Terre di Confine #6

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Rivista aperiodica redatta da www.terrediconfine.eu - Collabora Ludicamente.net

di TERRE Confine

Fantascienza, Fantasy, Anime

Gennaio 2007 ANNO III

LETTURA:

La Spada della Verità n La Spada Nera n Il ciclo di Videssos n La saga di Elric n L’Acchiappasogni n Lord Dunsany n

Le Spade Magiche:

sogni sul filo di lama; armi leggendarie per eroi senza paura.

CINEMA:

Alien Nation n Incontri ravvicinati... n Contact n La Spada a Tre Lame n

Contatto Alieno:

ANIME:

e se la Fantascienza diventasse realtà?

Guyslugger n La Spada dei Kamui n Higurashi no Naku... n Valiant n

NUMERO

6

DAL WEB: C.U.N.

SERIE TV: Zambot 3

CINEMA: Krull

MISTERO: Area 51

CINEMA: Mononoke

SERIE TV: U.F.O.

Racconti: Karana, La Sentinella, Galactriel, Il 21° Dito - Cronaca: Roswell - Telefilm: Taken - Cartoni Animati: He-Man Intervista: Axxón Fumetti: Magik, Ken il Guerriero 3, Dillinger-Derringer - Storia: Cavalleria Medievale p. 3 (Le Crociate)



Editoriale REDAZIONE

di Massimo “DeFa” De Faveri

C

Editoriale

SECONDA NASCITA

ari Lettori, dopo una gestazione particolarmente elaborata e impegnativa, eccoci finalmente pronti a presentarvi l’atteso sesto numero di Terre di Confine, un’uscita per noi molto significativa che sancisce un importante salto di qualità nell’evoluzione del progetto TdC. Come avrete notato visionando la copertina, le novità e le migliorie apportate sono diverse, a cominciare dalla grafica, che è stata completamente rivoluzionata al fine di offrire un’impaginazione più snella, ordinata e facile da consultare, con un design reso più elegante e professionale, in prospettiva di una futura pubblicazione cartacea. Nel frattempo, abbiamo cercato di adottare alcuni accorgimenti (ad esempio l’eliminazione degli sfondi colorati) per agevolare l’operazione a coloro che necessitassero di stampare in proprio alcune pagine o singoli articoli. Il numero 6 esce in rete circa 40 giorni dopo la sua effettiva preparazione, ciò per consentirci di rendere operativo, almeno parzialmente, il suo nuovo “contenitore”; insieme all’uscita di gennaio 2007 nasce infatti ufficialmente il sito web “Terre di Confine”, il luogo specificamente concepito per ospitare la rivista e consentirne il download. Si tratta di un intuitivo strumento di ricerca, consultazione e archiviazione degli articoli; già da ora al suo interno è possibile trovare non solo i file pdf, ma anche le anteprime testuali di tutti i brani redatti fino a oggi. Le anteprime risulteranno utili agli utenti limitati da connessioni a 56k, permettendo loro di valutare il contesto e il tenore dei pezzi prima di impegnarsi nel download. Nelle prossime settimane, contiamo inoltre d’implementare le funzioni dell’interfaccia cms del sito, per consentire agli iscritti la gestione e la presentazione di loro contenuti personali, testuali o multimediali che siano. Speriamo così di poter dare spazio, accanto alla comunità “redazionale”, anche alla più ampia comunità degli amanti del Fantastico, che raccoglie scrittori, disegnatori, musicisti, fumettisti, dilettanti e non, semplici appassionati o addetti ai lavori, desiderosi di mostrare le loro opere, o semplicemente di condividere entusiasmi, riflessioni e discussioni sui tre temi che ci sono cari. Invitandovi a viverla con noi, è con fiducia che ci apprestiamo a intraprendere questa nuova tappa della nostra avventura… n Massimo De Faveri

www.terrediconfine.eu Editoriale


Sommario REDAZIONE

TERRE DI CONFINE NUMERO

6

N.6 - GENNAIO 2007

Sommario pag. 3

Sommario

pag. 6

pag. 10 pag. 14 pag. 17 pag. 18 pag. 26 pag. 30 pag. 38 pag. 42 pag. 48 pag. 54 pag. 62 pag. 76 pag. 86 pag. 90 pag. 93 pag. 94 pag. 98 pag. 118 pag. 122 pag. 126 pag. 130 pag. 136 pag. 138

Titolo editoriale di M. De Faveri Axxón di G. Stocco Quelli della Stella Polare di M. De Faveri L’acchiappasogni di C. Ristori Il 21° dito di Pellegrino Dormiente Signs di Cuccu’ssette Incontri ravvicinati del 3° tipo di R. Perugini Contact di F. Viegi Alien Nation di R. Perugini Gruppo Ufologico Indipendente di F. Viegi Roswell di Elfwine Area 51 di G. Filippi Dagli archivi del C.U.N. di M. De Faveri U.F.O. di A. Carta Taken di E. Favi Galactriel di C. Ristori Sentinella di F. Brown Karana di D. Belli Cavalleria Medievale - parte III di F. Coppola Il Ciclo della Legione Perduta di S. Baccolini Il Ciclo della Spada Nera di S. Melainis La Figlia del Re degli Elfi di F. Coppola e C. Ristori La Spada della Verità di C. Ristori La Saga di Elric di A. Tortoreto Krull di Cuccu’ssette

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Editoriale Intervista Lettura Lettura Racconto Cinema Cinema Cinema Cinema Intervista Cronaca Cronaca Dal web Serie tv Serie tv Racconto Racconto Racconto Storia Lettura Lettura Lettura Lettura Lettura Cinema


REDAZIONE pag. 148 pag. 152 pag. 156 pag. 247 pag. 160 pag. 170 pag. 178 pag. 206 pag. 214 pag. 226 pag. 247

La Spada a Tre Lame di F. Viegi Magik di E. Palmarini He-Man di P. Motta Dillinger Derringer - p. II di V. Santato Zambot 3 di M. De Faveri Guyslugger di M. De Faveri La Principessa Mononoke di A. Tripodi La Spada dei Kamui di A. Tripodi La Grande Avventura del Piccolo Principe Valiant di M. De Faveri Higurashi no Naku Koro ni di G.F. Signorotto Hokuto no Ken 3 - p. I di S. “Albatross”, M. “Hokuto”,

V. Wise

Cinema Fumetto Serie Tv Fumetto Serie Tv Serie Tv Cinema Cinema Cinema Serie Tv Cinema

