costituivano un appuntamento mondano che richiamava in massa i torinesi, a tal punto da indurre la direzione della Società a far pagare l’ingresso per garantirsi una fonte sicura di profitto e per arginare l’afflusso dei semplici curiosi” [3].

da ‘Il Mondo Illustrato’ 1847- Pomba Editore, Torino

Naturalmente tale sede di confronto con gli altri artisti e di pubblicità delle proprie opere fu frequentata da giovane Lorenzone.

Nell’arco temporale che va dal 1844 al 1859 il pittore pancalierese sarà presente a 9 Esposizioni Annuali su 16 con un totale di 25 opere, di cui 5 di soggetto religioso , 13 ritratti (10 ad acquerello), 7 opere profane.

In tale ambito l’artista mostra subito le sua spiccate inclinazioni . Da una parte verso la produzione di carattere sacro, che sarà poi la tipologia quasi esclusiva degli anni della maturità. Dall’altra verso la ritrattistica, questa in particolare attraverso i lavori su carta con la tecnica della tempera o dell’acquerello, dove si esprime in modo eccellente. In tale periodo prova pure a realizzare opere profane, di carattere romantico, storico e letterario, e anche di paesaggio.

Queste opere del periodo giovanile sono da ritenere tra le sue realizzazioni migliori, per freschezza e per colore. Purtroppo di tale gruppo di opere ne conosciamo con certezza solo 5: speriamo che il tempo ne porti a conoscenza un numero ben maggiore, se non la totalità!

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1844 * San Michele che fulmina i Demoni

Presentato col n.143 L’esordio , a 20 anni, avviene con un tema non inconsueto in Piemonte, dove S.Michele era molto venerato (il suo culto approdò nella regione nei secoli V° o VI°). Nel libro dell'Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, che combatte e scaccia il drago (Satana) e gli angeli ribelli (i Demoni). Questo qui riprodotto potrebbe essere un bozzetto relativo ad un demone.

Collezione privata

Era la terza Esposizione, che si svolse in casa Benevello dal 1 Maggio al 10 Giugno con l’esposizione di 254 opere; gli acquisti ammontarono a Lire 16535 per un totale di 77 opere.

Il premio riservato ai soci di cui non furono acquistate le opere fu una incisione de ‘La Malinconia del veneziano Natale Schiavoni’.’

1845 *Un Voto alla Madonna

Presentato col n.158 - Allogato dalla signora marchesa di Barolo.

La committenza è relativa alla costruzione dell’Ospedaletto di S. Filomena da parte della Marchesa Giulietta Colbert in Barolo, che fu inaugurato il 10 Agosto 1845. La struttura - dedicata a S.Filomena sulla cui tomba a Mugnano, presso Napoli, Giulietta nel 1834 era sostata a pregare [4] - era riservata a ragazze disabili, che qui ricevevano ‘l’istruzione elementare e la formazione professionale, adeguata alle possibilità di ciascuna. Inoltre dovevano esercitarsi nella ginnastica correttiva, sotto la guida del medico’[5].

La realizzazione di questo dipinto segnala il rapporto che già a 21 anni Lorenzone aveva con la notissima filantropa e benefattrice ; grazie a tale grande figura dell’epoca è facile presumere che il giovane pittore potrà allargare di molto la sua cerchia di conoscenze.

Il quadro fu tra le poche opere di pittura religiosa della Pubblica Esposizione della Società Promotrice del 1845 ‘salvate’ da Paolo Giannotti, ferocemente critico riguardo alla maggior parte della produzione in materia. Egli in proposito ne scrisse: ‘Il voto alla Madonna di Lorenzone, ancor giovinetto, ancor fra le panie accademiche, ma promettente’ [6].

Più a lungo si diffonde sull’opera Pier Alessandro Paravia [7] , notandone i pregi : ‘un disegno corretto, un colorito sugoso, un’ordinata disposizione’ come anche i difetti : ‘La composizione è una di quelle tante, che s’incontano nei quadri da chiesa, e di cui non si può all’artista dar biasimo, né lode, perché gli sono ordinate’ , pur riconoscendo il tentativo del pittore di modificare un poco lo schema piramidale classico con un certa variazione nella disposizione dei personaggi.

Questa quarta Esposizione si svolse anch’essa a casa Benevello ,dal 5 Maggio al 12 Giugno; vide l’Esposizione di 330 opere e gli acquisti ammontarono a 26205 Lire per un totale di 85 opere. Ai non sorteggiati toccò come premio un album con otto litografie

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1846 *L’ultima ora del Rinnegato tra le braccia di Egilda , dal romanzo del Visconte d’Arlincourt ‘Il Rinnegato’ (1834) . Presentato col n.419.

C’è un appunto a mano sul catalogo, indicante il prezzo tra le 1000 e le 1200 Lire [in seguito i valori delle opere saranno stampati , con l’esatto importo], a testimonianza della quotazione medio-alta raggiunta dal 22-nne pittore. *Ritratto d’uomo acquerello. Presentato col n.420 *Ritratto d’uomo acquerello. Presentato col n.421 A queste opere, in particolare alla prima, dedica una lunga recensione Felice Romani [8]. Romani comincia con le lodi , rilevando la fresca età del pittore e predicendogli futuri successi, a patto che non si lasci abbattere dalle critiche od esaltare dalle lodi. “Il giovane artista da Pancalieri” – insomma – “deve essere premunito e contro le lusinghe e contro le battiture”.

Entrando nel merito, l’opera è per il critico “commendevole” . Il Rinnegato ed Egilda che lo sostiene e lo conforta nell’ultima ora “sono due figure ben collocate, e formanti un gruppo di molta convenienza e molto effetto. Puro e castigato è il disegno, il poco nudo che vi è , ben trattato, le tinte ben intese, e le ombre lodevolmente distribuite”. Insomma, l’esecuzione è pressoché perfetta. “Ma quel che più importa, e maggiormente rileva l’ingegno del pittore, si è la passione di cui s’informa il dipinto, difficilissima ad esprimersi, perché sommamente metafisica”. E qui Romani rileva il desiderio cristiano della donna di riconciliare il rinnegato con Dio, affinché prima che egli muoia riconosca l’errore e chieda perdono. A tal fine Egilda è rappresentata con una mano che sostiene il capo del moribondo rivolgendolo verso il crocifisso posato ai suoi ginocchi, l’altro braccio rivolto al cielo. Forse l’espressione della donna è esagerata, ma quel che conta è l’espressione degli affetti di donna cristiana e amante . A sua volta Clodomiro è rappresentato in un acconcio stato di prostrazione: abbandono delle mani, smarrimento del viso. In definitiva lo spettatore deve rimanere incerto sul suo ravvedimento e partecipare all’ansietà di Egilda. Dopo tutti questi elogi, Romani conclude però consigliando a Lorenzone di star lontano dai romanzieri moderni , sebbene sia voce che il quadro del Rinnegato sia stato acquistato dalla Società Promotrice, e di dedicarsi ai soggetti di Storia, da cui il pittore trarrà maggiore gloria.

Quanto ai ritratti ad acquerello, il critico li giudica condotti “con verità e franchezza”, ma rileva che per la perfezione manca una maggior finitezza, da raggiungere con l’esercizio e la pazienza.

La mostra si svolse dal 10 Maggio al 10 Giugno, sempre a casa del conte Benevello.

Furono esposte 472 opere per un ammontare di acquisti di Lire 25516.,per un ammontare di 76 opere. Premio a i’non vincenti’ un album con otto litografie.

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1847 Copertina dell’album del 1847 quando, sempre a casa del Benevello, furono esposte dal 4 Maggio al 13 Giugno 385 opere. L’ammontare del venduto fu di L. 25865 per un totale di 91 opere. Premio per i non vincenti un Album con 8 litografie.

*La Madonna del Rosario con San Francesco di Sales e la Beata Margherita di

Savoia

(di commissione della Compagnia della Chiesa del R.Parco). Presentato col n.191

L’opera è ben accolta dal critico Luigi Rocca, segretario della Società Promotrice, che si lascia andare anche ad elogi enfatici: ‘Quanta soavità d’espressione nell’amorevole sembianza della Vergine Madre; quanto fervore in quelle dei due santi prostrati a’ suoi piedi! L’aureola di luce, in mezzo a cui apparisce la Regina del Cielo, è colorita con tal vigoria, che gli occhi ne rimangon quasi abbagliati; e la mente sollevandosi nell’estasi di una devota contemplazione, dimentica per poco questa valle di fango fra cui è miseramente costretta a trascinarsi’. [9]

Nel 1848 e nel 1849 Lorenzone non partecipa all’Esposizione, forse per una questione di opportunità.

Era infatti scoppiata la prima guerra di indipendenza. Nella relazione annuale della Società Promotrice del 21 Dicembre 1848, firmata dal Presidente Cesare di Benevello e dal Segretario Luigi Rocca , si scrive all’inizio:”Mentre gli animi tutti stanno intesi più che mai alle cose politiche, non molto opportuno riesce per certo qualunque discorso specialmente non le riguardi”.[10] La mostra, assegnata in primo tempo al mese di Aprile, “all’annunzio della generosa insurrezione Lombarda venne subitamente sospesa, non parendo forse che in quei giorni di universale sommovimento potesse aversi la menoma speranza di ottenere e gran numero di oggetti e molto meno spettatori”.

Vennero però le prime vittorie e si decise di far partire l’esposizione,che durò dal 10 Maggio al 19 Giugno, e per la quale si fece di tutto per agevolare gli artisti Lombardi e Veneti.

Come premio ai ‘non vincitori’ si decise per una litografia di Grand Didier, in cui il soggetto principale fu il dipinto di Garberini ’Milano è libera’, contornato da altri soggetti in argomento.

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1850 * Rinaldo e Armida nell’isola incantata - Presentato col n. 740. Già comprato.

Dalla Gerulasemme liberata di Torquato Tasso, canto XVI, ottave 16,17,20,21 Ch’egli è in grembo alla donna, essa all’erbetta ….

Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, E ‘l crin sparge incomposto al vento estivo

L’opera ricevette da alcuno ripetute lodi: “Non si poteva far meglio per l'espressione relativa delle due figure che rendono veramente l'indole del giovine innamorato e della vezzosa incantatrice, quali . furono immaginate e descritte da quel grande che fu chiamato iI Cantore di Armida.” [11]. Da altri invece viene proprio la critica negativa a proposito dello stesso argomento: [12] occorreva dare alla donna un aspetto più altero, labbra voluttuose, una espressione in cui brillasse più vivo un sentimento di egoismo ed orgoglio; quanto all’eroe doveva apparire più marziale. Lo stesso critico però ne esalta altri aspetti: “la finitezza squisita del lavoro che potrebbe dirsi uno smalto in colossali proporzioni” ; e conclude riconoscendo lo splendido magistero mostrato dall’artista nel dipinto, suggerendogli però di trattare “più alto e conveniente soggetto”, ovvero - par di capiresoggetti religiosi.

Una nota curiosa è la partecipazione alla Esposizione, per la prima volta, di un compaesano del Lorenzone, il “sig. Domenico Cerutti di Pancalieri”[probabilmente nato nel vicino paese di Virle], con un acquerello, ‘La Madonna col Bambino , copia da Raffaello’. L’opera venne esposta nella Galleria XX [le varie stanze della mostra avevano una numerazione], la stessa in cui espose Tommaso Lorenzone: forse il compaesano già noto fece da chioccia all’altro ?

L’esposizione si tenne nel Castello del Valentino,dal 20 Maggio al 5 Luglio. Le opere presentate furono 430 e l’ammontare degli acquisti dei privati (l. 41951) superò di gran lunga quello della Società (13 595), per un totale di Lire 55486 relative a 113 opere. Premio di consolazione una litografia dal titolo ‘Ritiro dalla vita politica’

1851 * Una figlia alla tomba della madre * Ritratto d’uomo Presentato col n.244

(proprietà del signor N.N.) Presentato col n.243

E’ un vero peccato non poter conoscere il primo dei due dipinti, dove Lorenzone si cimenta con un soggetto di tipo intimistico e romantico.

L’Esposizione si svolse nel salone della pallacorda dal 4 Maggio al 9 Giugno. Le opere furono 493; quelle acquistate 118 per un ammontare di Lire 43335. Premio di consolazione una litografia rappresentante ‘Jacopo Foscari’.

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1853 *La Madonna col putto, Santa Teresa, San Marcello e San Bartolomeo

(pala

d’altare; allogata dal Socio signor Bartolomeo Racca). Presentato col n. 243.

L’opera ricevette una critica fortemente negativa su ‘L’Opinione’ [13].

Il giornalista inizia con gli elogi alla nitidezza delle figure, agli abiti, al paesaggio che sta nello sfondo, e al cromatismo ; nota inoltre che Lorenzone fu uno dei giovani artisti che fra i primi partecipò alle Pubbliche Esposizioni. Poi attacca con le critiche: ‘I pregi che ora si lodano nella sua Madonna’ sono gli stessi della prima Madonna che presentò alle mostre. I difetti sono rimasti quelli di prima : ‘le sue composizioni non hanno creazione ; che le mi sembrano pure repliche di quelle immaginuzze che si vendono su tutti i muriccioli, alle sagre di tutti i villaggi’. I santi e le sante ‘sono raffigurati coi consueti, anzi dissueti tipi di teste, insignificanti e insipidi’ e troppo statici. Il critico termina con un’invocazione agli artisti, affinché non si riducano ad essere artigiani replicanti di cose ridette e comuni, bensì di manifestare pensieri e sentimenti proprii, ispirati dagli affetti del cuore.

*Ritratti delle LL.AA.RR. il Principe Ereditario [Umberto] ed il Principe Amedeo Duca d’Aosta (acquerello) Presentato col n.246. * Ritratto di donna Presentato col n.244; *Ritratto di donna (acquerello) Presentato col n.247 * Ritratto di donna (acquerello) Presentato col n.248 * Ritratto di donna (acquerello) Presentato col n.249

* Ritratto d’uomo Presentato col n. 245 * Ritratto d’uomo (acquerello) Presentato col n.252 * Ritratto d’uomo (acquerello) Presentato col n.253 *Ritratto di ragazza (acquerello) Presentato col n.250 * Ritratto di ragazza (acquerello) Presentato col n.251 Questi ritratti sono lodati da Carlo Guici, che nell’Album a tal proposito esclama: ‘E dove lascio io quelli pur cotanto ammirati sia ad olio, sia all’acquerello di Lorenzone?’ [13].

Nello stesso Album, Pietro Giuria annovera il Lorenzone tra gli artisti provenienti dall’Accademia Albertina da riguardarsi come maturi [13].

L’Esposizione si svolse ancora nel salone della Pallacorda, dal 6 Maggio al 18 Giugno, con 387 opere; il comprato fu di 150 opere per una spesa totale di L33750.

Premio per i non vincitori un album con 8 litografie

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1857 * Lamberto si scopre a Lisa Allogato dal socio N.N. Presentato col n. 385 “- Fate ch’io sappia ora a chi ho un cotanto obbligo……alzate almeno cotesta visiera…..parlate, dabben giovane.-…Chi vi ha aiutato ora è Lamberto.Lisa a queste parole s’attenne all’uscio per non cadere. Quando volle parlare era rimasta sola……” ) .

Dal romanzo storico di Massimo d’Azeglio ‘Niccolò de’ Lapi’ (1841).

Carlo V nel 1529 stringe d’assedio Firenze per obbligare gli abitanti – grazie ad un accordo col papa Clemente VII- a sottomettersi ai Medici contro la loro volontà. I Fiorentini difenderanno fino all’ultimo la loro libertà. E’ la tragedia dell'Italia, che moriva intorno alle mura di Firenze. Moriva, ma lasciando di sé tale memoria, che preannunciava il Risorgimento.

* Le ultime ore di Ferruccio

Presentato col n. 391

“…Perduta la speranza di vincere, venne Ferruccio dai suoi compagni trasportato in un castelletto vicino alle mura di Gavinana, ove sbarrate le porte si difendevano.….All’improvviso le porte sfasciate si disfanno ed irrompe il nemico nelle sale del castello”.

GUERRAZZI, Assedio di Firenze, tomo III

Il romanzo ‘L’Assedio di Firenze’ (1836), dello scrittore e politico Guerrazzi, ebbe un grandissimo successo (50 edizioni!) e a parere di un critico rappresentò la scuola dalla quale uscirono i Mille di Marsala. L’argomento storico è lo stesso di quello Niccolò de’ Lapi di Massimo D’Azeglio. Guerrazzi si sofferma particolarmente sulla battaglia di Gavinana e sul tragico e glorioso comportamento di Ferruccio (difensore della repubblica fiorentina) che, ferito a morte si rivolge a Maramaldo (italiano , capitano di ventura al soldo degli spagnoli) - il quale infieriva su di lui - pronunciando le celebri parole: Maramaldo, tu uccidi un uomo morto.

La scena è illustrata da Bertolo

L’avvocato Luigi Rocca, Direttore Segretario della Società Promotrice, nell’Album [14] si duole dell’esiguità del volume dell’Album , che non gli consente di discorrere di tutte le opere che, per qualche singolare pregio, ne sarebbero degne: ‘Accennerò qui di volo alcune delle principali opere di cui molto mi sarebbe stato caro tenere particolar discorso…’. Ed elenca alcune opere, tra cui appunto ‘Le ultime ore di Ferruccio’ del Lorenzone.

* Armida si innamora di Rinaldo Esce d’agguato allor la falsa maga E gli va sopra, di vendetta vaga; Ma quando in lui fissò lo sguardo e vide Come placido in vista egli respira, Gerulasemme Liberata,C.XII.

Allogato dal socio NN Presentato col n. 394

E ne’ begli occhi un dolce atto che ride, Benché sian chiusi (or che fia s’ei li gira?) ………………………………..

E di nemica, ella divenne amante

A distanza di sette anni il pittore si cimenta nuovamente con le figure di Rinaldo e Armida. Non abbiamo, al momento, altre notizie sul dipinto, ma non è fuori luogo presumere che stile e verecondia siano quelle dell’opera del 1850 .

29

*La Sacra Famiglia con S.Giacomo

Presentato col n. 387.

Commissionato dal sig.

Giacomo Oddono di Pancalieri

L’opera gli fu ordinata da un compaesano, per la cappella di una vasta tenuta che questi possedeva nel saluzzese. Fu poi donata da una pronipote alla parrocchia di Pancalieri.

Riappare a questa mostra il compaesano di Lorenzone, cioè Domenico Cerutti. Infatti nel catalogo al n° 9 compare ‘La Madonna col Bambino, miniatura dal Guercino’, autore il “sig. Domenico Cerutti di Torino” : evidentemente Cerutti risiedeva ormai nella capitale del regno sardo. Prezzo dell’opera Lire 500: essa fu acquistata - come indicato dall’Album , dove il cognome è storpiato in Cerruti - da una nobildonna della casa regnante, S.A.R. la principessa Maria Pia

L’Esposizione si tenne all’Accademia Albertina dal 18 Aprile al 24 Maggio. Furono in opera 408 opere di cui vendute 109 per un importo globale di Lire 50920. Ormai da tempo prevaleva la spesa dei privati, buon segno della diffusione del gusto per l’arte esteso ai borghesi e non solo.

1859 L’aura del mattino Presentato col n.119. Il prezzo ufficiale è di L.520 [15]. Acquistato dalla Società Promotrice [16].

“In presenza del nemico che minacciava le nostre frontiere, ogni pensiero fu rivolto alla difesa della patria. L’Accademia di Belle Arti sospese i suoi studi, come l’Università chiuse le sue scuole e la Capitale, smesse le sue abitudini pacifiche, presentò un aspetto insolito e bellicoso…..Cionondimeno è da lodarsi lo zelo della Società Promotrice, che nulla rimettendo delle sue cure per l’arte, la coltiva anche in tempi poco favorevoli” [17].

Orgogliosamente scrive Luigi Rocca nell’Album relativo all’Esposizione, edito in Dicembre, che la Direzione della Società, “quando le sfrenate orde in austriache, varcato il Ticino,occupavano parecchie delle più feraci nostre provincie” e già si temeva che sarebbero arrivate a Torino, ebbene la Direzione decise di aprire i saloni dell’Esposizione come segno di fiducia per il felice esito della guerra. I visitatori furono ovviamente meno che in passato, ma assai numerosi il Giovedì, quando l’incasso era devoluto alle famigli dei soldati in battaglia [18]. A sua volta il Re, pur impegnato negli eventi bellici, inviò i suoi figli a rappresentarlo e il ministro Nigra a fare degli acquisti per Lui. [16] In tale clima Lorenzone, a soli 35 anni, chiude con questa mostra le sue partecipazioni alle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti, che lo avevano visto esordire ventenne.

30 L’opera presentata, che dal titolo si direbbe di veduta, gli dà la soddisfazione dell’acquisto da parte della Società, anche se a un prezzo - per lui - basso.

Per capire i motivi dell’allontanamento del pittore dalle Esposizioni della Promotrice giova qui ricordare le pagine critiche dedicate da Massimo d’Azeglio nei suoi Ricordi a proposito delle Società Promotrici delle Belle Arti [1], pur avendo partecipato lui stesso come pittore a numerose Pubbliche Esposizioni sia a Torino che a Milano, e come Presidente del Consiglio avendole sostenute economicamente.

Innanzitutto entrano in azione enti pubblici che impiegano i denari del contribuente onde sostenere i troppi artisti, comprando parecchie opere.

E allora cosa succede? “…si mettono in moto compari e comari, protettori, amici, si va a far riverenze in ogni senso e d’ogni misura a ministri, impiegati, uscieri, né si tralasciano tutti quegl’invisibili fili di sesso femminino che danno occulto moto ai meccanismi della società” : la protezione delle belle arti diventa quindi misericordia o corruzione.

La conseguenza più nefasta è poi quello della validità delle opere. Il bisogno di vendere spinge l’artista a seguire non la coscienza, ma la moda. Quindi cercar di “riprodurre non quel vero e quel bello che ogni artista sente in sé, ma quel tal genere, quel tale stile che ha incontrato il suffragio del pubblico e soprattutto dei compratori’. Per cui ‘l’arte diventa un contraffare più o meno esatto e felice”.

Dopo questa caustica analisi di Massimo d’Azeglio, è facile comprendere come il carattere schivo e serio del Lorenzone mal si adattasse alla situazione, sì da spingerlo - oltre alle motivazioni espresse nel capitolo precedente - ad allontanarsi dalle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice.

E’ significativo comunque che Lorenzone ancora nel Gennaio 1866 risulti socio della Promotrice [18] : si trattava evidentemente di un must, che vedeva quasi 2000 iscritti, tra cui oltre ai reali , a personalità di ogni livello, a rappresentanti di quasi tutte le classi sociali, figurava una nutrita schiera di pittori operanti in Piemonte, quali D’Azeglio, Fontanesi, Delleani, Biscarra, Camino, Pittara, Gonin, Allason, Ardy, Bertea, Cerruti, Crosio, ecc. ed anche qualcuno da fuori, come Induno (Milano), Cabianca (Firenze), Solmi (Bologna).

Evidentemente Lorenzone all’epoca, nonostante tutto, intendeva ancora fare riferimento e sentirsi parte di quella vasta cerchia di pittori che così degnamente illustravano il nome di Torino, anche se già si stava allontanando da quel mondo artistico variegato e lanciato verso nuovi orizzonti mentre , nonostante l’excursus de ‘L’aura del mattino’ -, lui si stava indirizzando definitivamente al mondo più chiuso e raccolto della pittura religiosa.

Infatti la maggioranza delle opere, nonostante si compisse il grandioso evento storico dell’unità d’Italia, si rivolge soprattutto ad altri argomenti. Basta sfogliare i titoli dei quadri acquistati quell’anno per vedere che i soggetti bellici o religiosi sono in netta minoranza rispetto a quelli vedutistici o di vita famigliare, intima o sociale, di scene anche scherzose,ecc.. In particolare le opere riprodotte in litografia nell’Album e ampiamente commentate: La passeggiata nel parco, La Primavera,La sfogliatura della Margherita, il furto delle ciriege,ecc.

Chi non demorse fu il compaesano di Lorenzone, Domenico Cerutti che nel 1859 ottenne una citazione positiva da un critico assieme ad altri ben più noti colleghi; Cerutti continuò ad esporre, fu a Firenze ed anche all’estero. Ma la sua più grande opera fu l’apertura di un negozio di Belle Arti nella Galleria Subalpina . Fu il primo in Torino: non ebbe fortuna commerciale, ma aprì una strada proficua per chi lo seguì.

L’Esposizione del 1959 si svolse dal 1° Maggio al 3 Luglio, le opere in mostra furono 371,acquistate 166 per un importo complessivo di 40260 Lire. Il premio di consolazione fu l’Album con otto litografie

31 Due delle opere più significative riprodotte nell’Album del 1859

Il furto delle ciriegie – Edgardo di Beaumont dip.

G.Gonin dis e lit- Litografia Doyen Torino 1859

La Primavera- Garnier Valetti Vittorio Litografia Doyen Torino 1859

Nota Per concludere, una notazione di natura tecnica.

Come abbiamo visto, più volte Lorenzone realizzò dei ritratti ad acquerello.

Con questa tecnica si usano dei pigmenti (colori) mescolati con un legante – gomma arabica - e sciolti in acqua. Solitamente si usa della carta speciale come supporto per la stesura, che può avvenire con diverse tecniche ( bagnato su bagnato, bagnato su asciutto, per velature sovrapposte) .

La pittura ad acquerello è una tecnica assai raffinata, poiché è molto difficile correggere gli errori.

Quando i pigmenti sono legati da sostanze particolari, si parla di colori a tempera oppure colori a guazzo (gouache in francese) ; essi sono dei particolari colori , perché prevedono una soluzione particolare per pigmenti e un legante che rende i colori più spessi , coprenti e luminosi.

L’utilizzo di queste tecniche, dette genericamente ad acquerello, avvenne non solo per ritratti o paesaggi, ma anche per i bozzetti di preparazione per i lavori ad olio.

Lorenzone , artista di formazione classica, non mancò di realizzare - sotto forma di tempera o guazzodei bozzetti delle pale di arte sacra, dapprima di dimensioni ridotte su carta, poi più grandi su legno [ o anche ad olio su tela, come vedremo successivamente].

Poiché nella presentazione delle opere alle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti veniva usato il termine generico ‘acquerello’, senza distinzioni tra semplice acquerello, tempera, guazzo, noi useremo la stessa dicitura allo stesso modo, quando non é specificato di quale tipo di acquerello si tratta.

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Bibliografia Cap.2 [1] Massimo D’Azeglio – I Miei Ricordi – G. Barbera Editore Firenze 1873 [2] Società Promotrice delle Belle Arti in Torino- Ricordo della XLVII Esposizione – Torino 1888 [3] Dragone Piergiorgio - Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1830- 1865 Banca CRT 2001 [4] Giovanna Zavatti -Vita di Silvio Pellico e di Juliette Colbert marchesa di Barolo - Simonelli Editore, Milano 2004 [5] Ave Tago - Giulietta Colbert Marchesa di Barolo – Congregazione Figlie di Gesù Buon Pastore , Piacenza 1997 [6] Giannotti Paolo - Pittura Religiosa in Letture di famiglia - Settimanale, Anno IV, n°22, 31 Maggio1845 [7] Paravia Pier Alessandro - Memorie piemontesi di letteratura e di storia - Stamperia reale, Torino 1853 [8] Romani Felice - Critica artistico- scientifica (Articoli raccolti dalla moglie)- Loescher, Torino 1884 [9] Rocca Luigi - Quadri Religiosi in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1847 – Torino 1847 [10] Società Promotrice delle Belle Arti in Torino-Relazione dellnanza Generale del 21 Dicembre 1848- Tipografia dei fratelli Castellazzo, Torino 1848 [11] 1850- Quinta Esposizione d’industria e di belle arti al Castello del Valentino- Giudizio della Camera d’agricoltura e di commercio di Torino- Torino 1851 Tipografia degli artisti [12] Pubblica Esposizione di prodotti dell’industria nazionale Torino 1850:scritti vari estratti dalla Gazzetta Piemontese- Torino1850 [13] Pubblica Esposizione di Belle Arti in Torino:Pittura Religiosa in L’Opinione – Quotidiano , n° 148, Torino 1 Giugno 1853 [14] Guici Carlo - Ritratti in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti.

Anno 1853 – Torino 1853 [15] Giuria Pietro - Del paesaggio e de’ Paesaggisti Piemontesi, Allievi dell’Accademia Albertina in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1853 – Torino 1853 [14] Rocca Luigi - in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1857– Torino 1857 [15] Catalogo della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti . Anno 1859 – Torino 1859 [16] Album della Pubblica Esposizione della società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1859- Torino 1859 [17] Rivista contemporanea Nazionale italiana Torino 1859- Tipografia Cerutti, Derossi e Dutto [18] Società Promotrice delle Belle Arti in Torino:Elenco dei Soci - V.Bona ,Tip. Della R. Accademia Albertina. Torino, Gennaio 1866

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CAPITOLO 3

PALE D’ARTE SACRA

Nell’Ottocento Torino ed il Piemonte furono la sede di una grande espansione economica dovuta ad un notevole sviluppo di attività imprenditoriali, nei settori della finanza, dell’industria e del commercio. La città piemontese, che al tempo dell’Unità d’Italia contava circa 200.000 abitanti, nonostante la perdita del ruolo di capitale che aveva comportato quella di decine di migliaia di persone, giungeva già negli anni Ottanta a superare i 250.000.

Tale impetuoso e sregolato sviluppo produceva però nuove povertà, rimanendo la ricchezza nelle mani di ristrette classi sociali. Il passaggio dai campi alle officine vide l’inurbamento delle masse provenienti dalle campagne, che insieme con l’esplosione demografica dovuta alla crescita economica causò l’indispensabile allargamento dell’estensione urbana, con la formazione di grandi agglomerati periferici, ovvero quartieri miserabili cumulo di emarginati, dove accanto agli opifici vivevano in abitazioni malsane manovali ed operai, costretti a turni di lavoro giornalieri massacranti, che duravano anche fino a 14 ore.

Le istituzioni religiose e i credenti si trovarono ingaggiati in dure sfide , impegnati su un duplice fronte.

Da una parte la Chiesa dovette intervenire nel campo pastorale, per impedire la dissipazione del patrimonio di tradizioni storiche, morali e sociali . Occorreva far fronte all’avanzare del laicismo, dell’ateismo, del socialismo tra le masse strappate dal loro villaggio per essere trasferite nelle case di ringhiera, nei rioni operai, nei miseri sobborghi . ‘Si constata con preoccupazione il calo nella percentuale di chi soddisfa il precetto festivo e pasquale, la diserzione dei catechismi parrocchiali, il dilagare della bestemmia, il diffondersi dell’alcolismo, l’aumento degli illegittimi’[1] .

Compito dei sacerdoti era impedire che il popolo si allontanasse dalla Chiesa, o riportarvelo, dopo che le prime grosse ondate immigratorie avevano colto impreparate le deboli strutture ecclesiastiche . Non dimentichiamo inoltre che in aggiunta alle difficoltà causate dalle problematiche sociali ci furono da affrontare quelle indotte dalla politica, dovute allo scontro tra la Chiesa e lo Stato a conduzione laica, che giunse all’apice con le leggi del 1850 e del 1855 riguardanti il mondo ecclesiastico.

Dall’altra parte occorreva affrontare i problemi concreti della povera gente.

Gli adulti maschi nel poco tempo libero, si ubriacavano nelle bettole o si sfogavano con il sesso .

Enormi erano i problemi dei più giovani : i ragazzi che non avevano lavoro si davano al furto e all’accattonaggio, le ragazze alla prostituzione ; altri si ritrovavano nei giorni festivi allo sbando per strade, piazze, prati, analfabeti e sporchi, accanto a bambini laceri e deperiti, gli uni e gli altri completamente abbandonati a sé stessi.

In assenza di organiche strutture pubbliche in campo scolastico, ospedaliero e assistenziale , era indispensabile da parte delle istituzioni ecclesiastiche un forte intervento di aiuto e sostegno a poveri e anziani, di assistenza ai malati, e di educazione e istruzione a bambini ed adolescenti. Per rispondere a queste vitali necessità ‘nella chiesa di Torino in quel tempo nascono fermenti innovatori di santità e di opere di misericordia, di fervore apostolico che suscita varie iniziative di evangelizzazione’ [1 bis] e incisivi interventi sociali.

In tale contesto si affermarono le grandi personalità del Cottolengo, del Murialdo, di don Orione e di don Bosco, esempi preclari di mirabili capacità d’iniziative religiose ed umanitarie.

Vennero quindi costruite nuove chiese - base indispensabile per l’azione pastorale e sociale - ad opera di tali notevoli religiosi, con il sostegno di benefattori privati, oltre a quelle realizzate dalla struttura ecclesiale.

34 Per capire l’importanza della committenza religiosa dell’epoca, occorre quantificare il fenomeno, considerare cioè che nell’Ottocento a Torino - proprio la Torino capitale del conflitto tra lo Stato e Roma (cioè la Chiesa) , città laica percorsa dai movimenti operai - furono costruite una quarantina di chiese ed altre furono restaurate, rimodernate, abbellite ; si aggiungano poi, le chiese della provincia ed infine anche le chiesette o cappelle private, nei palazzi patrizi e nelle grandi tenute, oltre naturalmente agli edifici di culto pertinenti alle residenze della casa reale. La loro decorazione richiese una messe di commissioni dirette , da parte del clero secolare, delle congregazioni religiose, dei privati, dei Savoia. Teniamo quindi presente che , fino alla completa affermazione delle opere di genere e soprattutto dei grandi paesaggisti, per i pittori l’opera religiosa rappresentò il pane se non anche il companatico: dunque trovò impegnati un po’ tutti.

Le pale d’altare storicamente comparvero nelle chiese intorno all’XI° secolo, allorché vi fu un importante cambiamento nella liturgia della Messa [2].

Anticamente il sacerdote volgeva il viso ai fedeli (come oggi), stando dietro l’altare, che era posto abbastanza prima dell’abside. L’altare più usato era quello a cassa, adatto a contenere le reliquie, che sul davanti era arricchito da ornamenti di vario tipo, tra cui il ‘palliotto’, cioè un rivestimento in tessuto di forma rettangolare.

A partire dal secolo XI° invece, l’altare fu posizionato più vicino all’abside, e quindi invalse l’uso da parte del celebrante di posizionarsi davanti ad esso volgendo le spalle agli astanti.

Dunque da questo momento, poiché il corpo del celebrante avrebbe impedito la vista degli ornamenti frontali, si decise di posizionare in alto, sopra l’altare, il palliotto ; poi questo venne sostituito dal dossale, una tavola di legno dipinto di forma ancora rettangolare oppure quadrata ; infine si scelse uno sviluppo verticale e cioè la cosiddetta pala (oppure ancona, dal termine greco di immagine) . Ancora durante il Rinascimento le pale d’altare potevano essere costituite da tavole lignee, ma le tele presero poi il sopravvento; dal XVI° secolo la pala d’altare venne sovente inserita nell’architettura della chiesa, e si arrivò a delle magnificenti composizioni che integravano al contempo pittura, scultura e architettura.

La pala di soggetto religioso non necessariamente, in seguito, adornò un altare: essa poteva essere sistemata su una parete del luogo sacro. Infine il dipinto poteva servire ad ornare palazzi e case, sede di religiosi o congregazioni religiose ma anche abitazioni di nobili o borghesi d’alto livello, allo scopo di conferire sacralità al luogo o anche al fine di semplice abbellimento.

La pala di soggetto religioso e in particolare la pala d’altare continuò a costituire fino al XIX° secolo l’opera fondamentale per un pittore, sia in termini economici che di prestigio; ovviamente anche in Piemonte.

La realizzazione di una pala d’altare pone problemi non indifferenti all’esecutore, poiché si devono tenere presenti due esigenze che possono essere antitetiche .

La prima istanza riguarda l’aspetto artistico, che richiede libera espressione; la seconda invece l’aspetto devozionale , che va incanalato invece in una direzione ben precisa, secondo le richieste dell’autorità religiosa. Quindi da una parte il pittore deve operare considerazioni di natura estetica, sia compositiva che formale; nel contempo però, dall’altra parte, deve tenere presente le esigenze della Chiesa, espresse in quel preciso contesto storico - religioso - sociale in cui egli opera. In alcuni casi poi, quando la committenza è privata, occorre che il pittore tenga conto anche di un’altra variabile, i desideri del committente , in particolare le rappresentazioni ritrattistiche richieste.

Quindi “né ‘creazione né automatismo. Ciò che la pala d’altare fa apparire non è mai il prodotto di una libera fantasia, e nemmeno il puro e semplice risultato di una cogenza” [3] .

Chiaramente, a seconda del livello artistico del pittore, l’invenzione ha un peso maggiore, ma non essendo molti quelli che si elevano sugli altri, è più frequente incontrare docilità e poca ambizione, rispetto all’urgenza della creatività.

35 Per quanto riguarda i fini sociali ed educativi, l’importante non è l’esecuzione in sé, quanto piuttosto la particolarità dell’utilizzo. L’opera d’arte sacra deve “comunicare chiaramente, con pienezza di forma, i principi su cui si basa la rappresentazione” ricorrendo a concetti come “compositio, dispositio, proportio, armonia, decorum, ecc” definiti nel Rinascimento [4] La pianificazione della pala consiste quindi in una scelta di immagini riprese da un vasto repertorio, e nel disporle in un certo ordine figurativo che ubbidisce a regole precise ed organizzare il tutto in modo che l’opera finale risponda ai criteri di finalità religiosa richiesti. E’ evidente poi che le scelte sono indirizzate “dai culti generali dell’epoca, dai culti collettivi dell’ordine interessato della località (se si tratta di un santuario municipale o di una cattedrale), dai culti particolari connessi al patronato della chiesa, dalla predilezioni delle confraternite o da quelle dei donatori” [4].

Non è un’operazione semplice, occorre sottigliezza per rispettare gerarchie, realizzare simmetrie e accostamenti, ed occorre organizzare lo spazio pittorico secondo regole matematico – geometriche.

Quali furono gli impegni e gli esiti di Lorenzone nella realizzazione di pale d’altare? Fin dalla prima partecipazione alle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti , Lorenzone esibì un’opera di soggetto sacro “S.Michele che fulmina i Demoni” (1844). Era naturale. Sovente i pittori esordienti o alle prime armi esponevano le pale alla Promotrice, come prova pubblica delle loro capacità e per il valore pubblicitario derivante: anche il pancalierese si adeguò. Lo stile in generale non concedeva nulla alle innovazioni, rimanendo legato alla più scontata tradizione, tanto da far dire ad un impietoso critico dell’epoca: ‘veggasi qualche pala d’altare da cui appare che l’artista avrebbe preferito altro soggetto ove la catena del bisogno e la scarsità delle commissioni lo lasciassero far sempre a suo talento’ [5].

Lorenzone stesso subì una pesante critica riguardo alla tela sacra presentata nel 1853 “La Madonna col putto, Santa Teresa, San Marcello e San Bartolomeo”, per i suoi caratteri di stereotipia e ripetitività. Proprio questa accusa di ripetitività fa ritenere che assai copiosa fosse stata la sua produzione in materia nei primi dieci anni di attività. Purtroppo noi ne conosciamo, in precedenza, solo due.

La forma di questi quadri è, nella stragrande maggioranza dei casi, quella classica rettangolare con coronamento a semicerchio. Le loro dimensioni non sono quasi mai contenute, partendo solitamente da una lunghezza sui due metri - salvo eccezioni - per giganteggiare fino agli 8 metri di Maria Ausiliatrice.

La committenza, a testimonianza della vastità della clientela, è suddivisa tra Congregazioni (Frati minimi, Salesiani, Filippini, Domenicani, Oblati di Maria Vergine, Suore di S.Anna, Figlie di S.Giuseppe di Rivalba, Clarisse Cappuccine), le chiese diocesane e i privati.

A livello di struttura figurativa si servì sovente della tradizionale disposizione piramidale, usufruendo di classici riferimenti dimensionali matematici , come quello del rettangolo aureo, vedi ad es. l’ancona di Maria Ausiliatrice [6]. Ma non solo: altre volte usò disposizioni su diversi piani, oppure ancora una struttura ellittico-circolare. Insomma variò, così come mutò anche lo stile, volta a volta classico rinascimentale, neoclassico, troubadour, veristico, con inserzioni di moderato romanticismo.

