icsART 2018 N.11 Marco Berlanda

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PERIODICO della icsART N.11 - Novembre ANNO 2018

icsART


In copertina: MARCO BERLANDA, I FARMACISTI, anni '90, tecnica mista su cartone, 90 x 90 cm


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icsART

sommario

Novembre 2018, Anno 7 - N.11

Editoriale

Yes Peace

Intervista ad un artista

Marco Berlanda

Mercato dell’arte?

Renè Magritte

pag. 20-21

Forme cinetiche

Lame rotanti

pag. 22-23

Storia dell’arte

Ferrari F2001 Formula 1

pag. 24-25

pag. 4 pag. 6-19

News dal mondo RENÈ MAGRITTE

L'empire des lumières, 1949

pag. 28

RENÈ MAGRITTE

Le beau monde, 1962

pag. 29

RENÈ MAGRITTE

Les jours gigantesques, 1928

pag. 30

RENÈ MAGRITTE

La corde sensible, 1960

pag. 31

I Golcondi, 2018

pag. 32

Omaggio a RENÈ MAGRITTE

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EDITORIALE da tenere bene a mente nel percorso: Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero, gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno Quando il fratello disse all’altro fratello: “Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore. CAVALIERI DELLA PACE MA ANCHE DELL’APOCALISSE

Incontriamo dunque da vicino i nostri otto cavalieri, della pace, sì, ma anche dell’apocalisse. Franco Albino ha forzato l’impianto formale delle sue geometrie non euclidee ed ha cercato di trasformarle in significanti caldi del paesaggio, dei paesaggi che nascono intorno alla pace, voluta e negata. Quello che colpisce è la forza comunicativa che assume l’intreccio dei colori, una vitalità che riesce a muovere le diverse forme evitando la trappola del facile e scontato caleidoscopio grazie alla cura del gesto pittorico e allo sguardo d’assieme che lo accompagna. Sergio Bernardi ha illustrato qui alcune prov-

Una mostra dedicata alla pace Yes Peace è rischiosa si rischia il pieno di retorica o nel migliore dei casi un estenuato irenismo, soprattutto in tempi come questi nei quali in Italia e in Europa trionfa l’ipocrisia dei 70 anni di pace, fatti salvi i mattatoi dei Balcani la ferita nascosta ma sempre sanguinosa dell’Ucraina, circondati da un mercato delle armi sempre più fiorente e da un rosario incredibile di guerre nel mondo che lo alimentano. Dunque è opportuno cominciare con i versi di Salvatore Quasimodo, “Uomo del mio tempo”, 4


YES PEACE visorie, esoteriche suggestioni, che si allontanano dal suo astrattismo arcaico alla ricerca di una soglia espressiva lirica: qui la pace mormora le sue giaculatorie che formano un luogo di meditato raccoglimento. L’ombra espressionista incombe ancora eppure in questi lavori prevale l’urgenza della sosta per la decifrazione del cammino. Ci accostiamo con spirito nuovo alla pittura di Silvio Cattani, che sembra a tutta prima affidarsi alle illusioni dell’homo ludens e alle gioie di un improvvisato teatrino, ma che proprio grazie alle emozioni che la vivacità dei suoi colori esprimono resta fedele alla complessità del mondo e delle strade che lo attraversano. La sua è una pittura labirinto come la vita, nella quale porta un pulviscolo luminoso, che appartiene alla vita stessa, ma che dal suo brusio sa distaccarsi con grazia. Mirta De Simoni continua il suo viaggio che è certo a due dimensioni, una dichiaratamente interiore, l’altra più sapienziale, in senso biblico: …implorai e venne in me lo spirito di/ sapienza…ho preferito avere lei piuttosto che la/luce,/perché lo splendore che viene da lei non/tramonta… e ci pone davanti alla sua originale, polimaterica Peace Therapy, nella quale ciò che è in gioco è l’alternanza tra il rosso/oro e il bianco/grigio, tra due stati della mente e del cuore, che l’animo deve attraversare per ritrovarsi anche nella tempesta. Elena Fia Fozzer attacca ad un filo di leggero metallo la costruzione della pace che diventa il segno sofferto del peso della pace: la figura che ne esce colpisce per la sua fragilità e noi, legati a quel filo sottile, ci sentiamo immersi in una sorta di strana palude nella quale ogni giorno rischiamo di affogare, pur persistendo il richiamo di tanti sogni colorati.

