Ilaria din colors

Page 1


Il 20 marzo 1994 Ilaria Alpi e Miran Hvrovatin vengono brutalmente assassinati con colpi alla testa da un comando di sette persone. I colpevoli e i mandanti a distanza di 19 anni sono ancora ignoti. Nel 2004 è stata formata una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hvrovatin, presieduta dall’onorevole Carlo Taormina. Le commissioni parlamentari si creano ogni qualvolta si vuole coprire la verità, come in questo caso. Quello che segue è un capitolo della mia tesi di laurea decidicato a Ilaria Alpi, del dicembre 2010. Per mesi sono stata completamente travolta dalla lettura di documenti e dalla visione di servizi televisivi di e su Ilaria Alpi e ricordo la fatica che ho fatto nel passare alla scrittura. Fatica sia perchè non sono riuscita a descrivere come avrei voluto Ilaria Alpi reporter di guerra, ma anche perchè la rabbia verso le istituzioni che avevano coperto gli assassini mi toglieva energie e concentrazione. La rabbia c'è ancora oggi, insieme a tanta energia per non dimenticare.

ILARIA ALPI 1.1. LA FORMAZIONE .

Ilaria Alpi nasce a Roma il 24 maggio del 1961. Manifesta la sua passione per il giornalismo a soli tredici anni, quando <<alle scuole medie segue lezioni di giornalismo e fa piccole interviste per il quartiere>>[1]. Alpi si laurea con il massimo dei voti all’Università La Sapienza di Roma in Lingue e Letterature Straniere Moderne, specializzazione in arabo. Sono solo diciotto studenti a frequentare quel corso di laurea, infatti l’arabo in Italia è una lingua che in pochi conoscono. Ottiene delle borse di studio finanziate dall’Egitto, dove per tre anni studia presso l’università islamica e perfeziona la lingua araba. <<La sua formazione professionale è caratterizzata da un profondo interesse per l’Africa e la sua cultura>>[2], per questo motivo studia le lingue, in particolare l’arabo. Inizia la sua carriera nel luglio 1987 come corrispondente da Il Cairo per la redazione di Paese Sera. Dal 1988 al 1989 è nella redazione Cultura de l’Unità e cura la rassegna stampa dal Medio Oriente per “Italia Radio”. Inoltre collabora con “Il Manifesto”, “Noi donne” e “Rinascita”. Nel 1990 la madre, Luciana, la informa di un concorso Rai per giornalisti, alcuni posti sono lottizzati e lei, che non appartiene a nessun partito, ottiene il posto grazie alla sua bravura. Dal marzo 1990 viene assunta a Rai Sat, e a fine anno si trasferisce al Tg3, alla redazione esteri. È inviata a Parigi, in Marocco, in Somalia, a Belgrado e Zagabria. Accetta tutti i servizi che le propongono e ci mette tutta la sua professionalità, perché ama il suo lavoro. È una giovane giornalista che lavora in un importante redazione televisiva nazionale. Spesso deve spiegare al telespettatore complicate questioni di carattere internazionale e lo fa in modo semplice e efficace. Non si limita a presentazioni da esperta del paese o della materia in questione, ma trasmette anche emozioni, per questo è una brava giornalista.


Lavora spesso in Africa e la sua missione è quella di presentare <<un’altra prospettiva nel guardare al mondo africano, criticando l’atteggiamento degli occidentali, sempre pronti a giudicare l’oriente con i proprio parametri, partendo dal presupposto che la cultura dell’Ovest è migliore e più giusta. Di loro diceva: "Visitano questi paesi come se andassero allo zoo, rifiutandosi di capire". Per lei invece capire era essenziale, anche le forme più estreme di quelle culture, come l'integralismo islamico, che negli ultimi tempi della sua vita ha studiato per comprendere che cosa vi fosse alla radice di quel movimento>>[3]. Il suo intento è proprio quello di riscattare il popolo africano da quei preconcetti che da secoli li caratterizzano come arretrati. Alpi conosce la loro cultura e vuole dimostrare come spesso le colpe di tale arretratezza sono dei dittatori africani e di tutti quei politici dell’Occidente che li finanziano. Dal settembre 1992 viene inviata per ben sette volte in Somalia. <<Ama profondamente il popolo somalo, gira molto per la città, dà voce alla gente, alle donne>>[4]. Il 12 marzo 1994 torna a Mogadiscio questa volta con l’operatore Miran Hvrovatin per seguire l’operazione ONU “Restore Hope” e le vicende del contingente italiano Ibis, che fa parte dell’operazione internazionale Unisom. Un legame particolare la lega alla popolazione somala, testimoniata anche dalla fierezza con cui indossa i braccialetti fatti dalle donne somale.[5] Il 20 marzo 1994 Ilaria Alpi e Miran Hvrovatin vengono brutalmente assassinati con colpi alla testa da un comando di sette persone. I colpevoli e i mandanti a distanza di sedici anni sono ancora ignoti. Nel 2004 è stata formata una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hvrovatin, presieduta dall’onorevole Carlo Taormina. Le commissioni parlamentari si creano ogni qualvolta si vuole coprire la verità, come in questo caso. 1.2. I SERVIZI IN TV.

Ilaria Alpi è una reporter di guerra di un telegiornale nazionale del servizio pubblico, il TG3. I servizi televisivi durano pochi minuti, Alpi deve gestire il poco tempo a disposizione per raccontare i conflitti e prepara <<servizi che scavano nel profondo dell’anima, che sul piano tecnico sono ineccepibili e arrivano sempre puntuali per l’editing e la messa in onda>>[6]. Alpi è precisa, fornisce informazioni dettagliate e utilizza un linguaggio comune. La sua voce dolce, spesso fuoricampo, racconta fatti cruenti di morte. Morte di civili inermi, di militari e di colleghi. Nel 1994 è a Belgrado, in Bosnia c’è la guerra e Alpi racconta al pubblico del Tg3 l’estrema conseguenza di un mestiere sempre più messo in discussione: <<Reporter di una guerra senza un fronte chiaro, una differenza netta tra buoni e cattivi. Sono ormai sessanta i giornalisti, fotografi e teleoperatori morti in due anni e mezzo di conflitto in Bosnia, eppure si continua a partire>>[7]. Non si limita alla mera cronaca, ricostruisce i fatti e fornisce al telespettatore una visione completa della situazione, spesso tragica ma senza esagerazioni o sensazionalismi: <<Per qualcuno si tratta di una missione, non è più un semplice mestiere tante sono state le polemiche sul ruolo della stampa nel conflitto, ma l’occhio della telecamera è stato spesso l’unico modo per testimoniare>>[8]. Alpi è una giornalista televisiva che, quando è possibile, rifiuta gli stand up, perché non le importa di comparire in video. Non è una giornalista televisiva per esibizionismo, ma perché solo la televisione ha quel potere di poter arrivare al più grande numero di persone possibile. Ad essere protagonista nei suoi servizi è sempre la notizia ed è a questa che preferisce lasciare la scena. Nei servizi che vanno in onda frequentemente di Alpi si intravede solo la mano che regge il microfono all’intervistato, oppure passano le immagini accompagnate dalla sua voce. Una voce rassicurante,


dolce che cozza con le immagini e i fatti che racconta. Alpi è una giovane giornalista decisa e appassionata, che mette sempre a proprio agio l’intervistato, chiunque esso sia: dal medico che lavora negli ospedali di Mogadiscio ai bambini che incontra nelle scuole, dalle donne che intervista per fare inchieste sulle mutilazioni femminili ai potenti uomini della guerra come il capo di Mogadiscio Nord, Ali Mahdi. È attenta e curiosa, ha sempre con se un bloc-notes in cui appunta le notizie e prepara i suoi reportage. Alpi ha <<Uno stile nitido fatto di pudore e antidivismo, proprio nell'epoca dell'immagine veicolata dalla TV spettacolo, ma che non rinuncia ad andare in fondo alle cose e ai problemi toccando le corde nascoste e spesso pericolose della verità>>[9]. La televisione non ammette un flop, nemmeno quando lo spettacolo che passa sullo schermo è semplicemente il racconto della realtà. E se la realtà non è funzionale allo spettacolo, la si piega e la si aggiusta a recuperarla nello specifico della rappresentanza Tv. La televisione, dunque, detta i tempi e i modi della propria narrazione. Il suo codice linguistico disegna l’identità [10]. Alpi non condivide la spettacolarizzazione che si fa della guerra in televisione, appartiene infatti a un giornalismo d’inchiesta, rispettoso del pubblico e della notizia. Alpi ha infatti una concezione del pubblico diversa rispetto al pensiero dominante, non è per lei solo una massa inerme che subisce ogni informazione, ma anche un pubblico maturo e intelligente che pretende professionalità nell’informazione e che soprattutto è inappagato sentendo solo le solite storie di sesso, salute e soldi. Alpi lavora per quel telespettatore che vuole essere informato anche rispetto ai temi reali che colpiscono il Paese, tutti i Paesi. La regola delle tre “s” non è così universale come molti direttori vogliono fare credere, le cose iniziano a cambiare con l’inchiesta “Mani Pulite” e Alpi segue quella direzione. <<Alpi non si limita alle dichiarazioni ufficiali e ai piani alti; più spesso scava alla ricerca delle ragioni e dei perché. Lei racconta la strada>>[11]. Mentre in Somalia tanti giornalisti conducono una campagna mediatica a favore del contingente americano in Africa, Alpi presenta un racconto inedito. Il telespettatore immagina che a contribuire alla ricostruzione della Somalia siano soprattutto organizzazioni non governative dell’Occidente, invece in un reportage per il Tg3 Alpi informa sull’operato di organizzazioni umanitarie islamiche: Fuori dalle polemiche e dalle dispute politiche e diplomatiche a Mogadiscio, e in tutta la Somalia, lavorano le organizzazioni umanitarie islamiche. Le più note sono una quindicina: hanno scuole, ospedali, centri di distribuzione del cibo. È soprattutto il settore dell’istruzione quello nel quale investono la maggior parte delle loro risorse. Nel quartiere generale di Al-Dawa, cioè propaganda, il responsabile sudanese insiste invece sul carattere umanitario dell’intervento. Solo nel Nord est del paese a Bosaso sarà presto speso un milione di dollari per strutture scolastiche, provenienza del denaro: Arabia Saudita. […] Valutare l’intero ammontare dell’ intervento dei paesi musulmani in Somalia non è possibile, sicuramente è ingente, solo a Mogadiscio provvedono a dar da mangiare a quattordicimila persone[12]. Alpi segue principalmente le vicende della Somalia e il suo compito è di raccontare cosa accade in questo Paese dilaniato dalla guerra civile. La Somalia è sotto il potere del dittatore Siad Barre, presidente somalo dal 1969 al 1991, anno in cui è estromesso. Segue una lotta per il potere tra contrapposti gruppi tribali. La situazione più tragica si verifica nella capitale, Mogadiscio. Il potere della città è conteso tra due leader, Mohamed Farrah Aidid e Mohamed Ali Mahdi, che lasciano Mogadiscio in mano ai propri eserciti tra carestia e paura. Nessuno senza un motivo particolarmente valido passa da una zona all’altra. È un coprifuoco non dichiarato e ogni spostamento deve essere accuratamente organizzato, persino andare a una


conferenza stampa con il coordinatore del dipartimento di stato in Somalia crea molti problemi, il mezzo di trasporto: un blindato italiano. L’albergo dista dal luogo della conferenza solo un chilometro, ma siamo a Mogadiscio Sud, zona di Aidid, e non è prudente muoversi senza scorta[13]. Alpi ricrea la pericolosità che si vive a Mogadiscio ricostruendo i suoi spostamenti lungo la città, divisa in due parti: una in mano ad Aidid e l’altra ad Ali Mahdi. A delinearne il confine una terra di nessuno molto pericolosa in cui si verificano gli scontri più violenti, la famosa Linea Verde. Dietro ai due signori della guerra ci sono gli Stati occidentali che forniscono loro soldi e armi in cambio di traffici illeciti all’interno di della Somalia. Alpi denuncia con forza questi rapporti di potere e lo fa direttamente dal campo, in Somalia, nei suoi servizi televisivi. Il suo obiettivo è trasmettere la verità e per questo deve sempre essere certa delle notizie. Alpi verifica le sue numerose fonti: militari, politici, gente del posto; persone che si fidano della sua serietà e professionalità. Nel dicembre 1992 l’ONU invia in Somalia un contingente armato di 28.000 caschi blu, l’obiettivo è di arginare la carestia che colpisce il paese e bloccare la guerra civile. Sono racconti scomodi quelli di Alpi, che vengono raccontati mentre il telespettatore si trova a tavola con la famiglia e dopo una giornata intensa di lavoro non sono certamente storie che vengono ascoltate con piacere. Il telespettatore forse preferirebbe sentire storie che lo facciano sognare per evadere dalla realtà. Ma il mestiere di Alpi è di informare, non di compiacere il pubblico. Per Mogadiscio è stata una giornata di sangue, dal mattino la zona sotto controllo del generale Aidid è stata martellata prima dai missili sparati dagli elicotteri degli americani, poi dalle mitragliatrici. L’atterraggio nell’albergo dei giornalisti, Al Sahafi, è uno spettacolo di guerra. L’arrivo di alcuni mezzi militari fa degenerare la situazione. La sola vista dei distintivi dell’ONU scatena la rabbia, comincia una violenta sassaiola. Il nostro operatore Marco Silenti e due fotografi italiani, Danilo Malatesta e Cristiano Laruffa, sono coinvolti nello scontro.[…] Anche la più piccola speranza di mediazione è saltata. I morti tra i somali sarebbero una sessantina, come in un macabro rituale i somali li hanno portati tra le mosche e a malapena coperti di stracci […] All’interno si piangeva la morte di quattro colleghi. Nessuno oggi a Mogadiscio può cantare vittoria.[14] Il Tg3 manda Alpi in Somalia per controllare il lavoro del contingente ONU e di quello italiano. La popolazione, fomentata dai capi locali, non accetta la presenza delle truppe e Alpi informa gli italiani sul fallimento dell’operazione Ibidis e Restore Hope. Somalia, guerra civile da tre anni che ha gettato il Paese nel caos. Le cose vanno così male che l'ONU ha deciso di sospendere la missione di polizia internazionale, l'avevano chiamata ridare speranza, e di ritirare i contingenti internazionali. Gli americani se ne sono già andati, gli italiani stanno partendo in quei giorni e il paese rimarrà nell'anarchia totale.[15] <<Le sue tracce forti e delicate che>> segnano <<ogni evento, ogni frammento di immagine, ogni tentativo di dimenticare e di far dimenticare>>[16] sono accompagnate da immagini in sintonia con i testi, non vi è un prevalere dell’uno sull’altro. Ciò è frutto di un duro lavoro con l’operatore, con cui condivide, da Calvi a Hvrovatin, il modo di concepire il giornalismo, senza spettacolarizzazione della guerra. Il giornalismo di Alpi racconta la tragicità e le ingiustizie. Questi fatti spesso cozzano con gli interessi politici, ma anche questo fa parte del suo mestiere. Nel marzo 1994 Alpi segue la ritirata del contingente italiano, in seguito al fallimentare intervento. Mentre tutti i giornalisti partono per Nairobi, Alpi sceglie di rimanere a Mogadiscio, vuole vedere la reazione della popolazione dopo la


partenza degli italiani. Ha ancora tanto da raccontare, non vuole comportarsi come i contingenti militari che peggiorano la situazione nel Paese e poi se ne vanno lasciandolo ancora di più nel caos. Alpi non vuole abbandonare questa popolazione a cui è così legata, di cui vuole continuare a mostrare la forza di reagire all’ennesimo abbandono. Alpi ha sempre presentato al telespettatore non solo le disgrazie che questa gente subisce, ma anche piccoli spaccati di vita che rivelano la dignità di queste persone. Per questo motivo nei suoi servizi dà spazio anche fatti di quotidianità che, meglio di tante belle parole, descrivono la forza di un popolo; dall’escamotage trovato per passare una serata tranquilla,<<Non c’è elettricità se non quella dei generatori, abbastanza comunque per proiettare un film, spesso in italiano>>[17], agli incontri <<nei piccoli locali lungo le strade>> dove <<la gente si riunisce, beve tè e gioca a una specie di dama>>[18]. Sono racconti di vita banali, ma inaspettati in un Paese colpito dalla guerra. Alpi propone un giornalismo diverso fatto di lavoro sul campo, ascoltando le esigenze della gente, incontrando i politici e militari somali, spesso discutibili figure se non addirittura dittatori. Intervistando Ali Mahdi, ex presidente ad interim della Somalia, lo presenta come uno dei <<fautori dell’intervento italiano nel paese>>[19] e lo scopo dell’incontro è capire come mai i rapporti tra lui e l’Italia si sono rovinati. Ali Mahdi non ha problemi ha svelarsi, è offeso dall’atteggiamento di Cassini, l’ambasciatore italiano a Mogadiscio. Giuseppe Cassini infatti prende contatto anche con altre tribù somale, mentre all’inizio i rapporti erano esclusivamente con Ali Mahdi. Alpi nei suoi reportage spiega come le logiche di potere, di spartizione del potere, si ripercuotono sulla popolazione. Gente che ha perso la famiglia, il lavoro, la casa e che continua a lottare. Alpi rifiuta con forza l’idea di guerra come spettacolo e non si vuole sottoporre al processo di velocizzazione <<indotti dalla forte evoluzione tecnologica dei mezzi di trasmissione e di comunicazione>>[20], mantiene l’identità di inviato nella sua vera essenza <<fissata soprattutto dalla sua capacità di organizzare e articolare le notizie ricercate sul campo: un inviato non solo racconta un fatto, ma dà -a questo fatto- dimensione, profondità, senso, contestualizzazione>>[21]. Tutto ciò richiede un investimento di soldi e tempo, ma le redazioni investono sempre meno nelle inchieste. Alpi però crede nel giornalismo d’inchiesta, in quel giornalismo chiamato quarto potere, capace di controllare l’operato del potere politico e non vi rinuncia, mai. 1.3. I TRAFFICI IN SOMALIA.

