Dedicato ad Aurelio Peccei

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Aurelio Peccei: evitare il malpasso dell'Umanità Evitare il malpasso dell'Umanità Prendere su di sé la responsabilità per il bene comune Cent'anni fa nasceva Aurelio Peccei, uomo d'impresa illuminato, capace di una visione globale, precursore della necessità di sviluppo sostenibile, teorizzato con largo anticipo rispetto alla Conferenza internazionale sull'ambiente di Rio de Janeiro. Ne ricordiamo la figura e l'opera, svolta, in questo settore, attraverso quel Club di Roma di cui ricorre il quarantennale della fondazione. La catena del pensiero corre immediata da Aurelio Peccei al Club di Roma, alla ricerca sui "I limiti dello sviluppo", commissionata al MIT (Massachusset Institute of Technology). La collocazione temporale ci porta ai primi anni S ettanta del secolo scorso e si inserisce in un clima generale che ha spostato la sua attenzione e l'allarme sui temi ambientali, su come l'Umanità sta ignorando gli effetti negativi che l'epoca della veloce espansione industriale e dell'improvviso irrompere del benessere nelle società occidentali rischia di portare con se per le ricadute sugli equilibri naturali e sull'ambiente in generale. La nascita di una coscienza ecologica La coscienza ecologica che ha rivelato i suoi primi fermenti a partire dal dopoguerra e che dagli anni Sessanta si è fortemente sviluppata negli Stati Uniti arriva anche nel vecchio continente. In libreria compaiono le traduzioni dei libri di Rachel Carson, primo tra tutti "Silent Spring/Primavera silenziosa", coraggiosa denuncia dei danni ambientali provocati dall'industrializzazione dell'agricoltura che porta con sé il massiccio impiego di prodotti chimici per la produzione (fertilizzanti) e per la difesa delle colture (pesticidi), piuttosto che di quelli di Barry Commoner, mentre a supporto arrivano i primi saggi targati "The Ecologist" con Goldsmith e Allen di "La morte Ecologica" e il contributo francese con Renè Dumont, "L'utopia o la morte". Il messaggio è raccolto, in Italia da una schiera di studiosi e di giornalisti, da Dari o Paccino ad


Alfredo Todisco, da Giorgio Nebbia a Mario Fazio, da Antonio Cederna a Fabrizio Giovenale… In questa atmosfera di presa di coscienza generalizzata sulle tematiche ambientali e sui rischi per il Pianeta Terra le associazioni ambientaliste stor iche si rafforzano, mentre ne nascono altre di timbro più politico e militante destinate a nutrire quel movimento ecologista che approderà poi nella deludente esperienza politica dei Verdi. Un quadro in cui Aurelio Peccei rappresenta se non una anomalia, a lmeno una curiosa eccezione, ponendosi come illuminato rappresentante dell'imprenditoria che si domanda, responsabilmente, quale sarà l'impatto che l'era industriale avrà sul futuro in termini di consumo degli spazi e delle risorse a confronto con i limiti del Pianeta. Il suo pensiero è stato a lungo osteggiato da un imbarazzante silenzio che sembra tuttora permanere in una classe dirigente che si ostina a ignorarne la portata per il nostro futuro. La tesi di partenza è, apparentemente, molto semplice: occ orre immaginare un governo della crescita che non si può pensare infinita in un mondo che ha confini precisi. Tra le riflessioni che il rapporto del Club di Roma evidenzia, vi sono quelle sull'esplosione demografica e sul rapporto tra Paesi sviluppati e Su d del mondo. La bomba demografica Il primo è tema nodale, punto di partenza per ogni seria riflessione sui limiti delle crescita. «Mettete dei batteri in una provetta, con nutrimento e ossigeno ed essi prolificheranno in modo esplosivo, raddoppiando di numero ogni venti minuti circa, fino a formare una massa visibile e solida. Ma a un certo punto la moltiplicazione cessa, man mano che i microbi vengono avvelenati dai loro stessi prodotti di rifiuto. Nel centro di questa massa verrà così a costituirsi un nu cleo di batteri morti o morenti, tagliati fuori dal nutrimento e dall'ossigeno del proprio ambiente dalla solida barriera dei


loro vicini. Il numero dei batteri viventi si ridurrà quasi a zero, a meno che le materie di rifiuto non vengano eliminate. L'umanità si trova oggi in una situazione simile. La popolazione sta aumentando in maniera esplosiva, ma i prodotti di rifiuto della tecnologia cominciano a esigere il loro tributo. Le materie inquinanti che avvelenano l'aria e l'acqua non sono soltanto uno sgra devole sottoprodotto delle tecnologia, esse costituiscono una minaccia per la vita, proprio perché l'incremento demografico è stato così anormalmente rapido. Queste materie nocive fanno parte del meccanismo di reazione con il quale la natura cerca di frena re una crescita eccessiva. Lo sfacelo finale della popolazione, quando le difficoltà su larga scala diverranno schiaccianti, deve ancora arrivare. Se l'esperienza di altre specie può servire da esempio, la popolazione sarà ridotta all'incirca a un terzo della sua cifra massima. In tutte le forme di vita animale si notano periodiche esplosioni demografiche. Queste terminano tutte con un crollo». È l'evocativo inizio del primo capitolo "L'uomo, questo microbo", de "La società suicida" di Gordon R. Taylor, che entra a piedi giunti nel nocciolo del problema: la crescita demografica senza limiti. Argomento ancora oggi tabù se è vero che tuttora un noto e ascoltato formatore d'opinione come il giornalista Piero Angela percorre l'Italia a presentare un libro che po ne l'accento e l'allarme sul presunto declino delle nascite, che porterebbe a un paese di vecchi e all'impossibilità di pagare loro le pensioni… Informazione del tutto priva di fondamento se si decidesse - come correttezza scientifica vorrebbe - di considerare, nelle cifre della statistica demografica, anche i cittadini immigrati e i loro figli. Come con caparbia ostinazione ci avverte, tra i pochi, Giovanni Sartori dalle pagine del Corriere della Sera: «La semplice verità e che la fame sta vincendo perché ci rifiutiamo di ammettere che la soluzione non è


aumentare il cibo ma diminuire le nascite e cioè le bocche da sfamare. La Fao, la Chiesa e altri ancora si ostinano a credere che 6 -8 miliardi di persone consentano uno sviluppo ancora sostenibile. No. Più mangianti si traducono oggi in più affamati. I 30 mila bambini che muoiono di fame ogni giorno li ha sulla coscienza chi li fa nascere. [...] Provo ogni tanto a ricordare che all'origine di tutti i nostri mali, ivi incluso il disastro ecologico, sta l'espl osione demografica. [...] Ma è un predicare al vento. Sul punto si è creato un blocco mentale. L'argomento è tabù, è religiosamente scorrettissimo e proprio non se ne deve parlare. E così continuiamo a essere impegnati in una rincorsa inevitabilmente perdente, insensata e anche suicida». I limiti della crescita riguardano anche la popolazione umana tanto più se la tendenza è verso una sua regolamentazione consapevole e non ci rassegniamo invece alla fatalistica necessità di regolatori esterni: carestie, epi demie, guerre, catastrofi più o meno naturali… L'affidamento fideistico a taumaturgiche capacità di autoregolazione dei sistemi non è perseguibile e assai raramente si verifica. Stiamo per sperimentare sulle nostre vite le conseguenze drammatiche della cri si dei mercati finanziari, nonostante i profeti del neoliberismo senza limiti magnificassero, tranquillizzandoci, le capacità di autoregolamentazione dei mercati. Com'è finita lo stiamo vedendo e subendo. Storia di Aurelio Aurelio Peccei nacque 1908 a Torino da una famiglia di ispirazione socialista. Presso l'Università della città subalpina si laureò, in Economia, nel 1930. Quindi frequenta la Sorbonne grazie ad una borsa di studio e si aggiudica un viaggio premio in Unione Sovietica; a metà degli anni Trenta, entra in FIAT, che gli affida un incarico direttivo in Cina, a Shanghai e Nanchang. È l'avvio di una carriera di top manager destinato a


portarlo in ogni angolo del mondo; se non che c'è di mezzo la Seconda Guerra Mondiale. Ritornato in Italia alla vigilia del conflitto Aurelio Peccei diviene presto un attivo sostenitore del movimento antifascista aderendo a "Giustizia e libertà"; partecipa alla Resistenza, viene arrestato e torturato. Con il ritorno della pace e la vittoria della democrazia repubblicana torna a impegnarsi in Fiat e per la ricostruzione del Paese partecipando, tra l'altro, alla costituzione di Alitalia. Ma la sua innata aspirazione lo porta a cercare orizzonti più ampi e sposta nuovamente il baricentro delle sue attività all'estero. N el 1949 è incaricato dal gruppo FIAT di rilanciarne la presenza in America Latina. Per un decennio è in Argentina, dove fonda la "FIAT Concord", ben presto destinata a diventare una delle industrie automobilistiche più importanti del Sudamerica. Nel frattempo continua a coltivare il suo interesse per le sorti dell'umanità; una predisposizione che diventerà il timbro di un'esistenza segnata da un alto senso di responsabilità nei confronti del mondo. Scrive nella sua autobiografia: «Per i problemi e le situaz ioni locali e nazionali esistono sindaci, ministri, deputati, senatori – anche generali – e tutta una schiera di altre autorità, e ogni sorta di istituzioni e di organismi che si suppone se ne prendano cura. Invece nessuno è, o sembra sentirsi, realmente responsabile per lo stato del mondo, e quindi nessuno è disposto a fare per esso qualcosa più degli altri, anzi ognuno cerca di battere gli altri nel trarne il massimo vantaggio». Un atteggiamento che lo porterà, nel 1958, a fondare, l'Italconsult, gruppo d i consulenza ingegneristica ed economica per i Paesi in via di sviluppo che, sotto la sua guida operò per lo più senza fini di lucro. Nel 1964, il ritorno in Italia, alla guida dell'Olivetti che seppe risollevare da un momento di crisi. Il risultato di queste esperienze lo seppe mettere a frutto diventando uno dei promotori dello