La bianca distesa, a tecnica mista, di Bepi Leoni, nella quale si muovono erranti ed incerte figure evoca la luce nella tensione dell’inquietudine contemporanea. Non è la tensione puramente individuale che è aggredita da mille medicamenti e da una sottocultura salutista. E’ la tensione di un mondo sempre in bilico nel quale l’uomo vaga alla ricerca di sé e dell’altro sotto la cappa di un incubo che ha vari nomi, guerra, fame, povertà. L’arte di Luigina Lorenzi la conosciamo per la sua panica passionalità, per il valore teologico che il corpo assume nelle sue visioni, ma qui presenta un approfondimento che prosegue il sentiero noto e insieme diverge. La tecnica mista forte e graffiante, lacerante, direi, avvolge la realtà e la costringe ad uscire dal guscio delle promesse e degli slanci ideali per guardarsi allo specchio. Non è poi certo un caso che le composizioni siano particolarmente luminose nonostante il viluppo del segno, perché la prigione che rinchiude la pace è colma di desideri e di slanci liberatori, non solo di lacrime. Paolo Tomio, con le sue digitali e luminose allegorie astratte vola oltre i confini del pensiero e costruisce immaginifiche visioni, delle quali, checché se ne dica, abbiamo ancor bisogno. Le volute di Tomio circondano, abbracciano, la loro virtualità diventa viva circolazione ed empatica evenienza. In queste immagini, cariche di una sensibilità postmoderna, aleggia comunque lo spirito nicciano dell’eterno ritorno, più antico di Nietzsche eppure più attuale che mai. Ottobre 2018 Mario Cossali

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Intervista a MARCO BERLANDA Marco Berlanda ricorda oggi con riconoscenza le lezioni del suo maestro e mentore, l'artista Mariano Fracalossi, quando «ci esortava costantemente a dipingere come il nostro cuore e la nostra mano ci dettavano». Questo semplice ma fondamentale precetto è sempre stato alla base della sua pittura. Berlanda, partito come pittore autodidatta a 43 anni (ora ne ha 86) - nonostante le esperienze maturate successivamente - è rimasto refrattario ad adeguarsi ai "modelli" che la cultura accademica proponeva, per rimanere sempre se stesso. La sua arte è stata definita naïf (ingenua), primitiva, brut (grezza), selvaggia, popolare, espressionista ecc., tutte categorie applicate a posteriori al suo "naturale" modo di dipingere il quale, più che da una "scelta artistica", deriva da un suo bisogno interiore istintivo, totalmente libero da "pre-concetti" estetici e da "sovra-strutture" concettuali. Marco dipinge quel che vede, così come il bambino che osserva per la prima volta con stupore ciò che lo circonda: immagini immediate e sincere che coinvolgono l'osservatore in quanto portatrici di emozioni e sentimenti vicini al comune sentire. Lui si aiuta con delle fotografie ma poi il soggetto esce da solo, il segno sul supporto è veloce e apparentemente privo di ripensamenti, la composizione nasce direttamente dalla storia ignorando prospettiva, proporzioni e colori reali: la realtà è una ed esiste nella testa dell'artista che esprime la propria visione al di fuori delle regole spazio-temporali. Anche la tecnica è veloce e istintiva, basata sull'uso di smalti brillanti stesi a campiture piatte su pannelli e, infine, marcati con una pesante linea di contorno nera che rende unitario l'insieme. Non si tratta di una pittura fintamente ingenua per essere accattivante: è semplicemente il "suo modo" - assolutamente libero e personale - di vedere il mondo e le relazione tra gli uomini e le cose, e di rappresentarli rifiutando filtri e convenzioni culturali imposte dall'esterno. Paolo Tomio A sinistra: IL FOTOGRAFO, anni '90, tecnica mista su cartone, 100 x 70 cm

In basso: LE FESTE VIGILIANE, 2006, acrilico su tavola, 70 x 100 cm


L'intervista che segue è frutto di lunghe ore di conversazione tra Antonio Cossu, Presidente della PROMART, e Marco Berlanda, sulla sua lunga e intensa carriera di pittore. Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? E' stata una passione innata, fin da bambino; potrei dire che ho percepito in modo consapevole il piacere del disegno – non quello della pittura – intorno ai 7/8 anni. Seppure contrastato dalla mamma (che arrivò a minacciare di tagliarmi le mani!), ogni occasione era buona per tracciare un disegno a matita, col pennino, con i pastelli; non avevo nessuna preparazione specifica, men che meno la coscienza di cosa potesse definirsi o meno arte. Era l’istinto a PIAZZA FIERA, 2006, tecnica mista su cartone 70 x 100 cm

guidarmi, ma ho dovuto soffocarlo per lunghi, lunghissimi anni.

Ci sono stati artisti o correnti artistiche che ti hanno influenzato? No. Come dicevo, non ho cominciato a disegnare pensando che ciò che facevo potesse definirsi arte; non avevo nessuna coscienza di quel mondo, né degli artisti ai quali potermi riferire. Il mio è stato ed è un percorso da autodidatta, legato semplicemente ad una naturale istintività, per quanto, negli anni, io abbia letto molti libri e riviste d’arte. Mio malgrado sono poi stato collocato tra i seguaci di questa o quella corrente, ma ho lasciato che fossero altri a dirlo. Ad essere sincero, comunque, la vicinanza al mondo dell’art brut è quella che più sento, senza presunzione.