L’Italia nel 1992-1993 vive una stagione intensa di cronache giudiziarie conosciute in cronaca con il termine di “Mani Pulite”. Il lavoro di Alpi del 1994 segue questa direzione, continuando un lavoro di ricerca di tangenti anche nel settore della cooperazione. Lavorando in Somalia per tanto tempo ha modo di conoscere persone, informatori, che le danno conferma circa fatti che già da sola riscontra. Nel periodo 1981-1990 vengono destinati dall’Italia migliaia i miliardi alla cooperazione italo somala. Il governo italiano, personificato nel premier Bettino Craxi, mantiene e incrementa il sostegno economico e politico a Siad Barre, presidente dittatore somalo. Craxi è stato processato dal pool di Mani Pulite per la questione di Tangentopoli mentre Siad Barre viene destituito e si allontana dalla Somalia. Alpi non fa altro che il suo mestiere, cerca di capire che rapporto ci fosse tra il Presidente del Consiglio italiano e il dittatore somalo, come sono stati spesi i tanti soldi destinati alla cooperazione e soprattutto chi gestisce ora questi traffici, visto che Craxi e Barre non sono più al potere. Alpi svolge un lungo lavoro d’inchiesta in cui, con tutta la sua ostinazione, non fa altro che la reporter: scava alla ricerca della verità. E continua a cercare, anche se il lavoro può essere


pericoloso e può richiedere molto tempo. Perché l’inchiesta di Alpi parla di <<un mondo nel quale l’alta finanza può andare a lambire quello del riciclaggio di denaro sporco, l’imprenditoria può sfiorare il malaffare, la politica strizza l’occhio alla mafia e i traffici illeciti prendono il nome di business>>[22]. <<L’Affaire Somalia va indagato a fondo, mettendo a disposizione professionalità, tempo e risorse>>[23], Alpi è come ossessionata da questa storia, ogni posto in cui è inviata, dalla Bosnia alla Somalia, le fornisce dei piccoli tasselli per l’inchiesta. Alpi ha in mano troppi indizi, non le resta che trovare le prove. Agli atti risulta che l’Italia ha donato cinque pescherecci e una nave frigorifero alla Somalia per un progetto di pesca oceanica. Nonostante la convenzione di Lomè del 1975, che stabilisce una cooperazione con l’Africa, la gestione della flotta Shifco è, già da prima della guerra civile, in mano ad un proprietario somalo con passaporto italiano, l’ingegner Omar Said Mugne. A che titolo un privato si impossessa e gestisce dei beni di uno Stato? Inoltre scopre che queste navi, che dovrebbero far da spola tra la Somalia e Gaeta, dal marzo 1992 girano facendo tappe a Gibuti, Zanzibar, Beirut, Abadan, Porsait, Sued (forse Tripoli) e di nuovo Beirut. Perché? Le navi Shifco, nome della società dei pescherecci, si occupano davvero di pesca oceanica? Questi sono tutti interrogativi che Alpi si pone e a cui, in qualità di reporter, si sente in dovere di trovare risposte. Quello che è certo è che alla Somalia, colpita dalla guerra civile e dall’instabilità politica, manca <<un’autorità statale in grado di fornire per la flotta Schifco le garanzie richieste>>[24]. In uno dei suoi taccuini si legge un annotazione: <<Che fine hanno fatto i 1400 miliardi della cooperazione italiana in Somalia>>[25]. È un lavoro d’inchiesta in piena regola, ma nelle redazioni giornalistiche, in particolare televisive c’è poco spazio per le inchieste, perché non ci sono soldi né tempo. Lei però vuole prima capire, poi raccontare, lo dice spesso. Per capire però ci vuole tempo e la televisione non ne ha. L’unica soluzione è quella di continuare a lavorare a questo caso in contemporanea con altre inchieste. Ha così la possibilità di andare in Somalia, raccontare la guerra civile, l’operato dell’ONU, la partenza del contingente italiano, ma allo stesso tempo anche di raccogliere interviste, dichiarazioni, prove. Alpi lavorando in Somalia si è accorta che solo superflue parti dei fondi della cooperazione sono stati destinati all’istruzione o alla sanità, come è naturale che vengano investiti dei soldi in zone di guerra. Al contrario scopre che in un paese dilaniato dalla guerra civile, ingenti somme di denaro sono invece state spese per strutture inutili, come la Garoe-Bosaso, una strada che attraversa un zona desertica sottopopolata e che collega due città della Somalia, <<una terra di nessuno, dove il confine tra legalità e illegalità diventa labile>>[26]. E’ il 12 marzo 1994 quando Alpi e Hvrovatin arrivano a Mogadiscio, ad aspettarli all’aeroporto c’è Giancarlo Marocchino, un imprenditore italiano che vive da anni in Somalia. Marocchino è <<un punto di riferimento per imprenditori, giornalisti e per lo stesso contingente italiano>>[27], vive nel lusso in mezzo alla guerra civile e ha una specie di esercito personale. Alpi, come ogni volta che arriva in Somalia, rifiuta l’ospitalità e la sicurezza offerta da Marocchino, consapevole del fatto che la permanenza da lui significa un controllo assoluto in ogni movimento. Optano invece per un soggiorno all’hotel Sahafi, un posto sicuramente meno sicuro ma più libero. Alpi è a Mogadiscio per seguire la partenza del contingente italiano, ma anche per cercare informazioni sui fatti di malacooperazione degli sperperi, collegati alla flotta Shifco. Per cercare queste informazioni va a Bosaso dove raccoglie testimonianze sconcertanti di medici e infermieri che le parlano di malattie causate da sostanze radioattive, marinai che hanno trovato dei fusti e poi


sono morti, nessuno però ha il coraggio di renderle pubbliche davanti la telecamera. Ogni fatto conferma ciò che Ilaria ha sempre saputo. Non si fa fermare dall’omertà e continua le sue ricerche. La società Shifco <<senza dubbio ha suscitato la curiosità professionale di Alpi ( lo provano i suoi taccuini). Non solo, è stata una delle ultime cose su cui ha indagato>>[28], inoltre Alpi il 15 marzo si reca con Hvrovatin, proprio negli stessi giorni del sequestro di un peschereccio della Shifco, la nave Farah Omar. Il sequestro è compiuto dai miliziani dei sultano e in cambio di riscatto. Nell’ultimo servizio Alpi rivela che la Farah Omar, apparentemente un inerme peschereccio, molto probabilmente trasporta armi di contrabbando per la fazione del Fronte di salvezza democratica, Ssdf, di Bosaso. Alpi e Hvrovatin dal 16 al 20 marzo si trovano a Bosaso, l’agenda di questi giorni è ricca di incontri, prova del fatto che la deviazione per Bosaso non è stata casuale. <<Intervistano il Sultano di Bosaso, Moussa Bogor, e salgono sulla nave della Shifco in rada (dove fanno riprese e raccolgono testimonianza di alcuni marinai)>>[29], incontrano il direttore del porto di Bosaso, il capo dei servizi sanitari, Dardo Scilovich il rappresentante di Unosom in città e un esponente della ong italiana Africa 70. Nell’intervista al sultano Alpi chiede dove si trova la Farah Omar, gli domanda se può vederla, parlano delle armi provenienti dall’Italia, dei rapporti con l’ingegner Mugne. L’intervista è strana, il sultano chiede più volte a Hvrovatin di spegnere la telecamera, i temi che affrontano sono delicati. Inoltre l’intervista subisce numerosi tagli dopo la morte dei due giornalisti, la sua durata reale è di circa tre ore, dopo la manomissione un terzo delle registrazioni sono andate perse. Al ritorno percorrono la famigerata strada Garoe-Bosaso, infatti <<tra il materiale girato da Hvrovatin in quei giorni c’è anche un lungo filmato della strada che unisce Bosaso a Garoe, una strada costruita dalla Cogefar Impresit di Milano, la stessa ditta che aveva ristrutturato il porto di Bosaso>>. Questa strada inutile nel deserto per Alpi è il luogo depositario dei rifiuti tossici portati dall’occidente via cielo e via mare, attraverso i pescherecci. Sotterrati in cambio di finanziamenti, armi e munizioni ai leader locali. Alpi il 20 marzo appena rientrata a Mogadiscio chiama la redazione del Tg3 affermando di avere, per l’edizione delle 19.00, <<cose grosse, ho un ottimo servizio>>[30]. Poche ore dopo la telefonata, Alpi e Hvrovatin sono uccisi da un commando armato di sette somali. Non è questa la sede per andare alla ricerca dei colpevoli, anche perché le prove con il passare degli anni sono stata sotterrate assieme alla verità. Una morte senza colpevoli e senza verità, un amaro destino per chi come Ilaria amava la verità e di essa aveva fatto la ragione principale del proprio lavoro e della propria vita. Alpi non ha avuto modo di terminare la sua inchiesta sulla mala cooperazione degli sperperi, qualcuno non glielo ha permesso. Il fatto che non sia concluso non è un buon motivo per dimenticare il grande lavoro che questa reporter ha compiuto. Alpi ha subito l’estrema conseguenza di un mestiere sempre più difficile, ma non è stata di certo la morte a renderla una brava reporter. Il suo lavoro, la passione e la forza che ha dato al giornalismo, ai posti in cui si trovava come inviata. Questo l’ha resa una brava reporter di guerra in prima linea.


[1] http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c946abce-ba5a-4b09b1ab4256fcfa718c.html [2] A cura di L. Pisano, cit., p. 57. [3] http://www.ilariaalpi.it/index.php?id_sezione=3&id_notizia=80. [4] B. Carazzolo, A. Chiara, L. Scalettari, Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici, Milano, Baldini & Castoldi, 2002, p. 91. [5] [5] http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c946abce-ba5a-4b09b1ab4256fcfa718c.html [6] D. Biacchessi, Passione reporter, cit., p.15. [7] http://www.youtube.com/watch?v=pygw_Ct3RoA [8] ibidem [9] http://www.ilariaalpi.it/index.php?id_sezione=3&id_notizia=80 [10] M. Candito, cit., p. 19. [11] B. Carazzolo, cit., p. 92. [12] http://www.youtube.com/watch?v=pygw_Ct3RoA [13] ibidem [14] ibidem [15]

ibidem

[16] B. Carazzolo, cit., p. 9. [17] http://www.youtube.com/watch?v=pygw_Ct3RoA [18] idibem [19] ibidem [20] M.Candito, cit., p. 27. [21] ibidem [22] B. Carazzolo, cit., p. 29. [23] ivi, p.13. [24] Ivi, p.80.


[25] M. Rizzo, F. Ripoli, Ilaria Alpi, il prezzo della veritĂ , Ponte di Piave, BeccoGiallo, 2007, p. 71. [26] B. Carazzolo, cit., p. 28. [27] Ivi, p. 32. [28] Ivi, cit., p.73. [29] Ivi, cit., p.116 [30] Ivi, cit., p.138.


Tutto Craxi per chi ha perso la memoria TUTTO CRAXI Via Bettino Craxi, 1934-2000, politico, corrotto e latitante Fonte:IdvStaff

Roma, 29 dic Il sindaco di Milano Letizia Moratti vuole intitolare una via o un giardino all interno di un parco di Milano a Bettino Craxi, a dieci anni dalla sua morte. E quanto riferiscono oggi alcuni quotidiani, secondo i quali la scelta della Moratti dovrebbe avvenire subito prima o dopo il 19 gennaio, quando il leader socialista verra ricordato con una cerimonia al Senato. Sui quotidiani di oggi ci sono degli articoli a dir poco interessanti: la menzogna viene spacciata per verità. Mettono in evidenza che si deve celebrare il decennale di Bettino Craxi: un omaggio di Berlusconi. Dopo tutto, chi altri poteva omaggiare un latitante, pluricondannato e corrotto che, commettendo innumerevoli reati, ha rovinato sia la credibilità del Paese che quella delle Istituzioni, se non proprio lui, Silvio Berlusconi? Tra simili si ritrovano. Ebbene, l Italia dei Valori lo dice forte e chiaro: abbiamo pietà per i morti, ma nessuna pietà per chi mente. Craxi non era una persona in esilio, era un latitante. Nessuno lo ha cacciato. E lui che è fuggito per non rispondere delle sue azioni davanti alla giustizia. E scappato via perché è stato condannato con sentenza penale passata in giudicato. Era accusato di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, cosa di cui i giornali non fanno alcuna menzione per poterlo spacciare come grande statista . Ma quale statista!? Quello che con la DC della Prima Repubblica ha indebitato oltremodo le casse dello Stato? Quello che ha dato la possibilità ad una classe imprenditoriale di crescere non in ragione delle proprie capacità imprenditoriali ma delle mazzette che pagava? Ritengo che questo fine d anno volga al termine nella maniera peggiore: un anno in cui il fratellastro di Craxi è stato al governo con il solo fine di produrre leggi per non farsi processare. Un anno che viene sublimato, come dice il sindaco di Milano, dedicando una strada o una piazza al ricordo di Bettino Craxi.


E allora facciamola questa piazza: Piazza Bettino Craxi. Sotto il nome, però, come in tutte le targhe, scriviamoci anche quel che era: politico, corrotto, latitante .

Craxi, Letizia Moratti e l insulto agli elettori di P.Gomez Fonte:www.voglioscendere.ilcannocchiale.it La decisione del sindaco di Milano, Letizia Moratti, di intitolare una via o un parco pubblico a Bettino Craxi è destinata a segnare un epoca. Potremmo spendere centinaia di parole per ricostruire, con carte e testimonianze alla mano, i molti crimini contro la cosa pubblica commessi dall ex segretario del Psi, morto latitante in Tunisia. O potremmo ricordare un suo celebre intervento in Parlamento in cui, nel luglio del 1993, lui stesso ammetteva che durante gli Settanta, Ottanta e Novanta si era diffusa nel paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni una rete di corruttele grandi e piccole , dimenticandosi però di aggiungere come né lui, né gli altri leader politici (spesso a pieno titolo complici del sistema), avessero fatto nulla per cercare d invertire la rotta. Ma il punto oggi è un altro. Al di là del contenuto delle sentenze, a Milano, come nel resto d Italia, una parte rilevante dei cittadini (probabilmente la maggioranza) ritiene Craxi un politico corrotto. E questa pessima reputazione è diffusa anche tra chi considera l ex segretario del garofano uno dei pochi parlamentari italiani di quegli anni dotati di respiro e leadership internazionale. Per questo la scelta di Letizia Moratti segna un epoca. Dimostra infatti che le nostre classi dirigenti sono sempre più scollegate dal Paese. E che, anche quando sono al governo, non hanno nessuna intenzione di prendere decisioni condivise, ma preferiscono adottare provvedimenti che dividono, invece che unire. Il fatto poi che una presa di posizione del genere arrivi dal sindaco di una città in cui ancora tutti ricordano come, durante gli anni della Milano da bere, le casse del comune fossero vuote perché ogni appalto pubblico (vedi, ad esempio, la costruzione della metropolitana, in cui il pentapartito si spartiva le mazzette con il Pci) costava il doppio del normale a causa del sovrapprezzo delle tangenti, non può che spaventare. In Italia, spiega la Banca Mondiale, la corruzione costa ai cittadini circa 50 miliardi di euro l anno. Una parte importante del denaro dei contribuenti se ne va per foraggiare cacicchi, pseudo imprenditori, burocrazie e amministrazioni (corrotte) di destra e di sinistra. Erigere monumenti, o intitolare vie, a chi è diventato simbolo di questo modo di governare (male), non è insomma solo un insulto all etica o alla morale. Ma all intelligenza (e alle tasche) degli elettori. NOSTRO COMMENTO: Come si fà a intitolare una via della città a Bettino Craxi condannato con sentenza passata in giudicato per corruzione e finanziamento illecito ai partiti e scappato via dall Italia per sfuggire alla giustizia? Mah! Rimaniamo allibiti!

ANCORA SU BETTINO CRAXI 20 ottobre 2009

25° Anniversario Decreto Salva Fininvest

Caro Bettino


Fonte:IDVstaff

Articolo di Marco Travaglio pubblicato su

il Fatto Quotidiano

di oggi a pagina 6.

Ogni commento è superfluo, buona lettura. Al momento della morte, nel gennaio del 2000, Bettino Craxi era stato condannato in via definitiva a 10 anni per corruzione e finanziamento illecito (5 anni e 6 mesi per le tangenti Eni-Sai; 4 anni e 6 mesi per quelle della Metropolitana milanese). Altri processi furono estinti

per morte del reo : quelli in cui aveva collezionato

tre condanne in appello a 3 anni per la maxitangente Enimont (finanziamento illecito), a 5 anni e 5 mesi per le tangenti Enel (corruzione), a 5 anni e 9 mesi per il conto Protezione (bancarotta fraudolenta Banco Ambrosiano); una condanna in primo grado prescritta in appello per All Iberian; tre rinvii a giudizio per la mega-evasione fiscale sulle tangenti, per le mazzette della Milano-Serravalle e della cooperazione col Terzo Mondo. Nella caccia al tesoro, anzi ai tesori di Craxi sparsi per il mondo tra Svizzera, Liechtenstein, Caraibi ed Estremo Oriente, il pool Mani Pulite ha accertato introiti per almeno 150 miliardi di lire, movimentati e gestiti da vari prestanome: Giallombardo, Tradati, Raggio, Vallado, Larini e il duo Gianfranco Troielli & Agostino Ruju (protagonisti di un tourbillon di conti e operazioni fra HongKong e Bahamas, tuttora avvolti nel mistero per le mancate risposte alle rogatorie).

Finanziamenti per il Psi? No, Craxi rubava soprattutto per sé e i suoi cari. Principalmente su quattro conti personali: quello intestato alla società panamense Constellation Financière presso la banca Sbs di Lugano; il Northern Holding 7105 presso la Claridien Bank di Ginevra; quello intestato a un altra panamense, la International Gold Coast, presso l American Express di Ginevra; e quello aperto a Lugano a nome della fondazione Arano di Vaduz. Craxi si legge nella sentenza All Iberian confermata in Cassazione è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata


separatamente dall imputato tramite suoi fiduciari Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti . Su Constellation Financiere e Northern Holding conti gestiti dal suo compagno di scuola Giorgio Tradati riceve nel 199192 la maxitangente da 21 miliardi versata da Berlusconi dopo la legge Mammì. Sul Northern Holding incassa almeno 35 miliardi da aziende pubbliche, come Ansaldo e Italimpianti, e private, come Calcestruzzi e Techint. Nel 1998 la Cassazione dispone il sequestro conservativo dei beni di Craxi per 54 miliardi. Ma nel frattempo sono spariti. Secondo i laudatores, Craxi fu condannato in base al teorema

non poteva non sapere . Ma nessuna condanna definitiva cita mai

quell espressione. Anzi la Corte d appello di Milano scrive nella sentenza All Iberian poi divenuta definitiva:

Non ha alcun fondamento la linea difensiva

incentrata sul presunto addebito a Craxi di responsabilità di

posizione

per fatti

da altri commessi, risultando dalle dichiarazioni di Tradati che egli si informava sempre dettagliatamente dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi compiuti . Tutto era cominciato

nei primi anni 80

racconta Tradati a Di Pietro

quando

Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense (Constellation Financière, ndr). Funzionava cosí: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto . Su cui cominciano ad arrivare somme consistenti : nel 1986 ammontano già a 15 miliardi. Poi il deposito si sdoppia e nasce il conto International Gold Coast, affiancato dal conto

di

transito

Northern

Holding,

messo

a

disposizione

dal

funzionario

dell American Express, Hugo Cimenti, per rendere meno identificabili i versamenti. Anche lí confluiscono ben presto 15 miliardi. Come distinguere i versamenti per Cimenti da quelli per Tradati, cioè per Craxi? Per i nostri

risponde Tradati

grano . Poi esplode Tangentopoli.

si usava il riferimento Il 10 febbraio

Grain . Che vuol dire

93 Bettino mi chiese di far

sparire il denaro da quei conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani pulite. Ma io rifiutai e fu incaricato qualcun altro (Raggio, ndr): so che hanno comperato anche 15 chili di lingotti d oro parte 2 miliardi per pagare gli stipendi .

I soldi non finirono al partito, a


Raggio va in Svizzera, spazzola il bottino di Bettino e fugge in Messico con 40 miliardi e la contessa Vacca Agusta. I soldi finiscono su depositi cifrati alle Bahamas, alle Cayman e a Panama. Che uso faceva Craxi dei fondi esteri?

Craxi

riepilogano i giudici

dispose

prelievi sia a fini di investimento immobiliare (l acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tv (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire. Lo stesso Craxi, poi, dispose l acquisto di una casa e di un albergo [l Ivanohe] a Roma, intestati alla Pieroni . Alla quale faceva pure pagare

la servitú, l autista e la segretaria .