IIASA (International Intitute of Applied System Analysis) con sede a Laxenburg, in Austria. L'Istituto, era destinato a svolgere un importante ruolo di collegamento tra Oriente e O ccidente, visto il coinvolgimento degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, con la partecipazione di paesi dei rispettivi blocchi. Fu così che lo IIASA divenne luogo d'incontro per studiosi e scienziati di differenti nazionalità, favorendo il collegamento nel mondo scientifico e producendo importanti studi in settori strategici quali l'agricoltura, l'energia, i cambiamenti climatici. È questo il periodo in cui Peccei comincia a occuparsi sempre più, accanto ai problemi planetari, delle loro interconnessioni con i sistemi ambientali; non a caso lo ritroviamo come membro del International Board del World Wildlife Fund (WWF) che sostiene sia a livello internazionale sia italiano. A indirizzare ancor più il suo pensiero in questa direzione è l'incontro con il D irettore Generale per gli affari scientifici dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Il Club di Roma Nel 1965 Peccei comincia a parlare pubblicamente delle sue preoccupazioni per il destino dell'umanità. Lo fa, dapprima con un intervento a Washington alla presenza del Vice Presidente degli Stati Uniti, poi pronunciando, al Collegio Universitario di Buenos Aires, un discorso in cui ribadisce analoghi concetti. Una volta pubblicato, il testo viene letto da Kin g e scatta la scintilla che porterà al proficuo incontro tra queste due straordinarie personalità. Siamo nel 1967, a Parigi e i due decidono di organizzare a Roma un incontro per il 7 e 8 aprile 1968 con una trentina di studiosi dell'Accademia dei Lincei. Gli argomenti sul tavolo riguardano la dimensione globale dei problemi che affliggono l'umanità e la necessità di risposte planetarie. L'incontro non fu coronato da un particolare successo, ma proprio dalla riunione informale che ne


seguì, a casa Peccei, ( vi parteciparono, tra gli altri, Erich Jantsch, Alexander King e Hugo Thieman) furono poste le basi per la nascita del Club di Roma, ufficialmente costituito alla Villa della Farnesina. All'origine di questa nuova istituzione (che in Italia trovò tra i fon datori Umberto Colombo, Adriano Buzzati Traverso, Altiero Spinelli) la necessità di analizzare scientificamente la situazione del destino dell'umanità per consentire di mettere in guardia le generazioni future su ciò che stava per accadere e che avrebbe condizionato la loro vita e le loro attività. "Attenzione ed educazione al futuro" e "visione del destino dell'umanità", come ha ben evidenziato Giorgio Nebbia, saranno i due concetti sempre presenti nella vita e nell'opera di Aurelio Peccei. Il primo passo, fu quello di chiedere a un prestigioso gruppo del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di mettere in piedi una ricerca per il Club di Roma che descrivesse le problematiche mondiali applicando un modello matematico capace di darne una rappresentazio ne proiettata negli anni a venire in maniera da costituire una guida per le azioni future. I limiti della crescita La risposta dell'MIT per il Club di Roma venne da Jay Forrester, esperto in dinamica dei sistemi. Il ricercatore elaborò un modello matematico per analizzare il Pianeta e le sue prospettive di futuro, con alcuni parametri interdipendenti: popolazione, sfruttamento delle risorse non -rinnovabili, industrializzazione, produzione di alimenti, degrado ambientale. L'esecuzione del progetto - che si avvaleva dei primi potenti calcolatori elettronici - fu affidata a un giovane ricercatore Dennis Meadows, e il risultato fu il primo rapporto del Club di Roma, "The Limits to Growth", presentato pubblicamente il 12 marzo 1972 allo Smithsonian Institution d i Washington e destinato a essere tradotto in trenta lingue e diffuso in dieci milioni di copie.


Un primo risultato era raggiunto. Ora il mondo non poteva più dire di non sapere. Nella prefazione Peccei scrive: «Mi auguro che la pubblicazione del libro in italiano contribuirà ad ampliare in senso temporale e in senso spaziale l'orizzonte dei nostri interessi, spostandoli dalle questioni immediate e locali - a cui troveremo pur sempre rimedio, per quanto difficili esse siano per considerare anche quelle ben più complesse e importanti che concernono l'organizzazione della vita di quattro o cinque o sei o sette miliardi di abitanti sul nostro pianeta in condizioni ragionevoli di benessere, di giustizia e di equilibrio con la Natura». Ed emerge la sua preoccupazione sui rapporti squilibrati tra le parti del Pianeta: «La Terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli Scambi e lo Sviluppo, testè terminata a Santiago, ha sostanzialmente confermato che i paesi ricchi restano arroccati nelle loro cittadelle dell'afflue nza ben decisi a difendere l'ordine mondiale attuale. Ma se tale ordine non cambierà, le prospettive degli altri paesi, più o meno poveri, e uniti solo nel firmare documenti patetici o velleitari, rimarranno oscure, e con esse l'avvenire del mondo, poiché tra quarti dell'umanità continueranno a restare emarginati. Vi è poi la Conferenza di Stoccolma sull'Uomo e il suo Ambiente, già turbata prima dell'inizio da fratture ideologiche, e a cui ricchi o poveri accorrono preoccupati soprattutto di conservare sovrani diritti in casa propria e di partecipare allo sfruttamento delle risorse "libere" del mondo pagando un prezzo possibilmente inferiore a quello degli altri. Nel 1974 vi sarà un'altra conferenza, quella mondiale sulla popolazione, dove il più esplosivo f enomeno dei nostri tempi verrà misurato e analizzato probabilmente soprattutto come fattore di potere o elemento di negoziato fra vari gruppi di paesi [...] Da tutto ciò sorgono domande angosciate. Che cosa succede effettivamente in questo mondo piccolo, sempre più dominato da


interdipendenze che ne fanno un sistema globale integrato dove l'uomo, la società, la tecnologia e la Natura si condizionano reciprocamente mediante rapporti sempre più vincolanti? Riusciremo ad assorbire in tempo questi concetti di fondo? Che cosa stiamo preparando in questo decisivo decennio degli anni '70? Che relazione ha questo grande spiegamento di attività politiche internazionali con i perdurare di conflitti armati locali - finché resteranno tali in un'epoca di armi di stermini o di massa - con i fermenti di sofferenza e d'insofferenza di una società in grave travaglio, con gli scoppi di violenza civile che costellano la cronaca di ogni popolo, con le manifestazioni indubbie di crisi economiche, psicologiche, morali, sociali, ecologiche a carattere endemico in grandi zone del nostro globo? [...] Senza una forte ventata di opinione pubblica mondiale, alimentata a sua volta dai segmenti più creativi della società - i giovani, l'"intellighenzia" artistica, intellettuale, scientifica, manageriale - la classe politica continuerà in ogni paese a restare in ritardo sui temi, prigioniera del corto termine e di interessi settoriali locali, e le istituzioni politiche, già attualmente sclerotiche, inadeguate e ciononpertanto tendenti a perpetuarsi, finiranno per soccombere. Ciò renderà inevitabile il momento rivoluzionario come unica soluzione per la trasformazione della società umana, affinché essa riprenda un assetto di equilibro interno ed esterno atto ad assicurare la sopravvivenza in base alle nuove realtà che gli uomini stessi hanno creato nel loro mondo. Il dibattito aperto da questo rapporto, anche se utile a innescare questo movimento in forma razionale, ed evitare possibilmente il precipitare di una crisi senza sbocchi, non è che una fase di un processo che deve andare assai più in profondità. Il guasto infatti è profondo alle radici medesime del nostro tipo di civiltà. Ricerche più avanzate, autocritiche genuine, meditazioni più penetranti


