icsART 2018 N.10 Marta Galvan

PERIODICO della icsART N.10 - Ottobre ANNO 2018

icsART

In copertina: MARTA GALVAN, MEDUSA, 1993, tempera su tavola, 20x18 cm

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icsART

sommario

Ottobre 2018, Anno 7 - N.10

Editoriale

Renzo Francescotti

pag. 4

Politiche culturali

38 ritratti per un poeta amico

pag. 5

Intervista a un artista

Marta Galvan

Mercato dell’arte?

Joan Miró

pag. 20-21

Servizi pubblici

L'arte riservata

pag. 22-23

Storia dell’arte

"Austin" di Ellsworth Kelly

pag. 24-25

pag. 6-19

News dal mondo JOAN MIRÓ

Peinture (Étoile Bleue), 1927

pag. 28

JOAN MIRÓ

Femme Et Oiseaux, 1940

pag. 29

JOAN MIRÓ

Peinture, 1993

pag. 30

JOAN MIRÓ

Painting-Poem, 1925

pag. 31

Día De Fiesta, 2017

pag. 32

Omaggio a JOAN MIRÓ

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

EDITORIALE in repertorio cinque mie canzoni (nel testo) e la donazione di tutte le opere alla Fondazione Cassa Rurale di Trento.

Insegnante, scrittore, poeta, storico, giornalista, paroliere, polemista, critico d’arte… ho dimenticato qualcosa?

Per la verità, sì. Potresti aggiungere poeta in dialetto tra più significativi d’Italia, tradotto all’estero in libri e antologie, e di lui hanno scritto personaggi come Giacinto Spagnoletti, Giorgio Barberi Squarotti, Cesare Vivaldi, Tavo Burat, Paolo Ruffilli, Franco Loi… E poi critico letterario, commediografo, creatore-regista-voce recitante degli spettacoli del Gruppo “Neruda” (nato nel fatidico 1968), ideatore e organizzatore di 23 edizioni del Concorso nazionale “Paolo Pavanello” per giovani cantautori, organizzatore di mostre di arte nazionali e anche internazionali, come quelle tenute a Palazzo Trentini…

Ma ti, dormet la not? Mi dicono i soliti amici: ”Mi sì, dormo ben. E voialtri? ” Il segreto sta nel riuscire a fare tutto “divertendosi”.

E' con grande piacere che pubblichiamo l'intervista fatta a Renzo Francescotti, un'istituzione della cultura trentina (ma anche nazionale) in occasione di una "sua" mostra d'arte. Intellettuale impegnato e "proteiforme", tramite la sua inesauribile e appassionata attività, ha raccontato la complessa realtà del nostro mondo per cercare di capirlo, ma soprattutto, cambiarlo.

Quando e perché ti sei dedicato alle arti visive?

Posso dire che sei il “decano” dei critici d’arte trentini?

Nel 1973, scrivendo un articolo per una rivista su Remo Wolf, che era stato mio insegnante alle Medie. Avevo capito che la storia dell’arte mi attirava frequentando l’Università di Padova: feci un esame di storia dell’arte, un esame che non era obbligatorio ma complementare, sgranocchiandomi i tre volumi di “Lineamenti di storia dell’arte” di Roberto Salvini, pubblicati dalla Nuova Italia. Il “decano” dei critici d’arte trentini, dici? Ahimè, sì. Anche se preferirei essere definito ”un giovane critico che promette bene…”

Perché hai deciso di festeggiare i tuoi 80 anni con una mostra dì arte ?

Per la verità avevo anticipato di un mese - per ragioni climatiche - il mio compleanno (22 settembre) con la traversata a nuoto (per il lungo) di quattro laghi trentini, enfatizzata dai media.

Degli amici mi hanno sfottuto: ”T’hai scrit pu de zinquanta libri ma te sarai ricordà sol per le to nodade!” Il 22 all’Andromeda, oltre alla mostra di 38 ritratti di pittura e scultura (tra cui uno di tale Paolo Tomio…), omaggio nel corso di un trentennio da parte di amici artisti, il programma ha previsto la presentazione del catalogo, un concerto del coro “Bella ciao” che ha

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POLITICA CULTURALE Nella tua rubrica “Bottega ‘artista” hai raccolto il lavoro di tantissimi artisti: è utile il dialogo tra critici e artisti?