In altri termini Lorenzone si situò in una delle due correnti stilistiche cui fece riferimento la pittura religiosa dell’Ottocento in Piemonte, quella eclettica, che annoverò tra le sue fila molti artisti di nome, assai attivi anche nel campo ‘laico’; l’altra corrente stilistica, quella che si formò anche come adeguamento delle precise indicazioni dell’istituzione ecclesiale, fu quella del neo-gotico, ed ebbe un ben preciso autore di riferimento, Enrico Reffo, con tutta la sua scuola.

Quali furono gli artisti di riferimento di Lorenzone?

Lascio agli studiosi competenti le risposte precise che io non sono in grado di dare, e mi limito a considerazioni di massima.

36 A parte gli insegnanti e gli insegnamenti dell’Accademia, il giovane pittore poteva osservare le opere dei grandi del passato presenti nella Galleria Sabauda, istituita nel 1832 da Carlo Alberto. Questi riunì le collezioni dei Savoia, la quadreria del Palazzo Reale, e altri diversi acquisti, in modo che venissero rappresentate un po’ tutte le epoche storico-artistiche.

C’era poi la ricchezza d’opere religiose in tante chiese di Torino o vicine (es. duomo di Moncalieri, duomo di Chieri ,ecc.), c’era la dovizia di incisioni, insomma non mancavano gli strumenti cognitivi e di raffronto.

C’erano infine le riproduzioni a stampa.

Qual era , all’epoca in cui Lorenzone muoveva i primi passi in materia, lo stato della pittura religiosa in Piemonte?

Ce lo descrive benissimo la critica Rosanna Maggio Serra. [6 bis] .

L’impostazione stilistica di base è definita, all’epoca della restaurazione, cioè del ritorno dei Savoia in Piemonte, dalla ricostruzione in stile neogotico dell’abbazia di Hautecombe. Ciò non a caso o per un preciso gusto artistico, ma per una finalità politico-storica ben precisa:quella di identificare il “passato glorioso e pio della casa regnante con le forme medioevali”. [6 bis] Di qui la diffusione di tale gusto presso le classi alte ( cioè quelle che potevano permettersi certe spese in quadri ed edifici !) ed ovviamente degli operatori artistici, cioè pittori e architetti.

Bisogna però subito sottolineare che i Savoia non si chiusero in solo gusto, ma bensì si dimostrarono aperti ad altri indirizzi.

Luigi Vacca , esponente della corrente neobarocca, con l’aiuto del genero Gonin affrescò parecchie chiese.

Un’altra presenza di peso fu quella del grande pittore saviglianese Pietro Ayres, che in alcune opere sacre operò “una commistione tra accademismo e purismo”. [6 bis] Da Milano giunsero altri stimoli: venne infatti chiamato Pelagio Palgi per sovrintendere – tra gli altri impegni - alla decorazione delle residenze sabaude; il Palagi si rifaceva a modelli stilistici classici quali quelli delicati di Raffaelo. Sempre da Milano giunsero dei dipinti di Hayez, il quale invece rappresentava l’indirizzo romantico.

Infine i giovani pittori, che indirizzati dall’Accademia,si rifacevano ai classici del Rinascimento, al 600 della Controriforma, al neoclassicismo e al romanticismo.

La pittura religiosa vide quindi la coesistenza e l’intreccio di diverse culture figurative:”fedeltà al neoclassicismo accademico, persistenza degli effetti e degli schemi compositivi barocchi, ricorso ai grandi maestri dei secoli d’oro della pittura italiana, ripiegamento sul Medio Evo, ma anche attenzione per la storia e interesse per la natura e la realtà “[6 bis]- come imponeva d’altronde la corrente del realismo nelle sue differenti e svariate declinazioni ; corrente che connotò l’Ottocento, secondo l’oggettivismo positivistico imposto dalla mentalità borghese.

Ovviamente il tutto secondo l’importanza economico – sociale - politico- religiosa della committenza e la qualità e la personalità artistica degli esecutori.

In questo mondo artistico, in questo vario contesto figurativo, quali furono gli indirizzi e gli esiti di Lorenzone?

Gli indirizzi e gli esiti furono diversi, a seconda della possibilità del pittore di potersi esprimere con una certa libertà, in relazione alle richieste della committenza, come già abbiamo osservato in generale per tutti gli artisti. Non appartenne certo al corso del neogotico – vedesi Reffo e Rollini -, e neppure ad un riferimento preciso, poiché mise a punto un suo stile personale fatto di diversi stili fusi insieme con gusto personale, anche se da un dipinto all’altro prevaleva una corrente pittorica od un’altra.

Quanto al favore del pubblico, basta ricordare l’enorme successo di popolo che ottennero sia la pala di Maria Ausiliatrice che quella di s.Giuseppe, entrambe nel santuario salesiano di Maria Ausiliatrice

37 in Torino. Le opere risultarono di facile comprensione, riuscendo a coinvolgere direttamente i fedeli attraverso un pathos che ne colpiva efficacemente la sensibilità.

L’unitarietà, la semplicità, il realismo furono sempre perseguiti da Lorenzone, che cercò la chiarezza espositiva e , secondo quelle che erano le istanze religiose dei tempi, la rappresentazione veristica dei volti, dai lineamenti precisi e convincenti, frutto evidentemente della sua grande abilità come disegnatore che gli permetteva di trasferire facilmente sulla tela le sembianze dei modelli .

Le stesse cornici dei suoi quadri, che svolgono un’importante funzione estetica in quanto costituiscono l’interfaccia tra la creazione fantastica dell’artista e l’osservatore, sono lineari : se in legno, riportano solo regolari scanalature; se inserite nel contesto architettonico, sono cornici in marmo poco elaborate.

Insomma, non voli pindarici, ma esecuzioni chiare e lineari secondo le finalità richieste dalla committenza, rispettosa della tradizione, con parca concessione alle istanze personali.

Concludo notando l’estrema accuratezza di preparazione delle opere, quale si desume dal materiale ritrovato.

Esse partivano da un disegno sommario; sempre a matita venivano studiati i particolari e rappresentati i personaggi tramite modelli dapprima ‘in borghese’, poi panneggiati .

Lo studio a matita sia del complesso che dei particolari veniva arricchito e precisato ed eventualmente, sia l’uno che gli altri, anche acquerellato e alle volte dipinto ad olio.

Seguiva poi il lavoro completo a tempera su carta in formato ridotto, che prevedeva anche la esatta posizione della firma: questo serviva probabilmente come base da sottoporre al giudizio finale del committente.

In taluni casi il pittore realizzava ancora una tempera più grande su legno, ed anche degli studi ad olio di singoli personaggi.

Solo al termine di questo lungo iter veniva dipinto il quadro completo ad olio.

Tutto ciò lo si può affermare in base al materiale conosciuto, anche se di nessuna opera abbiamo tutto il lavoro preparatorio, lo studio dei particolari, poi dell’insieme , a matita e a tempera o ad olio.

Del quadro che diede la fama a Lorenzone, Maria Ausiliatrice, vedremo nel paragrafo che lo riguarda la successione di bozzetti e, nel capitolo dei ritratti, il bozzetto ad olio della testa di s. Marco. E’ pensabile che Lorenzone nell’occasione abbia realizzato una vastità di bozzetti con tecniche varie, che potranno saltare fuori in futuro.

Vedremo anche altri bozzetti e disegni per alcune altre pale, che danno l’idea del lavoro certosino di un pittore che, pur non essendo né un novatore né un grande artista, conosceva bene il suo mestiere che praticò con serietà e capacità per oltre mezzo secolo.

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1 Un voto alla Madonna 1845 Torino via Cottolengo 24 - Ex Ospedaletto di S.Filomena. Firmata presso il bordo basso, al centro,

Tommaso Lorenzone di Pancalieri

L’Ospedaletto di S.Filomena (l’Istituto rappresentato nel quadro) fu inaugurato il 10 Agosto 1845.

Fondato dalla marchesa Giulia di Barolo, esso costituiva un ricovero per ragazze povere portatrici di handicap, le quali vi ricevevano l’istruzione di base ed una formazione professionale , in modo che potessero rendersi autonome .

A proposito di questa tela il Paravia, celebre docente universitario dell’epoca, rileva che “La Vergine è in gloria col bambino fra le braccia; essa arieggia una di quelle vaghe e devote madonne , di cui è tanto feconda la pittura italiana” [7]. Il pregio del dipinto - nota ancora il notissimo critico - non risiede certo nell’originalità dell’invenzione, quanto nel cromatismo e nel disegno classico, anche se si avverte una certa debolezza di stile che richiede maggior controllo.

La disposizione delle quattro sante ai lati della Madonna, a sinistra s.Caterina d’Alessandria, poi accostata al Bambino s.Filomena, a destra con le mani sul petto s.Maddalena, ed infine con la croce s.

Elena , risente positivamente di una certa variazione rispetto al classico allineamento, in quanto la Maddalena situata più in basso risulta il tramite tra la terra che la vide peccatrice e penitente, ed il cielo in cui meritò di salire per la sua penitenza. La linea delle sante ne acquista, risultando non più una semplice retta statica, un elementare elenco di testimoni all’evento: in questo modo si fa meno netto ed improvviso lo stacco tra le sante in gloria e la Marchesa Giulia di Barolo (committente del quadro) , la quale in ginocchio raccomanda alla tutela della Vergine l’Istituto da lei fondato. Si crea cioè una catena di santità che collega la dama benefattrice, attraverso le sante, a partire dalla più umile, fino alla Madonna col Bambino.

Una nota critica negativa è rivolta invece dal Paravia alle nuvole sullo sfondo, non ben raggruppate e distinte, tale da conferire poco risalto alla parte superiore del quadro .

In definitiva, in questa tela che è una delle prime prove ad olio di Lorenzone - la prima da noi conosciuta tutt’oggi - si prefigurano già i pregi dell’artista, anche se il disegno delle figure risente effettivamente di qualche incertezza , e ancora non possiede quella perfezione che assumerà in seguito.

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foto Sergio Solavagione

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2 Madonna del Rosario con S.Francesco di Sales e la Beata Margherita di Savoia 1847 TORINO, Chiesa di S.Gaetano da Tiene .Firmata e datata sulla destra a metà: T.Lorenzone 1847/Torino.

L’opera fu commissionata dalla Compagnia del Rosario della piccola chiesa, situata al Regio Parco, intitolata al beato Amedeo di Savoia ed infatti in tale tempietto la tela risulta collocata nel 1853 [8].

La chiesetta era praticamente una cappella interna alla Manifattura Tabacchi edificata nel 1768 e possedeva tre altari , di cui uno dei laterali dedicato alla Madonna del Rosario. In seguito lo stabilimento venne abbattuto e la chiesetta fu sostituita da una nuova chiesa, inaugurata nel 1889 e intitolata a S.Gaetano da Thiene: nella cappella laterale destra , dedicata alla Madonna del Rosario (affrescata da G. Rollini), c’è il quadro.

Il dipinto fu presentato alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti nel 1847 e nell’Album dello stesso anno non risultò tra gli otto riprodotti a litografia, ma comunque comparve tra quelli degni di analisi: “E’ così commendevole sia per la composizione ed il colorito, sia per l’esecuzione, che senza timore alcuno può venir posto a canto alle principali opere di ben molti provetti dell’arte” [9] è il giudizio di un critico. Analogo il parere di un altro esperto, secondo il quale la pala “se non offre grandi novità, questa mancanza viene compensata dalla diligenza e dalla verità dell’esecuzione” ; il pittore inoltre viene giudicato ‘perito e consumato’[10].

Da quest’opera traspaiono gli aspetti migliori e i punti di debolezza dell’artista. Il disegno dei volti, delle mani, dei panneggi, ecc. sono d’ottima qualità, il che denota sicurezza virtuosistica acquisita all’Accademia; l’eccellente cromatismo del quadro, dai colori bene armonizzati, intensi senza essere squillanti : due fattori che fusi insieme conferiscono al dipinto un aspetto di gradevole armonia.

La disposizione delle figure , a piramide, risente invece della rigidità di simili pale quattrocentesche , dove l’unico tentativo di articolare in un minimo di movimento la composizione risiede nei diversi gesti dei due santi, mentre invece vengono privilegiate necessità didascaliche. Quanto poi all’effetto che produce, purtroppo è proprio quello di un ingessato sentimentalismo di carattere devozionale.

Non pare inutile sottolineare la funzione dei due santi che, posti accanto alla Vergine, hanno il compito di intercedere per i fedeli, secondo i dettami artistici della Controriforma : santi che sono posti in modo simmetrico, mentre una disposizione complementare avrebbe potuto conferire più movimento e vita al dipinto.

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foto Ufficio Arti e Beni Culturali-Curia metropolitana di Torino

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3 Madonna col Bambino con S. Teresa, S.Marcello vescovo e S.Bartolomeo 1853 Collezione privata cm 195 x 115. Firmato T.Lorenzone, in basso a destra.

La pala fu commissionata da Bartolomeo Rocca, socio della Promotrice, quasi certamente per la cappella di una sua tenuta ( il complesso si vede raffigurato al fondo del quadro, secondo un’abitudine del pittore).

Essa fu presentata alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti del 1853 e fu oggetto di una estesa analisi nel quotidiano L’Opinione [11].

Il critico inizia con gli elogi: “Chiare e nette le figure; gli abiti ben dipinti e coloriti, con mirabile abilità; lo splendore dell’oro ritratto dal vero; le nubi leggiere; la linea del paese che si distende lontano, laggiù sulla bassa terra contornata da queste alte regioni , tratteggiata con luce ed effetto”. E sono i pregi del quadro: molto gradevole l’aspetto cromatico; tradizionale la scelta dei colori per l’abito della Madonna (veste rossa e manto azzurro , a congiungere la terra e il cielo con il suo amore) , ben variati e sapientemente accostati gli altri. Così come la purezza dei colori, anche le forme nel loro perfetto disegno richiamano la pittura classica del ‘400/’500.

Poi inizia una critica feroce: i santi e le sante rappresentate con i soliti tipi di teste insignificanti e in atteggiamenti pietrificati; l’autore dell’articolo accusa quindi il pittore di mancanza di creatività , di ripetere concetti di banale conformismo, invece di cercare di esprimersi con originalità e personalità.

In effetti l’immagine è statica, mostrando in generale la propensione del pittore per la ferma icona, quantunque qui Lorenzone cerchi di conferire movimento alla scena con la differente posa, rispetto agli altri due santi, di S.Bartolomeo, dipinto di tre quarti di spalle ed accennante alla Madonna col Bambino.

L’opera è comunque abbellita dal bel paesaggio che arricchisce lo sfondo .

Per concludere, è opportuna qui l’osservazione della Farioli [6], la quale rileva che in generale “l’estetica del Lorenzone desta una strana impressione dovuta al misto di morbidi sfumati e panneggi rinascimentali o seicenteschi appoggiati sopra figure umane del XIX° secolo” : essa si può chiaramente applicare alla figura del S.Bartolomeo: ciò però può essere dato dalla richiesta del committente di essere ritratto (probabile in questo caso), secondo una moda che spingeva i ricchi borghesi a imitare i nobili del passato.

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4 Vergine col Bambino, S.Giovanni Battista, e con i santi Antonio Abate, Rocco e Sebastiano 1855 PIOBESI Torinese, Parrocchiale. Cm 430x280 - Firmato e datato ‘Lorenzone 1855’

foto Alessandro Manassero

45 Nel 1854 il paese fu afflitto dal colera, ed allora gli abitanti, su suggerimento del Pievano, decisero di implorare la protezione della Madonna, dedicando la loro Chiesa Parrocchiale alla ‘Natività di Maria Vergine’ e facendo dipingere un quadro dedicato a tale evento, da porre come ancona dell’altare. Il quadro costò L. 2175 e fu collocato nell’antica parrocchiale di Santa Maria il 4 Novembre 1855.

Importante è la disposizione e la gestualità dei personaggi, fra i quali in particolare S.Giovanni Battista - titolare dell’antica pievania di Piobesi - che è in una posa diversa da quella usuale (l’indice puntato verso il Salvatore o il Bambino , cioè il gesto-attributo semantico dell ‘ecce agnus Dei’ ) : qui invece punta l’indice verso il paese flagellato dal colera, chiedendo alla Madonna di intervenire per liberarlo dall’epidemia. In basso stanno S.Sebastiano, S.Rocco e S.Antonio Abate , i tre compatroni di Piobesi : anche loro, con ampia gestualità dal chiaro valore semantico, invocano l’intervento della Vergine. Sullo sfondo è dipinto un corteo funebre che si snoda in paese, e per lasciarne testimonianza Lorenzone scrive sulla pietra in basso a sinistra: “ Publicensium elemosinis ob votum die VIII septembris MDCCCLIV ad cholerae cessationem” e proprio lì si firma. Il giudizio estetico che della tela dà colui che l’ha studiata a fondo, Rinaldo Merlone, è il seguente: ‘L’opera esprime,nell’insieme, l’aura devozionistico-sentimentale, voluta dai committenti e propria degli intenti specifici dell’arte sacra contemporanea….Lorenzone si accosta pure alle tematiche del realismo e dello spiritualismo, evitando tuttavia di immedesimarsi nei canoni dell’eclettismo tardo ottocentesco. Ne sono un esempio le figure dei santi Rocco e Antonio, che vengono qui raffigurate con naturalezza nei loro attributi tradizionali, nello sguardo e nella barba dell’eremita, così carichi di espressività ritrattistica.’ [12].

Sempre Rinaldo Merlone ci informa di una citazione dell’opera sulla “Gazzetta Ufficiale” del 30 Ottobre 1854, in cui si afferma che questa tela fa annoverare Lorenzone ‘tra i pochi costanti seguaci della buona scuola italiana’.

A mia volta vorrei rimarcare la diversità strutturale di questa pala rispetto alle precedenti e la ben più alta qualità pittorica.

Le figure sono disposte in una forma che ha sì ancora del piramidale, ma anche con chiaro abbozzo di movimento rotatorio. Inoltre i vari santi sono colti in atteggiamenti diversi, sia di apertura delle braccia che come posizione delle gambe e quindi una disposizione per cui l’insieme non è per nulla statico, bensì animato da riuscito movimento. In tale distribuzione spiccano per valore plastico due personaggi, San Sebastiano e San Giovanni Battista , che erano fra i pochi casi in cui i pittori dell’epoca potevano ricorrere al nudo in un’opera sacra . San Sebastiano era per gli artisti ‘un pretesto in cui riversare, senza remore intellettualistiche, il proprio gusto e il proprio mondo’[13].

La freccia che trafigge il santo, la quale rappresenta simbolicamente la malattia (la peste), non ne scalfisce l’integrità dell’animo, cioè la fede, e quella del corpo, ovvero la bellezza : S. Sebastiano quindi può essere un secondo intercessore contro la peste, accanto a quello per antonomasia, S.Rocco .

I pittori nel raffigurare S. Sebastiano puntavano ad esprimere quel sentimento di splendore e bellezza che promana dal corpo nudo del santo e dal suo sguardo, taluni lasciando anche un po’ ai margini l’espressione della sacralità, curando soprattutto l’aspetto estetico, in modo tale da far sembrare il santo un pagano Apollo.

Lorenzone non si sottrae alla modernità: raffigura un s.Sebastiano con lo sguardo dalla intensa spiritualità, ma le sue forme perfette - di una plasticità tale da competere con le potenzialità spaziali

46 della scultura - emanano oltre che una purezza di idealità, una forte sensazione di bellezza profana; come scrive Sgarbi [13 bis] ” le immagini di s.Sebastiano prodotte dall’iconografia cristiana [sono] prodotte con una frequenza che è segno inequivocabile di una sublimazione erotica e talvolta morbosa del nudo maschile” Anche la figura di Giovanni Battista è un esempio di eccellente raffigurazione plastica . La pelle di cammello che cinge i fianchi del santo ed il manto che lo ricopre non nascondono la forza del corpo di colui che è abituato ad una vita spartana: si direbbe il fisico di un vero atleta, dall’avambraccio muscoloso, la spalla ed il torace possenti. Lo stesso S. Rocco, pur sofferente e con la piaga della peste sul quadricipite , mette in mostra delle gambe perfette.E’ un vero peccato che non conosciamo, al momento, altre opere, magari profane, in cui il pittore abbia potuto esprimere la capacità espressiva e la perizia nel disegno dell’anatomia maschile, messe a punto all’Accademia nelle quotidiane ore d’esercizio, sotto la guida del Biscarra.

Non si può infine concludere l’analisi del quadro senza rimarcare l’alta qualità della gamma cromatica , di superbo splendore, intonata in modo particolare, perché vede il rosso intenso come colore assolutamente predominante ( le vesti di S.Sebastiano , S.Rocco e della Madonna, il cimiero dell’elmo, un panno per terra accanto al cappello), che di primo acchito colpisce immediatamente lo sguardo con una vivissima e carica espressione d’insieme, prima ancora di coglierne i bellissimi particolari. .

Bozzetto s. Rocco

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5 Vergine col Bambino, S.Giovanni Battista, e con i santi Giuseppe, Gioacchino, Anna e Giacomo 1857 PANCALIERI, Parrocchiale, cm 260 x cm180 (compresa cornice cm 14) Firmato e datato ‘T.Lorenzone feci 1857’

foto Luciano Cerato

48 In basso a sinistra del quadro c’è scritto ‘Committente Giacomo Oddono’, ed è appunto per la cappella della tenuta “Groppo” (nei pressi di Saluzzo) , possedimento di questo benestante signore di origine pancalierese, che la tela fu dipinta e presentata alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti nel 1857.

Alla morte di Giacomo Oddono la proprietà passò in eredità al nipote Giovanni Battista Oddono (1887) e poi al figlio Melchiorre (m.1903); da questi alla sorella Adelaide (Adelina) e alla mamma Ermenegilda nata Bonaudi (m.1906) ; infine la figlia Adelina nel 1906 divenne l’unica proprietaria. A novembre del 1906 ella si sposò con il generale Eugenio Fasella. In seguito Adelina vendette la tenuta riservandosi il quadro della cappella , che donò alla parrocchiale di Pancalieri prima di trasferirsi a Roma con il marito ; nella cappella della tenuta Groppo rimangono tuttora posizionati gli spuntoni metallici che reggevano la pala.

La breve storia è raccontata parzialmente in un foglio anonimo rinvenuto dietro il quadro, riportante la data del 25 Settembre 1924 , scritto verosimilmente dal parroco pancalierese dell’epoca don Cravero ; le ulteriori informazioni, come la genealogia della famiglia, sono state fornite allo scrivente dai figli della donatrice.

Veniamo ora all’analisi di questo dipinto che è senz’altro uno dei capolavori del pittore, certo la pala più elegante fra quelle che a tuttoggi conosciamo : esso è realizzato con ‘raffinato stile tardoclassicista’ [12], e possiede alcune particolarità che lo distinguono da altre sue opere.

Innanzitutto , scegliendo un’impostazione di chiaro stampo rinascimentale, la sacra rappresentazione è situata entro un’architettura (vedi Piero della Francesca, Raffaello, ecc.), il portico di un tempietto dalle semplici forme arricchito da un tendaggio, il che permette di definire lo spazio e di conferire alla scena un tono raccolto e suggestivo: l’impressione del riguardante è proprio quella di ritrovarsi ad assistere come spettatore alla sacra conversazione sulla soglia della chiesetta.

La luce , non dovendo concorrere a definire lo spazio - già delimitato dalla struttura architettonica può essere disposta ad libitum, con ovvi vantaggi. Così dall’apertura al fondo proviene un soffuso, debole chiarore, mentre invece di fronte giunge un fascio di luce che illumina la scena, facendo risaltare la Madonna, il Bambino e il Battistino.

La disposizione dei personaggi non è a struttura classica piramidale - come spesso in Lorenzone – ma si articola secondo uno schema circolare-ellittico , già usato dai classici ma in seguito anche dai romantici . Tale schema ha due aspetti vantaggiosi : innanzitutto conferisce movimento , armonia e unità al complesso , poi serve a focalizzare l’attenzione sul magnifico Battistino, ricoperto dalla pelle ovina, con la sua croce astile, dalla capigliatura di biondi riccioli - opera di fine cesello - e dallo splendido roseo incarnato, immerso in una luce dorata che ne sottolinea i valori plastici e figurativi : vero gioiello nel capolavoro.

La complessità del dipinto è rimarcata dal fatto che il pittore non si sottrae ai tre classici livelli iconografici: - la scena sacra, la Sacra Famiglia in cui il ruolo prominente è quello della Madonna, che tiene in braccio il Bambino in atteggiamento di amorevole raccoglimento sul Figlio , posto su una specie di mobile; alle sue spalle, in posizione arretrata e secondaria, s.Giuseppe in rispettosa e devota attenzione e ai lati i genitori s.Anna e s.Gioachino, santi testimoni della dignità della Vergine e del carattere divino del Bambino. Singolare è l’atteggiamento di San Gioacchino, apparentemente distaccato dalla scena, con la mente volta altrove: vagamente pensieroso, egli ha lo sguardo rivolto in direzione imprecisata, ed esprime un senso di malinconica meditazione e lontana inquietudine, chiara nota di romantico realismo del quadro. La Sacra Famiglia è su una predella, a sottolineare quella che è la funzione devozionale della tela.

- sul piano centrale, sta a sinistra lo stupendo Battistino, a lato del manto azzurro della Madonna, e a destra, leggermente più in basso, il busto di S.Giacomo.

49 - nel piano più basso, sotto la linea della predella, a sinistra c’è l’agnello mistico che con uno sguardo d’umana attenzione sembra partecipe della sacra scena, a destra i consueti attributi del pellegrino di S.Giacomo maggiore, cioè la zucca per l’acqua ed il bastone del viandante.

Dunque, come si vede , una trama costruttiva del dipinto complessa , armonica e unitaria , che Lorenzone ha saputo realizzare con grande abilità su diversi piani non solo strutturali ma emotivi.

Vorrei poi sottolineare che la committenza privata dell’opera ha certamente influito , a mio parere, su certi particolari esecutivi. Il S.Giacomo in primo piano è senz’altro riferito al committente, nella prescritta posa devozionale omaggiante, inginocchiato e di profilo: di qui una certa enfasi figurativa, nell’idea che questo atteggiamento di sapore manieristico e d’intensità teatrale barocca potenzi il sentimento naturale, che esaltato diventa un più forte amore verso Dio e rimarchi quindi il personaggio. La tensione gestuale, che è concentrata soprattutto nelle mani, risponde comunque alla necessità di un maggior dinamismo della narrazione , ed è una prassi iconografica cui ricorsero abbondantemente i caravaggisti [14]. Sotto l’aspetto semiologico queste grandi mani, aperte parallelamente coi palmi all’indentro, sembrano significare , più che una stupefatta devozionalità, una forma di accoglienza del proprietario nella propria tenuta, a invocazione di benedizione e protezione della casa. Quanto alle fattezze dello stesso S.Giacomo esse, con ogni probabilità, se proprio devono riprodurre i lineamenti di una persona ben precisa, allora è logico pensare che rappresentino i tratti del committente Oddono Giacomo e non, come vorrebbe certa tradizione locale - di cui ignoro l’origine - quelli del Lorenzone, come è facile verificare grazie alla fotografia dell’artista. Un altro elemento da far risalire alla committenza è inoltre la posizione del piccolo Giovanni Battista, vero punto focale della tela, sia geometrico che d’attenzione per la fantastica fattura: potrebbe aver a che fare con quello che sarà l’erede di Giacomo Oddono, e cioè il nipote Gianbattista Oddono.

Ancora, sotto l’aspetto esecutivo, da notare la definizione assai accurata delle varie parti (visi,capelli, barbe, mani,ecc.) , di precisione ammirevole, che rendono le figure così naturali nella loro fisicità e fanno capire le grandi capacità di disegno del pittore; tutti i personaggi, anche quelli ‘minori’ come s.Anna e s.Giachino sono descritti con grande precisione nei lineamenti , negli abiti e nelle pose, il che apporta un forte grado di coerenza globale alla composizione.

Infine da rimarcare in questo dipinto la valenza cromatica che , sempre alta in Lorenzone, raggiunge qui un livello qualitativo veramente ragguardevole, nel magistrale accostamento di colori freddi e caldi, di tinte complementari.

I colori ai lati del quadro sono terragni, più scuri. Al centro la Madonna ha una veste rossa ( amore ) ; il manto è azzurro ( il cielo) ; l’interno del manto è verde ( la terra), rispettando il tradizionale rapporto, col quale la Madonna congiunge il cielo e la terra con il suo amore. Il Bambino è cinto e posto su di un lenzuolo bianco, il colore della purezza e dello spirito. Un effluvio di luce morbida e soffusa investe la Madonna, il Bambino e il Battistino, concedendo ancora più vivezza ai loro colori.

Il racchiudere la scena in una struttura architettonica , isolando e raccogliendo i personaggi , esprime come già sottolineato un sentimento di intimismo, il che unito alla dolce luminosità rosea del cielo leggermente screziato di nuvole, che compare dall’apertura sul fondo a sinistra, conferisce al dipinto un’aura di poesia. Concludendo , un’opera che rappresenta un vero capolavoro dell’artista 33-nne, ancora giovane ma già maturo e nel pieno del successo dell’attività, una magnifica espressione della sua migliore strumentazione figurativa classica e delle qualità coloristiche che, unite ad un dignitoso eclettismo, furono le sue doti migliori.

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La donatrice Adelina Oddono con la figlia Paola nel 1918.

Fotografia dal sito Internet del Comune di Pancalieri

Bozzetto s.Giacomo

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Apoteosi di S. Francesco da Paola 1859

TORINO Chiesa di S.Francesco da Paola, seconda sacrestia Firmato in basso a destra ‘Tomaso Lorenzone’

foto Ufficio Arti e Beni Culturali-Curia metropolitana di Torino

52 Il dipinto, che rappresenta in alto S.Francesco da Paola in gloria ed in basso Madama Cristina nell’atto di presentare al santo i suoi due figli Francesco Giacinto e Carlo Emanuele, ha avuto una storia movimentata, nei reciproci scambi con l’analoga ed originaria opera del Dauphin. Nella seicentesca chiesa di committenza ducale - costruita per soddisfare il voto fatto da Madama Cristina a S.Francesco da Paola onde avere l’erede - la pala dell’altare maggiore, rappresentante l’apoteosi di S.Francesco da Paola, era stata dipinta da C.Dauphin nel 1664/ ’65 e posizionata tra fine ‘65 e inizio ‘66. Essa non aveva incontrato generalità di consensi : forse taluni non ne gradivano lo stile, altri ne rilevavano la negativa mancanza dell’immagine della committente Madama Cristina, deceduta da poco [15].

Due secoli dopo Lorenzone realizzò , su committenza dei parrocchiani, la nuova ancona. La ricerca di A.Cifani e F.Monetti [16] ci informa di un articolo comparso sull’organo dei cattolici conservatori “L’Armonia” [16 bis] , grazie al quale sappiamo che la pala fu realizzata (o comunque completata) nel 1859 e giudicata ‘stupendo quadro’,su cui è sparsa ‘un’aria di perfezione e di finitezza’.

A quanto pare però non tutti erano d’accordo con l’intervento di sostituzione dell’opera del Dauphin, tant’è che l’operazione fu effettuata solo il 13 Dicembre 1860, come racconta sempre il Bosio.

L’opera del Dauphin venne allora relegata nella seconda sacrestia, e lo scambio sollevò molte critiche (anche se si può immaginare che , dopo due secoli di vita, la tela più antica non fosse in ottimale stato di conservazione). Nel 1869 il dipinto del piemontese è ancora al suo posto, come attesta Baricco [17], e ancora nel 1898 : stavolta a confermarcelo sono Borbonese, che parla del ‘gran quadro, opera del pittore Lorenzoni (sic!)’ [18] e Arneudo , che lo giudica ‘assai pregevole’ [19].

Giungiamo al secolo XX°, e nel 1932 troviamo che l’opera del Lorenzone è ancora nella sua collocazione prestigiosa [20] , mentre viene ripreso il giudizio dell’Arneudo ‘assai pregevole’. Quando avvenne lo scambio al contrario, con il ritorno dell’opera del Dauphin sull’altar maggiore?

Sappiamo che la tela del francese fu restaurata ed esposta alla mostra del barocco a Torino del 1963 [21] ed è da ipotizzare che proprio dopo tale evento, rimessa a nuovo, sia stata riposizionata nella sua antica sede. Mentre quella del Lorenzone, gravemente danneggiata, specie nella parte inferiore, fu rimossa e subì a sua volta un restauro nel 1978 [16]. Così nel 1982 la pala di Lorenzone risulta conservata nella seconda sacrestia, dove è tuttora situata.

La tela del Dauphin presenta figurazioni architetturali, il santo è attorniato da angeli , direi circondato, e volge lo sguardo in alto verso il cielo, di profilo. Lorenzone invece ritrae S.Francesco da Paola frontalmente, sguardo meno ieratico e meno rivolto verso l’alto, accompagnato da angioletti disposti qua e là, e soprattutto in basso dà rilevanza alla famiglia reale con la presenza , a fronte di Maria Cristina, dei suoi due figli.

E’ molto interessante il fatto che Lorenzone , rispetto a Dauphin, aggiunga la figura della duchessa, inginocchiata supplice a destra . L’idea fu sua o gli venne suggerita? Sono propenso a credere che fu la sua sensibilità a suggerirglielo, come d’altronde ipotizzano F. Monetti e A. Cifani [15], che sottolineano la formazione del pittore ‘ricca di riferimenti storici e di gusto per le scene in costume’ .

Notevole è comunque la figura di Maria Cristina, ritratta alla perfezione nei lineamenti, il modellato del capo, la fisionomia, le vesti sfarzose, sì da esprimere una ‘attitudine maestosa insieme e divota…. per cui senza scambiarla con una Santa vedi essere ella penetrata da gravi e santi pensieri, e tutta assorta nella preghiera che dirige al suo Santo protettore’[16 bis] .

Di contrasto alla bellezza femminile della nobildonna è quella celeste ma ruvida del santo, le cui fattezze macilente ma vive esprimono ‘una carità di paradiso che tutto lo investe’ [16 bis] ; sul fondo scuro risalta il suo volto, su cui risplende la fiamma interiore. Sicchè, ponendo a raffronto le due figure così differenti , si ottiene di rimarcare contrappuntisticamente le due bellezze di natura e tipo così diverso tra loro.

53 Da sottolineare ancora la toeletta della duchessa, nella quale Lorenzone può esprimere tutta la sua maestria nell’arte dei panneggiamenti e delle pieghe, nel cui esercizio tanto insisteva all’Accademia il suo maestro Biscarra ; allo stesso modo degni di nota gli abbigliamenti dei due figli, della cui ricchezza di particolari il pittore poteva aver tratto esempio da una nota opera di van Dyck, ‘I figli di Carlo I d’Inghilterra’, presente nella Galleria Sabauda e a suo tempo proprietà proprio di Madama Cristina.

Questa caratteristica del dipinto fa sì che il giudizio stilistico di diversi studiosi volga verso l’inserimento dell’opera nel filone del gusto troubadour. Questo stile nacque in Francia all’inizio del XIX° secolo, e si caratterizzò per l’ispirazione volta al passato, particolarmente all’epoca medioevale, ma anche a quella rinascimentale, attraverso la raffigurazione di episodi storici ambientati in dette epoche, accompagnata da descrizioni dettagliate e minuziose dei particolari (ad es. gli abiti dei personaggi) , scene famigliari di carattere intimo, avventure cavalleresche e storie d’amore.

Lo stile troubadour può quindi anche essere considerato come una manifestazione del romanticismo; esso era presente a Torino coi grandi dipinti sullo scalone di Palazzo Reale , ed ebbe in Piemonte dei notevoli esponenti come Massimo D’Azeglio e Migliara.

Madama Cristina

s.Francesco da Paola

I figli

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7 S.Biagio invoca il patrocinio di S.Giuseppe 1861 CASALE MONFERRATO (Al),Cattedrale.

Chiesa

Fotografia Silvana e Domenico Coalova

sulla

55 Firmata col monogramma TL , in basso alla sinistra del pettine di metallo .

Nel corso del XIX° secolo il Duomo di Casale Monferrato subì una radicale ristrutturazione: l’edificio versava in gravi condizioni di degrado, tant’è che ne fu proposta la demolizione. Il vescovo monsignor Luigi Nazari di Calabiana decise però di provvedere ad un restauro; il rifacimento durò dal 1857 al 1861 . L’opera del Lorenzone può quindi essere datata nel 1861.

La tela è inserita in una pregevole cornice mistilinea in marmo . Essa è figurativamente molto semplice : è divisa in due parti distinte, separate dalle nuvole che la dividono diagonalmente da sinistra in alto a destra in basso.

Nella fascia superiore c’è s.Giuseppe col Bambino, accompagnato dall’angelo che reca la verga fiorita del prescelto e attorniato al solito dagli angioletti. L’area è illuminata da una zona di luce dorata alle spalle del Bambino e di s.Giuseppe.

Nella seconda fascia c’è san Biagio che, inginocchiato, volge il braccio sinistro verso la cattedrale di S.Pietro in Roma. Tale area è avvolta da una luce smorzata, quella tenue del tramonto che appare dietro la basilica , in cui risaltano i diversi colori degli abiti vescovili che digradano verso lo scuro: oro, porpora, viola, nero, con l’eccezione al fondo di uno scampolo bianco della cotta. Questo, unito ad una zona più chiara, mette in risalto lo strumento del supplizio , il pettine di metallo che veniva usato per cardare la lana e col quale venne scorticato il santo, ed il simbolo del martirio, la palma.

In primo piano, a destra , le erbe incolte scure, in controluce.

La rappresentazione dell’esedra e della cupola di s.Pietro hanno una chiara spiegazione: infatti oltre a s.Biagio anche s.Giuseppe - protettore universale della Chiesa - accenna con la sinistra al colonnato del Bernini. .Si tratta quindi di una invocazione di protezione divina nei confronti di Roma e del papa, attraverso l’intercessione di S.Giuseppe. Teniamo presente che, alla data di realizzazione del dipinto che abbiamo indicato, il 1861, l’unità d’Italia è appena stata compiuta: ma manca ancora all’appello, oltre il Veneto, proprio Roma!

Bozzetto - Collezione privata

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8 Il martirio di santa Lucia 1862 CONZANO (Al) , chiesa parrocchiale di s.Lucia. Cm 280x180 Firmata con le iniziali TL sull’estrema sinistra del braciere, in basso a sinistra. In basso a destra ci sono invece la data e l’annotazione della donazione della tela da parte del parroco don Giuseppe Martinetti, per iniziativa del quale la chiesa era stata restaurata.

Il nome del pittore compare nel parrocchiale “Libro delle entrate e delle uscite” del 1862, con i costi sostenuti per il trasporto del quadro in ferrovia fino a Casale. Il successivo tragitto per Conzano avvenne, secondo le memorie orali, su due rustici carri e con festeggiamenti entusiastici all’arrivo della pala della santa patrona in paese.

L’opera si svolge su diversi piani.

In alto i soliti angioletti, con la palma del martirio e la corona di fiori.

Nel piano di mezzo la rappresentazione del martirio di Lucia.

Da un lato il carnefice in veste di romano, con il vassoio su cui sono deposti gli occhi e il coltello usato per cavarli ( l’episodio in realtà è privo di fondamento ; gli occhi sul piatto sono da collegarsi con la devozione popolare che ha sempre invocato Lucia come protettrice della vista , a causa del suo nome da Lux, luce).

Dall’altro il prefetto-giudice romano Pascasio, che indica minacciosamente un ceppo. Al centro la santa, raccolta su sé stessa, in una posa di abbandono alla volontà di Dio; l’aureola appena accennata sul capo reclinato indica chiaramente il momento di transizione, in cui dalla dimensione terrena viene proiettata in un mondo ideale, quello spirituale del regno celeste, come suggerito dai colori stessi della veste, il bianco della purezza e l’azzurro del cielo. L’atteggiamento di Lucia, composto e rassegnato, viene viepiù esaltato dal contrasto con la crudeltà del resto della scena.