saranno necessarie. Se avremo la forza morale per intraprenderle, non solo potremo sperare di correggere il corso degli eventi per evitare il peggio che già si profila per un non lontano futuro, ma potremo forse gettare le basi di una nuova grande avventura dell'uomo, la prima a dimensioni planetarie, quali le sue conoscenze e i suoi mezzi tecnico -scientifici oggidì non solo permettono, ma ormai impongono». Si scatenò un'intensa discussione, non priva di accuse e di polemiche, in particolare sullo squilibrio mondiale e sulla condizione dei Paesi sotto sviluppati funzionale ai consumi dei Paesi industrializzati. Tuttavia la ricerca segnò un punto storico per le ragioni degli ambientalisti e le argomentazioni a sostegno delle loro ragioni non provenivano dall'armamentario ideologico della sinistra rivoluzionaria post Sessantottina, ma dall'incontro tra un autorevole consesso di uomini d'impresa e il mondo scientifico che si esprimeva con una delle massime e riconosciute istituzioni. Due anni dopo giunse il secondo rapporto al Club di Roma, in cui troviamo un richiamo specifico alla perdita di biodiversità così espresso: «La dipendenza dell'uomo dalla natura è veramente assai profonda: il modo in cui egli usa e abusa delle risorse è soltanto una parte del quadro generale. Via via che l'uomo è diventato la forza dominante che plasma i sistemi vitali sulla Terra, la sua ascesa è stata accompagnata da una riduzione del differenziamento biologico in natura. Le specie che apparivano come non utili all'uomo sono state sistematicamente ridotte di numero o eliminate. Se tale tendenza proseguisse inalterata, ben presto la terra sarebbe abitata da un numero molto ridotto di specie. Oggi noi comprendiamo assai meglio dei nostri antenati che l'esistenza di ogni forma di vita sulla terra - noi stessi compresi - dipende dalla stabilità del sistema ecologico. Una terra che avesse abitanti meno diversificati forse non potrebbe più possedere


la stabilità indispensabile per l'adattamento e la sopravvivenza. Se vi fosse un collasso del nostro ecosistema - anche solo temporaneo - l'effetto sull'umanità sarebbe disastroso». Il rapporto contiene indicazioni sulle quali varrebbe la pena di continuare, anche oggi, il dibattito. Uno riguarda il tema energetico con gli autori decisamente schierati contro la scelta dell'energia nucleare, bollata come "patto faustiano", cui va preferita l'opzione a favore dell'energia solare, pur lasciando la porta aperta alla fusione nucleare, se e quando sarà disponibile. Tra le strategie per sopravvivere la ricerca segnala, per quel che riguarda i valor i e gli atteggiamenti individuali, la necessità di una consapevolezza globale e solidale sulle grandi questioni di squilibrio territoriale che sono alla base, ad esempio, della fame nel mondo; lo sviluppo di una nuova etica delle risorse materiali che conduca a modi di vivere compatibili con l'era della scarsità, per cui «la gente dovrà essere orgogliosa di risparmiare e di conservare, anziché di spendere e di buttar via»; «scoprire un nuovo atteggiamento, verso la natura, basato sull'armonia e non sulla co nquista»; «sviluppare un senso di identificazione con le generazioni future ed essere pronto a rinunciare a vantaggi propri a favore di quelli delle generazioni che verranno...». Dennis Meadows rivisitò lo stesso modello vent'anni più tardi, nel 1992, con "Beyond the Limits". Più recentemente, nel 2004 ciò che era stato scritto dodici anni prima ha, ancora una volta, trovato conferma dando ragione a quella vittoria dell'ignoranza di cui parlava Peccei riferendosi alla nostra epoca. «La cultura dominante privilegia le analisi dettagliate, che inondano di informazioni, dimenticando che solo la ricerca della sintesi permette di tradurre queste informazioni in vera e propria conoscenza e in risorsa di saggezza» scrisse nel 1979. Obiettivo di quel primo monito de l Club di Roma non fu quello di fare previsioni più o meno attendibili di


futuro, quanto di mettere in campana sugli scenari verso i quali l'umanità stava precipitando, indicando alternative possibili. Si tratta di un messaggio che mantiene inalterata la s ua validità segnalando come l'umanità avesse già superato, allora, "i limiti della crescita" e come fossero necessari presa di coscienza ed etica della responsabilità per predisporre gli opportuni correttivi. In quegli stessi anni lo scenario internazionale era ben poco incoraggiante e certo non vicino, né sensibile, ai moniti di Aurelio Peccei. Continuavano a esplodere le bombe atomiche americane e sovietiche, la crescita esponenziale della popolazione mondiale sembrava inarrestabile, così come lo sfruttam ento del suolo, delle acque, delle risorse energetiche, con tutti gli effetti negativi che ciò portava con sé, dal progressivo: inquinamento all'erosione del territorio, dalla fame nel mondo alla desertificazione, dal diffondersi di carestie ed epidemie alle decine di conflitti più o meno locali. Milioni di esseri umani dei paesi sottosviluppati dopo decenni di occupazione coloniale reclamavano, con l'indipendenza, nuovi diritti e migliori condizioni di vita. L'ultima chiamata Ha importanza relativa che Peccei, il Club di Roma, l'MIT, abbiano sbagliato di anni o di decenni le previsioni sull'esaurimento delle risorse. Ciò che è importante è che abbiano indicato una tendenza, un percorso inevitabile. Di lì a poco, in quella stessa seconda metà degli anni Set tanta del Novecento, sarebbero arrivate scoperte scientifiche capaci di rivoluzionare il quadro di pensiero segnalando comunque quell'interdipendenza dell'Universo, che avrebbero dovuto cambiare radicalmente la nostra visione riduzionistica e il nostro app roccio nei confronti del mondo. Non è successo nulla. L'Umanità continua ad avere un atteggiamento anacronistico e superato; siamo ancora legati alla fisica einsteiniana mentre la scienza è solidamente proiettata nella


meccanica quantistica; ignoriamo le c onseguenze della teoria dei sistemi e di quella dei frattali, l'applicazione in economia dei principi della termodinamica, ignoriamo o vogliamo continuare a ignorare che la recessione ecologica è in atto da quello stesso momento storico quando, per la prim a volta, i consumi di energia superarono le disponibilità del Pianeta. Oggi tutti noi abbiamo una "carta di debito" nei confronti del pianeta di cui consumiamo, ogni anno, un terzo in più delle risorse prodotte. Di fronte alla constatazione di questo scena rio, appare inderogabile la necessità di un'etica della responsabilità (nei confronti degli altri e della Terra) di cui, in qualche maniera, Aurelio Peccei prefigurò il bisogno. Di fronte a tutto ciò traspare con forza il significato, la forza e l'importan za dell'esperienza del Club di Roma. Quell'autorevole raggruppamento di intellettuali e scienziati osava parlare di "limiti", mettendo in dubbio uno dei dogmi dell'economia che impone un continuo processo di "crescita", indifferente agli stessi principi della termodinamica che proprio in quegli anni i primi economisti ambientali chiedevano di applicare alla loro disciplina. Peccei spiega bene che lo sviluppo - che significa non solo crescita economica, ma, soprattutto, aumento di conoscenza, dignità, libert à, e sconfitta della povertà - può realizzarsi solo con la solidarietà internazionale e una completa revisione del modello di sviluppo che riduca i consumi e gli sprechi del mondo industrializzato a favore di un riequilibrio globale. Una lezione di lungimi rante preveggenza che tuttavia, a dati e tendenze ampiamente confermati, stenta tutt'oggi ad essere colta. Eppure, come disse Dennis Meadows, nella presentazione del Rapporto del Club di Roma del 2004, siamo all'"ultima chiamata". Per questo riproporre la figura e il pensiero di Aurelio Peccei non è solo un doveroso ricordo in


occasione del centenario dalla nascita, ma soprattutto occasione per rilanciarne il messaggio, in gran parte inascoltato. Nel marzo del 1984, quando mancavano meno di seimila giorni al Duemila, Aurelio Peccei dettò l'ultima parte dello scritto "The Club of Rome: Agenda for the End of the Century" (Agenda per la fine del secolo), articolato in una premessa e quattro grandi capitoli dedicati, rispettivamente a: insediamenti umani, governance del sistema, una società nonviolenta, conservazione della natura. Morì a Roma il 14 dello stesso mese, lasciando incompiuto quel documento. Ancora una volta ci consegnò parole di monito e richiami di responsabilità, come appare evidente da questi stralci del capitolo dedicato alla Conservazione della Natura. «... abbiamo il pericolo più grande per l'umanità, vale a dire che la nostra specie, crescendo in numero, potere e brama, tenderà a vivere al di sopra dei mezzi offerti complessivamente da questa nostra piccola Terra. [...] Il luogo di primaria importanza nell'Universo è la nostra biosfera, formata da un sottile mantello di suolo, aria e acqua sulla superficie terrestre, perché è qui che, come sappiamo, c'è la vita. Il genere umano è una parte e una piccola parte di un sistema vivente che vi fiorisce e dunque ci si dovrebbe sforzare di conservarlo il più possibile in buona salute. La biosfera si è evoluta per diversi miliardi di anni prima che l'homo sapiens apparisse nel suo bel mezzo circa un milione di anni fa e quindi dilagasse imponendo la sua presenza e il suo modo di vivere a tutte le altre specie. L'umanità, perseguendo i suoi fini, ha trasformato sempre più l'ambiente naturale, rendendo molte parti di esso molto adatte a quei suoi stili di vita che andava via via sviluppando, ma allo stesso tempo dislocando diversamente o eliminando piante e animali, spesso in modo tanto poco accorto da lasciare desolate altre aree un tempo prospere e ora non più produttive o inabitabili.