Alla tv della Pieroni arrivarono poi 1 miliardo da Giallombardo e 3 da Raggio. Craxi lo diceva sempre, a Tradati: Tradati eseguiva:

Diversificare gli investimenti .

Due operazioni immobiliari a Milano, una a Madonna di Campiglio,

una a La Thuile . Bettino regalò una villa e un prestito di 500 milioni per il fratello Antonio (seguace del guru Sai Baba). E il Psi, finito in bolletta per esaurimento dei canali di finanziamento occulto? Raggio ha manifestato stupore per il fatto che, dopo la sua cessazione dalla carica di segretario del Psi, Craxi si sia astenuto dal consegnare al suo successore i fondi contenuti nei conti esteri . Anche Raggio vuota il sacco e confessa di avere speso 15 miliardi del tesoro craxiano per le spese della sua sontuosa latitanza in Messico. E il resto? Lo restituì a Bettino, oltre ad acquistargli un aereo privato Sitation da 1,5 milioni di dollari e a disporre

scrivono i giudici

bonifici specificatamente

ordinati da Craxi, tutti in favore di banche elvetiche, tranne che per i seguenti accrediti: 100.000 dollari al finanziere arabo Zuhair AlKatheeb lire(«$ 40.000/s. Fr. 50.000 Bank of Kuwait Lnd») per

un abitazione affittata dal

figlio di Craxi (Bobo, ndr) in Costa Azzurra , a Saint-Tropez, spiega Raggio

e 80 milioni di

per sottrarlo

al clima poco favorevole creatosi a Milano .

Anche Bobo, a suo modo, esule. Quando i difensori di Craxi ricorrono davanti alla Corte europea dei diritti dell uomo, nella speranza di ribaltare la condanna Mm, vengono respinti con perdite. Non è possibile

scrivono i giudici di Strasburgo il 31 ottobre 2001

pensare che

i rappresentanti della Procura abbiano abusato dei loro poteri . Anzi, l iter dibattimentale

seguí i canoni del giusto processo

e le proteste dell imputato


sulla parzialità dei giudici

non si fondano su nessun elemento concreto

Va

ricordato che il ricorrente è stato condannato per corruzione e non per le sue idee politiche . NOSTRO COMMENTO: Sono d accordo con Di Pietro: tranquillamente dire:

OGNI COMMENTO E

SUPERFLUO

Possimao

abbiamo toccato il fondo!

GUARDATE ANCHE

BETTINO NOSTRO CHE SEI NEI CIELI (5 Gennaio 2009): di Marco Travaglio DAL BLOG DI BEPPE GRILLO, SI RIPORTA:

Buongiorno a tutti. Chi di noi ha avuto la sfortuna di essere sintonizzato su Canale 5 ieri a mezza sera, avrà notato uno spettacolino degno della Korea di Kim Il Sung, una specie di monumento equestre in versione televisiva a Bettino Craxi, nel nono anniversario della sua scomparsa. Un filmino messo insieme da alcuni suoi ex famigli e ovviamente trasmesso in pompa magna, è il caso di dirlo, da Mediaset. E chiara la devozione di Mediaset al suo santo protettore: senza Craxi, Berlusconi non sarebbe dov è, Mediaset non sarebbe lì visto che è sopravvissuta alle varie violazioni di legge che prima Fininvest e poi Mediaset hanno perpetrato in barba alle normative nazionali, europee, alla Corte Costituzionale, eccetera. Grazie al padrinaggio di Craxi e poi al padrinaggio dello stesso Berlusconi che poi è andato in politica a sostituirlo. Si comprende la ragione per cui Mediaset e Fininvest e il mondo Berlusconiano sono così affezionati allo scomparso leader pregiudicato e latitante. La cosa interessante è che probabilmente nemmeno Mediaset si era mai ridotta così male, si era mai abbassata e umiliata a tal punto, nella sua campagna revisionista e negazionista di quello che è avvenuto nella storia italiana negli ultimi quindicivent anni. Si provava imbarazzo persino per Mediaset, ieri sera, nel vedere scorrere quella specie di vita dei Santi, quella specie di agiografia di Santa Maria Goretti con gli occhiali e il garofano. Purtroppo, molti di quelli che hanno visto quella cosa, spero pochi grazie alle vacanze, erano persone che hanno dimenticato, altri sono persone che non hanno mai saputo, altri sono persone che non c erano perché sono giovani e quindi non hanno gli strumenti per verificare. Forse è il caso di mettere qualche puntino sugli i per evitare gli effetti collaterali di queste vere e proprie armi di distruzione di massa intellettuale e cerebrale e della memoria collettiva, onde evitare che poi queste radiazioni si propaghino per anni. Meglio fermarle, meglio immunizzarsi. Intanto era chiaro a tutti che se fosse vero quello che è stato raccontato non si capirebbe per quale motivo questo signore è dovuto scappare dall Italia in fretta e


furia, per sfuggire a varie sentenze di condanna e a un destino di galera, visto che Craxi era stato condannato a dieci anni di galera. Voi sapete com è difficile in Italia riuscire a condannare un potente, non dico a dieci anni ma a dieci minuti di galera. Lui era riuscito a totalizzare dieci anni e, se non fosse morto prematuramente, ne avrebbe totalizzati altri perché c erano tanti altri processi per tangenti che avevano già superato la prima fase e probabilmente Craxi se la sarebbe cavata con una ventina d anni di galera, visto quel poco che si era scoperto rispetto a quello che aveva fatto. Soprattutto, non si capirebbe per quale motivo questo statista di fama mondiale, nei periodi di massimo fulgore, riuscisse a ottenere il 14 e qualcosa percento dei voti. All epoca si votava col proporzionale. Il miglior Craxi ha ottenuto meno voti del peggior Fini, perché voi vi rendiate conto di quanto poco gli italiani si fossero accorti di questo tesoro che avevano in casa, incompreso. Il tesoro di Craxi In compenso il tesoro ce l aveva Craxi che in Svizzera era tenutario di due conti, il conto Constellation finanzier e il conto Northen Holding, che gli gestiva un suo compagno di scuola, Giorgio Tradati, fiduciariamente un prestanome sui quali accumulava i soldi delle tangenti che le più grandi imprese italiane gli pagavano. Dalla Fiat, all Olivetti, alla Fininvest, il gruppo Ligresti, il gruppo Torno vari grandi costruttori, piccoli e medi. Soldi suoi, non soldi del partito. Poi c erano anche le tangenti per il partito che venivano gestite su altri conti, sempre in Svizzera, da un altro gestore che era il tesoriere del partito, l On. Vincenzo Balzamo. Sui soldi personali di Craxi andò poi a spazzolare tutto un barista di Portofino che Craxi designò al posto di Tradati, quando nel 1993 temeva che Di Pietro e il pool di Milano gli sequestrassero la roba sua. Cioè era roba nostra però se ne era appropriato lui. Raggio fu mandato in Svizzera: era il fidanzato della contessa Vacca Agusta , una vecchia amica di Craxi che abitava a Portofino, spazzolò i conti, portò via cinquanta miliardi di lire che Craxi teneva in quel momento e scappò in Messico, dove rimase latitante per un paio d anni. Una volta preso confessò e fece la lista della spesa, dimostrando che Craxi quei soldi non li usava per il partito ma per se, e infatti i giudici poi hanno ricostruito questa lista della spesa. Una lista che fa un po spavento se uno pensa alla fama che hanno costruito intorno a questo presunto statista, che in realtà era un comune ladro, se ladro ha ancora il senso che gli abbiamo dato nei vocabolari: persona che si appropria di denaro altrui. Si era comprato appartamenti a Barcellona, New York, La Tuille, Milano, Madonna di Campiglio. Si era comprato un aereo privato del valore di un milione e mezzo di dollari, aveva regalato alla sua amica la possiamo chiamare così Ania Pieroni una televisione. Non un televisore, proprio una stazione televisiva, Roma CineTV, che pagava a botte di cento milioni al mese. Non bastando, le pagava anche la servitù, l autista, la colf e le acquistò sempre a questa ragazza dalle doti spettacolari un hotel, l hotel Ivanhoe, a Roma e un appartamento. Poi, naturalmente, c erano gli affetti familiari: il fratello Antonio era un signore, dev essere anche simpatico, che si era invaghito del guru Sai Baba, quindi pascolava per le indie al seguito del Sai Baba. Era piuttosto squattrinato e una Craxi, coi soldi nostri, gli comprò una villa e un altra volta gli prestò 500 milioni di lire che non rivide mai più, tanto non erano suoi. C era la cognata che si occupava di queste vicende, mi pare che si chiami Silvy.


Poi c era il figlio Bobo, che a Milano in quel periodo sentiva un aria poco favorevole, e gli affittò un bel villino a Saint Tropez perché andasse anche lui esule a svernare lontano da occhi indiscreti e malevoli. Queste ed altre sono le destinazioni di quei soldi, ma ieri sera la parola tangenti non è mai risuonata in tutta l ora del cosiddetto documentario perché si parlava d altro. Craxi, lo Statista che fece la Storia. Voi avete visto, a Craxi sono stati attribuiti tutti i grandi avvenimenti dell ultimo secolo, mancava soltanto, per motivi anagrafici, che gli attribuissero anche la vittoria nella prima Guerra Mondiale alla battaglia di Vittorio Veneto o alla guerra di Crimea ai tempi del Risorgimento, o un ruolo decisivo nel Congresso di Vienna. Ma solo perché non era nato, altrimenti l avremmo visto spuntare anche al Congresso di Vienna con un bel parrucchino. In compenso gli hanno attribuito la caduta di Pinochet, il ritorno della democrazia in Cile; la Primavera di Praga; la battaglia dell Occidente contro i missili dell Unione Sovietica. Se l Unione Sovietica ha dovuto disarmare e poi è tracollata è stato merito di Craxi. Gli hanno attribuito meriti clamorosi nella vittoria di Solidarnosc in Polonia, gli hanno attribuito addirittura la paternità di Blair. Blair sarebbe un figlioccio di Craxi: Blair non lo sa ma è un figlioccio di Craxi. Gli hanno attribuito la caduta del Muro di Berlino, trionfi in tutto il mondo e su tutto l Orbe Terracqueo. Addirittura, a un certo punto, si è sentito che Craxi sarebbe il padre dell Europa. Noi credevamo che fossero De Gasperi, Shuman e Adenauer: no, l Europa che ci piace come la conosciamo ora nasce a Milano negli anni Ottanta, per merito di Craxi. Questo abbiamo sentito dire ieri sera: Craxi che lotta contro i militari sudamericani, Craxi anticomunista perché l Italia, se non lo sapevate, è stata governata per cinquant anni dai comunisti, tranne il periodo in cui c è stato Craxi. Questa è la versione che ci hanno dato, e quando si faceva accenno alla Democrazia Cristiana era per dire che questa stava con i comunisti. In realtà non c è mai stato nessun governo con ministri comunisti, mentre dagli anni Sessanta al Novantadue tutti i governi, salvo rare eccezioni, hanno avuto ministri democristiani e socialisti. Si sono dimenticati di dire che questo portentoso anticomunista di Craxi governava a Roma con i democristiani e nelle giunte locali con i comunisti. Lui governava sempre, l alleato cambiava a seconda di chi era a disposizione. A Milano, per esempio, le giunte rosse erano capitanate da suo cognato Pillitteri. Ma anche di questo familismo amorale di Craxi, che aveva sistemato il cognato a sindaco di Milano, il figlio al vertice del Partito Socialista milanese, una corte di nani e ballerine non si è minimamente sentito raccontare. E stato elogiato Craxi perché si opponeva alla linea della fermezza, cioè voleva trattare con le Brigate Rosse, e questo elogio arriva dagli stessi che oggi ci dicono che bisogna avere una linea della fermezza contro il terrorismo, quello degli altri: quando il terrorismo ci tocca allora bisogna trattare. Questa è la loro posizione. Ci hanno raccontato che Pertini era un grande amico di Craxi, proprio un suo sponsor, mentre sappiamo benissimo che Pertini non sopportava Craxi e faceva delle sfuriate incredibili, anche pubbliche, nei confronti di questo ducetto che si comportava come se l Italia fosse diventata una Repubblica presidenziale o, anzi, come una Repubblica dove comanda il premier. Ci hanno fatto vedere che Craxi fu il primo a toccare il tabù della intoccabilità della Costituzione, come se fosse un bene predicare contro la Costituzione del proprio Paese una cosa che si può fare soltanto in Italia, quello di sputare sulla


propria Costituzione e di vantarsene come se fosse un merito. Fu il primo a denunciare la politicizzazione della magistratura: non hanno precisato che Craxi si accorse della politicizzazione della magistratura quando i magistrati cominciarono ad arrestare i socialisti che rubavano. Quando presero i socialisti della giunta di Torino, giunta rossa, che rubavano. Giunta capitanata da un galantuomo, come Diego Novelli, ma dentro c erano anche delle persone che si sono scoperte essere permale e che infatti Novelli immediatamente segnalò, grazie alla denuncia di un imprenditore alla Procura della Repubblica. Quando i magistrati andarono a prendere un altro boss socialista, Teardo, in Liguria, quando furono scoperti scandali che riguardavano ruberie socialiste in tutti gli anni Ottanta; quando Beppe Grillo fu cacciato dalla Rai per avere cominciato a dire quello che la vox populi sapeva e diceva sottovoce da tempo, cioè che i socialisti erano diventati dei gran bei forchettoni. Craxi, quando cominciarono a prendere i ladri di casa sua, sentendo ovviamente avvicinare le sirene a se stesso, tuonò contro la politicizzazione della magistratura e questo viene addotto come un suo merito, mentre in realtà è l inizio di una deriva devastante del potere politico che attacca il potere giudiziario quando questo ci vede molto bene e le rare volte che faceva il suo dovere, negli anni Ottanta. Craxi aveva magistrati amici suoi: consulente a Palazzo Chigi, quando Craxi fu presidente del Consiglio tra l 83 e l 87, c era il giudice Squillante che poi si è scoperto prendere soldi in Svizzera dagli avvocati dei suoi imputati, a cominciare da Previti. Squillante era il consigliere giuridico di Craxi, era una specie di attaché del Partito Socialista nella magistratura romana dove era il vice capo dell ufficio istruzione e, con il nuovo codice, il capo dell ufficio GIP. Era quello che decideva chi si arresta e chi no, chi si rinvia a giudizio e chi no, e infatti non rinviava a giudizio e non arrestava mai nessun socialista, nemmeno sotto tortura, era contro i suoi princìpi. Ma questo, naturalmente, non era un giudice politicizzato perché era un giudice che, ad honorem, aveva la tessera del PSI, anzi la tessera col faccione di Bettino Craxi. Berlinguer tirò fuori la questione morale e infatti, nel documentario, viene dipinto come un losco figuro, uno che parla di questione morale in casa socialista è come uno che parla di corda in casa dell impiccato, o meglio uno che parla di manette in casa del ladro. Ci viene raccontato che quando Berlinguer manifestava contro gli euromissili era pagato per fare quelle manifestazioni dall Unione Sovietica. Craxi, i terroristi e Saddam Hussein. Ci viene raccontato l episodio di Sigonella, che ancora purtroppo, secondo molti, è considerato uno degli aspetti migliori della carriera politica di Craxi perché nessuno si ricorda più come andarono le cose. Un commando di terroristi dell OLP, capitanati da Abu Abbas, aveva sequestrato una nave da crociera dell Achille Lauro in acque italiane, nel mediterraneo. Il governo italiano, presidente del Consiglio Craxi, ministro degli esteri Andreotti, ministro della difesa Spadolini, trattarono con il presidente egiziano Mubarak perché si arrivasse ad una soluzione incruenta e promisero a lui, e quindi ai palestinesi che erano in collegamento diretto con Arafat che come al solito faceva il doppio gioco, che se se si fossero consegnati non sarebbero stati affidati agli americani ma sarebbero stati giudicati dalla giustizia italiana. Questo ufficialmente venne detto, cosa fu pattuito segretamente lo possiamo immaginare da quello che successe dopo. Quando i terroristi, una volta consegnati, arrivarono su un aereo militare nella base americana di Sigonella, successe che gli americani tentarono di farseli consegnare per portarli in America e processarli.


Li volevano processare perché, contrariamente a quello che si erano impegnati a fare, cioè una fine incruenta del sequestro, si era scoperto che questi tagliagole dell OLP, di Abu Abbas e dei suoi uomini, avevano assassinato un ebreo paralitico anziano americano, che era in crociera in carrozzella, Leo Klinghofer, e avevano lanciato il cadavere nel mare. C era la chiglia dell Achille Lauro sporca del suo sangue. Questi assassini gli americani li volevano processare nel loro Paese: giustamente, l Italia disse: il delitto è avvenuto in Italia, li processiamo noi . Certo, ma si sarebbe dovuto prendere questi terroristi e affidarli alla giustizia italiana. Invece, si presero i pesci piccoli cioè i membri del commando, ma il capo della banda, l ideatore del sequestro, Abu Abbas, fu caricato su un aereo dei servizi segreti, spedito in Iugoslavia e di lì mandato in Irak, dove c era Saddam Hussein pronto ad accoglierlo a braccia aperte. Il governo Craxi ha preso il capo di una banda di terroristi che hanno sequestrato una nave e hanno assassinato un ebreo paralitico anziano in carrozzella a sangue freddo e lo ha gentilmente consegnato a Saddam Hussein, per evitare che venisse processato in base a un delitto commesso in Italia. Tant è che Abu Abbas fu condannato in contumacia all ergastolo, ma non scontò mai la pena ed è morto due o tre anni fa a Baghdad durante le operazioni di guerra, peraltro per ragioni naturali. Questo è il caso Sigonella: non è vero che Craxi difese a spada tratta la sovranità italiana, Craxi sottrasse il capo di una banda di assassini terroristi alla giustizia italiana per farlo scappare in Irak, dove in quel periodo c erano le armi di distruzione di massa perché Saddam Hussein si stava occupando di gassare curdi e altre minoranze. Ieri questo non ci è stato raccontato, ci è stato raccontato che fu un capolavoro diplomatico e che anzi furono tutti contenti, che la cosa finì a tarallucci e vino tra applausi generali. L On. Gerry Scotti e boom del debito pubblico. Per fortuna c erano gli spot, in questo vergognoso documentario, e si vedeva Gerry Scotti che annunciava qualche programma da lui presentato. Nessuno ha raccontato che l uomo che si vedeva negli spot, Gerry Scotti, fu candidato al Parlamento da Craxi e fu eletto deputato. Pensate, abbiamo avuto Gerry Scotti deputato, nessuno se lo ricorda. E stato uno delle più grosse conquiste ottenute da Craxi a livello politico, insieme a candidature be più terrificanti, visto che in Parlamento c erano nani ballerine e diversi furfanti. A Craxi è stata attribuita anche la crescita delle piccole e medie imprese: faceva tutto lui, era una cosa fenomenale. Nessuno ha ricordato che per la sua politica economica che è stata elogiata per tutto il documentario come se fosse un grande economista, uno che ha salvato l economia italiana nei quattro anni in cui fu al governo il debito pubblico passò da quattrocentomila miliardi a un milione di miliardi. Cioè, è più che raddoppiato. Il rapporto tra il debito e il Pil, fondamentale per rientrare nei parametri europei di Maastricht, passò dal 70 al 90%. In quattro anni un debito pubblico che era ancora abbastanza accettabile esplose e ci portò completamente fuori. Questo è il salvatore dell economia italiana, lo stiamo pagando ancora adesso. Quando voi sentite dire che abbiamo settanta miliardi di euro di interessi sul debito e viene sempre attribuito a misteriose eredità del passato, bene il grosso dell eredità si chiama Craxi. Naturalmente, nessuno ha fatto vedere i suoi rapporti affettuosi con Licio Gelli, con Squillante, con personaggi addirittura della mala milanese.