Sei sempre stato figurativo o hai sperimentato anche altri linguaggi? La realtà in genere e la figura, in particolare, sono state sempre il mio esclusivo punto di riferimento. Molto raramente la geometria (e non l’astrazione) ha trovato spazio nei miei quadri, ma solo come contorno a rappresentazioni figurative.

Ti riconosci nella definizione di artista 'naïf'? Tu come definiresti il tuo stile? Se (come mi hanno detto) per artista “naïf” s’intende artista “ingenuo” direi proprio di no. Se, invece, essere naïf significa essere semplici e naturali nel rappresentare ciò che si vede quotidianamente, allora si, sono un artista naïf, perché questo è da sempre il mio stile, spontaneo e immediato. A me non piace sottostare a vincoli espressivi e men che meno mi interessa rincorrere l’emulazione di altri artisti: io sono io!... e per questa consapevolezza devo ringraziare Mariano Fracalossi, che nelle sue lezioni al Centro Studio Arti Visuali ci esortava costantemente e non imitare nessuno, a non farci suggestionare dalla pittura degli altri, ma a dipingere come il nostro cuore e la nostra mano ci dettavano.

Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Il tratto marcato (probabilmente dovuto all’abitudine al disegno con il carbone) e l’uso dei

In alto: LA PAURA, 2006, tecnica mista su cartone 70 x 50 cm In basso: LA FIGLIA DI MARILENA, 2006, tecnica mista su cartone, 70 x 50 cm

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colori puri sono, forse, i caratteri più rappresentativi del mio lavoro. Penso che il mio modo di dipingere possa ritenersi un linguaggio personale e autonomo e mi auguro solo che generi emozioni.

Sei uno dei pochi pittori che esegue ritratti (di persone viventi e non). Cosa ti affascina di questo genere? Il ritratto è sempre stato, per me, un modo per dialogare silenziosamente con chi mi circonda. Nel viso cerco l’anima di chi ritraggo; non ho bisogno di fronzoli, mi bastano il mio contorno nero e i colori che in quel momento mi ispirano. Non cerco la somiglianza, ma ciò che più caratterizza la persona che intendo ritrarre. Preferisco fermarmi al viso, al massimo al mezzo busto di chi ritraggo; raramente ho dipinto soggetti in figura intera. In genere scatto alcune foto del soggetto e a queste faccio riferimento nel comporre il mio quadro, altre volte è la memoria che mi aiuta, il pensiero – quasi il sogno – di come quella persona sorride o di quanto era triste o allegra l’ultima volta che l’ho incontrata…

Un tema che ritorna spesso nei tuoi dipinti è quello delle grandi riunioni collettive religiose o sociali che rappresenti a "volo d'uccello"? Io voglio dar vita ai miei quadri. Li voglio gioiosi e pieni di energia. Voglio che ogni punto del quadro sia una scoperta per chi lo osserva. Più è fitto e brulicante il mondo delle mie piazze, In alto: IL FARMACISTA, 2006, tecnica mista su cartone, 70 x 50 cm In basso: LA RISATA, 1979, tecnica mista su cartone, 70 x 48 cm


più lo sento vivo e vicino al mio sentimento.

Un altro soggetto che ami sono gli edifici e i monumenti storici? In famiglia, a cavallo tra ‘800 e ‘900, abbiamo avuto un personaggio che ha fatto un po’ la storia dell’architettura, almeno di quella che ci è più vicina… Io non lo conobbi di persona (morì nel 1923), ma l’architetto Natale Tommasi era un mio prozio e di lui si parlava molto in casa, in particolare del suo Ferdinandeum ad Innsbruck, del suo Seminario Vescovile, a Trento e – sempre a Trento – del suo Palazzo delle Dame di Sion, oggi sede del Liceo Scientifico

Galileo Galilei, dei suoi interventi sul Palazzo di Giustizia e delle sue chiese, distribuite un po’ in tutto il Trentino. Mi piace pensare a lui, quando dipingo le mie piazze monumentali, i miei palazzi, le mie chiese. Al rigore delle sue architetture contrappongo la mia istintività e le mie prospettive bislacche, ma lo sento molto vicino e sono profondamente orgoglioso di questa parentela.

Ti interessa l’arte d'oggi, c'è qualche artista che ti piace? Certo che mi interessa l’arte di oggi! La guardo SAGRA DELL'UVA, 1993, tecnica mista su tavola 81 x 100 cm


sempre con curiosità, continuando anche a leggerne sulle riviste d’arte. Non posso dire di apprezzare qualche artista più di altri, perché rispetto tutti e non mi sognerei mai di criticare l’uno o l’altro, anche se vedo RITRATTO DI CESARINA SEPPI, anni '90, tecnica mista su cartone, 115 x 135 cm

tanti giovani che dopo le prime mostre smettono di lavorare. Mi dispiace che non continuino, ma forse le difficoltà del mercato dell’arte sono la causa di questo disimpegno…

Che ruolo svolgono nelle tue opere la composi-


zione, il colore e la materia? A me piace coprire tutto – ma proprio tutto – lo spazio che ho disponibile, con il segno o con il colore; l’equilibrio della composizione è una magia che si scopre solo dopo, guardando il quadro nel suo esito finale. Lavorare con le “terrette”, ai tempi del Gruppo Studio Arti Visuali, mi ha abituato al colore, che oggi amo profondamente, con una certa preferenza per le basi in tonalità di blu o di verde. La materia, invece, è una componente solo occasionale nei miei quadri; io non cerco volumi, ma piani per comporre i miei quadri.