Redazione: Alessia De Gaspari Franco “Crom” Carretti Andrea Carta Gabriele “Ixion” Filippi Andrea Tortoreto Giacomo Cupertino Antonio Tripodi Giampietro Stocco Cristina “Anjiin” Ristori Gianluca F. “Uranium” Signorotto Cuccu’ssette Massimo “DeFa” De Faveri Daniela “Dashana” Belli Millo T. Franzoni Elfwine Paolo Motta Elisa Favi Piero F. Goletto Emanuele “Krisaore” Palmarini Romina “Lavinia” Perugini Francesca Cioè Samantha Bidi Francesco “Muspeling” Coppola Selena Melainis Francesco Viegi Stefano Baccolini Impaginazione: Massimo “DeFa” De Faveri Logo e cover design: Claudio “Sat’Rain” Piovesan Hanno collaborato: Fighi (www.hokutonoken.it), Pellegrino Dormiente, Vanessa Santato Ringraziamenti: Corrado Malanga (Gruppo Stargate Toscana), Paolo Musso, Joseph Nonneman (per le foto di Roswell), Orsola Nizzero (Cinehollywood), Sergio Gaut vel Hartman (Axxón), Tiziano Spigno (Morelli’s Movie Guide, per il dvd de “La Spada a Tre Lame”), Vladimiro Bibolotti (C.U.N.)

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Intervista

Intervista

FANTASCIENZA

AXXón

Intervista a Sergio Gaut vel Hartman di Giampietro Stocco

D

ecisamente gli Argentini non sono gente che si fa molta pubblicità: questo ho pensato, quando qualche settimana fa ho scoperto la vera e propria miniera che si cela dietro questo sito: http://axxon.com.ar. A rivelarmi il link è stata una scorribanda su Usenet, e precisamente su un newsgroup di fantascienza danese che frequento in quanto comprendo la lingua. M’imbatto a un certo punto in un tal Sergio Gaut vel Hartman, nome molto impegnativo, e gli scrivo due righe, raccontandogli un po’ di quello che faccio. Si rivela un grande personaggio: buon conoscente di Nico Gallo, storico della fantascienza genovese ed autore, Sergio è perso nel suo mondo di fantascienza e ucronia, ma non al punto – e lo leggerete nell’intervista – di non dare dei giudizi molto lucidi e innovativi sulla letteratura di genere. Axxón è casa sua, ed è ritagliata sul suo modo di essere. Nasce nel 1989, ed è dunque la prima rivista di fantascienza in lingua iberica su supporto digitale: prima su dischi da 5 e 1/4, poi da 3 e 1/2. Dal 2000, Axxón è su internet, e mette a disposizione di chi è interessato, una volta al mese, una raccolta di scritti, articoli, notizie, racconti e recensioni. Multiformi gli interessi del sito: dai libri, all’arte, alla grafica, ai fumetti, al cinema, una vera miniera d’oro per chi volesse entrare nella filosofia della “ciencia ficcion” latinoamericana. Certo, se si può fare un appunto ad Axxón c’è da notare una certa dispersività, specchio dal fermento che oggi anima la scena letteraria d’oltreoceano per quanto riguarda il fantastico; Axxón, che si occupa di fantascienza, ucronia, ma Guillermo Vidal - “Cúpulas” - Axxón n. 168 anche fantasy e horror, non è da meno. Bisogna dunque avere pazienza, alle volte il server argentino è lento, ma le cose stanno migliorando. Un po’ ostica può anche risultare l’interpretazione di un senso dell’umorismo che ha molto poco di latino e parecchio di anglosassone, ma nel complesso lo spagnolo usato da Sergio Gaut vel Hartman ed Eduardo Carletti, i due motori di Axxón, è semplice e intuitivo. E ci mette subito in grado di fare la conoscenza con un mondo che è tutto da scoprire. Non ve ne pentirete.

Intervista: Axxón


FANTASCIENZA http://axxon.com.ar

INTERVISTA

1.

GS - Sergio Gaut vel Hartman, che cos’è Axxón e quando nasce?

Sergio Gaut vel Hartman - Axxón nasce nel marzo del 1989 di fatto per necessità. Non si poteva editare una rivista cartacea in quanto impossibile da far sopravvivere, in tempi di inflazione folle come quelli. Fu un’idea rivoluzionaria, visto che non c’era niente di simile in Argentina o in America Latina; si trattava della prima rivista in lingua ispanica su supporto informatico. Il software fu creato da Eduardo J.Carletti e da Fernando Bonsembiante. La cosa più importante fu che esso non era disponibile sul mercato, ma fu scritto e sviluppato dagli stessi creatori della rivista. Altra particolarità di Axxón fu la sua natura gratuita, fin dal principio. Con il tempo si passò dai dischi da 5 e ¼ a quelli da 3 e ½ e, a partire dal novembre 2001, Axxón fu disponibile su rete, editata in html. L’evoluzione più recente tuttavia non è storia. Sta cambiando tutto, dal numero dei racconti e degli articoli che si pubblicano, ai paesi e alle lingue che si traducono, al numero dei lettori.

2.

Siete la più grande risorsa per la fantascienza e il fantastico sudamericani su Internet. Quali sono i temi ricorrenti di questi due generi in America Latina?

Difficile generalizzare. Dalla mia prospettiva, quando non si copiano modelli anglosassoni e si tratta di realizzare un “fantastico locale”, insomma, quando si creano modelli fantastici a partire dalla nostra realtà quotidiana, si produce una letteratura speculativa, o, come amo dire, “congetturale”, che contiene forti componenti sociali, che esplora il dolore, l’estraniazione, la pazzia, il timore del futuro, le necessità (mediante storie controfattuali o ucroniche) che la storia della nostra dipendenza culturale si possa riscrivere. Anche se ci sono casi specifici per ogni gusto, in genere non amiamo ambientare fiction in contesti tecnologicamente avanzati, alle volte perché non sembrano credibili, a meno che non si tratti di satira o humour nero. Ultimamente, scrittori come Liliana Bodoc e Carlos Gardini hanno lavorato per creare un genere fantastico non tecnologico e nemmeno speculativo classico, ma sono casi isolati. In ogni modo, la nostra attività si sta sviluppando proprio mentre ne parliamo qui e ora, e la pentola bolle, piena di idee.

Intervista: Axxón


Intervista FANTASCIENZA

3.

Quanto conta l’esempio di Jorge Luis Borges per gli scrittori sudamericani di fantastico?

Conta, ma da un punto di vista psicologico, più che come “modello”. Il cammino di Borges è irripetibile, e il sia pur minimo tentativo di avvicinarlo causa delle brutte copie. L’esempio di Borges è da intendersi positivo se ci permette d’immaginare un genere fantastico libero, senza appesantimenti e molto poco preoccupato di distinguersi in sottocategorie. Usare elementi fantascientifici o fantastici in questo modo mi sembra il sistema migliore di rendere omaggio al maestro senza imitarlo.