Il misticismo del quadro è accentuato dallo ‘stesso lumeggiare di parte della tunica di Lucia, in contrasto con i toni più cupi del contorno, che serve ad illuminarne il volto e lo splendore, accentuato dal fascio di luce, in cui volano gli angioletti’ [22].

Fanno da sfondo alla scena altri legionari dinnanzi a un tempio e l’accenno di altre costruzioni.

In basso la predella su cui è abbandonata una veste, occultata a sinistra dal braciere con le tenaglie.

E’ una tela dove si evidenzia chiaramente l’impostazione classica ricevuta dal pittore all’Accademia, sia nelle figurazioni anatomiche dei protagonisti, sia per gli abiti, sia infine per la scenografia.

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Fotografia Silvana e Domenico Coalova

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9 M.Ausiliatrice 1868 TORINO, Santuario M.Ausiliatrice cm 700x400 ca.

Immagine Congregazione Salesiana

59 Perché l’immagine di Maria Ausiliatrice La devozione a Maria Ausiliatrice è legata a momenti di gravi difficoltà per la Chiesa e la cristianità.

Papa Pio V , dopo la decisiva vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571) delle potenze cristiane contro i Turchi, decise di inserire nelle Litanie Lauretane il preconio Auxilium Christianorum. Da allora questa devozione si diffuse dappertutto, e specialmente in Baviera,da dove sembra si trasmise in Piemonte grazie al cardinale Maurizio principe di Savoia, che fece costruire nella chiesa di S.Francesco da Paola a Torino una cappella dedicata all’Ausiliatrice.[23] Pio IX nel 1850 celebrò il ritorno dall’esilio di Gaeta all’altare di Maria Ausiliatrice di s.Carlo ai Catinari; nello stesso anno il 24 Maggio fu la volta di una celebrazione in onore di Maria Ausiliatrice a Santa Maria sopra Minerva [6].

Sempre in quel periodo a Roma - con chiare implicazioni di natura politica ed ecclesiale - fu sviluppatissimo il culto di Maria Ausiliatrice, la cui forza don Bosco poté constatare nel viaggio a Roma del 1858 : si può quindi immaginare che , in quel tumultuoso periodo storico dell’Italia, lui decise di porre a protezione della sua azione cristiana e della sua idea di Chiesa la costruzione del santuario con relativa pala dell’altare principale, quale ideale bastione e faro di luce cristiana rispondente alle diverse istanze religiose, ecclesiali, educative, politiche.

Quanto all’immagine, don Bosco non assunse nessuna di quelle, varie, allora in voga, ma ne preferì una sua, che è diventata da allora il riferimento iconografico privilegiato per l’Ausiliatrice. A quei tempi erano due le correnti pittoriche concernenti la pittura sacra: una si richiamava al Medioevo e allo stile gotico, l’altra invece era più varia, avendo come riferimento l’epoca che va dallo stile classico rinascimentale fino alla Controriforma . Don Bosco optò per questo secondo indirizzo, per diverse ragioni: ‘il senso del sacro, l’influenza romana, il bisogno di grandiosità’ [6] e conseguentemente scelse come pittore Lorenzone, valido esponente dello stile eclettico e da tempo da lui conosciuto .

Il quadro E’ l’opera che ha dato la fama all’artista pancalierese: l’icona della Madonna col Bambino è conosciuta in tutto il mondo cattolico, riprodotta nelle case salesiane e nelle chiese in diversi modi, in fotografia, stampa e anche come statua; lo stesso don Bosco ne promosse la diffusione tramite immaginette corredate dalla sua firma.

Le varie figure sono rappresentate nel quadro nelle posizioni seguenti.

Nella parte bassa, da sinistra a destra: Giovanni, col calice in mano e l’aquila al fianco; Marco, seduto sul leone; Pietro, le chiavi in mano; la basilica di M.Ausiliatrice e in alto Superga; Paolo, con la spada; Luca, seduto sul toro ; Matteo, con l’angelo. Sempre a destra, sopra Matteo, Giacomo il Maggiore, con il bastone e la zucca del pellegrino.

Nella parte mediana: a sinistra Bartolomeo, col coltello; Mattia,con il sasso; Tommaso con la lancia; Simone con la sega ; a destra : Giacomo il Minore, con la clava; Filippo con la croce; Giuda Taddeo, con l’accetta; Andrea, con la croce di ‘Sant’Andrea’.

In alto, Maria Ausiliatrice con il Bambino, incoronata dalle 12 stelle (attributo escatologico derivante dall’Apocalisse), con la corona e lo scettro; sopra ancora la colomba, simbolo dello Spirito Santo, e l’occhio inserito nel triangolo : Dio Padre e la Trinità.

Commissione La commissione diretta da parte di Don Bosco ed altri particolari vengono ricordati nelle Memorie Biografiche di Lemoyne [24 vol VIII].

Il pittore ridimensiona il progetto grandioso di Don Bosco, obiettando che per realizzarlo ci vorrebbe piazza Castello, dimostrando il suo assunto colle regole della proporzione, misure alla mano: al che Don Bosco deve convenire che il pittore ha ragione. Lorenzone prende in affitto un altissimo salone di palazzo Madama per la realizzazione dell’opera che richiederà tre anni.

60 Lemoyne riporta alcune annotazioni interessanti: la prima è che , a lavoro quasi ultimato, il pittore si accorse che il leone accanto a S.Marco era riuscito così bene da sviare l’attenzione dal soggetto principale, sicché dovette dargli una posa meno viva; la seconda è la dichiarazione dell’artista ad un sacerdote in visita nello studio : “Non sono io che dipingo; c’è un’altra mano che guida la mia”; infine l’emozione di Lorenzone che, allorquando il quadro fu portato in chiesa e sollevato al suo posto, cadde in ginocchio prorompendo in un pianto dirotto.

Inaugurazione L’opera fu inaugurata contemporaneamente all’apertura al culto della Basilica il 9 Giugno 1868, e venne accolta da entusiastici commenti da parte della gente.

Incoronazione e scettro Il Papa Leone XIII, ricorrendo il venticinquesimo anniversario del suo pontificato, decretava nel febbraio 1903 la solenne incoronazione della veneratissima immagine della Madonna Ausiliatrice. A compiere il rito fu delegato dal Pontefice il Cardinal A.Richelmy, Arcivescovo di Torino, cosa che avvenne il 17 Maggio. Il 9 Giugno del 1918 il Cardinale salesiano Giovanni Cagliero, per mandato di Papa Benedetto XV, appose all’immagine di Maria un prezioso aureo scettro, dono della principessa Isabella y Camposagrado Czartoryski. Ricorreva in quell’anno il primo cinquantenario della consacrazione del santuario.

Trasferimento Poiché la bufera della guerra continuava ad infuriare sopra Torino, nel dicembre del 1942 il quadro dell’Ausiliatrice e quello di San Giuseppe lasciarono il santuario per sfollare sulla collina di Castelnuovo d’Asti, presso la casa natia di Don Bosco. Al termine della guerra , finalmente, il 4 maggio 1945 il gran quadro dell’Ausiliatrice veniva ricollocato al suo posto [25] .

Analisi e giudizi Per quanto riguarda la lettura visiva dell’opera e l’analisi del linguaggio pittorico, conviene rifarsi alla fondamentale monografia della Farioli [6], di cui riportiamo un passaggio: ‘ Nell’opera non c’è una vera e propria prospettiva, ma semplicemente le figure principali sono in primo piano. C’è invece simmetria nella disposizione delle figure e anche nell’impiego dei colori, attraverso l’alternanza di toni caldi (rosso, arancione, giallo, ecc) e toni freddi (blu, verde, viola,ecc).

La luce è semplicemente diffusa , essa serve per accarezzare gli incarnati ed i drappeggi, avvolgendoli di lievi sfumati moderati, che restituiscono all’insieme la sua tipica, plastica vivacità cromatica’.

Insomma, un’opera di grande ortodossia classica, di disegno accurato e preciso ma, diciamolo francamente, rigidamente ingessata. A questo proposito è perentorio il parere degli autorevoli Monetti-Cifani: ‘Nessuno parla d’arte, e su questo punto non c’è riscatto’. [26] Ricordiamo però ancora il giudizio di Don Bosco: ‘In generale il lavoro è bene espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che non mai perderà, è l’idea religiosa che genera una divota impressione nel cuore di chiunque la rimiri’ [27] : era la principale richiesta sua all’artista, riguardante la funzione del quadro che deve trasmettere i fondamentali valori di fede al popolo; e proprio in questo senso, quello di arte popolare, l’opera acquista una sua propria ampia validità.

Copia Esiste una copia identica del quadro (salvo un particolare) , di uguali dimensioni, ed è opera di un altro pittore di fiducia di Don Bosco, Giuseppe Rollini; essa venne dipinta nel 1897 e destinata come pala dell’altare maggiore della chiesa salesiana di Sucre in Bolivia [28] .

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Bozzetti E’ interessante vedere lo sviluppo del lavoro di Lorenzone attraverso i vari bozzetti preparatori.

Da notare come il leone , ritratto in modo superbo, venga man mano nascosto perchÊ non attiri troppo l’attenzione sviandola dalla rappresentazione sacra.

Disegno su carta. Centro di documentazione, Torino, Maria Ausiliatrice

Tempera su legno. Torino,Valdocco

Acquerello. Roma, Archivio Centrale Salesiano

Bozzetto-olio su tela- di s.Marco. Immagine casa antiquaria Dantan di Arras (Francia)

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10 S.Giuseppe col Bambino accanto alla Vergine (ovvero Sacra Famiglia) 1873 TORINO, Santuario M.Ausiliatrice cm 400x240

Immagine Congregazione Salesiana

63 La devozione di S.Giuseppe, che apparteneva alla tradizione della chiesa cattolica già dal passato remoto, fu incrementata dalla decisione di Pio IX ,nel 1847, di estendere a tutta la Chiesa una festa tradizionale a Roma fin dal 1478, quella del Patrocinio di San Giuseppe, da celebrarsi la terza Domenica dopo Pasqua. E’ dunque facile capire il perché dell’altare e relativa pala di S.Giuseppe nel santuario di Maria Ausiliatrice. Da aggiungere inoltre che lo stesso Pio IX l'8 dicembre 1870 - mentre il quadro era in corso d’opera - proclamò S.Giuseppe patrono della Chiesa universale, da cui derivò la superiorità dello sposo della Vergine su tutti gli altri santi.

La pala di S. Giuseppe fu eseguita dal Lorenzone su commessa diretta nel 1868 di Don Bosco ‘che più volte si recò nello studio del pittore per osservare come procedeva il lavoro e per sollecitarne il compimento. Le figure sono tutte in primo piano perché Don Bosco, pur desiderando di onorare in modo speciale s.Giuseppe cui l’altare è dedicato, volle che il quadro rappresentasse la Sacra Famiglia’[25].

Il quadro rappresenta S.Giuseppe che, in piedi sopra una nuvola , e con a lato la Madonna, tiene in braccio il Bambino Gesù. Il Bambino ha un panierino di rose, che porge alla Madonna, la quale gli dice di offrirlo a s.Giuseppe, che a sua volta regala le rose ai fedeli (i fiori figurano le grazie); in basso il santuario di Maria Ausiliatrice e il complesso degli edifici del Valdocco (notare , facendo il confronto con la pala di Maria Ausiliatrice, lo sviluppo delle costruzioni in pochi anni) . L’angelo della verga ha le fattezze di una bimba, figlia della marchesa Fassati - amica e benefattrice di Don Bosco -, morta ustionata anni prima (idea del santo).

La tela fu inaugurata il 26 Aprile 1874, ma era già ultimata nel 1873; infatti in una lettera da Vignale del 14 Ottobre 1873, Don Bosco scrive a Don Rua : “Tra D.Cagliero e D.Savio pensate al quadro di S.Giuseppe che è presso al Sig. Lorenzone finito, e non manca più che la cornice poi si metta a posto” [24 vol IX] Don Bosco lo descriveva già nel 1868 [27], commentando il gesto del Salvatore fanciullo che nell’atto di porgere un canestro di fiori alla madre pare dica: “flores mei, flores honoris et honestatis”. A sua volta la Madonna lo offre a S.Giuseppe affinché per mano sua siano regalati ai fedeli. ‘I fiori figurano le grazie, che Gesù offre a Maria, mentre essa ne costituisce S.Giuseppe assoluto dispensiere, come appunto lo saluta Santa Chiesa: constituit cum dominum domus suae’. In seguito,a proposito del significato delle rose rosse e bianche, il santo accettò l’interpretazione suggeritagli da un suo ex compagno di seminario, che ‘le rose bianche figurino le grazie che piacciono a noi, e le rose rosse quelle che piacciono di più a Dio’, indicando come migliori quelle rosse.

Come già detto, l’opera fu inaugurata in Maria Ausiliatrice nel 1874, il 26 Aprile festa del patrocinio di S.Giuseppe. Vivo ricordo della cerimonia compiuta dallo stesso Don Bosco è presente nelle memorie del Lemoyne [24 vol.IX].

Lo sguardo ansioso dei partecipanti era fisso sulla tela che copriva il quadro; e dopo che la tela venne scoperta si cantò la messa solenne. Don Bosco fece fare delle fotografie del quadro che vennero largamente diffuse nella libreria dell’Oratorio.

Quanto al giudizio estetico, è significativo il commento di uno dei presenti all’inaugurazione : “Non è un quadro che vediamo,è una predica”. [24 vol. IX].

L’Unità Cattolica del 7 Maggio ne tesseva queste lodi in questo modo: “Il concetto che informa il lavoro è semplice,ma, divoto quanto mai, è adatto alla capacità del popolo, per fargli conoscere ad una semplice occhiata la sublimità e la potenza del gloriosissimo Sposo della madre di Dio”[24 vol.IX] E’ un commento che dice tutto sull’opera , eseguita con la tipica tavolozza luminosa del pittore e nel suo stile armonioso, che assolve pienamente i compiti devozionali richiesti. Insomma, anche qui come per la pala di Maria Ausiliatrice, la validità va ricercata non tanto seguendo criteri di pura natura estetica, quanto rifacendosi al concetto di arte popolare.

64 Notevole, infine, il paesaggio sullo sfondo con il santuario di Maria Ausiliatrice in primo piano; interessante poi confrontarlo con l’analogo dell’opera precedente, per vedere di quanto si è sviluppata la zona di Torino in pochi anni.

Da Maria Ausiliatrice

Dal s.Giuseppe

Bozzetti Bozzetto a matita acquerellato. Firmato TL in basso a sinistra.Coll.privata

Il bozzetto presenta il Bambino in braccio alla Madonna invece che, nella stesura finale, a S.Giuseppe. Probabilmente la posizione è stata cambiata per evidenziare l’importanza di S.Giuseppe, patrono della Chiesa.

Bozzetto ad olio cm 48x27,5- coll.privata.

La precisa descrizione del quadro da parte di Don Bosco nel 1868 ha prodotto un interrogativo: come era possibile che già allora ne potesse fare una descrizione dettagliata? Poteva forse essere certo con largo anticipo della peretta aderenza esecutiva del Lorenzone al suo progetto?

Il rebus è stato risolto con la scoperta nel 2003, da parte dello studioso Natale Maffioli, di un bozzetto del quadro, le cui figurazioni a parte le dimensioni - sono quasi uguali alla stesura finale. Sul telaio c’è la scritta ‘Carlo Morgari’, ma “l’attribuzione al Lorenzone è agevole, vista l’evidente parentela con l’opera definitiva” [29]. Grazie ad esso Don Bosco poté descrivere il quadro con largo anticipo.

Infatti la figurazione è pressoché identica: “nel quadro definitivo, le figure sono più voluminose e l’angelo di sinistra presenta un panneggio leggermente più abbondante, con uno svolazzo di tessuto dietro le spalle” [29]

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11 Il Beato Valfré soccorre un soldato ferito durante l’assedio di Torino del 1706 (ovvero La carità del Beato Sebastiano Valfré) 1874 TORINO, Chiesa di S.Filippo Neri Firmato TL in basso a destra sotto il tamburo, a livello della cornice.

foto da libro [29 bis]

66 Lo Stella afferma [30] che la grande ancona del Lorenzone sostituì un’opera di Fernando Cavalleri, che ornava precedentemente l’altare dedicato al beato Valfré, nel 1870. Possiamo però fissare al 1874 l’anno di compimento dell’opera, come suggerito dalla quietanza autografa di Lire 4500, rilasciata dal pittore al parroco don Felice Carpignano, che è del 15 Gennaio 1875.

Sulla grandiosa tela concordano i giudizi positivi di tutti i critici: ‘[L’opera] ritenuta forse la migliore di tutta la sua produzione…. Caratterizzata da un certo piacevole realismo narrativo, essa appare più libera, fresca ed immediata’-Farioli [6] ‘Lorenzone produce uno dei suoi quadri più geniali . Alcune [figure] esprimono toni di grande pathos.

Nell’affrontare una tematica molto cara alla chiesa torinese, Lorenzone personalizza pienamente i canoni veristici’ - Merlone [12] ‘La pala può essere considerata uno dei suoi migliori dipinti. Il contesto storico in cui è collocata la vicenda è anche veicolo di sentimenti umanitari e patriottici’ –Thellung [30] ‘Quando Lorenzone, ricordandosi di essere anche pittore di storia, svolge un tema sacro calandolo nella realtà, trova i suoi momenti migliori’- Maggio Serra [31] GAM-Torino

Interessante è l’accostamento al magnifico ‘Pietro Micca’ di Andrea Gastaldi.

E’ molto significativo il modo in cui, al di là del livello qualitativo delle rispettive opere, i due artisti – quasi coetanei – interpretano l’assedio di Torino del 1706, un classico dell’iconografia romantica piemontese.

Gastaldi realizza una grande tela che sarà esposta alla Promotrice nel 1860 ed acquistata dal Municipio di Torino, il cui titolo completo è : ‘Pietro Micca nel punto di dar fuoco alla mina volge a Dio e alla Patria i suoi ultimi pensieri’ .

Gastaldi sceglie l’evento più eclatante e l’individuo che ne è protagonista; pone l’attenzione esclusivamente all’eroe e – in un’ambientazione essenziale, quella angosciosa del sotterraneo – ne coglie la grande tensione interiore in cui si raccoglie nell’attimo del gesto suicida che salva la città.

‘La realtà è accessoria, protagonista è la sublimazione dell’eroico suicidio su un piano ideale dove bellezza morale e bellezza fisica si incontrano ’ [32].

Completamente diverso invece il modo di affrontare l’evento storico da parte del Lorenzone, data anche la committenza riferita al beato Valfrè e al luogo di culto cui la pala era destinata.

Egli, in una tela molto più grande di quella del Gastaldi, ne dà una rappresentazione ambientale spaziosa e realistica ( palle di cannone, rottami, cocci, ecc.) e socialmente rappresentativa delle classi più umili . Il riferimento alla patria è solo indiretto, perché qui la popolazione si rapporta alla drammatica realtà del momento attraverso il riferimento privilegiato della religione.

Così il soldato ferito in primo piano è invitato a baciare il crocefisso; a fianco, una donna con i suoi due bambini si rivolge invocando protezione al religioso, verso il quale convergono altri militari , ancora con un ferito ; al fondo del dipinto la gente si raccoglie attorno al santuario della Consolata.

In primo piano il beato indica con la mano verso l’alto l’immagine della Madonna col Bambino, simbolo di misericordia.

Ci sono tutti gli aspetti della religione, organicamente dislocati: il luogo di culto, il religioso, l’immagine di Cristo e l’icona della Madonna, che rappresentano al contempo trascendenza e

67 immanenza di Dio sulle umani sorte. D’altronde il Valfré scrisse sul suo diario: «Del 1706 restò liberato Torino dall’assedio de Francesi gratia singolarissima che ci fece Dio».

Con questa tela “Lorenzone fu anche l’autore di riferimento per dipinti che inserivano l’elemento soprannaturale nella narrazione storica, testi di linguaggio colto ma capaci di mantenere la comunicatività dell’ex voto” [33].

Conosciamo alcuni bozzetti che esponiamo in questa sede; essi danno l’idea del lavoro minuzioso del pittore.

Vediamo con quale accuratezza l’artista studia le pieghe della gonna e del foulard della donna in primo piano, coi figli, a sinistra nel quadro.

Qui il bozzetto ritrae il ferito, in primo piano, sorretto dai commilitoni, a destra nel quadro.

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12 Giulia di Barolo presenta le suore di s.Anna alla TrinitĂ 1876 TORINO Cappella delle Suore di S.Anna, Casa Madre,Via della Consolata 20.

Fotografia Sergio Solavagione

69 La disposizione delle immagini nella parte superiore è quella di Maria Ausiliatrice , con la Trinità in posizione centrale, coronata dagli angioletti; nella parte mediana del dipinto, sui due lati, da una parte la Madonna e S.Giuseppe, dall’altra S.Anna e S.Gioacchino; infine nella zona inferiore ‘la dimensione dell’oggi terreno rappresentata dalle figure ritratte della Marchesa Giulia di Barolo nel gesto di offrire a Dio e ai Santi l’Istituto religioso da lei fondato, rappresentato da alcune suore, tra cui la Beata Enrichetta Dominici, allora superiora generale della Congregazione.’ [6] Suor Enrichetta Dominici, originaria di Carmagnola, fu la committente dell’opera in memoria della grande filantropa nonché fondatrice della congregazione, Il ritratto della marchesa Giulia di Barolo – morta il 19 Gennaio 1864 - fu eseguito da Lorenzone basandosi evidentemente sui passati contatti diretti con la marchesa. La grande benefattrice infatti era per lui una conoscenza di vecchia data, nonché una dei primi clienti, come testimonia il quadro presentato alla Promotrice del 1845 ‘Un voto alla Madonna’ , allogato alla signora Marchesa Barolo, per l’Ospedaletto di S.Filomena (l’opera, come abbiamo visto, è al n° 1 del presente capitolo).

Il dipinto doveva soddisfare varie istanze: indicare la persona della fondatrice perpetuandone il ricordo, rimarcare l’impegno della continuatrice con le consorelle, sottolineare la devozione a S.Anna , la Figlia con lo sposo Giuseppe, sotto lo sguardo della Trinità.

Lorenzone ha prodotto qui un’opera realistica, che propone il tutto senza voli pindarici, nel consueto ordine , con garbo , armonia e i soliti gradevoli valori cromatici, intensi e luminosi ma non carichi.

La Domenica 15 Giugno 1876 la nuova ancona fu inaugurata per la Messa Solenne celebrata in occasione della doppia festa, e cioè la riconferma della Dominici a superiora della congregazione e l’anniversario dell’ascesa al trono pontificio di Pio IX [34].

Del quadro esiste questo bozzetto a guazzo in collezione privata. Vediamo anche il bozzetto di una delle suore.

Bozzetto a matita

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13 La tentazione di S.Tommaso d’Aquino 1877 CHIERI , chiesa di S.Domenico (altare a capo della navata a sinistra). Firmato TL in basso

Nel 1877, per dare una conveniente sistemazione alla reliquia del cingolo di S.Tommaso, si decise di ristrutturare la cappella di S. Tommaso (altare, pavimento, balaustra, finestra). Intanto T. Lorenzone dipingeva per 800 lire il quadro che rappresenta ‘S.Tommaso cinto dagli angeli’ ovvero ‘La tentazione di S. Tommaso’ [35]

La storia: il giovane Tommaso aveva deciso di vestire la candida veste domenicana, contro il parere della famiglia che lo rapì (1243) e rinchiuse per due anni nel castello di Monte San Giovanni Campano (Fr), onde farlo desistere dalla vocazione di predicatore, con minacce ed anche tentandolo nella virtù. Si narra infatti che notte tempo fu introdotta una prostituta nella sua stanza per sedurlo: ma il giovane, forte nelle sue intenzioni ed affidandosi al Signore, prese un tizzone rovente con il quale scacciò la donna. Tommaso rimasto in preghiera ringraziò il buon Dio per lo scampato pericolo e chiese che gli fosse fatto dono della perpetua castità. Fu allora che due angeli cinsero con un cingolo i fianchi del santo, il quale fu preservato perennemente, in forza del dono divino, da tentazioni alla virtù della castità.

Velasquez 1630 ca. Museo Diocesano di arte sacra .Orihuela (Alicante, Spagna)

Il soggetto non era nuovo, anzi. Altri pittori l’avevano trattato, rappresentando l’evento in modo meno essenziale, più ricco come scena ed ambiente. Lorenzone invece fissa la scena nell’attimo in cui il santo, evitato il pericolo, si rivolge a Dio. Nel primo piano la mantella nera è ridottissima mentre invece quasi tutto lo spazio centrale è occupato dal bianco della veste, simbolo della purezza. Lo sguardo di Tommaso è rivolto verso l’alto in un’espressione di intenso misticismo, e sia lui che l’angelo alla sua sinistra levano una mano verso il cielo a indicare il luogo da cui proviene la salvezza, mentre l’altro angelo gli sistema il cingolo. Al di sopra, come al solito, il coro degli angioletti.

E’ un’opera di semplice struttura piramidale, ma comunque di garbo, dove il disegno degli angeli è di sapore pienamente classico, il santo ben descritto nella sua espressione di forte spiritualità, la scelta dei colori tenui e luminosi veramente gradevole.

A.Bosio definì il quadro una “bell’icona dipinta dal valente Professore Lorenzone Tommaso da Pancalieri” [36]

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Fotografia Alessandro Manassero

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14 Sacra Famiglia al lavoro 1877 RIVALBA (To) – Istituto Figlie di s.Giuseppe, Castello di Rivalba.

Firmato TL presso il piede dell’arcolaio. Inserita nella cornice, al centro in basso, c’è una targhetta con scritto “donato da padre Felice Carpignano il 16/6/1877”.

Padre Felice Carpignano era amico del beato Clemente Marchisio, fondatore della congregazione delle ‘Figlie di S.Giuseppe’, e fu lui a presentare la domanda d’approvazione dell’ordine all’arcivescovo. Il 16 Giugno 1877 le prime quattro suore vestirono l’abito durante la celebrazione che proprio don Felice Carpignano presiedette, assistito dal Marchisio. Al termine fu benedetto il quadro della Sacra Famiglia, che lo stesso Carpignano aveva commissionato a Tommaso Lorenzone [37], pittore che il sacerdote conosceva e stimava , avendogli conferito l’incarico a suo tempo della grande pala del b.Valfrè all’assedio di Torino per la sua chiesa parrocchiale di S. Filippo in Torino. Il dipinto fu posizionato nel piccolo laboratorio di tessitura che don Marchisio aveva aperto a Rivalba già nel 1871 onde offrire un lavoro alle ragazze del luogo; in seguito don Marchisio fondò l’ordine della Figlie di s.Giuseppe proprio per l’assistenza morale e materiale delle operaie.

Non dovendo la tela essere posizionata come pala d’altare, Lorenzone sceglie uno sviluppo orizzontale. Il quadro rappresenta l’emblema della congregazione: nel dipinto i tre soggetti sono rappresentati tutti al lavoro, S.Giuseppe come falegname aiutato a segare dallo stesso Bambino, la Madonna all’opera con il fuso a filare la canapa.

La valenza didascalico-ideologica dell’opera è chiarissima, e risponde bene alle finalità della committenza. Poiché S.Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino lavorano, tutti debbono lavorare. E poichè nella veste di lavoratori abbiamo un santo, la Madre di Dio, e lo stesso Dio incarnatosi e sceso in terra, cioè le figure dotate della più ampia dignità nella fede cristiana, ecco che i lavoratori sono degni tutti di rispetto.

Lorenzone accosta a colori tenui (violetto della veste di S.Giuseppe, che rappresenta devozione e umiltà, bianco del risvolto del mantello della Madonna che simboleggia la purezza) delle tinte pregnanti (vestito del Bambino e abito della Madonna entrambi rossi, che stanno ad indicare amore e gioia; blu del mantello della Madonna, ad evocare la fede, la tranquillità), sullo sfondo neutro, grigio del muro e marrone del legname.

Da sottolineare i tratti somatici popolani di s.Giuseppe, diversi da quelli consueti , solitamente inamidati di ingessata santità . Quanto alla Vergine e al Bambino, la purezza dei loro volti, in particolare quello finissimo della Vergine, e le campate dei colori dei loro abiti, sono una forte eco del purismo presente nella formazione accademica del Lorenzone.

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Fotografia Alessandro Manassero

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15 L’Educazione della Vergine (S.Anna, S.Gioacchino e la Madonna Bambina) 1878 TORINO, Chiesa dell’Istituto S.Anna, altare maggiore – Via Massena 32.

Firmato T.Lorenzone, ai piedi del panno verde che cade dalla sedia, a destra.

Quanto alla data, la Farioli [6] indica il 1878; l’altar maggiore cui l’ancona è posta fu consacrato dall’Arcivescovo di Torino il 28 Aprile 1877 [38].

L’Istituto di via Massena , venne fatto costruire dalla Madre Generale della Congregazione suor Enrichetta Dominici , committente del dipinto [39]. Le spese della grande ancona furono assunte da Don Pietro Ponte, prima cappellano, poi erede fiduciario della Marchesa di Barolo, primo Rettore.

Le pale d’altare erano uno strumento molto efficace per le indicazioni morali e la sensibilizzazione della gente , e nella fattispecie ‘L'Educazione della Vergine’ segnava un processo di avanzamento della società, con la promozione dei diritti delle donne.

Ed infatti questo dipinto doveva rappresentare la missione affidata alle suore di Sant’Anna e della Provvidenza dai fondatori alla congregazione, i marchesi di Barolo, e cioè quella dell’educazione delle giovani di condizione popolare.

L’iconografia ha come riferimento i testi apocrifi che raccontano l’infanzia di Maria, come il Protovangelo di Giacomo o il Vangelo dello pseudo-Matteo.

Al centro del quadro vi sono Sant’Anna e la Madonna: Sant’Anna rivolge le mani con gesto protettivo sul capo della Madonna Bambina. San Giuseppe, seduto di lato, tiene un libro aperto, mentre intorno ci sono oggetti d’uso quotidiano per le donne (fuso,ecc.) , ad esprimere l’idea fondamentale che come colonna portante dell’educazione femminile accanto all’istruzione ci deve comunque essere il lavoro casalingo, per soddisfare il ruolo futuro di madre e moglie esemplare.

L’intento pedagogico della pala traspare assai chiaramente, ed è volto a realizzare pienamente le esigenze della committenza.

La particolare cura dei tratti somatici dei volti, che rendono le immagini più simili a ritratti veri e propri che non a figure evocate, favorisce la ricezione dei chiari propositi ideologici, didascalici e devozionali dell’opera. In alto, sopra un coro di angeli, spicca la Trinità , a sottolineare che il tutto si deve svolgere sotto il segno della protezione divina, ovvero della Provvidenza.

Questa seconda parte degli anni ’70 rappresenta un periodo di felice vena creativa per il pittore, che mette in mostra una grande abilità cromatica usando tutta la sua ampia tavolozza , alternando a toni vivi , aureo-rossastri o scuri (Trinità, 1876) un misto di colori chiari col contrappunto del nero (S.Tommaso, 1877), oppure ancora colori vivi accostati ad altri neutri (Sacra Famiglia di Rivalba del 1877). In quest’opera i suoi meravigliosi colori, soprattutto l’azzurro, il bianco, il verde, il violetto, cioè quelli teneramente delicati a tinte pastello, di levità settecentesca, non costituiscono solo un pregio a sé stante, ma servono anche a valorizzare molto la trama figurativa.

Dell’opera esiste nella casa di via Massena pure il bozzetto su tavola e , in collezione privata, un bozzetto a guazzo di dimensioni ridotte (vedi immagine pagina a fronte).

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16 L’Educazione della Vergine (S.Anna, S.Gioacchino e la Madonna Bambina) 1879 ROMA, Chiesa della Comunità delle suore di S.Anna- viale Marconi 700.

Non firmata, né datata.

Il soggetto dell’Educazione della Vergine si diffuse fin dalla metà del ‘500 , in seguito alle linee guida del Concilio di Trento e alla conseguente nascita di nuove congregazioni, aventi lo scopo dell’istruzione e dell’educazione cattolica della gioventù – in particolare quella femminile – ispirate alle nuove impostazioni riformatrici.

Nello specifico del femminile, le ragazze venivano così preparate al ruolo sociale che loro sarebbe competuto nell’ambito del matrimonio, sia come mogli che come mamme, e che svolgeranno seguendo i dettami della religione cattolica.

In queste condizioni il soggetto dell’Educazione della Vergine viene rappresentato con i soliti riferimenti: un libro in mano ad uno dei tre personaggi, e strumenti per i lavori domestici. Anche Lorenzone si attenne a questa iconografia.

IL dipinto che qui presentiamo è una copia di dimensioni inferiori della tela che abbiamo visto precedentemente , in Torino.

L’opera era presente nella casa delle suore di S.Anna di Pieve Fosciana (Lu) in Garfagnana. La casa fu abitata dalle suore dal 1878 al 1983; indi le religiose si ritirarono dalla sede e la struttura venne alienata: in tale occasione il quadro fu trasferito a Roma .

La pala non è firmata, ma è evidente la mano del Lorenzone . D’altronde sarebbe stato fuori di logica far eseguire una copia da altro pittore - per risparmio? - tanto più che in tal caso si sarebbe trattato di una copia pesissequa del lavoro di Lorenzone, mentre qui invece abbiamo numerose varianti.

E’ presumibile che la Madre Generale suor Enrichetta Dominici, soddisfatta dell’opera del pittore per l’altare della cappella dell’Istituto di via Massena a Torino, a tambur battente gli abbia commissionato una copia per la cappella della casa in Toscana di prossima apertura, o addirittura già aperta.

Come già accennato nel dipinto vi sono diverse varianti (circa una ventina) rispetto al quadro di Torino. Ve ne sono di minore impatto visivo, come quelle relative ai personaggi ( la barba di s.Gioachino, gli occhi di s.Anna, lo sguardo della Madonna, diversi angioletti), ed altre più rilevanti ( la panchetta in primo piano a destra in luogo della sedia, la panneggiatura dei tre panni bianco, rosso e verde, la struttura a destra su cui poggia un gruppo di angioletti, che prosegue al centro alle spalle dei personaggi, lo sfondo, gli alberi, ecc.) .

Il motivo? Possiamo pensare che Lorenzone volesse migliorarsi, o semplicemente desiderasse provare l’effetto di qualche variante, o comunque intendesse presentare un’opera che non fosse una mera riproduzione della sua precedente.

Il risultato è che anche questo dipinto, come quello simile di Torino, è un capolavoro di disegno classico e soprattutto di cromia.

La striscia che parte dal petto della Madonna indica l’urgente necessità di un restauro.

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Fotografia delle Suore di s.Anna in Roma

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17 Nostra Signora de la Salette 1882 TORINO, Chiesa di S.Secondo Il 19 Settembre 1846, a nord del cerchio di montagne che circonda il paese di ‘La Salette Fallavaux’ (dalle parti di Gap), all’altezza di 1880 metri, la Madonna compare ai pastorelli Maximin Giraud e Mèlanie Mathieu-Calcat.

La ‘bella Signora’ è vestita con un abito lungo fino ai piedi, uno scialle, una cuffia in capo, un grembiule, ornati da ghirlande di rose; sullo scialle , accanto alle rose, c’è una catena ; sul petto v’è un crocifisso con ai lati un paio di tenaglie e un martello.’La bella Signora’ affida loro un messaggio. Poi inizia a muoversi, attraversa un ruscello nei pressi, risale il sentiero sinuoso e si eleva da terra; si fonde nella luce e scompare con questa.

L’apparizione ebbe subito una grande risonanza, e ne rimasero affascinati molti uomini di cultura ,tra cui Don Bosco.

La chiesa di s.Secondo - e quindi l’ancona - venne inaugurata il 12 Aprile 1882.

Lorenzone pone al centro del quadro l’immagine della Madonna, volutamente gigantesca rispetto al paesaggio : l’icona miracolosa. Essa ha il compito di invitare a credere, nel segno della passione di Gesù Cristo (sul petto ha il Crocefisso, le tenaglie e il martello).

L’artista pancalierese con la solita pennellata liscia e pastosa stende i limpidi campi di blu e il rosso degli abiti ben panneggiati e sfumati . Usa una certa ricercatezza nel bordare a damasco d’oro il mantello blu e nel dipingere le scarpette gialline: un’icona differente per quanto riguarda l’abbigliamento, specie nei colori, rispetto al racconto dei pastorelli, evidentemente per motivi di eleganza formale.

Ma questa volta il pittore, una volta soddisfatte le richieste della committenza che richiede una comunicazione devozionale semplice e diretta, pare voler dimostrare che quando vuole può benissimo stare al passo della temperie artistica dei suoi tempi, e proprio in un genere da lui poco frequentato, il paesaggio. Ciò è stato rilevato da due critici. Maggio Serra :‘Si direbbe che talvolta egli cerchi proprio il contrasto tra l’immagine- emblema e la realtà della natura come in Nostra Signora della Salette che atterra, dentro una mandorla di nubi e angioletti, in un paesaggio vero e ben dipinto’ [31]. ‘Realizzando spazialità scenica e distribuendo effetti di luce, il pittore si avvicina sempre più alla produzione paesaggistica di Giuseppe Camino’ commenta Merlone [12] citando ‘Il diradarsi di un temporale’ , cui si possono aggiungere opere analoghe di altri paesaggisti piemontesi dell’epoca.

Camino: il diradarsi di un temporale-GAM Torino

Pittara: paesaggio montano

Concludenso, la cosa veramente significativa è che Lorenzone dimostra qui di sapersi caratterizzare anche lui per una vera, emotiva partecipazione , espressa attraverso una decisa adesione al vero, rappresentato dal ruscello, dal primo sfondo di massi e dirupi, dalle catene di montagne alle spalle della Madonna.

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Fotografia da libro [29 bis]

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18 Nostra signora del Suffragio 1885 TORINO, Chiesa di Nostra Signora del Suffragio .

Firmato in basso, al centro, T Lorenzone Fotografia da una immagine sacra

La pala fu purtroppo gravemente danneggiata durante i bombardamenti nella notte tra il 7 e l’8 Agosto del 1943 : sembra non irrimediabilmente, recuperabile (almeno con le tecniche odierne), ma dietro un ‘consiglio’ errato fu buttata. Ciò che ci resta è questa immagine tratta da un santino: é un vero peccato, perché c’è da immaginarsi i colori vividi dell’opera.

Il dipinto, destinato all’altar maggiore della chiesa annessa al monastero delle Cappuccine Francescane, fu terminato nel Giugno 1885, dopo un’attesa di 11 mesi dovuta ad un periodo di poca salute dell’artista. Esso ritraeva Nostra Signora del Suffragio con ai lati San Francesco e Santa Chiara, e in basso le anime purganti.

La tela fu oggetto di una curiosa querelle. La sua destinazione , come detto, era quella di pala per l’altare maggiore, ma le sue dimensioni fecero storcere il naso all’autorità ecclesiastica che la ritenevano troppo grande per la chiesuola. I Superiori desideravano che non fosse rimosso il Crocefisso che provvisoriamente teneva il posto dell’ancona, e suggerirono in cambio un quadro più piccolo per una cappella laterale. Fu pure proposto l’acquisto dell’opera per destinarla ad altra chiesa in costruzione a Torino.

Ciò fu di gran rincrescimento per le suore, che nei loro vari traslochi avevano sempre tenuto all’altare maggiore un’icona della Signora del Suffragio, come titolare della chiesa e del monastero (probabilmente si tratta della stessa tela seicentesca posizionata oggigiorno all’altare, cui quella del Lorenzone è quasi uguale nel soggetto : forse così somigliante gli fu proprio commissionata dalle suore, solo di dimensioni e forma tali da adattarsi perfettamente all’abside).

A rompere l’impasse fu involontariamente lo stesso pittore che – nulla sapendo della disputa – dovendo trasferire lo studio in altro locale dove gli sarebbe stato impossibile tenere il grande dipinto, lo inviò . Quando poi fu informato della disputa e cioè dell’opposizione dei Superiori, protestò che il rifiuto sarebbe stato di scapito al suo onore di artista e alla sua rinomanza.