Quali sono le tecniche artistiche che hai utilizzato principalmente nella tua attività? Appena ultimato il servizio militare, agli inizi degli anni ’50, forse per rispetto al veto di mia madre nei confronti della pittura, cominciai a coltivare una forte passione per la fotografia, che ancora mi anima e – penso – condizioni e supporti tutt’oggi il mio lavoro di pittore. Vent’anni di scatti in bianco/nero furono quasi l’anello di congiunzione che mi riportò al disegno (a carbone, grafite, matite colorate o china), all’incisione a puntasecca e alla pittura a tempera e con gli smalti, le tecniche che tutt’ora prediligo. Quando ho conosciuto il Gruppo Studio Arti Visuali, e il suo animatore, Mariano Fracalossi si è entusiasmato per un tratteggio che stavo eseguendo istintivamente mentre chiacchieravamo, si è riaccesa la passione della mia infanzia per il disegno. Sono anche gli anni della puntasecca che oggi giorno mi è impossibile praticare, sia per problemi di spazio, sia per problemi economici.

CRISTO, 1989, tecnica mista su cartone 90 x 60 cm

ti artisti locali o nazionali? Si, ho conosciuto moltissimi artisti locali; tutti quelli che, nel tempo, hanno fatto capo al Centro Studio Arti Visuali, alla Cerchia e all’UCAI, associazioni alle quali ho aderito per molti anni,

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto mol-

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VITA DEL VESCOVO NEPOMUCENO TCHIDERER 1995, tecnica mista su cartone, 100 x 100 cm

Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente il risultato o cambi in corso d'opera?

per alcune anche con ruoli direttivi. Con alcuni di loro ho ancora buoni rapporti, di amicizia e di stima reciproca. La mia appartenenza all’area dei pittori cosiddetti naïfs, invece, mi ha consentito di frequentare molti artisti che, da tutta Italia, avevano come punto di riferimento istituzioni e musei - a Reggio Emilia e provincia, in particolare - che a questa “corrente” davano il maggior sostegno e visibilità.

Specie per quanto riguarda il paesaggio, ho lavorato spessissimo su un tema prefissato da chi commissionava il quadro o da chi organizzava la mostra alla quale ero invitato. Questo mi ha abituato a costruire preventivamente in testa il dipinto da realizzare, lasciando comunque libera la mente per farlo poi crescere durante l’esecuzione del quadro. Il ritratto, invece, è la trasposizione sulla tela o sul cartone della me-

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moria che ho del soggetto da ritrarre; già prima stesura iniziale so dove dovrò arrivare e percepisco perfettamente il momento in cui il risultato è stato raggiunto.

Cosa ti interessa rappresentare nelle tue tele: contenuti, emozioni, racconti? Senza presunzione dico che io mi sento di rappresentare liberamente il mondo che mi circonda, con tutti i suoi contenuti e le sue emozioni. Il racconto è sempre presente nei miei quadri e non ho mai avuto paura di arricchirlo con interventi in “corso d’opera”, per sottolineare uno o l’altro aspetto del tema che sto trattando, anche se ciò può rendere confuso – per qualcuno addirittura incomprensibile – il risultato finale del lavoro.

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Lo guardo con curiosità, specie per quando riguarda i giovani artisti. Ma in realtà posso dire poco; l’età e qualche acciacco mi hanno ormai portato a ritirarmi progressivamente in un cantuccio, senza la pretesa di esprimere giudizi.

Pensi che si possa fare di più per il settore artistico trentino? Non saprei dire. Registro il fatto che i contributi pubblici per l’arte sono sempre meno ma, nello stesso tempo, penso che l’artista non possa viIn alto. PADRE CON BAMBINO, anni '90, tecnica mista su cartone, 70 x 50 cm In basso. A TAVOLA, anni '90, tecnica mista su cartone, 70 x 50 cm

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EREMO DI SAN ROMEDIO, 1999, tecnica mista su cartone, 70,5 x 100 cm

vere aspettando semplicemente che qualcuno lo aiuti; è lui stesso che deve animare il mercato, magari con iniziative di tipo associazionistico, come si faceva un tempo…

Cosa è per te l’arte? L’arte è desiderio; un’urgenza interiore che non puoi frenare. E’ il modo più semplice di rappresentare la propria visione del mondo utilizzando, con umiltà, tutti gli strumenti disponibili.

