Perdersi nella nebbia

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Sandri Antonio

Nebbia


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Intrapresi il mio cammino nella nebbia. Non intendo rivelare per il momento né dove ero diretto né perché. Conoscere l’uno è conoscere l’altro. Non lo dico poiché chi ha già intrapreso un viaggio come il mio, conosce le risposte, chi non ha mai pensato di dovere o potere partire non lo capirebbe. Chi intende conoscere sia dove sono diretto e il perché, è preferibile che segua il mio rendiconto di viaggio. E’ possibile che alla fine capisca. Questo è più facile accada se anch’io avrò capito qualche cosa. La nebbia divenne fitta, umida e spessa non appena mi addentrai nel sentiero. Avevo una potente torcia elettrica, ma non riusciva a fenderla. Le goccioline riflettevano la luce e creavano un alone luminoso e fastidioso, più impenetrabile della nebbia stessa. Dovetti accontentarmi di illuminare il sentiero davanti a me per lo spazio di un passo. Ci si smarrisce negli spazi sconosciuti, ma l’orientamento si perde nei luoghi che sono familiari. Ciò crea disagio, senso di impotenza. Quel sentiero lo avevo percorso una infinità di volte, eppure persi l’orientamento. L’unica cosa che tenevo per sicura era che camminavo su un tracciato che mi avrebbe portato al di là della montagna. Non riuscivo però a ritrovarmi. Il sasso che compariva davanti al mio piede mi era sconosciuto. Il mio passo si faceva sempre più lento ed insicuro. Il piede doveva costantemente trovare lo spazio dove posarsi e tutto me stesso si concentrava sempre di più per individuarlo. Per questo l’incontro mi fece sussultare.


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Illuminato dalla mia torcia, apparve un piede. Seduto su una grande pietra, posta a lato del sentiero verso la montagna, vi era un uomo. In quel momento riacquistai l’orientamento e seppi anche dove ero. Si trattava di un riparo naturale dove anch’io ero solito fare sosta. - Buongiorno - e mi sedetti vicino a lui. - Buongiorno - Ho preso paura. - Io no. L’ho sentita arrivare. Facemmo silenzio - Che ci fa qui? - ruppi io il silenzio. - E’ importante per lei saperlo? - No, però... Il silenzio e la nebbia ci separavano. All’improvviso disse: - Si comincia sempre con una domanda innocua, un perché futile tanto per fare conoscenza. Così si innesta la serie dei perché necessari, affinché la risposta al primo, abbia un significato preciso e non equivoco. Poi continuò: - Lei ha appena cominciato il viaggio. Non era una domanda, ma una affermazione. - Da che cosa si vede? - E’ un pezzo che viaggio. E’ come salire un albero. Ti trovi dopo un po' di fronte ad una biforcazione. Ogni


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biforcazione è un bivio: devi scegliere. I rami si succedono biforcandosi in altri rami e ci vogliono risposte sempre più complesse per continuare. Per poterlo fare costruisci le più svariate ipotesi. Fai ricorso a tutte le conoscenze e esperienze. Ben presto ti accorgi che, comunque, lo scegliere è uno scegliere a caso. Una lunga pausa: - Sono arrivato in cima all’albero. Dovrebbero cessare i perché. Sei arrivato in cima…in quella cima non vi è alcuna risposta. I perché si fanno più insistenti. E è come scendere dallo stesso albero. Ogni volta che un ramo si unisce ad uno più grande, la risposta che hai trovato salendo non basta più. Ne devi cercare una altra. I perché si susseguono, senza alcuna risposta. Mi sono trovato al punto di partenza, da dove avevo cominciato il viaggio. Avevo raggiunto la base del tronco. Bastava scendere ed avrei trovato le radici. Forse proprio nelle radici si trova nascosta la risposta definitiva, quella che giustifica l’esistenza dell’albero, dei suoi rami, fino quelli più piccoli. Anche le foglie, i fiori ed i frutti avrebbero avuto allora un senso. E avrebbe avuto un senso lo scendere e il salire. Ma non riuscii a penetrare nelle radici. E’ difficile andare sotto terra. Molti vorrebbero vedere l’erba dalla parte delle radici da vivi. È un privilegio riservato solo ai morti. Mi allontanai dall’albero. Troppo tempo speso, buttato via, consumato, per non avere risposte al perché di tanti bivi. Senza niente a segnalare quale direzione prendere… quella che avrebbe portato a…come dire… alla