4.

Ucronia latinoamericana, quali i temi più significativi?

La conquista dell’America da parte degli Spagnoli, le guerre d’indipendenza, l’anarchia che nacque in tutti i paesi della regione nel tentativo di escogitare loro proprie forme di governo, la guerra della Triplice Alleanza che coinvolse Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay; il perdonismo come fenomeno particolare, con il suo stile da “fascismo dolce”, madre e padre di tutti i populismi. Io ho scritto una novella ucronica dal titolo La variante oscura, che parla di un’Argentina peronista ma senza Perón, assassinato nel 1956… E un racconto in cui appaiono i due grandi miti argentini: Gardel e Perón.

5.

Rapporti tra fantascienza sudamericana e italiana, a che punto siamo?

6.

Ci sono delle iniziative comuni di cui vorresti parlare fra Italia e Sudamerica?

Mi piacerebbe avere letto più fantascienza italiana per poter giudicare con cognizione di causa, ma credo che entrambi siamo mossi da una simile preoccupazione per il sociale, il futuro del pianeta, la distruzione dell’ecosistema, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, la progressiva e sempre maggiore differenza tra ricchi e poveri che pare portarci a un’irreversibile “sublimazione” della società, e una sua evoluzione in un ambiente diviso in due caste: Eloi e Morlock.

Credo che potremmo conoscerci meglio pubblicando antologie di racconti di scrittori italiani in

Sergio Gaut vel Hartman

Sergio Gaut vel Hartman è nato nel 1947 a Buenos Aires. Scrittore di fantascienza, ha creato e diretto la rivista Sinergia, successivamente ha diretto Parsec e quindi Axxón, ezine di cui è al momento direttore letterario. Formatosi su autori come Salgari, Verne, Stevenson, Siri, London, Wollheim, Wells, Swift, è poi passato alla fantascienza pura, con Bradbury, Sturgeon, Bester, Ballard, Vonnegut, Lem e Dick. Tra i libri pubblicati, Cuerpos Descartables (Minotauro, 1985) e Las Cruzadas (Editorial Circulo Latino, 2006), più varie antologie. http://www.giampietrostocco.it/

America Latina e antologie di scrittori di lingua spagnola in Italia. Sarebbe un primo passo interessante verso iniziative più importanti. In ogni modo, occorre rivalutare il racconto come forma espressiva. Gli interessi commerciali puntano sulla novella (oppure alle serie, saghe e tetralogie), però il lettore (e lo scrittore) devono capire che il racconto permette una sintesi rapida ed efficace su ogni tipo di tema, viste le caratteristiche di acutezza e la capacità di arrivare subito al nocciolo. E, più importante ancora, tramite due o tre opere corte si può arrivare a conoscere un autore. Questo può preparare con efficacia il terreno per altri progetti.

7.

Quali sono gli scrittori di fantastico più promettenti in Sudamerica?

Io amplierei l’area presa in considerazione al Centro America, ai Carabi e al Messico, visto che con queste regioni il nostro interscambio è intenso e molto frequente. Potrei citare dozzine di autori promettenti che passano da Axxón e dalle nostre parti in generale. Dall’Argentina: Hernán Domínguez Nimo, Laura Núñez, Fabio Ferreras, Paula Ruggeri, Andrés Diplotti, Ricardo Castrilli, Laura Ponce, Claudio Biondino, Judith Shapiro. Dall’Uruguay: Pablo Dobrinin, Eduardo Laens (anche se vive in Argentina), Enrique Castello. Dal Cile: Luis Saavedra, Soledad Véliz, Nora Calas (anche se in realtà è cubana), Jorge Baradit. Dal Perù: Daniel Salvo, Albino Hernández Penton (anche se lui è cubano), Yelina Pulliti, Pedro Félix Novoa. Da Cuba: Juan Pablo Noroña, Alberto Mesa, Duchy Man Valderá. Dal Messico: José Luis Zárate, Gerardo Horacio Porcayo, Libia Brenda Castro. Scrittori interessanti si trovano anche in Bolivia, Colombia, Venezuela e nel Centro America.

Intervista: Axxón


FANTASCIENZA

8.

Che tipo di mercato è quello del libro fantastico in Sudamerica?

Il mercato è a pezzi, almeno in Argentina, occorre ricostruirlo. Dopo la crisi del 2001, gli editori hanno appena cominciato a riprendersi, e i libri che si importavano dalla Spagna si sono ritrovati fuori dall’ambito dei potenziali acquirenti della regione latinoamericana. Senza riserve, ci sono alcuni progetti interessanti. Luigi Pestarini, editore della fanzine Cuasar dal 1984 (una rivista che si continua a pubblicare fino a oggi) ha lanciato una collana. Il primo libro è stato Oceanic, titolo che raccoglieva tre novelle corte di Greg Egan; seguirà quindi una novella di Algis Budrys. Un nuovo editore, Interzona, ha pubblicato Plop, una novella dell’argentino Rafael Pinedo, che ha vinto il premio Casa delle Americhe, e un’altra di M. John Harrison. Infine, è apparso un editore che si sta apprestando a pubblicare i saggi di Pablo Capanna. Ha cominciato con Idios Kosmos, un’analisi dell’opera di P.K. Dick e un libro di racconti di Pat Cardigan, Matrici.

So che in Cile è appena stata pubblicata un’antologia di racconti locali e una novella di Jorge Baradit. Cuba ha le sue dinamiche peculiari, anche se negli ultimi tempi le pubblicazioni sono state piuttosto limitate. Purtroppo non ci sono molti contatti fra i nostri Paesi a livello di interscambio di materiale fisico (a differenza di quanto fortunatamente succede grazie a Internet), anche se in Europa si potrebbe pensare il contrario. In Argentina non arrivano libri messicani e nemmeno cileni.

9.

Tu stesso sei uno scrittore di fantascienza. Stai preparando qualcosa?