E, per finire, chi è l’artista? Cos’è la bellezza? E’ qualunque cosa ti muova dentro un sentimento. Ciò che ti emoziona. Il concetto è totalmente soggettivo. Io, ad esempio, ho un senso intimo della bellezza - anche se non lo so spiegare - ma certamente non inseguo l’estetica del bello, che proprio non m’interessa, né cercare, né rappresentare.

E’ colui che è in grado di donare la propria curiosità e il proprio genio creativo agli altri, gioiosamente e generosamente, senza intenti speculativi.

CARNEVALE IN PIAZZA DUOMO, 2006 tecnica mista su cartone, 100 x 70 cm



1993, Venezia, Spazi espositivi del Ristorante La Colomba 1992, Venezia, Hotel Cavalletto 1988, Arco (TN), Casinò municipale 1988, Trieste, Galleria Minerva 1986, Firenze, Galleria Candelaio 1985, Bologna, Galleria Arte Spazio Dieci 1983, Vaneze (TN), Auditorium del Monte Bondone 1982, Trento, Galleria Fogolino 1981, Carpenedo (VE), Biennale di pittura 1979, Vicenza, Centro Artistico UCAI Il Bacchiglione 1978, Trento, Galleria Fogolino Mostre collettive (selezione) 2018 Trento, Maschere e mascherine, Studio Fotografico Rensi 2015/2016 Trento, Marco Berlanda – Paolo Dolzan, Palazzo Trentini 2015, Trento, Artèresistenza, Torre Mirana 2013, Trento, 37 Buonconsigli, Hortus Artieri 2013, Trento, Landru, Galleria Argo 2012, Recco (GE), Humanitas, Sala Franco Lavoratori 2009, Bruxelles (B), Sogno il mio corpo vola. Arte e disabilità 2009, Trento, Trentino e oltre, Spazi espositivi della Fondazione Caritro 2008, Vespolate (NO), Donazione Dino Formaggio. Opere dal 1930 al 2005, Museo Malandra 2007, Borgo Valsugana (TN), Maestri contemporanei dell’arte trentina, Galleria Tridentum 2007, Reggio Emilia, Ai margini dello sguardo. L’arte irregolare nella Collezione Menozzi, Chiostri di San Domenico 2006, Kempten (D), La cerchia e la città, Kornhaus 2006, Trento, Legnodàmusica, Palazzo Roccabruna 2005, Trento, Soluzioni immaginarie. Omaggio a Mariano Fracalossi, Palazzo Trentini 2004, Trento, La città e il suo fiume, Galleria Fogolino 2004, Toronto (CAN), Lunario, Art Gallery Columbus 2003, Rovereto (TN), Situazioni, MART 2002, Trento, Storie di montagna, Sala Rosa della Regione TAA, poi Marcinelle (B) e BerlinCharlottenburg (D) 2001, Trento, Strie. Metamorfosi dell’immaginario, Palazzo Trentini 2000, Trento, Apocalisse, Museo Diocesano Tridentino 2000, Valparaiso (PY), El Arbol, Università di

MARCO BERLANDA Marco Berlanda è nato nel 1932 a Trento, dove tuttora risiede. Autodidatta, ha cominciato a dedicarsi assiduamente all’arte solo in età matura, dal 1975, quando prese contatto con diverse realtà culturali trentine come il Gruppo Studio Arti Visuali, del quale fu anche Presidente, il gruppo “La Cerchia” e il Gruppo UCAI. Nel corso della sua carriera ha partecipato ad esposizioni sia in Italia, sia all’estero, riportando importanti riconoscimenti. Mostre personali (selezione) 2014 Roverè della Luna (TN), Sala Civica Comunale 2013 Trento, Studio Bibliografico Adige 2012, Caldonazzo (TN), Centro d’Arte La Fonte 2011, Parigi, Galerie Christian Berst 2010, Mattarello (TN), Marco Berlanda. Espressionista selvaggio, Sala Perini 2009 Caldonazzo (TN), Le case che ballano, Centro d’Arte La Fonte 2007 Trento, Galleria Civica 2005 Trento, Marco Berlanda. Pittore selvaggio, Centro Culturale Antonio Rosmini 2003 Abano Terme (PD), Galleria Comunale d’Arte Contemporanea 2002 Folgarida (TN), Centro Congressi 2001, Caldonazzo (TN), Centro d’Arte La Fonte 1998, Castel Condino (TN), Sala Comunale 1996, Mantova, Galleria Pico Art 1995, Teolo (PD), Museo Dino Formaggio 1994, Trento, Galleria Argo