Il risultato è che attualmente la trama della vita sul pianeta è gravemente degradata e ciò tocca ormai anche la nostra vita. Dobbiamo fare i conti con un quadro abbastanza sconcertante: la wilderness, lo scrigno della Natura, che sta scomparendo; i deserti che stanno avanza ndo; le foreste tropicali in corso di rapida decimazione; le foreste boreali avvelenate dall'inquinamento atmosferico e dalle piogge acide; le zone costiere e gli estuari devastati; un gran numero di specie animali e vegetali in via di estinzione, con un'ecatombe ancor più massiccia in vista; acque, suoli e perfino l'aria che respiriamo contaminati da polvere, spazzatura e prodotti chimici della nostra civiltà che ne cambiano la composizione; i cicli naturali, il clima e lo strato dell'ozono alterati in mod o spesso irreversibile. Gli stessi sistemi biologici strategici da cui l'umanità dipende tanto profondamente per il suo sostentamento quotidiano sono sotto stress; le terre coltivabili sono supersfruttate, i pascoli sono troppo brucati e si pesca troppo ne gli oceani. Oramai il numero di persone affamate o denutrite è ben più grande che nel passato e le esigenze degli esseri umani sono in continuo aumento. La previsione è che le generazioni attuali consumeranno nel corso della loro vita più risorse naturali di quante ne abbiano messe insieme tutte le generazioni passate e che d'ora in avanti il consumo crescerà più velocemente della popolazione. [...] L'uomo, tuttavia, è connesso alla Natura in migliaia di altri modi. In effetti, egli è integrato nella Natura e più profondamente dipendente dal mondo della vita di quanto possa suggerire il semplice riferimento all'economia delle cosiddette "risorse". La sua esistenza psicofisica è il risultato di una miriade di interscambi e di osmosi con il resto della vita. Egli dunque dovrebbe astenersi da qualunque azione che possa indebolire o modificare la biomassa mondiale e il suo habitat. Egli dovrebbe assicurarsi del fatto che qualunque cambiamento causato


dalla sua azione non ferisca la capacità rigenerativa della Natura o ne comprometta l'equilibrio. Più di questo, egli si dovrebbe impegnare in una sistematica campagna per ridurre al minimo il danno inflitto al suo ambiente naturale nel corso del passato. Piani e strategie di conservazione della Natura nel lungo per iodo stanno dunque diventando un imperativo non solo per permettere all'umanità di ottenere e conservare le necessarie risorse viventi, ma anche per conservare nel corso degli anni la salute del pianeta come dovere verso le generazioni future. Gli obiettiv i sono numerosi per numero, ad esempio la sopravvivenza delle specie non umane e la protezione degli ecosistemi anche quando non solo di interesse immediato, la salvaguardia dei processi ecologici marginali e dei sistemi di supporto alla vita e la tutela della diversità genetica della biomassa che è un'espressione della capacità evolutiva della Terra che, tra le altre cose, è all'origine della nostra specie e di cui un domani potremmo avere davvero nuovamente bisogno. Stabilire un'armonia tra uomo e Natura non solo risponde a considerazioni di immediato interesse e ad altre che concernono l'esistenza dell'umanità in un prevedibile futuro, è anche un profondo valore culturale perché l'homo sapiens non può pensare di essere il padrone assoluto del pianeta o di vivervi in uno splendido isolamento, come non può disinteressarsi del mondo della vita senza perdere una parte della sua stessa umanità che nel corso dei secoli si è nutrita di immagini, fiabe, miti, poesia e canti ispirati dalle altre forme di vita»


Le ultime pagine scritte da Aurelio Peccei, nel marzo 1984 Le ultime pagine scritte da Aurelio Peccei, nel marzo 1984 Meno di seimila giorni ci separano dal 2000, che non rappresenta solo la fine di un secolo che ha visto straordinari sviluppi in campo scientifico, tecnologico, economico, sociale, politico e militare, ma anche la fine di un millennio in cui l’umanità è emersa dai secoli bui, ha affermato il suo dominio su tutto il mondo e sui cieli ed è diventata il principale fattore di cambiamento in questo angolo dell’Universo. Cosa accadrà in questi seimila giorni dipende quasi esclusivamente da cosa faranno gli esseri umani e da come e quando essi lo faranno e probabilmente sarà tale da modificare la condizione umana più profondamente di quanto sia mai accaduto in passato. Stanno maturando, infatti, eventi e decisioni epocali che inevitabilmente cambieranno il corso della storia umana. Benché non si possa predire il futuro, è plausibile che nel corso di questi seimila giorni: - Entro il 2000 una quantità di popolazione pari in pratica all’incremento avvenuto in tutto il passato fino all’inizio del Novecento si aggiungerà alla popolazione attuale e deve essere sistemata sulla Terra entro il 2000, cominciando allo stesso tempo a provvedere a sistemare la molta più gente che verrà in seguito. - Le relazioni ormai logorate tra la nostra specie e il suo ambiente naturale continueranno a peggiorare e la situazione deve essere decisamente riequilibrata prima che si arrivi ad un punto irreversibile. - La società umana crescerà continuamente in dimensione,


complicazione e connessioni interne, così che per quanto altamente diversificata diverrà in realtà un sistema a fitta trama, integrato e interdipendente che abbraccia tutto il mondo, e che richiede assolutamente nuove filosofie politiche, nuove istituzioni e nuovi metodi di governance globale. - Si svilupperanno tecnologie avanzate in campi come la microelettronica, la genetica, l’ingegneria, lo spazio, le profondità oceaniche e i materiali, che daranno al genere umano un potere ancor più presuntuoso, che potrà essere usato bene o male e che dunque potrà avere un impatto positivo o negativo a seconda che lo sviluppo umano sia gestito o no in modo da conservare la pace. - Dovranno esse prese decisioni cruciali sul continuare o fermare la corsa agli armamenti e pertanto la proliferazione di testate nucleari o crescerà fino a che queste armi di fatto cominceranno a sparare da sole o viceversa saranno imbrigliate e smantellate e l’attuale cultura della violenza comincerà a lasciare il passo ad una nuova cultura della nonviolenza. Alla luce di tutti questi probabili sviluppi, non è forse irragionevole affermare che tutta un’era sta tramontando ed una nuova è all’orizzonte, mettendo l’umanità di fronte ad una serie di alternative radicali. Può trattarsi di alternative catastrofiche se noi che viviamo in questo momento di svolta della storia saremo impreparati al 2 cambiamento, oppure di alternative feconde di là di ogni immaginazione se comprenderemo una realtà in mutamento e l’affronteremo da responsabili protagonisti di questa fase creativa dell’avventura umana. 2. Per essere fedele alla sua vocazione di cercare di capire cosa occorre perché le generazioni attuali rispondano adeguatamente alle sfide e alle opportunità di questa epoca di grande transizione, penso che il Club di Roma dovrebbe concentrarsi essenzialmente sui temi


fondamentali che stanno emergendo e che toccheranno il futuro di tutti i popoli e di tutte le nazioni. Per fare ciò, noi dovremmo puntare ad immaginare l’intera condizione umana in una prospettiva epocale. Il fatto che nessuno finora abbia cercato di farlo non dovrebbe scoraggiarci, né dovrebbe scoraggiarci la esplicazione dalla quantità e complessità degli aspetti e dei problemi da prendere in considerazione, anche quando li esploriamo superficialmente o se ne analizziamo solo gli aspetti principali. Per quanto empirica e provvisoria, una valutazione di questi temi è diventata indispensabile se vogliamo prepararci ad un futuro che si prospetta completamente diverso da ogni cosa di cui abbiamo avuto esperienza finora, e cercare di farne un patrimonio vivo. Ecco perché sono convinto che benché l’impresa sia grande il Club di Roma dovrebbe fare il possibile per portare questi importanti temi all’attenzione di tutta l’opinione pubblica e, ovviamente, anche di studiosi, leader religiosi e decisori. Solo se tutti questi settori sono sensibilizzati all’obbligo di dedicare tutte le nostre capacità ad affrontare i pericoli senza precedenti e le opportunità che contengono, la nostra generazione può giocare un ruolo adeguato di legittimi eredi dei nostri antenati e di progenitori responsabili delle generazioni future. Il Club di Roma e le sue associazioni regionali o nazionali hanno in corso o in esame molte altre ricerche e altri progetti. Alcuni di questi riguardano solo indirettamente questi grandi temi o sono indirizzati interamente verso altri campi, come la povertà globale, la complessità, i flussi economici, i microprogetti, la bioingegneria e la società, i futuri alternativi (Forum Humanum, FH). Naturalmente dovrebbero essere tutti continuati, sia per la loro validità intrinseca sia perché possono fornire una