In “Bottega d’artista” su “Trentino Mese”, nell’arco di dodici anni, battendo tutto il Trentino, ho raccolto il lavoro di 140 artisti, noti e meno noti, importanti e meno. Ne sono usciti due volumi pubblicati da Curcu & Genovese.

Conclusa quella rubrica, proseguo sulla stessa rivista con un’altra dal titolo “Amici Artisti”. Il dialogo tra critici e artisti è fondamentale. Pensiamo nell’Ottocento la funzione che hanno avuto poeti o scrittori che si dedicarono alla critica, come Baudelaire, Zola, Jacob, Huysmans, Apollinaire… Nel panorama dell’arte contemporanea la frequenza dei critici negli atelier non mi sembra molto praticata: il fatto è che è impegnativa, dispendiosa, faticosa... E in un mondo dominato dal Moloch del mercato non appare nemmeno necessaria…

spesse volte oscuri a loro stessi e mai rivelati ad altri critici o storici dell’arte. Se confronto la loro statura umana e artistica a quella di molti artisti di oggi, salvo eccezioni, mi trovo decisamente depresso…

L’arte trentina è cambiata molto da quando hai iniziato a seguirla?

Da quando ho cominciato a seguire l’arte trentina quasi mezzo secolo fa, penso che sia cambiata moltissimo: allora erano sulla piazza artisti che si chiamavano Polo, Remo Wolf, Bonacina, Colorio, Fozzer, Winkler, Schweizer… gente che aveva nel suo bagaglio Biennali, Triennali, Quadriennali, residenze e realizzazioni all’estero.

Con quasi tutti loro ho avuto la fortuna (una fortuna cercata) di essere di casa nei loro laboratori, vedendo come lavoravano, dialogando e discutendo con loro, raccogliendo le loro confidenze, guadagnandomi la loro stima e amicizia, riuscendo a “estrarre” da loro (una capacità che mi riconosco io e se non lo fanno altri) snodi fondamentali, episodi rivelatori della loro vita,

I tuoi programmi per il futuro?

Fare programmi 80 anni è un po’ problematico… Ho sempre pensato di essere di meno e di più di un critico professionale. Di meno perché uno che tutta la vita si è dedicato totalmente alla critica è sicuramente più attrezzato di me.

E di più perché ho a disposizione un ventaglio culturale più vasto del suo. Così riverso la mia esperienza di poeta, di narratore, di storico, di giornalista nei mei scritti sull’arte.

Per cui, se la salute e la lucidità continueranno ad assistermi, spero di poter continuare per un po’ così. Ho in mente ancora tre o quattro cose interessanti…

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Intervista a MARTA GALVAN Quando si possiedono una solida cultura storico-artistica e gli strumenti tecnici idonei, intraprendere la via dell'arte è un passo naturale, in particolare, per chi ha dedicato tutta la sua vita al restauro di opere antiche e moderne. La professione di restauratore richiede, infatti, di saper dipingere alla maniera dei pittori antichi e, al fine di ottenere il giusto risultato, di conoscere approfonditamente tutte le tecniche artistiche. L'acquisizione di queste capacità si deve coniugare con una precisione e un'attenzione per il dettaglio non comuni, assieme a un atteggiamento culturalmente rispettoso e umile nei confronti del manufatto su cui si sta operando. E' con questi strumenti concettuali, tecnici e tecnologici, uniti a un talento innato, che la restauratrice Marta Galvan è ritornata al suo primo amore - la "pittura-pittura" - decidendo di utilizzare liberamente l'esperienza maturata in decenni di lavoro sul campo e - finalmente - lasciar correre la propria creatività personale per dimostrare a sé stessa, prima ancora che agli altri, di cosa fosse capace.

E i frutti si vedono quando, osservando i suoi dipinti, si rimane impressionati dalla qualità pittorica, ormai rara al giorno d'oggi, e colpiti dalla ricchezza dei soggetti tratti dalla storia dell'arte e ripensati in una visione attuale. La sua tecnica "alla maniera antica" contribuisce alla forma e ai significati che vuole esprimere poiché la tecnica - come nella pittura del passato - è sostanza e contenuto essa stessa. Il controllo della pennellata e del colore è evidente anche nella esecuzione di ogni dettaglio, dalle tessere di marmo al drappeggio dei tessuti i quali si trasformano in forme astratte pure.