Alla fine la collocazione del quadro fu accettata e, per chiudere in bellezza la vicenda, il 7 Settembre 1889 il cardinale Gaetano Alimonda, Arcivescovo di Torino, venne personalmente a benedire l’icona [40].

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19 Sacro Cuore di Gesù 1886 FOSSANO , fraz .CUSSANIO. Santuario

Il santuario di Cussanio risorse dal periodo di decadenza, seguito alle leggi di soppressione del 1866 e 1867, grazie all’impegno di Mons. Emiliano Manacorda, nominato vescovo della diocesi di Fossano nel Dicembre 1871.

I lavori di ristrutturazione della chiesa iniziarono nel 1875, su progetto del segretario del vescovo, Mons. Giuseppe Maria Magni, che era architetto e proseguirono per circa vent’anni. Monsignor Manacorda era amico di Don Bosco, ed è probabilmente a questo rapporto d’amicizia che si devono gli incarichi a due ‘pittori di Don Bosco’. A Rollini fu affidato il compito di realizzare un vasto programma iconografico - riquadri a tempera delle volte e vari quadri – e a sua volta Lorenzone ebbe l’incarico di dipingere la sua tela, che funge da pala per un piccolo altare nella navata sinistra .

Qui Lorenzone esegue come pala d’altare un Sacro Cuore di Gesù a forma rettangolare, con l’aggiunta, a coronamento, dei suoi soliti angioletti e in basso di una nuvola su cui poggia il Cristo. Le spese per gli altari laterali furono sostenute da generosi benefattori; per l’altare del S.Cuore colla ‘magnifica icona del pio e valente pittore Lorenzone’ provvide lo stesso già citato mons. Magni [41].

La chiesa, nella forma attuale, fu consacrata nel 1886, e a tale anno possiamo far riferimento per la datazione dell’opera di Lorenzone.

20 San Giuseppe e Gesù Bambino 1886 CREA, Santuario . Firmato TL in basso sul centro destra, presso il bordo.

Si trova nella Cappella di S. Giuseppe (in capo alla navata laterale destra); è una pala ex voto situata sull’altare, sormontata da una tela rappresentante la Sacra Famiglia con s.Giovannino . Citato In un libro sul santuario [41 bis] .

Il quadro rientra nel rinnovato e potenziato culto di s.Giuseppe, seguito alla proclamazione da parte di Pio IX di S.Giuseppe patrono d’Italia: in molti edifici religiosi fu innalzato un altare a lui consacrato con relativo dipinto.

foto Silvana e Domenico Coalova

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21 Sacro Cuore di Gesù 1887 PINEROLO,Chiesa degli Oblati di Maria Vergine. Firmato TL al centro in basso.

La Chiesa del Sacro Cuore di Gesù , dei Padri Oblati in Pinerolo, fu iniziata nel Maggio 1885 e consacrata il 14 Settembre 1887 . A reggere l’iniziativa fu padre Gastaldi, che decise di adornarla con le tre grandi tele del Lorenzone, da lui conosciuto nel 1870, quando gli aveva ordinato il disegno per il ritratto del Lanteri –fondatore della Congregazione – per ricavarne la litografia che costituisse il frontespizio della biografia del Lanteri scritta appunto dal Gastaldi.

Inizialmente il Gastaldi aveva l’idea di adornare i tre altari con delle statue raffiguranti il Sacro Cuore di Gesù, la Madonna del Rosario e san Giuseppe e ‘ le aveva già ordinate a Nizza Marittima, ma poi per consiglio del padre Dadesso le sostituì con tre grandi tele a olio dipinte da Tommaso Lorenzone, reso celebre per la grande pala di Maria Ausiliatrice. La scelta dei quadri al posto delle statue è stata indovinatissima e felicissima: era aumentato il decoro e l’eleganza della chiesa ed era favorita la devozione dei fedeli.’ [42] La pala del S.Cuore è quella dell’altare maggiore, che così descrisse un enfatico cronista dell’epoca: ‘Una di quelle tele soavi su cui l’angelico pennello di Tommaso Lorenzone ferma colla sua arte sovrumana le figure ch’ei ruba al cielo; su cui egli riversa quell’anima sua, che ognuno da tempo venera ed ama di ardente cristiano e di artista perfetto’.[42 bis] Il giornalista continua poi su questa falsariga di altisonante retorica l’esame dell’opera.

In realtà, fra le tre pale, quella del Sacro Cuore è stilisticamente stilisticamente forse la meno valida.

Cristo , circondato da folte schiere di angioletti, sta ritto su una nuvola che poggia su di un altare. Con la mano sinistra indica il cuore ; il braccio destro è teso in avanti , verso il basso, mano a palma aperta (anche il paliotto dell’altare reca un’immagine a forma di cuore). Ai due lati, inginocchiati, stanno due cherubini turibolanti, che risaltano per il disegno ed i valori cromatici, apportando un soffio di dolcezza all’immagine ‘scontata’ del Sacro Cuore di Gesù, rendendoli parte notevole della composizione; la loro squisita fattura dai soliti bellissimi colori intensi e morbidi - completamente differenti nei due angeli - salva l’opera, di stampo piuttosto devozionale. A questo scopo infatti era stato stabilito che il Venerdì dopo l’ottava del corpus Domini si esponesse un gran quadro che rappresentasse il S.Cuore di Gesù sull’altar Maggiore: questo gran quadro fu sostituito nel 1887 da quello del Lorenzone ‘giusta le nuove prescrizioni liturgiche’ [43].

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Fotografia padre Ives Morin omv

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22 Madonna del Rosario (o delle Grazie) 1889 circa PINEROLO, Chiesa degli Oblati di Maria Vergine. Firmato T.Lorenzone sul muretto di cinta della strada a destra dell’Istituto.

Quando fu inaugurata la chiesa, e con essa la pala del Sacro Cuore di Gesù, erano già previsti i soggetti delle due pale degli altari laterali, sempre per l’esecuzione di Lorenzone.[42bis] Questa pala é posizionata all’altare di destra, accanto alla sacrestia. La data del quadro potrebbe essere del 1891, così come le altre due opere. Purtroppo in archivio non esiste più corrispondenza tra gli Oblati e il Lorenzone, perché distrutta in un incendio.

Il vescovo di Pinerolo aveva acquistato nel 1874 dal marchese Alberto Maffei di Boglio la casa destinata a dimora degli Oblati, consistente in tre ali di fabbricato facenti corpo unico: al centro di questo ferro di cavallo c’era una costruzione a forma di L che venne abbattuta per far posto alla chiesa. Nel 1885 iniziarono i lavori , sotto la guida di padre Gastaldi; nell’estate del 1887 l’impresa si poteva considerare finita e il vescovo di Pinerolo Giovanni Maria Sardi procedette alla solenne consacrazione il 15 Settembre 1887.

La Madonna del Rosario è rappresentata con indosso il solito manto azzurro su veste rossa, con un rosario tra le mani, incoronata ed il capo circondato dalle undici stelle: é una delle raffigurazioni più tradizionali, ma il capo ed il volto sono di raffinata bellezza. Ad allietare la composizione le fanno compagnia , tra le nuvole, la solita schiera di angioletti e ai fianchi due putti di pregevole fattura.

Nella parte bassa del quadro , secondo una consuetudine del pittore, vi è raffigurata la chiesa contornata da una porzione della casa degli Oblati, cioè l’Istituto della Congregazione fondata da Pio Lanteri. La rappresentazione parziale della costruzione è evidentemente dovuta alla necessità di dipingere in forma completa ed evidenziare la chiesa, che è inserita nel fabbricato.

Le due graziose aiuole fiorite ai lati del cortile e sullo sfondo il panorama di una Pinerolo custodita dalla collina e accarezzata da un cielo rosato vivacizzano la pala.

La festa della Madonna del Rosario si celebra il 7 ottobre; essa venne istituita dal papa Pio V in ricordo della battaglia di Lepanto, svoltasi appunto il 7 ottobre del 1571, nella quale la flotta della ‘Santa Lega’ (Spagna, Venezia e Stato della Chiesa) sconfisse quella dell’Impero Ottomano.

Il merito della vittoria venne attribuita alla protezione della Madonna, invocata prima della battaglia con la recita del Rosario.

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Fotografia padre Ives Morin omv

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23 Sacra Famiglia di Nazareth 1891 circa PINEROLO,Chiesa degli Oblati di Maria Vergine E’ all’altare di sinistra. Come figure somiglia molto alla analoga pala di M.Ausiliatrice, , ma il contesto è differente, perché vi compaiono oggetti tratti dalla vita domestica e soprattutto gli strumenti connessi con il lavoro di falegname.

‘Meno regale della precedente [La Sacra Famiglia di Maria Ausiliatrice] , quasi un’istantanea composta nella bottega di S.Giuseppe artigiano’ [44].

Ciò è in relazione alla devozione per il San Giuseppe ‘operaio’ voluta da Pio IX, che dichiarò san Giuseppe patrono della Chiesa universale ed istituì in suo onore due feste: il 19 Marzo e il 1° Maggio (rispettivamente quale Protettore e quale Modello degli operai). Questi concetti furono poi ribaditi con forza e in profondità da Leone XIII, che così si espresse: ‘I proletari, gli operai e coloro che hanno poca fortuna, ricorrano a San Giuseppe per un titolo o diritto loro tutto particolare e imparino da lui quello che debbono imitare. Infatti Giuseppe, sebbene di stirpe regale, unito in matrimonio con la più santa ed eccelsa tra le donne, padre putativo del Figlio di Dio, passò la vita sua nel lavoro e procurò il necessario per il sostentamento dei suoi con l’opera e l’arte delle sue mani. Se dunque ben si osserva, la condizione di coloro che sono in basso, non è per nulla abietta; e il lavoro dell’operaio, lungi dall’essere disonorante, può invece essere molto nobilitato, se viene unito alla pratica delle virtù’.

Il giudizio che diede il Caffaro nel 1900 dei tre quadri fu: ‘Sono opere bellissime e devote’ [45].

Maggiormente articolato il commento, in tempi più recenti, del Calliari: “Tutti i tre quadri, ma specialmente negli ultimi due, per la purezza della linea, la soavità dell’espressione, la saggia distribuzione dei colori, ispirano in chi li guarda sentimenti di così profonda devozione che invitano alla preghiera “ [42] Ritengo che l’aspetto principale di queste tre opere, al di là della solita bella linea del disegno e dell’uso sapiente dei colori, sia il valore in termini di devozionalità.

Ma questo non fu l’ultimo approdo artistico di Lorenzone, che anzi negli anni seguenti produsse ancora delle opere di ben maggiore qualità pittorica, come andiamo a vedere.

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Fotografia padre Ives Morin

omv

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24 Transito di S.Giuseppe 1893 TORINO, Chiesa di S.Francesco da Paola, cappella della Trinità Firmata in basso a destra T.L./1893 L’opera sostituì un dipinto del Taricco che il Bosio nel 1858 diceva bisognoso di restauri [21].

Questo dipinto è uno dei capolavori di Lorenzone, a testimonianza che anche in età avanzata il pittore seppe esprimersi a ottimi livelli , riuscendo a contemperare gli aspetti devozionali con le istanze dell’arte. Ci sono in alto la Trinità e – al solito – il coro degli angioletti. Ci sono Gesù e Maria, rappresentati nei soliti atteggiamenti, ispirati però qui da autentico sentimento. Il volto di Giuseppe è quello sfinito di un moribondo; la camicia è di un colore freddo, a sottolineare l’evento di morte imminente; lo sguardo è , pur stanco, pieno di fede, e la coperta di un caldo arancione, segno dell’affetto da cui il moribondo è circondato. Negli angoli l’arredamento spartano di un povero, descritto con veristica precisione: al fondo a sinistra un tavolo con l’anfora per l’acqua e la ciotola, con un asciugamano; a destra un tavolino; davanti al letto un cassone per gli abiti con sopra un panno. Astraendo dalla rappresentazione sacra, si tratta di una scena di morte in un’abitazione proletaria, descritta con efficace e pieno verismo. Il tutto espresso attraverso la solita tavolozza di colori puri e luminosi, il disegno dai panneggi classici e le ombreggiature sfumate, tipici riferimenti classici del nostro pittore.

Enrico Reffo - La Morte di s.Giuseppe - 1905 Vigone , chiesa di s.Caterina- Immagine da libro [45 bis]

Viene qui spontaneo il confronto con Enrico Reffo (1831- 1917) , che eseguì il soggetto più volte, in particolare in un’opera replicata molte volte (qui sotto riprodotta ) a Vigone, Giaveno, Oropa, Torino. Il movimento artistico-culturale cattolico dell’Ottocento, ispirandosi in particolare al purismo, aveva elaborato delle norme estetiche che indirizzavano l’artista a far vivere l’ispirazione sacra rifacendosi ai toscani del quattrocento, ritenendosi la pittura decaduta a partire dall’ultimo Raffaello.

Veniva criticata l’impostazione romantica ed anche quella neoclassica delle accademie; quanto al verismo, c’era addirittura chi lo considerava come un vizio. Reffo si adegua alle indicazioni di precetto, cercando di far convivere nelle sue composizioni l’austerità propria dell’arte antica con il disegno di stampo rinascimentale. Ma pur rispettando la necessità di realismo nelle fisionomie dei personaggi, la sua opera è fredda e colma di un patetismo di maniera, priva di quegli accenti personali che sono presenti invece nell’espressivo capolavoro del Lorenzone. Questi , al confronto, si rivela quindi come artista più sensibile alle problematiche dell’epoca e molto meno influenzabile dal purismo di maniera, in definitiva un artista più ‘libero’ rispetto al Reffo di fronte alle identiche tematiche religiose.

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Il bozzetto denota quanto fosse accurato lo studio della panneggiatura di Lorenzone, a ricordo degli insegnamenti del’Accademia

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25 Sacro Cuore di Gesù, S.Francesco d’Assisi 1894

S.Maria

Alacoque

e

BUSCA, Chiesa del convento dei Cappuccini. Firmato in basso a destra TL Il convento dei Cappuccini di Busca era stato alienato ai tempi della dominazione napoleonica, indi distrutto. Esso fu riedificato nel 1831-33 ; la chiesa venne consacrata nel 1847 . Come pala dell’altare fu adattata una tela di G.A.Molineri, che nel 1894 i frati ritennero di sostituire con un’opera più consona alla sede conventuale dedicata al Sacro Cuore di Gesù.[46] Nella pala sono rappresentati: al centro il Cristo ; a destra la monaca mistica francese Margherita Maria Alacoque (1647-1690) le cui visioni di Gesù e del suo cuore favorirono la diffusione del culto del Sacro Cuore di Gesù ; a sinistra, poco più in basso del Salvatore, S.Francesco d’Assisi. Dal Sacro Cuore fiammeggiante e circondato di spine si diparte un fascio luminoso che irradia verso destra in basso il volto della suora, colto nel momento estatico dell’ascesi visionaria. La mano sinistra del Cristo è rivolta al proprio cuore, mentre la destra pare indicare come prediletto S.Francesco, inginocchiato e raccolto in atteggiamento di umile adorazione. Le figure ricevono una certa formazione plastica indotta dalla prospettiva, qui ben sottolineata – a differenza di altre opere – dalla diagonalizzazione dell’altare, oltre che da altri elementi, come lo scalino , gli edifici al fondo, ecc.

Come al solito però i personaggi traggono volume e rilevanza soprattutto tramite l’ utilizzazione degli strumenti cromatici e luministici che la mano del pittore sa abilmente valorizzare, così come è ancora molto valida nel ritrarre le fisionomie, le mani, le pieghe degli abiti.

Interessante il raffronto con l’analoga opera del Gastaldi del 1878, ubicata nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Torino.

L’espressione intensa della santa , lo sguardo tutto preso dall’apparizione di Gesù, sullo sfondo di un paesaggio sotto un cielo temporalesco, dà un sapore realistico alla scena, ma l’aspetto della religione considerato è quello trascendente, sottolineato dalla mano sinistra del Cristo volta in alto, verso Dio. Lorenzone invece deve soddisfare due diverse istanze (su richiesta certamente della committenza), e cioè descrivere anche lui l’aspetto di trascendenza mistica della religione, rappresentato dall’apparizione di Gesù alla monaca , ma anche quello di immanenza, attinente alle finalità dell’azione apostolica e caritativa dei cappuccini, rappresentati da s.Francesco.

Il pancalierese si disimpegna con la sapienza del suo cinquantennale mestiere, svolgendo il non facile tema con una semplice ma adeguata articolazione del discorso sacro, senza immiserire l’aspetto pittorico.

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Immagine da libro [29 bis]

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26 La Consolata 1895 GIAVENO, Collegiata di S.Lorenzo.

E’ firmata in basso a destra nello scudo di S.Giorgio ‘T.Lorenzone’.

Il culto della Consolata è assai diffuso in Piemonte: a Torino uno dei più antichi e venerati santuari è appunto quello della Consolata. L’appellativo deriva da Consolatrix afflictorum, dove Consolatrix, abbreviato sinteticamente nel dialetto piemontese ‘Cunsulà’ e poi traslato in Italiano diventa appunto ‘Consolata’ mentre invece dovrebbe essere ‘Consolatrice’.

Il quadro è nel transetto di sinistra e costituisce la pala centrale della cappella; vi compaiono la Madonna Consolata e i santi Luigi Gonzaga,Vincenzo de’ Paoli, Giorgio martire, Ignazio di Loyola, Francesco Saverio. In un libro posto in basso, a sinistra, un po’ discosto dal piede destro di s. Ignazio, compare lo scritto ‘Ad maiorem Dei gloriam’ , il motto dei gesuiti.

L’opera, risalente al 1895 (vedi quietanza di saldo del Lorenzone), ebbe il costo di 1800 lire, cifra non irrilevante per l’epoca. “ La pala… fu realizzata anche grazie a molte donazioni di sacerdoti, di privati, di enti; una testimonianza corale di fede, che ancor oggi, a distanza di oltre cento anni, ci appare degna di memoria.” [47] La tela fu assai lodata da ‘La Stampa’ [48]. Ecco il commento dell’anonimo critico: “ Pala che ha pregi non comuni per composizione, per colorito”.

L’ignoto estensore dell’articolo espone poi le difficoltà di realizzazione delle pale d’altare, date le varie formalità e regole che non si possono evitare, e dunque non è per niente facile trarne opere di valore . Ma “ Il Lorenzone a forza di ingegno e di studio ha saputo rispettare tutti gli ‘obblighi’ e cavarne un lavoro d’arte che gli fa onore” . Il giornalista elogia poi in particolare la grande maestria nella pittura delle teste, per quanto la tecnica del pittore risenta del passare del tempo.

E così conclude: “ Abbiamo potuto ammirare altri lavori di questo bravo pittore, i quali se sentono necessariamente la scuola alla quale egli ha appartenuto, sono assai importanti e rivelano l’ingegno di questo vecchio sacerdote dell’arte”.

Ritengo che a questo commento ci sia poco da aggiungere, se non sottolineare il meraviglioso apparire di questa pala, rutilante di un caleidoscopio di colori ben accostati che procurano al primo sguardo un forte impatto visivo ed emotivo, a conferma ennesima delle qualità cromatiche dei dipinti del Lorenzone.

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Fotografia Alessandro Manassero

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27 Il miracolo del monte dei Cappuccini 1897 TORINO, chiesa del Monte dei Cappuccini, sacrestia.

Olio su tela, cm 219 x 316, dipinto da Amalia F. Grosso su disegno di Lorenzone.

Il quadro fu donato dal canonico Emanuele Colomiatti ai frati Cappuccini il 1° maggio 1897, ed è situato nel coro della chiesa. Ce n’è anche una copia di dimensioni ridotte all’ingresso.

Il miracolo riguarda un episodio della guerra tra Madama Cristina, vedova di Vittorio Amedeo I, e i fratelli del defunto duca, il cardinal Maurizio e il principe Tommaso, per la successione al Ducato dei Savoia. Il 12 maggio 1640 i francesi, alleati di Madama Reale, irruppero nelle fortificazioni del Monte, e mentre era in corso la carneficina nella chiesa in cui aveva cercato riparo la gente, un ugonotto francese aprì il tabernacolo per prendere la pisside, ma venne investito e ucciso da una vampa di fuoco uscita dal Santo Ciborio. L’evento fu tramandato come un miracolo.

Emanuele Colomiatti, pro-vicario generale della Diocesi, con lo scopo di impedire agli anticlericali di cacciare i Cappuccini dal monte, scrisse un opuscolo sul ‘miracolo’ e fece realizzare il dipinto celebrativo.

In realtà si è chiarito che non si trattò di un miracolo: semplicemente uno dei difensori da dietro l’altare sparò al francese centrando le cartucce di polvere da sparo che questi recava, incendiandolo.[49] Veniamo ora al dipinto. Non dovendo fungere da pala d’altare, come in un analogo caso precedente Lorenzone sceglie per la tela uno sviluppo orizzontale.

“Opera ingenua, tra l’epico e il didascalico….La raffigurazione presenta l’interno della chiesa, nell’acme dell’eccidio, con l’interpretazione religiosa «terribile» del tabernacolo profanato, irraggiante fuoco sul malcapitato soldato ugonotto: una diretta e singolare riproposizione della concezione del sacro vetero-testamentario, un’interpretazione del precristiano «miracolo punitivo »”.

[49] Perché Lorenzone non dipinse lui stesso il quadro, limitandosi all’abbozzo?

Un’ipotesi è quella del costo: Lorenzone, nonostante l’età, si faceva ancora ben pagare.

L’altra sta invece nella sua età avanzata : l’opera, di grandi dimensioni (circa 7 metri quadrati di superficie), potrebbe aver richiesto uno sforzo non sostenibile al momento dall’anziano artista , cagionevole di salute, forse ammalatosi in quel frangente.

Della pittrice Amalia Grosso poco si sa. Nell’articolo già citato [49] la si dice ‘paesaggista’. Ma in una rivista dell’anno 1900 [49 bis] si parla di lei nei seguenti termini : “la pittrice, la signorina Amalia Grosso riesce ad unire in una estasi purissima d’amore il B.Raimondo e S.Caterina, raffigurando quegli in atto di contemplar la Senese che sale al cielo…”.

La Grosso era legata a certi settori della religiosità torinese, perché si parla, in altra rivista [49ter], di una Amalia Grosso che faceva parte delle guardie del ss.Sacramento nella chiesa di s.Maria, morta nel 1938.

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Foto Alessandro Manassero

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28 Cristo , la Beata Caterina da Racconigi e santi 1898 GIAVENO, Collegiata di S.Lorenzo. Firmata in basso a destra T.Lorenzone.

La beata Caterina Mattei nasce a Racconigi nel 1486. Lavora fin da piccola in filanda, ma giovanissima si dimostra già assai devota e pia, sì che la vocazione religiosa la porta a frequentare un convento domenicano del paese. Diventa presto nota per la sua intensa vita di preghiera, sì che la gente le attribuisce fatti soprannaturali.

Accusata di esibizionismo o peggio, deve discolparsi di fronte al Tribunale vescovile di Torino. Assolta, entra come terziaria nell’Ordine domenicano. In seguito , accusata di essere ‘savonaroliana’ per la sua tensione spirituale , si deve allontanare da Racconigi e si stabilisce allora nel vicino paese di Caramagna. E’ proclamata beata nel 1808 da papa Pio VII. Ancora oggi a Racconigi esiste la Confraternita della beata Caterina.

Giorgio Bernero, nativo di Racconigi, fu per 17 anni parroco della Collegiata; morì nel Marzo 1897 senza poter vedere l’ultimazione dei lavori di ampliamento della chiesa che aveva intrapreso. In sua memoria il successore mons, Delbosco volle l’altare con la grande pala del Lorenzone .

In alto sull’altare c’è lo stemma di Racconigi.

Anche questa seconda tela, che è del 1898, fu realizzata al prezzo di 1800 Lire; essa costituisce la pala centrale della cappella del transetto di destra e rappresenta Gesù e la beata Caterina che si scambiano i cuori, attorniati, da sinistra a destra, dai santi Antonio abate, Francesco d’Assisi, Domenico di Guzman, Stefano martire .

In alto lo Spirito Santo illumina la scena, con l’accompagnamento al solito delle schiere di angioletti.

In basso, al centro, la rappresentazione di un intervento salvifico della beata Caterina in occasione dell’incendio di una casa: la localizzazione è molto chiara, grazie alla precisa raffigurazione del castello di Racconigi: bello l’inserto della campagna racconigese. Non manca, riferito a san Domenico, il particolare del cane con la fiaccola: la leggenda vuole che alla sua nascita la madre abbia avuto la visione di un cane con una torcia, il che sta a rappresentare la missione del santo e del suo ordine religioso, che proteggono il gregge di Cristo dagli eretici come cani fedeli.

Quanto ai valori artistici del quadro, da sottolineare soprattutto che “I colori, in Lorenzone mai troppo accesi, sono ben armonizzati; la prevalenza di tonalità bianche e madreperlacee di nuvole e vesti, accordate con colori celestini e grigi, conferisce all’insieme un’insolita levità” [47].

Gli aspetti cromatici di questo dipinto, dai colori più tenui e chiari, ben si sposano con quelli del dipinto della Consolata a lui simmetrico: mentre infatti là la gamma cromatica è più accesa, in questo quadro è più lieve e delicata.

Secondo i noti critici Cifani e Monetti, che hanno studiato a fondo i capolavori della collegiata di s.Lorenzo, questa pala è di qualità superiore rispetto a quella del transetto di sinistra [47].

Esiste inoltre un bozzetto di dimensioni ridotte rispetto alla pala, ospitato nella casa parrocchiale, anch’esso ovviamente di mano del Lorenzone, che presenta delle minime differenze rispetto alla versione finale ed è – sempre seguendo il giudizio dei due esperti succitati - “alquanto più fresco e sciolto” della pala.[47] A mio parere le due tele si accostano e confrontano in modo magnifico, proprio per la differenza netta dei colori , e quindi preferisco un giudizio d’insieme.

Queste due opere di Giaveno, tra l’altro di rilevanti dimensioni, rappresentano per l’artista veramente un grande canto del cigno. Lorenzone, ad oltre 70 anni ( i 70 di quell’epoca a che età si possono paragonare oggi? Agli 80?) , pur riferendosi ad un concetto di arte da tempo superato, con grande abilità e dignità compie – lo possiamo pur dire – una splendida impresa.

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foto Alessandro Manassero

Bozzetto, foto Alessandro Manassero

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29 Sacra Famiglia di Nazareth 1899 S.PAOLO SOLBRITO (At), parrocchiale .

Firmata e datata sul retro T.Lorenzone 1899

foto don Giuseppe Pilotto

Il quadro rappresenta l’ultima opera del Lorenzone da noi conosciuta.

Esso è praticamente identico all’analoga Sacra Famiglia presente nella chiesa dei Padri Oblati di Maria Vergine a Pinerolo : o gli era stato richiesto tale e quale dalla committenza, oppure è una ‘gherminella’ che certo si può perdonare all’artista, ormai anziano , stanco e sul punto di ritirarsi, che sfrutta i suoi precedenti disegni per alleviare il suo lavoro.

Il costo fu di Lire 1150, come attesta la quietanza rilasciata dal pittore.

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Bozzetti Del pittore conosciamo diversi tipi di bozzetti, tutti utili per capire il suo iter di costruzione dell’immagine.

Abbiamo dei bozzetti a matita, a tempera, ad olio che sono una tappa dell’iter per dipinti conosciuti: quelli li abbiamo già riprodotti.

Ve ne sono poi altri , già elaborati, che costituiscono una tappa del cammino verso dipinti sconosciuti: questi, che appunto suggeriscono l’esistenza di altri dipinti ignoti, vengono ora qui presi in esame.

Infine altri bozzetti sono studi di singoli personaggi di quadri non conosciuti, e sono per lo più semplici provini grezzi a matita: essi non vengono qui riprodotti.

Da tutto ciò è facile pensare che dell’enorme produzione religiosa di Lorenzone solo una parte sia oggi da noi conosciuta, e che vi sia ancora parecchio da scoprire.

30 La decapitazione di S.Giovanni Battista Acquerello cm 17x24. Firmato in basso a sinistra TLorenzone - Collezione Privata

Come stile e figurazione è molto simile alla pala di Conzano (Martirio di S.Lucia).

L’acquerello, conoscendo il modo si procedere del Lorenzone, è molto probabilmente lo studio di una pala, ma non abbiamo informazioni.

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31 Santa Giuliana Vergine e martire Acquerello cm 30x19. Firmato presso il bordo in basso a sinistra TL. Collezione privata Il pittore non ha scritto sul bordo del bozzetto il titolo dell’opera, ma è pensabile si tratti di Santa Giuliana di Nicomedia . Giuliana nacque intorno al 285. Rifiutò a 18 anni di sposare Eleusio, destinatogli dalla famiglia, a meno che lui si fosse fatto battezzare. Denunciata dal fidanzato, imprigionata, fu condannata a morte e infine decapitata nel 305 ca.

L’iconografia la rappresenta in vari modi, sotto tortura e spesso tormentata da un diavolo, che in questa raffigurazione del Lorenzone lei atterra con la presentazione della croce.

A Torino è però venerata S.Giuliana Laica, una matrona cristiana di Ivrea che diede sepoltura ai corpi dei martiri Avventore, Solutore ed Ottavio .

Anche questo acquerello fu, con alta probabilità, lo studio per una pala.

32 Madonna del Rosario Disegno a matita. Firmato TL in basso a destra.

Collezione Privata L’immagine della Madonna, rosario nella mano destra, Bambino tenuto in braccio con la sinistra, è molto simile a quella della pala di Pinerolo. La figurazione complessiva è più solenne, in virtù dell’ampio e maestoso trono in cima alla breve scalinata fiancheggiata dagli angioletti, laddove a Pinerolo nella parte sottostante é rappresentata la casa degli Oblati.

E’ sicuramente il bozzetto di una pala di grandi dimensioni, precisate dall’autore con l’indicazione di suo pugno sottostante: ‘Luce totale della cornice altezza m.3 cent.3 per m. 1.75 di larghezza’.

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33 Maria Ausiliatrice 1871 Riproduzione da un bollettino salesiano [50] . Firma in basso a destra T Lorenzone La riproduzione è accompagnata da una didascalia in cui si dice che l’opera è introvabile, e che fu realizzata su commissione di Don Bosco.

L’immagine dell’angioletto che pianta l’asta dello stendardo con la scritta ‘PIO IX 1871’ proprio su Roma – conquistata l’anno precedente dai Savoia - ha un significato politico molto chiaro, fortemente polemico.

Sulle caratteristiche dell’opera possiamo solo fare delle ipotesi: potrebbe trattarsi di un quadro ad olio, come di un disegno oppure ancora di un acquerello preparatorio. Nei due angoli superiori compaiono dei fregi: potrebbero essere delle decorazioni disegnate o dipinte, oppure costituire parte di una cornice e allora in questo secondo caso si tratterebbe di una pala.

Che poi si tratti di una stampa è poco probabile, in quanto ciò avrebbe imposto una sua diffusione, cosa non conveniente in quel frangente politico.

34 Sacro Cuore di Gesù Disegno a matita- Collezione privata.

Non è il bozzetto di un ovale devozionale, ma piuttosto il disegno per una pala del Sacro Cuore di Gesù arricchita da un paesaggio ,quello accennato in basso (forse la località dove era posizionata la casa o chiesa o cappella cui era destinato il quadro) ; come al solito, ai fianchi, una schiera di angioletti accompagnano la figura di Gesù.

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Quattro bozzetti a matita della Via Crucis, cm 21x13, firmati

T.Lorenzone.

Collezione privata

35 3a stazione- La prima caduta di GesĂš

4° stazione- Incontro dolorosissimo di Maria Vergine col suo Divin Figliolo

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37 La Veronica che asciugò il volto a Gesù

38 La seconda caduta di Gesù con grande suo strapazzo e tormento

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39 Sinite parvulos venire ad me

La vecchia chiesa di S.Gaetano dei salesiani a Sampierdarena, distrutta da un bombardamento nella seconda guerra mondiale, era abbellita nel frontale da due bassorilievi in stucco, pregevoli riproduzioni ad opera dello scultore Angelo Marcenaro di due quadri - secondo un sito Internet [51]di Lorenzone. Uno di essi era certamente quello del Lorenzone di Maria Ausiliatrice mentre dell’altro (riprodotto sopra), dal titolo ‘Sinite parvulos venire ad me’ cioè ‘Lasciate che i fanciulli vengano a me’, non ho altre notizie.

Indico quest’opera come mera ipotesi di attribuzione, nell’attesa di informazioni.

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Bibliografia Cap.3 [1] A.Giraudo, G.Bianciardi – Qui è vissuto Don Bosco – Editrice Elledici Torino 1988 [1bis] Ave Tago – Giulietta Colbert Marchesa di Barolo – Congregazione Figlie di Gesù Buon Pastore , Piacenza 1997 [2] Pala d’altare – Microsoft, Encarta, Enciclopedia Online 2008 [3] Chastel Andrè – Storia della pala d’altare nel Rinascimento italiano – B. Mondatori, Milano 2006 [4] Aymonino Adriano – Arte e devozione ecc. – sito Internet [5] Nicoli – L’Opinione (giornale)– 1851 [6] Farioli Paola – La Madonna di Don Bosco – Editrice Ellenici, Torino 2002 [6 bis] Rosanna Maggio Serra – La pittura religiosa – Pittori dell’Ottocento in Piemonte- Arte e Cultura Figurativa 1830-1865 .Banca CRT. Curatore Piergiorgio Dragone.

[7] Paravia Pier Alessandro – Memorie piemontesi di letteratura e di storia – Stamperia Reale, Torino 1853 [8] G.F. Baruffi – Passeggiate nei dintorni di Torino ecc.- Stamperia Reale, Torino 1853 [9] Rocca Luigi – Quadri Religiosi in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1847 – Torino 1847 [10] ‘Il Mondo Illustrato’, settimanale, ed. Pomba Giuseppe, Torino, 19 Giugno 1847 [11] Pubblica Esposizione di Belle Arti in Torino:Pittura Religiosa in L’Opinione (giornale) , n° 148, Torino 1 Giugno 1853 [12] Merlone Rinaldo – Tommaso Andrea Lorenzone: pittore del sacro. Dalla parrocchiale di Piobesi alle opere della maturità – Centro Studi Piemontesi, Torino 1994, vol. XXIII, fasc.2 p.397- 406 [13] Lise Giorgio – Come vedere l’opera d’arte – Selezione dal Reader’s Digest, Milano 1975 [13 bis] Sgarbi Vittorio – Dall’ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo – 2016 La Nave di Teseo [14] Chastel André – Il gesto nell’arte – Editori Laterza, Bari 2008 [15] Di Macco Manuela – ‘Luisa di Savoia ottiene la grazia per intercessione di S.Francesco da Paola’ in Lorrain e i pittori lorenesi in Italia nel XVII secolo – De Luca, Roma 1982 [16] Cifani A., Monetti F. – Opere d’arte e documenti inediti per la reale chiesa di S.Francesco da Paola in Torino - Arte Cristiana XCI (2004) Edizioni 814-815 Scuola Beato Angelico, Milano [16 bis] L’Armonia della Religione con la Civiltà- 28 Ottobre 1859. Tipografia Paolo De Agostini.

[17] Baricco Pietro – Torino descritta da Pietro Baricco – Paravia, Torino 1869 [18] Borbonese Emilio – Guida di Torino 1898- Ed.Roux Frassati 1898 [19] Arneudo G.I. – Torino sacra illustrata nelle sue Chiese, nei suoi Monumenti religiosi, nelle sue Reliquie – Giacomo Arneodo, Torino 1898 [20] Anzeiger für schweizerische Altertumskunde: Indicateur D’antiquités Suisses di Antiquarische Gesellschaft in Zürich – Schweizerisches Landesmuseum, Zurigo 1932, 3° trimestre [21] Tamburini Luciano – Le Chiese di Torino dal Rinascimento al Barocco – Le Bouquiniste, Torino 1968 [22] Scarrone Franco – Conzano e le sue parrocchie – Tipografia Dellarovere, Asti 2004 [23] Bosio Antonio- Divozione alla Madonna Ausiliatrice di Torino-Tipografia dell’Armonia, Torino 1865 [24] Lemoyne G.B. – Amadei A. – Ceria E. Memorie Biografiche di Don Giovanni Bosco - Scuola tipografica Libraria Salesiana, S.Benigno Canadese 1898- S.E.I. ,Torino 1948 [25] Giraudi Fedele – Il Santuario di Maria Ausiliatrice , chiesa madre dei Salesiani di Don Bosco in Torino – SEI, Torino 1948 [26] Cifani A., Monetti F. – Lettere del pittore Andrea Gastaldi al fratello Lorenzo (1852-1857).

Appunti sulla committenza artistico-religiosa nell’Ottocento – Centro Studi Piemontesi, Torino 1985, vol. XIV, fasc.1

106 [27] Bosco Giovanni – Meraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice – Tipografia dell’Oratorio di S.Francesco di Sales, Torino 1868 [28] Maffioli Natale – Storia di una immagine amata-Bollettino salesiano Maggio 2012 [29] Maffioli Natale – ‘Il bozzetto ritrovato’ - Bollettino Salesiano Ottobre 2003 [29 bis] ‘Torino e Don Bosco’- Archivio Storico della città di Torino – Torino 1989 [30] Stella Antonio - Pittura e scultura in Piemonte 1842-18951 - B.Paravia e c., Torino 1893 [30] Thellung Caterina - Due chiese e tre pittori: Don Bosco e l’arte figurativa a Torino in ‘Torino e Don Bosco’ Vol II p.345-359 - Archivio Storico della Città di Torino,1988 [31] Maggio Serra Rosanna – ‘La pittura religiosa in Torino ai tempi di Don Bosco’ in Torino e Don Bosco Vol II – Archivio Storico della Città di Torino 1988 [32] Maggio Serra Rosanna – Andrea Gastaldi. Un pittore a Torino tra Romanticismo e Realismo – Umberto Allemandi e c. , Torino 1988 [33] Storia di Torino, vol. VII- Giulio Einaudi Editore 1997 [34] Congregazione delle suore di Sant’Anna- Cronache dell’istituto Vol.I pag.120 [35] Angelico Guarienti – La Chiesa di S.Domenico di Chieri – ILTE, Torino 1961 [36] Bosio Antonio – Memorie storico-religiose e di belle arti del duomo e delle altre chiese di Chieri – Collegio degli Artigianello, tipografia S.Giuseppe, Torino 1878 [37] Bolognini Daniele – Padre Felice Carpignano dell’Oratorio – Editrice Velar 2011 [38] P. Scarrone - Nozze d’oro della Chiesa e Istituto Sant’Anna ( via Massena) - Off. Graf. Torinese 1928 [39] Giuseppino De Roma – Enrichetta Dominici dal nulla al tutto – Edizioni Messaggero, Padova 1984 [40] Annuario delle Cappuccine Francescane di Torino – Anno 1885 [41] Lamberti Antonio – Cussanio e il santuario di Maria SS. Madre della divina Provvidenza – Fossano 1932 [41 bis] Tarra Giulio – Il Santuario di Crea: lettere dell’abate Giulio Tarra –Tip. Dell’Ateneo, Torino 1890 [42] Paolo Calliari - Gli Oblati a Pinerolo nel 1° centenario ecc.- Roma 1987 Editrice Lanteriana [42 bis] Luigi Capra - Una nuova chiesa dedicata al SS.Cuore di Gesù – L’eco del clero, mensile, Anno III , N.11, 1Nov.1887 -Savona [43] Caffaro Pietro – Notizie e documenti della chiesa pinerolese – Vol II, Anno 1897 – pag.127 [44] Marchiando Pacchiola Mario – Una gloria di Pancalieri nell’arte sacra dell’800 – L’Eco del Chisone, 2 Gennaio 1986 [45] Caffaro Pietro – Notizie e documenti della chiesa pinerolese – Vol V, Anno 1900 – pag.158 [45 bis] ‘L’arte a Vigone attraverso i secoli’ di Cifani, Monetti, Cerato - 1996 Paravia, Torino [46] Archivio Storico dei Cappuccini della Provincia di Piemonte, cart. Busca [47] A.L. Bergeretti, A.Cifani, F.Monetti – La Collegiata di San Lorenzo di Giaveno e le sue opere d’arte – Edizioni del Graffio, Bussoleno 2002 [48] La Stampa 23/24 Luglio 1895 n.203. Articolo dal titolo ‘Una pala artistica’ [49] Isella Luca Pier Giorgio – Torino 12 Maggio 1640, l’eccidio taciuto – Centro Studi Piemontesi, Torino Giugno 2008, Vol. XXXVII fasc.1 [49 bis] Il Rosario – Memorie Domenicane pag.508 [49 ter]Carla Casalegno - Vitalità spirituale a Torino. Dal 1901 i padri sacramentini in Santa Maria in Piazza- Effatà Editrice [50] Bollettino Salesiano Maggio 1972 [51] sampierdarena.it

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CAPITOLO 4

OPERE DEVOZIONALI

La devozione al Sacro Cuore di Gesù era già diffusa nel Medio Evo, grazie anche a vari santi che avevano avuto visioni o rivelazioni . Tuttavia la grande fioritura della devozione si ebbe dalle rivelazioni della visitandina santa Margherita Maria Alacoque la quale nel 1673, in adorazione dinanzi al SS. Sacramento, vide vivo e vero Gesù, con il Cuore circondato di fiamme, coronato di spine e sormontato da una croce.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù venne ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa nel Febbraio 1765, col papa Clemente XIII. Nel 1856 Pio IX prescrisse alla chiesa universale di celebrare la festa del S.Cuore, come simbolo dell’immenso amore di Dio per gli uomini .