base utile allo studio dei principali temi globali. 3. L’analisi di questi temi globali non dovrebbe essere considerata solo come un esercizio di speculazione teorica. Dovrebbe avere piuttosto la connotazione positiva di una esplorazione e di una ricerca su cosa il genere umano dovrebbe fare in questi 6000 giorni per prepararsi e per affrontare con ragionevoli probabilità di successo la straordinaria sfida della nuova era. Io definirei “missione” la grande impresa di dimensione globale che le generazioni attuali devono assegnarsi per sopravvivere agli shock, alle minacce e ai vincoli del futuro e allo stesso tempo trarre beneficio dalle opportunità che ora si schiudono di raggiungere un livello di soddisfazione e di qualità della vita senza precedenti. Messa in questi termini, si dovrebbe riconoscere che gli obiettivi di queste missioni che la comunità umana dovrebbe intraprendere sono nell’interesse di tutti, mentre nessun popolo e nessuna nazione hanno abbastanza potere da raggiungerli da soli, o da metterli inopinatamente al servizio di finalità specifiche a danno degli altri. Di conseguenza, tutti i gruppi umani dovrebbero essere pronti in via generale a considerare queste missioni e i loro obiettivi come materia di cooperazione a largo raggio. Ora tratterò brevemente di cinque missioni chiave che la comunità umana dovrebbe affrontare prima della fine del secolo, indicando anche alcune idee che penso siano esemplificative del pensiero che dovrebbe guidarle. Benché sia un’ovvietà, lasciatemi dire innanzi tutto che questa nuova fase della storia umana si basa sul postulato che non ci sarà prima una guerra nucleare. Per questo, il mondo deve contare sull’autocontrollo e sulla saggezza delle due superpotenze, il che può sembrare chiedere troppo, date le loro politiche di potenza che hanno condotto l’umanità a questa estrema difficoltà, mentre un errore umano o un attacco di follia o un guasto


di un circuito elettronico potrebbero scatenare un olocausto. Una così definitiva conclusione del nostro percorso sembra tuttavia così irreale che propongo di non tenerne conto nel nostro ragionamento. Lasciatemi ricordare che circa quindici anni fa il Club di Roma propose coraggiosamente il concetto di “limiti dello sviluppo”, per quanto impopolare in un’età di euforia, come allarme contro l’autocompiacimento della società industriale. Oggi, in una situazione mondiale molto più critica, il Club di Roma non dovrebbe esitare a prendere una posizione altrettanto decisa, questa volta per scuotere la società dalla sua inerzia e dalla sua rassegnata accettazione delle cose così come stanno. Alla luce delle circostanze attuali, il concetto fondamentale 3 da rafforzare è che è del tutto in nostro potere l’invertire il corso negativo degli eventi e rimettere l’umanità in cammino verso l’alto. Fare ciò è, infatti, un nostro preciso dovere e dobbiamo essere così in gamba da riuscirci, mentre il non farlo ci renderebbe colpevoli perché equivarrebbe, di fatto, a lasciare prevalere le peggiori alternative del nostro futuro. Ora, dovremmo convenire che il ruolo essenziale che il Club di Roma dovrebbe cercare di ricoprire nel prossimo cruciale periodo dovrebbe essere di contribuire in ogni possibile modo alla rinascita dello spirito umano e a risollevare le sorti del genere umano in una società assennata e di concentrarsi sui cinque grandi temi seguenti che io considero tra i più decisivi per il futuro dell’umanità. Insediamenti umani Sistemare e dare un accettabile standard di vita alla popolazione attesa in più sulla Terra senza devastare irrimediabilmente l’ambiente è probabilmente il più grande problema concreto che l’umanità dovrà affrontare


nei prossimi decenni. Il problema ha vari aspetti: - Dai tempi più remoti fino al 1900, la popolazione umana crebbe lentamente fino a raggiungere un totale di 1,6 miliardi di persone. Quindi balzò rapidamente ai 4,7 miliardi del 1983. Questa inattesa crescita esponenziale colse il mondo alla sprovvista, tanto che circa una quarto della popolazione mondiale è costretta a vivere al limite della soglia di povertà o al di sotto di essa, il che è moralmente e politicamente intollerabile. - Entro il 2000, si prevede un incremento di popolazione di 1,5 miliardi, mentre probabilmente un altro miliardo e mezzo si aggiungerà nei venti anni successivi. Quindi prevedibilmente la popolazione continuerà a crescere, anche se le previsioni non sono del tutto affidabili. - Queste nuove ondate di persone non accetteranno una vita di privazioni. Ora, tutte queste persone dovranno essere sistemate, di fatto, nelle stesse aree già occupate dalla popolazione attuale, dal momento che le terre adatte a insediamenti umani stabili sono limitate e probabilmente rappresentano la più limitata delle nostre limitate risorse naturali. Nel complesso, solo un quarto circa della superficie terrestre non coperta dai ghiacci può essere considerato un habitat umano. - Inoltre, queste stesse aree racchiudono anche il grosso dei suoli agricoli, che non dovrebbero mai essere sacrificati, nonostante la pressante domanda di suolo per altri usi. Il suolo è il nostro essenziale sistema vitale e deve essere protetto ad ogni costo da ogni genere di erosione, perché quando si perde del suolo lo si perde di fatto per sempre. Basti ricordare che anche con la migliore protezione di una ben equilibrata copertura vegetale la Natura impiega da 100 a 400 anni o più per produrre un centimetro di suolo fertile.


- Naturalmente, anche il resto del pianeta è indispensabile per la nostra esistenza. Le distese più remote, i mari e gli oceani, l’atmosfera e alcuni strati superficiali della crosta terrestre sono fondamentali per assicurare il supporto vitale e le risorse. Ma essi non possono diventare una dimora stabile per il genere umano. - La sola possibilità di sistemare in modo equo e ordinato i sei, sette o più miliardi di esseri umani che a breve dovranno dividersi lo spazio terrestre e di farlo mantenendo contemporaneamente in uno stato accettabile l’ambiente naturale di cui essi e i loro posteri avranno bisogno per tutto il tempo a venire è di preparare in anticipo un qualche tipo di master plan dell’occupazione globale di terra. - È vero che, dato che meno del 10 per cento della nuova popolazione sarà nata nei paesi attualmente sviluppati, la questione riguarda più da vicino il Terzo Mondo e specialmente alcuni dei paesi ad alta crescita demografica. Ma non è meno vero che l’intero sistema mondo può essere sconvolto se una parte sostanziale di esso viene gettata nel caos a causa di un eccesso di popolazione privo di sistemazione. - Ecco perché ho proposto uno studio di fattibilità ad ampio raggio su un uso integrale, una gestione e una conservazione della terra, regione per regione e per il mondo nella sua totalità. Ovviamente in uno studio 4 cosiffatto la terra deve essere considerata in tutte le sue caratteristiche e implicazioni naturali, come la natura del suolo, l’acqua, il clima, le risorse biofisiche, e così come la popolazione umana e le sue opere. - Tuttavia, un piano per l’uso della terra non basta. In effetti, per insediare in modo decoroso queste popolazioni aggiuntive c’è bisogno di quello che può essere chiamato un “secondo mondo” dotato di tutto. La sola infrastruttura fisica di questo secondo mondo richiede uno


sforzo di costruzione pari a quello che il genere umano ha sostenuto negli ultimi mille anni. Fino al 2000 bisogna costruire case e infrastrutture per 15.000 città di 100.000 abitanti (o un milione e mezzo di villaggi per mille persone), per tacere della necessità di migliorare le abitazioni degradate in cui abita oggi la parte più sfavorita dei nostri simili. - Un immenso problema connesso al precedente è che tutte queste persone devono guadagnarsi da vivere. Si stima che prima della fine del secolo dovranno essere creati più di un miliardo di nuovi posti di lavoro, o in ogni modo delle forme di occupazione, per una crescente forza lavoro che affollerà città e campagne, per lo più ancora nel Terzo Mondo. Queste poche osservazioni sono sufficienti a delineare la complessità e le dimensioni gigantesche dei compiti assegnati alla nostra generazione; essi possono anche dare un’idea della quantità di sofferenze umane e dell’esplosione di ribellione e di violenza nascosta che possono derivare dall’assenza di tempestive misure per sistemare adeguatamente la dilagante popolazione umana. Benché il problema sia radicato essenzialmente nei paesi poveri, non può essere fronteggiato adeguatamente se politiche, strategie e mezzi non sono preparati per tempo con il supporto a lungo termine, finanziariamente pianificato e organizzativo della comunità mondiale. A sua volta, questa volontà richiede uno straordinario senso di fratellanza e misure del tutto nuove di solidarietà globale, nonché una visione illuminata del proprio interesse, in sintonia con questo momento e con questa epoca. Conservazione della Natura Strettamente connesso con il problema precedente, abbiamo il pericolo più grande per l’umanità, vale a dire che