Ci è stato detto, invece, che lui ha abbattuto l inflazione a due cifre, ci ha trasformati in una quinta potenza mondiale, sempre naturalmente contro i comunisti che lavoravano nell ombra perché erano i padroni dell Italia, figuratevi. La latitanza di Craxi. Ci è stato detto che nel 1992 il pentapartito era in grande salute, ha ottenuto un bel cinquantadue percento dei voti e poi non si capisce cosa sia successo perché il narratore smette di parlare e si cominciano a vedere gazzelle della guardia di finanza, i magistrati di Mani Pulite, facce, circostanze e titoli di giornale. Ma non c è nessuno che descrive quello che è successo: è ovvio, perché se avessero dovuto descrivere quello che è successo avrebbero dovuto raccontarvi i nomi dei conti in Svizzera, i cinquanta miliardi che c erano dentro, le spese private personali e familiari che faceva coi soldi che aveva rubato a noi. La fuga per sfuggire, latitante, alle leggi del suo Paese, le condanne che nel frattempo si accumulavano, le confessioni che tutti quelli che gli avevano dato i soldi stavano facendo. Alla fine ci hanno fatto sentire solo la sua versione dei fatti, cioè il suo discorso alla camera che è un altro dei grandi fraintendimenti, delle grandi leggende metropolitane perché ci viene raccontato come un grande discorso di verità e di coraggio. In realtà non ci vuole nessun coraggio, essendo protetti dall immunità parlamentare, ad andare in Parlamento e dire: Signori, qui abbiamo rubato tutti: chi pensa che non sia vero si alzi in piedi e giuri . Questo ha fatto lui e questo si è vantato di avere fatto in un intervista trasmessa in questo documentario. Non ci vuole nessun coraggio perché non è che Craxi, alla fine di quel discorso, visto che diceva ho rubato anche io , per la sua parte di furti si è spogliato dell immunità parlamentare e si è consegnato nella più vicina questura o caserma dei Carabinieri o della Guardia di Finanza perché gli mettessero le manette e lo portassero via a espiare la pena delle porcate che aveva commesso. No, lui diceva abbiamo rubato tutti perché sottintendeva quindi ci salviamo tutti, con una bella legge salvaladri . Questo era il discorso di Bettino Craxi. Indipendentemente dal fatto che avessero rubato tanti altri e infatti ne hanno presi tanti altri di sinistra, di centro, di destra; Mani Pulite sapete che ha preso di tutto, comunisti, persino un missino, democristiani, repubblicani, liberali tu sai quello che hai fatto, l hai appena detto, vai e paghi. Questo non è avvenuto e non c è niente di coraggioso in quello che ha fatto. Quello era un ricatto, era un discorso ricattatorio e se c è qualunquismo in Italia, se si dice nei bar che è tutto un magna magna, che rubano tutti, che sono tutti uguali, è colpa di discorsi come quelli. E colpa di chi va in Parlamento e dice che rubano tutti. Quando dici qua rubano tutti autorizzi la gente a pensare che sono tutti uguali. Voi potete pensare che i mille parlamentari che c erano in quel momento tra Camera e Senato rubassero tutti? Evidentemente no, c erano un sacco di persone perbene. Semplicemente non potevano giurare sull onestà di tutto il resto del loro partito, ma dato che la responsabilità penale è personale, su Craxi e su tanti altri si sono trovate le prove perché c erano ma magari su altri non si sono trovate perché le hanno nascoste, su altri ancora non si sono trovate perché non c erano. E quello che porta al qualunquismo, ed è strano che un uomo che con quel discorso e con le sue ruberie ha distrutto il più antico e glorioso partito cento anni dopo la sua nascita perché il Partito Socialista è stato il primo partito italiano e Craxi lo ha distrutto, non i giudici, come Moggi ha portato la Juventus in serie B e non i magistrati non venga ricordato come il distruttore del Partito Socialista. Dopo che la gente ci era morta per costruirlo e per ricostruirlo durante la Resistenza, la gente ci aveva speso, dal più umile dei militanti ai grandi leader


come Pertini, Nenni, Riccardo Lombardi, Turati. Perché continuano a beatificare proprio quello che lo ha distrutto, portandolo nel fango e nello sterco? Perché certi favori poi si pagano anche postumi: invece di raccontarci le tangenti, le valigette, i soldi, ci hanno raccontato la giustizia politica, la giustizia a orologeria, i suicidi in carcere. Sappiate che per Mani Pulite non si è suicidato nemmeno un imputato. Quando dico nemmeno uno, vuol dire nemmeno uno: zero sono i suicidi in carcere dell inchiesta Mani Pulite. Abbiamo sentito parlare di golpe. A un certo punto Craxi fa un parallelo tra l inchiesta Mani Pulite e le bombe che la mafia sta mettendo in quel momento. Di Berlusconi non si è parlato in tutto il documentario, come se Berlusconi non esistesse, come se gli imprenditori fossero solo De Benedetti e Romiti. Berlusconi non c era: i ventuno miliardi che ha pagato a Craxi tramite la All Iberian sui conti in Svizzera, le due leggi che gli ha fatto Craxi negli anni Ottanta per neutralizzare le ordinanze dei pretori sulla Fininvest, la legge Mammì che gli ha scritto su misura per mantenere il suo monopolio sulla TV privata. Craxi che festeggia con Berlusconi lo scampato pericolo quando nell Aprile 1993 la Camera nega l autorizzazione a procedere chiesta dai giudici di Milano. Berlusconi che scende in campo calpestando la memoria di Craxi, fingendo quasi di non conoscerlo e dicendo: Io sono Mani Pulite, basta con questi partiti che rubano . Non si è detto una parola su niente, non s è detto una parola sui rapporti tra Craxi e l imprenditoria più losca del Paese. Craxi è stato presentato come uno che contrastava le grandi famiglie del salotto buono del capitalismo, quando poi in Svizzera nei suoi conti arrivavano i soldi dalle grandi famiglie del salotto buono. Persino De Benedetti a un certo punto confessò di aver pagato tangenti a Craxi perché se no nella pubblica amministrazione non lo lasciavano entrare. Che la Fiat l abbia pagato è scritto in sentenze definitive, eppure Craxi viene presentato come un ostacolo, una pietra d inciampo delle grandi famiglie. Alla fine si vede la spiaggia di Hammamet, il mare, il tramonto e ogni tanto compaiono anche i ritratti di Mazzini e Garibaldi, come per dire avete capito che questo non è un latitante, ma un esule . Purtroppo Mazzini e Garibaldi non rubavano, questa era la differenza: non erano scappati dall Italia perché rubavano ma evidentemente per motivi politici. Per chi vorrà approfondire è inutile che vi dica che ci sono libri, documenti, delle sentenze (ne metteremo altre sui nostri blog). Tenete presente che c è un motivo per cui va in onda oggi. Non c è nemmeno la cifra tonda dei dieci anni, sono nove gli anni dalla scomparsa di Craxi. La ragione per cui è andata in onda questa agiografia è perché, insieme a Licio Gelli, si sta avverando il progetto craxiano: presidenzialismo e controllo politico sulla magistratura. E sembrato giusto, a chi di dovere, dopo il grande ritorno televisivo del Gran Maestro Unico Licio Gelli, con tanto di grembiulino, omaggiare anche un altro ispiratore di questi tempi mefitici e laidi che stiamo vivendo. Passate parola. NOSTRO COMMENTO: Bravo Marco! La trasmissione Televisiva di cui tu parli, non l ho vista. Ma immagino! (se hai un video. Fammelo avere!)

Conosco bene la vicenda

giudiziaria di Craxi con annessi e connessi. Hai fatto bene ad illustrare, con la tua solita chiarezza, il personaggio Craxi. Più di una volta hanno tentato di


mettergli un aureola in testa ad un personaggio che è scappato dall Italia per non cadere nelle grinfie della Magistratura. Gli Italiani devono essere informati dei fatti così possono giudicare meglio anche chi ci governa. Io che ho qualche anno più di Te, ho conosciuto tutta la vicenda di Tangentopoli (Mani pulite) con tutti i personaggi che si sono susseguiti nelle scenario politico a cominciare dai democristiani ed a finire ai socialisti, Lega compresa. Ma, purtroppo, le condanne di tangentopoli sono valse a poco! Come si suol dire gli attuali discepoli hanno superato i Maestri. Chissà dove andremo a finire!

Inciuci: la storia si ripete! Inciuci: la sinistra, ancora una volta, in soccorso al Cavaliere. La storia si ripete. di Fernando Cannizzaro 23 dicembre 2009 Facciamo un passo indietro nel tempo. Ricordate come il PCI barattò Rai3 con le TV di Berlusconi? La vicenda risale al lontano 1984 quando Craxi, con un decreto legge aveva permesso alle televisioni di Silvio Berlusconi di continuare la loro attività, aggirando il divieto per le tv locali di trasmettere a livello nazionale. Altro dato cruciale: in quello stesso anno Walter Veltroni era responsabile delle Comunicazioni di massa del PCI. Il PCI al momento dell introduzione di tale decreto

pro-Silvio

si stracciò le vesti ma, poco tempo dopo, nel febbraio 1985, quando ci fu la conversione in legge di tale decreto, il PCI garantì il numero legale rinunciando all ostruzionismo nonostante la scadenza del decreto a poche ore dalla discussione parlamentare. Quale fu il motivo che ammansì le posizioni della sinistra?Risposta: Il Baratto e, cioè, la concessione alla sinistra di un Canale televisivo: RAI TRE. La riprova è data da questo video di Violante datato 28 febbraio 2002 che rievoca la garanzia data a Berlusconi nel 1994 che non sarebbero state toccate le televisioni. Guardate il video.


Andiamo avanti! A dicembre 1994 la Corte Costituzionale aveva stabilito che il Cavaliere doveva scendere da tre a due TV, pertanto, o cedeva rete Quattro o la trasferiva sul satellite. La Lega di Bossi, intanto, faceva crollare il suo Governo. Pare che il gruppo Berlusconi macinato dalla concorrenza RAI avesse contratto debiti oltre misura (circa 4500 miliardi delle vecchie lire). Ad Aprile del 1996 Prodi aveva vinto le elezioni ed era ritornato sul tema del conflitto di interessi. D Alema, invece, si accordava col Cavaliere per salvare Mediaset con la legge Maccanico che mandava a farsi benedire la pronuncia della Consulta concedendo una proroga a tempo indeterminato alle tre reti del Cavaliere, il quale, essendo passati oltre due anni e avendo ottenuto quello che gli serviva (niente conflitto d interessi!) faceva saltare la Bicamerale. Ancora una volta come si vede la sinistra aveva soccorso Berlusconi. Sono sempre gli stessi attori: D Alema, Violante ed il Cavaliere. La storia si ripete. Che succede oggi? Niente di nuovo rispetto a ieri. D Alema propone un

inciucio

(Anche se questo termine D Alema lo contesa, sempre inciucio è) Su questo inciucio il PD si spacca. Vediamo come la pensano quelli che contano nel PD. BERSANI: NO a leggi ad personam tipo il legittimo impedimento. NO al processo breve che considera anche questa una legge ad personam oltre che un amnistia generale. Si dichiara pronto però a discutere insieme le riforme istituzionali, costituzionali e sociali, irritandosi per i continuai attacchi di Di Pietro

VIOLANTE sostiene che nell ambito di una riforma Costituzionale si può discutere il rapporto giustizia-politica: prima NO. Violante e compagni, infatti, non sono favorevoli a sostenere alcuna legge che stabilisca il blocco di un processo nei confronti di un cittadino chiunque esso sia. Lo dice chiaramente e senza mezzi termini lo stesso Violante a Ballarò del 22.12.2009. Guardate lo stralcio del Video Violante a Ballaro

E allora ? Allora, come oggi, la storia non cambia sono sempre gli stessi soggetti che prendono dai capelli (si fa per dire!) il Cavaliere. Conseguentemente il povero cittadino da qualunque parte si giri trova giustizia con la non far processare il Cavaliere! Vi sembra poco!

in

Tutto questo per


IL DUELLO Il DUELLO D Alema, sfogo dopo gli attacchi «Io sono un politico, altri no» Veltroni teme uno scambio sulla legge elettorale. Ma gli ex ppi non lo seguono Dal Corriere.it, si riporta: «Possibile che se un poveretto in questo Paese si azzarda a dire che bisogna discutere delle regole gli devono subito dare dell inciucista? La verità è che è passata l idea che il maggioritario debba essere una rissa continua»: Massimo D Alema si sfoga con un amico. L ex premier non ci sta a vestire i panni che dalla Bicamerale in poi gli sono stati cuciti addosso. E trova incredibile che per l ennesima volta il Pd debba dividersi. Ma era inevitabile che accadesse. Un personaggio come Walter Veltroni non riesce a tacere di fronte al sospetto in lui fortissimo che si sia riaperta una trattativa più o meno sotterranea in cui da una parte si offre a Berlusconi di non fare le barricate contro il legittimo impedimento e dall altra gli si chiede una riforma elettorale vicina al sistema tedesco. L ex segretario del Pd ce l ha proprio con D Alema. «E assolutamente strumentale: non si può dire una volta che Berlusconi deve essere ridotto a fare il mendicante e poi un altra trattarlo come se fosse De Gasperi. E allucinante». E un fiume in piena Veltroni, mentre torna dal convegno della corrente Pd di Area democratica che si è tenuto a Cortona. Già lì aveva detto la sua e ora rincara la dose: «Io credo che si


debba essere seri e coerenti in politica. Invece che succede? Succede che prima dici sì alla Santa Alleanza con Fini e Casini e chissà chi altro per opporti a Berlusconi e dopo qualche giorno, come se niente fosse, annunci che vuoi riformare la Costituzione con il premier». D Alema la pensa in maniera assai differente, per non dire opposta. Secondo l ex presidente del Consiglio «la vera discriminante è tra essere uomini politici e non esserlo». In questo senso, a suo giudizio, «persone che hanno formazioni diverse si possono avvicinare». Il riferimento è a Casini. A quel Casini che ha proposto a Berlusconi di limitarsi al legittimo impedimento mettendo da parte il processo breve. Ossia quella che D Alema chiama scherzando (ma fino a un certo punto) «l indecenza meno indecente». L ex premier vuole imprimere una svolta al suo partito. Che non consiste certo nel votare il legittimo impedimento, ma nel creare le condizioni per giocare la partita delle riforme. E su questo terreno sembra agire di sponda con Casini. Ma tutto ciò ha riaperto ferite non ancora rimarginate nel Partito democratico e allargato fossati. Ancora una volta ci si divide, nel Pd. Da un lato Veltroni e il capogruppo alla Camera Dario Franceschini con la loro componente di minoranza (molto agguerrita), dall altro i D Alema, i Latorre e, in estrema sintesi, anche il segretario Pier Luigi Bersani, cui il ruolo consiglia però maggior prudenza onde evitare di spaccare il partito a due mesi dal suo insediamento. Per questa ragione il leader dà un colpo al cerchio e uno alla botte e non si espone poi troppo. E in questo nuovo tormentone del centrosinistra si assiste a scomposizioni e ricomposizioni. Franco Marini, per esempio, ha preso le distanze dalla minoranza. Non solo perché non è andato a Cortona. L ex presidente del Senato ragiona in modo assai simile a quello di D Alema, anzi, si spinge anche più in là. E «favorevole alla versione costituzionale» del Lodo Alfano. Su Antonio Di Pietro ne dice di cotte e di crude: «Basta andargli appresso», esorta Marini ogni volta che può. E poi c è il responsabile del Welfare, Beppe Fioroni, ex ppi


pure lui, che dalla corrente di minoranza non se n è andato, ma che prende le distanze da certe prese di posizione di Veltroni e Franceschini. «E chiaro spiega il parlamentare del Pd che la spina giustizia fa molto male a Berlusconi e che lui non può certo pensare che siamo noi a levargliela. Questo non ce lo può proprio chiedere. Ciò detto, se lui accetta le nostre proposte in materia di riforme (sia quelle sociali che quelle istituzionali) e se lui rinuncia al presidenzialismo, e fa il legittimo impedimento, noi non glielo votiamo, ma non facciamo l opposizione con la bomba atomica. Non possiamo continuare a essere ossessionati dal fatto che Di Pietro compete con noi per strapparci tre tifosi: da lui pretendiamo il rispetto dovuto al fatto che siamo il più grande partito di opposizione. E allora, invece di interrogarci su che cosa fa il Pd senza di lui, si interroghi Di Pietro su dove va senza di noi». Insomma, dalle parole di Fioroni si evince come la questione sia molto chiara. E si deduce facilmente perché diventa inevitabile che di fronte alla possibilità che risorga un clima da Bicamerale il Pd si spacchi. E Fioroni ha un bell esortare i suoi compagni di corrente a «non essere un partito nel partito». Le cose stanno esattamente così e le ultime vicende di questi giorni lo testimoniano con assoluta chiarezza: i Pd sono due e ridurli a uno, al momento, appare impresa improba. Maria Teresa Meli 20 dicembre 2009 IL NOSTRO COMMENTO: Ecco perché Berlusconi vince le elezioni! Quando si assiste a queste scenette da zitelle come si può sperare di fare opposizione seria. Ma dico io Veltroni aveva dichiarato di andare in Africa e non interessarsi di Politica dopo il fallimento della sua linea e delle elezioni in Sardegna e, soprattutto, della responsabilità che gli Italiani che ricordano non gli perdoneranno tanto facilmente di avere riesumato il Cavaliere (leggi il mio articolo Il ritorno del Cavaliere Categorie: esclusivi ) Perché questo rientro? Se non è riuscito quando aveva una maggioranza nell ambito del PD cosa crede di poter fare oggi con Bersani Segretario? Secondo


Noi: Niente! Chi lo segue? Nessuno! E allora? Allora Le diamo un consiglio. Veda di andare veramente in Africa On.le Veltroni se non vuole scomparire completamente dallo scenario politico. Gli Italiani si sono rotte le scatole di vedere sempre le stesse facce che ruotano continuamente creandosi sempre nuove verginità. Hanno necessità e diritto di avere un ricambio. Vogliono gente nuova. Lei, per caso si sente nuovo della politica dopo le sue recenti dimissioni e poi il suo nuovo rientro? O crede che gli Italiani non ricordino? O, peggio ancora, crede proprio che siano fessi? Mi ascolti On.le vada in Africa. Può darsi che lì farà del bene e verrà ricordato per questo. Glielo auguro! Personalmente La ritengo una persona onesta e semplice e Le dirò che il Suo reingresso non Le porterà alcun giovamento nè a Lei nè al PD così smetterà di altercare con i suoi compagni di cordata. A D Alema l ho sempre ritenuto un politico accorto ed intelligente. Certamente diverso da Veltroni. Se D Alema propone un inciucio avrà i suoi motivi. Afferma D Alema: scambiamo un legittimo impedimento contro il ritiro del processo breve e uno scambio sulla legge elettorale , (do ut des!) . Se lo scambio si limitasse a questo, cioè a quanto viene dichiarato, nulla quaestio (anche se l inciucio è un sistema poco pulito e da evitare. Si capisce!) Ma chi ci garantisce che l inciucio si limita solo a questo? NESSUNO! E Allora! Allora chi vivrà vedrà! La politica è fatta anche di fatti occulti che si sanno solo quando vengono alla luce. Prima NO. In ogni caso ed inciucio a parte, vi è un dato incontestabile: il fallimento totale della politica. Meditate gente!