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fine del viaggio di ricerca, perché si aveva trovato quello che si cercava. Andai in una biblioteca e feci una scoperta: vi erano tutte le risposte a tutti i possibili perché; a quelli che mi ero posto e a quelli che nemmeno avevo ritenuto potessero essere formulati. Erano stati tutti scoperti, analizzati, visti da dentro e per di fuori. Nei libri vi era tutto. C’erano tutte le combinazioni possibili, gli accostamenti, le variazioni. Le spiegazioni erano complete e approfondite. Niente di quello che avevo pensato mancava. C’era molto di più. Vi ho trovato le riflessioni di coloro che, ad ogni biforcazione, avevano fatto scelte diverse dalle mie. Migliaia di uomini avevano viaggiato per milioni di anni. Più di mille volte mille il numero delle ipotesi di risposta. A che cosa era servito il mio personale partire alla ricerca del perché? Il salire e lo scendere e lo sforzarmi ad ogni biforcazione di capire da che parte andare? A niente. Allora ho preso una decisione: avrei continuato ad andare senza pormi alcuna domanda e senza permettere che alcuno mi ponesse anche la più stupida delle domande. Tu mi trovi nella nebbia e la prima cosa che fai, mi chiedi che cosa ci faccio. Non capisci che, se rispondo, ricomincia la serie infinita dei perché e dovrei iniziare tutto da capo una altra volta? Si alzò e se ne andò. Rimasi nella nebbia. Pensai che avesse torto. L’albero cresce e ci sono sempre nuove biforcazioni e nuove scelte e nuovi


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perché a cui rispondere. E poi c’erano sempre le radici da esplorare. Non avevo capito cosa c’entrasse la biblioteca. Primo: tutti ormai sanno che si può viaggiare anche attraverso le parole, senza muoversi dalle poltrone. Secondo: è come con il gioco degli scacchi. Tutte le mosse sono state fatte, tutte le variazioni analizzate da maestri grandi e piccoli. Ho letto che in America, non ricordo la città, c’è una biblioteca che conserva solo libri, scritti, articoli sul gioco degli scacchi. Contiene migliaia e migliaia di titoli. Sapendolo, sembra sia inutile giocare ancora. Eppure sono convinto che c’è la mia personale combinazione di mosse che non è mai stata giocata. Una considerazione mi è venuta in mente: se uno vuole sapere tutte le risposte che sono già state date ai perché, non gli rimane più tempo per cercare le sue risposte e rimane per sempre schiavo degli altri, che sono certamente più capaci ed intelligenti di lui. Ed io non volevo essere schiavo nemmeno dei più intelligenti. La mia risposta, unicamente mia, ai perché c’era, ed io avrei continuato a cercarla. Se non ci fosse stata o io avessi cessato di cercarla, che poi è la stessa cosa, voleva dire che la mia vita sarebbe stata inutile. Inutile fin dall’inizio. Ma allora tutte le vite sarebbero inutili a se stesse ed agli altri. La vita sarebbe inutile. Mi rituffai nella nebbia con un sorriso, pensando alla smorfia di tutti i saggi di tutti i tempi nel vedersi snobbati, non creduti, resi relativi perché negata, da un povero cercatore, l’assoluta verità delle loro risposte.