Le opere di Marta sono al contempo classiche e moderne, nel taglio compositivo, nell'invenzione della tempera bianca su grandi tele nere, nell'uso sapiente della citazione resa intrigante grazie all'ambiguità che la permea. Il suo universo possiede il sapore antico della storia intimamente combinato a una seduzione misteriosa che inducono nell'osservatore una senso di straniamento che lo spingono a ricercarvi i messaggi palesi e occulti.

Paolo Tomio A sinistra: LA VANITA' CELATA, 2016, tempera e olio su tavola, 65x40 cm

In basso: PANE E ACQUA, 1995, tempera su tavola 65x95 cm

Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura?

Sono interessata all’arte da sempre… ricordo che l’arte figurativa mi ha sempre accompagnata, più o meno pressantemente. Ho dipinto da bimba, da ragazza senza chiedermi il perché… disegnavo, dipingevo e basta.

Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato agli inizi?

Quando ero a Venezia cercavo disperatamente di interessarmi all’arte contemporanea. Per ca-

LA GENESI, 1995, tempera su tavola, 81,5x78 cm

pire leggevo testi (Gillo Dorfles, Panofskj, etc…), andavo alla Biennale… Ho sentito parlare Lucio Fontana… sempre per capire… ma non capivo.

La mia mente e il mio cuore si fermavano al Futurismo con tutto quello lo precedeva.

Cosa ti ha spinto a seguire la professione di restauratrice?

Avevo un sogno recondito: desideravo fare l’illustratrice di libri. Ma il bisogno di lavorare mi ha condotto ad accettare di far parte di un ottimo studio di restauro condotto da Carlo Andreani (Il Maestro) che lavorava quasi esclusivamente per l’allora soprintendenza di Trento e Bolzano.

PRIGIONI, 2018, tempera su tela, 170x130 cm

La tua formazione ha favorito un rapporto particolare con la storia?

E quanto il restauro ha condizionato il tuo approccio alla tecnica?

Direi che la mia formazione mi ha aperto un mondo di conoscenze che forse non avrei nemmeno mai potuto immaginare.

Ogni lavoro di restauro era un approfondimento di tecniche, di concetti, di collegamenti storici-sociali-filosofici.

Il restauro mi ha condizionato al massimo‌ per qualcuno questo potrebbe essere un limite. Per me è una conoscenza che mi permette di superare immagini casuali o non volute.

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Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali?

Ho conosciuto solo superficialmente un ottimo pittore nazionale, Wainer Vaccari. Lui non ne è a 10

conoscenza, ma ho restaurato per un collezionista mio cliente un suo dipinto… se lo sapesse…! Una volta, parlando, infatti, Wainer Vaccari mi disse che non avrebbe mai voluto assistere ad un intervento di restauro, durante il quale noi restauratori mettiamo a nudo quello che gli artisti hanno prodotto.

C'è qualcosa che ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea?

L’arte contemporanea, quella che stimo ed esalto, ha una sua essenzialità unica: porta alla luce un segmento di antico valore (un colore, un taglio, un’immagine) togliendo tutto il resto che è solo narrazione. Tutto quello che non mi piace è improvvisazione, brandita come idea… un rigurgito di materia non meglio riconoscibile.

Perché hai deciso di lasciare il restauro e dedicarti a tempo pieno all'attività artistica "creativa"?

Ho lasciato il restauro perché sono tempi molto tristi per quanto riguarda le istituzioni preposte alla conservazione: leggi nuove, abbassamento dei prezzi, scarso riconoscimento della professionalità e della qualità. Quindi ho colto l’occasione per dedicarmi interamente alla mia passione: la pittura.

Di nascosto infatti durante la mia professione, durata 50 anni, rubavo qualche giornata e tante notti per dipingere; ma c’era sempre qualcuno che mi rimprovera e mi consigliava o di fare solo esclusivamente la pittrice e abbandonare il restauro o esattamente il contrario. Ciò mi irritava e mi portava a nascondere con pudore la mia ricerca e produzione artistica.