“Secondo le concezioni ottocentesche Cristo avrebbe salvato la terra per mezzo del suo cuore divino ….Gli artisti preferirono collocare il cuore in rilievo sul petto, circondandolo di solito con una corona di spine e un’aureola” [1] .

A questa iconografia fu fedele il Lorenzone.

A Torino il centro di devozione iniziale al Sacro Cuore di Gesù nel sec. XIX° fu la chiesa di Santa Maria di Piazza, “dove fu istituita l’associazione di ecclesiastici ‘Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù’, che dopo il 1815 ebbe impulso anche nelle altre province piemontesi.” [2] L'origine della devozione al Sacro Cuore di Maria o Cuore Immacolato di Maria può trovarsi nelle parole dell'evangelista Luca, dove il Cuore di Maria appare come uno scrigno che racchiude i più santi ricordi.

La prima traccia di culto pubblico si trova a Napoli nel 1640 nella confraternita del Cuore di Maria.

Il culto del S.Cuore di Maria conobbe una grande diffusione nel corso del XIX° sec. grazie alle apparizioni miracolose di La Salette e di Lourdes. Come riferimento iconografico la Madonna “nel petto ha un cuore fiammeggiante, circondato da un’aureola; intorno al cuore stesso sovente si trova anche una corona di rose” [1].

Anche in questo secondo caso Lorenzone si attiene alla scelta iconografica standard.

A Torino il centro iniziale di devozione al Cuore Immacolato di Maria fu la chiesa dei Santi Martiri ; esso “fu promosso sia dalla cerchia dei gesuiti che da cattolici intransigenti e da sacerdoti come Don Giovanni Bosco e Faà di Bruno. Ad aumentare la devozione contribuì anche un periodico di collegamento e propaganda:’Il cuor di Maria’ “[2].

Quello del Sacro Cuore è un tema dal quale non era rifuggito lo stesso maestro di Lorenzone, G.B.Biscarra: due suoi dipinti aventi per soggetto il Sacro Cuore di Gesù e Maria sono citati nel 1828 come esistenti nel Collegio Carlo Alberto di Novara. Quanto ad Andrea Gastaldi - uno dei pittori torinesi più celebri dell’epoca, contemporaneo del Lorenzone - anche lui non poteva sottrarsi nel 1852 alla richiesta del fratello Lorenzo (religioso rosminiano poi vescovo di Saluzzo ed infine arcivescovo di Torino), pur se ‘obtorto collo’ e assai critico. Infatti questa fu la risposta dell’artista al fratello: “Io mi dedico molto volentieri, perché amo il farvi qualche cosa, ad eseguire quelle mezze figure di Gesù e Maria aventi il loro cuore in mano; solo mi pare, quest’atto, prego di condonarmi, troppo materiale, e che il pittore che figurò pel primo questo soggetto, non abbia riflettuto, molte cose star bene in discorso, stanno male in Pittura, e così e viceversa”. Dopo queste pepate parole Andrea Gastaldi dichiara però che è disposto ad ubbidire, fissando il prezzo di “franchi 400 tutti e due”.

Oltre ai S.Cuori, venne rilanciata da Pio IX la figura di S. Giuseppe, proposta alla preghiera con le caratteristiche del santo non solo dalla fisionomia specificamente umana ma anche dalle caratteristiche operaie, proletarie : nel 1870 Pio IX dichiarò san Giuseppe patrono della Chiesa universale ed istituì in suo onore due feste (19 Marzo e 1° Maggio); devozione poi ribadita con forza

108 da Leone XIII. Il nascente movimento socialista veniva considerato infatti come un pericolo , e papa Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum Novarum nella quale trattava del mondo del lavoro e dei lavoratori . Per arginare la minaccia della cultura materialistica la Chiesa concretizzò alternative al socialismo: sorsero così i sindacati per i lavoratori, le associazioni dei contadini, i gruppi giovanili, le congregazioni, tutte affidate alla protezione di patroni.

Il patrono delle organizzazioni operaie cattoliche era S. Giuseppe, il povero falegname che aveva allevato Gesù:”La Chiesa sperava che i lavoratori vedessero in lui un esempio” [1] . Ecco perché Pio IX nel 1870 proclamò S.Giuseppe patrono d’Italia, ed in molti edifici religiosi fu innalzato un altare a lui consacrato con relativo dipinto. Sovente poi la devozione a S.Giuseppe coincideva con quella verso la Sacra Famiglia, per cui il quadro di S.Giuseppe in realtà rappresentava quasi sempre la Sacra Famiglia di Nazareth. Meno impegnative economicamente erano le statue, anche solo in gesso, che si moltiplicarono nelle chiese, sia per la Sacra Famiglia che per il solo S.Giuseppe.

Non dimentichiamo poi gli edifici di culto, come la celebre ed imponente – tutt’ora incompiuta Sagrada Famiglia di Barcellona. E soprattutto ricordiamo la confraternita, poi arciconfraternita, della Sacra Famiglia, nata in Belgio e diffusasi nel mondo, allo scopo , oltre che pastorale, quello concreto di aiutare le famiglie operaie più povere . Insomma, sia con l’opera organizzativa che con l’uso delle iconografia religiosa come mass media, la Chiesa si sforzava di seguire e manifestare apprezzamento per l’opera dei lavoratori più umili, cercando di contrastare i movimenti materialistici, allo scopo di difendere - per se stessa e le masse - la ragion d’essere religiosa e spirituale Per concludere il discorso della pittura devozionale, giova ricordare che nel suo campo c’era anche nell’Ottocento, piuttosto fiorente , una committenza privata di immagini per residenze private, che se per le case dei poveri si riducevano a semplici statuette o stampe fino a giungere al massimo alle oleografie (i quadri dei poveri), nelle case borghesi o nobili potevano essere dipinti o statue di un certo pregio. Tale settore produttivo di pittura sacra detto ‘minore’, cioè quello rappresentato dalle opere per la devozione privata a volte di piccolo formato, vedeva “prevalenza di acquirenti femminili, non ultime le donne di casa reale che in questa scelta confermavano le personali doti di pietà religiosa... Questa produzione [era] di largo consumo e facile vendita…. La famiglia reale, come s’è accennato, educata ad una stretta osservanza cattolica, si segnala ogni anno [alle Esposizioni della Promotrice] come committente o come acquirente di pittura sacra”[3] .

Per questo vasto mercato, popolare e di élite, Lorenzone lavorò molto, con le opere ad olio per le chiese - come i Sacri Cuori di Gesù e di Maria, S.Giuseppe - od anche per i privati , i disegni per opere a stampa per tutte le borse, in particolare per i ceti meno abbienti. Questo tipo di lavori costituì per lui una fonte di reddito che non richiedeva particolare impegno sul versante artistico per quanto il pittore si mantenesse sempre ad un livello dignitoso - insomma quella che si può tranquillamente definire una sinecura o quasi, che a fronte di una continuità realizzativa garantiva una fonte di reddito costante. Anche mentre era impegnato in due delle sue opere più famose e di maggiori dimensioni , non trascurò tale richiesta del mercato, eseguendo dei Sacri Cuori: quello di Costigliole nel 1867 (epoca di Maria Ausiliatrice) e quelli di Casalgrasso e Pancalieri nel 1870-18711872 (epoca del S.Giuseppe ovvero Sacra Famiglia).

Di queste opere ne vediamo qui un certo numero, di tipo anche assai variegato: esse rendono l’idea del tipo di lavoro che in continuità impegnava Lorenzone, garantendogli introiti sicuri .

Da notare che ancora oggi , in commercio, vi sono santini del Sacro Cuore di Gesù e di Maria tratti da opere del Lorenzone!

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1 Sacro Cuore di Gesù 1867 –

COSTIGLIOLE d’Asti, casa canonica

della parrocchiale - Ovale cm 104x85

E’ firmata in basso a destra con la sigla TL. L'ovale è "pendant" del Sacro Cuore di Maria eseguito da Michelangelo Pittatore molti anni più tardi, nel 1889. La datazione della tela è collocabile al 1867, anno in cui Martinotti fu pagato per l'indoratura della cornice (dalle ricerche d'archivio di P. Prunotto, Archivio Parrocchiale di Costigliole d'Asti). [4 ]

2 Sacro Cuore di Gesù , 2a metà ‘800- IVREA, cattedrale di S. Maria Assunta. Ovale cm 90x80

Firmato (a destra) . Si trova nella cappella del Crocefisso, detta dei SS. Pietro e Paolo, terza a destra [5]

3 Sacro Cuore di Gesù , tardo ‘800 CHIERI, Duomo

Si trova nella cappella della Visitazione (a destra,dopo il Battistero).

Fu fatto dipingere dalle figlie del notaio Bosio, che nella prima parte dell ‘Ottocento aveva ottenuto il patronato della cappella della Visitazione di Maria SS; il dipinto fu posto come sottoquadro sull’altare. [6]

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4 Sacro Cuore di Gesù , 1888 - BRA, parrocchiale s.Giovanni e Remigio.

Ovale

Firmato a destra in basso presso il bordo TL. Fu dipinto in occasione della costruzione della parrocchiale nuova.

E’ citato in [7] . Non è citato nel 1888 dal Mathis [8], che invece segnala ed elogia il S.Cuore di Maria, per cui l’opera potrebbe essere posteriore al 1888.

5 Sacro Cuore di Gesù 1892 -

PINEROLO, Monastero della Visitazione.

Ovale, cm 200 ca

Firmato T.Lorenzone presso il bordo, in basso a destra, più o meno all’altezza in cui finisce il manto azzurro. Raffigura il Sacro Cuore a persona intera e fu eseguito dal pittore nel 1892 per conto di una signorina Picco di Orbassano, la quale la donò al monastero in occasione della vestizione di una sua parente. [9]

6 Sacro Cuore di Gesù 1892 –

Monteu da Po, parrocchiale,cappella del

Sacro Cuore di Gesù E’ citato in [10] . Firmato in basso a destra TL. Nel 1892 la chiesa venne restaurata e decorata, e a tale anno risale l’opera del Lorenzone.

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7 Sacro Cuore di Gesù -TORINO, Chiesa di S. Filippo Neri, parete destra della sacrestia. Ovale,cm 216x180 Firmato TL a destra in basso, presso il bordo.

Il dipinto è segnalato dall’Arneudo [11].

La tela viene esposta in chiesa nel mese di Giugno [12].

7 bis Sacro Cuore di Gesù -TORINO, Chiesa di S. Teresa.

E’ un S.Cuore semplice, figurativamente simili a quelli del n.1,n.2,n.3

8 Sacro Cuore di Gesù Stampa racchiusa in una T.Lorenzone

cornice. Firmata sulla destra

9 Sacro Cuore di Gesù – Litografia Lorenzone dis. Carelli inc.

Maria editore - MILANO,Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” Bel santino, nel quale , in un ovale, Gesù compare a figura intera attorniato dagli angioletti.

foto Postini Luca

– Torino, De

112

10 Sacro Cuore di Maria, 1873 -

TORINO, Chiesa della SS. Annunziata,cappella dell’Addolorata (sotterranea), matroneo, lato destro. Ovale,cm 89x73,5.

Il dipinto è segnalato dall’Arneudo [11].

E’ firmato : reca a sinistra, a lato del gomito, presso il bordo, la sigla TL. [13]

11 Sacro Cuore di Maria 2a metà ‘800- IVREA, cattedrale di S. Maria Assunta. Ovale cm 90x80

Firmato T.L. a destra verso il basso, sul manto azzurro, presso il bordo.

Si trova nella terza cappella a destra, detta dei SS.Pietro e Paolo [14]

12 Sacro Cuore di Maria , 1888 -

BRA, Parrocchiale s.Giovanni e

Remigio. Ovale

Firmato a destra in basso presso il bordo TL. Fu dipinto in occasione della costruzione della parrocchiale nuova.

E’ citato in [7] . Viene segnalato nel 1888 dal Mathis [8] come una delle opere pittoriche più pregevoli della parrocchiale.

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13 Sacro Cuore di Maria 1893 -

TORINO, Chiesa di S.Filippo Neri,

parete destra della sacrestia. Ovale,cm 216x180

Firmato T.L. 1893 sul retro.

La tela viene esposta in chiesa ogni anno nel mese di Maggio. [15]

14

San Giuseppe e Gesù Bambino

1886/1887-

cattedrale di S. Maria Assunta (navata sin.,4° cappella).Ovale,cm 140x117

E’ citato dal Boggio [15] come opera del Lorenzone, ed inoltre c’è la sigla TL sulla tela, in basso a destra presso il bordo.

Fu donato da Mons. Agostino Richelmy, che resse la diocesi eporediese dal 1886 al 1887.

[16]

foto Alessandro Manassero

IVREA,

114

15 San Giuseppe e Gesù Bambino.

Litografia - MILANO, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” T.Lorenzone dis. Lit B.Marchisio e F.lli Torino G.Pin lit. - De Maria editore Proprietà Artistica Via Doragrossa 31 - Torino

foto

Postini Luca

Bella opera devozionale, dove il significato religioso viene chiaramente esposto attraverso l’immagine del sacerdote che, ad un gruppo di persone comprendente un anziano, una donna con bambino in fasce, un ragazzino ed una ragazza, indica con la mano levata verso chi deve essere rivolta la loro devozione.

115

16 Santino ripiegabile –

Lorenzone dis., Carelli inc., editore De Maria, Torino. Dimensioni da chiuso 6,8x10,8 cm.

Bellissimo santino ripiegabile in 5 parti, che conviene svolgere.

Nel verso interno, nella parte centrale ci sono s.Caterina da Siena e s.Domenico (col cane che porta la torcia ) in adorazione della Madonna col Bambino. In quella superiore la Madonna col Bambino, attorniata dagli angioletti che recano gli stendardi delle vittorie di Lepanto ecc. , lascia cadere le sue grazie (rose) sulla chiesa (S.Pietro) .In quella inferiore una religiosa con il rosario in mano s’inginocchia davanti alla Madonna affiancata da s.Pietro e s.Paolo. Nella parte di sinistra vi sono le illustrazioni dei misteri gaudiosi (Annunciazione, Visitazione, Natività, Presentazione al tempio, Disputa con i dottori); in quella di destra i misteri gloriosi (Resurrezione,Ascensione, Discesa dello Spirito Santo, Assunzione di Maria, Incoronazione di Maria).Sul lato esterno vi sono i misteri dolorosi (divisi in due parti), delle lodi alla Madonna, e in fine una scena di naufraghi, con l’angelo che indica da dove viene salvezza.

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17 Santa Bonosa martire - RACCONIGI, Castello

2° piano Stampa su disegno cm 10x8 - Firmato in basso a sinistra: ‘Tom.so Lorenzone disegnò’ La scritta sottostante “S.Bonosa Martire il cui prezioso corpo si venera in Torino nel Monastero di S.Anna” conferma i legami del pittore con la congregazione, per la quale dipingerà due pale d’altare.

Santa Bonosa, martire trasteverina di Porto Romano (terzo secolo d.C.) , invocata dal popolo contro il "vaiolo arabo". Il nome deriva dal latino e significa "che è buona"

foto concessa dal Castello di Racconigi

18 La Madonna della ghirlanda –

RACCONIGI, Castello Stampa cm 0,50x0,42. Disegno tratto dal Bambino in Paglia a Chieri di Luca della Robbia appartenente alla Marchesa Giulietta di Barolo nata Colbert- Firmato al centro, sotto il tondo , Lorenzone.

foto concessa dal Castello di Racconigi

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19 S.Francesco di Sales -TORINO, Superga, Convento dei Servi di Maria , cappella di S.Francesco,olio cm 72x52 .Firmato T.L. presso la spalla sinistra

foto Alessandro Manassero

Probabilmente la tela fu dipinta a scopi devozionali per qualche membro della famiglia reale, forse fine anni ’40, primi ’50. Si tratta di una pittura a olio con cornice sagomata e dorata, con vetro.

Proviene dal Palazzo Reale di Torino, con bolletta di carico 1°Maggio 1923 [17]

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20 Vera effige del beato S. Valfrè 1858

Il Beato nel tempo

dell’assedio di Torino del 1706 – Litografia MILANO, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” - Lorenzone dis. Litografia F.lli Doyen 1858

foto Postini Luca

Il laboratorio litografico che i fratelli Doyen Michele (Digione 1809) e Leonardo aprirono a Torino nel 1832 era uno dei primi e dei più rinomati, e produsse delle opere litografiche tra le più pregevoli e raffinate, comprese anche quelle a colori. Una curiosità: il beato Valfrè visitò più volte Pancalieri, il paese natale di Lorenzone. L’immagine apparteneva certamente alla diffusione sacra ed era un modello di un certo prestigio; anche in epoca recente vi sono immagini del Valfré che sono una copia , più o meno buona, colorata di quella del Lorenzone.

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21 San Filippo Neri 1860 - Stampa incorniciata da un merletto, cm20x10 Lorenzone dis.

Carelli inc. Leonardi Editore, via Po 10 Torino

La datazione del 1860 è ricavata dalla preghiera stampata sul retro, che riporta il visto, da parte del Provinciale Generale dei Filippini, del 17 marzo 1860. La figurazione è tipica di altri ritratti: mano rivolta ad indicare la Madonna, sullo sfondo una colonna seminascosta da tendaggio.

22 La Vergine Maria- Stampa cm 12x7,5 Sotto l’immagine Lorenzone dis ; Carelli inc.

Opera disegnata da Lorenzone e incisa da Carelli, che tanto collaborò con il pittore. Essa ricorda il n.33 del capitolo precedente, con Maria che, attorniata dagli angioletti, schiaccia la testa del serpente.

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23 L’educazione della Vergine Stampa. In basso a sinistra ‘Propr. Riservata’, a destra ‘T.Lorenzone’ dis. Firmata a sinistra, a lato del grande sedile, nel verso dell’altezza,‘T.Lorenzone’.

foto Congregazione suore di s.Anna

Le fattezze dei volti di s.Anna e della Madonna Bambina sono simili a quelle delle tele di proprietà della Congregazione delle suore di S.Anna a Torino e Roma.

Cambiano, rispetto ai quadri, la gestualità sia della Vergine che di s.Anna.

La Madonna Bambina tiene le mani su di un foglio scritto, che appoggia sulle ginocchia della madre.

S.Anna, a sua volta, è seduta su un grande seggio, con la sinistra abbraccia la figlia invece di tenerle la mano sul capo, e con la destra invece di indicare la figlia volgendo il capo in alto per raccomandarla al Padre e allo Spirito Santo, compie il gesto inverso, indicando alla figlia chi sta in alto.

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Bibliografia Cap.4 [1] Jan van Laarhoven – Storia dell’Arte Cristiana – Bruno Mondadori [2] Cifani A., Monetti F. – Lettere del pittore Andrea Gastaldi al fratello Lorenzo (1852-1857). Appunti sulla committenza artistico-religiosa nell’Ottocento – Centro Studi piemontesi, Torino 1985, col.XIV,fasc.1 [3] Lamberti Mimita – ‘La pittura religiosa alle Promotrici’ in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna 1773-1861- a cura di E.Castelnuovo e M.Rosci, Vol II, Torino 1980 [4] Rocco A. - Scheda Soprintendenza per il Pat R0372086 [5] Vallino O. - Scheda SBAS 00038022 [6] A.A.V.V. – Guida Monografica della città di Chieri e dei suoi dintorni – Mandriani editori, Arignano (To) 1994 [7] Piemonte, eccetto Torino e Valle d’Aosta –- Touring Club Italiano, Milano 1961 [8] Mathis Antonio – Storia dei monumenti sacri e delle famiglie di Bra- Alba 1888 Tipografia e libreria eredi Sansoldi.

[9] Memoria di cronaca del Monastero della Visitazione – Pinerolo [10] Camerati G.- Monteu da Po, nel passato e nel presente – P.Casalegno, Torino 1914 [11] Arneudo G.I. – Torino Sacra illustrata nelle sue Chiese, nei suoi Monumenti religiosi, nelle sue Reliquie – Giacomo Arneodo, Torino 1898 [12] Assandria V. – Scheda SBAS 00166408 [13] Gulmini U. – Scheda SBAS 00028810 [14] Vallino O. – Scheda SBAS 00038028 [15] Assandria V. - Scheda SBAS 00166410 [16] Boggio G. - Il Duomo di Ivrea – Ivrea 1926 [17] Facchin L. – Scheda SBAS 00208695

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CAPITOLO 5

RITRATTI

“Il ritratto – scrive Baudelaire - è biografia drammatizzata” ovvero “dramma naturale inerente a ogni uomo”, con tutto quello che ne consegue di particolare nel campo artistico. Quindi il ritratto può essere considerato e discusso a parte, “in quanto reca certi problemi, fissa determinati rapporti e infine può condurre ad effetti particolari” [1].

Inoltre una peculiarità propria del ritratto è che possiamo vedervi “una sorta di doppia immagine”, quella del personaggio che si fa ritrarre, con il suo atteggiamento derivante dalla forza del suo narcisismo, “e quella segreta, per così dire, dello sguardo che il pittore esercita sul soggetto”.[1bis] Quindi una gran prova per ogni pittore.

Fino dai tempi più antichi, a partire dalla civiltà greca per passare a quella romana, il genere del ritratto ha sempre avuto una grande importanza.

Il Rinascimento, il Barocco, il Neoclassico propongono la ritrattistica secondo i moduli stilistici propri della loro epoca, assumendo come soggetti quasi esclusivamente i membri dell’aristocrazia o dell’alto clero, anche quando, come nel Settecento, si impone la moda del Grand Tour, con il relativo classico ritratto-ricordo dei luoghi.

Nell’Ottocento , in seguito alla rivoluzione francese, il genere del ritratto acquista maggiore diffusione grazie all’affermarsi della classe borghese, e la ritrattistica, oltre a registrare l’evoluzione del linguaggio pittorico, rispecchierà i mutamenti socio-politici, documentando gli aspetti della mentalità e della vita quotidiana dell’epoca, attraverso le immagini di ambienti (stanze, mobili, oggetti vari) , moda (abiti, gioielli), gli atteggiamenti, le espressioni.

Diversi sono i modelli di ritratto : a figura intera ; al ginocchio ; a mezzo busto.

Numerose le varianti, a seconda del modo in cui il soggetto si rivolge all’osservatore: di profilo (il più classico), di tre quarti, frontale.

Differenti i repertori: la posa e l’espressione possono soddisfare gli scopi più vari, allegorici, ideologici, ufficiali o più semplicemente naturalistici. Può trattarsi di un ritratto di gruppo od individuale, caso particolare l’autoritratto.

I più vari sono poi i tipi di ambientazione: all’esterno nei paesaggi più differenti; all’interno si va da ambienti sfarzosi fino a quelli più sobri e semplici.

Quanto agli aspetti stilistici, assistiamo ad una grande quantità di soluzioni, che rispecchiano gli aggiornamenti del gusto.

Il ritratto classico con il fondo unito per far risaltare la testa del soggetto viene superato in vari modi, pur facendo ricorso ancora alla tecnica classica. Si tratta di significativi cambiamenti, ma non ancora di una radicale trasformazione stilistica.

In Italia “ i pittori della regione padana seppero darci immagini a punta di pennello e veridici, tenendosi bene in bilico tra le vaporose grazie del non dimenticato Settecento, gli appelli all’austerità dell’erudito classicismo ed i presentimenti di un romanticismo restauratore del ‘colorito’ ’’ [1] .

Ma anche quando l’artista italiano dell’Ottocento supera i formalismi dei secoli precedenti approdando ad una effusione romantica del sentimento, rimane ancorato a mezzi stilistici del passato. La vera rivoluzione nel gusto e nella tecnica avverrà solo con gli impressionisti, noncuranti di una rappresentazione fedelmente naturalistica e capaci di cogliere l’intimo del soggetto attraverso stesure di colore apparentemente disarmoniche e pennellate rapide e vibranti, che solo ad un occhio superficiale sembrano disordinate.

Quando il giovane Lorenzone, nella prima metà degli anni ’40 dell’Ottocento, si affaccia sul palcoscenico della pittura torinese, il genere del ritratto è ancora in gran voga : esso è andato solo trasformandosi. “Attraverso il ritratto passa negli anni ’30 un’evoluzione del linguaggio pittorico analogo a quello ancora più radicale cui si assisterà successivamente per il paesaggio” [2].

123 Come dianzi detto, il ritratto non è più committenza esclusiva delle famiglie reali e degli aristocratici, ma anche della classe borghese . La fotografia è appena nata ( il primo dagherrotipo a Torino è del 1839) e non esercita ancora la sua concorrenza : il ritratto comunica al momento più di qualsiasi altro mezzo la sensazione di vicinanza. Poco alla volta però, con i miglioramenti tecnologici, il nuovo strumento di riproduzione dell’immagine, più veloce, esatto, economico e comodo, a confronto degli schizzi e delle sedute richiesti dalla pittura, renderà obsoleto o nuovamente elitario il genere del ritratto. Anche se nel 1869 Luigi Rocca, segretario della Società Promotrice di Torino, contro l’invadenza della fotografia affermava il valore artistico dei ritratti come opere “che assai meglio possono dare l’espressione della fisionomia” [2 bis] ed invitava i pittori ad esporne.

Buon ritrattista era G.B.Biscarra, il maestro di Lorenzone.

A Torino tra gli artisti di maggior spicco in materia è doveroso citare Pietro Ayres, il saviglianese giramondo che al ritorno in patria dalla Russia e dalla Polonia aveva dato eccellenti prove di sé , autore di parecchi ritratti soprattutto di nobili, tutti splendidi lavori ad olio.

Un altro artista di rilievo in questo campo è Francesco Gonin. “Gonin ha un grande mestiere, sa tenersi aggiornato e, al di là della sua versatilità, dipinge quadri molto spontanei e sentiti ; in particolare nei ritratti di figure dell’aristocrazia o di famiglie borghesi con cui ha più consuetudine” [2].

I ritratti eseguiti da Ayres e F.Gonin sono di impronta stilistica romantica, cioè attenti al carattere spirituale dell’individuo, coerentemente con le temperie artistiche del tempo, e d’altronde Ayres stesso nel soggiorno a Roma aveva conosciuto Horace Vernet, esponente del romanticismo moderato francese.

Ovviamente di determinante importanza per la produzione pittorica è la forte spinta impressa da Carlo Alberto, che con la sua committenza fornisce nuova linfa a tutte le arti, a cominciare dalla ritrattistica di corte, compresa quella commemorativa.

A Palazzo Reale già nel 1837 troviamo i ritratti dei Savoia in fama di santità ; nella Galleria del Daniele, a partire dal 1840, sono collocati 54 ritratti di sudditi illustri (politici, militari, magistrati, ecclesiastici): tra le ‘firme’ abbiamo G.B.Biscarra, Ayres, F.Gonin, A.Augero, G.Serangeli. Infine, a partire dal 1841, i ritratti di Amedeo VIII , Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo II per la sala del Caffè, che vedono impegnati pittori lombardi, come Carlo Arienti e Giuseppe Molteni.

In questo ricco mercato anche Lorenzone riuscirà ad inserirsi ( ricordiamo il gran numero di ritratti da lui presentati alla Promotrice), dimostrando padronanza delle più svariate tecniche, quali la pittura ad olio, l’acquerello (tempere, guazzi, con biacca ), il disegno riprodotto in litografia, xilografia, acquaforte. La dimensione dei quadri va da quella grande, alla media, alla piccola, alla miniatura. I soggetti sono i più diversi, elementi della famiglia reale, nobili, imprenditori, borghesi, religiosi, militari, celebri personaggi risorgimentali, e questa varietà è il segno del successo di Lorenzone, facilmente comprensibile quando si tenga presente la grande abilità nel disegno, cosa che gli permetteva di riprodurre le fattezze delle persone con precisione e realismo. La sua cifra stilistica sarà quella del romanticismo moderato, accompagnata all’inizio da qualche citazione classica – retaggio dell’Accademia – nei due grandi oli conservati in passato a Racconigi, frutto della collaborazione con casa Savoia, che diventa poi romanticismo accentuato, come nel ritratto ad acquerello di Maria Adelaide. In seguito mostra di aderire alla sensibilità biedermeier sia nelle tempere ( ritratto di Laura Govone Vicino; ritratto di ufficiale,ecc.) le quali poco accettano i ripensamenti, che negli oli (ritratto di Luigi Rey e della moglie ) ed anche di approdare ad accenti di dolente verismo, nei ritratti di Pio IX e del Cottolengo.

E’ comunque evidente che qui - rispetto alle opere religiose – il tratto di Lorenzone si fa più vero, più autentico. Basta vedere con che scioltezza rappresenta, nei disegni per litografie, i tratti di Vittorio Emanuele II, di Napoleone III, di Cavour, di Garibaldi (di quest’ultimo anche un bellissimo

124 olio) e di tutti gli altri protagonisti del Risorgimento, che penetra nella loro essenza umana restituendoceli come persone; e con quale delicatezza descrive i sentimenti che esprimono l’editore Luigi Pomba e la moglie con bambino nelle due stupende miniature.

Appare quindi quel che il pittore veramente può realizzare quando sia libero da condizionamenti , e non è poco.

Infine due notazioni : data la capacità dell’artista di dare una dimensione psicologica a personaggi del passato sulla base di ritratti conosciuti o grazie alla pura fantasia, abbiamo inserito in questo capitolo anche tali opere.

Del pittore conosciamo per ora solo dei ritratti singoli (a parte le litografie che rappresentano il Cottolengo con un bambino e un povero e quella , della serie ‘I contemporanei’, che ritrae Gerolamo Bonaparte e Clotilde di Savoia), non di gruppi di famiglia. Sappiamo però che alla Pubblica Esposizione della Società delle Belle Arti a Torino presentò nel 1853 un acquerello con i ritratti del principe ereditario Umberto e del fratello Amedeo Duca d’Aosta. E nel quadro dell’ apoteosi di S. Francesco da Paola, cosa rappresentano Madama Cristina e i due figli, tutti inginocchiati e oranti se non un gruppo di famiglia? Non escludiamo quindi sorprese in futuri ritrovamenti.

Una notazione infine : le litografie che rappresentano il Cottolengo con altre figure potrebbero rientrare nelle opere devozionali, ma poiché il viso del Cottolengo non è d’invenzione ma un dato reale - ottenuto attraverso precedenti ritratti e descrizioni - ho ritenuto di porle in questo capitolo dedicato ai ritratti.

Quanto ai ritratti che ho posto alla fine del capitolo , che sono sicuramente dei dipinti preparatori anche per tavole d’argomento sacro, per le ragioni che esporrò ho preferito situarli in questo capitolo.

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1 Maria Cristina di Francia, moglie di Vittorio Amedeo duca di Savoja- 1842/’45 – Acquaforte L’acquaforte, realizzata su disegno di Lorenzone, compare nella monumentale opera del conte milanese Pompeo Litta ‘ Famiglie celebri italiane’ [3], nel fascicolo dedicato ai Savoja, composto tra il 1839 e il 1845. Ciò testimonia la stima di cui godeva il giovanissimo artista, la cui opera affianca quelle di Durelli, Dorcier, F.Gonin, Ayres, ecc, incise da Brusa, Bramati, Camera, ecc. Non dimentichiamo che Ayres e Gonin erano docenti all’Accademia Albertina quando Lorenzone era studente.

Lorenzone riprende il quadro di Filippo di Champagne, che si trovava nella galleria del Castello di Moncalieri.

L’acquafortista è Citterio Francesco ( Milano 1804 - 1898)

2 Francesco Giacinto duca di Savoja nel 1637, morto nel 1638 1842/’45- Acquaforte Questo ritratto di Francesco Giacinto compare, come la precedente acquaforte, nell’opera del Litta [3], nella pagina a fianco di quella della mamma Maria Cristina: anch’essa ripropone un quadro che si trovava nella galleria del castello di Moncalieri. Il fascicolo dei Savoia è la parte più pregiata di tutta l’immensa mole dell’opera (centinaia di tavole e di incisioni) : oltre a ritratti come questi, compaiono carte geografiche dei territori dello stato, colorate e accompagnate degli stemmi di ciascun ducato o contea , colorati in argento e oro. Le ricerche del Litta per il volume dedicato a casa Savoia furono agevolate per ordine di Carlo Alberto .

Acquafortista, come per il precedente ritratto, è Citterio Francesco.

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3 Vittorio Emanuele I , primi ’50 – RACCONIGI, Castello.

Olio su tela. Cm 202x117.

Per eseguire questo ritratto Lorenzone, nato nello stesso anno della morte del re, dovette ovviamente far riferimento a precedenti opere , come ad es. quella del Museo Massena a Nizza, proveniente presumibilmente dal castello di Govone o quella, assai simile, attualmente al museo del Risorgimento di Torino, od altre ancora.

Normalmente un sovrano è rappresentato a figura intera, frontale, con i simboli del potere, e alle spalle un panorama che rappresenta il regno. Questo grande dipinto rappresenta il re in alta uniforme di generale dei carabinieri, corpo da lui fondato nel 1814 . Alle spalle, a lato, ci sono un bel tendaggio ed una colonna con basamento al quale si appoggia V.Emanuele I: la colonna è generalmente un simbolo di potere; sullo sfondo v’è abbozzato il castello di Moncalieri, che fu il rifugio finale dell’ex sovrano.

Dalla figura leggermente di scorcio parte uno sguardo obliquo che è l’elemento principale del quadro, perché esprime l’anima del personaggio: stanco , triste, disilluso, amareggiato dai tradimenti e dalla perdita del trono. Un individuo debole ed insicuro, che nel ‘21 non seppe o non volle usare la mano dura per conservare il potere - non volendo cedere alla rivolta, né intendendo versare il sangue del popolo - e che abdicò in favore del fratello Carlo Felice, preferendo cedergli l’incombenza e nominando nel frattempo come reggente Carlo Alberto. L’attenzione rivolta allo stato d’animo del personaggio sottolinea l’evidente influenza del romanticismo nel dipinto, anche se un sentore di rigidità dovuto all’alta tenuta denota il retaggio del secolo passato : ma forse fu la precisa richiesta della committenza.

Questo ritratto di V.Emanuele I ed il seguente della moglie, furono commissionati al Lorenzone da Vittorio Emanuele II, che inoltre diede l’incarico a Costantino Sereno per quelli di Carlo Emanuele IV e Maria Clotilde di Borbone Francia (1851) e a F.Marabotti per quelli di Carlo Felice e Maria Cristina di Borbone Napoli [4]. Ciò allo scopo di completare la serie dei ritratti delle coppie reali interrotta con l’invasione francese in Piemonte.

Detti ritratti erano situati nel Castello di Moncalieri, da cui poi furono trasferiti , tra il 1890 e il 1920, parte nel Castello di Racconigi, parte nel Palazzo Reale di Torino .

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foto concessa dal Castello di Racconigi

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4 Maria Teresa Arciduchessa d'Austria, primi ‘50– RACCONIGI, Castello . Olio su tela. Cm 202x117

Maria Teresa , moglie di Vittorio Emanuele I, aveva la naturale ambizione di una principessa cresciuta nella corte imperiale di Vienna (era figlia di Ferdinando d’Austria e Maria Beatrice d’Este), ma era anche una donna dotata di realismo, ai cui pareri si affidava molto il marito. Essa è ritratta con la corona e l’ermellino, ma l’abito nero dovrebbe significare la vedovanza (nella scritta sottostante il titolo è di arciduchessa d’Austria), espressa anche da uno sguardo di tristezza e afflizione.

Lo sfondo , invece di essere rappresentato da tendaggi, è neutro, di colori opachi, arricchito solo da una porzione angolare di un quadro, e anche la poltrona in primo piano cui s’appoggia la nobildonna è tagliata a metà. Tutto questo allo scopo di concentrare l’attenzione sul personaggio e sulla sua anima, in ottemperanza ai principi del romanticismo e cioè al principio di identità spirituale che l’idealismo tedesco – padre del romanticismo - lascia in dote alla ritrattistica dell’Ottocento.

In verità qui c’è ancora un sentore di grazia ‘impennacchiata’ del passato, che si risolve però in effetto piuttosto borghese, in assonanza con i tempi.

Da sottolineare i toni e la disposizione dei colori : come al solito in Lorenzone l’aspetto cromatico dell’opera è un punto forte, determinante. Raffinata la poltrona (a metà) dal bel verde damascato e i particolari dorati curatissimi, in controtendenza con l’ispirazione generale del quadro: una licenza poetica di stampo classico, che volentieri concediamo all’artista.

D’altronde non c’è da stupirsi se i ritratti del primo periodo stanno “a mezza strada tra il formalismo idealizzante e l’effusione romantica” [1], perché tra l’impostazione classica (o neoclassica) e quella del primo romanticismo non si produsse certo una cesura netta ed improvvisa, bensì graduale.

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foto concessa dal Castello di Racconigi

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5 Maria Adelaide di Lorena, Regina di Sardegna 1849/’54 - RACCONIGI, Castello . Tempera cm 51 x43 con cornice, cm 34 x cm 27 senza cornice. Firmato sul bordo basso dello scrittoio a destra “T.Lorenzone” Maria Adelaide di Asburgo-Lorena (Milano, 3 giugno 1822 – Torino, 20 gennaio 1855) era figlia dell'arciduca Ranieri, viceré del Lombardo-Veneto, e di Maria Elisabetta, sorella del re di Sardegna Carlo Alberto, quindi cugina di Vittorio Emanuele, che sposò a Stupinigi nel 1842. Maria Adelaide condusse una vita molto ritirata, dedicandosi ai figli. Era molto religiosa e strana; un esempio :a Moncalieri si faceva chiudere a chiave in un piccolo stanzino con inginocchiatoio e crocifisso; dopo qualche minuto cominciava a singhiozzare ed a urlare, ma era vietato aprirle fino a un’ora prestabilita. Dopo la morte del figlio Carlo Alberto (28 Giugno 1854) non comparve più in pubblico.

Morì poco dopo la nascita dell’ultimogenito.

L’acquerello era in gran voga negli anni ’40 - ’50 . La diffusione di tale tecnica per i ritratti fu favorita innanzitutto per la maggiore velocità di esecuzione – sia intrinseca, sia in riferimento alle ridotte dimensioni delle opere – che riduceva le tante sedute necessarie invece per gli oli. Inoltre v’era la bellezza dell’acquerello, dovuto alla freschezza e alla velata morbidezza dei toni, anche se si tratta di una tecnica difficile, perché i colori ,asciugando in fretta, non consentono ripensamenti : Lorenzone se ne doveva servire con gran frequenza , se nel 1853 – come già rammentato – presentò alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti ben otto ritratti eseguiti con tale tecnica, tra cui quello dei principini Umberto e Amedeo, figli della stessa Maria Adelaide e di Vittorio Emanuele.