Sto sempre preparando qualcosa. Attualmente sto correggendo una novella che ho terminato lo scorso anno e sto scrivendo una novella corta per un concorso. Ho terminato di scrivere due racconti e tra breve ne finirò un altro. Ho dozzine di racconti iniziati e appunti per almeno altri cento. n Giampietro Stocco

Intervista: Axxón


Lettura

Lettura

FANTASCIENZA

QUELLI DELLA STELLA POLARE

(L’Homme de l’Espace - J. Guieu, 1954) di Massimo “DeFa” De Faveri

L’

interesse intorno al fenomeno UFO cominciò a fermentare sul finire degli anni Quaranta, dopo il celebre avvistamento da parte di Kenneth Arnold e i fatti di Roswell. A metà degli anni Cinquanta ci si trovava già in pieno boom. La teoria più dibattuta era naturalmente quella che indicava gli UFO come veicoli spaziali costruiti da civiltà extraterrestri. Questi presunti alieni, in conformità alle tesi predominanti – che spaziavano dal catastrofico alla new age –, potevano essere o pericolosi a livelli apocalittici o filantropicamente pacifisti, quasi mai una via di mezzo. Col romanzo Quelli della Stella Polare, scritto nel 1954, Jimmy Guieu, per non fare torto a nessuno, coniugò tutte le ipotesi proponendo uno scenario in cui la Terra diventa oggetto d’attenzione da parte di ben due diverse specie aliene: i Polariani e i Denebiani. I primi, provenienti dalla Stella Polare e identici agli uomini (solo più belli, più buoni e più abbronzati), sono altamente progrediti, telepati e altruisti per natura. I secondi arrivano da Deneb, sono antropomorfi – tanto da sembrare uomini – ma verdi, viscidi e d’aspetto repellente; pure loro possiedono facoltà extrasensoriali ma meno sviluppate rispetto ai Polariani, sono tecnologicamente evoluti ma non quanto i Polariani, e hanno la sgradevole abitudine di rapire scienziati terrestri, come i Polariani, anche se per fini opposti. I Denebiani, infatti, sono violenti e privi di scrupoli. Intendono conquistare la Terra, e questa mira li pone in dichiarato conflitto con gli integerrimi Polariani, protettori dell’umanità. Tutto ciò accade mentre i governi terrestri, ignari – ma neanche troppo –, continuano a perdersi nel loro provincialismo, nelle loro puerili dispute politiche.

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Lettura: Quelli della Stella Polare


FANTASCIENZA Queste premesse lascerebbero auspicare una lettura spiazzante, che scoprisse via via dei benefattori non poi così disinteressati, e dei persecutori non così spietati. Invece no. Guieu non amava queste sottigliezze, queste sfumature. I suoi Polariani sono esattamente ciò che sembrano: buoni, onesti e virtuosi, al limite dell’irritante. E i Denebiani sono la quintessenza della crudeltà ottusa. In Quelli della Stella Polare, Guieu decise d’infilare allegramente vari stereotipi e tutta l’ingenuità (ma tra ingenuità e superficialità il confine è spesso sottile) propri della Fantascienza di quegli anni; ci mise però anche del suo, agganciando la storia al ciclo dei sui romanzi su fantarcheologia e civiltà perdute, aventi già come protagonisti il simpatico paleo-antropologo Jean Kariven e i suoi intrepidi colleghi Dormoy e Angelvin. Questa volta i tre amici si trovano a Los Angeles per godersi un meritato periodo di vacanza e presenziare nel contempo a un congresso internazionale di Ufologia. Occasione perfetta, quindi, per incappare in un alieno in incognito. Kariven viene infatti avvicinato da Zimko, un enigmatico individuo che si rivela appartenente alla civiltà spaziale dei Polariani. Costoro altri non sono che quegli “esseri civilissimi venuti nel remoto passato sul nostro pianeta per istruire il genere umano” noti agli antichi con il nome di “Draghi di Saggezza”, secondo leggende che Kariven aveva già avuto modo di studiare durante le sue precedenti avventure (fra cui un viaggio nel Tempo!). Zimko avvisa che sulla Terra è presente da qualche anno (attirata dalle prime esplosioni atomiche) pure la spietata razza dei Denebiani, con la quale i Polariani sono in lotta mortale. Kariven stesso è testimone di uno dei tanti atti di questa guerra secolare: nel corso di una festa in maschera, assiste a un duello tutto mentale nel quale Zimko affronta e uccide telepaticamente tre Denebiani. I motivi per cui l’antropologo è stato “contattato” sono vari: innanzi tutto ai Polariani non sono sfuggite le azioni eroiche compiute da Kariven e dai sui amici nei loro “excursus” temporali, inoltre tutti e tre portano il “Segno”. Si tratta di una particolare disposizione delle linee del palmo della mano, che qualifica i possessori come membri della “Nuova Razza”, l’Homo Superior, destinata a soppiantare gradualmente l’attuale Homo Sapiens, e ad essere artefice di una rivoluzione sociale e morale su scala planetaria.

Affascinati da queste rivelazioni, Kariven e compagni non esitano un istante ad accettare la proposta di Zimko: unirsi alla segreta alleanza Terro-Polariana. Rientrati in Francia e scampati a un paio di attentati da parte dei Denebiani, i nostri eroi s’imbarcano nel disco volante di Zimko, partecipano a Mosca al “prelievo” del fisico atomico Yegov, e poi in Australia alla liberazione di un gruppo di scienziati rapiti dai “mostri verdi”. Infine, come ricompensa per il coraggio dimostrato, ottengono il privilegio di entrare in Agarthi, il leggendario “Regno Proibito”, e incontrare il “Re del Mondo”, l’androide che da tempo immemorabile vigila sulla salute dell’umanità. Quelli della Stella Polare è dunque un libro che amalgama elementi fra loro molto eterogenei, ma lo fa con esiti piatti e mostrando purtroppo tutti i segni del tempo. Guieu era un ufologo appassionato, convinto sostenitore della spiegazione “extraterrestre” al fenomeno UFO, e in questo romanzo sembra più concentrato a perorare la sua causa che a salvaguardare la tenuta narrativa. L’intreccio è un continuo pretesto per criticare (e a volte ridicolizzare) le posizioni contro la teoria sui “visitatori alieni”, e per esaltare (ma con un oltranzismo a sua volta risibile) quelle pro. Le incongruità sono molte, già a partire dalla caratterizzazione dei protagonisti e dalle loro interazioni. I personaggi che supportano Kariven e Zimko sono fotocopie prive d’identità. L’unica funzione riconoscibile di Robert Angelvin e Michel Dormoy, i compagni di mille avventure di Kariven, è quella di elevare ogni tanto da due a quattro il numero dei partecipanti ai dialoghi. I personaggi femminili aggiungono poco di più, solo una spruzzata di malizia. Kariven s’innamora – seduta stante, e ricambiato – di Yuln, sorella di Zimko (del resto come dargli torto? considerando che le belle Polariane indossano una divisa standard composta da stivaletti lucidi alti al ginocchio, bikini, e tunica rigorosamente trasparente!). Stessa sorte tocca alle altre fidanzate predestinate, ossia Jenny, ex compagna d’Università di Angelvin e ora in forza all’Alleanza, e Duniatchka, una giovane moscovita imbarcata estemporaneamente durante la sosta in Russia giusto perché, con Kariven e Angelvin ormai accasati, non si poteva certo lasciar spaiato Dormoy. Bastano qualche intenso sguardo e un paio di battute a testa per formare coppie salde come querce secolari. Sulla stessa falsariga d’improbabilità viaggia l’impostazione delle due razze aliene.