la nostra specie, crescendo in numero, potere e brama, tenderà a vivere al di sopra dei mezzi offerti complessivamente da questa nostra piccola Terra. Qualcosa del genere è già avvenuto in alcuni settori e in alcune regioni. Il pericolo si nasconde non tanto nell’ambito delle risorse inanimate, perché la crosta terrestre è abbastanza spessa da soddisfare in qualche modo la crescente domanda umana, benché per certe risorse si possano verificare delle situazioni di scarsità, e soluzioni alternative possono probabilmente essere offerte da materiali sostitutivi e da nuove fonti di energia. Tuttavia, la situazione è abbastanza diversa nel regno più essenziale della capacità di supporto alla vita da parte degli ecosistemi mondiali considerati nella loro totalità, sia all’interno sia all’esterno di quello che chiamo habitat umano. Sotto questi aspetti, lo stato del pianeta è ben poco noto ed è venuto il momento di valutarlo con la massima cura prima che sia troppo tardi. - Il luogo di primaria importanza nell’Universo è la nostra biosfera, formata da un sottile mantello di suolo, aria e acqua sulla superficie terrestre, perché è qui che, come sappiamo, c’è la vita. Il genere umano è una parte e una piccola parte di un sistema vivente che vi fiorisce e dunque ci si dovrebbe sforzare di conservarlo il più possibile in buona salute. - La biosfera si è evoluta per diversi miliardi di anni prima che l’homo sapiens apparisse nel suo bel mezzo circa un milione di anni fa e quindi dilagasse imponendo la sua presenza e il suo modo di vivere a tutte le altre specie. - L’umanità, perseguendo i suoi fini, ha trasformato sempre più l’ambiente naturale, rendendo molte parti di esso molto adatte a quei suoi stili di vita che andava via via sviluppando, ma allo stesso tempo dislocando diversamente o eliminando piante e animali, spesso in


modo tanto poco accorto da lasciare desolate altre aree un tempo prospere e ora non più produttivi o inabitabili. - Il risultato è che attualmente la trama della vita sul pianeta è gravemente degradata e ciò tocca ormai anche la nostra vita. Dobbiamo fare i conti con un quadro abbastanza sconcertante: la wilderness, lo scrigno della Natura, che sta scomparendo; i deserti che stanno avanzando; le foreste tropicali in corso di rapida decimazione; le foreste boreali avvelenate dall’inquinamento atmosferico e dalle piogge acide; le zone costiere e gli estuari devastati; un gran numero di specie animali e vegetali in via di estinzione, con un’ecatombe ancor più massiccia 5 in vista; acque, suoli e perfino l’aria che respiriamo contaminati da polvere, spazzatura e prodotti chimici della nostra civiltà che ne cambiano la composizione; i cicli naturali, il clima e lo strato dell’ozono alterati in modo spesso irreversibile. - Gli stessi sistemi biologici strategici da cui l’umanità dipende tanto profondamente per il suo sostentamento quotidiano sono sotto stress; le terre coltivabili sono supersfruttate, i pascoli sono troppo brucati e si pesca troppo negli oceani. Oramai il numero di persone affamate o denutrite è ben più grande che nel passato e le esigenze degli esseri umani sono in continuo aumento. La previsione è che le generazioni attuali consumeranno nel corso della loro vita più risorse naturali di quante ne abbiano messe insieme tutte le generazioni passate e che d’ora in avanti il consumo crescerà più velocemente della popolazione. - Per fare un esempio, il cibo, che è il bene primario, sarà fonte di preoccupazione, per quanto si può prevedere in futuro. L’esistenza, molto esaltata a parole, di una potenziale disponibilità di cibo a livello mondiale, che certamente è


ancora abbastanza alta, ci può consolare solo un po’ di fronte a queste tendenze e al disordine dei mercati mondiali, soprattutto se si tiene conto del fenomeno davvero grave di erosione del terreno causata da cattive pratiche agricole tanto dove prevalgono sistemi tradizionali quanto là dove è stata adottata l’agricoltura moderna. Benché non siano state fatte stime affidabili della perdita totale di produttività alimentare a livello mondiale a causa dell’erosione del suolo, i dati disponibili alimentano, infatti, notevoli preoccupazioni. - A parte il cibo, la produzione di alimenti, combustibili, fibre e altri prodotti vegetali e animali sono altresì fonte di grande preoccupazione dal momento che essi stanno probabilmente avviandosi verso un irreversibile declino. - La sicurezza alimentare e la disponibilità di queste altre risorse naturali della vita umana, così importanti in sé, sono doppiamente importanti perché sono anche ingredienti indispensabili della pace. Così, anche se il loro deficit è caratteristico principalmente delle regioni meno sviluppate, le difficoltà legate ad esso sono destinate a influenzare l’intero sistema mondiale. - L’uomo, tuttavia, è connesso alla Natura in migliaia di altri modi. In effetti, egli è integrato nella Natura e più profondamente dipendente dal mondo della vita di quanto possa suggerire il semplice riferimento all’economia delle cosiddette “risorse”. La sua esistenza psicofisica è il risultato di una miriade di interscambi e di osmosi con il resto delle vita. Egli dunque dovrebbe astenersi da qualunque azione che possa indebolire o modificare la biomassa mondiale – e il suo habitat. Egli dovrebbe assicurarsi del fatto che qualunque cambiamento causato dalla sua azione non ferisca la capacità rigenerativa della Natura o ne comprometta l’equilibrio. Più di questo, egli si dovrebbe impegnare in una sistematica campagna per ridurre al minimo il danno inflitto al suo ambiente naturale nel corso del passato.


- Piani e strategie di conservazione della Natura nel lungo periodo stanno dunque diventando un imperativo non solo per permettere all’umanità di ottenere e conservare le necessarie risorse viventi, ma anche per conservare nel corso degli anni la salute del pianeta come dovere verso le generazioni future. Gli obiettivi sono numerosi per numero, ad esempio la sopravvivenza delle specie non umane e la protezione degli ecosistemi anche quando non solo di interesse immediato, la salvaguardia dei processi ecologici marginali e dei sistemi di supporto alla vita e la tutela della diversità genetica della biomassa che è un’espressione della capacità evolutiva della Terra che, tra le altre cose, è all’origine della nostra specie e di cui un domani potremmo avere davvero nuovamente bisogno. Stabilire un’armonia tra uomo e Natura non solo risponde a considerazioni di immediato interesse e ad altre che concernono l’esistenza dell’umanità in un prevedibile futuro, è anche un profondo valore culturale perché l’homo sapiens non può pensare di essere il padrone assoluto del pianeta o di vivervi in uno splendido isolamento, come non può disinteressarsi del mondo della vita senza perdere una parte della sua stessa umanità che nel corso dei secoli si è nutrita di immagini, fiabe, miti, poesia e canti ispirati dalle altre forme di vita. L’armonia è anche indispensabile, in particolare, per il grave pericolo incombente che, in un futuro poi non così distante, quando il genere umano avrà costruito il suo rutilante mondo tecnologico e risolto tutti i suoi principali problemi economici, politici, militari e sociali, scoprirà con orrore che involontariamente ha ridotto la Terra in uno stato tale che essa non è più in grado di sostenere la nostra specie, formidabile ma imprevidente. Pertanto, 6 gli studi sulla capacità di carico che hanno preso il via in varie parti dovrebbero fare ulteriori progressi ed estendersi fino a coinvolgere tutte le regioni ed essere coordinate a livello mondiale.


Governance del Sistema Il più grande ostacolo ad intraprendere le gravi missioni cui il genere umano è chiamato in questa fase è l’assoluta ingovernabilità della società, per come è attualmente organizzata. In queste circostanze, nessuna grande impresa di dimensione globale ha la minima possibilità di giungere a compimento o anche solo progettata, per quanto possa essere essenziale. Nonostante la natura di tipo sistemico della comunità umana mondiale, non sono state sviluppate una filosofia politica o delle istituzioni per assicurarne la governance. Lo sviluppo umano, infatti, è stato sconvolgente per accumulazione di conoscenza scientifica, capacità tecnologica ed efficienza industriale, nonostante che siano cose che spesso procedono in modo più o meno anarchico, approfondendo le divisioni tra le diverse società: questo “progresso”, però, non è stato bilanciato da un parallelo sviluppo in termini di inventiva, creatività e prestazioni in campo sociale e politico. La discordanza e la sproporzione tra l’uomo inventore e l’uomo amministratore hanno origine nello stesso essere umano e si sviluppano ad ogni livello di aggregazione, creando società che sono quindi incapaci di immaginare modi efficaci e razionali di controllare, armonizzare e indirizzare verso utili fini gli immensi mezzi, la conoscenza e l’esperienza che possiedono tutte insieme, con il risultato che il mondo intero rimane in uno stato di disordine, di instabilità e di mancanza di controllo. - Una delle importanti ragioni per cui il sistema umano rimane del tutto ingovernabile sono in questo momento la rivalità e le tensioni tra Oriente e Occidente e l’asimmetria e le distanze tra Nord e Sud. - Il sistema è pressoché ingovernabile anche a causa della frammentazione della comunità umana in circa 160