A destra: VOLTEGGIO, 2002, tempera e olio su tavola, 49x11,5 cm A sinistra: LA DEA FORTUNA, 1999, oro in foglia e tempera su tavola, 26x17 cm

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VESTE IN ABBANDONO PARTICOLARE, 2018 olio su tela, 170x130 cm

Come nascono le tue composizione di temi classici e moderni dipinti su tavole di legno con tecniche antiche?

Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente il tema o il soggetto preciso?

Le composizioni su tavole di legno sono sempre il frutto di esperienze lavorative. I particolari, le tematiche dei miei dipinti su tavola sono il risultato di un’elaborazione, forse anche inconscia,

Sì! Ho già deciso quello che mi accingo a fare… il risultato poi è tutto da vedere.

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INTRECCIO VEGETALE, 2000, tempera all'uovo e olio su tavola, 51x72 cm

delle opere che per mesi e mesi ho avuto nel mio laboratorio e sulle quali ho operato

considerato che avevo restaurato grandi pannelli antichi perfettamente conservati e piacevolmente trasportabili! L’ispirazione avuta dalle statue mi piacque per la possibilità di trasformare la scultura in pittura… da lì poi sono passata ad altri soggetti (etnie, drappi…)

E i tuoi grandi particolari di statue classiche o neoclassiche dipinti a tempera bianca su tele nere?

Le tele nere grandi sono frutto di una sfida. Il mio collega scultore mi solleticò dicendomi un giorno: “Peccato che qualche particolare anatomico che ammiro nelle tue tavole tu non lo possa estrapolare e ingigantire” … Beh… allora provai e optai per drappi neri liberi… visto e

Qual è il tuo rapporto con il colore e con la materia?

Sono convinta che la materia debba essere con-

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trollata dalla tecnica e ogni tecnica fa da supporto ad un’idea. Ogni concetto ha bisogno della tecnica specifica e ogni tecnica è in perfetta simbiosi con il concetto. Il colore poi è tutto.

Diversamente dall'idea moderna, tu apprezzi e rivaluti anche l'arte decorativa?

Io credo che l’arte decorativa, quando è veramente bella non è più semplice decoro. Le arti minori sono sempre state considerate minori ma fanno parte della storia, del costume, delle tradizioni che noi ora riconosciamo e esaltiamo. Il concetto di arte contemporanea è troppo supponente, pretenzioso e sopravvalutato per poter accogliere il raffinato lavoro artigianale all’interno del mondo artistico.

Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni? Sei interessata ad un “messaggio” nell’opera?

Non mi preoccupo di questo… io dipingo e spero che qualcuno si soffermi semplicemente.

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile?

Non so rispondere, mi dispiace.

Esiste, secondo te, una “pittura femminile” oppure l’arte non ha sesso?

Le poche donne che sono diventate grandi nella

A sinistra: FEMMINILITA' INFRANTA, 2001, tempera e olio su tavola, 90x30 cm

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MEMORIA DI BROCCATO, 2018, olio su tela 170x130 cm

storia dell’Arte (Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Sofonisba Anguissola, Angelika Kauffman, Berthe Morisot, Tamara de Lempicka, Frida Kahlo, etc…) tutte loro erano donne... artiste donne… ma donne.

Ogni artista uomo o donna che sia, dà alla sua opera tutto ciò che è.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Se per bellezza intendiamo appagamento dell’animo attraverso i sensi... beh forse non è quello che intendo. Per bellezza intendo emo-

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zione, stupore, ma soprattutto introspezione.

E, per finire, cosa è per te l’arte?

Chi è l’artista?

Riprendendo il concetto di cui sopra, quando un’opera riflette e trasmette la complessità di una società... allora quello per me è arte.

E’ l’essere umano che riassume le sfaccettature della vita nella proprio opera.

In basso: GEISHA, 2018, tempera su tela 170x130 cm

A destra: IL SOGNO DI ICARO, 1997, tempera e olio su tavola, 75x51 cm

pazienza di cui bisognava essere solidamente forniti nelle antiche botteghe dei pittori medioevali o rinascimentali.