Lettura: Quelli della Stella Polare

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FANTASCIENZA I romanzi di Jimmy Guieu

L’invasion de la Terre, 1952 Hantise sur le Monde, 1953 L’Univers Vivant, 1953 La Dimension X, 1953 Nous les martiens, 1954 La Spirale du temps, 1954 Le Monde oublié, 1954 L’homme de l’Espace, 1954 Opération Aphrodite, 1955 Commandos de l’Espace, 1955 L’Agonie du Verre, 1955 Univers Parallèles, 1955 Nos Ancêtres de l’Avenir, 1956 Les Monstres du Néant, 1956 Prisonniers du Passé, 1956 Les Êtres de Feu, 1956 Con lo pseudonimo di Claude Vauzière: Trafic Interstellaire, 1961 In collaborazione con Richard Wolfram: Au coeur de Kenndor, 1995 La fin de Gondwana, 1996 Embuscade sur Eileena, 1996 Psiboy l’enfant du cosmos, 1996 L’alliance des invincibles, 1997 La planète sans nom, 1997 Panique sur Wondlak, 1997 Tra Polariani e Denebiani esiste un abisso tecnologico che tuttavia pare non incidere sulla durata della guerra. I dischi volanti polariani distruggono sistematicamente quelli denebiani... Con la telepatia Zimko può soggiogare 400 Denebiani in un colpo solo... Vien da chiedersi insomma (lo fa perfino Kariven!) come mai questo conflitto duri da secoli. Nel finale, tanto più, i Polariani si “arrabbiano” e, nel giro una pagina e mezza, fanno piazza pulita di tutti Denebiani circolanti

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sulla Terra, erigendo poi intorno al pianeta una barriera capace di tenerli definitivamente lontani. Ma... se era così semplice... Questi alieni, estremizzati nella loro funzione simbolica (buoni e belli contro brutti e cattivi), non sono convincenti neanche come stereotipi. Di persona, Kariven assiste a un’unica uccisione operata dai terribili Denebiani: gli astuti mostri verdi, tentando di eliminare l’antropologo, gli sparano da breve distanza con un raggio termico, ma sbagliano clamorosamente mira e carbonizzano una povera vecchietta che passava di lì per caso! Viceversa, Zimko e compagni, che si proclamano “apostoli della non-violenza”, tra dischi volanti abbattuti, nemici morti “sparati”, lobotomizzati o telepaticamente costretti al suicidio, compiono un’autentica piccola strage; e “piccola” solo se nel conto si lasciano fuori i 400 prigionieri Denebiani catturati da Zimko, i quali – candida ammissione dello stesso Polariano – sono destinati ad essere tutti disintegrati perché… se lo meritano. I concetti di “saggezza” e di “civiltà illuminata” sono piuttosto soggettivi in quest’opera. Le incongruenze, fatalmente, influiscono anche sul ritmo narrativo, poiché l’inadeguatezza dei cattivi permette ai buoni di portare a termine le imprese con una facilità irrisoria, togliendo ogni pathos. Nella colonna dei pregi occorre certo menzionare un (peraltro non troppo lineare) sentimento antimilitarista, una decisa presa di posizione contro il nucleare bellico, diverse allusioni più o meno maligne sui malgoverni, sui particolarismi, sulla Guerra Fredda, sui vari servizi segreti… Ma questo può forse bastare per vincere il fantomatico “Grand Prix du Roman de Science-Fiction”, non certo per fare di Quelli della Stella Polare un’opera memorabile. Per attribuire un significato meno vuoto agli eccessi di questo romanzo occorrerebbe considerarli in chiave satirica, tutti, globalmente. Ecco allora che troverebbe una giustificazione anche l’aspetto più sconcertante: il fatto che, a nemmeno 10 anni dalla fine della II Guerra Mondiale, Guieu possa scrivere con tanta disinvoltura e convinzione di “Segni”, di predestinazione, di individui prescelti, di Homo Superior, in quella che – pur con tutte le attenuanti derivate dal contesto fantascientifico e dal fatto di rappresentare una finzione letteraria – suona come un’apologia del concetto odioso di “Razza Eletta”. Di questa eventuale ironia tout court, però, si fatica davvero a rintracciare l’intenzionalità. n Massimo De Faveri

Lettura: Quelli della Stella Polare


I Grandi Illustratori FANTASCIENZA

“Senza titolo”

Angus McKie

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Lettura

Lettura

FANTASCIENZA

L’ACCHIAPPASOGNI (Dreamcatcher - S. King, 2001) di Cristina “Anjiin” Ristori

P

rendere o lasciare: la reazione di chi si accosta per la prima volta a Stephen King generalmente è di rifiuto completo o… fedeltà totale. Un colpo di fulmine che induce poi a comprare immancabilmente tutto quello che porta la firma King: manuali di scrittura, romanzi, raccolte; comprese quelle opere – sempre più frequenti da qualche anno a questa parte – che si “avvertono” meno belle e senza più la grinta della prima produzione. L’Acchiappasogni rientra quasi certamente in quest’ultima categoria. Scritto dopo il terribile incidente che nel 1999 quasi costò la vita a King, ci mostra un autore in bilico tra lo sforzo di confermarsi “quello di sempre” e l’inizio di una lenta discesa delle sue capacità creative. Stephen King è tutt’altro che uno scrittore perfetto. I suoi libri alternano punte eccezionali a disastri che fanno cadere le braccia al più affezionato dei lettori. Ma la sua particolare zampata, quella capacità cruda di mettere a nudo i sentimenti più impensabili, una volta assaggiata non si scorda più. Cosa resta di tutto ciò in quest’opera che riprende, dopo una lunga pausa, l’argomento Alieni? Temi ricorrenti di altri romanzi più spettacolari, riferimenti, come sempre, marcatamente autobiografici, e soprattutto lo sforzo di scavare all’interno dell’animo umano, mettendo alla luce la “metà oscura” sepolta in ognuno di noi. Ma l’obiettivo, in Dreamcatcher, è solo sfiorato. Non c’è un motivo identificabile, o un difetto preciso su cui puntare il dito. Semplicemente, si avverte che quel qualcosa di particolare che forava le pagine, qui se n’è andato. L’acchiappasogni è un amuleto a forma di ragnatela, composto da piume colorate e fili intrecciati. Presso gli Indiani d’America rappresenta un talismano potente, capace di catturare nella sua rete le visioni mostruose che giungono ad insidiarci nel