stati, grandi e piccoli, vecchi e nuovi, potenti e deboli, ma tutti “sovrani”, o meglio autolegittimati e autoreferenziali. - Da un punto di vista funzionale, pertanto, l’attuale dilagare della potente comunità umana procede arrancando sotto forma di un’unione di sottosistemi disparati, ognuno dei quali cerca di andare per la sua strada difendendo i propri particolari interessi, l’uno senza tenere conto dell’altro, tranne quando qualcuno di essi costituisce dei raggruppamenti per opporsi ad altri gruppi. - Bisogna tenere inoltre conto del fatto che i livelli di sviluppo di tutti questi stati sono così distanti tra loro che, anche se volessero trovare una base comune di cooperazione, potrebbero avere grandi difficoltà a concretizzarla. - In più, poiché il sistema globale diventa sempre più interconnesso grazie ai commerci e dagli investimenti transnazionali, alle reti di comunicazione e di trasporto, al turismo, al mondo dello sport, della musica e del divertimento, e soprattutto a causa dell’inquinamento atmosferico e degli oceani e delle minacce derivanti dalla crescita degli armamenti, tutte le sue parti, volenti o nolenti, sono inestricabilmente inquadrate in un insieme, eterogeneo ma unificato, in cui ognuna di esse è influenzata da quanto accade alle altre e pertanto hanno tutte un comune destino. - Dunque, bene o male, lo sviluppo complessivo del sistema totale, e quindi di tutte le sue parti, deve essere oggetto di attenzione da parte di ogni gruppo umano, a prescindere dalla sua condizione attuale; e allo stesso modo, dato che la democrazia, la partecipazione e le virtù civili di mutuo aiuto e solidarietà contribuiscono a rafforzare ogni singola società, occorre sviluppare gli atteggiamenti corrispondenti sulla scena internazionale,


se non vogliamo che un giorno o l’altro il mondo intero collassi. Finirà presto l’epoca in cui ogni nazione possa cercare di avventurarsi da sola in una simile impresa, senza riguardo per gli altri. Gruppi umani anche piccoli o deboli saranno in grado di destabilizzare l’intero sistema e dunque bisogna dare loro ascolto e in crescente misura bisogna dare loro soddisfazione. Pertanto, nell’interesse di ognuno, occorre estendere la sfera di una solidarietà attiva da una scala nazionale a quella regionale e a quella globale, così come bisogna trovare i modi e gli strumenti per trasferire questo nuovo comportamento nelle istituzioni, nelle politiche e nelle strategie. 7 Il primo passo probabilmente dovrà essere fatto dall’Est e dall’Occidente. Quando finalmente essi arriveranno a capire che i loro armamenti e i loro piani segreti si stanno neutralizzando a vicenda, saranno automaticamente indotti a cercare di trovare dei modi per conciliare il loro potere e la loro capacità di guidare il mondo in direzioni per loro accettabili. Si potrà così fare un grande passo avanti, ma solo un passo, perché subito dopo scopriranno anche che il modo migliore per prosperare non è di cercare di imporre la loro volontà, ma di unirsi agli altri in quanto solo grazie alla partecipazione creativa e responsabile di tutti i raggruppamenti umani si può veramente migliorare sia lo stato del pianeta sia quello dell’umanità. Perché tutto ciò accada, come spiegherò tra poco, l’unico modo possibile è una profonda evoluzione culturale verso la quale il Club di Roma dovrebbe indicare come procedere. Bisognerà affrontare ogni genere di difficoltà e di trappole, ma dato che si tratta della strada giusta, un aiuto verrà dalla forza stessa delle cose che caratterizzano la nuova epoca.


Sviluppo umano Il bene più prezioso su cui l’umanità può contare per assicurare l’evoluzione culturale, politica e spirituale necessaria per fermare il suo declino e preparare il futuro deve essere trovato nelle risorse ancora inesplorate di comprensione, visione e creatività, nonché nelle energie morali insite in ogni essere umano come elemento del suo patrimonio genetico. Queste risorse possono e devono essere sviluppate come precondizione indispensabile per un mondo del futuro in cui si possa vivere, e per garantire che per l’umanità ci sia effettivamente un futuro. È una nuova missione che l’umanità deve darsi, una missione che non avrà fine. I suoi presupposti sono semplici e complessi allo stesso tempo. - Lo straordinario grande progresso della nostra straordinaria capacità tecnico-scientifica e industriale ci ha dato la conoscenza e gli strumenti per trasformare in pratica ogni cosa sulla Terra, rendendola in un certo modo irriconoscibile, ma ciò non ci ha dato una chiara visione di cosa stiamo facendo né la saggezza di farlo esclusivamente per il miglioramento di sé e dell’ambiente. - Non comprendendo l’importanza e l’impatto delle trasformazioni che provochiamo, siamo sempre più in ritardo e in conflitto rispetto ad un mondo reale che cambia in fretta. Ora, di fronte all’avvento di tecnologie ben più evolute e all’espansione della civiltà industriale, superindustriale e postindustriale, c’è il rischio che le disarmonie crescano ancor di più. In generale, la gente troverà difficile adattarsi ad una realtà sempre più artificiale, la cui logica e lo stesso linguaggio sono così distanti dalla tradizione umana che probabilmente solo una piccola élite vi si troverà a suo agio.


- Il progresso, così come lo si intende al giorno d’oggi, non può certo essere fermato. Tuttavia, la sola via d’uscita per l’umanità è di incrementare la qualità e le qualità dei suoi membri in tutto il mondo, in modo che, apprendendo a cavalcare le tigri tecnologiche che essi hanno scatenato, gli esseri umani e non le macchine possano essere i protagonisti del futuro. - Fortunatamente, com’è ora largamente assodato, l’essere umano normale, anche quando viva in una condizione di povertà e di oscurità, gode di una innata capacità intellettiva e di una disposizione ad apprendere che può essere stimolata e rafforzata ben oltre l’attuale livello medio mondiale di utilizzo, che è relativamente modesto. - Ad una iniziativa che è ancora agli inizi ha dato vita un progetto sponsorizzato dal Club di Roma, dal titolo “Learning”. Il progetto mostra che la gente nel complesso ha la capacità di potenziare molto la propria comprensione della realtà e le proprie prestazioni. Invero, il potenziale delle persone è la più grande risorsa dell’umanità, e quella che non solo è rinnovabile, ma che può anche essere accresciuta ed è diffusa ovunque. - Ci sono molte più ragioni di quelle finora esposte che rendono urgente questo sviluppo umano. Una ragione è forse che deve avvenire un cambiamento radicale nelle relazioni tra le persone e il loro lavoro. Come conseguenza di una automazione in rapida crescita, della robotizzazione, dell’informatica e della telematica, c’è 8 il pericolo, e proprio nei paesi sviluppati, di una improvvisa e incontrollata disoccupazione di massa di tipo strutturale, che colpirà in particolare i giovani. L’impatto sociale sarà enorme, incommensurabile. L’etica del lavoro, il posto di rilievo assegnato tradizionalmente al lavoro nella vita di una persona e perfino il concetto marxista di struttura classista della società


saranno rivoluzionati. - Pochi dati sono sufficienti per illustrare la situazione. La speranza media di vita nei paesi sviluppati ha superato i 70 anni, ovvero 600.000 ore, i due terzi dei quali si suppone siano destinati alle necessità fisiologiche (crescere, dormire, riposarsi, mangiare, etc.). Ciò lascia circa 200.000 ore disponibili per le “attività culturali” che distinguono l’essere umano dell’animale; e, dato che la media di ore lavorative nell’arco della vita si ridurrà presto a 40-50.000 ore (o meno), le ore di non lavoro disponibili per altre attività supereranno di gran lunga le ore di lavoro. Questo tempo “libero” può gravare sulla società come una maledizione o diventare la chiave magica per la sua auto-realizzazione; ma per seguire la seconda alternativa è indispensabile lo “sviluppo umano”, mentre la società stessa deve cambiare profondamente alcuni dei suoi dogmi fondamentali, compreso probabilmente il profitto come pilastro del suo sistema di ricompensa. - Un’altra ragione per cui lo sviluppo umano si impone talmente è che per uscire dall’impasse il genere umano deve capire in quale punto di trova, dove sta andando e dove potrebbe invece andare. Lo studio delle opzioni per dei futuri alternativi “desiderabili” che si aprono di fronte a noi, piuttosto che quello oscuro verso il quale stiamo correndo, è l’obiettivo del progetto Forum Humanum, che rappresenta appena un primo passo ancora provvisorio in questa direzione. In questa epoca di eventi che si susseguono sempre più velocemente e di alternative estreme, tuttavia, una cultura della sopravvivenza e un progresso accettato dalla maggior parte degli abitanti della Terra richiedono come requisito di base un senso della direzione e un alto grado di interesse verso un futuro anche lontano.