Ma naturalmente quella della Galvan è pittura moderna, piena di sottili inquietudini, un dipingere dove la costituzione di immagine avviene attraverso raffinati richiami letterali, per evocazioni, con inconsce citazioni, e non certo per proclami: resta dunque una esercitazione difficile, sempre in bilico tra surrealismo e iperrealismo, con numerose tracce dall'antico.

Dipingere è sempre una piccola sfida, e più arduo ci sembra essere il cammino quando ci si confronti con dipingere - come evidentemente fa la Galvan volendo quasi ignorare le ormai secolari rivoluzioni artistiche che così fortemente ci hanno allontanato dal bel dipingere. E poichè sempre le immagini artistiche devono essere riscattate dalla loro valenza illustrativa dopo un secolo in cui volutamente è stata distinta l'illustrazione dalla pittura come esercizio di conoscenza, ben duro diviene rifare il cammino pittorico in controtendenza".

MARTA GALVAN Marta Galvan nasce a Levico Terme, provincia di Trento.

Consegue il diploma di magistero d’arte a Venezia.

Inizia l’attività di restauratrice sotto la soprintendenza di Trento e Bolzano. Trasferitasi nel ’77 a Modena, allaccia rapporti lavorativi con le istituzioni statali (Soprintendenze e Province) dell’alta Italia, inclusa la Soprintendenza di Modena con la quale ha collaborato per lungo tempo.

Ha restaurato importanti opere d’arte di alta epoca, quali tavole e polittici, su cui si è specializzata.

Ha condotto a termine restauri complessi su tele importanti quali: Guercino, Tintoretto, Nicolò dell’Abate, Caravaggio (attr.), Cignani, Cantarini, ecc.

Oggi Galvan si dedica esclusivamente alla pittura.

Grazie al restauro, infatti, vanta di aver appreso il rigore tecnico direttamente dagli antichi maestri.

"Ha fornito un importante contributo alla conservazione del nostro patrimonio artistico, sia pubblico che privato. La passione e il rigore scientifico che caratterizzano la sua opera educano numerosi collezionisti ed antiquari che frequentano il suo laboratorio ad un corretto utilizzo delle finalità che si debbono perseguire con il delicatissimo strumento del restauro dal quale dipende la «vita», il valore artistico ed economico di un'opera d'arte”.

Con queste parole ha ottenuto nel 2004 il premio “La Buonissima” da parte del Rotary Club di Modena per la sua importante attività.

Testo critico di PAOLO CRISTANI, 1995 "Dietro le tavole amorosamente dipinte da Marta Galvan si scorge l'antica sapienza artigiana in lei operante quando restaura tele e tavole antiche, ma anche un preciso gusto per l'immagine ben costruita, diligentemente disegnata, definita con l'infinita

Poesia di FLAVIA SMADELLI (relativa ai fondi oro) Dal cuore suo puro scorre a rivoli l'oro.

E sul quadro dilaga Antico, senso, ricco e splendente vince il tempo, e raggiunge le punte silenziose e i misteri dell'anima passando per severi crocevia del pensiero Ma talvolta ferma dolcemente il suo cammino e s'affaccia, quasi spiando dietro un sipario, a sorprendere quel caldo e gioioso quotidiano.

A destra: CIELO E MARE, 1999, oro in foglie e tempera su tavola, 40x16 cm

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ART E' possibile sfogliare o scaricare tutti i numeri degli anni 2012-2013-2014-2015-2016-2017-2018 della rivista icsART (ex FIDAart) dal sito icsART all'indirizzo:

www.icsart.it icsART N.10 2018 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della icsART N.10 - Ottobre ANNO 2018

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MERCATO DELL’ARTE ? piegato ma, nel 1912, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Barcellona decidendo di dedicarsi soltanto alla pittura. Le sue prime opere ancora figurative mostrano varie influenze tra cui quella dei Fauves dai brillanti colori e la caratteristica bidimensionalità piatta dell'arte catalana ma la sua idea di arte è già ben definita: «Per me, un quadro dovrebbe essere come una scintilla, deve stupire come la bellezza di una donna o di una poesia, deve avere splendore».