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Lettura: L’Acchiappasogni


FANTASCIENZA sonno. Il valore simbolico del titolo diventa evidente a mano a mano che si procede nella lettura. La trama del racconto, per chi conosce King, si riassume in poche parole: Derry, la città dai mille angoli oscuri di It e Insomnia, quattro protagonisti legati da qualcosa di magico, e il Nemico, l’alieno di Tommyknockers e di Cell, questa volta visto “molto da vicino”. Pete, Jonesy, Henry e Beaver sono ragazzini di Derry, stato del Maine, che un giorno si trovano insieme a fare qualcosa che li segnerà per sempre, nel bene e nel male: affrontano un gruppo di teppistelli per salvare il piccolo Duddits, un fragile bambino down che ricambia la loro amicizia condividendo con loro un dono… molto particolare. Poi i quattro ragazzi diventano uomini, inevitabilmente si allontanano e quasi dimenticano chi e cosa li aveva resi tanto speciali, ma continuano a ritrovarsi ogni inverno per la tradizionale caccia al cervo, nelle foreste del New England. Fino ad un’ultima, fatidica volta, in cui tutto comincia ad andare terribilmente storto, e da cacciatori divengono prede di qualcosa di Estraneo sbarcato sulla Terra. In piena atmosfera X-Files, la lotta fra terrestri buoni, terrestri cattivi, extraterrestri cattivissimi e anche disgustosi, è senza quartiere. Un’infezione aliena accompagna questi fratellastri di ET, e avanza coprendo uomini, animali e cose con una letale muffa rossa; essa provoca, quando ingerita, il parto contro natura di parassiti enormi e affamati, con dentatura alla Alien e capacità riproduttiva di conigli australiani. Non a caso l’organismo responsabile (un fungo) viene chiamato Ripley, per la gioia di Sigourney Weaver. Ma questa è solo la truppa a piedi. Il corpo scelto, il cervello diabolico, è l’Uomo Grigio, dai grandi occhi neri e spenti, accompagnato dal suo esercito d’invasione che si chiama, oltre che Infezione Mortale e Mostri Carnivori, anche Dominio Telepatico. Mr Gray, l’unico alieno sopravvissuto al disastroso schianto di un’astronave all’inizio della vicenda, non è però il solo incubo con cui l’umanità deve fare i conti. Infatti, contro la minaccia aliena viene inviato l’esercito degli Stati Uniti, o meglio una sua sezione speciale comandata dal colonnello Kurtz, il cui nome e le cui azioni rievocano sinistramente un altro Kurtz di Hollywoodiana memoria. E le scene di sorvolo del relitto extraterrestre da parte degli elicotteri richiamano in modo inquietante quella certa atmosfera persa nella nebbia di Apocalypse Now. Il grido lamentoso dei superstiti alieni, “Non c’è infezione qui! Il n’ya pas d’infection ici!”, si spegne nel fuoco del napalm.

O del fosforo bianco, per essere al passo con i tempi. Un combattimento su vari fronti, quindi, in cui le vittime sono numerose: il nemico verrà fermato grazie al legame ESP dei protagonisti, ma il prezzo da pagare sarà molto, molto alto. Quando la Sci-Fi si mescola all’horror nelle mani di un autore come Stephen King, il risultato è anomalo e caratteristico allo stesso tempo. Quello che ne esce, è un’atmosfera che va al di là del semplice horror, della fantascienza tradizionale, o anche del fantasy classico. Qualunque sia il tema, è particolare il modo che ha l’autore di svelare un universo di paura appena dietro la porta di casa, (Matheson docet), attraverso indizi dapprima inquietanti, poi via via sempre più raccapriccianti, fino allo splatter. Il linguaggio usato è gergo da strada, quello che si parla tra amici stretti o che si mormora tra i denti, sicuri che non ci senta nessuno. Difficilmente il vocabolario di King riscuoterebbe l’approvazione di Monsignor della Casa. Per dirne una: SMAG è la parola d’ordine tra i quattro, e significa “stessa merda, altro giorno”; ma, nonostante le espressioni molto “folk” e le immagini esplicite – o forse proprio per questo (l’autore stesso commentando il suo romanzo dice “dopo averlo letto, nessuno riuscirà più ad entrare in bagno tranquillo”) –, qui il Chud con il lettore non riesce. La trama è quella che il kinghiano affezionato desidera con trepida aspettativa, ma evidentemente l’esperienza traumatica vissuta dall’autore, che al pari dei suoi amati personaggi può dire di aver visto la morte in faccia, ha lasciato un segno evidente e per nulla mimetizzato: uno dei temi preferiti di King, vale a dire il passaggio difficile dall’adolescenza all’età adulta, viene presentato con una malinconia nuova, quella che nasce quando il passare degli anni trasforma i ricordi in nostalgia. E quando, magari, ci si rende conto che il tempo delle canne e dell’alcool è finito. I ragazzi di It, nell’Acchiappasogni, diventano “perdenti” veri. Non c’è più quella possibilità di fuga verso un futuro migliore, presente in Stand by me (The Body), né le esperienze vissute servono a quella maturazione che permette di affrontare la vita con l’animo un po’ più temprato, come in Cuori in Atlantide. E le armi della piccola Charlie, l’Incendiaria, sono nelle mani poco raccomandabili dei militari. I quattro di questo romanzo, comunque, sono ancora quello che King chiama ka-tet: “Uno che viene da molti”, per dirla con le parole di Roland (La Torre Nera). È il gruppo unito dal destino che trae forza da se stesso, come i pezzi di un puzzle capaci di forma-

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FANTASCIENZA

re insieme un disegno particolare, finalizzato ad uno scopo. Per i protagonisti di Dreamcatcher, il potere è la capacità di “vedere la linea”: percepire quello che gli altri pensano e sentirsi legati telepaticamente nei momenti difficili, come un acchiappasogni vivente. Il centro del quale, però, è ancora Duddits, imprigionato nella sua eterna infanzia, che si unisce ai vecchi amici nello scontro conclusivo. Il tema quasi di riscatto, che attribuisce ad un ragazzino menomato fisicamente, psichicamente o relazionalmente dei poteri particolari capaci di compensarne la diversità, risale all’alba della scrittura di King: basti pensare a Unico indizio la luna piena, ormai introvabile, in cui l’eroe protagonista è sulla sedia a rotelle.

