Terrenostre Settembre 2013

Page 16

ASSISI DAL “MUSEO ARTI E MESTIERI

L’INCONTRO DI MASSIMO ZUBBOLI CON LA NAVE PIÙ BELLA DEL MONDO

LA MIA VESPUCCI

Conoscere gli oggetti del passato

Il piede di ferro dei calzolai di CRISTIANA COSTANTINI L'oggetto che vi abbiamo mostrato l'ultima volta è un modello ottocentesco di PIEDE DI FERRO utilizzato da coloro che componevano la CORPORAZIONE DEI CALZOLAI. Il calzolaio vi infilava semplicemente la scarpa per poter con facilità piantare i chiodi nella suola. L’oggetto era dunque usato in verticale, con il piedino in ferro verso l'alto. Il grande manico in legno invece (che risulta spezzato e logorato) veniva fissato al suolo tramite un disco di legno pesante o di ferro, di modo che durante la lavorazione della scarpa con il martello, l'oggetto non si spostava a causa delle percussioni. Qualche cenno sulla Corporazione dei Calzolai I loro Santi protettori erano S. Crispino (propriamente dei calzolai) e S. Crispiniano (dei ciabattini). Questi erano due nobili romani che nelle Gallie andavano predicando la fede cristiana e per guadagnarsi del pane si misero a fare i calzolai. A Roma, durante l'impero di Diocleziano, vennero martirizzati. Tale Corporazione racchiudeva al suo interno un grande numero di componenti lavorative di questo settore quali il cintaio, il pianellaio e collettaio, il conciatore, il tintore di pellame. Vi erano vari settori all'interno di questa Arte: - calzolai per uso civile (calsolariorum) - calzolai per uso religioso (sotulariorum) - calzolai per uso militare (galgariorum). E poi vi erano i fabbricanti di ciabatte (cerdones o sutor cerdo). Per fabbricare le scarpe i calzolai utilizzavano, oltre al legno e ai chiodi di ferro, il cuoio. Le pelli venivano ammollate, scarnificate e poste in un forno per la concia. Questo avveniva in apposite vasche, come quella vicino alla fonte di Moiano, alla fonte di Santa Chiara e a quella di Porta Perlici. La biblioteca comunale di Assisi ne conserva ancora lo Statuto del 1377. I prezzi di vendita delle creazioni dei calzolai erano decisi dai dirigenti della corporazione (ad esempio 5 denari per un paio di calzari da uomo e 3 da donna). Verso il XVII secolo si introdusse anche il colore per tingere le pelli (di montone o di capra) soprattutto dei "calzaretti" che erano delle calzamaglie (col tempo si abbandonò la pelle e si cominciò a realizzarle con la lana, la seta, il lino). Il colore ovviamente distingueva la classe sociale di chi li indossava. Poi, tra le altre creazioni, c'erano i gambali (ocrea) venduti anche senza le scarpe ed usati per difendere la gamba durante la caccia. In casa si utilizzavano le pianelle (solea) di morbido cuoio foderato con pelle di capra. Infine c'era il "brodocchino", una specie di stivaletto. I calzolai per fare le scarpe utilizzavano le forme di varia grandezza. Il cuoio veniva decorato con bulini, stampi a pressione e a caldo per creare dei disegni geometrici. La Corporazione dei Calzolai andò in crisi ma la professione individuale mantenne un alto livello fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il prodotto industriale inghiottì presto questa professione, anche se oggi si nota un ritorno al passato nei prodotti su misura, soprattutto per quanto riguarda la fabbricazione di calzature ortopediche. In occasione della visita del Santo Padre ad Assisi e in Suo omaggio, il Museo Arti e Mestieri dell'Umbria vi proporrà nel prossimo numero la descrizione di particolari oggetti sacri. A presto Cari lettori!

numero 6 - SETTEMBRE 2013

“Mi si presentò in tutta la sua dignità ed eleganza e quando azzardai di “conquistarla", dopo aver superato lo scalandrone, mì guardò dall’alto in basso, accogliente, ma composta, consapevole della sua "regalità", del suo indiscusso fascino.”