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ics

ART E' possibile sfogliare o scaricare tutti i numeri degli anni 2012-2013-2014-2015-2016-2017-2018 della rivista icsART (ex FIDAart) dal sito icsART all'indirizzo:

www.icsart.it Valparaiso 2000, Trento, Arte trentina 1975-2000, Palazzo Trentini 1998, Trento, Il flauto magico, Galleria Fogolino 1998, Trento, Miserere, Museo Diocesano Tridentino 1997, Trento, I più grandi artisti trentini del secolo, Galleria Argo 1996, Roma, 40 autori per “Galleria Italia”, Palazzo Barberini 1995, Luzzara (RE), XXIX Rassegna Artisti Naives, Museo Zavattini 1995, Ivano Fracena (TN), Correnti & Arcipelaghi, Castel Ivano 1995, Lauro (AV), XX Incontro Naives a Lauro, Museo Naives 1994, Sabbioneta (MN), Progetto Primula. Pittori naives, Palazzo Ducale 1992, Verona, Artisti trentini, Centro Culturale San Giorgetto 1990, Trento, Ex voto, Galleria Fogolino 1989, Luzzara (RE), XIII Rassegna Nazionale Arti Naives, Museo Zavattini 1987, Trento, Immagini per la Libertà, Spazi espositivi della CCIAA 1983, Padova, VIII Rassegna di Arte Sacra, Galleria La Cupola 1981, Trento, Colore trentino, Galleria Fogolino 1977, Strigno (TN), Concorso Albano Tomaselli

icsART N.11 2018 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della icsART N.11 - Novembre ANNO 2018

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Fotografia di Marco Berlanda: Claudio Rensi - 2008

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MERCATO DELL’ARTE ? pretazione psicanalitica, la tragedia influenzerà profondamente la sua opera in cui ritornano spesso temi come l'acqua e personaggi dalla testa velata (la madre era stata ripescata dal fiume con il viso coperto dalla camicia da notte). Nel 1916 si iscrive all'Académie Royale des Beaux-Arts a Bruxelles che abbandona nel '20; due anni dopo sposa Georgette Berger, la sua compagna di giochi dell'infanzia, musa e modella. Per mantenersi lavora in una fabbrica di carta da parati e poi anche come grafico pubblicitario. I suoi inizi da pittore si muovono nell'ambito delle avanguardie, prima cubiste e in seguito futuriste, ma la svolta avviene quando scopre il quadro "Il canto d'amore" di Giorgio De Chirico e dichiara: «I miei occhi avevano visto il pensiero per la prima volta». Nel 1925 aderisce al gruppo surrealista di Bruxelles e realizza "Le Jockey perdu" (Il fantino perduto) considerato il suo primo dipinto surrealista. Decide di adottare uno stile pittorico "universale", impersonale e banalmente rappresentativo così che la pittura precisa e meticolosa renda lo straniamento delle situazioni ancor più inaspettato e misterioso. Lavora molto intensamente e nel 1927 espone a Bruxelles la sua prima mostra personale che però è accolta freddamente dalla critica. Deluso, si trasferisce a Parigi ed entra a far parte del gruppo surrealista anche se la sua poetica si distingue dagli interessi per il sogno, l'inconscio e l'automatismo psichico propugnati da Breton. Il periodo dal '27 al '30 è fondamentale nella carriera del pittore: quasi tutti i temi e i motivi che informeranno la sua opera hanno inizio in questo triennio in cui crea alcuni dei suoi dipinti più famosi, come "La Trahison des images" (Il tradimento delle immagini) in cui, sotto l'immagine di una pipa appare il testo: "Ceci n'est pas une

RENÈ FRANÇOIS GHISLAIN MAGRITTE (18981967) L'Empire des lumières, 1949, olio su tela, 48,5 x 58,7 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 20.562.500 (€ 17.757.600) vedi pag.28 Il pittore belga René Magritte è uno dei più importanti pittori del Novecento la cui facile identificazione con "l'uomo con la bombetta" presente in tanti suoi dipinti, ne ha accreditato l'errata opinione di un tranquillo e grigio borghese, nonostante la sua concezione dell'arte e della società fossero assolutamente sovversive. Magritte inizia presto la sua formazione artistica, prende lezioni di disegno a 12 anni e realizza i suoi primi dipinti da adolescente; è appassionato di fumetti e di libri di avventure e, in particolare, ammira il misterioso Fantômas che poi ritornerà in diverse sue opere. Scopre anche il cinema rimanendo colpito dalla fotografia e dai manifesti dei film. Il padre Léopold è un ricco commerciante, donnaiolo e anticlericale mentre la madre Régina, ex modista, cattolica fervente e depressa, dopo vari tentativi falliti, si suicida gettandosi nel fiume quando René ha 13 anni. Anche se l'artista rifiuta ogni inter20