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Ken Meyer Jr. - “Stephen King” Attraverso numerosi flash-back, la trama del racconto s’intreccia su se stessa come le volute dell’amuleto, arrivando convulsamente al finale. I due sopravvissuti del ka-tet originario ritornano ad una vita, se possibile, “normale”, e attraverso loro, nell’ultimo capitolo ci si affanna a spiegare i significati reconditi di ciò che sarebbe già dovuto arrivare al lettore durante le oltre seicento pagine del libro. Un epilogo che forse rivela l’insicurezza circa la trasmissione del messaggio, insicurezza avvertita (e questo è grave) dallo stesso autore. Tuttavia, alla fine, un interrogativo strisciante resta: quale parte dell’inferno arriva dal cielo, e quale è già qui, sulla terra? n Cristina Ristori

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Racconto FANTASCIENZA

di Pellegrino Dormiente, 2006

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Racconto

IL 21° DITO

ono giunto in questa dimensione circa due anni fa. La fessura spazio-temporale che mi aveva permesso di compiere quell’inimmaginabile viaggio si era chiusa alle mie spalle tanto in fretta da non permettermi di pianificare il ritorno. Così ero rimasto intrappolato in quel mondo alieno, tanto diverso da quello che conoscevo. La temperatura era rigida; troppo rigida per il mio corpo, abituato al tiepido clima del mio mondo. Anche il cibo si era rivelato un problema: il mio sistema d’autosostentamento, attivato dai maghi superiori sin da quando ero nato, aveva inspiegabilmente smesso di funzionare appena avevo messo piede su quel terreno gelido e desolato; ero stato costretto a cibarmi di tutto quello che trovavo. Oh, non pensate che per questo fosse disabitato! Innumerevoli forme di vita lo popolavano, tanto diverse da me da non riuscire a trovare termini adatti a descriverle. Tutti i miei tentativi di comunicare erano falliti, ma questo non mi aveva preoccupato troppo: dopotutto non sembravano essere ostili... quanto mi sbagliavo! Capii che qualcosa non andava una fredda (anche se ormai iniziavo a farvi l’abitudine) mattinata. Mi destai di soprassalto, le membra scosse dai brividi e la fronte imperlata di sudore. Un ossessionante formicolio mi attraversava, svuotandomi di ogni energia. In un primo momento non attribuii alcuna responsabilità alle creature autoctone con cui, in un modo o nell’altro, ero venuto in contatto; ma poi vidi che sembravano deliziate mentre mi osservavano cercare mille posizioni per porre fine a quel terribile formicolio. Non ero mai riuscito ad interpretare le espressioni di quegli esseri tanto diversi da me, ma una nuova consapevolezza pareva accompagnare la sofferenza che mi aveva colto. Ora sto malissimo. La mia situazione si è aggravata negli ultimi mesi; il formicolio si fa di momento in momento più intenso. Allo stesso modo, vedo gli alieni meno... “diversi”. Dannazione! Mi sembra quasi... no... no… non è possibile! Mi appaiono simili a me! Che mi stia trasformando? Possono i microrganismi di questo pianeta aver dato il via in me ad una sorta di assimilazione? Che sia invece una magia? È possibile che qualcuno mi abbia colpito con un maleficio? Una fitta di... non dolore... qualcosa d’indefinibile porta la mia attenzione verso il basso. Mi guardo le mani, dieci dita... mi osservo i piedi, dieci dita. E... OH DEI! Là, tra le gambe, un peduncolo di carne rosa... un dito... il ventunesimo... spunta come un’oscena dimostrazione del perfido incantesimo che mi ha colpito. No! No! Piango consapevole del fatto che questo mondo mi sta assimilando... Jack, il bellissimo figlio di tre anni e mezzo di James e Carla, piange disperato. Nudo. Seduto sul morbido telo di spugna del bagno. Piange e guarda sconsolato il suo piccolo pene. n

Racconto: Il 21° dito

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Cinema

Cinema

FANTASCIENZA

SIGNS

(Signs - M. Night Shyamalan, 2002) di Cuccu’ssette

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ucks County, Pennsylvania, è uno dei tanti paesini dell’America rurale: un pugno di case disposte lungo la via principale, qualche negozio che vende un po’ di tutto, la stazione di polizia, e campi coltivati a mais, a perdita d’occhio, interrotti da occasionali abitazioni. In una di queste grandi fattorie vive l’ex pastore Graham Hess, da pochi mesi vedovo, con i figli Morgan e Bo, ed il fratello Merril. Una notte, i ragazzi vengono svegliati dall’abbaiare furioso dei cani; esplorando i dintorni, trovano il granoturco schiacciato e piegato in modo innaturale a formare una serie di disegni circolari ben visibili dall’alto, detti “crop circles”. È un fenomeno noto fin dagli anni Settanta, inspiegabile, attribuito di volta in volta a scherzi di buontemponi, alla sperimentazione in gran segreto di armi e velivoli, al magnetismo terrestre, ad atterraggi di astronavi aliene… Graham, che in seguito alla tragica morte della moglie ha perso la fede ed è portato a negare qualsiasi manifestazione sovrannaturale, rincorre una possibile spiegazione razionale. Pensa così ad una bravata di alcuni turbolenti vicini e chiama la polizia. L’agente che si incarica di svolgere l’indagine dubita però della colpevolezza dei balordi locali: li conosce, e li ritiene troppo rozzi perché possano aver architettato uno scherzo così elaborato. Tanto più che i sospettati hanno alibi dimostrabili, mentre la testimonianza dell’ex pastore appare troppo confusa. La ricostruzione lascia tanti punti oscuri e le circostanze non sembrano poter suggerire ipotesi plausibili. Intanto gli strani eventi continuano a susseguirsi, attorno al campo di Graham e nelle vicine fattorie. Gli animali impazziscono, la gente è inquieta, si odono fruscii e s’intravedono movimenti sospetti nei campi di granturco… Inoltre i disegni nel grano appaiono in diverse Nazioni, e bizzarri suoni giungono tramite le frequenze dei walkie talkie.

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Cinema: Signs


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È sempre più difficile poter dare la colpa a “trentenni che non hanno una ragazza”, a “spostati” in cerca di notorietà. Graham cerca di mantenere la sua famiglia quanto più lontana possibile dalle preoccupazioni, stacca perfino radio e televisore. Tuttavia sono precauzioni inutili, quanto sta accadendo in tutto il mondo è di portata troppo vasta per poter essere ignorato. Le tv mostrano a reti unificate le luci di velivoli sconosciuti, sospesi su Città del Messico, poi su Nairobi, su Gerusalemme… Le sagome distinguibili nel cielo buio si fanno invisibili alla luce del giorno, ma sono sempre lì, tanto che gli uccelli in volo non scorgendole ci si schiantano contro. Le “piccole occupazioni quotidiane, la miglior medicina” non bastano più a distogliere la mente. Morgan e Bo ascoltano gli strani segnali del loro walkie talkie, e studiano con accanimento un libro sugli extraterrestri, capitato per errore nella piccola libreria locale e acquistato da Morgan. Si tratta di un testo pieno di notizie scritte da “scienziati perseguitati per le loro convinzioni” – o da ciarlatani “disoccupati”, come suggerisce il senso comune per bocca di Graham. Merril asseconda i piccoli, sia per aiutarli a convivere con la paura dell’ignoto, sia perché è convinto dell’origine sovrannaturale di ciò che sta capitando. L’ex sacerdote continua invece a rifiutare l’evidenza, e si aggira nel campo a notte inoltrata, armato di torcia e scetticismo. Riesce così a scorgere una gamba esile e verde che si rintana tra il fogliame, nel buio.