Nel 1920 si trasferisce a Parigi dove, dopo aver seguito da vicino le avanguardie cubiste e dadaiste, si riconosce nel nascente movimento surrealista sottoscrivendone nel 1924 il Manifesto scritto da André Breton il quale dirà: «Mirò è il più surrealista di tutti noi». Sotto l'influenza di poeti e scrittori sviluppa un proprio stile personale attingendo all'inconscio e all'automatismo psichico per liberare sulla tela le sue visioni oniriche, dando libero sfogo all'inconscio ma cercando, nello stesso momento, di formulare un nuovo linguaggio pittorico.

"Il Carnevale di Arlecchino" del 1925, la sua prima opera completamente surreale, ottiene un grande successo alla prima mostra della Pittura surrealista. Il surrealismo non è per lui una maniera figurativa, ma un atteggiamento esistenziale, la libertà creativa a cui, una volta scoperta, non può più rinunciare: «Cerco di ottenere il massimo della chiarezza, della potenza e dell'aggressività plastica, una sensazione fisica per cominciare, seguita da un impatto sulla psiche». Ma chiarisce anche che: «Le opere devono essere concepite con il fuoco nell'anima ma eseguite con freddezza clinica».

JOAN MIRÓ I FERRÀ (1893-1983), Peinture (Étoile Bleue) 1927, olio su tela, 115x89 cm, venduto da Sotheby's London 2012 a 23.561.250 GBP (€. 29.204.000) vedi a pag. 28.

Definito da Jacques Prévert: «Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni», Joan Miró è il più importante artista catalano moderno (e anche tra i più falsificati nel mondo). Nato a Barcellona in una famiglia di artigiani (il padre era orologiaio e orafo), lavora due anni in un ufficio come im-

Femme Entendant De La Musique, 1945, olio su tela, 130x162 cm, venduto da Christie's New York 2018 a $ 21.687.500 (€ 18.836.000)

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JOAN MIRÓ La sua, però, non è pittura astratta poiché egli non complica artificiosamente le cose ma le trasforma liricamente nell'impeto di rivelare il meraviglioso nel quotidiano: egli esalta la realtà grazie al suo immaginario inesauribile, cosicché i suoi quadri sono pieni di racconti favolistici in cui si assiste alla continua metamorfosi di elementi reali in una miriade di immagini coloratissime, simboli sessuali, forme antropomorfe, amebiche, esseri in bilico tra l'umano e l’animale e frasi poetiche che sembrano fluttuare sospese in spazi infiniti.

Dal 1936 al 1940, durante la guerra civile spagnola e la guerra mondiale, Miró rimane bloccato in Francia e l'esperienza tragica della guerra trasforma il suo linguaggio figurativo rendendolo poetico e musicale. Nel tentativo di evadere dalla realtà e immaginare un mondo diverso, esegue in maniera ossessivamente meticolosa la serie "Constellation", 23 gouache su carta i quali, nonostante i loro piccoli formati, sono considerati tra le sue opere fondamentali.

L'artista non si limita alla pittura ma si dedica contemporaneamente a una vasta gamma di altri media, incisioni, litografie, ceramica, mantenendo sempre il gusto per la vivacità cromatica e il senso del fantastico della tradizione mediterranea. Pratica anche la scultura con esiti altrettanto validi riuscendo a interpretare tridimensionalmente in modo magistrale i suoi personaggi e le sue forme organiche sviluppate nel corso degli anni.

Dopo la seconda guerra mondiale l’arte di Mirò ha un nuovo impulso, nel 1947 e poi nel 1950, visita gli Stati Uniti dove riscuote notevoli

Peinture (Femme, Lune, Oiseaux), 1950, olio su tela, 114x146 cm, venduto da Christie's London 2015 a 15.538.500 GBP (€ 19.950.000)

riconoscimenti di critica e tra gli artisti dell'Espressionismo astratto. Con la fine degli anni '60, ormai all'apice del successo, inizia il suo ultimo periodo che durerà fino alla morte a 90 anni: l'artista si concentra sempre più su opere monumentali e pubbliche realizzando sculture grandiose e murales in ceramica capaci di coprire intere facciate di palazzi.