RENÉ MAGRITTE pipe" (Questa non è una pipa), a significare che un'immagine, anche se rappresenta una pipa, è qualcosa di molto diverso dall'oggetto reale. Il suo stile che si posa lucido e analitico sulla realtà che lo circonda, si fonda sull'effetto poetico ottenuto da interventi su oggetti comuni, quotidiani, mediante operazioni di straniamento, trasformazione, invenzione ecc. che provochino nell'osservatore uno spaesamento concettuale e una sottile inquietudine esistenziale. Nel 1930, in seguito a un disaccordo con i surrealisti parigini, ritorna a Bruxelles dove vivrà per il resto della vita continuando nella sua battaglia surrealista contro la cultura accademica, intento a sconvolgere l'ordine naturale delle cose per rendere visibile il mistero: «Tutto ciò che vediamo nasconde un'altra cosa, vogliamo sempre vedere ciò che è nascosto da ciò che vediamo». A partire dal 1940 sperimenta nuovi stili pittorici, quello detto "alla Renoir" a cui segue nel '47 il periodo "vache" (vacca). René Magritte è un pittore surrealista - ma non appartiene al Surrealismo - artista scettico In basso: Le banquet , 1955-57, olio su tela 75,5 x 121 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 13.626.000 (€ 11.767.400)

e melanconico, egli compie una ricognizione dell'anima con ironia elegante ma corrosiva facendo la rivoluzione - dentro la propria stanza: «Quando si vede uno dei miei quadri, ci si pone questa semplice domanda: Che cosa significa? Non significa niente, perché il mistero non significa nulla, è inconoscibile». In alto: Les vacances de Hegel, 1958, olio su tela 60 x 50 cm, venduto da Christie's New York 2011 a $ 10.162.500 (€ 7.854.600)


FORME CINETICHE Esistono degli oggetti che sembrerebbero connotati dalla assoluta funzionalità e pura essenzialità poiché creati per assolvere a un solo uso specifico e, di conseguenza, in teoria per questa ragione, dotati di un coefficiente estetico minimale. E' con meraviglia che si scopre, invece, che quando si distinguono i due momenti, quello dell'uso dell'oggetto da quello della sua osservazione, anche utensili estremamente specialistici, studiati e prodotti dall'industria per un unico scopo limitato e pratico, se guardati con un occhio più attento e "sensibile", possano rivelarsi inaspettatamente degli oggetti stimolanti dotati di grande interesse per designer e artisti. E' il caso molto particolare di quelle "lame rotanti" impiegate in quasi tutte le attività arti-

gianali e industriali ma ormai indispensabili ovunque si debba costruire o modificare fisicamente qualcosa. Il tratto comune che unisce queste tipologie di strumenti da lavoro è la loro caratteristica di presentare tutte una forma circolare e di funzionare tramite la loro rotazione radiale ad alta velocità. Lame per seghe circolari e dischi abrasivi per mole sono tutti strumenti metallici dentati costruiti per svolgere innumerevoli funzioni: tagliare, forare, smerigliare, levigare, lucidare ecc. ed è proprio questa loro perfetta corrispondenza tra l'esigenza della massima efficienza e le loro morfologie sempre più complesse ed elaborate che li rende estremamente interessanti dal punto di vista formale. Dato per scontato, infatti, che le loro strutture derivino da progetti e decisioni

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LAME ROTANTI prettamente tecniche e tecnologiche, i margini lasciati a disposizioni per un intervento di valorizzazione sul piano estetico sono decisamente limitati. Le industrie produttrici per sottolineare le specificità tecniche e strutturali dei materiali ed evidenziare le differenze tra i prodotti delle varie case, hanno iniziato ad utilizzare accorgimenti particolarmente eclatanti. L'uso di un design grafico accompagnato da colori vivacissimi, ad esempio, è dettato non tanto da scelte estetiche quanto da ragioni connesse alla sicurezza come il voler differenziare nettamente il tagliente dal materiale su cui si sta operando, o dalla necessità di segnalare il movimento oppure rendere facilmente reperibili gli arnesi all'interno dei cantieri ecc. Di questa irruzione dei designer per personalizzare un prodotto meccanico fino a poco tempo fa del tutto anonimo, si è interessato un gruppo di studenti del Massachusetts College of Art and Design di Boston il quale ha condotto una ricerca sui sistemi adottati per caratterizzare prodotti apparentemente privi di appeal attraverso interventi mirati di graphic design. A conclusione del lavoro l'istituto ha voluto esporre tutti questi freddi strumenti meccanici oggetto dello studio, in una mostra d'arte che intendeva svelarne le qualità formali normalmente ritenute secondarie o ininfluenti. Nell'allestimento minimalista utilizzato ogni singolo attrezzo è stato fissato a una lastra di plexiglass trasparente in modo da renderlo inoffensivo per il pubblico e presentarlo come un'opera d'arte d'avanguardia sospesa nello spazio. Grazie alla possibilità di confrontare tra loro i tanti pezzi esposti, i visitatori hanno potuto apprezzare le differenze sia delle lame per seghe circolari, piatte, dai vivaci colori e dotate di una gamma infinità di dentature e di complicate fo-

rature di alleggerimento, sia le forme plastiche dei dischi delle mole derivate dalla necessità di irrigidimento e raffreddamento del materiale sottoposto alle altissime temperature causate dall'attrito. Forme talmente complesse che era spesso difficile comprendere la loro reale funzione ma anche altrettanto stimolanti e raffinate da farle sembrare delle vere sculture.