Il Clan dei Casalesi La storia del clan dei Casalesi.

Fonte: Blunotte (Lucarelli)

A Napoli vi sono tanti clan, spesso in guerra tra loro: negli anni 80 avviene la guerra di Camorra tra i cutoliani della Nuova Camorra Organizzata da una parte e la Nuova famiglia per l egemonia del territorio. Lasciando per terra centinaia di morti.

Ma i casalesi sono una cosa diversa:

più simili a Cosa Nostra, molti

esponenti delle famiglie sono persino affiliati con la mafia. Come le famiglie dei Nuvoletta a Marano, che hanno tra i loro affiliati Gaspare Mutolo. Sono uomini punciuti, che spesso si ritrovano a parlare con Bontade prima, e i corleonesi di Riina poi.

Nella guerra di Camorra degli anni 80 che vide lo scontro tra la Nuova Camorra di Cutolo contro la Nuova famiglia delle famiglie Alfieri , Ammaturo e Nuvoletta ci furono 1500 morti tra il 1978 e il 1983. Prevalse la seconda, con i nuovi capi: Alfieri, Nuvoletta e anche Antonio Bardellino. Una strana figura di criminale: più un imprenditore di Camorra che faceva investimenti per i traffici di droga in sudamerica e in Spagna. È una mafia che fa impresa in silenzio: una mafia che sembra non vedersi. Ma sempre di gruppi criminali si tratta: Bardellino conta un gruppo di fuoco di 100 camorristi: tra cui Mario Iovine, Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti, Raffaele Diana. Bardellino sa coltivare anche i legami con la politica: il fratello diventa sindaco di Casale nelle fila del PSI. Silenzio, impresa, sangue e politica: questo mix spiega come mia i casaleis non furono contrastati all inizio, anzi furono agevolati dalla collusioni con la politica . La guerra di mafia a Casal di Principe. Bardellino non abitava nel suo territorio: forse anche per questo scoppiò la guerra che vedeva contrapposte la famiglie Gionta Nuvoletta contro i Bardellino Alfieri. È la guerra raccontata in Fortapasc da Marco Risi, con la storia del giornalista


Giancarlo Siani. Il dicembre 1984 ci fu una irruzione nella masseria dei Nuvoletta, dove morti colpito da una pallottola vagante Salvatore Squillace. Agosto 1984: la strage del circolo dei pescatori. Un pulmann carico di killer dei Bardellino sbuca davanti il circolo dei pescatori di Torre Annunziata; fu una strage contro gli uomini del clan Gionta, con 8 morti.

I vinti di questa guerra,

i Nuvoletta, pagano un pegno: Valentino Gionta,

latitante a Marano, viene trovato dai carabinieri. Siani con un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della

Nuova Famiglia , di voler spodestare e

vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per porre fine alla guerra tra famiglie.[ da wikipedia] Giancarlo Siani parla di questa guerra e di questo accordo che sbugiarda i boss : fu ucciso il 23 ottobre 1985.

Una guerra che faceva vittime anche per intimidire gli avversari: come l omicidio del fratello del giudice Imposimato che a Roma stava indagando sui legami tra mafia e la Banda della Magliana. Gli affari del clan. Il giro d affari del clan casertano riguardava il mercato del Calcestruzzo, delle cave: l infiltrazione criminale del clan negli appalti pubblici mirava a mettere le mani sui 250 miliardi per i lavori del dopo terremoto; sui 500 miliardi per i lavori nei regi Lagni, per l alta velocitĂ .

I soldi arrivavano dal

pizzo (10%) sui lavori delle imprese su strade e

case. Ma i casalesi costituirono anche 3 consorzi con ottenere direttamente o in subappalto i lavori. Tutti i lavori, ricorrendo anche alle minacce alle altre ditte.

I

casalesi

entrano

nella

politica

e

nella

societĂ

civile:

controllano

amministratori, sindaci, assessori. Trovano banche compiacenti che accettano il loro denaro e colletti bianchi pronti a riciclarlo.

Ma attorno al capo crescono i giovani boss, che scalpitano: Bidognetti, Zagaria, Iovine. Bardellino torna a S. Cipriano per mettere le cose a posto. Il gennaio 1988 viene ucciso Domenico Iovine, come segnale al fratello Mario.


Nel dicembre avviene uno scontro a fuoco tra gruppi di fuoco Bardellino e Iovine in cui sono sparati 140 colpi (peggio dell agguato in via Fani). Ma sono episodi che rimangono sotto silenzio. La stampa ne parla solo a livello locale. In questa guerra silenziosa vengono uccisi i nipoti di Bardellino; avviene la strage di Casapesenna contro i Sanzillo. Un corteo di auto attraversa la città, come segno di presenza sul territorio. Come avviene nei paese sudamericani. Nella guerra, Bidognetti e Schiavone decidono di uccidere Enzo De Falco, ritenuto la mente imprenditoriale del gruppo, perchè non si fidano. Altre morti seguono: Mario Iovine viene ucciso a Cascais.

Il 19 marzo 1995, tocca a

Don Peppino Diana, che aveva lanciato il suo

proclama contro la dittatura della Camorra a Casal di Principe:

per amore del mio

popolo.. . Un killer dei De Falco lo uccide: si pensa che sia anche un tentativo di rovinare gli affari alle famiglie Bidognetti e Schiavone, per l arrivo della Forse dell ordine dopo l omicidio.

La guerra

De Falco Bidognetti-Schiavone finisce con Nunzio De Falco che scappa in

Spagna. I nuovi capi possono tornare agli affari: l estorsione, gli appalti, il calcestruzzo e l agricoltura fantasma. Come con l Aima: una società pubblica che raccoglie i prodotti agricoli invenduti. Ma è tutto falso: si tratta di frutta marcia, persino di sassi). I centri di raccolta sono in mano ai casalesi.

Come con la mozzarella di bufala prodotta dalle aziende in mano ai clan: viene venduta persino quella prodotta dalle bufale ammalate dalla brucellosi. Come per i rifiuti tossici: i clan entrano nel business dello smaltimento dei rifiuti nel 1989/90. Si occupano dello smaltimento rifiuti per le imprese del nord, per gli ospedali. Francesco Bidognetti crea la Ecologia 89

si mette in affari all imprenditore

Vassallo, proprietario di una discarica. 1 Kg di rifiuti costa dai 21 ai 60 centesimi, per lo smaltimento. I casalesi fanno pagare 9-10 centesimi: sono affari per tutti. Spuntano discariche abusive, come a Villa Literno, nelle cave aperte: frutto del controllo così capillare del territorio casertano. Contestualmente al crescere delle discariche, crescono anche i casi di tumore:


perchè parliamo di un imprenitoria mafiosa, che non da sviluppo, ma che avvelena il territorio. Da una parte la ricchezza sfoggiata dai boss, anche con le loro ville (come quella di Sandokan Schiavone). Dall altra la potenza sempre più grande dei clan: testimoniata anche dal fatto che oramai sono le imprese che arrivano direttamente a

mettersi a posto

col pizzo

senza che nessuno chiede niente.

Un potere sancito anche dai legami con la

politica locale (il sindaco

Bardellino fratello del boss, il vicesindaco Gaetano Corvino): legami che permettevano l arrivo di nuovi appalti (e soldi), in quella regione. Una infiltrazione capillare, quella dei clan: sono 14 i comuni sciolti in Campania nel 1995, 26 nel 2006. Lo stesso Casal di Principe è sciolto 4 volte.

Ma c è anche un altra Casal di Principe: quella di quanti non accettano questa dittatura. Consiglieri comunali, forze dell ordine, gente perbene, sindacalisti che spesso han pagato con la vita. Antonio Cugiano, vicesindaco di Casapesenna: gambizzato nel ottobre 1988. Antonio Nunez: ucciso nel luglio 1990, il corpo fu trovato 13 anni dopo. Marcello Russo: sindacalista CGIL, picchiato e minacciato le le sue minacce di sciopero. Gambizzato nel 1991. Francesco del Prete, sindacalista degli ambulanti. Dopo la denuncia all esattore del pizzo, un vigile di Mondragone, viene ucciso nel febbraio 2002. C è poi la guerra dei paletti portata avanti dal sindaco del PDS Renato Natale: i paletti circondavano la piazza, resa zona pedonale. I casalesi li toglievano ogni notte e glieli facevano trovare sotto casa. Ferocia spietata. Controllo del territorio. Affari e soldi. Il silenzio. Il primo maxi processo contro la mafia dei Casalesi è il processo Spartacus del 1998: chiamato come lo schiavo che si oppose contro l impero. Un processo cui si arriva grazie alle parole di Carmine Schiavone, imprenditore pentito. Alle rivelazioni di Dario De Simone, di Domenico Bidognetti. Nel dicembre 1995, il pool contro il clan dei Casalesi (formato tra gli altri anche dal giudice Raffaele Cantone), si arriva ad un blitz che porta all arresto di 50 persone. Altri boss come Sandokan, rimangono latitanti. Fino al 1988, quando viene arrestato.


Il 15 settembre 2005 si arriva alla

prima sentenza del processo

Spartacus: 95 condanne tra cui 2 ergastoli. Un processo quasi più imponente del maxi processo contro la mafia a Palermo: ma un processo celebrato nel silenzio generale della stampa.

Il

processo Spartacus 2, che segue il primo, si concentra sui rapporti con la

politica. Anche questo, non viene seguito: 50 righe sul Mattino di Napoli.

In Italia si considera questa mafia solo come un entità criminale: dopo i fatti cala il silenzio. Ma è anche una economia criminale che inquina il territorio, il lavoro, il mercato. Poi arriva un libro: Gomorra di Roberto Saviano. Un libro che squarcia il velo sulla realtà dei casalesi. È un libro che raccoglie i fatti di cronaca, magari già raccontati da altri, ma in taglio narrativo: raccontare il mondo secondo Secondigliano, Scampia: mostrare al lettore come questa economia criminale sia quella vincente.

Nel settembre 2006 c è a Casale una grande manifestazione antimafia: dal palco Saviano dice ai giovani Iovene, Zagaria, Schiavone non valete niente .. ve ne dovete andare . Dopo queste parole lo scrittore deve essere protetto dalla scorta. Che uno scrittore debba essere protetto succede solo nei paesi sotto dittatura, nelle democrazie governate da estremismi religiosi come l Iran di Khomeini, che lanciò la fatwa contro Salman Rushdie. I giudici raccolgono brutti segnali da radio carcere, sull idea di uccidere Saviano. Il 13 marzo 2008, l avvocato difensore di Bidognetti e Schiavone al processo Spartacus legge una lettera dei latitanti: un atto di accusa contro il giudici Raffaele Cantone e De Raho, i giornalisti Capacchione e Saviano. E iniziano anche a girare le solite voci diffamatorie: ma Saviano cosa cerca? È tutta una montatura le sue minacce, per vendere libri? Quanto ci ha guadagnato?

Spiega Saviano che queste persone, che fanno illazioni diffamatorie, non si chiedono mai quanto guadagnano i boss dai rifiuti tossici. Stessa sorte capita anche all attore Giulio Cavalli che fa spettacoli contro la mafia al nord.


La diffamazione accompagna chi denuncia la mafia. Chi si espone contro la mafia, genera negli altri in senso di diffidenza: è come se facesse sentire sporchi gli altri, che sono stati zitti, che hanno abbassato la testa. Con la denuncia si mette in crisi tutta la comunità, perchè per questa tutto deve andare avanti così. Invece no: andare contro la mafia, sostiene Saviano, è un fatto personale, se cerco visibilità, è solo per denunciare. Non per fare l eroe: diceva Brecht

Il

Beato il paese che non ha bisogno di eroi .

18 giugno 2008 arriva la sentenza di appello di Spartacus: tutte le accuse

vengono confermate, come gli ergastoli per F. Schiavone e Michele Zagaria. La campagna di primavera. Nel 2008 si scatena la campagna di primavera, guidata da Giuseppe Setola (del clan Bidognetti), sfuggito dai suoi arresti domiciliari a Pavia, nell aprile 2008. Attorno a se riunisce 30 killer e scatena il fuoco. La sua strategia è uccidere i pentiti, dare un segnale forte agli imprenditori (che dopo la sentenza Spartacus iniziavano a non voler pagare il pizzo), dare una lezione al gruppo degli

africani

(la malavita nigeriana) che con l accordo dei casalesi portava avanti lo spaccio della droga e della prostituzione. Il 2 maggio viene ucciso il pentito Umberto Bidognetti. Il 16 maggio Domenico Noviello, che sette anni prima non aveva voluto pagare li pizzo al clan. Nel 2008 gli era stata tolta la scorta. Il 2 giugno Michele Orsi, direttore di un consorzio di smaltimento rifiuti, finito sotto indagine, stava parlando con i magistrati. Senza scorta fu ucciso dai killer di Setola. 15 luglio, Raffaele Granata, proprietario di uno stabilimento balenare, ucciso in un bar. 18 omicidi in cinque mesi.

Poi avviene la

strage di Castelvolturno: già nell agosto del 2008 ci fu un

primo tentativo di fuoco contro gli

africani . Un commando sparò contro la sede

dell associazione nigeriana a Casale. Il 18 settembre il gruppo di fuoco di Setola spara contro un gruppo di immigrati africani (non solo nigeriani), in una sartoria. 6 morti.


Nei giorni successivi

la comunità nigeriana si rivoltò contro la mafia: una

rivolta per la difesa dei loro diritti. La risposta dello stato. Nel gennaio 2009, viene arrestato Giuseppe Setola. I sequestri: le forze della polizia hanno sequestrato beni immobili ai Bidognetti per 50 milioni di euro. Nel 2008, l ammontare dei beni liquidi confiscati ammonta a 400 milioni di euro. Ma è una parte, che ha colpito solo un clan, quello dei Bidognetti. Ma il controllo del territorio è ancora in mano alla confederazione dei casalesi: questo si manifesta con messaggi fatti pubblicare sui quotidiani locali. Con telefonate ai giornalisti (da parte dei due latitanti). Le indagini e le rivelazioni dei pentiti parlano anche della politica: rivelazioni che coinvolgono il sottosegretario del governo Berlusconi, Nicola Cosentino (accusato dal pentito Dario De Simone).

È sbagliato pensare che quello dei casalesi, sia una questione che riguardi solo il sud: Pasquale Zagaria, la mente finanziaria del clan, aveva interessi immobiliari a Parma. Raffaele Diana, investiva in locali a Carpi. Affari criminali, che uccidono l economia e le persone.

Persone che magari con i casalesi non hanno nulla a che fare. Come per Michele Landa, guardia giurata ad un ripetitore vicino Mondragone. Il 6 settembre 2006 fu ucciso (perchè il ripetitore rientrava negli interessi del clan) e il suo corpo spedito alla famiglia in pezzi. Al funerale, a fianco della famiglia, nessuno dallo Stato. Raccontava la famiglia come questo testimoni del reale controllo del territorio. La vicenda testimonia come basti vivere in queste zone ritrovi coinvolto

che prima o poi ti ci

nelle vicende criminali dei casalesi.

Non basta far finta di niente, abbassare lo sguardo. Sono tanti i casalesi buoni: come le associazioni Libera, quelle in memoria di Don Peppino Diana, che lottano contro l abitudine, la mentalità, quella per cui il criminale ricco che gira indisturbato per il paese sia un esempio da imitare.

Questa è una guerra, che dobbiamo combattere: per Lorenzo Diana, per Renato Natale (ex sindaco), per Rosaria Capacchione, per Roberto Saviano. Anche per tutti i casalesi


per bene che non vogliono accettare la dittatura criminale. Queste persone, chiudeva Lucarelli, non devono essere lasciate sole a fare gli eroi: tutti noi dovremmo gridare Iovene, Zagaria, Schiavone, ma anche Riina, Messina Denaro, politici collusi con la mafia, colletti sporchi non siete niente .. andatevene, questa terra non è vostra ! (.Fonte: unoenessuno.blogspot.com)

Il blog di

Carlo Lucarelli.

Il link della puntata di Blu Notte. Technorati: Carlo Lucarelli, Blu Notte, clan casalesi

Sofia e Fabio: Vice Campioni Italiani di ballo Standard YOUTH STANDARD CLASSE

A

FINALE. FABIO E SOFIA VICE CAMPIONI ITALIANI

fonte: fd81091 NOSTRO COMMENTO: Ho promesso a Sofia che l avrei fatta girare sui miei siti. Promessa mantenuta! Fabio e Sofia! Semplicemente sublimi! Conosco Sofia da quando aveva 14 anni . (Eh! SI! Anche Noi facciamo gare di ballo Standard!) Sin d allora era una ballerina che prometteva tanto e bene. Questa è la dimostrazione. VICE CAMPIONI ITALIANI ANNO 2009.Facciamo tantissimi auguri alla coppia di una splendida carriera di ballerini. Perché NO ! Li vogliamo CAMPIONI ITALIANI!