L

'Amerigo Vespucci è la più datata nave della Marina Militare ancora in servizio. È un veliero scuola che mantiene vive le vecchie tradizioni. Le vele sono ancora in tela e tutte le manovre vengono rigorosamente eseguite a mano; ogni ordine a bordo viene impartito dal comandante, tramite il nostromo, con il fischietto; l'imbarco e lo sbarco di un Ufficiale avviene con gli onori al barcarizzo a seconda del grado dell'ospite. Il nostro concittadino Massimo Zubboli, assisano, classe 1940, ha navigato come ufficiale su navi che lo hanno portato a conoscere il mondo. Giornalista e collaboratore di Terrenostre gli abbiamo chiesto un ricordo della sua lunga vita di mare. Ne è venuto fuori un breve racconto intriso di emozioni, valori e ideali legati ad uno degli incontri più importanti della sua vita. “La conobbi la prima volta in un tardo pomeriggio quasi invernale mentre una fitta pioggia inzuppava uomini e cose. Era ormeggiata ad una banchina del porto militare di La Spezia l'equipaggio era in gran fermento per via della prossima partenza ed il ponte appariva traboccante di cime, di materiale vario, di derrate deperibili e di bagagli. Mi si presentò in tutta la sua dignità ed eleganza e quando azzardai di “conquistarla", dopo aver superato lo scalandrone, mì guardò alto in basso, accogliente, ma composta, consapevole della sua "regalità", del suo indiscusso fascino. Il vestito migliore era imbrogliato secondo le regole di bordo e quindi gli alberi sembravano spogli, senza vita, pronti però, al momento opportuno a ricevere la sferza del vento e la spinta delle ampie vele. Il mattino seguente il sole finalmente era penetrato prepotentemente tra le masse nuvolose in movimento - come per incanto, l’affascinante signora del mare, dopo gli ordini del Comandante trasmessi all'equipaggio con il tradizionale fischio del primo Nostromo, mostrò le sue vele al vento e la Nave più bella del mondo lasciò il Golfo dei Poeti diretta verso il largo sicura di sé tra lo stupore della gente e I'entusiasmo e la malinconia dei marinai rimasti a terra. I giovani nocchieri ancora abbracciati ai pennoni, come se la nave fosse la

dolce compagna della vita, fermi sui “marciapiedi” aspettavano che laggiù, sul ponte, fossero impartiti gli ordini “abbasso da riva". Erano stanchi, ma orgogliosi per quell'ennesima impresa che durante la crociera, appena iniziata, sarebbe stata riproposta tutti i giorni. Sapevano che il loro ruolo era indispensabile e che in fin dei conti erano dei veri e propri protagonisti, degli "attori" di primo piano. La navigazione in quei giorni lontani fu tranquilla, un pò movimentata, talvolta turbata da sfavorevoli condizioni meteorologiche. Anche in tali frangenti la nave, forte, sicura, adatta ad affrontare i venti più impetuosi, divenne per l'equipaggio rifugio certo, una sorta di madre protettiva e generosa. In pochi minuti gli agili marinai, coperti con semplici cerate, raggiunsero i pennoni e, agganciati i moschettoni di sicurezza imbrogliarono quasi tutte le vele che erano strapazzate dai venti provenienti da più direzioni. Da quel momento il veliero, affidato alla bravura ed all’esperienza del Comandante - i Francesi affermano: "aprè Dieu le Comandant" - si concesse al mare, non per subirlo, ma per sfidarlo in una lunga, battaglia dalla quale sarebbe uscito senz'altro vincitore. Quando l’infuriare dei venti e delle onde si placò, la nave come se nulla fosse accaduto, oppose al maestrale ancora robusto le vele e la "Vespucci" riconquistò la, sua superiorità e, consapevole del prestigio mai venuto meno, orientata la prua verso l'approdo, si appropriò di grandi spazi blu-celesti.

Fu una esperienza travolgente, ma il distacco triste. La rincontrai dopo molti anni; Lei non era cambiata, anzi il tempo l’aveva resa più attraente. Gli accurati “ritocchi” le avevano garantito “l'eterna giovinezza”. Mi accolse con distaccata, amicizia mentre io sempre innamorato come il primo giorno, feci, del tutto per mettermi in vista. Ebbi la gioìa di rivivere momenti esaltanti; me li concesse anche se, quel giorno, prima di partire per un lungo viaggio che l'avrebbe portata "dall'altra parte del mondo", mi resi conto con tristezza non sarei stato più suo ospite, che dall'alto del mio posto preferito e riservato a pochi: la controplancia, non l'avrei più posseduta, amata, non mi sarei più sentito parte di Lei, della sua forza, della sua "antica" bellezza, che ci saremmo lasciati, per continuare ad amarci da lontano, a vivere di ricordi, di sogni e di passioni che non tramontano. La salutai per I' ultima volta quando in gran silenzio ed al buio, passate le ventitré, mollò gli ormeggi di fronte a pochi “spettatori" e qualche fedele amico. Quasi non mi accorsi che si stava apprestando a lasciarmi. A bordo non una luce, qua e là come lucciole alla fine della primavera solo qualche torcia elettrica del personale di coperta. Pochi gli ordini dal ponte di comando. Gli alberi, padroni del vento, quella sera totalmente al buio e inattivi, appena schiariti dalla luce del porto e dei rimorchiatori, sembravano tristi e inutili. Il veliero si staccò dalla banchina lentamente come se non avesse voluto disturbare e la "Gran Signora" lasciò Livorno in punta di piedi. Quella immagine è dentro di me, fa parte ormai del mio vissuto.” (Massimo Zubboli) Curiosità • A norma di legge, i transatlantici hanno sempre la precedenza rispetto alle altre imbarcazioni navali. Per consuetudine, invece, quando un transatlantico incrocia l'Amerigo Vespucci, spegne i motori, rinuncia alla precedenza e rende omaggio suonando tre colpi di sirena, che equivalgono al saluto. • Memorabile fu l'incontro nel Mediterraneo con la portaerei americana USS Independence, nel 1962, che lampeggiò con il segnalatore luminoso: «Chi siete?», a cui fu risposto: «Nave scuola Amerigo Vespucci, Marina Militare Italiana». La nave statunitense ribatté: «Siete la più bella nave del mondo».


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.