Femme (Femme debout), 1969, bronzo con patina nera, 189 H cm, venduto da Christie's London 2013 a 6.313.250 GBP (€ 7.301.000)

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SERVIZI PUBBLICI Quando entriamo in qualsiasi ambiente, tutti siamo inconsciamente influenzati, se non condizionati, dalla sua architettura, l'organizzazione spaziale, la forma, la funzione e da tutte quelle caratteristiche che contribuiscono a comunicare la sua "natura" all'utenza e, in definitiva, a determinarne gli atteggiamenti mentali e i comportamenti. E' il caso di chi, visitando una galleria d'arte o un museo, attraversa le sale principali passando di volta in volta attraverso diversi spazi distribuiti lungo i percorsi destinati a qualche periodo o autore specifico. Il pubblico vi ritrova uno stile e un clima, magari esaltato o valorizzato da allestimenti, colori e luci appositamente studiate in funzione dei contenuti e significati che si vogliono esprimere, ma concettualmente coerente con l'insieme.

Ad esempio, visitando un luogo d'arte si è in grado di riconoscere intuitivamente l'importanza (e il valore economico) delle opere esposte,

sulla base delle caratteristiche architettoniche degli spazi ad esse dedicati.

Proprio su questa ambigua relazione tra l'arte ufficiale esposta in spazi "istituzionali" e quella "normale" collocata in luoghi piÚ informali, ha giocato il noto pittore giapponese Aki Matsuda in occasione della presentazione dei suoi dipinti al Museo d'Arte Moderna di Kioto. L'artista ha deciso di esporre alcuni dei suoi quadri dentro una installazione speciale fatta costruire nel salone centrale. Si tratta di un box anonimo, un lungo parallelepipedo al cui interno sono stati perfettamente riprodotti dei veri servizi igienici, interamente piastrellati, completi di apparecchi sanitari, rubinetterie e accessori, a cui l'ignaro pubblico accede da una normale porta priva di indicazioni. Nel momento in cui la gente entra nel locale la prima reazione è quella di imbarazzo per avere sbagliato porta ed essere capitati in una zona riservata; solo dopo aver superato

L'ARTE RISERVATA

la sorpresa iniziale, pochi osano procedere ma nessuno presta la minima attenzione alle opere appese alle pareti. Benché l'ambiente sia piacevolmente luminoso e pulito e possieda tutti i crismi di un arredamento moderno e funzionale, l'atteggiamento generale dei visitatori è di assoluto disinteresse verso i quadri di Matsuda esposti, considerati poco più che dei semplici complementi d'arredo igienico-sanitario privi di qualsiasi attrattiva estetica.

All'artista interessava verificare come la presentazione delle sue opere d'arte decontestualizzate incidesse sulla loro accettazione e valutazione da parte delle persone, vale a dire, se e quanto, la forma-funzione molto specifica dei

servizi pubblici ospitanti influisse sull'opinione delle persone rispetto alle opere presenti nelle sale, e come una percezione psicologica sociale negativa condizionasse l'approccio individuale a dei quadri avulsi dal loro normale contesto espositivo. La provocazione del giapponese ha dimostrato ciò che ogni curatore sa: l'allestimento delle opere d'arte in un contesto concettualmente coerente con l'idea che si vuole trasmettere è talmente fondamentale che identici dipinti ottengono giudizi positivi o negativi a seconda dell'ambiente che le accoglie. In sintesi, la gerarchia e la qualità globale del "contenitore" condizionano in modo determinante il gradimento nei confronti del "contenuto".

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"AUSTIN" DI ELLSWORTH KELLY "Austin" è il nome dell'opera più ambiziosa realizzata da Ellsworth Kelly (1923-2015), pittore statunitense tra i più noti esponenti dell'"HardEdge Painting" (la pittura a bordi netti) e del Minimalismo, poco prima della sua morte a 92 anni. Si tratta di una vera e propria "cappella laica", una massiccia costruzione con una pianta a croce romanica di 250 metri quadrati e coperture a volta a botte a tutto sesto, interamente rivestita in pietra calcarea e illuminata solo da tre grandi "rosoni" colorati. I soffitti archivoltati delle due navate si intersecano tra loro e le tre facciate piatte della cappella (la quarta è semisferica) si differenziano tra loro per i finestroni decorativi dalle forme diverse. L'edificio fa parte della collezione permanente del Blanton Museum of Art dell'Università del Texas ad Austin il quale ha provveduto a raccogliere i 23 milioni di dollari (più 4 per la sua conservazione) necessari per realizzare il progetto.