E’ molto interessante il confronto con il ritratto di qualche anno prima del Gonin (anch’esso un acquerello, di pari dimensioni) che aveva raffigurato l’allora Duchessa fino al ginocchio, seduta in poltrona, di trequarti verso sinistra , la mano destra pendula; Lorenzone riprende la stessa posa, scambiando sinistra con destra, ma poi l’opera segue una linea stilistica assai differente. Nel Gonin c’è una “minuta ambientazione in un ridondante interno Luigi Filippo, la piacevole descrizione degli oggetti,dei gioielli alla moda, quali i bracciali di diversa foggia, del nastro e delle blondes, che sottolineano la scollatura” [5]. Nel Lorenzone invece la Sovrana è vestita dall’ermellino reale accollato ; non più abbondanza di oggetti d’esteriorità (vasi, fiori, tende damascate) ma un libro forse di preghiere ; ella “appare in una muta conversazione domestica con il ritrattino del consorte ed il busto in miniatura del padre” [5] cioè in una dimensione intimistica.

Un fascio di luce penetra nella stanza dal fondo, senza illuminare direttamente il volto della regina e sottolineandone di converso gli aspetti enigmatici della personalità, che traspaiono dallo sguardo rivolto leggermente verso il basso: uno strano sguardo d’introversione e meditazione. Mentre Gonin rimane più in superficie, Lorenzone riesce ad approfondire la personalità di Maria Adelaide, a restituirci quello strano spirito. Senza però dimenticare, anche in quest’opera di pieno romanticismo, la sua formazione classica : si veda la bellezza della mano sinistra, sottolineata dalla presenza dell’anello: vero cammeo d’artista.

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foto concessa dal Castello di Racconigi

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N.D. (contessa) Laura Govone Vicino 1859 -

TORINO,GAM. Tempera su carta. cm 30 x 23 . Firmato del tavolino

g

Lorenzone sul bordo

foto G.A.M di Torino

La giovane nobildonna è ritratta in un angolo del salotto, seduta in poltrona, di trequarti ma quasi frontale, fino al ginocchio. C’è ricercatezza di pittura nell’abbigliamento: le pieghe dell’abito, i pizzi delle maniche e del collo, chiuso questo da un nastrino rosso e circondato da un cordoncino dorato che scende sul petto. A lato si vede una porzione di tavolino sul quale vi sono una coppa con un mazzo di fiori e un cestino; alle spalle una piccolissima parte di un quadro (poco più che un tratto di cornice), un festone di tappezzeria su una parete che verso sinistra si scurisce. Questa impostazione , con una descrizione minuziosa di alcuni arredi, e con l’uso particolare della luce che va a concentrarsi sul personaggio, è anche quella del ritratto seguente. Vi è qui un certo gusto biedermeier, espressione di un sentimento di misura e intimità propria della borghesia tedesca e austriaca.

A recare segni distintivi della nobiltà non vi sono né gioielli (la ragazza porta un semplice braccialetto al polso destro) , né arredi di particolare rilievo , con stemmi. Sembra insomma più un ritratto di una ragazza borghese un po’ intimidita di fronte al pittore piuttosto che quello di una giovane aristocratica. La donna è qui “immagine di un romanticismo che cerca nuove vie nella realtà effettuale e trova una moda, una grazia, un pacato ambiente, un gusto di soavi pensieri e nostalgie” [1].Da rimarcare il funambolico pezzo di bravura espresso dal disegno delle due mani, a segnalare le capacità tecniche dell’artista e il frutto dei suoi approfonditi esercizi giovanili alla scuola del Biscarra.

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7 Ufficiale - anni ’50 - collezione privata. Tempera su carta cm 33x26.

Firmata in basso a destra

Lorenzone g

fotografia casa d’aste Meeting Art di Vercelli

La realizzazione dell’opera va situata negli anni ’50, quando il pittore era molto attivo nel campo della ritrattistica. La tecnica della tempera su carta permetteva- come già detto - una esecuzione molto più veloce rispetto all’olio, in relazione anche alle dimensioni ridotte di queste opere.

L’arredamento è riprodotto in modo parziale ; una porzione di tavolo ricoperto da tovaglia, su cui c’è l’elmo col cimiero e un guanto, alle spalle una tenda violacea e l’abbozzo di un quadro.

Minuziosa invece la descrizione della divisa. Anche qui, come nel ritratto precedente della contessa Govone Vicino, la luce si concentra sulla figura umana e in particolare sul volto.

L’ufficiale, che non compare ricoperto di particolari decorazioni belliche, esprime sì una concentrata serietà del suo ruolo (potrebbe trattarsi di un giovane che si fa ritrarre prima di partire per la seconda guerra d’indipendenza), ma non è più l’esponente di un certo esclusivo ceto sociale. Insomma, nulla a che vedere con quei ritratti di militari dal cipiglio grave ed ostentato, rappresentati in alta tenuta in pose rigide e goffe.

Da denotare che ancora una volta Lorenzone, pur impegnato a rendere il soggetto nel suo carattere in uno spazio di limitate dimensioni, non trascura di lasciare segni della sua bravura. Vedasi ad esempio la bella capigliatura arricciolata del soldato, descritta con grande precisione.

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8 Signora - anni ’50 basamento

TL

Tempera su carta cm 35x25. Firmato in basso sul

collezione privata

L’opera rappresenta una signora borghese o nobildonna dall’espressione meditabonda , in una residenza di campagna, con il braccio sinistro appoggiato col gomito su di una poltrona, il destro invece lasciato libero, in giù, con un fazzoletto in mano.

Rispetto ai due ritratti precedenti il discorso pittorico si allarga, nel senso che l’artista non si concentra esclusivamente sulla figura della donna, peraltro descritta con alcuni particolari raffinati, come l’acconciatura, le pieghe dell’abito, le mani, il cammeo appeso al collo e il fiore nella mano sinistra.

Alle spalle della signora fa da sfondo un ampio tendaggio con le nappe in evidenza, mentre sul fianco ingentilisce la scena un cespuglio di fiori.

Al fondo un palazzetto di campagna, che presumibilmente rappresenta l’abitazione della donna o comunque la località di residenza, secondo un’abitudine frequente in Lorenzone.

In definitiva un ritratto ad acquerello realizzato con raffinatezza e con una ricchezza descrittiva propria degli oli.

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9 Bambina con fiori - anni ’50 Firmato in basso a destra T Lorenzone

- Tecnica mista su cartone cm 31x23.

Immagine della casa d’aste Hampel, Munich (Germania)

E’ una di quelle opere che l’artista – molto abile in materia - realizzava presumibilmente in poco tempo – dopo un primo abbozzo a matita -, ad acquerello o con tecnica mista (acquerello - biacca matita), ma sempre con buone qualità coloristiche e di disegno.

Si tratta qui di un grazioso ritratto di bambina che tiene nella mano destra un mazzo di fiori e con la sinistra un cestino ripieno anch’esso di fiori, posato su uno sgabello; pure la treccia della bambina è abbellita da un fiore.

Prezioso il vestitino che con i suoi colori – il bianco con la cinta azzurra e gli abbellimenti di ugual colore su una sottoveste arancio, e il tabouret rosso – vivifica la scena sotto l’aspetto cromatico.

Il viso della bambina spicca bene sullo sfondo; essa è tutta compresa nella sua parte, come denota lo sguardo serioso ed un po’ intimidito.

In definitiva, un piccolo , raffinato gioiello di un artista che proprio nel settore della ritrattistica ad acquerello si esprime al meglio, con una qualità di alto livello.

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10 Giuseppe Garibaldi - 1860

Cm 66x54 senza cornice. Olio su tela.

Firma in basso a sinistra T.Lorenzone.

Collezione privata

Dietro il quadro una vecchia rintelatura riportava una scritta con la data del 1850, cosa che i lineamenti più giovanili rispetto a ritratti posteriori – tra cui uno a litografia dello stesso Lorenzone del 1860 – sembrerebbero confermare.

Sullo sfondo però, a sinistra, di lato alla spalla destra dell’eroe, compare una costruzione che dovrebbe rappresentare la famosa ‘casa bianca’, luogo di residenza di Garibaldi a Caprera dal 1857: una semplice abitazione stile fazenda sudamericana, in granito intonacata di bianco.

Garibaldi inizialmente - nel 1855 - acquistò una parte dell’isola grazie al lascito di un fratello, e andò ad abitarvi, in un ovile ristrutturato, nel 1856. Dopo questa prima sistemazione, iniziò poi la costruzione della nuova dimora che venne detta ‘casa bianca’, dove visse con la moglie Francesca Armosino ed i figli, fino alla morte nel 1882 E’ quindi da ritenere che molto più probabilmente il quadro sia stato realizzato ai tempi dell’Unità d’Italia e comunque dopo il 1856: si può infatti supporre che l’artista per dipingere l’immagine del grande condottiero si sia rifatto in questa occasione ad altri ritratti e/o fotografie precedenti, cosa per lui non nuova.

L’opera è di spiccato valore cromatico, con l’oro della catenella dell’orologio e quello della fibbia sulla cintura che brillano sul rosso della camicia, e i vari toni rosati del volto , sullo sfondo di un cielo nuvoloso; notevole poi, sulla sinistra, l’inserto paesaggistico.

L’opera di Lorenzone non è la solita rappresentazione dell’eroe dei due mondi.

E’ vero che il pittore pancalierese abbiglia il personaggio con il fazzolettone annodato al collo e con gli altri stereotipi consueti (catenella dell’orologio e la borchia in vita).

Qui però - a differenza dei numerosi , consueti ritratti agiografici dell’eroe dei due mondi - compare un Garibaldi dallo sguardo intenso e pensoso, sullo sfondo di un cielo mosso e del paesaggio casalingo. Ed è proprio la casa bianca sul promontorio a rimarcare che - a differenza di altri ritratti di Garibaldi, celebrativi e stereotipati - si tratta dell’immagine di un uomo immerso nei suoi pensieri, legato al mondo degli affetti degli ultimi decenni di vita. Lo stesso foulard sulle spalle, invece del tricolore patriottico o del rosso politico - rivoluzionario , riporta il blu e il verde, quasi a simboleggiare i colori dell’ambiente isolano, quello del mare e quello della campagna.

Un’opera insomma di assoluto rilievo nell’ambito della ritrattistica del tempo, che rivaluta molto il pittore a lungo – e tuttora – dimenticato.

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Serie ‘I contemporanei italiani-Galleria Nazionale del secolo XIX Tra il 1860 e il 1864 furono edite dalla UTET le biografie delle personalità più importanti (anche in chiave negativa) dell’epoca. Era la collana ‘I contemporanei italiani-Galleria Nazionale del secolo XIX’ costituita da 68 volumetti di dimensioni ridotte – cm 13,5 x 9 - di un centinaio di pagine circa.

La finalità di era quella offrire un’informazione immediata anche se non organica “perché i fatti contemporanei non avendo ancora prodotta ogni lor conseguenza non possono venir classificati in modo determinato”. [7] L’iniziativa ebbe successo, per il prezzo popolare di 50 centesimi, per l’attualità e per i bei ritratti litografici stampati nell’anteporta, di circa cm 8x8, a piena pagina.

I primi quattro opuscoli furono quelli di Vittorio Emanuele II, Napoleone III, Garibaldi e Cavour : nella prima edizione, sotto il ritratti dei primi due personaggi e del quarto, compare a sinistra l’annotazione ‘Lorenzone dis’ e a destra ‘Carelli inc.’ [Giacomo Carelli, incisore, Palazzo Canavese 1812 – Torino 1887], di mani diverse, presumibilmente i curatori . Per deduzione logica e qualità stilistiche anche il terzo, il ritratto di Garibaldi, è da assegnare a Lorenzone.

D’altronde sono stati ritrovati oltre 50 disegni originali dell’artista relativi alla serie , tutti da lui firmati (taluno con l’indicazione del soggetto, sempre di sua mano ) , ed in un caso con allegata la fotografia del personaggio: quindi tutti i 68 ritratti sono del Lorenzone. L’iter di esecuzione prevedeva dunque la partenza da una fotografia, quando possibile, altrimenti c’erano a disposizione ritratti ad olio, acquerelli, incisioni. Taluno dei personaggi in questione fu conosciuto certamente dal pittore, che quindi poté operare non con una semplice trasposizione , ma dando al soggetto anche un tratto psicologico personale. Ad es. Silvio Pellico era segretario della marchesa Barolo quando la nobildonna conferì all’artista la committenza del quadro per l’Ospedaletto di S.Filomena; Massimo D’Azeglio espose diverse volte alla Promotrice mentre era presente anche Lorenzone;ecc. E certo di parecchi di essi poté avere almeno una visione diretta. Una cosa interessante è vedere come i personaggi siano ritratti a mezzo busto, ma con tante diverse posture.

Possiamo vedere nel caso di Roberto D’Azeglio il passaggio fotografia, disegno, litografia, e in quello del fratello Massimo l’ottima ‘traduzione’ dell’incisore dal disegno in litografia. Quanto appunto agli incisori della serie essi furono probabilmente differenti: basta raffrontare l’incisione di Massimo D’Azeglio, assai somigliante all’originale (firmato) , mentre invece quella del fratello Roberto differisce alquanto dal disegno originale (firmato).

Oltre ai due fratelli D’Azeglio, per ragioni di spazio, riproduciamo qui i ritratti dei personaggi più noti ed importanti, salvo aggiungere nell’Appendice tutti gli altri.

11 Roberto D’Azeglio 1861

Fotografia – coll. privata

Disegno originale - – coll. privata

Litografia

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12 Massimo D’Azeglio 1861

Litografia

Disegno originale - coll. privata

13Vittorio Emanuele II 1860

15 G.Garibaldi 1860

14 Napoleone III 1860

16 Camillo Benso di Cavour 1860

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17 Bettino Ricasoli

18 Pio IX 1861

1860

19 Silvio Pellico 1861

21 C.Alberto 1862

20 Alfonso Lamarmora 1861

22 Mazzini 1862

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23 Gerolamo Bonaparte e Clotilde 1863

E’ l’unico ritratto di coppia della serie.

Maria Clotilde , nata a Torino nel 1843 , figlia di Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide, era una ragazza dal carattere equilibrato, che aveva avuto una educazione molto legata alla morale cattolica.

Gerolamo Bonaparte (nipote di Napoleone I e cugino di Napoleone III) , aveva non solo una ventina d’anni in più rispetto a Clotilde, ma una concezione della vita del tutto diversa, essendo fin da giovane liberale, laico e portato a rapporti amorosi ‘leggeri’.

Il loro matrimonio fu deciso come ‘ragione di stato’. Negli accordi di Plombières del 1858 tra Cavoue e Napoleone III questi, in cambio dell’aiuto nella futura guerra d’indipendenza del Piemonte, richiese come contropartita Nizza e la Savoia e come suggello dei patti il matrimonio del cugino con una principessa dei Savoia.

Il matrimoni venne celebrato a Torino il 30 gennaio 1859 . La coppia ebbe tre figli.

Alla caduta dell’Impero francese del 1870 Clotilde, abbandonata dal marito, tornò in patria dove si rifugiò nel castello di Moncalieri. A sua volta Gerolamo, fu deputato in parlamento ; in seguito però, volendo riaffermare il diritto al trono, fu espulso per sempre dalla Francia.

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24 L’editore Luigi Pomba 1861 Torino, raccolta Carlo Firmato

Verde (*).Miniatura,

T. Lorenzone nell’angolo destro in basso.

Immagine da libro UTET

[8]

Luigi Pomba era cugino di 2° grado del grande editore Giuseppe Pomba, (proprietario della casa editrice Pomba, poi UTET) ; nel 1850 ne sposò la figlia Emilia e divenne in pratica il padrone.

Lorenzone era in rapporti di lavoro con l’editore, per il quale disegnò i ritratti già citati per le litografie inserite nell’anteporta dei volumetti della serie ‘I contemporanei italiani. Galleria Nazionale del XIX secolo’; ancora nel ‘61 eseguì lavori di grafica per il periodico Il Mondo Illustrato, che il personaggio tiene appunto in mano nel dipinto.

Luigi Pomba cercò di rilanciare nel 1860/61 il bel settimanale illustrato, che era stato edito dallo suocero Giuseppe nel 1847/’48; purtroppo anche questa volta la notevole rivista non raggiunse il successo economico sperato.

Il bellissimo ritratto a miniatura rappresenta la figura pubblica dell’editore che, in piedi nel suo studio, mette in mostra la sua iniziativa più ambiziosa su cui nutriva tante speranza dopo l’unità d’ Italia: un vero cammeo quello della rivista spiegazzata nella mano destra di Luigi Pomba. (*) Carlo Verde fu prima direttore editoriale della Utet, poi Amministratore Delegato e Presidente dal 1945 al 1981.

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25Emilia Pomba con il primogenito Albertino. 1861 raccolta Carlo Verde. Miniatura. Firmato

Torino,

T. Lorenzone nell’angolo destro in basso .

Immagine da libro UTET [8]

Emilia Pomba, figlia di Giuseppe Pomba, sposò a 24 anni Luigi Pomba, il 27 gennaio 1850, nell’ambito di una cerimonia un po’ inconsueta.

Infatti il padre Giuseppe decise di far celebrare in contemporanea i matrimoni delle sue tre figlie.

Luigi Pomba era figlio dell’omonimo Luigi Pomba, cugino primo di Giuseppe, che il grande editore aveva fatto venire dalla Francia per coadiuvarlo, e col quale costituì la ‘Ditta Cugini Pomba &C’.

Alla morte di Luigi subentrò il figlio omonimo, che divenne genero ma anche figliastro di Giuseppe, perché questi a sua volta ne sposò la madre vedova . In questo modo Luigi junior divenne - come già detto - in pratica il padrone della ditta. Morirà improvvisamente nel 1872.

Questa seconda e molto bella miniatura rappresenta un’immagine intimistica di madre e figlioletto, che tiene in mano il piccolo fucile giocattolo ed ha un cuscino sotto i piedi per poter essere meglio ritratto.

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26 M. Bondois – 1861

Xilografia da ‘ Il Mondo Illustrato’- UTET

Il ritratto rappresenta M.Bondois, artista drammatico francese al teatro Scribe. L’incisore è Hertel.

L’immagine compare nel ‘Mondo illustrato’ Anno IV, n°45, 9 Nov. 1861 .

Il Teatro Scribe sorse nel 1857 a Torino nell’attuale via Verdi ,a breve distanza dalla Mole Antonelliana. Era una sala delle più importanti, piena di dorature, strutturata su quattro ordini di palchi e loggione, oltre alla platea, per una capienza di 1.400 spettatori.

Il locale declinò rapidamente dopo il trasferimento della capitale a Firenze nel 1865.

27 Sabbato di Palma – 1861 Xilografia da ‘ Il Mondo Illustrato’ -UTET ‘Tipi e scene del brigantaggio napoletano: Sabbato di Palma’. Disegno di Lorenzone, incisione di Sargent.

Firmato L su una pietra in basso a sinistra.

L’immagine compare nel ‘Mondo illustrato’ , Anno IV, n°48, 30 novembre 1861.

Su Sabbato di Palma non si è trovata notizia, ma il ritratto fa supporre si trattasse di un noto brigante dell’epoca.

Il brigantaggio fu un fenomeno misto di banditismo, delinquenza comune, insurrezione politica e rivolta sociale che si verificò nel Meridione italiano ai tempi dell’unità d’Italia e nel primo decennio del regno.

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28 Adalberto II, re d’Italia – Primi ’60.

Acquaforte - Sotto la figurazione, da sinistra T.Lorenzone Dis., P.Bujani Imp., G.Silvani Inc. ed il titolo.

MILANO,Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”

Foto Luca Postini

Questa opera e la successiva (ritratti di fantasia dei primi conti Savoia) vanno situati in un contesto ideologico - celebrativo seguito alla realizzazione dell’Unità d’Italia, così come l’opera 10 del capitolo seguente . D’altronde Carlo Alberto, onde affermare con forza la sua indipendenza dalle altre case regnanti, sottolineava fortemente l’antichità della sua dinastia.

Qui Lorenzone si rifà al Cibrario che, per accontentare Carlo Alberto, ribadì la tesi del vescovo A. Della Chiesa (1600), ripresa da G.F. Galeani Napione , i quali tentavano di far discendere il capostipite dei Savoia conte Umberto Biancamano da Berengario II re d’Italia, per il tramite del nipote Adalberto. Adalberto ad un certo punto perse la corona, e pur essendo molto valoroso, e spostandosi da un luogo all’altro, morì senza veder adempiute le sue speranze [9] . Il figlio Ottone Guglielmo , in seguito a complesse vicende, divenne conte e duca dell’alta Borgogna, con qualche dominio nel contado di Ivrea. Umberto Biancamano sarebbe probabilmente il suo secondogenito.

Lo schema dell’opera vede dietro il personaggio la colonna,simbolo di potere, ed un tendaggio.

Notevoli i particolari della figura, la corona, gli abiti, i lineamenti del volto, la mano.

L’incisore è Silvani Gaetano (Parma 1798-1879), l’editore Bujani Pietro.

Dimensioni:parte figurata mm. 167x138 , impronta 333x244 [10]

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29 Odone,conte di Savoia – Primi ‘60 . Acquaforte - Sotto la figurazione, da sinistra T.Lorenzone Dis., P.Bujani Imp., A.Lauro Inc. ed il titolo.

MILANO,Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”

Foto Luca Postini

Odone, figlio di Umberto Biancamano , nato nel 1010 e morto nel 1060, divenne conte perché il primogenito Amedeo morì prematuramente, e gli altri due figli di Umberto, Aimone e Burcardo erano stati avviati al sacerdozio. Odone contrasse matrimonio con la marchesa Adelaide di Susa: grazie a questo allargò di molto i propri domini assestandosi saldamente al di qua delle alpi e ne approfittò per dichiararsi anche marchese d’Italia: comes et marchio Italiae.[11] La composizione è ben articolata e l’immagine ricca. Il conte, ritratto di tre quarti, una mano sull’elsa, l’altra a sostenere il mento, vestito di una calzamaglia descritta minuziosamente, di una veste raffinata e ricoperto da un mantello dalle pieghe stupende e con alle spalle una tenda anch’essa ben disegnata, volge uno sguardo assorto al paesaggio che compare al di là di una finestra dal vetro di fattura medioevale. Un mirabile piccolo capolavoro, dove all’espressione romantica del personaggio fa da contrappunto l’ambientazione di classica raffinatezza.

L’incisore è Lauro Agostino (Torino, 1806 – 1878) .Editore Bujani Pietro. Dimensioni:parte figurata mm 237x182, impronta mm 332x243. [12]

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30 Odone , principe di Savoia - 1867 Stampa da libro.

Firma T.Lorenzone sotto la manica destra.

E’ una stampa, su disegno del Lorenzone, inserita nell’antiporta del libro ‘S.A.R. il principe Odone di Savoia duca di Monferrato’ [13] scritto nel 1867 dal cappellano di corte Valerio Anzino, un anno dopo la prematura morte di Odone (1846-1866). Odone, figlio di Vittorio Emanuele II° e di Maria Adelaide, fin dalla nascita fu affetto da grave malformazione fisica, per cui fu tagliato fuori dalla vita di corte.

Reagì alla sua situazione sviluppando una appassionata ed intelligente attenzione verso le arti e l’archeologia, sì da formare una mirabile raccolta. Passò gli ultimi cinque anni della sua breve esistenza a Genova, per la mitezza del clima marino, e in questa città visse gli anni più felici, a contatto di artisti. Alla città di Genova lasciò alla morte le sue ricche collezioni.

Odone con i fratelli Umberto e Amedeo, don Anzino e altri

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31 El doctor Francia-

olio su tela incollata su legno cm 43x56. Copia da Lorenzone (annotazione sul retro). Musèo Historico Nacional di Buenos Aires (Argentina) Foto Bartolomeo Lorenzone

José Gaspar Francia (Asunciòn 1766 -1840) fu un politico paraguaiano, dittatore dal 3 ottobre 1814, soprannominato ‘El doctor Francia’ o ‘El supremo’.

Il dipinto a olio fu donato al museo da Enrique V. Jurado y Maria Luisa Frelles de Jurado il 4 Giugno 1901.

L’esistenza di questa copia suggerisce l’idea che l’originale fosse piuttosto un quadro, che non un disegno. Esiste anche una litografia riprodotta in un libro [14] ; sotto la riproduzione c’è la scritta ‘El dictador Francia segun Lorenzone’, senza altre informazioni. E’ anch’essa una copia dell’opera di Lorenzone, ma tra le due copie vi sono molti punti di differenza.

Del ritratto dell’uomo politico eseguito dal Lorenzone parlano diversi libri e pubblicazioni; si tratta comunque di un’opera – a quanto pare – perduta [15] o dispersa.

Qualcuno accenna a ritratto ‘dal vero’, cosa chiaramente inverosimile, dato che il dittatore morì nel 1840, quando Lorenzone aveva 16 anni . Sensate altre considerazioni [15], dove si ipotizza che Lorenzone abbia realizzato la sua opera a Genova e di lì l’abbia inviata (perché poi realizzata a Genova non si sa).Il pittore dovette ovviamente lavorare sulla base di altri ritratti e/o descrizioni, cosa non inedita per lui ; comunque si afferma che il quadro assomiglia come nessun altro al dittatore, secondo l’opinione generale di quanti lo conobbero.

Rimane comunque nel mistero tutto di quest’opera, a partire dalla committenza.

Nel centenario della morte del dittatore, in Paraguay uscì questo francobollo.Quello che si vede riprodotto è il quadro di Lorenzone : l’immagine è ripresa dall’originale oppure dalla copia del museo di Buenos Ayres, con qualche variante?

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32 Il commendatore Luigi Rey di Vinovo 1868VINOVO,Ufficio del Sindaco - Olio su tela cm 96x75 (senza cornice). Firmato in basso a destra T.Lorenzone

foto Alessandro Manassero

La datazione , non indicata sull’opera, è quella probabile [16].

Luigi Rey (1811-1893) era proprietario, con il fratello Giacomo, del rinascimentale castello di Vinovo (che qui , secondo un tipico vezzo di Lorenzone, è rappresentato in parte nella porzione di quadro che compare in alto a destra nel dipinto ). Ivi , ai piani superiori, aveva installato una manifattura tessile, dove produceva tappeti di lana e damaschi di cotone e lana, e di seta e lana: manifattura unica nel suo genere negli stati sardi.

Iscritto alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino insieme con la moglie, era un amante della pittura, tant’è che il piano nobile fu da lui restaurato abbellendolo con gli affreschi di Rodolfo Morgari e del nipote Luigi.

Luigi Rey fu anche un insigne benefattore che donò alla comunità il terreno per un edificio scolastico - della cui attività didattica fu pure finanziatore - davanti al quale è collocato il suo busto in bronzo realizzato dal noto scultore Leonardo Bistolfi.

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33 La signora Rosa Cardone Rey,moglie del comm.

Luigi Rey 1873 - VINOVO, Ufficio del Sindaco - Olio su tela cm 96x75 (senza cornice)

foto Alessandro Manassero

La datazione ,non indicata sull’opera, è quella probabile.[16] Il ritratto di Rosa Cardone Rey, moglie del commendator Luigi Rey (morta a Sanremo nel 1879) non è firmato, ma l’opera si deve senz’altro attribuire allo stesso pittore che ritrasse il marito, il quale viene ridipinto (mirabile tocco) sul medaglione, tenuto in mano dalla moglie.

In entrambi i ritratti ‘le figure, cariche di espressione, di colore e di particolari, si adeguano perfettamente alle correnti della ritrattistica aulica ottocentesca’ [16].

Da sottolineare come pezzi di bravura , oltre al succitato medaglione, la raffinata descrizione della stoffa dell’abito, la perfezione delle braccia e delle mani, l’orologio al polso, il vaso di fiori sulla finestra, i braccialetti,la catenina al petto.

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34 Il servo di Dio Padre Pio Brunone Lanteri , 1870 Disegno firmato, sul bordo basso dello scrittoio, stampatello, T.Lorenzone.

E’ la riproduzione, ripresa da una cartolina del 1940, del disegno realizzato per la litografia ; infatti Calliari [17] scrive: ‘Il Lorenzone era venuto a contatto col Gastaldi ancora nel 1870 quando aveva disegnato il ritratto del Lanteri’.

Padre Gastaldi aveva richiesto al Lorenzone l’opera per la litografia da inserire come frontespizio interno della sua biografia del Lanteri. Pio Brunone Lanteri fu il fondatore degli Oblati di Maria Vergine; nacque a Cuneo nel 1759 e morì a Pinerolo il 1830. Dunque Lorenzone non lo conobbe e dovette lavorare basandosi su altri ritratti e su descrizioni. Rispetto alla litografia manca la parte sinistra della finestra, presumibilmente ‘tagliata’ in sede di riproduzione del disegno sulla cartolina.

34 bis Pio Brunone Lanteri 1870 – litografia

E’ tratta dall’opera precedente . Nella litografia non c’è la firma del pittore sul bordo dello scrittoio, ma l’indicazione sotto di essa, in basso sotto l’angolo sinistro. Sotto l’angolo destro c’è invece l’indicazione dei litografi, i famosi fratelli Doyen.

Costituisce il frontespizio del libro di Pietro Gastaldi O.M.V ‘Della vita del servo di Dio Pio Brunone Lanteri, fondatore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine’- Marietti, Torino 1870

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35 Jean Baptiste de La Salle –

Immagine da libro

Quadro a olio

[18]

Di questo ritratto di J.B. De la Salle si parla in una monografia sull’iconografia del santo [18], dove si cita il quadro senza indicare dove sia custodito, ma comunque viene detto esplicitamente che l’autore è Lorenzone, e vi si parla di ‘dipinto’.

In relazione a esso esistono 4 opere presso gli archivi della Casa Generalizia: 1) una fotografia del quadro in cui si distingue la firma T.Lorenzone, in nero sul bordo della scrivania; 2) un adattamento realizzato in seguito alla beatificazione con il capo aureolato da raggi e la scritta ‘B. Joannes Batista ecc.’ con la firma in chiaro su sfondo scuro ; 3-4) due immagini devozionali di grandezza differente, l’uno cm 10,8x7,1 e l’altro cm 7,2x4,6 costituiti dal cliché del quadro con la scritta ‘Il venerabile G.B. Della Salle/Fondatore dell’Instituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane/ nato a Reims nel 1651, morto a Roano nel 1719 in odore di santità’.[18] L’immagine sopra riprodotta nel libro suddetto [18] sembrerebbe rappresentare quell’adattamento con il capo aureolato citato al n.2 ; inoltre sul bordo della scrivania è visibile in chiaro la scritta ‘nzone’, cioè la firma tagliata dalla riproduzione incompleta.

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35 bis Jean Baptiste de La Salle-

Roma, collegio San Giuseppe De Merode dei fratelli delle Scuole Cristiane – Olio su tela non firmato.

fotografia di fratel Gabriele e fratel Virginio

Nella precitata monografia [18] si dà indicazione di una copia non firmata che si trova a Roma, quasi sicuramente questa qui riprodotta , appunto non firmata.

Il dipinto non è esattamente identico a quello della pagina precedente (ad esempio il viso del santo, il libro della Regola) ma comunque sostanzialmente uguale.

Giovanni Battista de la Salle è rappresentato in piedi davanti alla scrivania mentre presenta alla Vergine un libro sul quale si può leggere ‘Règles des Frères des Ecoles Chrétiennes’, ossia la Regola dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane da lui fondato.

Anche qui , come in ritratti analoghi di altri religiosi, compare un crocefisso sul muro, un’immagine della Madonna ed una tenda (che nasconde in parte una biblioteca).

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36 Pio IX 1870 – .Palazzo Mastai - Senigallia (AN). Casa natale, Museo Pio IX. Olio su tela cm.164 x cm.107. Firmato in basso a destra T.Lorenzone

La tela è racchiusa da una cornice di legno dorato a luce ovoidale.

E’ stata acquistata dal Museo il 3.4.1978 dalla Famiglia Mosconi Oreste di Genova ed è sistemata nella sala n.5 detta ‘del medagliere’.

Davanti all’invasione dello Stato Pontificio da parte delle truppe regie, Pio IX decise di rimanere in Roma, e di esercitare una resistenza poco più che simbolica, anche se la breccia di Porta Pia del 20 settembre causò una cinquantina di morti.

Con il plebiscito del 2 Ottobre Roma e il Lazio furono annessi ufficialmente all’Italia.

Ciononostante nell’enciclica Respicientes ea del 1° Novembre il papa condannò l’occupazione di Roma e la spoliazione dello Stato pontificio, rifiutando in seguito la rendita annua concessa dal governo e non accettando le guarentigie. Pio IX si considerò sempre ‘prigioniero’ e dal settembre 1870 non mise più piede fuori del Vaticano.

In questo dipinto il papa, già settantottenne, è stanco e abbattuto, pur se ancora ritto e in salute; l’artista realizza un’immagine del pontefice assai fedele, comparandola con altre immagini dell’epoca. Il ritratto è essenziale , anche se il pittore si concede qualche virtuosismo da miniaturista in relazione a stoffe, parati e arredi: davanti ad uno sfondo neutro, rappresentato da un abbozzo di quadro (c’è una cornice con la tela non dipinta) e ad una parte di trono , c’è Pio IX in piedi, a figura quasi intera, che tiene la mano destra sul petto, mentre con l’indice della sinistra indica , sfiorandolo, il crocefisso, a significare la propria condizione ; poco sotto, su di un tavolino, stanno i Vangeli e una statuetta della Madonna (riferimento alla proclamazione del dogma della Immacolata Concezione da parte dello stesso Pio IX nel 1834).

Appaiono chiaramente le condizioni fisiche e morali del Papa, con i riferimenti essenziali della fede: dunque un quadro non celebrativo, ma di realistica rappresentazione della persona e del suo ruolo in quel preciso momento storico.

Non ho purtroppo trovato documenti o citazioni che riferiscano di un viaggio a Roma del Lorenzone; ciò che induce a ritenere che il quadro sia frutto di un lavoro diretto e non di riporto da altre immagini è comunque la sua immediatezza , che sa di reportage proprio di quei giorni.

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foto concessa da Palazzo Mastai - Casa natale, Museo Pio IX - Senigallia AN

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37 Pio IX 1870 –

ARICCIA, palazzo Chigi .Tempera monocolore su carta cm 32x25 – Firmata in basso a destra T.Lorenzone

Il guazzetto fu donato al Palazzo Chigi di Ariccia dall’architetto Francesco Scopellato nel Giugno 2000. Esso può essere una copia monocolore in formato ridotto dell’olio precedente o potrebbe costituirne il bozzetto.

Leggiamo la scheda approntata da Francesco Petrucci, Conservatore del Palazzo Chigi di Ariccia, per la mostra di ritrattistica papale del 2005-2006 a Washington, in cui l’opera fu esposta [19]: “Questo è …una replica in formato ridotto del quadro presente nel palazzo Mastai di Senigallia...Il ritratto assume una particolare importanza rispetto alle altre immagini di Pio IX poiché venne fatto a Roma, subito dopo la presa della città da parte della milizia dei Savoia il 20 Settembre 1870”.

In realtà non si conoscono prove - almeno per il momento - del viaggio a Roma di Lorenzone (abbastanza agevole ormai a quei tempi) ma, come detto per il dipinto, è il realismo della scena che induce a ritenere della realizzazione dal vivo dell’opera.

Una domanda è lecita: chi suggerì al papa proprio il nome di Lorenzone per questo ritratto?

E’ sensata la risposta che prova a dare Scarrone [20] : “Si hanno valide ragioni di ritenere che sia stato lo stesso don Bosco che, come noto, ebbe frequenti contatti con il pontefice romano, in un’epoca travagliata nei rapporti tra stato e chiesa, anche per incarichi fiduciari delle due parti, godendo grande stima ed apprezzamento di entrambe”.

Conoscendo la stima di Don Bosco nei confronti di Lorenzone è una ipotesi credibile, per quanto nulla si sappia purtroppo della storia sia del dipinto in Senigallia che del bozzetto ad Ariccia.

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foto concessa dal Palazzo Chigi di Ariccia

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38 Pio IX 1870 circa- collezione privata – Olio su tela cm 115x 90 – attribuzione

Immagine da libro [19]

Dopo il ritratto a litografia della serie ‘I contemporane’ , quello ad olio custodito in palazzo Mastai a Senigallia ed il suo bozzetto in palazzo Chigi ad Ariccia, ecco ancora un ritratto di Pio IX, una tela di proprietà privata.

L’attribuzione è del dott Francesco Petrucci , conservatore di Palazzo Chifi ad Ariccia.

Il dipinto è stato esposto nell’ambito della mostra tenutasi al ‘Pope John Paul II Cultural Center’ di Washington (USA) durata del 16 Ott. 2005 al 30 Marzo 2006.

Nel catalogo della mostra, a cura di Francesco Petrucci, si presenta l’opera, che viene attribuita a Lorenzone per il volto, la stessa posa e inquadratura del dipinto di Senigallia.[19] E’ certo possibile che Lorenzone, giunto a Roma per un ritratto del Papa su ordinazione , ne abbia approfittato per dipingerne qualcun altro a richiesta, evitando di firmarlo per ovvi motivi di convenienza.

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Il canonico Cottolengo, con ai lati una bambina e un anziano - Torino, Piccola Casa della Divina Provvidenza.

La statua è posizionata in una nicchia dell’edificio della Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino. Essa fu scolpita da Angelo Bruneri nel 1847 , grazie ai frutti di una pubblica sottoscrizione.

Il Cottolengo è rappresentato come protettore dei più deboli (bambini ed anziani), mentre indica il cielo, cioè Dio. Foto di Giuseppe Caiafa

MUSEO TORINO

Le tre seguenti opere di Lorenzone sono una trasposizione della statua in due dimensioni, con qualche aggiunta (il cappello dell’anziano, l’ambientazione). Quindi portano lo stesso titolo della statua.

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Litografia

1863

- riproduzione da libro [21] Questa litografia si trova in un libro del 1863 [21], con la dicitura ‘T.Lorenzone dis.- Lit. F.lli Doyen- C.Granddidier lit.’.

Proprietà artistico – letteraria Torino presso Pietro di Gia .to Marietti

Sotto l’immagine compare la seguente didascalia: ‘Effigie del Servo d’Iddio Canonico Giuseppe Cottolengo, fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli Auspizi di S.Vincenzo de’ Paoli in Torino. Nato li 3 Maggio 1786, morto in odore di santità li 30 aprile 1842. Ricavato dall’unico ritratto preso dal vero posseduto dal Vescovo di Pinerolo’.

Furono fatte ricerche nel 1958 presso il Vescovo di Pinerolo Mons.Gaudenzio Binaschi, ma nulla si seppe dell’originale [22].

E’ da ritenere dunque che Lorenzone, oltre al disegno per litografia, dipinse anche un quadro con lo stesso soggetto?

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Litografia

1864 Firmato in basso a destra, presso il bordo, in corsivo T.Lorenzone

Riproduzione da libro [22]

L’immagine qui riprodotta reca la scritta ‘Venerabile Giuseppe Ben. Cottolengo’.

La causa di canonizzazione prese inizio nel 1863.

Dopo la prima fase in cui veniva attribuito il titolo di ‘Servo di Dio’ direttamente dal vescovo della Diocesi, all’epoca si usava attribuire, subito dopo il decreto d’introduzione del processo, il titolo di Venerabile. Quindi questa litografia potrebbe risalire al 1864. In calce all’incisione c’è la nota:’Ricavata dall’originale che si conserva nella Piccola Casa’ . Anche in questo caso, a Torino le ricerche non approdarono a nulla [22] . Ripeto l’interrogativo di cui prima: Lorenzone dipinse un quadro di ugual soggetto?

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Litografia.

T.Lorenzone dis.

Marietti

1865

MILANO, Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”

Lit. F.lli Doyen

C.Grandidier inc. Proprietà artistico letteraria Torino presso Pietro

Sotto l’incisione c’è l’indicazione: ‘Effigie del Servo di Dio Venerabile Giuseppe B. Cottolengo , fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza, sotto gli Auspici di S.Vincenzo de’ Paoli in Torino. Nato li 3 Maggio 1786, morto il 30 Aprile 1842. Ricavato dall’unico ritratto dal vero, posseduto dal Vescovo di Pinerolo’. Come già detto precedentemente nulla si trovò a Pinerolo.