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FERRARI F2001 FORMULA 1

A Sotheby's New York nel novembre dell'anno scorso, uno dei lotti più attesi, la Ferrari F2001 Formula 1 di Michael Schumacher, che la casa d’aste aveva descritto come “L’auto da corsa più sorprendente mai messa all’asta”, a fronte di una stima di 4 - 5,5 milioni di dollari, è stata battuta alla cifra record di 7.504.000 $. Le corse di Formula 1 rappresentano il punto di arrivo per qualsiasi pilota, per qualsiasi squadra, per qualsiasi costruttore e, all'interno di questo circo internazionale, l'evento più atteso è, senza eccezioni, il Grand Prix di Monaco. Una competizione motoristica unica perché si svolge lungo le strette vie cittadine con i bolidi che sfrecciano a pochi centimetri di distanza tra di loro a una media di 160 chilometri orari. La Ferrari F2001 Formula 1 - telaio 211 è, appunto, quella con cui il tedesco Michael Schumacher ha vinto il Gran Prix di Monaco del 2001, il circuito più "glamour", lungo 3.340 km (per un totale di 260 km) è unico nel suo genere: alle rapide salite di fronte al famoso Casinò seguono il mitico tornante del lussuoso Hotel Monte-

Carlo e il lungo tunnel in curva che emerge a fianco del porto con gli superyacht ormeggiati. Michael Schumacher, uomo dalla disciplina fisica e mentale che con i suoi 7 campionati del mondo e le 91 vittorie in 306 partenze di F1, difficilmente potrà mai essere battuto; il pilota da corsa che ha più vinto di tutti i tempi, ma anche idolo delle folle e l'atleta di maggior successo meglio pagato e più ricco di qualsiasi sport. Sono quasi 5 anni, da quando, dopo il suo ritiro dalla Formula 1, nel dicembre 2013 Schumacher (che ha compiuto lo scorso gennaio 49 anni), ha avuto quel terribile incidente sulle piste da sci delle Alpi Francesi: da allora non è più uscito dallo stato vegetativo e, nonostante sia stato uno dei personaggi mediatici più famosi di tutti i tempi, non si hanno più notizie sulle sue condizioni di salute. La stagione 2001 è ricordata da giornalisti e appassionati come "l'epoca d'oro" delle annate dei Gran Premi, soprattutto grazie ai motori V-10 usati: propulsori da 3.000 cc in grado di raggiungere 840 CV a quasi 19.000 giri al mi-

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STORIA DELL’ARTE

nuto. Le monoposto, del peso inferiore ai 600 kg, avevano carrozzerie composite in fibra di carbonio le cui forme modellate dall'aerodinamica nella galleria del vento raggiungevano una sintesi perfetta nel connubio bellezza e tecnologia. Lo sforzo necessario per competere a questo livello di corse di gran premio, esige migliaia di ore di progettazione e l'impegno di centinaia di tecnici nonchÊ altrettanti milioni di dollari, il tutto per partecipare a degli eventi sportivi che si riducono a poco meno delle due ore impiegate per correre i 78 giri lungo le strade principesche di Monte Carlo. Questa F2001 è considerata un'auto storica che ha rivestito un'importanza enorme nella Formula 1 sia per il marchio del Cavallino Rampante di Maranello, sia per la sua vittoria al Grand Prix, sia per il pilota che la conduceva: Michael Schumacher, il migliore in pista grazie anche al team speciale che lo supportava (vedi a lato): ventiquattro meccanici in azione contemporaneamente durante pit stop ai box che duravano meno di 3 secondi.

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Novembre 2018, Anno 7 - N.11

News dal mondo RENÈ MAGRITTE

L'empire des lumières, 1949

pag. 28

RENÈ MAGRITTE

Le beau monde, 1962

pag. 29

RENÈ MAGRITTE

Les jours gigantesques, 1928

pag. 30

RENÈ MAGRITTE

La corde sensible, 1960

pag. 31

I Golcondi, 2018

pag. 32

Omaggio a RENÈ MAGRITTE

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RENÈ MAGRITTE, L'empire des lumières, 1949, olio su tela, 48,5 x 58,7 cm, venduto da Christie's New York 2017 a $ 20.562.500 (€ 17.757.600)

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RENÈ MAGRITTE, Le beau monde, 1962, olio su tela 29

100 x 81 cm, venduto da Sotheby's London 2012 a 7.922.500 GBP (€ 6.499.000)


RENÈ MAGRITTE, Les jours gigantesques, 1928, olio su tela, 72,4 x 54 cm, venduto da Christie's 2012 London a GBP 7.209.250 (€ 5.829.400)

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RENÈ MAGRITTE, La corde sensible, 1960, olio su tela 31

114 x 146 cm, venduto da Christie's 2017 London a GBP 14.441.348 (€ 12.202.400)



PAOLO TOMIO: Omaggio a RENÈ MAGRITTE I GOLCONDI, 2018 digital art su tela, 90x64 cm


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