Travaglio: trattativa a cielo aperto Trattativa a cielo aperto di Marco Travaglio 13 dicembre 2009 I messaggi del senatore, i silenzi eloquenti di Giuseppe Graviano Tra Cosa Nostra e Stato segnali sul 41-bis a favore di telecamera. La valanga di parole storte che si rovescia ogni giorno sul processo Dell Utri nasconde malamente il tentativo di occultare una realtà drammatica che è sotto gli occhi di tutti: la trattativa fra Stato e mafia, iniziata dai carabinieri del Ros nell estate del 92 dopo la strage di Capaci, culminata nella consegna del papello ai nuovi referenti politici e nella consegna di Riina al Ros da parte degli uomini di Provenzano, ripresa nel 93 da Dell Utri con gli uomini di Provenzano e del clan Graviano, sfociata nella fine delle stragi nel 94, continua tutt oggi. Siamo ormai ai tempi supplementari, il regime berlusconiano è alle corde, e chi si aspetta che i vecchi patti vengano rispettati si rende conto di dover giocare il tutto per tutto. Non più nelle segrete stanze, dietro le quinte, con trattative sotterranee sulla dissociazione e messaggi cifrati (il proclama di Bagarella sui politici che non rispettano le promesse, lo striscione allo stadio di Palermo sul 41-bis). Ma a scena aperta. Alla luce del sole. In favore di telecamera. Perché tutti capiscano e chi di dovere si assuma finalmente le proprie responsabilità. Il Graviano sbagliato. Il gioco delle parti tra i fratelli Filippo e Giuseppe


Graviano, lungi dallo smentire Spatuzza, lo conferma. Spatuzza dice che era Giuseppe il suo capo, non Filippo. Infatti Filippo nel 2004, nel carcere di Tolmezzo, gli disse che bisognava far sapere a Giuseppe che, se non arrivava quel che doveva arrivare (benefici carcerari per i boss al 41-bis), bisognava andare a parlare con i magistrati . E fu Giuseppe, tra la fine del 1993 e l inizio del 94, a confidare a Spatuzza prima che c era un progetto politico dietro le stragi del 93, poi che con Berlusconi e Dell Utri in politica Cosa Nostra aveva il paese nelle mani . Dunque è Giuseppe, non Filippo, che potrebbe confermare le parole del pentito. Filippo nega tutto, ma Giuseppe se ne guarda bene. Potrebbe chiudere definitivamente la partita e liquidare il pentito in due parole: Tutte bugie . Invece ne pronuncia ben di più, tramite il suo avvocato: Mi avvalgo della facoltà di non rispondere perché non sto bene a causa del 41-bis, ma, quando il mio stato di salute me lo permetterà, sarà mio dovere rispondere . Paradossalmente, se la trattativa sul 41-bis andrà a buon fine, lui parlerà. Resta da capire che cosa dirà: confermerà o smentirà Spatuzza, che finora non solo non ha mai smentito, anzi ha addirittura elogiato come un fraterno amico da rispettare perché ha fatto le sue scelte ? Il paradosso è proprio questo: se gli danno quel che chiede, lui potrebbe inguaiare i vertici del governo. Ma potrebbe farlo anche se non gli danno quel che chiede. In ogni caso, è una clamorosa conferma alle rivelazioni di Spatuzza sull insofferenza dei Graviano per le promesse non mantenute. Marcello risponde a tono. Dell Utri, se davvero fosse estraneo a quel mondo, potrebbe chiamarsene fuori. Invece entra a piedi giunti in questo dialogo a distanza. Ha già detto che per lui i mafiosi si dividono in eroi (quelli che, come Mangano, non solo non parlano di lui né di Berlusconi, ma non parlano tout court, restando mafiosi: come anche Riina, Provenzano, Bagarella e così via) e in bugiardi che dicono minchiate (Spatuzza, ma anche gli altri venti che hanno parlato di lui in 15 anni di


inchieste e processi sul suo conto). Il 7 dicembre, a Porta a Porta, Dell Utri spiega che Spatuzza è un assassino efferato e non capisco come si possa dopo tanti anni dire queste cose. Ma l obiettivo è chiaro: Spatuzza ottiene prebende, ottiene di uscire dal carcere, lavoro per lui e per le persone a lui vicine. Spatuzza con questo pentimento si è santificato e io passo per un efferato stragista . Quando invece Filippo Graviano dice di non conoscerlo e smentisce Spatuzza, Dell Utri si spertica in elogi e gli conferisce una patente di pentito attendibile: Sono meravigliato dalla dignità e dalla compostezza di questo signore. Ha detto cose che mi meravigliano. Nel guardarlo ho avuto l impressione di dignità da parte di uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze. A differenza dell impressione che mi ha fatto Spatuzza, mi è parso di vedere dalle parole di Filippo Graviano il segno di un percorso di ravvedimento . Peccato che Filippo Graviano non sia pentito di un bel nulla, tant è che nega financo di essere mafioso, nega i delitti per cui è stato condannato all ergastolo, delitti molto più gravi di quelli commessi da Spatuzza, visto che questo era solo un sottoposto, mentre l altro è uno dei capi. Dunque, contrariamente a quanto previsto da una legge dello Stato voluta da Giovanni Falcone, per Dell Utri i pentiti veri sono i mafiosi che non confessano e non collaborano. Figurarsi l entusiasmo dei boss irriducibili per le parole di un parlamentare della Repubblica. E figurarsi l allarme fra i pentiti veri, la cui sicurezza dipende dal sottosegretario Alfredo Mantovano: che dovrebbe attenersi ad assoluta terzietà, dovendo valutare le richieste dei magistrati per assegnare i programmi di protezione, e invece va in tv ad attaccare l attendibilità dei pentiti a cui dovrebbe garantire l incolumità perché collaborino serenamente con la giustizia. Il destino del processo. È stata un autogol di un magistrato inadeguato, dilettante e disinvolto la scelta del pg di Palermo di introdurre Spatuzza nell ultima fase del processo Dell Utri prima di sottoporlo ai necessari riscontri, come scrivono certi maestrini che danno le pagelle ai giudici?


Assolutamente no. Quando c è il tempo, si cercano i riscontri in proprio. Quando, come nel caso delle recentissime dichiarazioni di Spatuzza, queste arrivano nella fase finale del processo, è doveroso riversarvele, accompagnate da i riscontri già trovati dalla Dia e dalla Procura di Firenze (che ritiene Spatuzza attendibile, tant è che ha chiesto di ammetterlo al programma di protezione). Tanto più che Spatuzza non fa altro che aggiungere un tassello a quanto già dimostrato in primo grado: i già accertati rapporti fra Dell Utri e i Graviano. Spetterà poi ai giudici valutare le nuove testimonianze alla luce dei fatti già emersi nel processo. La stessa cosa accadde al processo Cusani, dove Di Pietro portò in aula i segretari dei partiti che gli avevano appena confessato di essersi spartiti la maxitangente Enimont. E, guardacaso, alla fine fioccarono le condanne. Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Sentenza Dell'Utri.

di

grado

DAL FATTO QUOTIDIANO, SI RIPORTA: IL PATTO MAFIA-DELL UTRI NELLA SENTENZA CHE NESSUNO LEGGE È bastata una mattina per ascoltare a Palermo i fratelli Graviano. Tra i due solo Filippo ha accettato di rispondere alle domande del procuratore generale Nino Gatto. Giuseppe, il più importante tra i due, si è invece avvalso della facoltà di non rispondere. Filippo, che non è un collaboratore di giustizia, ha ovviamente negato di conoscere Marcello Dell Utri e ha sostenuto di non aver mai detto, nel 2003, al


pentito Gaspare Spatuzza, se non arriva qualcosa da dove deve arrivare, anche noi dovremo metterci a parlare con i magistrati . Dal punto di vista processuale le sue parole, così come quelle di Cosimo Lo Nigro (uno dei condannati non pentiti per le stragi del 93 pure interrogato in video-conferenza), valgono zero. Filippo infatti è ancora a pieno titolo inserito in Cosa Nostra. E quindi si limita a inviare precisi messaggi: Spatuzza lo rispetto; ha ragione: a Tolmezzo gli ho parlato davvero, non però di promesse della politica. L imputato Marcello Dell Utri è rimasto favorevolmente impressionato dal capomafia, un uomo che, dopo le condanne all ergastolo, dice di essere oggi impegnato in un percorso di legalità . Il senatore azzurro, dopo essersela presa con la trasmissione Annozero, ha avuto frasi di stima per lui: Sentendo la deposizione di Filippo Graviano mi è sembrato sinceramente una persona ravveduta. Mi ha colpito la dignità di questo signore, il suo mi sembra un pentimento vero, sono parole che mi hanno meravigliato . Parole che ricordano molto l elogio all eroismo di Vittorio Mangano. Silvio Berlusconi, invece, non parla dei Graviano con i giornalisti: Qui siamo alle comiche, ma come si fa? . Di seguito pubblichiamo dunque la seconda parte della riduzione della sentenza che in primo grado ha condannato Dell Utri a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Per il tribunale i rapporti tra i Graviano e il senatore erano accertati . E per sicuro veniva dato pure l accordo politico-mafioso tra l ideatore di Forza Italia e Cosa Nostra. Leggi e scarica l articolo di Marco Travaglio e Peter Gomez da il Fatto Quotidiano del 10 dicembre (PDF 1,40 MB) Da magistratura democratica.it riportiamo La motivazione integrale della sentenza di condanna del senatore Dell Utri Inserito da admin il Lun, 07/18/2005 22:00 Penale (il testo completo della sentenza, in formato PDF compresso, è


scaricabile dal link in fondo a questa pagina) REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI PALERMO II SEZIONE PENALE Riunito in camera di consiglio e composto dai sigg.ri: 1) Dott. Leonardo Guarnotta, presidente 2) Dott.ssa Gabriella Di Marco, Giudice est. 3) Dott. Giuseppe Sgadari, Giudice est. alla pubblica udienza dell 11 dicembre 2004 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: 1) DELL UTRI MARCELLO, nato a Palermo l 11 settembre 1941, residente in Milano, Segrate MI/2, Via fratelli Cervi, Residenza xxx LIBERO-ASSENTE 2) CINA GAETANO, nato a Palermo il 26 settembre 1930, ivi residente in Via Gaetano xxx LIBERO-CONTUMACE IMPUTATI DELL UTRI MARCELLO A)del delitto di cui agli artt. 110 e 416 commi 1, 4 e 5 c.p., per avere concorso nelle attività della associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra , nonch nel perseguimento degli scopi della stessa, mettendo a disposizione della medesima associazione l influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale, nonch dalle relazioni intessute nel corso della sua attività, partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento ed alla espansione della associazione medesima. E così ad esempio: 1. partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi della


organizzazione; 2. intrattenendo, inoltre, rapporti continuativi con l associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo di detto sodalizio criminale, tra i quali Bontate Stefano, Teresi Girolamo, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovanbattista, Mangano Vittorio, Cinà Gaetano, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Ganci Raffaele, Riina Salvatore; 3. provvedendo a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione; 4. ponendo a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Così rafforzando la potenzialità criminale dell organizzazione in quanto, tra l altro, determinava nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della responsabilità di esso DELL UTRI a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare a vantaggio della associazione per delinquere individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Con l aggravante di cui all articolo 416 comma quarto c.p., trattandosi di associazione armata. Con l aggravante di cui all articolo 416 comma quinto c.p., essendo il numero degli associati superiore a 10. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo della associazione per delinquere denominata Cosa Nostra), Milano ed altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982 B)del delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis commi 1, 4 e 6 c.p., per avere concorso nelle attività della associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra , perseguimento degli scopi della stessa,

nonch nel mettendo a

disposizione della medesima associazione l influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente del mondo finanziario ed imprenditoriale, nonch dalle relazioni intessute nel corso della sua attività, partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento ed alla espansione della associazione medesima.


E così ad esempio: 1. partecipando personalmente ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi della organizzazione; 2. intrattenendo, inoltre, rapporti continuativi con l associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo di detto sodalizio criminale, tra i quali, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovanbattista, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Ganci Raffaele, Riina Salvatore, Graviano Giuseppe; 3. provvedendo a ricoverare latitanti appartenenti alla detta organizzazione; 4. ponendo a disposizione dei suddetti esponenti di Cosa Nostra le conoscenze acquisite presso il sistema economico italiano e siciliano. Così rafforzando la potenzialità criminale dell organizzazione in quanto, tra l altro, determinava nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della responsabilità di esso DELL UTRI a porre in essere (in varie forme e modi, anche mediati) condotte volte ad influenzare a vantaggio della associazione per delinquere individui operanti nel mondo istituzionale, imprenditoriale e finanziario. Con le aggravanti di cui ai commi 4 e 6 dell art. 416 bis c.p., trattandosi di associazione armata e finalizzata ad assumere il controllo di attività economiche finanziate, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo dell associazione per delinquere denominata Cosa Nostra), Milano ed altre località, dal 28.9.1982 ad oggi. CINA

GAETANO:

del delitto di cui all art. 416 c.p. per avere in concorso con numerose altre persone ed, in particolare, Bontate Stefano, Teresi


Girolamo, Citarda Benedetto, Mangano Vittorio fatto parte dell associazione mafiosa denominata Cosa Nostra o per risultare, comunque, stabilmente inserito nella detta associazione, in numero superiore a 10 persone, e per essersi avvalso della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere reati contro la vita, l incolumità individuale, contro la libertà personale, contro il patrimonio, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti Con l aggravante di cui all art. 416 comma quinto c.p., trattandosi di associazione armata. Con l aggravante di cui all art. 416 comma quinto c.p., essendo il numero degli associati superiore a 10. In Palermo, Milano ed altrove, sino all entrata in vigore della L.13/09/1982 n646. D) associazione per delinquere di tipo mafioso (artt. 112 nr.1 e 416 bis c.p.) per avere, in concorso con numerose altre persone tra cui Mangano Vittorio, Di Napoli Giuseppe, Di Napoli Pietro, Cancemi Salvatore, Ganci Raffaele, Riina Salvatore, Pullarà Ignazio, Pullarà Giovan Battista, Madonia Francesco fatto parte dell associazione mafiosa denominata Cosa Nostra o per risultare, comunque, stabilmente inserito nella detta associazione, in numero superiore a 5 persone e per essersi avvalso della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere reati contro la vita, l incolumità individuale, contro la libertà personale, contro il patrimonio e, comunque, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti nonch per intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione.


Con l aggravante di cui all art. 416 bis comma quarto c.p., trattandosi di associazione armata. Con l aggravante di cui all art. 416 bis comma sesto c.p., trattandosi di attività economiche finanziate in parte con il prezzo, il prodotto ed il profitto di delitti. In Palermo, Milano ed altre località in territorio italiano, dall entrata in vigore della L. 13/9/1982 nr. 646 ad oggi. omissis P.Q.M. Visti gli artt. 110, 416, 416 bis C.P., 533, 535 C.P.P.; DICHIARA DELL UTRI MARCELLO e CINA GAETANO colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati e, ritenuta la continuazione tra gli stessi, CONDANNA DELL UTRI MARCELLO alla pena di anni nove di reclusione e CINA GAETANO alla pena di anni sette di reclusione ed entrambi, in solido, al pagamento delle spese processuali, nonch il CINA anche a quelle del proprio mantenimento in carcere durante la custodia cautelare. Visti gli artt. 28, 29,32 e 417 c.p., DICHIARA Entrambi gli imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonch in stato di interdizione legale durante l esecuzione della pena. APPLICA A ciascuno degli imputati la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni due, da eseguirsi a pena espiata. Visti gli artt. 539 e 541 c.p.p., CONDANNA Entrambi gli imputati in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, Provincia Regionale di Palermo e Comune di Palermo, da liquidarsi in separato


giudizio, rigettando le richieste di pagamento di provvisionali immediatamente esecutive. Condanna, infine, gli imputati in solido al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili che liquida in complessivi euro ventimila per il Comune di Palermo ed euro cinquantamila per la Provincia Regionale di Palermo, somme comprensive di onorari e spese. Visto l art. 544, comma 3, C.P.P.,indica in giorni novanta il termine per il deposito della sentenza. Palermo, 11 dicembre 2004. I GIUDICI ESTENSORI Gabriella Di Marco Giuseppe Sgadari Il PRESIDENTE L. Guarnotta (il testo completo della sentenza, in formato PDF compresso, è scaricabile dal link qui sotto:ATTENZIONE è un file di circa 4 mega!) Allegati: Sentenza_Dell_Utri_11_dic_2004_trib_Palermo.zip CLICCA QUI http://magistraturademocratica.it/node/174 NOSTRO COMMENTO: prima di fare commenti consiglio i lettori al fine di avere un quadro completo della vicenda di leggersi attentamente la sentenza del Tribunale di Palermo dell 11 dicembre 2004.

Travaglio: tutto mafia TRAVAGLIO :TUTTO MAFIA


Abbiamo riunito alcuni video di Marco Travaglio sulla mafia in un unico file. Diamo così la possibilità al lettore di rendersi meglio conto della successione degli avvenimenti. Buona visione!

Ma và! I s'indignano?....

cardinali

La Lega mette in croce Tettamanzi. Cattolici indignati, proteste di Roberto Monteforte Fonte:http://www.unita.it

Alla vigilia della festa di sant Ambrogio, patrono di Milano, la Lega Nord lancia il suo attacco, durissimo e frontale, all arcivescovo della città, cardinale Dionigi Tettamanzi, reo nella sua omelia di domenica di aver invitato i milanesi alla solidarietà, all «accoglienza verso lo straniero», alla compassione verso tutti, a


superare sentimenti di razzismo e xenofobia. Parole che non sono proprio piaciute al ministro leghista Roberto Calderoli. «Non parla ai milanesi. Parla solo dei rom. Tettamanzi con il suo territorio insiste non c entra proprio nulla. Sarebbe come mettere un prete mafioso in Sicilia». Reduce da incontri con i vertici della Cei e in segreteria di Stato, il coordinatore del Carroccio vanta di una piena sintonia tra la Lega e l alta gerarchia cattolica. Il problema sarebbe, quindi, di guida la diocesi di Milano, il successore di Carlo Maria Martini. La Padania arriva a domandarsi: «È un cardinale o un iman?». Così il Carroccio, lasciatosi alle spalle riti celtici e minacce di revisione del Concordato, nelle vesti del difensore intransigente del cattolicesimo tradizionalista, arriva a indicare Dionigi Tettamanzi come una pericolosa anomalia. Come il presidio di una cultura e di una sensibilità, quella legata al Concilio Vaticano II e bollata come «cattocomunista», da combattere e rimuovere. Lo fa proprio mentre si erge a difensore delle «radici cristiane», segno identitario dell Occidente, da brandire contro il pericolo islamico. Disconoscendone, però, proprio quei valori fondamentali di accoglienza e solidarietà, di vicinanza ai poveri e agli esclusi che rappresentano il patrimonio storico della Chiesa ambrosiana.