L’immagine differisce dalle precedenti solo per la berretta in luogo del tricorno. Questa effigie compare nel catalogo della casa editrice P.G.Marietti del 1865, nelle diverse dimensioni di cm 18x12 a 10 centesimi e cm 27x18 a 20 centesimi; sempre cm 27x18 in carta di Cina a 30 centesimi e infine cm 36x25 ‘ diligentemente eseguita da Lorenzone e litografata da Grandidier su carta di Cina’ a 1 Lira [23]. Dunque un’immagine di vasta diffusione popolare. foto Postini Luca

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42 Il Beato Cottolengo appoggiato a un tavolino, nell’atto di leggere una lettera – ante 1890 Firmato nell’angolo destro,in diagonale, stampatello T.Lorenzone.

Riproduzione da libro

[21]

Di questo ritratto non abbiamo informazioni né sulla localizzazione, nè sulla tecnica esecutiva (grafico, acquerello,olio), né sulle dimensioni.L’impostazione ha dei punti in comune con altri ritratti del Lorenzone (la poltrona, lo scrittoio con un libro sacro, il crocifisso). Sullo sfondo quasi spoglio si stacca nitida l’espressione del volto . La scritta che compare qui come in altri ritratti ‘Charitas Christi urget nos’, cioè ‘Noi siamo spronati dall’amore di Cristo’ è tratta da ‘S.Paolo ai Corinti’.

La descrizione – viva e calzante - che del Cottolengo fece il noto scrittore e politico Vittorio Bersezio: “Giuseppe Cottolengo era d’aspetto modesto, mite, aperto, benevolo, ilare: una di quelle buone faccie leali che ispirano fiducia al primo vederle, uno di quegli sguardi sereni che vi lasciano leggere nell’anima; semplice nelle maniere, nel discorso, nella vita, era la personificazione più perfetta del vero sacerdote”. [24] San Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra CN) il 3 maggio 1786 e fin da piccolo fu portato verso i bisognosi.

Divenuto sacerdote a Torino, aprì nella regione di Valdocco le Piccole Case della Divina Provvidenza, prima per i malati rifiutati da tutti, poi per “famiglie“ di handicappati, orfani, ragazze in pericolo e invalidi. Le Piccole Case , oltre a dare rifugio e assistenza materiale, tendevano a costruire una identità umana e cristiana nelle persone completamente emarginate. Al servizio di questa nascente cittadella della carità, il Cottolengo istituì diverse Congregazioni di suore.

Il 21 aprile 1842 affidò al Canonico Luigi Anglesio la direzione della sua opera per potersi ritirare presso il fratello, canonico nella collegiata di Chieri. In tale città morì santamente il 30 Aprile 1842.

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43 San Giuseppe Cottolengo, solamente di busto. 1890 Stampa. Firmato in basso a destra stampatello T.Lorenzone.

Riproduzione da libro [25]

Il ritratto eseguito dal fratello Agostino

Si tratta di un disegno commissionato per adornare la quarta edizione (1892) della biografia del Santo scritta dal Gastaldi [25] , che nel suo stesso libro descrive il modus operandi del Lorenzone , veramente significativo (pag. 734,735). ″ Tra i ritratti che si hanno di lui, somigliantissimo è quello furtivamente dipinto in tela dal fratello Agostino….Sopra ogni altro però ai nostri giorni, è quello dell’esimio pittore Tommaso Lorenzone”.

Furono cercati dei ritratti che fossero veritieri e fedeli, e vennero consegnati all’artista, che se li studiò e “compiuto il disegno” lo consegnò al Padre della Piccola Casa Don Domenico Bosso per sentire se c’era da correggere qualcosa. Venne allora convocata quella quindicina di Vincenzine ancora viventi che invece avevano conosciuto personalmente il Cottolengo, si mise loro sott’occhio il disegno in modo che esprimessero il loro parere. Una fece osservazioni sulle labbra, una seconda notò che mancava la pozzetta sul mento, una terza indicò un neo sul volto, ecc.

Lorenzone, pazientissimo, ascoltò ogni più piccola osservazione , rifece il lavoro e presentatolo nuovamente ebbe la soddisfazione del seguente commento:“A questa effigie del nostro buon Padre non manca altro che la parola.” [25] La litografia tratta dal disegno di Lorenzone per il libro di Gastaldi.

163 I 4 ritratti seguenti - dal n.44 al n.47 – ad olio su tela – sono chiaramente degli studi preparatori.

44 Uomo che guarda verso destra (s.Marco) cm.37,5x30 Immagine della casa antiquaria DANTAN di Arras (Francia) - rete antiquaria Proantic

Esso è evidentemente uno studio propedeutico del s.Marco presente nella grande tela di Maria Ausiliatrice, come si evince immediatamente dal raffronto.

Il s.Marco della pala di Maria Ausiliatrice

164 Anche i due quadri seguenti sono certamente del Lorenzone, per comparazione stilistica, per il fatto che esse hanno la stessa provenienza, le stesse tele e gli stessi telai. [26] . Eccellente il n.45, con il viso dallo sguardo estatico in una classica posizione che riecheggia Guido Reni.

45 Uomo con lo sguardo verso il cielo

cm 56x47,5

46 Uomo che guarda verso la sua destra cm 43x38

Immagini della casa antiquaria DANTAN di Arras (Francia) - rete antiquaria Proantic

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47 Uomo che guarda in basso verso la sua sinistra cm 44x37

Nella parte bassa della cornice è avvitata la targhetta con il nome T. Lorenzone

Immagini del negozio di antiquariato ‘Il Balon’ di Torino

Anche dei n.45-46-47 sarebbe ovviamente interessante conoscere i dipinti finali di riferimento.

Queste 4 tele – dal 44 al 47- sono comunque piccole opere di per sé compiute, sia per le fisionomie, sia per le magnifiche elaborazioni dei dettagli (capelli, barba, rughe,ecc.). Pur trattandosi di studi preparatori di personaggi facenti parte di scene più ampie, sono inseribili in questo capitolo, in quanto posseggono l’espressività di veri ritratti.

Poiché sono tele originali su telai d’epoca, c’è da pensare che fosse lo stesso pittore a porle in vendita queste opere per ricavare un piccolo utile .

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48 Madre Enrichetta Dominici – ca 1894 -

Torino, casa madre

suore di S.Anna, via della Consolata . Olio su tela . Attribuzione

fotografia suore di s.Anna

Figura carismatica della Congregazione di cui fu a lungo Madre Superiora , Isabella Dominici mise in mostra notevoli capacità operative assistite da un’alta religiosità.

Perché l’atribuzione del dipinto a Lorenzone?

Il pittore aveva conosciuta bene la religiosa e quindi ne aveva memoria, inoltre l’aveva già ritratta nel 1876 tra le suore oranti genuflesse nel quadro della Trinità nella cappella della casa madre di Torino. V’è infine nel dipinto uno stilema tipico : la posa della religiosa è simile a quella di tanti altri ritratti di religiosi del Lorenzone, con il crocefisso sul fianco sinistro del personaggio.

L’opera , per il suo carattere spoglio e diretto, trova somiglianza nel ritratto (disegno) del Cottolengo del 1890. Il pittore coglie qui la suora in uno sguardo di religiosità severa , con i due oggetti-simbolo del crocifisso e del libro sacro. Solo il bianco del copricapo e della parte superiore dell’abito conferiscono luminosità al quadro. Il nero della tonaca, e lo sfondo scuro, che si schiarisce però in prossimità del volto, conferiscono al ritratto un tono di austero ascetismo e servono a potenziare l’immagine del soggetto.

Di qui l’ipotesi, in assenza di informazioni, che l’opera risalga a ridosso della morte di suor Enrichetta (1894), quasi certamente per desiderio delle consorelle, che desideravano avere una memoria visiva imperitura della loro grande Madre Superiora.

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Bibliografia Cap.5 [1] Guzzi Virgilio- Il ritratto nella pittura italiana dell’Ottocento- Fratelli Fabbri editori 1967 [1bis] Cecchetti Maurizio – Alta società l’immagine al potere- L’Avvenire ,16 Marzo 2018 [2] Dragone Piergiorgio – Pittori dell’Ottocento in Piemonte. Arte e cultura figurativa 1830-1865 – Banca CRT 2001 [2 bis] Rocca Luigi- Ritratti in Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1869- Torino 1869 [3] Litta Pompeo – Famiglie celebri italiane. I Savoia – Milano 1846 [4] Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Bollettino di numismatica n°24, Dicembre 2005 [5] F.M. – Scheda del ritratto di Maria Adelaide duchessa di Savoia in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna 1773 – 1861 – a cura di E.Castelnuovo e M.Rosci, Vol. II Torino 1980 [6] Facchin L. – Scheda SBAS 00208695 [7] Bottasso Enzo –Catalogo storico delle edizioni Pomba e UTET 1791-1990 UTET, Torino 1991 [8] Firpo Luigi - Vita di Giuseppe Pomba – UTET , Torino1976 [9] Cibrario Luigi – Storia della monarchia di Savoia, Vol. I - A.Fontana, Torino 1840 [10] Benezit – Scheda biblioteca Panizzi Reggio Emilia n° 13676 [11] Sticca Giuseppe – I Savoia ,parte prima – Ed. Nemi, Firenze [12] Corna P.A., Giubboni G. – Scheda biblioteca Panizzi Reggio Emilia n°8176 [13] Anzino Valerio – S.A.R. il principe Odone di Savoia duca di Monferrato – Tipografia del Collegio degli Artigianelli, Torino 1867 [14] Efraim Cardozo - Paraguay independiente - Salvat Editores 1949 [15] Boletìn del Instituto de Investigaciones historicas - Universitad. de Buenos Aires 1926 [16] Merlone Rinaldo – Tommaso Andrea Lorenzone: pittore del sacro. Dalla parrocchiale di Piovesi alle opere della maturità – Centro Studi Piemontesi, Torino 1994, vol. XXIII, fasc.2 [17] Calliari Paolo – Gli Oblati a Pinerolo nel 1° centenario ecc. – Editrice Lanteriana , Roma 1987 [18] Joseph-Aurélien Cornet- Emile Rousset- Iconographie de Saint Jean-Baptiste de La Salle:des origines à la béatification, 1666-1888- Cahiers Lasalliens .Volume 49 – Editions Cahiers Lasalliens 1989 [19] Petrucci F. – Papi in posa. 500 Years of Papal Portraiture – Gangemi editore, Roma 2005 [20] Scarrone Franco - Conzano e le sue parrocchie – Asti 2004 [21] Renaldi Lorenzo - Nelle esequie celebrate dalla congregazione de'preti-teologi del corpus domini canonici della SS.Trinità al sacerdote teologo D.Giuseppe Cottolengo da Bra / Elogio Storico detto nel tempio del miracolo a' 10 giugno 1842 dal canonico Lorenzo Renaldi. - Torino : Stabilimento Tipografico Fontana, 1842. - 43 p. Ristampa del 1863, terza edizione.

[22] Di Meo – La spiritualità di S.Giuseppe Benedetto Cottolengo – Pinerolo 1958 [23] Capello Paolo – Raccolta di sermoni ecc.- Torino, Pietro di Giacinto Marietti, 1865 [24] Vittorio Bersezio – I miei tempi – Torino, Alfredo Formica Editore 1931 [25] Gastaldi – I prodigi della carità cristiana descritti nella vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo – Ed.IV vol.II, 1892 [26] Comunicazione della casa d’aste ArtCurial di Parigi.

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CAPITOLO 6 OPERE PROFANE Non è possibile , con il poco materiale a disposizione, stendere un profilo completo del pittore nel campo delle opere ‘laiche’.

E’ utile comunque fare una descrizione approssimativa del periodo storico - artistico dell’epoca in cui Lorenzone si cimentò, oltre al genere sacro e alla ritrattistica, anche nelle altre composizioni: più o meno quindi i venti anni che decorrono dal 1845 al 1864.

Quando il pittore pancalierese inizia la professione, all’inizio degli anni ‘40, al di fuori delle opere religiose (di cui già abbiamo detto nei capitoli 3 e 4) la cultura figurativa a Torino è ancora legata fortemente alla committenza di Carlo Alberto, sia come stile - un misto di purismo, rinascimento con prevalenza raffaellesca, neoclassicismo - sia come soggetto: eventi gloriosi che riguardano la storia dei Savoia e del loro regno . Lo stesso Carlo Alberto fornisce un forte appoggio all’esercizio dell’arte litografica, con l’intento di promuovere una diffusione estesa e capillare dell’esaltazione dinastica.

Nel 1842 si ha però un evento di grande importanza per l’arte: la nascita della Società Promotrice delle Belle Arti, con conseguenze notevoli sulla committenza, e quindi sullo stile, la tecnica , le dimensioni stesse dei quadri, ed i soggetti: fin dai primi anni della Pubblica Esposizione della Società Promotrice si può rilevare che i settori di genere storico e religioso sono i meno rappresentati, a beneficio della pittura di genere e di paesaggio, già larga maggioranza. Ne abbiamo parlato diffusamente nel capitolo 2 , ma val la pena ripetersi. Diminuiscono le tele ad olio di grandi dimensioni, mentre si diffondono le opere di formato ridotto, tra cui le miniature e gli acquerelli, più adatte alle abitazioni dei borghesi e meno costose. Si abbandonano i soggetti storici a favore di temi più attuali, soprattutto le scene di genere, ovvero rappresentazioni di momenti famigliari, i ritratti attenti ai moti dell’animo,scene di esotismo orientale, paesaggi con una descrizione attestata sulla realtà della natura: la paesistica diventa un genere autonomo a sé stante, con predominio del carattere romantico.

Verso la fine del decennio abbiamo il determinante evento della prima guerra d’Indipendenza, la sconfitta di Novara, il nuovo re.

Con l’ascesa al trono nel 1849 di Vittorio Emanuele II°, grazie al governo di Massimo D’Azeglio il Piemonte riesce a rialzarsi. Il regno sabaudo conosce un forte sviluppo economico e la crescita della borghesia, che acquisisce un ruolo determinante nella committenza artistica, finendo poco alla volta per divenire l’acquirente principale in luogo dei Savoia (che d’altronde nel 1865 lasceranno Torino per Firenze).

Al D’Azeglio succede nella carica di primo ministro il Cavour, che affianca il re nei suoi propositi più ampi . C’è nel 1855 la guerra di Crimea che porta il Piemonte alla ribalta europea, e vede in pittura la ripresa delle scene di battaglia, sia da parte di artisti presenti sul posto, sia da parte di chi se l’è immaginate. In generale tanti soggetti sono ispirati al grande e storico sentimento dell’unità d’Italia : “nei giornali, nell’editoria libraria, nella vita culturale di Torino si sviluppa….una politica culturale unitaria”[1].

L’azione politica di Cavour e V.Emanuele II porta alla vittoria nella seconda guerra di Indipendenza ; poi ci sono i plebisciti dell’Italia centrale, c’è l’impresa dei Mille, insomma: l’Unità d’Italia.

Accanto alle opere ispirate agli eventi bellici e storici, rimangono comunque i temi della vita comune e soprattutto i temi di paesaggio, con alcuni grandi pittori che superano il romanticismo, tra i quali emerge la figura di Fontanesi, grande innovatore e rivoluzionario, per il quale sarà creata all’Accademia Albertina nel 1869 la cattedra di paesaggio.

In questa situazione politica effervescente, in una società che ribolle, In tutto questo complesso, attivo e creativo mondo culturale, arricchito dalla presenza degli intellettuali che provengono a Torino da tutta Italia, come si situa Lorenzone, cosa realizza, oltre alle opere religiose e ai ritratti?

169 Le opere di soggetto storico, romanzesco, di attualità politica, realizzate velocemente su carta con le più svariate tecniche – acquerello , misto acquerello e biacca o inchiostro – e messe in vendita presso le librerie a prezzi popolari costituivano una parte non trascurabile di reddito ‘contante’ per i pittori: Lorenzone non faceva eccezione alla regola, e affiancò alla sua produzione in campo religioso quella relativa a temi storici di epoche diverse, tra cui pure l’attualità risorgimentale.

Abbiamo, sciolta l’eccezionale tensione per la raggiunta unità d’Italia, i disegni per il ‘Mondo illustrato’, pregevole tentativo di rilancio di questa innovativa rivista; quelli per un libro cavallerescofantastico cone ‘La strega di Monza’; quelli che ritraggono alcune donne celebri del passato per il libro ‘Le Sirene più celebri di tutti i tempi’.

Oltre ai frutti del suo inserimento nel mondo editoriale, Lorenzone provò anche ad esprimersi sui temi di moda con dipinti ad olio.

Possiamo vedere dai cataloghi della Società Promotrice che, nell’insieme delle sue nove partecipazioni tra il 1844 e il 1859, il pittore propose sette opere di carattere profano . Esse sono: 1846 L’ultima ora del Rinnegato tra le braccia di Egilda (Dal romanzo del Visconte d’Arlincourt) 1850 Rinaldo e Armida nell’isola incantata (Gerulasemme Liberata,canto XVI): l’unico di questi sette dipinti da noi conosciuto.

1851 Una figlia alla tomba della madre 1857 Lamberto si scopre a Lisa (Niccolò de’ Lapi) ;Le ultime ore di Ferruccio (Guerrazzi - Assedio di Firenze); Armida si innamora di Rinaldo (Gerusalemme Liberata,canto XIII) 1859 L’aura del mattino Cinque quadri sono di riferimento letterario o storico-letterario , uno romantico, ed infine l’ultimo rappresenta un dipinto che dal titolo si direbbe paesaggistico o di genere.

Da rimarcare poi i suggerimenti, vorrei quasi dire le indicazioni, che ci danno alcuni bozzetti del pittore, che riguardano escursioni nel campo delle scene di guerra o di quelle folkloristiche, di cui parleremo.

Dunque Lorenzone apre , magari con parsimonia, ai nuovi gusti, e non ama forse affrontare il mare aperto del mercato - era impresa ardua per tutti gli artisti all’epoca vivere solo dei proventi del mercato - preferendo l’approdo più sicuro dei lavori su commissione, ovvero opere religiose e ritratti.

Neppure il fatto che ‘L’aura del mattino’ del 1859 venga acquistato dalla Società Promotrice funge da stimolo ed incoraggiamento ad affrontare i nuovi temi? Non ne siamo certi.

Nulla ci vieta di ipotizzare che , seppure episodicamente e magari dietro commissione, abbia continuato a realizzare qualche ‘pezzo’ di genere o di paesaggio o di riferimento storico-letterario.

Intanto in varie opere grafiche tra quelle del ‘Mondo Illustrato’ compaiono ampi sfondi paesaggistici.

Altro lavoro in cui compare sullo sfondo un bosco è la litografia “Semiramide 1” , parte de “Le Sirene più celebri di tutti i tempi” del 1864, opera di cui parleremo in questo capitolo: l’intervento sorprendente riguarda alcuni nudi/ seminudi femminili.

Ma la cosa più interessante è che quando le vedute compaiono dei dipinti - soprattutto quelli di argomento sacro - come elemento marginale, esse risaltano per il ‘vero’, in contrapposizione ai temi principali trattati invece col manierismo, talvolta stucchevole, richiesto dalla committenza!

Saranno il tempo, l’impegno di ricerca e anche un po’ di fortuna a permettere di scoprire qualche pezzo che illustri più compiutamente l’opera del pancalierese nel genere ‘laico’. Chissà che non si trovi qualche bel paesaggio ad acquerello o anche ad olio. Non è da escludersi, anzi.

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1 Rinaldo e Armida nell’isola incantata – 1850 Collezione privata dorato d’epoca.

Firmato T.Lorenzone in basso a destra. Cm 126x124. Cornice in legno

Il dipinto fu presentato alla Pubblica Esposizione della Società Promotrice del 1850 (20 Maggio – 5 Luglio), corredato dei versi del canto 16 ° della Gerusalemme Liberata cui fa riferimento. E’ il canto tra i più celebri del poema : volta a volta drammatico, patetico, lirico, elegiaco. Lorenzone si ispira al passo in cui i cavalieri cristiani Carlo e Ubaldo, mossi alla ricerca del compagno Rinaldo riescono a penetrare nel palazzo di Armida ed assistono, non visti, agli amori di Rinaldo e Armida nel giardino incantato, regno di voluttà e oblio. Si tratta di un tema non certo nuovo, già sfruttato da altri pittori del secolo precedente.

Riportiamo alcuni versi per descrivere la scena.

“Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, e ‘l crin sparge incomposto al vento estivo; ……………………………………………….

Dal fianco de l’amante (estranio arnese) Un cristallo pendea lucido e netto.

Sorse, e quel fra le mani a lui sospese

Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle Le posa il capo, e ‘l volto al volto attolle …………………………………………..

Il primo dei versi riportati viene interpretato solitamente mostrando la maga con un seno scoperto; il pudico Lorenzone ne dà una versione castissima: l’accenno di nudo femminile viene infatti coperto dal capo di Rinaldo.

In questa opera giovanile appaiono chiare alcune caratteristiche del pittore. Lorenzone non rielabora in chiave di mitologia letteraria le fattezze dei due amanti, che paiono due fidanzati dell’Ottocento, vestiti con abiti d’altra epoca . Ben diverso – come vediamo dal confronto – l’Hayez nel suo slancio romantico!

Vediamo però qui espresse le migliori qualità dell’artista: una capacità di disegno d’impostazione classica notevole; ammirevole l’anatomia con la perfezione delle mani, affascinante il riposto boschetto e le misteriose, lontane montagne. E soprattutto, ancora una volta, da rimarcare – per quanto il quadro non appaia in condizioni ottimali - la superba gamma cromatica, il tenero rosa della gonna di lei che ben s’accorda con l’amaranto della tunica di lui, il niveo bianco, le diverse varietà del verde. I colori del Lorenzone sono intensi - senza essere squillanti -, teneri e caldi. Nelle sue opere si può dire che il colore si fa elemento fondamentale e primario: a proposito di questo dipinto un critico dell’epoca trova infatti che “Il vivido del colore molto bene inteso fa perdonare qualche menda nel disegno”.[2] Alla Esposizione il dipinto ottenne da pubblico e recensori lodi [3] e critiche negative [2].

Il quadro fu esposto anche all’Esposizione Generale delle Belle Arti di Bruxelles del 1851, ricevendo però nella rivista ufficiale una critica pesantissima ed eccessiva: “Ce n’est ni composè,ni dessinè, ni peint”, inserita nel contesto di generale commento negativo rivolto all’insieme di tutte le opere italiane presenti alla mostra [4].

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Riproduzione dal catalogo 2008 della casa d’aste Boetto di Genova Francesco Hayez:Rinaldo e Armida Venezia, Gallerie dell’Accademia

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2 Gli ultimi giorni di Pompei

– Guazzetto su carta cm 30,48 x 43,18

Firmata TLorenzone in basso a destra

Fotografia della casa d’aste Auktionshaus Zofingen (Svizzera)

L’estetica del neoclassicismo fu fortemente influenzata dallo stile pittorico delle decorazioni che si erano trovate tra le rovine di Pompei e venivano alimentate dai nuovi scavi; caratteristica essenziale di tale corrente artistica - che nacque nel Settecento ma proseguì nella prima metà dell’Ottocento – fu il culto della storia della Grecia antica e di Roma, vista in chiave mitica come modello assoluto di riferimento estetico, ideale di suprema armonia e inarrivabile bellezza. Fiorirono quindi i dipinti che riproponevano lo stile pompeiano, rappresentando i personaggi nelle scene di vita propri dell’epoca. Altro tipo di opere furono quelle ispirate alla fine tragica della città , tipo: ‘Eruzione:gli ultimi giorni di Pompei’ dello scozzese Jacob More (1780), ‘ L’ultimo giorno di Pompei’ del russo Brjullov (1833) ecc. Lorenzone si accosta all’argomento pompeiano scegliendo questo filone, quello della rappresentazione apocalittica L’opera evidenzia la componente neoclassica nel disegno dei corpi seminudi, nel drappeggio degli abiti, nell’architettura degli edifici, ma non solo. La scena è drammaticamente affollata di uomini, donne, bambini nel tumulto della fuga caotica fra morti, feriti, statue che cadono: sullo sfondo il Vesuvio che implacabile erutta. Il pittore riesce a rappresentare i movimenti convulsi della gente terrorizzata con un forte pathos che ne segnala la componente romantica, attraverso una tavolozza rutilante. Dato il soggetto e la tecnica usata, l’opera è quasi sicuramente d’epoca giovanile , databile quindi a prima del 1865.

3 Viva l’Italia – Guazzetto su carta cm 30,48x43,18

Firmata

Pur non essendo dato di conoscerne l’immagine, il titolo tuttavia attesta l’attenzione dell’artista verso il processo risorgimentale. Dato il soggetto e la tecnica usata, l’opera è quasi sicuramente d’epoca giovanile , databile a prima del 1865.

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4 Brutte notizie

(Scena storica in stanza di una villa presso il golfo di Napoli) .

Firmato T.Lorenzone in basso a sinistra. Acquerello bruno seppia e biacca su carta marrone cm 19,5x22,2.

Fotografia dal catalogo di Bertolami Fine Arts – Roma 2018

La casa d’aste Christie’s- Roma che vendette l’opera nel 1986 le diede il titolo anodino ‘Scena storica in stanza di una villa presso il golfo di Napoli’.

Ritengo più specifico ‘Brutte notizie’, dato il volto costernato della donna alla lettura della lettera , espressione meglio visibile nella più nitida fotografia bianco-nero del 1986.

Il soggetto fa probabilmente riferimento a un episodio storico oppure a un episodio di un’opera storico-letteraria, del periodo 1500/1600 , viste le braghesse indossate dall’uomo .

Elegante l’indicazione di Napoli con la veduta attraverso la finestra del Vesuvio con il pennacchio di fumo. Dato il soggetto e la tecnica usata, l’opera è quasi sicuramente d’epoca giovanile, databile a prima del 1865.

5 Assassinio (scena storica) Firmato T.Lorenzone in basso a destra .

Inchiostro bruno acquerellato e biacca su carta cm 28x 34,5. Il titolo è puramente indicativo.

Curata l’ambientazione, con le pieghe delle coperte, cuscini, tende del letto a baldacchino, mobiletti vari, così come gli abiti d’epoca. Il soggetto fa certo riferimento a un episodio storico o a una scena di un’opera storico-letteraria.

Il periodo, viste le braghesse alla sivigliana indossate da due personaggi, è quello del 1500/1600.

Dato il soggetto e la tecnica usata, l’opera è quasi sicuramente d’epoca giovanile, databile a prima del 1865.

Fotografia della Galleria Carlo Virgilio di Roma

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6 La morte del conte di Santa Rosa 1850 Iscritto in basso al centro: ‘La morte del Conte Santa Rosa’ con firma. Penna ad inchiostro bruno, acquerello e biacca su carta bruna; cm 18,2x20,2.

Riproduzione dal catalogo della galleria Carlo Virgilio di Roma

L’opera rappresenta un fatto che fece clamore all’epoca, nell’Agosto del 1850.

L’arcivescovo di Torino aveva posto come condizione, al fine di somministrare i sacramenti al moribondo conte di Santa Rosa (parente dell’eroe Santorre di Santa Rosa), una ritrattazione scritta dell’approvazione delle leggi Siccardi che in qualità di ministro aveva sottoscritto. Ricevutone il rifiuto, il parroco ( la parrocchia era retta dai padri Serviti) fu costretto a negargli i sacramenti.

La cosa suscitò un putiferio, che si concluse con l’arresto dell’arcivescovo, messo in prigione al forte di Finestrelle, per poi essere cacciato per sempre dal Piemonte (non poté farvi ritorno neppure dopo l’unità d’Italia!).

Qui l’artista concentra l’attenzione sul gruppo famigliare, il conte moribondo, la moglie che con gesto pieno di sdegno caccia di casa il religioso, mentre i figlioletti piangono aggrappati alla madre.

Questa piccola opera di Lorenzone – che sa di reportage - è particolarmente indicativa, perché ci dice che il pittore era attento ai fatti di attualità, sapeva cogliere i momenti più significativi della Torino risorgimentale ed interpretare i sentimenti patriottici . Era insomma un individuo religioso ma pienamente inserito nell’entusiasmante processo politico, non supinamente devoto all’autorità ecclesiastica, pur divenendo in seguito un pittore quasi esclusivamente di opere sacre.

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Illustrazioni del romanzo ‘La strega di Monza’

[5], 1861 Si tratta di un romanzo storico – cavalleresco – fantastico che prende le mosse dall’ambiente del parco di Monza nel 1597. E’ corredato di 24 illustrazioni: 4 sono del Lorenzone; altri nomi noti di autori sono Paolo Emilio Morgari, Barucco Felice, Biscarra Carlo, Busato Giorgio.

Di queste quattro opere grafiche da rilevare, oltre ai tanti cavalieri bardati d’armatura, alcune potenti raffigurazioni di cavalli, di mano classica, e il paio di disegni a colori.

7 Cap.1 La foresta delle streghe

…t’arresta!ch’io possa fissarti…t’arresta

8 Cap 32 Prove di valore …mirò al petto dell’avversario, che colpito in pieno cadde di sella…

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Cap 3 L’incendio … Rapido come un lampo se la caricò sugli omeri

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Cap.7 Il marchese De Lesmi ... Rinvenne la diletta sua sposa esanime

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Illustrazioni del periodico ‘Il Mondo Illustrato’ [5 bis]– 1861 Il Mondo Illustrato , il più celebre periodico dell’epoca risorgimentale , uscì il I° anno nel 1847 (dopo un numero di prova nel 1846), ad opera del grande editore Giuseppe Pomba. Esso era ricco di incisioni su legno : la tecnica xilografica risaliva al cinquecento, e Giuseppe Pomba la ripropose per la migliore resa, nonostante i costi; il formato era di grande dimensione, cm 37,5x27 ; di conseguenza il prezzo del fascicolo settimanale di 16 pagine, 80 centesimi, non fu a buon mercato.

Ma le grandi novità non erano solo tecniche: la cosa più importante di questo periodico era il ruolo di primo giornale illustrato rivolto a tutta l’Italia.

Lo spirito del settimanale erano l’attualità e la promozione della rinascita nazionale; allo scopo comparvero reportages di giornalisti che scrivevano dopo aver assistito direttamente allo svolgersi degli eventi politici dell’epoca.

Pur essendo una pubblicazione a carattere moderato, il Mondo Illustrato non riuscì a trovare un numero adeguato di lettori . Favorito da una censura blanda in Piemonte , venne ostacolato invece politicamente al di fuori dello stato sabaudo, tant’è che ad un certo punto ne fu vietata la vendita nel Regno di Napoli e nel Lombardo Veneto. Con la 1ª guerra d’indipendenza, l’insurrezione di Milano e la ritirata degli Austriaci , sorse la speranza di trovare nuovi sbocchi di mercato, ma ben presto la svolta negativa degli eventi bellici travolse la breve illusione. Così, schiacciato dai debiti , il settimanale chiuse al termine del II° anno di vita, il 1848: il passivo si avvicinava alla cifra, per i tempi considerevole, di 200000 lire [6].

In seguito, dato l’esito positivo della 2ª guerra d’indipendenza e delle annessioni che ne seguirono, il 1° Luglio 1860 Luigi Pomba, cugino e genero di Giuseppe e nuova testa di comando della casa editrice, fece risorgere il Mondo Illustrato con la speranza che il nuovo grande mercato generato dall’unità d’Italia favorisse l’operazione, e ne sottolineò il seguito con la prima intrapresa denotandolo come Anno III°. Sempre ricco di illustrazioni e di articoli, venduto ancora al prezzo di 80 centesimi, anche questa volta però la rivista non riscosse il successo commerciale desiderato , tant’è che l’impresa si chiuse in modo fallimentare al termine del IV° anno, il 1861. Già alla fine di Novembre la direzione del settimanale dichiarava la cessazione a fine anno delle pubblicazioni: “L’aggradimento manifestatosi in Italia per questo periodico non ha potuto fruttare che circa 2000 associati” e invocava la costituzione di un gruppo di azionisti esterno all’Utet (nuovo nome della casa editrice Pomba dal 1854) per poter proseguire la stampa di questo “...unico rappresentante in Italia dell’arte xilografica” [7].

A quest’ultima annata Tommaso Lorenzone diede il suo contributo, con parecchie illustrazioni, alcune di routine (riproduzioni di monumenti, statue, ecc.) che l’editore si mise ad usare per abbassare i costi, altre di livello più elevato. Il legame di lavoro con la Utet era allora forte, se nello stesso anno il pancalierese disegnò i ritratti dei primi quattro protagonisti risorgimentali (Vittorio Emanuele II, Napoleone III, Garibaldi,Cavour) della serie ‘I contemporanei Italiani- Galleria Nazionale del XIX secolo’ e poi tutti gli altri. Egli evidentemente era in buoni rapporti con l’editore, che ritrasse nello stesso 1861, raffigurato mentre tiene in mano proprio una copia del settimanale , e del quale ritrasse pure la moglie con il figlio.

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11 Cornice - 1861 Xilografia Cornice intagliata in legno dai fratelli Valentino e Francesco Besarel di Venezia ed esposta alla Pubblica Mostra della Società Promotrice delle Belle Arti in Firenze. Disegno di Lorenzone ed incisione di Barberis. L’immagine compare nel ‘Mondo Illustrato’, Anno IV, n°23, 8 Giugno 1861.

Nella dicitura non c’è esplicitamente il nome di Lorenzone, ma la L in basso a sinistra - che ritroviamo in altre immagini - è sufficiente ad individuare il disegno come opera di Lorenzone, testimonianza della sua predilezione e della sua abilità nel raffigurare putti e angioletti.

12 Vittorio Emanuele II Re d’Italia -1861 Xilografia Il busto è di I. Villa, il disegno di Lorenzone (TL sulla destra, a lato della base), l’incisione di Monneret. L’immagine compare nel ‘Mondo Illustrato’, Anno IV, N°23, 8 Giugno 1861.

Come l’opera precedente, ed altre che seguono, sono un po’ lo specchio delle difficoltà economiche della rivista, che cercava di tagliare sulle spese sostituendo con immagini di routine le illustrazioni legate agli episodi di attualità seguiti da inviati.

13 Ragazze della Frisia – 1861

Xilografia

Da uno schizzo preso a Rotterdam. Disegno di Lorenzone (TL sul selciato in basso), incisione di F.Hertel. L’immagine compare nel ‘Mondo illustrato’ , anno IV,n°33, 17 Agosto 1861 Nulla è detto sull’autore dello schizzo.

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14 Monumento a Carlo Alberto – 1861 Xilografia

Si tratta del monumento eretto alla memoria di Carlo Alberto in Torino , nella odierna piazza Carlo Alberto, ed eseguito Carlo Marochetti.

Il disegno è di Lorenzone ( Lorenzone a destra presso il piedestallo), l’incisione di H.Sargent. L’immagine compare nel ‘Mondo Illlustrato’, Anno IV, N°35, 31 Agosto 1861.

da

15 La nuova Guardia mobile napoletana a cavallo 1861 Xilografia

Da una fotografia.

Disegno di Lorenzone (L in basso a destra), incisione di Sargent.

L’immagine compare nel ‘Mondo Illustrato’ , anno IV,n°37, 14 Settembre 1861

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16 La Primavera – 1861 Xilografia La Primavera (o Flora), statua di Vincenzo Vela presentata all’Esposizione Italiana a Firenze.

Disegno di Lorenzone (L in basso a sinistra), incisione di Perrichon. L’immagine compare nel ‘Mondo Illustrato’, anno IV, n°48, 30 Novembre 1861.

Questa riproduzione di un’opera inclusa nell’Esposizione di Firenze (come già il n.11 ) o di altre è dovuta - come già detto - a motivi di economia da parte della rivista, per quanto in questo caso la bellissima scultura dell’artista ticinese meriti la riproduzione per mano di Lorenzone e Perrichon, una riproduzione a due dimensioni di grande livello.

La statua del grande scultore ticinese conservata alla GAM di Milano

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17 La città di Capri – 1861 Xilografia, attribuzione

E’ la prima di quattro immagini di Capri, tutte piacevoli, che compaiono nel ‘Mondo Illustrato’, anno IV, n° 2, 12 Gennaio 1861. Di esse è possibile l’attribuzione a Lorenzone . Infatti in basso a destra vi è la sigla in corsivo T L : le due lettere non sono allineate, cosa non inconsueta ; inoltre la sigla potrebbe essere opera semplicemente dell’incisore o dell’impaginatore;e abbiamo visto come nelle opere precedenti compare sempre o la L o TL o la firma per esteso del pittore.

D’altronde abbiamo già visto altre opere di ambientazione campana del Lorenzone, come la “Nuova Guardia mobile napoletana a cavallo” (questa dichiaratamente tratta da una fotografia) o l’opera al n°4 del presente capitolo che è costituita da una scena in una casa nel golfo di Napoli ; non sarebbe quindi una novità l’ambientazione campana.

Dal punto di vista stilistico non abbiamo altre opere certe di solo paesaggio di Lorenzone ( a parte le tre della stessa serie che seguono), dunque non è possibile per questa via una conferma, anche se nulla osta. Quanto alle capacità artistico-espressive in materia, certo non gli facevano difetto, come dimostrano i bei paesaggi che compaiono sullo sfondo di alcune opere, sia ad olio che a tempera, che grafiche. Il pittore fece un viaggio in Campania? Non lo sappiamo. Certo non era una novità che gli artisti piemontesi viaggiassero da quelle parti. Massimo d’Azeglio fu a Napoli, così come Storelli padre e figlio; lo stesso d’Azeglio fu a Capri e a Salerno,ecc.

E’ evidente comunque nel discorso che non è fondamentale né indispensabile un viaggio al Sud dell’artista – che avrebbe potuto lavorare sulla base di fotografie.

Ribadisco che si tratta comunque solo di una possibile attribuzione, non v’è alcuna certezza.

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18 La piccola marina di Capri – 1861 Xilografia, attribuzione

Compare nell’ambito dello stesso articolo del ‘Mondo Illustrato’ del numero precedente.

E’ una delle due spiagge di Capri ; posta nel versante meridionale dell’isola, riparata da una gran roccia dal vento, è un posto sempre caldo

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19 La gran Marina di Capri 1861 Xilografia, attribuzione

Compare nell’ambito dello stesso articolo del ‘Mondo Illustrato’ del numero precedente.

La gran Marina è la spiaggia- con riva e ciottoli – più grande di Capri, posta accanto al porto.

20 Grotta matromania di Capri – 1861 Xilografia, attribuzione

Compare nell’ambito dello stesso articolo del ‘Mondo Illustrato’ del n° precedente. La grotta di Matromania (o mater mania) è situata nella zona sud occidentale dell’isola. Già conosciuta al tempo dei romani, la caverna fu da costoro trasformata in piccolo tempio dedicato alla loro Mater Magna, ovvero la dea Cibele.

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21 I Deputati lombardi offrono nuovamente la corona ad Adalberto II rifugiatosi in Corsica - 1862- Acquaforte Sotto la figurazione, da sinistra T.Lorenzone Dis., P.Bujani IMP., G.Carelli Inc. ed il titolo.

L’acquaforte è inserita , con incisioni di altri autori , in un libro illustrato sulla dinastia sabauda, a cura del conte Luigi Cibrario [8], noto storico.

Qui Lorenzone si rifà certamente allo stesso Cibrario che, in una sua opera sulla monarchia dei Savoia [9], per accontentare Carlo Alberto ribadì tesi precedenti , le quali tentavano di far discendere il capostipite della dinastia conte Umberto Biancamano da Berengario II re d’Italia. Il tramite era Adalberto, il nipote di Berengario, anch’egli re d’Italia e nonno del Biancamano .

Il soggetto risponde a chiare finalità politico-ideologiche già d’ambito presorgimentale, rappresentando i deputati lombardi che, nell’alto medioevo, si recano dal Savoia ad offrirgli la corona di re d’Italia: questo a significare che non era stato tanto il desiderio dei piemontesi di annettersi la Lombardia, quanto piuttosto i lombardi (e, per estensione, gli italiani tutti!) che avevano richiesto di porsi sotto la sovranità e la protezione dei Savoia.

Da notare poi il particolare della mitra vescovile seminascosta sotto il portico a destra, a suggerire il consenso nel passato dell’istituzione religiosa!