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Continuando il cammino, mi imbattei in un strano luogo. Mi trovai dentro, per meglio dire. Prima stranezza: il luogo era poco chiaro ed i contorni delle cose sfumati. Era come se sopra un dipinto si fosse stesa una vernice opaca, grigiastra, oleosa, appiccicosa che formava, nello stesso tempo, lo sfondo sul quale si stagliavano figure e l'atmosfera in cui erano immerse. La seconda stranezza fu il vedere come, questa che chiamerò d'ora in poi atmosfera, era generata dal respiro della gente. La somma dei respiri creava l'atmosfera. Terza osservazione o caratteristica, consistette nella constatazione che il colore del respiro non era eguale per ogni individuo. Vi erano tutte le tonalità che andavano dal nero fuligginoso, spesso ed opaco, ai grigi fino a giungere ad un respiro biancastro. Faccio osservare come la distinzione tra le tonalità non fosse una misura oggettiva, perché si avvertiva solo quando si discostavano dalla tonalità media dell'atmosfera. Faccio presente, anche, che parlare solo di tonalità visiva è limitativo, poiché tutti i sensi avvertivano il fenomeno: il tatto come oleosità, l'olfatto come intensità di puzza, l'udito come opacità di risonanza, la vista come luminosità o oscurità. Cercai la spiegazione nel sesso, ma, sia nei maschi che nelle femmine, si trovavano tutte le tonalità. Analoga situazione per l'età, tranne che per i bambini che emettevano un respiro atonale, non classificabile.


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Quasi analoga la situazione anche per ricchi e poveri. Una qualche differenza l'avvertii tra i quartieri, con un addensamento medio di atmosfera tendente ad un nero più intenso in quelli caratterizzati dal commercio o dagli affari. Notai anche, è fu la quarta osservazione, che la tonalità del respiro di un singolo individuo non era costante, ma variava. Era una variazione improvvisa, talvolta verso il bianco, il luminoso, talaltra verso il nero, l'opaco, e che queste variazioni influivano sia sulla tonalità media del respiro del singolo, sia sullo stato della atmosfera. La quinta osservazione non fu mia, ma frutto di una conversazione con una persona che si presentò come Synderesis. Synderesis, un uomo alto e magro, con un drappo attorno alle spalle, di colore indefinito. mi disse: - Vedo che sei appena arrivato. - Come fai a saperlo? - Sei ancora sensibile alla variazione di tonalità della atmosfera e a quella individuale. Con il


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tempo si perde questa sensibilità; si avvertono solo i grandi lampi di luminosità o di opacità. Questo è il grado di sensibilità per la maggior parte degli abitanti. Da cosa dipende la tonalità del respiro? Non lo so con precisione, anche se è da lungo tempo che cerco una spiegazione. Innanzi tutto non so se sia il respiro o qualche cosa che esce con il respiro…Pare dipenda dal tipo di rapporto che uno ha con le altre persone. Più il rapporto è positivo, più il respiro è luminoso e l'inverso, più è negativo, più è opaco. Perché dici che non ne sei sicuro? Spesso mi succede che, assistendo ad un certo comportamento e valutandolo positivamente, mi aspetto un lampo luminoso ed invece non vi è nessun lampo e talvolta vi è una maggiore opacità. E così per l'inverso. Ho riflettuto e penso che tale incoerenza, tra quello che ci si aspetta e quello che succede, possa avere tre cause. La variazione di luminosità o di opacità può dipendere dalla intenzione della persona che compie l'azione e non, per lo meno non solo, dall'oggettivo valore del comportamento. Può dipendere dal fatto che si tende a giudicare gli effetti immediati di una azione e non quelli a medio o lungo termine. Ma può anche dipendere dal metro di misura che io uso per giudicare positivo o negativo un comportamento. Tutto ciò mi ha portato a concludere che, molto probabilmente, è vero che la tonalità di ciò che esce da una persona dipende dal suo modo di comportarsi con gli altri, ma quello che osservi non costituisce elemento sufficiente per giudicare qualcuno o qualche comportamento.