Non si lascia impressionare il cardinale Tettamanzi. «Sono sereno e libero» commenta, mentre numerosissimi e trasversali gli giungono i messaggi di «piena solidarietà». Le critiche alla sortita della Lega Nord arrivano dal centrosinistra, ma anche dagli alleati del centrodestra. Prende con nettezza le distanze da Calderoli il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni (Pdl). Per il senatore «azzurro» Giuseppe Pisanu l attacco mosso al cardinale è «rozzo e volgare» e per di più «impartito da un esperto di matrimoni celtici che dà lezioni di pastorale cristiana». Gli fa eco Maurizio Lupi (Pdl): «L identità cristiana dell Italia non si difende attaccando chi la rappresenta». Ancora più ferme sono le reazioni del centrosinistra. Si tratta, commenta la presidente del Pd, Rosy Bindi, di un «inaccettabile attacco» a un «interprete autorevole della Chiesa conciliare», ed è «penoso, poi, il tentativo di Calderoli di dividere la Chiesa italiana in buoni e cattivi, attribuendo un impossibile assonanza tra le posizioni xenofobe e razziste della Lega in materia di immigrazione e i vertici della Cei». «Il governo, di cui Calderoli è un autorevole esponente, condivide le sue espressioni?» si domanda Barbara Pollastrini (Pd). Pierluigi Castagnetti: «Ci vuole ancora altro per capire qual è il rapporto vero della destra con la Chiesa


e i suoi uomini più rappresentativi?». Il vice presidente del Senato, Vannino Chiti osserva come «sia puramente strumentale la difesa di simboli della tradizione cristiana, come il crocifisso e il presepe, da parte della Lega nord, che invece calpesta il senso più profondo del messaggio cristiano: l universalità, il rispetto, l accoglienza e la responsabilità delle persone». Invece per Filippo Penati (Pd) è ridicolo «il tentativo di far apparire Tettamanzi estraneo alla sua comunità». «È vero il contrario» afferma deciso. Il leader dell Udc, Pier Ferdinando Casini, non accetta il doppiopesismo del Carroccio, che magari «difende il crocifisso per poi spaccarlo in testa agli immigrati o insulta il cardinale di Milano in modo vergognoso». 08 dicembre 2009 NOSTRO COMMENTO: A Noi non ce ne frega niente della polemica che fà la Lega con la Chiesa cattolica perché Noi non siamo leghisti e meno che mai apparteniamo al PD. A Noi l attuale classe politica non ci interessa né ci appartiene. Però l occasione è utile per fare, sul punto, una riflessione. Come può la Chiesa avere l ardire di parlare di altruismo, carità verso gli altri, soprattutto, se immigrati, quando la Chiesa tiene ancora in vita una Associazione come l Opus Dei, che non si capisce bene che cosa sia. Molti degli stessi adepti sono fuggiti inorriditi dalle cose inspiegabili che avvenivano ed avvengono


all interno di questa chiamiamola associazione . (Leggi su questo stesso Blog il Nostro articolo su l Opus Dei) Molti adepti hanno scritto dei libri per testimoniare quello che accade. (Leggi Opus Dei segreta di F. Pinotti e Dentro l Opus Dei di Emanuela Provera (numeraria dell Opus Dei). Un altra piaga nell ambito del clero sono i cd Preti pedofili (Guarda i video su questo Blog) che la Chiesa inspiegabilmente si ostina a difenderli ed a nasconderli invece di consegnarli alla competente autorità giudiziaria. Su questo schifo esiste una copiosa documentazione di video e di filmati (non solo su questo Blog ma anche su Youtube). Infine un altra perla della Chiesa è lo IOR (la Banca del Vaticano) Chi si vuole documentare al riguardo legga Vaticano S.p.A. di Gianluigi Nuzzi. Si riporta dal libro: . spericolate operazioni finanziarie mascherate da opere di carità e fondazioni di beneficienza. Tutto grazie all archivio di Mansignor Roberto Dardozzi (1922-2003). Titoli di Stato scambiati per riciclare danaro sporco. I soldi di Tangentopoli, la Maxitangente Enimont sono passati dalla Banca perfino il denaro lasciato dai fedeli per le Sante Messe è stato trasferito in conti personali con le più abili alchimie finanziarie. Lo IOR ha funzionato come una banca nella banca.Una vera e propria lavanderia nel centro di Roma utilizzata anche dalla Mafia e per spregiudicate avventure politiche. Un paradiso fiscale che non risponde al alcuna legislazione diversa dal quella dello Stato del Vaticano. Tutto


in nome di Dio. A questo punto ci si chiede: come può la Chiesa ergersi a maestra di morale e di vita soprattutto nel nome di Dio? Allora Noi diciamo, per essere benevoli, cominci la Chiesa a spogliarsi dei beni che conserva in Vaticano e nello IOR (dove risiedono centinaia di miliardi! E la gente muore di fame!) Li doni ai poveri secondo il Verbo Divino e come ha fatto Gesu Cristo tanti secoli addietro. Come ha fatto S. Francesco. Cominci la Chiesa ad aiutare veramente i poveri e fare la CARITA (La carità dice di fare oggi sono solo briciole a fronte delle ricchezze che possiede) che DIO ha predicato per tanti secoli! Cominci a fare questo PRIMA e DOPO FORSE potrà parlare di uso di carità, amore verso il prossimo, immigrati, ecc.. Prima: CERTAMENTE NO! S. Agostino, tanti secoli addietro, diceva: Noli foras exire in te ipsum redi in interiore homine habitat Veritas In parole povere: FATEVI UN ESAME DI COSCIENZA. ESAMINATE PRIMA VOI STESSI E POI RIVOLGETEVI AGLI ALTRI. La Chiesa deve fare pulizia all interno del clero per togliere le mele marce se vuole essere credibile. Così come è ora incanta solo gli allocchi ed i politici interessati a tenersi buona la Chiesa che fà politica.. Noi siamo cristiani. Siamo Cattolici. Ma non apparteniamo alla Chiesa attuale. Il Nostro è un libero pensiero che combatte e segnala queste storture che avvengono nella Chiesa di Cristo.


Travaglio: minchiate Travaglio: Minchiate Guardate questo interessante video di Marco Travaglio sulla Mafia Fonte:StaffGrillo

Buongiorno a tutti. Tra un paio di giorni è l anniversario della strage di Piazza Fontana (1969), siamo a 40 anni. Il Presidente Napolitano giustamente ha detto che la strage di Piazza Fontana ci consegna una lezione che non dobbiamo mai dimenticare: ci insegna che dobbiamo evitare che in Italia i contrasti e le legittime divergenze possano sfociare in tensioni tali da minacciare la vita civile e aggiunge che ci sono ancora dei punti oscuri sulla strage di Piazza Fontana di 40 anni fa. E sottinteso, mi pare, che bisogni indagare e illuminare quei punti oscuri che caratterizzano quasi tutte le stragi politico /terroristiche e politico /mafiose, ci sarebbero anche stragi più recenti sulle quali non solo ci sono molti punti oscuri, ma c è, in questi giorni e in questi mesi, la possibilità di illuminarli e sono le stragi di mafia del 1992/1993. Presidente, e le stragi di mafia? Penso che sia una fortuna che nuovi personaggi che furono direttamente o indirettamente protagonisti di quella stagione la stiano raccontando: da Ciancimino Junior a Spatuzza e invece, a parte credo Gianfranco Fini, a nessuno è venuto in mente di dire che è cosa buona e giusta, che è un momento di grande ottimismo quello nel quale nuove voci si aggiungono a


racconti parziali e, in certi casi, nebulosi su quelle stragi. Mi piacerebbe speriamo che il Presidente della Repubblica si ricordasse che sta venendo fuori parecchia roba nuova sulle stragi del 92 /93 e che bisogna continuare a indagare, cercando di verificare se i racconti di Ciancimino, di Spatuzza e di altri sono attendibili o meno, ma in ogni caso dobbiamo essere felici che si aprano nuovi squarci nel muro di gomma, nella cortina di gomma che ha avvolto quei fatti. Mi pare che invece la classe politica sia letteralmente terrorizzata dall emergere di nuovi particolari che possono aiutarci a fare quel salto di qualità, cioè a raggiungere, finalmente, i nomi e i volti di quei mandanti a volto coperto che tutti sappiamo esserci e che le sentenze dicono esserci e che non sono ancora stati individuati, assicurati alla giustizia e puniti. Non solo c è disinteresse, ma c è addirittura un interesse convergente a che queste nuove voci vengano silenziate e queste nuove bocche vengano ricucite frettolosamente. Chi di voi ha sentito Giancarlo Caselli ieri sera parlare a Che Tempo Che Fa da Fabio Fazio, ha sentito dire una cosa che, in teoria, sarebbe ovvia, ma che in realtà è quasi rivoluzionaria, ovvero che se è vero che bisogna cercare i riscontri alle parole del pentito Spatuzza, non si può dare per scontato in partenza che Spatuzza menta: bisogna essere laici, non prevenuti né in un senso né nell altro. Aggiungo io, che non faccio il magistrato e che quindi non sono tenuto alle doverose prudenze di un magistrato, che è molto più probabile che Spatuzza dica la verità, anziché che menta: per quale motivo? Cercherò di spiegarlo oggi, perché intanto Spatuzza è già stato ritenuto attendibile dai magistrati di Caltanissetta, che hanno preso la decisione di rivedere il processo per la strage di Via D Amelio. Guardate che, quando si rivede un processo che è già arrivato a una sentenza definitiva, passata in giudicato, ossia quando si rimette in discussione una sentenza della Corte di Cassazione beh, significa che gli elementi a disposizione sono notevoli, perché altrimenti un magistrato non rinnegherebbe ciò che ha


fatto il suo ufficio, non lo rimetterebbe in discussione; sapete che, per la strage di Via D Amelio, sono stati condannati dei boss come mandanti diretti e dei killers come esecutori materiali, i quali, almeno non tutti, risulterebbero colpevoli, anche se sono già stati condannati a vari ergastoli per quella strage: perché? Perché Spatuzza ha detto quelle cose le ho fatte io e non le hanno fatte altri mafiosi pentiti che se le erano accollate, a cominciare da Scarantino, Scandura e altri , quindi il problema qui è duplice: capire chi imbeccò quei due pentiti per costringerli addirittura a prendersi la colpa di una strage come quella di Via D Amelio, che non era la loro, ci viene sempre detto che il pentito cerca di scaricare su altri, ma stiamo parlando di autocalunnia, ci sono persone che si sono accusate di aver fatto una strage che non hanno fatto, chi le ha imbeccate, chi le ha costrette? Perché immagino che soltanto con una costrizione drammatica si possa convincere uno che non ha fatto la strage Borsellino a dire sì, Borsellino e gli uomini della scorta li ho ammazzati io e questo è il primo punto. Il secondo punto è che Spatuzza dice quella strage l ho fatta io e quindi, oltre a aver sciolto un bambino nell acido e a aver fatto un altra trentina o quarantina di omicidi, ho fatto pure la strage di Via D Amelio e, secondo i magistrati della Procura di Caltanissetta, è vero e conseguentemente la sentenza, nella quale non c è Spatuzza tra i condannati come esecutori materiali, ma ci sono altri, va rivista, rifacendo il processo con un meccanismo di revisione, per fare condannare Spatuzza e scagionare quelli che non c entrano. Capite che questo è un poderoso elemento a favore della credibilità di quello che dice Spatuzza, perché quest ultimo non è soltanto un orecchiante che racconta cose che ha sentito dire su altri, quali Berlusconi, Dell Utri etc., ma è uno che intanto ti dice la strage l ho fatta io e di lì parte, non parte da Berlusconi o da Dell Utri, parte da sé stesso e è su questo sé stesso, è su queste accuse a sé stesso che viene intanto giudicata la sua attendibilità, che non è certamente stata giudicata tale a cuor leggero perché,


ripeto, prima di autosmentirsi la magistratura ci pensa due volte, deve avere degli elementi nuovi e veramente robusti. Naturalmente può essere che Spatuzza dica la verità quando accusa sé stesso della strage di Via D Amelio e che invece menta quando dice certe cose su Berlusconi e su Dell Utri: perché è più probabile che dica la verità su Berlusconi e su Dell Utri, anziché che menta su di loro? Per la semplice ragione che Spatuzza non è il primo mafioso pentito a parlare dei rapporti tra la mafia, Berlusconi e Dell Utri, ce ne sono decine che ne hanno già parlato nel corso degli anni, subito dopo le stragi saltarono fuori dei mafiosi che parlavano dei rapporti con Berlusconi e Dell Utri, durati proprio fino ai giorni delle stragi. Il primo fu Salvatore Cancemi, che non era uno Spatuzza qualsiasi, non era un killer, era un membro della cupola, era uno dei capi di Cosa Nostra e raccontò che Riina parlava di coperture da parte di persone importanti per le stragi e che quelle persone importanti erano Dell Utri e Berlusconi e, per quella ragione, insieme a molti altri collaboratori di giustizia che raccontavano trenta anni di rapporti tra il gruppo Berlusconi/ Dell Utri e la mafia, furono aperte indagini per concorso in strage, furono aperte indagini per mafia, per riciclaggio che poi finirono tutte archiviate non perché si fosse trovata la prova che non era vero, ma perché non si erano trovate abbastanza prove del fatto che fosse vero: non tutto quello che dicono i pentiti può essere riscontrato, visto che sono passati anni rispetto ai fatti che raccontano, ma non è che se una cosa non è riscontrata allora è falsa, una cosa può essere vera ma non essere riscontrata e quindi il giudice non la può utilizzare nel processo; oppure una cosa può essere vera e riscontrata, ma non sufficiente per portare a giudizio una persona sulla base di quelle accuse che sono ritenute troppo friabili. Archiviazione vuole dire proprio questo e i giudici lo scrissero: non abbiamo più tempo per indagare, perché sono scaduti i termini dell indagine preliminare. Arrivati alla fine di quest indagine non abbiamo elementi sufficienti per portare questi signori a processo , ma per esempio la Procura


di Firenze scrisse che gli elementi a carico nel corso delle indagini avevano aumentato la loro plausibilità, ossia era molto plausibile che quelle accuse fossero vere, stiamo parlando delle stragi del 93, Milano, Roma e Firenze, ma ancora non sufficienti per giustificare un rinvio a giudizio, archiviazione significa mettiamo in freezer e vediamo se, nel frattempo, arrivano elementi nuovi, riapriamo l indagine e è proprio quello che probabilmente hanno fatto o stanno per fare i magistrati di Firenze e di Milano, che lavorano sulle stragi del 93 e i magistrati di Caltanissetta, che lavorano sulle stragi del 92. Spatuzza: l ultimo tassello di un mosaico già iniziato Spatuzza non è un caso isolato, non è un fulmine a ciel sereno, dice oddio, c è un mafioso che racconta che Berlusconi e Dell Utri avevano rapporti con la mafia anche nel periodo delle stragi, chi l avrebbe mai detto?! , assolutamente no, Spatuzza è l ultimo francobollino in un mosaico già pieno di tessere riempite, Dell Utri è stato condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa dal Tribunale di Palermo nel 2004, quando Spatuzza ancora non parlava: segno evidente che c era già un sacco di roba su Dell Utri. Spatuzza fornisce altri particolari molto utili, in quanto Spatuzza era il braccio destro dei Graviano, che sono quelli che materialmente si sono occupati della strage di Via D Amelio e delle stragi del 93 e che, guarda caso, abbandonarono Palermo e si trasferirono in pianta stabile a Milano, dove avevano dei grossi investimenti e, quando leggevano Il Corriere della Sera o, scusate, Il Sole 24 Ore per seguire i listini di borsa, erano molto attenti all andamento delle azioni del gruppo Berlusconi. E poi va beh, c è il famoso racconto che è tutto da riscontrare, di Spatuzza che incontra al Bar Doney di Via Veneto i Graviano i quali, alla fine del 93 inizio del 94, gli dicono siamo a posto , erano felici , dice Spatuzza, ci siamo messi il Paese nelle mani grazie a quello di Canale Cinque e al nostro compaesano che, secondo Spatuzza, sono rispettivamente Silvio Berlusconi e Marcello Dell Utri. Queste sono le cose che vanno


riscontrate, insieme a una serie di altri particolari: particolari che Spatuzza non lesina, avete sentito con quale precisione meticolosa racconta come era formato l esplosivo che doveva fare detonare l autobomba allo Stadio Olimpico nel gennaio del 94, quando invece la bomba non funzionò la prima volta e la seconda volta fu poi annullata, in coincidenza con la discesa in campo del Cavaliere. Il gioco che sta facendo l informazione, quella robaccia che chiamiamo informazione e che vedete a reti unificate in televisione, che leggete sulla stragrande maggioranza dei giorni, è proprio questo, è l effetto vuoto: non hanno mai voluto parlare del processo Dell Utri, la sentenza Dell Utri è un oggetto misterioso, nessuno la conosce, salvo quelli che hanno letto qualche libo per altro fatto da Gomez e da me: non lo dico per vantarmi, ma è semplicemente un dato di cronaca. Non so quali altri libri contengano amplissimi stralci della sentenza Dell Utri, non mi ricordo, non mi pare che i giornali gli abbiano dedicato grande spazio, quando uscirono le motivazioni nel luglio del 2005. Su Il Fatto Quotidiano nei prossimi giorni regaleremo un inserto con gli estratti principali della sentenza Dell Utri: uno la legge e dice cavolo, ma qui c è ben di più di quello che dice Spatuzza! . I giudici del Tribunale di Palermo hanno scritto cose infinitamente più pesanti di quelle che ha detto il pentito Spatuzza, soltanto che non hanno avuto eco: perché non hanno avuto eco? Perché un conto è una cosa scritta da un Tribunale, per cui quando uno la legge dice beh, cavolo, non è definitiva questa sentenza, però intanto l hanno scritta tre giudici del Tribunale di Palermo , uno dei quali è Leonardo Guarnotta, Presidente del collegio, che era il braccio destro di Falcone e Borsellino dentro il pool dell ufficio istruzione di Palermo, non stiamo parlando di una toga rossa sfegatata o di un giudice improvvisato, stiamo parlando del pool di Falcone, di uno dei pochi superstiti del pool di Chinnici e poi di Caponnetto. Se uno la legge l effetto è drammatico, i giudici del Tribunale di Palermo scrivono che Dell Utri è organicamente inserito in un contesto mafioso da trenta anni,


se invece uno legge Spatuzza va beh, gli si può sempre raccontare sì, ma questo ha sciolto i bambini nell acido, ha fatto le.. non possiamo mica fidarci di lui, quando parla di Berlusconi e di Dell Utri , invece dobbiamo fidarci di lui quando dice che ha fatto lui la strage, perché nessuno potrebbe mai teorizzare va beh, ci sono alcuni condannati all ergastolo che con la strage non c entrano niente, sono stati condannati per quella strage, sono in galera per una strage che non hanno fatto, ma poiché sono passati troppi anni lasciamo perdere, perché altrimenti Spatuzza poi ha ragione e, se gli diamo ragione su una cosa, diventa più difficile dargliela anche sull altra , è questo il garantismo? Tenere in galera all ergastolo persone che non hanno fatto la strage e che sono state condannate per sbaglio per una strage e non riaprire il processo, soltanto perché la colpa se la prende Spatuzza? Possiamo tagliare i pentiti a metà, come faceva Silvan con le donne? Il pentito tagliato a metà: dalla cintola in giù va bene, dalla cintola in su non va bene? E questo che si vuole?! Se leggete i giornali, è esattamente questo che si vuole: nessuno mette in dubbio Spatuzza quando racconta per filo e per segno la storia della macchina, del blocco motore, dell autobomba di Via D Amelio, quello nessuno l ha mai messo in discussione, su quello nessuno chiede riscontri, super riscontri etc., sul resto non solo si chiedono riscontri, che sarebbero giusti, ma si dice minchiate : è il titolo dell altro giorno di Feltri e di Belpietro su Il Giornale e su Libero, gli house organ, e è la stessa parola usata da Dell Utri, minchiate. Si dice che Spatuzza, quando parla della strage, parla di una cosa che ha fatto lui e quindi ci possiamo fidare, quando parla invece dell incontro del bar, ammesso e non concesso che ci sia stato l incontro del bar, comunque lui riferisce una cosa che gli hanno detto i Graviano. A parte che è abbastanza probabile che il killer prediletto dai Graviano parlasse con i Graviano, che stavano, in quel periodo, tra Roma, Milano, Venezia e la Costa Smeralda, Porto Rotondo casualmente, ma il de relato creerebbe un problema, dice glielo hanno detto quelli lì e allora


andiamo a vedere nella sentenza di Dell Utri se c è qualche mafioso che racconta una cosa che ha visto e ha fatto lui con i suoi occhi. Sì, ce ne sono parecchie: a parte il fatto che nel processo Dell Utri, quest ultimo non è stato condannato per la parola dei pentiti, si potrebbero anche prendere i pentiti e espungerli da quel processo e la sentenza reggerebbe lo stesso, perché si regge anche su elementi oggettivi, come il libro mastro trovato nel covo della famiglia di San Lorenzo a Palermo, la famiglia mafiosa di San Lorenzo, con scritta una cifra e vicino Canale Cinque , un versamento che la Fininvest faceva per le antenne di Canale Cinque nel quartiere di San Lorenzo alla mafia; hanno trovato le agende di Dell Utri, nelle quali risultavano appuntamenti a Milano con Mangano dopo le stragi, quando Mangano era capo della famiglia di Porta Nuova, che oggi sappiamo da Spatuzza essere l alleata prediletta dei Graviano, che stavano facendo le trattative. Ci sono intercettazioni telefoniche del boss Guttadauro, che parla degli accordi presi da Dell Utri con un capomafia che si chiama Gioacchino Capizzi, parliamo di intercettazioni registrate, ma troverete tutto nella sentenza che pubblichiamo su Il Fatto Quotidiano, intercettazioni in un autoscuola con gli uomini di Provenzano dentro una macchina dell autoscuola, che parlano delle elezioni europee del 99 e dicono dobbiamo sostenere Dell Utri, altrimenti i giudici lo fottono, cioè lo dobbiamo mandare al Parlamento Europeo, altrimenti lo arrestano . Quando Berlusconi e Dell Utri incontravano il capo di Cosa Nostra Abbiamo degli elementi oggettivi che non c entrano niente con la parola dei pentiti che va e che viene, ma dato che l episodio ci racconta come è iniziata questa lunga trentennale storia di rapporti con la mafia, è interessante sentirlo raccontare dal diretto interessato, dal testimone oculare, da quello che partecipava a quell episodio, perché siamo intorno al 1974, quando Vittorio Mangano viene assunto come fattore, amministratore soprastante, si dice da quelle parti, della villa di Arcore, prelevato in Sicilia da