L’opera è molto ricca. Curata nei minimi particolari delle vesti (ricami, bordi, cinture), dell’anatomia (sguardi, facce, barbe, mani) e dell’ambiente (edifici, alberi, una nave sul mare, dopo il promontorio su cui sorge un villaggio, le nuvole sullo sfondo) ed espressiva nella varietà dei gesti e degli atteggiamenti dei personaggi uniti nell’azione corale.

L’incisore è Carelli Giacomo (1812-1887), già autore di altre incisioni da opere di Lorenzone.

L’editore Bujani Pietro.Dimensioni : misura schiaccio mm 327 x mm 237 ; misura foglio: mm 427 x mm 305 [10]

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Immagine da libro

[8]

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Illustrazioni dalla Serie ‘Le Sirene’ [11]- 1864 Nel 1864 comincia una iniziativa editoriale, che si svilupperà in quattro volumi, con cadenza biennale e termine nel 1870, dal titolo ‘Le Sirene più celebri di tutti i tempi’ ; editore A.F.Negro, Torino.

Si tratta di una monografia colossale (ogni volume è di circa 800 pagine!) dedicata alle donne celebri dell’antichità, arricchita da 4 frontespizi e dalla bellezza di 362 litografie.

L’intento dell’opera è moralistico: ‘potrà…diffondere per avventura una moralità ben superiore ai precetti freddamente dettati dagli scrittori più severi’[11].

Le tavole sono disegnate da F.Gonin ( in maggioranza) , Lorenzone, Masutti, Morgary e le incisioni di validi artisti ( tra i quali lo stesso Gonin).

Lorenzone partecipa solo alla realizzazione del primo volume, del ’64 ; ha però un incarico , quello del primo frontespizio, di tutto prestigio, se si tiene conto degli altri nomi che lo affiancano nelle illustrazioni.

Proprio nel frontespizio Lorenzone dà il meglio di sé dimostrando una mano felicissima nel ritratto del nudo femminile : un’opera di classe , dove accanto alla donna casta e pia accompagnata dall’angelo pone quella dissoluta servita dal diavolo . L’ottima esecuzione del nudo femminile è tanto più sorprendente quanto più si pensi alle ore e ore quotidiane passate all’Accademia ad esercitarsi, sotto la guida del Biscarra, esclusivamente sul nudo maschile.

Anche gli altri tre nudi di donna, le due Semiramide e la Messalina, per quanto di inferiore livello qualitativo, rappresentano dei corpi femminili veri, giunonici, certo poco eterei, insomma il pittore ritrae delle donne vere.

D’altronde scrisse Paul Valéry: “ Ciò che l'amore fu per narratori e poeti, il Nudo lo fu per gli artisti della forma”[12] ed anche Lorenzone non può sottrarsi.

Poiché nell’Ottocento il nudo è soprattutto femminile e legato alla sessualità, occorrono cautela e prudenza nella sua rappresentazione; serve cioè una motivazione legata a fattori di storia, mitologia, allegoria, che è esattamente il caso di questa pubblicazione.

Perché Lorenzone non proseguì l’opera negli altri tre volumi? Beh, si può ipotizzare che il secondo volume uscì nel 1866, e lui nel 1865 ebbe l’importantissima commessa di Don Bosco relativa a Maria Ausiliatrice, di qui l’impedimento sia per motivi di tempo ( il grande impegno per l’enorme tela), sia per ragioni di opportunità.

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22 Frontespizio del 1° Volume – 1864 In basso a sinistra presso la cornice T.L.

Litografia A destra F.P. [incisore]

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23 Semiramide 1 - 1864

Litografia

Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-F.P.

Sei tu uno spirito del Cielo o creatura umana?

Semiramide, introdottasi in un boschetto vicino al tempio di Belo in cerca di avventure galanti, incontra un giovane Assiro che le si getta ai piedi.

Semiramide , mitica regina assira di cui scrissero autori greci e romani. Nel medioevo secondo gli scrittori cristiani rappresenta un simbolo di licenziosità e dispotismo pagano.

24 Semiramide 2 – 1864

Litografia

Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-F.P. - Ho ucciso la Madre!

Semiramide una notte entra nel letto del figlio Ninio dormiente per tentare l’incesto. Il figlio si risveglia e, scambiandola per un assassino, la trafigge con la spada .

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25 La regina di Saba 1 – 1864

Litografia

Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-G.P. Vieni! L’uomo non ha altro bene sotto il Sole, se non di gioire…

La regina di Saba viene sedotta da re Salomone.

La regina di Saba era una leggendaria regina proveniente dall’Etiopia , citata anche dalla Bibbia.

Essa fece visita a Salomone per verificarne la grande saggezza per la quale il re era famoso.

Salomone ,figlio di Davide, terzo re di Israele, regnò dal 970 al 930 A.C.

26 La regina di Saba 2 - 1864

Litografia

Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-G.P.

La Regina di Saba li salvò tutti dicendo al Re:- Tu non hai potere sopra i sudditi miei.

La regina di Saba è sorpresa da Salomone a sollazzarsi con un gruppo di amanti. Il re vuole condannare costoro al supplizio, ma la regina con il suo intervento li salva.

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27 Messalina – 1864

Litografia Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-F.P.

Messalina lo ricerca d’amore. Sillano la ributta coprendola di vituperi

Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, è spinta da libidine nei confronti di Caio Appio Sillano, reggente di Spagna, che aveva sposato la madre di Messalina.

Sillano oppone un rifiuto che gli costerà la vita.

28 Arria – 1864

Litografia Fuori dell’angolo sinistro in basso T.L-F.P.

Arria porgendo il pugnale al marito gli dice – Prendi o Peto, non fa male

Cecina Peto, uomo consolare e marito di Arria, coinvolto in una congiura è messo in catene, e gli viene intimata la morte. Arria lo incoraggia e gli è d’esempio nel suicidio.

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Bozzetti Abbiamo diversi bozzetti, disegni a matita più o meno rifiniti, che ci indirizzano verso opere di vari argomenti ‘laici’ di cui non conosciamo la eventuale realizzazione, ma che comunque contribuiscono a darci un’immagine più completa del nostro pittore. Ne riproduciamo qui un numero ristretto. Essi, pur non firmati, sono certamente di mano di Lorenzone, in quanto mescolati ad altri firmati, che rappresentano opere conosciute o no; sono stati il frutto di un rinvenimento a Torino da parte di un brocanteur, poi rivenduto e dispersosi nei vari rivoli dei mercatini delle pulci.

Essi confermano l’ipotesi che Lorenzone si sia talvolta inoltrato in temi di gran voga all’epoca, come scene di vita familiare o episodi bellici. La qual cosa ci dice che sul pittore, soprattutto sulle sue opere ‘laiche’ nel periodo giovanile, c’è ancora moltissimo da scoprire.

E’ comunque con dispiacere che di opere paesaggistiche non si è trovato neppure un bozzetto. Ci sono comunque gli inserti di veduta in diversi dipinti.

Le opere qui riprodotte sono tutte in collezione privata.

29 Militare 1

30 Militare 2

31 Portaordini

Questi disegni sono evidentemente studi di personaggi per qualche opera di soggetto bellico

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32 Uomo con turbante e mantello

33 Comunione

Fa pensare ad una scena di folklore orientaleggiante, come fu di moda per un certo periodo.

Momento della comunione durante una messa nuziale .

Forse un primo approssimativo abbozzo per le nozze reali di Umberto e Margherita di Savoia del 1868 a Torino?

34 Paesaggio,collina di Torino (parte di bozzetto) Disegno acquerellato

In mancanza di opere o bozzetti esclusivamente paesaggistici, ci rifacciamo alla riproduzione della parte bassa di un bozzetto del quadro di S.Giuseppe in Maria Ausiliatrice.

E’ molto bella la scena, abbozzata, con la basilica di Maria Ausiliatrice, le costruzioni nei dintorni, la campagna e la collina di Superga sullo sfondo: essa possiede freschezza e immediatezza .

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Bibliografia cap. 6 [1] Pittori dell’Ottocento in Piemonte .Arte e cultura figurativa 1830-1865.Piergiorgio Dragone – Banca CRT 2001 [2] Pubblica Esposizione di prodotti dell’industria nazionale torino 1850 : scritti varii estratti dalla Gazzetta Piemontese- Torino 1850 [3] 1850- Quinta Esposizione d’industria e di belle arti al Castello del Valentino- Giudizio della Camera d’agricoltura e di commercio di Torino- Torino 1851 Tipografia degli artisti [4] Revue de l'exposition générale de Bruxelles- 1851. Imprimerie et litografie des beaux-Arts, Passage Dt Prince,10, Galerie Saint-Hubert,1851 [5] Giuseppe Bertoldi - La strega di Monza - 1861 Tipografia sarda di Cotta e Calpini.

[5 bis] Il Mondo Illustrato, Settimanale, ed.UTET- Anno IV , Torino 1861 [6] E.Bottasso. Catalogo storico delle edizioni Pomba e UTET 1791-1990. Torino, UTET 1991 [7] Il Mondo Illustrato , Anno IV, n° 48, 30 Nov.1861 [8] Cibrario Luigi- Galleria dinastica dei reali di Savoia- Tip. G.Favale,Torino 1862 [9] Cibrario Luigi – Storia della monarchia di Savoia, Vol. I - A.Fontana, Torino 1840 [10] Scheda dell’Istituto Nazionale per la Grafica-Ministero per i beni e le attività culturali-Roma [11] Corelli P. , Verona A. Le Sirene più celebri di tutti i tempi . VOL I, 1864 Editore A.F.Negro, Torino, [12] Elena Pontiggia . Paul Valéry. Scritti sull'arte . Ed. Guanda 1984, Milano [13] Farioli Paola – La Madonna di Don Bosco – Editrice Elledici, Torino 2002

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CAPITOLO 7

CRITICA Critica coeva

Possiamo ripercorrere il cammino fatto, per rilevare le analisi ed i giudizi espressi dai contemporanei sulle opere dell’artista pancalierese.

Nel 1845 Paolo Giannotti, decisamente critico in generale verso la produzione religiosa della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti, salva tuttavia ‘Il voto alla Madonna’ di Lorenzone ritenendo il giovane pittore sì ancora imbrigliato dagli accademismi, ma comunque promettente [1].

Pier Alessandro Paravia svolge un’analisi accurata della stessa opera, dicendo che “la composizione è una di quelle tante, che s’incontrano nei quadri da chiesa, e di cui non si può all’artista dar biasimo, né lode, perché gli sono ordinate” [2], ma rileva nel contempo il tentativo del pittore di modificare lo schema piramidale classico con un certa variazione di disposizione dei personaggi e soprattutto elogiandone il disegno e il cromatismo.

Il giovane pittore all’epoca gode già di una certa stima, visto che la committenza dell’opera proviene direttamente dalla ricchissima filantropa Marchesa Giulia di Barolo.

L’anno seguente, nel 1846, Lorenzone propone alla Pubblica Esposizione della Promotrice l’opera ad olio ‘L’ultima ora del Rinnegato tra le braccia di Egilda’, ad un prezzo medio-alto, tra le 1000 e le 1200 lire. Felice Romani [3] dedica molto spazio a quest’opera, giudicata da lui ‘commendevole’, per la collocazione ad effetto delle due figure, la buona trattazione del nudo, il lodevole uso del chiaroscuro, le tinte “ben intese”, ”puro e castigato” il disegno, e la gran capacità di esprimere i sentimenti e le passioni.

Anche i ritratti ad acquerello ricevono elogi dal Romani, in quanto condotti “con verità e franchezza”, pur richiedendo maggior finitezza.

Nel 1847 è la volta di Luigi Rocca, critico nonché segretario della Società Promotrice, ad occuparsi positivamente del quadro di Lorenzone ‘La Madonna del Rosario con San Francesco di Sales e la Beata Margherita di Savoia’, che giudica “commendevole sia per la composizione ed il colorito, sia per l’esecuzione, che senza timore alcuno può venir posto a canto alle principali opere di ben molti provetti dell’arte” [4]. Insomma , un giudizio altamente elogiativo, tanto più se rivolto ad un pittore di soli 23 anni.

Allo stesso modo il critico de ‘Il Mondo Illustrato’ ritiene che Lorenzone ‘ se non ha abbondante e doviziosa la vena inventiva’ tuttavia ‘possiede i segreti dell’arte’[5].

Nel 1850 a proposito dell’olio ‘Rinaldo e Armida’ riceve critiche negative per la mancata aderenza dei personaggi allo spirito del soggetto, ma anche elogi per l’uso dei colori [5 bis].

Nel 1853 giunge una forte critica negativa sul quotidiano “L’Opinione” [6], in relazione alla tela ‘La Madonna con il Bambino e i Santi Teresa, Marcello e Bartolomeo’ presentato sempre alla Pubblica Esposizione della Promotrice . E’ ben vero che il giornalista elogia il pittore per il disegno e il colore, la levità delle nuvole, il panorama, ma gli muove rilievi fortemente negativi per la mancanza di evoluzione ed il ridursi a ripetere “cose dette e ridette e per soprappiù assai comuni”.

Nella stessa occasione però, a fronte di queste pesanti critiche , il pittore riceve a conforto più di un elogio , da Pietro Giuria [7] per la sua maturità e da Carlo Guici [8] a proposito dei ritratti ; d’altronde questa alta stima come ritrattista era attestata dalla committenza che giungeva da casa Savoia.

Nel 1857 è ancora Luigi Rocca a giudicare opera di pregio ‘Le ultime ore di Ferruccio’ del pancalierese [9].

195 Nel 1859 , a conclusione delle sue apparizioni alle Esposizioni della Promotrice, a Lorenzone tocca la soddisfazione di vedere acquistata dalla Società stessa la sua unica opera in mostra, ‘L’aura del mattino’.

Dunque un giovane artista generalmente stimato dalla critica ufficiale.

Ancora nel 1859 l’artista riceve una valutazione entusiasta per il dipinto ‘Apoteosi di san Francesco da Paola’ sul giornale cattolico “L’Armonia”. L’anonimo critico , al di là dell’opera in questione, afferma che Lorenzone ‘è pittore a niuno secondo nel nostro paese tanto per la correzione del disegno, quanto per la magnificenza del colorito e della grazia e della perfezione dei lavori in tutte le più minute parti’. [10] In seguito, dedicatosi quasi esclusivamente alla pittura religiosa, le sue opere incontrano ampio consenso tra la gente comune, come dimostra la cronaca dell’arrivo a Conzano della pala per l’altar maggiore della parrocchia di S. Lucia , il ‘Martirio di S.Lucia’ del 1861, che viene accolta con in modo entusiastico dalla gente; questo successo viene replicato in ben altre dimensioni a Torino, dove il popolino accoglie con commozione ed esaltazione prima la tela di ‘Maria Ausiliatrice’ nel 1868 , poi quella di ‘S.Giuseppe’ nel 1874. Un vero trionfo popolare, insomma.

A livello di analisi pittorica ad occuparsi di lui saranno ora non tanto i critici paludati, bensì specialmente gli scrittori di argomenti sacri, i quali gli tributeranno generalmente elogi piuttosto che critiche : ne possiamo citare un florilegio. Nel 1859 il suddetto quotidiano “L’Armonia” del 28 Ottobre , trattando del quadro ‘L’apoteosi di S.Francesco da Paola’’ lo giudica ‘un bellissimo lavoro’.Antonio Bosio giudica [11] una bella icona ‘La tentazione di S.Tommaso d’Aquino’del 1877. Nel 1887 il giornalista Luigi Capra del mensile religioso ‘L’Eco del clero’ si profonde in elogi retoricamente sperticati in relazione alla pala del s.Cuore di Gesù nella chiesa degli Oblati di Maria Vergine a Pinerolo, alcuni dei quali abbiamo riportato in sede di presentazione dell’opera.

Nel 1890 l’abate Giulio Tarra [12] spende il termine di ‘egregio’ per il pittore, e ritiene un suo quadro di S. Giuseppe ‘convenientissima guida alla degna sua Vergine sposa’.

C’è anche una voce critica fuori del coro, ed è quella del teologo Tommaso Chiuso che nel 1892 scrive che dei tre pittori più di tutti impegnati nella pittura religiosa, Mentasti, Lorenzone, Reffo, ‘ solo quest’ultimo seppe conciliar bene l’arte colla religione….Gli altri due non sempre si fanno conoscere abbastanza periti nell’arte, o fors’anche talora non dubitano di immolarla all’effetto religioso’ [13].

Pochi anni dopo ritroviamo però gli elogi della “Stampa” a proposito della tela della ‘Consolata’ a Giaveno del 1895; l’anonimo critico così si esprime : ‘Artista ... valente nel dipingere pale e quadri di soggetto sacro...La pala ha pregi non comuni per composizione, per colorito e soprattutto per la bellezza delle teste che vi figurano,che sono dipinte con grande maestria, quantunque la tecnica adoperata sia lontana dalla moderna’ [14].

Nel 1898 l’Arneudo giudica assai pregevole ‘L’apoteosi di S.Francesco da Paola’ [15].

Nel 1901 una rivista giudica Tommaso Lorenzone ‘valente ritrattista e buon autore di quadri sacri’.

[15 bis]. Infine Pietro Caffaro [16] nel 1903, un anno dopo la morte del pittore, trova ‘bellissime’ le tre tele presso la chiesa degli Oblati in Pinerolo.

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Critica Moderna SCHEDE L’anno dopo la morte, un almanacco per la vita pratica cita il pittore: ‘Tommaso Lorenzone, piemontese, pittore ritrattista di corte all’epoca della regina Maria Adelaide, e autore di centinaia di quadri religiosi sparsi in tutto il mondo’[17] In epoca successiva il pittore viene praticamente dimenticato, e se ne trovano le tracce solo nelle enciclopedie pittoriche, che danno giudizi di mediocrità, restringendo il suo corpus alla pittura religiosa, per lo più devozionale, e a qualche ritratto.

Stringate le informazioni del Bessone–Aurely [18]:“Si dedicò specialmente alla pittura sacra”. Il giudizio del Comanducci [19] :“Salvo qualche discreto ritratto, dipinse quasi esclusivamente soggetti sacri, e in prevalenza il Sacro Cuore di Gesù, del quale fece numerose esecuzioni. Fu pittore onesto, e i suoi lavori, all’infuori di qualche eccezione, sono, più che opere d’arte, atti di fede”.

La scheda che compare nel Bolaffi [20] è la seguente: “Autodidatta, nella prima fase della sua carriera si distinse come ritrattista, nel filone di un gentile e tardo romanticismo che soprattutto nelle tempere pare arieggiare i modi di Francesco Gonin”. Il suo stile però “si fissò in moduli descrittivi di un edulcorato sentimentalismo, che soffocò del tutto l’iniziale abilità di mano”.

La scheda di gran lunga più ampia ed approfondita è quella della Electa Edizioni [21].

In essa – riassumendo - si rileva innanzitutto l’impostazione classica ricevuta all’Accademia dal Biscarra, con un certo interesse per i maestri bolognesi del Seicento, per il purismo ma anche una “ moderata ma chiara componente romantica “.

Ci informa delle varie partecipazioni alle Pubbliche Esposizioni della Promotrice delle Belle Arti, dove affianca alla tematica sacra anche opere ”di tema storico, soggetti letterari e di genere”. Si rileva poi la sua attività come ritrattista , la clientela di alto rango, e il suo ruolo di pittore di corte ai tempi della regina Maria Adelaide.

Infine si sottolinea che da un certo punto in poi divenne pittore esclusivo di soggetti religiosi : “una produzione di vere e proprie immagini devozionali strettamente legate al culto che, in consonanza con l’affermarsi di nuove forme di militanza religiosa, rispondono ad una precisa strategia educativa dell’immagine sacra.”

STUDI Soli in tempi più recenti finalmente la critica si occupa veramente del nostro pittore.

All’inizio del 1986, sul settimanale diocesano di Pinerolo, Mario Marchiando Pacchiola scrive un articolo sul pittore [22], in cui descrive le due grandi opere in Maria Ausiliatrice, e le tre pale nella chiesa dei Padri Oblati a Pinerolo, cogliendone gli aspetti iconografici e quelli devozionali. Il critico rileva come naturale che le tele di Lorenzone abbondassero di angeli,assecondando il gusto iconografico del tempo; in questi quadri i santi stavano tra le nuvole, : “ma spesso scendevano al livello degli amici fedeli per sentire le loro confidenze, le loro confessioni, le loro richieste di grazie. …... Il pittore Tommaso Lorenzone è stato l’intermediario di tanti colloqui spirituali” .

A concorrere poi nello squarciare il velo di oscurità sul pittore è nel 1989 Caterina Thellung [23] la quale , nell’ambito di una ricerca su Don Bosco e l’arte figurativa a Torino, dedica un breve studio a Lorenzone, nel quale enuncia i caratteri basilari della formazione (classicismo, romanticismo, purismo), ne tratteggia i caratteri delle principali opere in Torino, ed elenca le partecipazioni alle Pubbliche Esposizioni della Società Promotrice delle Belle Arti. E rileva che: “Nella produzione di soggetto sacro appare chiaro come il pittore… risponda alla strategia educativa cattolica dell’immagine sacra”

197 Nello stesso ambito anche la studiosa Rosanna Maggio Serra [24] si occupa del Lorenzone, rivolgendogli qualche calzante appunto critico . In particolare – parlando della pala di Maria Ausiliatrice – ne coglie ‘la sua singolare attitudine per l’immagine iconica, frontale e ferma … facendo ricorso ai grandi modelli rinascimentali e riformati’. Non mancano i rilievi positivi, sia come pittore veristico di storia nella pala del Sebastiano Valfrè all’assedio di Torino che per il naturalismo vedutistico nel paesaggio di fondo di Nostra Signora de La Salette.

Del 1994 è poi il fondamentale studio di Rinaldo Merlone [25], che rivolge la sua attenzione, oltre alle tele già conosciute in Torino, anche ad un certo numero di opere fuori città. Merlone ne rileva, a seconda delle opere, ‘l’aura devozionistico sentimentale’, la capacità di scegliere colori armonici, di saper proiettare i personaggi in un’atmosfera tardoromantica’; la capacità di accostarsi ‘pure alle tematiche del realismo e dello spiritualismo’. Lo studioso giunge così ad elaborare un fondato profilo critico del pittore: ‘Seppe in ogni caso mantenere costante il suo stile che, passando attraverso i canoni classici e romantici, approdò gradualmente verso un realismo di sapore religioso’.

Del 2002 è l’eccezionale monografia di Paola Farioli dedicata al quadro di Maria Ausiliatrice [26].

Nell’ambito di tale opera, veramente approfondita ed esaustiva per quanto riguarda la grande ancona , la studiosa affronta estesamente il problema della personalità artistica del pittore. Ne riportiamo alcuni giudizi .

‘Lorenzone era … un competente professionista con uno stile armonico e caratteristico. Sono tipici la sua tavolozza luminosa…, la sua pennellata liscia e pastosa e il buon disegno … che dà alla sua pittura una certa eleganza….’

Infine un’osservazione curiosa ma esatta , quella della strana impressione che provocano i suoi dipinti religiosi, dove troviamo spesso personaggi con acconciature di capelli e barbe tipiche dell’Ottocento, rivestiti di “panneggi rinascimentali o seicenteschi”.

Sempre nel 2002 abbiamo l’importante apporto di Monetti-Cifani-Bergeretti [27] che , trattando delle due pale del Lorenzone nella parrocchiale di Giaveno, rilevano i riferimenti neoraffaelleschi e l’importanza dell’ aspetto cromatico: ‘I colori, in Lorenzone mai troppo accesi, sono ben armonizzati’.

Nello stesso libro, nella nota (21) pag. 119, gli autori citano la pala della ‘Madonna del Rosario’ in S.Gaetano da Tiene (Torino) indicandola come ‘vero capolavoro giovanile del pittore, nella quale si manifesta una cultura di inclinazione classicistica e purista’. Molto critici invece erano stati in precedenza Cifani – Monetti a proposito dell’opera più famosa del Lorenzone, quella di Maria Ausiliatrice [28] : ‘Nessuno parla d’arte e su questo punto non c’è riscatto’. Infine ancora Cifani – Monetti, analizzando nel 2004 ‘L’apoteosi di S.Francesco da Paola’ nell’omonima chiesa in Torino, giungono a richiamare l’attenzione sulla ‘necessità di un catalogo completo dell’opera di questo notevole pittore e di una trattazione monografica’ che permettta di dare una collocazione più precisa e adeguata dell’artista nell’ ambito della pittura piemontese . [29]

ANALISI COMPLESSIVA Queste analisi , nel loro insieme, colgono tutte le sfaccettature della personalità stilistica del pittore, restituendone un ritratto quasi completo. Vale a tal proposito riportare il giudizio della già citata Paola Farioli [26]. Lorenzone conosceva certamente le correnti artistiche del suo tempo e non abbiamo ragione di ritenere che non le stimasse, senza però aderirvi completamente. Sicché fuse diversi elementi “ in unico stile con un’abilità che può appartenere solo a chi è figlio di una temperie artistica fondamentalmente eclettica.”

Il ritrovamento - nell’ambito della ricerca per il presente volume - di altre opere ha però modificato l’immagine di pittore pressoché esclusivamente d’arte sacra, cambiandone quindi parzialmente l’analisi della personalità artistica. Dunque non ci rimane che riassumere , ribadire e modificare con l’aggiunta dei nuovi apporti conoscitivi.

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L’impostazione classicista Alla scuola del Biscarra il disegno del modello vivente (virile) costituiva l’esercitazione di base, due ore al giorno durante l’inverno, quattro nei mesi estivi . Inoltre in aprile e maggio, per fare apprendere l’effetto della luce sulle persone e gli abiti , Biscarra formava dei gruppi con diversi costumi di abbigliamento, armature varie, ecc. e curava personalmente lo studio dei panneggiamenti sui manichini. Così la naturale predisposizione dell’artista ebbe modo di plasmarsi e perfezionarsi.

E’ un vero peccato che si conosca - per ora - una sola prova di nudo maschile adulto, San Sebastiano (Piobesi) e i due parziali di S.Giovanni Battista (Piobesi) e di Ninio, figlio di Messalina (litografia) , oltre al Battistino (Pancalieri) , il Bambino e gli angioletti. San Sebastiano era il più rappresentato dei santi, proprio perché nelle pale destinate alle chiese esso costituiva il compromesso tra le esigenze del luogo sacro e il desiderio da parte degli artisti di poter rappresentare il nudo maschile. Occorreva un alibi, rappresentato da San Sebastiano, e talvolta appunto San Giovanni Battista (oltre a David e Golia ,e Adamo) ed il sagace Lorenzone …conosceva l’escamotage!

Quanto al nudo femminile ne abbiamo vari esempi. Uno castissimo in ‘Rinaldo e Armida nell’isola incantata’ : il verso del Tasso ‘Ella dinanzi al petto ha il vel diviso ’ veniva solitamente tradotto in pittura con un seno scoperto; il nostro si attiene alla tradizione, però copre parzialmente il seno di Armida con il capo di Rinaldo. Nel campo grafico abbiamo altre opere più probanti ; pur nella pulizia etica della rappresentazione, diverse donne seminude – di forma giunonica - compaiono ne ‘Le sirene più celebri di tutti i tempi’ Vol 1 , oltre al bellissimo nudo della donna ‘peccatrice’ nell’anteporta di tale volume, a riprova - se ce ne fosse ancor bisogno – che Lorenzone era figlio dei suoi tempi. E ancora, la riproduzione del magnifico nudo di donna di Vincenzo Vela nel ‘ Mondo Illustrato’.

Bastano dunque queste poche prove per dirci quanto fosse bravo il pittore nelle rappresentazioni anatomiche, sia a livello di disegno che nel rendere i valori plastici e quelli coloristici.

Un’altra notevole capacità l’artista la dimostra nella raffigurazione delle fisionomie, ritratti veri di persone anche nelle opere religiose; non per niente Lorenzone fu un bravissimo ritrattista, capace di entrare nella psicologia dei soggetti. A riprova di questa notevole impostazione di base, da sottolineare l’abilità nel dipingere le mani, autentici pezzi di classica bravura, i panneggi morbidi e sfumati, e in generale il gusto raffinato dei particolari.

Le stesse immagini delle sue Madonne, pur riferendosi figurativamente a quelle del Botticelli e del Perugino, hanno espressioni più naturalistiche. D’altronde, a tal proposito ancora una volta calzante è un commento della Farioli [26] a proposito delle figure femminili nei quadri di Lorenzone : ‘Dame e Madonne dai visi color confetto, con le piccole bocche morbide e rosa, quasi sensuali, e le palpebre ombreggiate a rendere gli occhi profondi, dolci, un po’ languidi’.

Il colore Il colore è puro, pastoso, steso con pennellata liscia, morbido, ricco di luce e vivezza senza risultare eccessivamente squillante ; una gamma cromatica sempre ben armonizzata, con la giusta alternanza e composizione dei colori caldi e freddi, dei diversi toni, con l’affiancamento, quando conveniente, dei colori complementari che si conferiscono vicendevolmente purezza .

In alcuni casi poi la levità, la leggerezza , il perlato ci richiamano la luminosità, l’aurea leggerezza e chiarezza delle tinte settecentesche.

E’ un fatto che quella coloristica è la dote più precipua di Lorenzone, quella che rende gradevoli comunque i suoi dipinti. E’ anche un fatto il particolare importante che, mentre la committenza delle pale religiose poteva essere cogente sulle modalità dello svolgimento del tema prescelto, nelle scelte cromatiche invece il pittore era presumibilmente più libero, con i conseguenti notevoli vantaggi artistici.

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Correnti artistiche Fu anche un vedutista?

Pur non essendo stati rinvenuti al momento quadri di pura veduta di sicura attribuzione, che certamente non mancarono nella produzione del pancalierese (si ricordi il titolo del quadro acquistato dalla società Promotrice nel 1859, ‘L’aura del mattino’ ), apprezzabile – l’abbiamo già ricordato- è la battuta della Farioli [26] la quale, a rimarcare l’eclettismo di Lorenzone, osserva che mancherebbe solo più una sua opera di paesaggio alla Fontanesi!

Ovviamente…il Fontanesi delle cazzuolate! (Così la intendo).

Lasciando da parte per il momento (non si sa mai!) il grande pittore emiliano, come esempio di adattamento ai nuovi moduli stilistici di veduta basta considerare i paesaggi di sfondo di alcuni dipinti ,dove il paesaggio si fa ‘vero’.

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Conclusione Rileviamo anzitutto che Lorenzone mise a punto una eccellente maestria tecnica, che gli permise di realizzare opere a matita, acquerello, materiali misti, olio e che come dimensioni partivano dalle miniature per giungere a pale molto estese.

A livello artistico dimostrò di possedere una certa duttilità a recepire gli influssi dei suoi tempi, selezionandoli ovviamente attraverso la sua personale sensibilità artistica, e rielaborandoli con i suoi strumenti espressivi di fondamentale impostazione classica. Un eclettico insomma, che non ebbe il coraggio o la forza o la capacità o l’occasione di superare la linea d’ombra, cosa che gli avrebbe permesso di approdare ad esiti di più alto livello artistico.

Certo che, pur essendo accostato a Reffo e Rollini come ‘pittore di Don Bosco’, la sua fu una personalità assai differente dagli altri due.

Reffo e Rollini furono pittori la cui personalità artistica è, a ragione, specificatamente orientara all’ arte sacra , e ad un certo stile.

Lorenzone invece fu un pittore eclettico non solo come stile, ma anche come soggetti, i cui connotati sono ancora da valutare definitivamente, vista l’esiguità delle opere laiche finora ritrovate, a fronte di una produzione giovanile che dovette essere assai copiosa. Solo gli eventi storico-economici che condizionarono il mercato lo costrinsero ad indirizzarsi verso l’esclusività (o quasi) del sacro , e tuttavia non fu omologato. Rimase infatti al di fuori di quella impostazione neomedioevalista ‘che il cattolicesimo militante europeo assunse come ortodossa’ [32] e che ebbe in Reffo il principale esponente in Piemonte (e maestro di tutta una scuola dalla produzione financo stucchevole) e alla cui influenza anche Rollini non fece a meno di sottostare in molta sua produzione.

Lorenzone fu, come dice la Farioli [26] un pittore onesto, con una sua precisa, personale cifra stilistica; un grande artigiano, oserei dire, con delle solide basi , versatilità e capacità di introspezione psicologica (vedi i ritratti).

I giudizi dovranno essere integrati e perfezionati, dato che rimangono ancora - ripeto tantissime opere da rinvenire - sia laiche che religiose - quelle di un pittore che ha lavorato per circa 57 anni. Nella piccola enciclopedia popolare della vita pratica del 1903 già citata si parla del Lorenzone, come ‘autore di centinaia di quadri religiosi sparsi in tutto il mondo’[17] , confortando così le nostre stime. In realtà poi sono saltate fuori, tramite case d’asta, alcune opere laiche, oltre a moltissimi ritratti.

Non saranno ovviamente ribaltate analisi e giudizi consolidati, ma verranno meglio individuati alcuni suoi caratteri, come le sue posizioni nei confronti del Risorgimento , i suoi tentativi di inserirsi nelle correnti di attualità, la possibilità di espressione libera in pale per committenze private o in ritratti, le influenze di pittori insegnanti all’Accademia ai suoi tempi, oppure di artisti operanti nei secoli precedenti.. E comunque potranno essere sempre utili le informazioni ulteriori che il ritrovamento di altre opere può portare con sé. Ai postri spero più competenti di me, i giudizi più completi e definitivi.

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Bibliografia Cap.7 [1] Giannotti Paolo – Pittura Religiosa in Letture di Famiglia - Settimanale, anno IV, n°22, 31 Maggio 1845 [2] Paravia Pier Alessandro – Memorie piemontesi di letteratura e di storia – Stamperia Reale, Torino 1853 [3] Romani Felice – Critica artistico-scientifica – Loescher 1884 [4] Rocca Luigi – ‘Quadri Religiosi’- Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1847, Torino 1847 [5] ‘Il Mondo Illustrato’, settimanale, ed. Giuseppe Pomba, Torino, 19 Giugno 1847 [5bis] Pubblica Esposizione di prodotti dell’industria nazionale Torino 1850 : scritti varii estratti dalla Gazzetta Piemontese- Torino 1850 [6] Pubblica Esposizione di Belle Arti in Torino: Pittura Religiosa – L’Opinione n°148, 1° Giugno 1853 [7] Giuria Pietro – Del paesaggio e de’ Paesaggisti Piemontesi. Allievi dell’Accademia Albertina Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti. Anno 1853, Torino 1853.

[8] Guici Carlo – Ritratti - Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti.Anno 1853, Torino 1853.

[9] Rocca Luigi – pag. 73 - Album della Pubblica Esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti.

Anno 1857, Torino 1857.

[10] L’Armonia della Religione con la Civiltà- 28 Ottobre 1859. Tipografia Paolo De Agostini.

[11] Bosio Antonio – Memorie storico-religiose e di belle arti del Duomo e delle altre chiese di Chieri – Torino 1878 [12] Tatta G. – Il Santuario di Crea: lettere dell’abate Giuli Tarra – Tipografia dell’Ateneo,Torino 1890 [13] Chiuso Tommaso – La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai nostri giorni – speirani e Arneodo, 5 Volumi, Torino 1887-1892. Vol. IV pag.52 [14] ‘Una pala artistica’ - La Stampa 23/24 Luglio 1895 n.203 [15] Arneudo G.I. – Torino Sacra illustrate nelle sue Chiese, nei suoi Monumenti religiosi, nelle sue reliquie – G.Arneodo, Torino 1898 [15 bis] - Il buon cuore giornale settimanale per le famiglie -Tip. L. F. Cogliati, Milano – 1901 Anno 1 Pagina 308 [16] Caffaro Pietro – Notizie e documenti della Chiesa Pinerolese- 1903, 6° Vol. [17] Almanacco italiano: piccola enciclopedia popolare della vita pratica e annuario diplomatico amministrativo e statistico , Anno 1903- Firenze: Bemporad [18] Bessone – Aurely – Dizionario dei pittori italiani – Città di Castello 1915 [19] Comanducci A.M. – Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei – Milano 1970 [20] Bolaffi – Dizionario enciclopedico dei pittori e degli incisori italiani dall’XI al XX secolo – Torino 1972 [21] La Pittura in Italia: l’Ottocento – Electa edizioni, Milano 1991 [22] M.Marchiando Pacchiola – Una gloria di Pancalieri nell’arte sacra ‘800 - L’Eco del Chisone 2 Gennaio 1986 [23] Thellung Caterina – Due chiese e tre pittori: Don Bosco e l’arte figurativa a Torino in ‘Torino e Don Bosco’ Vol.II- Archivio Storico della Città di Torino, 1988 [24] Maggio Serra Rosanna – La pittura religiosa in Torino ai tempi di Don Bosco - in ‘Torino e Don Bosco’ Vol.II- Archivio Storico della Città di Torino, 1988 [25] Merlone Rinaldo – Tommaso Andrea Lorenzone: pittore del sacro. Dalla parrocchiale di Piobesi alle opere della maturità - Centro Studi Piemontesi, Torino 1994, vol XXIII, fasc.2

202 [26] Farioli Paola – La Madonna di Don Bosco – Editrice Elledici, Torino 2002 [27] A.L. Bergeretti , A.Cifani, F.Monetti – La Collegiata di San Lorenzo di Giaveno e le sue opere d’arte – Edizioni del Graffio, Bussoleno 2002 [28] A.Cifani, F.Monetti – Lettere del pittore Andrea Gastaldi al fratello Lorenzo (1852-1857). Appunti sulla committenza artistico – religiosa nell’Ottocento – Centro Studi Piemontesi, Torino 1985, vol XIV, fasc.1 [29] A.Cifani, F.Monetti – Opere d’arte e documenti inediti per la reale chiesa di S. Francesco da Paola in Torino – Arte Cristiana XCI, 2004 [30] Angela Ottino della Chiesa – L’Arte Moderna – Touring Club Italiano 1968 [31] Società Promotrice delle Belle Arti in Torino – Ricordo della Esposizione 1888 – A spese della Società Torino Dicembre 1888 [32] Maggio Serra Rosanna –‘Un po’ di fortuna per Enrico Reffo’ in ‘Enrico Reffo’, pittore religioso tra ottocento e novecento; i suoi disegni. (a cura di) C.Daprà, Caterina Thellung de Courtelary- I quaderni della collezione civica d’arte, Pinerolo 1991

Appendice: I grandi contemporanei

Luigi Carlo Farini 1860

Santorre di Santarosa 1860

Emilio Dandolo 1860

G.B.Nicolini 1860

Daniele Manin 1860

Leopoldo II 1860

Terenzio Mamiani 1860

Giuseppe De Maistre 1860

Francesco IV di Modena 1861

Francesco V di Modena 1861 Gian Domenico Romagnosi 1861

Antonio Rosmini 1861

Vincenzo Monti 1861

Enrico Cialdini 1861

Vincenzo Salvagnoli 1861

Ferdinando II 1861

Giuseppe Luigi Lagrangia 1861

Urbano Rattazzi 1861

Ruggiero Settimo 1861

Gabriele Rossetti 1861

Marco Minghetti 1861

Enrico Tazzoli 1861

Pietro Colletta 1861

Alessandro Volta 1861

Cesare Balbo 1861

Giovanni Prati 1861

Federico Sclopis 1862

Giovacchino Rossini 1862

Giuseppe Giusti 1862

Ciro Menotti 1862

Pietro Thouar 1862

Luigi Cibrario 1862

Vincenzo Gioberti 1862

Vittorio Alfieri 1862

Giovanni Berchet 1862

Felice Orsini 1862

Ugo Bassi 1862

Giacomo Leopardi 1862

Aurelio Bianchi-Giovini 1862

Cesare Alfieri di Sostegno 1862

Tommaso Grossi 1862

Giovacchino Ventura 1862

Giacomo Durando 1862

Il Duca di Genova 1862

Angelo Brofferio 1862

Nicolò Palmeri 1862

Gino Capponi 1862

Liborio Romano 1863

Vincenzo Fardella Marchese di Torrearsa 1862

Carlo Matteucci 1862

Ugo Foscolo 1863

Maurizio Bufalini 1863

Aleardo Aleardi 1863

Carlo Bon-Compagni 1864

Giuseppe Ferrari 1864