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Mi consigliò di frequentare una specie di Accademia situata in un posto elevato rispetto al centro della città. Mi disse che ne valeva la pena. Vi si raccoglieva un gruppo di persone che riuscivano a mantenere una buona sensibilità ed autonomia rispetto alla tonalità di fondo e cercavano non solo le cause, ma anche i possibili rimedi alla situazione. La frequentai ed ecco in sintesi che cosa ne ricavai. In sintesi, poiché la verbosità sembra essere caratteristica anche di coloro che hanno le migliori intenzioni di "stare con i piedi per terra ed andare subito al concreto" . 1. Tutti si trovavano d'accordo nel ritenere che la tonalità dell'atmosfera, la tonalità di fondo, dipendeva da ciò che usciva dall'uomo. Imparai che quella opacità o luminosità non usciva solo dalla bocca, ma da tutto il corpo. 2. Tutti si trovavano d'accordo che la qualità di quanto veniva emesso era determinata dal rapporto con gli altri. 3. Quasi tutti si trovavano d'accordo nel constatare che quanto più aumentava la tonalità opaca dell’atmosfera, più si attenuava la sensibilità a discernere. Questo portava ad una conseguenza giudicata grave poiché innestava una specie di circolo vizioso: il comportamento delle singole persone tendeva ad adeguarsi e ad omogeneizzarsi con la qualità media dell'ambiente e quindi innestava un processo sempre più negativo. 4. Le discussioni erano senza fine su che cosa volesse dire in concreto "processo sempre più negativo". L'opinione più diffusa era che i rapporti tra persone tendevano a divenire sempre più di scambio: cosa in cambio di cosa, affetto in cambio


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di affetto, piacere in cambio di piacere. Ma anche astio contro astio, vendetta contro vendetta. Coloro che non entravano in un qualche tipo di scambio venivano ignorati. Se non avevano nulla da scambiare non esistevano. "Homo sine poecunia, imago mortis", mi diceva Synderesis. L’uomo senza pecunia (nulla da scambiare) è icona della morte. 5. Alcuni facevano notare che il biancore era strettamente correlato con la gratuità e la continuità della disponibilità verso gli altri. 6. Vi era un gruppo che sosteneva che la luminosità era più indicativa della esistenza e del vigore del rapporto con Dio e che il rapporto con gli altri ne era solo un riflesso e una conseguenza. 7. Tutti erano convinti che la qualità di un uomo si misurava dalla tonalità di ciò che emetteva nell'atmosfera. La discussione diveniva più vivace quando si cominciava a parlare sul che fare o, in altri termini, su come divenire e comportarsi come uomo di qualità, dando per scontato che l'uomo di qualità è quello che migliora, con le sue emanazioni, lo stato dell'atmosfera e quindi innesca un circolo virtuoso. Le proposte base su come intervenire erano due. Prima proposta: bisogna scendere in mezzo alla città e predicare la verità, testimoniandola con lo stile di vita, accettando di correre il notevole rischio di "inquinarsi". Seconda proposta: bisogna rimanere lontani dalla città e da quel stile di vita e costruire invece una nuova città virtuosa, di qualità, che fosse d’esempio. Da parte mia, notai che la tonalità dell'emissione delle persone dell'Accademia, non aveva a che fare


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né con quanto sostenevano, né con l’ abilità nel parlare. Mi si avvicinò un tizio, considerato da tutti di qualità, ma anche un po’ svitato perché interveniva sempre a sproposito e sosteneva tesi considerate strampalate. Io gli sono grato perché mi si avvicinò e mi accompagnò in un punto dove l'atmosfera era particolarmente luminosa. Mi disse di guardare. Solo dopo un po’, e, devo confessare, mentre cominciavo ad annoiarmi della sua insistenza, mi accorsi che dove la luminosità ed il biancore erano più intensi apparivano anche i colori. I colori avevano l'effetto di dare forma più compiuta alle cose e alle persone. Le rendevano meno anonime, meno confondibili le une con le altre. Mi domandai cosa esce da me. Non lo sapevo. Non conoscevo se ero un uomo di qualità. Uno che innesca un circolo virtuoso. Che senso aveva cercare la qualità negli altri, se niente sapevo della mia qualità? In altri termini, se non sapevo chi ero e dove andavo e perché vi andavo. Se non sapevo come ci si deve comportare. Ogni ricerca diviene una fuga, e la fuga è l'opposto della ricerca. Dove posso specchiarmi per vedere che cosa esce da me?


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