Un società nonviolenta Come si è detto, una premessa per un pensiero orientato al futuro è, abbastanza evidentemente, che non vi sia un olocausto nucleare. Questa è una condizione necessaria ma non del tutto sufficiente per superare questo periodo di transizione. Per assicurare uno sviluppo durevole della poderosa umanità che vivrà nella nuova era, è necessario mettere completamente al bando dai criteri della sua evoluzione e cultura la guerra e con essa ogni forma, militare e non militare, di violenza. - Il primo mutamento necessario nella nostra visione tradizionale e nei nostri valori consiste ne liberare noi stessi e le nostre società dal “complesso della violenza” ereditato dai nostri antenati. Per loro il ricorso a mezzi violenti era naturale perché, più deboli di altre creature e ancora insufficientemente dotati di esperienza e di strumenti, dovevano stare sempre in guardia e sulla difensiva. - Ecco perché, seppure sbagliando, la violenza è ancora considerata parte della natura umana, mentre è il concetto di nonviolenza che dovrebbe piuttosto diventare uno dei nostri valori fondativi. Ammetto che questa realtà è a poco a poco riconosciuta e che la violenza, vecchio modo per sopravvivere o di ascesa, è ora vista come la principale causa di distruzione. La violenza e la sua giustificazione ideologica di qualunque sorta sono, di fatto, dei residui di un passato che non c’è più, delle malattie culturali e delle patologie incompatibili con la nuova era così come potrebbero esserlo la schiavitù o i sacrifici umani per la società contemporanea. - La pace è il fattore primario in qualunque caso in cui gli obiettivi da perseguire siano lo sviluppo, la qualità della vita e l’autorealizzazione. E la pace deve essere intesa nel suo significato più profondo ed ampio di non


violenza, non solo a tutti i livelli e settori della societĂ umana, ma anche nelle relazioni tra societĂ umana e Natura.


Alla fine degli anni ’70, apparvero in Italia una serie di ricerche definite “studi del futuro”, ai quali avevano partecipato persone come Robert Jungk, Johan Galtung, Bernard De Jouvenel. In particolare quest’ultimo aveva fondato in Francia, insieme a Gaston Berger un centro studi sulle prospettive di sviluppo e di società nei vari Paesi, denominato “Futuribles”: agli inizi degli anni ’60, in Europa, si manifestava un formidabile fervore di idee per costruire una società nuova dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale. Queste idee filtrano in Italia attraverso l’opera di Aurelio Peccei e Pietro Ferraro, un manager veneziano “illuminato”, eroi della Resistenza contro il nazifascismo nelle file di “Giustizia e Libertà”. Ferraro fonda la rivista “Futuribili” dove raccoglie il dibattito culturale che avviene nell’omonima rivista francese, raccogliendo intorno a questo cenacolo letterario pensatori italiani come Sergio Cotta, Valerio Tumini e Giorgio Nebbia. Aurelio Peccei, di cui in questi giorni si celebra il centenario della sua nascita (1908)era un torinese puro sangue, e dopo aver conseguito la laurea in economia, si era trasferito nel 1930 a Parigi, dove approfondì i propri studi all’Università della Sorbona. Pochi sanno che fu uno dei fondatori della società Alitalia e che ha vissuto 10 anni in Argentina come manager commerciale della FIAT in America Latina fino al 1958, quando fondò la Italconsult, una joint-venture tra i più famosi marchi d’auto italiane (Innocenti, Montecatini, FIAT). Nel 1964 divenne amministratore delegato della Olivetti, riuscendo a far diventare quest’azienda leader indiscussa nella produzione delle macchine da ufficio. E’ proprio questa attività di imprenditore e di manager di gruppi economici all’epoca di avanguardia, che permette a Peccei di confrontarsi con le esperienze dei grandi mutamenti dell’economia e della tecnologia nei vari Paesi del Mondo. Di qui egli trae la linfa necessaria per concepire un ruolo moderno del manager d’impresa che, negli anni successivi, non farà molti proseliti nel suo campo.


«Viaggiando per il mondo, (scriveva Peccei nel 1964, quattro anni prima della fondazione del Club di Roma) ho preso coscienza che i problemi per cui la gente lottava, spesso con scarso successo, sarebbero diventati ancor più complessi e minacciosi negli anni a venire». Aurelio Peccei amava definirsi anche «a hopeless generalist» (un irrimediabile generalista) poiché preferiva dedicare le sue forze a migliorare di un millimetro il livello di vita generale piuttosto che a risolvere un problema specifico in un sol campo e in un sol luogo. Claire Sterling, la celebre giornalista che lo intervistò per il “Washington Post” , nei primi anni ’70, scrisse che la dote che più l’aveva colpita era quella attitudine di Peccei ad estrarre da ognuno quanto di meglio esso fosse in grado di offrire. Peccei aveva la convinzione profonda, oggi quasi totalmente estinta tra gli imprenditori italiani, che le persone sono le migliori risorse di qualsiasi azienda e non si stancava di ripetere ai suoi collaboratori : « ..man mano che il nostro mondo cresce e si fa sempre più complicato e turbolento, dobbiamo tornare a concentrarci sulla rivoluzione umana di ciascun individuo». In un suo discorso pronunciato durante la sua permanenza in Argentina, per ricostruire la presenza commerciale della FIAT in America Latina, Peccei mette a fuoco la propria visione dello sviluppo del mondo affermando che il problema cruciale per l’Uomo contemporaneo è quello di non perdere il controllo del futuro. «…La civilizzazione della quale siamo così orgogliosi, non solo idolizza l’uomo e lo esalta come padrone del Mondo, se non dell’Universo intero, ma anche perdona qualsiasi cosa che l’uomo faccia per asserire il suo primato e giustifica ogni mezzo per arrivare a questo fine». In queste parole, espresse nel 1964 (circa dieci anni prima che venisse pubblicato il celebre rapporto dell’MIT di Boston “The limits of growth”), è sintetizzato il pensiero che sta alla base della fondazione del Club di Roma nel


1968. Peccei afferma che il problema drammatico del futuro dell’uomo non riguarda la quantità delle risorse disponibili per lo sviluppo, bensì l’uso che facciamo delle risorse naturali, pensando che esse siano infinitamente disponibili.La voce del Club di Roma, la visione di Aurelio Peccei e, dopo la sua morte(1984), quella di Alex King, scienziato scozzese, ebbero una grande risonanza nel mondo internazionale, sia a livello economico che politico, tanto da indurre M. Gorbacev a ricordare che tale pensiero ha influenzato la stessa teoria della “Perestroika”, con la quale si accese un nuovo clima politico tra Est ed Ovest. Ma l’influenza più grande del pensiero di Aurelio Peccei è stato quello esercitato sulla cultura ambientalista mondiale, dalle cui idee hanno attinto tutti i movimenti eco-pacifisti sorti dopo gli anni 70. Nel 1972 Aurelio Peccei fondò l’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) con sede a Vienna(Austria) nel quale dette vita a una straordinaria attività di ricerca interdisciplinare per scoprire l’impatto dei cambiamenti globali generati dall’Uomo nel campo ambientale, economico, tecnologico e sociale. L’originalità di questo Centro di eccellenza, nella ricerca del nesso tra Ambiente-Sviluppo nella sua dimensione globale, consiste nel fatto che per la prima volta si riconosce la “ centralità” dell’ambiente sia come fattore limitante dello sviluppo sia come fattore che può destabilizzare in modo irreversibile l’economia globale. Ancora oggi, la IIASA costituisce uno dei fondamentali “incubatori di cervelli” ( vi lavorano circa 200 scienziati di varie discipline) necessari ai governi dei vari paesi del Mondo per varare gli accordi internazionali e i protocolli di intesa per tutte le questioni strategiche dello sviluppo globale. Fu proprio in questo formidabile centro di ricerca, dopo la pubblicazione del Rapporto Bruntland della commissione ONU (1983), che presero forma le teorie sulla sostenibilità ecologica dello sviluppo.


Anche Peccei era convinto che la sostenibilità dello sviluppo dovesse essere raggiunta incrementando la resilienza del sistema globale. In uno dei suoi ultimi scritti “Agenda per la fine del secolo” del Club di Roma, Aurelio Peccei non si stancava di sottolineare l’impressionante aumento della popolazione umana sul Pianeta e “….le relazioni ormai logorate tra la nostra specie e il suo ambiente naturale”. Per questi motivi, egli avvertiva, al tempo stesso con preoccupazione ma anche con una straordinaria dote di ottimismo, che “un’era sta tramontando e una nuova è all’orizzonte, mettendo l’umanità di fronte a una serie di alternative radicali “. La sfida maggiore che stiamo affrontando oggi è il riconoscimento di quanto fosse anticipatrice e preveggente l’opera e le intuizioni che Aurelio Peccei preconizzava per il futuro, ricercando una “governance mondiale” che ancora oggi non c’è ma di cui tutti avvertono la necessità, essendo ormai debole il ruolo che ONU, FAO e UNESCO svolgono oggi per risolvere i drammatici problemi dello sviluppo a livello globale, primo fra tutti, quello della povertà. Oggi più di ieri aveva ragione Aurelio Peccei quando indicava per il futuro la necessità di ridurre la povertà estrema e aumentare l’agricoltura nei paesi in via di sviluppo in modo sostenibile. La popolazione mondiale non ci farà sconti e fino al 2040 continuerà a crescere a livello globale e in valore assoluto.


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