Ellsworth Kelly ha iniziato i lavori nel 2012 ma, in realtà, l'idea aveva preso forma con una serie di bozzetti eseguiti ancora nel 1989. Questa "chiesa laica" è stata modellata richiamandosi liberamente all'architettura delle cattedrali romaniche e cistercensi che tanto avevano affascinato Kelly nei quasi sette anni in cui era rimasto in Francia e a Parigi durante la seconda guerra mondiale. Questo artista, gay e ateo dichiarato, infatti, ha voluto costruire la propria versione di una cappella creando una forma pura ed essenziale, spogliata di ogni narrativa sacra e scegliendo di non consacrarla, in cui solo le tre vetrate, coloratissime ma prive di immagini religiose, richiamano il simbolismo originario.

L'artista ha delegato a uno studio di architettura la progettazione esecutiva mantenendo per sé l'impostazione generale, la scelta dei dettagli e di tutte le finiture esterne e interne. Ai tecnici Kelly ha chiesto di ridurre il più possibile lo

STORIA DELL’ARTE spessore delle pareti finestrate per consentire alla massima quantità di luce naturale di illuminare il volume interno e di mantenere a filo con le pareti sia il vetro interno che quello esterno, appositamente ottenuto con lastre di stratificato unite a pannelli di vetro soffiato.

Sulla fronte dell'edificio, in linea con la navata principale, è ritagliata sopra il portone di accesso un finestrone composto da una griglia di 9 vetri quadrati con i colori dello spettro in cui si intuisce una croce centrale più chiara (vedi in basso). Il rosone sulla testata di destra, invece, è traforato da 12 rombi inclinati in vetri arcobaleno che ruotano su sé stessi in una disegno circolare secondo una progressione cromatica (vedi a destra). Sulla parete opposta, dove secondo la liturgia cristiana si colloca l'ostensorio, un rosone con un motivo composto da 12 raggi in vetri colorati a forma di stella che si irradiano da un cerchio centrale (vedi pag.24).

Lo spettro cromatico dei finestroni crea all'interno un'atmosfera cangiante che richiama un tempio per il culto del Sole o della Natura. Austin è stato messo a confronto con la Rothko Chapel a Houston, ma l'uso della luce naturale nelle due cappelle è radicalmente diverso: severo e drammatico quello dell'ebreo Rothko (morto suicida), sereno, gioioso - gaio - quello di Kelly. Sulle pareti interne sono allineati 14 pannelli geometrici astratti in marmo bianco e nero dell'artista mentre nell'ostensorio, in luogo del crocefisso, è collocata una scultura alta 5 metri e mezzo, un semplice totem in legno di sequoia dalla forma delicatamente curva. Si capisce che la cappella è uno spazio spirituale per la contemplazione il cui vero scopo è di suscitare quello che Kelly chiamava «il rapimento del vedere» poiché, per lui, non c'era esperienza più essenziale o edificante per la condizione umana che l'atto del guardare.

Ottobre 2018, Anno 7 - N.10

News dal mondo JOAN MIRÓ

Peinture (Étoile Bleue), 1927

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Femme Et Oiseaux, 1940

pag. 29

JOAN MIRÓ

Peinture, 1993

pag. 30

JOAN MIRÓ

Painting-Poem, 1925

pag. 31

Día de Fiesta, 2017

pag. 32

Omaggio a JOAN MIRÓ

27

Peinture (Étoile Bleue), 1927, olio su tela, 115x89 cm venduto da Sotheby's London 2012 a GBP 23.561.250 (€ .000)

28

Femme Et Oiseaux, 1940, gouache e olio su carta 29

38x46 cm, venduto da Sotheby's London 2017 a GBP 24.571.250 (€ .27.420.000)

Peinture, 1933, olio su tela, 130x96 cm, venduto da Christie's London 2012, GBP 16.841.250 (€ 20.874Ì5.000)

30

31

Painting-Poem, 1925, olio su tela, 130x96 cm, venduto da Christie's London 2012, GBP 16.841.250 (â‚Ź 20.874.800)

PAOLO TOMIO: Omaggio a JOAN MIRÓ DÍA DE FIESTA, 2017 tecnica mista e acrilico su carta, 30x21 cm

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