Dell Utri e portato a Milano, segnalato da Gaetano Cinà, che è considerato un mafioso della famiglia dei Malaspina e che è, guarda caso, uno dei migliori amici di Dell Utri e, prima che Mangano venga assunto da Berlusconi nella sua villa, c è un incontro a Foro Bonaparte negli uffici della Edilnord di Berlusconi, tra i capi della Fininvest, dell Edilnord e i capi della mafia, che all epoca erano Stefano Bontate e Mimmo Teresi e c era pure Francesco Di Carlo. Quest incontro non è così un vaneggiamento, è un incontro al quale Di Carlo partecipa, lo racconta con particolari molto vividi e molto precisi e i giudici del Tribunale di Palermo ritengono che quell incontro ci sia stato e è lì che inizia tutto. Questo piccolo brano della sentenza sarebbe bene conoscerlo e tenerlo sempre presente in questi giorni, quando si sente dire uh, uh, figuriamoci Spatuzza! , se uno mette insieme questa storia come è cominciata e il racconto di Spatuzza, che ci dice come è finita, ammesso che sia finita, perché forse non è finita, sapete che regna il terrore a Roma e a Arcore che si pentano i fratelli Graviano, che sono quelli che hanno fatto le stragi, ma sono anche quelli che nel 2004 dicono a Spatuzza in carcere o qui ci danno qualcosa cioè ci alleviano un po questo regime carcerario o sennò bisognerà andare a parlare con i magistrati di questi signori che hanno preso impegni e non li hanno mantenuti! , il clima è lo stesso che precedette l omicidio di Salvo Lima, quello che nella Prima Repubblica faceva le promesse e, a un certo punto, non è più riuscito a mantenerle. Spatuzza ha iniziato a parlare, i Graviano no, ma si teme che quel no sia un non ancora e allora è interessante vedere come è iniziata e abbiamo la fortuna di avere un testimone oculare di come è iniziata, già riscontrato dal Tribunale di Palermo: Francesco Di Carlo, il boss dei due mondi, il capo della mafia di Altofonte, quello che è stato tra l altro accusato poi il processo per il momento non ha portato alle condanne di avere addirittura impiccato Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati Neri. Dicono i giudici che già nei primi anni 70 sentenza Dell Utri dicembre 2004 la mafia era sbarcata a Milano, organizzando scrivono


numerosi sequestri di persona a scopo di estorsione, in relazione ai quali si deve univocamente intendere la funzione di garanzia e protezione che Mangano era chiamato a svolgere a tutela della sicurezza del suo datore di lavoro e dei suoi più stretti familiari . Berlusconi ha paura dei sequestri, invece di rivolgersi ai Carabinieri si rivolge direttamente a quelli che i sequestri li facevano, ossia i mafiosi in trasferta a Milano. Gaetano Cinà, detto Tanino, svolgeva tra la mafia a Palermo e a Milano scrivono i giudici un ruolo di intermediazione, come dimostra un episodio cardine: l incontro di Berlusconi con Stefano Bontate , non il presunto incontro: i giudici di Palermo nella sentenza di Dell Utri scrivono l incontro di Berlusconi con Stefano Bontate, capo supremo della mafia in quel periodo, fino al 1980 /81 , quando poi ci fu la guerra di mafia i corleonesi sterminarono gli uomini di Bontate, Teresi, Inzerillo etc.. L incontro di Berlusconi con Stefano Bontate, organizzato proprio per l interposizione degli odierni imputati, Cinà e Dell Utri, sul quale ha riferito Di Carlo Francesco all inizio della sua collaborazione: nel 1976 Francesco Di Carlo diventa il capo della famiglia mafiosa di Altofonte, lo rimane fino alla fine degli anni 70, poi viene ricercato, si dà alla latitanza e, nel 1985, viene arrestato in Inghilterra per un grande traffico internazionale di droga e viene condannato a 25 anni dalla magistratura inglese. Nel 1996, tredici anni fa, inizia a collaborare con la magistratura. Di Carlo scrivono i giudici ha riferito dei buoni rapporti di amicizia intrattenuti nel tempo con Cinà. Tramite Cinà aveva avuto modo di conoscere Dell Utri, presentatogli amichevolmente dal Cinà nei primi anni 70, in un bar vicino al negozio gestito dallo stesso Cinà , il quale a Palermo aveva una lavanderia e un negozio di articoli sportivi in Via Archimede. A breve distanza dalla sua presentazione a Dell Utri, il collaborante Di Carlo aveva incontrato a Palermo il Cinà, mentre questi Cinà era in compagnia di Stefano Bontate e Mimmo Teresi, il numero uno e il numero due della mafia. Dovendo tutti recarsi a Milano nei giorni successivi, proposero di incontrarsi nella


città lombarda e si diedero appuntamento negli uffici che Ugo Martello che era un uomo delle cosche che risiedeva a Milano aveva in Via Larga, nei pressi del duomo di Milano. Dopo aver pranzato insieme al ristorante vicino al duomo di Milano quindi partono i mafiosi, vanno a Milano a Di Carlo venne proposto di accompagnarli a un incontro che avrebbero avuto di lì a poco con un industriale, tale Silvio Berlusconi e con Dell Utri e ecco l incontro. Dell Utri li accolse in quest ufficio Edilnord, Foro Bonaparte- e li condusse in una sala dove attesero l arrivo di Berlusconi, con il quale cominciarono poi a parlare di edilizia , non so se vi è chiaro, Stefano Bontate, Mimmo Teresi e Francesco Di Carlo, i capi della mafia, vanno a Foro Bonaparte, sede dell Edilnord, vengono accolti da Marcello Dell Utri e, a un certo punto, arriva Silvio Berlusconi e si tiene questo vertice tra i capi della mafia e i capi della Edilnord, uno dei quali oggi è il nostro Presidente del Consiglio e l altro è un parlamentare della Repubblica Italiana. Dice Di Carlo, ricordando perfettamente quell incontro vedrete i particolari a venirci incontro è stato proprio Dell Utri e ci ha salutati: una stretta di mano, con Tannino Cinà si è baciato, con gli altri si è baciato, con me no , conosceva gli altri, Di Carlo lo conosceva meno, il bacio è il saluto che si fa tra mafiosi o amici dei mafiosi. Pensate se oggi Spatuzza dicesse di aver visto Dell Utri baciare qualche mafioso: scandalo, orrore , direbbe ah, ah, ricominciano con il bacio! . Bene, qui c è già un incontro, nel 74, con baci e ribaci, riscontrato dai giudici del Tribunale di Palermo; con Grado- c era anche Nino Grado, un altro mafioso che lavorava a Milano e era proprio un grande incontro, un summit- che si conosceva bene, hanno avuto battute di scherzo, si è baciato (Dell Utri) anche con Stefano Bontate, il capo della mafia. Dopo un quarto d ora è spuntato questo signore sui 30 anni e rotti e hanno presentato il Dott. Berlusconi a tutti , arriva un giovane Berlusconi, certo non era quello di adesso senza capelli, aveva i capelli, era un castano chiaro, maglioncino a girocollo, una camicia sotto, un


pantalone jeans , sportivo era comunque , dice Di Carlo, tant è che alla fine Cinà disse stamattina hanno fatto un ora come le donne a truccarsi, a pitturarsi: Bontate e Teresi sembrava.. chi dovevano incontrare? E quello è venuto in jeans e maglioncino , loro si erano messi tutti in tiro da cerimonia e arriva Berlusconi sportivo. Ci hanno offerto il caffè è sempre Di Carlo che racconta e, quando arriva Berlusconi, cominciano a parlare di cose più serie: lavoro, ognuno che attività faceva, Teresi stava facendo due palazzi a Palermo, lei, dottore, sta facendo una città intera, Milano 2 e lui non c è molta differenza tra organizzare un amministrazione, curarne due o curarne venti , Berlusconi ha fatto dieci o venti minuti di parlare, ci ha dato una lezione economica e amministrativa i soliti pipponi che attacca Berlusconi in questi casi perché aveva in costruzione una città 2, come chiamavano Milano 2 . I giudici proseguono: durante l incontro venne affrontato anche il discorso della garanzia , cioè di Mangano che diventava la garanzia di Berlusconi contro possibili attività mafiose nei suoi confronti, e bisogna anche vedere in cambio che cosa fornisce il Cavaliere in cambio di quella garanzia Bontate rassicurò il suo interlocutore (Berlusconi), valorizzando la presenza al suo fianco di Dell Utri e garantendo il prossimo invio di qualcuno , qui non c è ancora Mangano presente, non hanno ancora designato Mangano come garanzia dentro la casa di Berlusconi per conto della mafia. Racconta ancora Di Carlo: a Milano succedevano un sacco di rapimenti perché, quando c era Liggio fuori (Luciano Liggio), quello aveva intenzione di portarsi tutti i soldi del nord a Corleone, grassava gli imprenditori sequestrandoli, prendendo il riscatto e portando giù i loro soldi. Aveva ragione Berlusconi a essere preoccupato: hanno parlato che lui aveva dei bambini, dei familiari, che non stava tranquillo e avrebbe voluto una garanzia. Berlusconi ha detto a Stefano (Bontate): Marcello mi ha detto che lei può garantirmi questo e altro (Marcello è Dell Utri) e allora Stefano Bontate ha detto lei può stare tranquillo, se dico io che può stare tranquillo deve dormire


tranquillo - eh, sono il capo della mafia! - lei avrà persone molto vicine che, qualsiasi cosa lei chiede, avrà fatta e lei rassicurandolo : lei avrà persone molto vicine che, qualsiasi cosa lei chiede, avrà fatto. Poi ha un Marcello qua vicino , gli dice Bontate, c è Dell Utri qua vicino a lei, per qualsiasi cosa si rivolge a Marcello , Marcello dei nostri e dei suoi contemporaneamente, no? Quindi più sicuro di così.. , perché Marcello è molto vicino a noi altri , dice Stefano Bontate a Silvio Berlusconi, noi di Cosa Nostra prima minacciavamo e poi ci andavano a fare la garanzia , dice Di Carlo. La mafia che fa? Ti minaccia e poi ti dice ti garantisco io contro le mie stesse minacce , è la tipica estorsione. Era una cosa normale in Cosa Nostra, altrimenti che bisogno ha uno di chiedere di chiedere protezione se la sua incolumità non è messa in dubbio? . Dunque, scrivono i giudici, ci fu una richiesta di protezione al Bontate e Berlusconi chiede di essere protetto da Bontate, ma Bontate fece una proposta a Berlusconi a conferma delle aspettative che il capo di Cosa Nostra riponeva in questo primo contatto , avevano agganciato un grosso palazzinaro del nord che stava costruendo un intera città, grazie a Dell Utri e a Cinà che li avevano messi in contatto. Di Carlo dice, nell interrogatorio al processo, Bontate ci ha detto a Berlusconi ma perché non viene a costruire a Palermo, in Sicilia? e Berlusconi che cosa gli risponde? Con una battuta, un sorriso sornione, ma come? Debbo venire proprio in Sicilia? Ma come? Qua con i meridionali e i silicani ho problemi qua e debbo venire là? e Stefano Bontate ci ha detto ma lei è il padrone quando viene là, siamo a disposizione per qualsiasi cosa , Berlusconi, anche lui, alla fine, ci ha detto che era a disposizione per qualsiasi cosa: quello che serve a voi ve lo do io, quello che serve a me, me lo date voi , questo è il rapporto. Gli interessi convergenti di Bontate e Berlusconi Berlusconi alla fine ci ha detto che era a disposizione per qualsiasi cosa anche lui: lo dicevano a Marcello, quello che dovevano chiedere lo chiedevano a Marcello, Marcello lo


chiedeva a lui e lui faceva. Bontate ebbe una buonissima impressione e dice Cosa Nostra dobbiamo incominciare a farla ingrandire, un giorno cominciamo a combinare cioè a affiliare alla mafia gente fuori dalla Sicilia, perché ce ne sono tanti che discutono meglio dei siciliani , vuole addirittura affiliare gente non siciliana alla mafia, gli sono piaciuti questi contatti con questo milanesino sportivo. Quello che accade subito dopo lo ricostruisce il Tribunale e dice che il racconto di Di Carlo è nitido, preciso e pienamente compatibile con il resto delle emergenze processuali , quindi i riscontri ci sono. Una volta usciti dagli uffici, Cinà si era rivolto a Teresi e a Bontate e, facendo riferimento alla persona che avrebbe potuto essere mandata a Arcore, fece il nome di Mangano Vittorio, conosciuto dallo stesso Di Carlo come un uomo d onore della famiglia di Porta Nuova, in quegli anni aggregata al mandamento di Stefano Bontate , in quel periodo Mangano era un uomo di Bontate. Di Carlo ha riferito che Cinà, rispondendo a una sua domanda.. dice, Di Carlo, mi ha detto (Cinà) che c era Vittorio Mangano, ci avevano messo vicino a Berlusconi, non certamente come stalliere, non offendiamo il signor Mangano, perché Cosa Nostra non pulisce stalle a nessuno, non fa lo stalliere a nessuno, Cosa Nostra ha un potere enorme e allora hanno messo a abitare lì a Milano, trafficava nello stesso tempo e si faceva la figura che Berlusconi aveva qualcuno vicino di Costa Nostra e Stefano l aveva vicino. Berlusconi aveva vicino Mangano e Stefano aveva vicino Berlusconi . Di Carlo ha riferimento che in seguito, in relazione a quest incontro milanese, Cinà gli aveva manifestato il suo imbarazzo, perché gli era stato detto di chiedere 100 milioni a Berlusconi. Intorno al 77 /78 stiamo parlando di un periodo dove Mangano ormai non è più a Arcore, Mangano è a Arcore dal 74 al 76, poi se ne va a abitare in un albergo a Milano Cinà aveva chiesto il suo interessamento (di Mangano), in quanto Dell Utri si era nuovamente rivolto a lui per il problema relativo all installazione delle antenne per la diffusione del segnale


televisivo , stavano riempiendo l Italia di antenne per Canale Cinque. Anche in quel caso le somme corrisposte a Cosa Nostra erano a titolo di garanzia . Ora che Di Carlo dica la verità in merito all incontro milanese tra Bontate e Berlusconi, per i giudici lo dimostrano le dichiarazioni di altri collaboratori: Antonino Galliano racconta che Cinà gli disse tutto, dall incontro milanese tra Berlusconi e Bontate alla diretta corresponsione di somme di denaro in favore di Cosa Nostra, Berlusconi o la Fininvest, o qualcuno dei suoi, pagavano regolari somme a Cosa Nostra e infatti, come vi ho detto, in un libro mastro trovato nella sede della cosca di San Lorenzo a Palermo trovano una cifra con scritto vicino Canale Cinque, regalo , non era quindi il pizzo chiesto da Cosa Nostra, era un regalo che la Fininvest faceva ai mafiosi della cosca di San Lorenzo, dove sorgevano alcuni ripetitori. Salvatore Cucuzza un altro pentito ha riferito confidenze ricevute da Mangano del tutto analoghe, anche sulle periodiche somme di denaro pari a 50 milioni di lire l anno, versate a Costa Nostra da Berlusconi e inizialmente ritirate da Mangano, delle quali parlano anche Francesco Scrima e Francesco La Marca, altri due pentiti, in ordine alle lamentele del Mangano per la mancata successiva percezione di queste somme , ogni tanto si dimenticavano di pagare. E poi c è il finanziere Rapisarda che racconta come Bontate riciclò i soldi delle cosche nelle aziende, nei cantieri e nelle televisioni di Berlusconi, ma questo è un altro capitolo. Immaginate se qualcuno avesse mai raccontato queste cose: oggi, a sentire Spatuzza, uno direbbe ma è acqua fresca rispetto a quello che c è! , invece purtroppo nessuno ha mai raccontato queste cose e, quando qualcuno ha osato raccontarle, è stato sbattuto fuori dalla televisione, come è successo a Luttazzi, come è successo a Biagi e come è successo a Michele Santoro. Abbiamo un lungo vuoto televisivo, grazie all editto bulgaro, che fa sì che oggi si fatichi a recuperare il tempo perduto, ammesso che qualcuno lo voglia fare giovedì sera a Annozero credo che parleremo di questi temi e così, quando Spatuzza


riprende quel filo, in realtà nessuno lo conosce quel filo e sembra un fulmine a ciel sereno, un fungo spuntato all improvviso a dire delle cose assolutamente incredibili, mentre in realtà se le cose sono cominciate come vi ho letto, le cose che dice Spatuzza sono ampiamente credibili, la mafia aveva bisogno di qualcuno che prendesse il posto della Prima Repubblica, che stava ormai alla frutta. Seguite Il Fatto Quotidiano, perché questa settimana daremo molte informazioni anche su questi temi, mi permetto di darvi due suggerimenti, anzi tre, visto che forse è un periodo in cui qualcuno pensa a che cosa regalare a Natale agli amici: naturalmente il primo regalo che vi suggerisco è un abbonamento da regalare agli amici a Il Fatto Quotidiano, magari al versione on- line oppure alla versione postale, se andate sul nostro sito abbiamo anche il nuovo blog antefatto.it, nuovo di zecca, con tutte le iniziative per gli abbonamenti natalizi, c è quello che vi ho già segnalato la settimana scorsa, il dvd Democrazya , che in realtà è impronunciabile perché c è crazy dentro a crazia , crazy vuole dire che siamo un Paese di pazzi, ovviamente questo è il diario politico di quest anno, che è stato fatto con dei contributi filmati e il meglio, o almeno quello che ci è sembrato il meglio, di Passaparola, Democrazya 2009 , trovate sul blog di Beppe e anche su voglio scendere tutte quante le istruzioni e poi vorrei iniziare una piccola abitudine, quella di segnalare dei libri di informazione che possono servire. Questa settimana vi segnalo Come funzionano i servizi segreti: dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro , è scritto da un grandissimo esperto di servizi che sta dalla parte giusta, naturalmente, e che è il professor Aldo Giannuli. Il libro è pubblicato da Ponte alle Grazie, Come funzionano i servizi segreti e poi, naturalmente, continuate a leggere Il Fatto Quotidiano. Passate parola. NOSTRO COMMENTO: Fate girare questo interessante video di Marco.



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.