Sembra un arto del medesimo genere di creatura che un Brasiliano è riuscito a immortalare in una ripresa amatoriale del compleanno del figlioletto. Appare chiaro a quel punto che gli alieni esistono davvero, e che i cerchi nel grano sono segnali indirizzati alle astronavi per organizzare un’invasione che… “è come la Guerra dei Mondi”! Le notizie riportate da certa stampa New Age riguardo a ipotetiche invasioni aliene hanno dopo tutto la loro parte di ragione: a Graham non resta che riconoscere l’esistenza di realtà che l’uomo non può spiegare ricorrendo unicamente ai sensi o alla scienza. Addirittura si fa vivo l’uomo responsabile dell’incidente in cui morì la moglie del pastore. In una conversazione dal sapore di confessione, durante la quale chiede perdono a Graham, rivela di aver imprigionato in casa propria una delle creature aliene e suggerisce l’arma risolutiva: sta partendo per il lago, poiché si è accorto che i crop circles sono sempre apparsi lontano dalle distese d’acqua, e quindi ritiene che gli alieni temano quell’elemento. Perplesso, ma già incrinato nel suo rigido scetticismo, l’ex sacerdote fa ritorno alla fattoria. Là si barrica nella cantina insieme alla famiglia, che ha deciso di non abbandonare la casa dove è sempre vissuta. Finale pieno di suspance e di cambiamento interiore.

La faccia triste dell’America. La genialità della cinematografia di M. Night Shyamalan si esprime al meglio nella fusione tra sceneggiature impeccabili e di impianto classico, virtuo-

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Cinema FANTASCIENZA

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Morgan mostra al padre il misterioso cerchio comparso nel loro campo di grano. Lo sceriffo Poski esamina il corpo del cane degli Hess, ucciso mentre stava per aggredire Morgan e Bo. Con un baby monitor, Morgan riesce a captare una “discussione” tra due alieni. La famiglia Hess esterrefatta di fronte alla tv che trasmette l’arrivo degli alieni.

I segni

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sismi narrativi, e creatività sfrenata. Trame in apparenza semplici vengono attualizzate, attraverso un attento riutilizzo degli elementi più significativi. Essi vengono riproposti sfruttando sempre un punto di vista alternativo a quello che lo spettatore si aspetterebbe. La cronaca di un’invasione aliena, tema caro alla Fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, prende nuovamente vita. O piuttosto, si reincarna, poiché la tentazione di un facile revival tecnologico è scartata con decisione, e la vicenda viene trasformata in un’occasione per una riflessione metafisica. Lo scontro con l’extraterrestre non viene più narrato dal solito scienziato sicuro delle conquiste del proprio sapere, dal militare che non deve chiedere mai, dal medico generoso fino all’eroismo, o da immancabili rassicuranti belle signorine della porta accanto. Dimentichiamo pure questi personaggi tradizionali, insieme a tutto il chiassoso repertorio di dischi volanti, raggi laser, omini verdi e mostri giganti. I protagonisti di Signs narrano gli eventi con il loro sguardo di stralunati anti eroi di un’America rurale, lontana dagli stereotipi di Hollywood o del cinema di genere, quasi che fossero essi stessi alieni. Assomigliano all’umanità ritratta in Una storia vera; stavolta i problemi economici paiono lontani, mentre le angosce esistenziali sono rimosse ma pronte a riaffiorare nel momento della difficoltà. Sotto l’apparenza di normalità, i personaggi celano manie, tic, sensi di colpa; “fan finta di essere sani”. Tutti, invariabilmente, turbano e inquietano, forse perché ci assomigliano un po’, come il riflesso distorto da uno specchio in un baraccone al Luna Park. Padre “non chiamarmi Padre” Graham è un ex pastore a cui la drammatica morte della moglie ha portato via la fede e l’amore per il divino. Respinge qualsiasi fenomeno che non riesca a spiegare con la ragione. Merril, il fratello, è un bravo ragazzo di paese, un puro di cuore cresciuto a baseball e giochi all’aria aperta, pronto a vivere ogni coincidenza come un miracolo. I figli sono figure segnate dalla prematura morte della madre e da doti insolite. Morgan è un ragazzino fin troppo intelligente e sensibile, che si occupa della sorellina con premura; forse perché sofferente d’asma, ha sostituito i giochi più rudi con la lettura, che l’ha reso istruito. Spesso risulta antipatico proprio perché anticipa le affermazioni degli adulti con toni da primo della classe, salvo poi trasformarsi da secchione in malato, divenendo elemento di tensione, nel concitato epilogo. Bo ha premonizioni e fa strani sogni, crede che l’acqua sia contaminata, ricorderà per certi versi Sadako-Samara del cult Ringu. La gente del paese in un primo tempo è presa dalle piccole manie quotidiane, poi vive l’invasione aliena come l’avverarsi dell’Apocalisse. L’agente di polizia è comprensiva e affabile; oscilla tra il pragmatismo e la voglia di credere, tra mentalità moderna e tradizionalismo. I lunghi sguardi che lancia all’ex pastore suggeriscono che tra i due ci fosse un sentimento radicato, benché nessuno ci espliciti completamente la natura

Cinema: Signs


FANTASCIENZA

del rapporto. È amore? Amicizia coltivata sui banchi di scuola? Parentela? Frequentazione della parrocchia? Sappiamo solo che è stata lei a fare il sopralluogo dell’incidente e ad accompagnare il reverendo all’estremo congedo dalla moglie. D’altra parte, Signs non è un film sull’amore tra un uomo e una donna, e divagazioni in tale senso l’avrebbero trasformato in un superficiale data movie. Più enigmatico è Ray, strumento della Provvidenza, l’uomo che involontariamente uccide la moglie del pastore e lo priva della fede, ma fornendogli poi la salvezza dalla minaccia aliena. Cambiano gli ambienti che fanno da sfondo alle vicende, perdono il carattere rassicurante tipico della Fantascienza anni Cinquanta. È una scelta che va oltre l’innovazione scenografica e ben asseconda la mentalità dei personaggi. Bucks County è distante solo poche decine di miglia dalla metropoli, eppure sembra un altro pianeta. La vita scorre lenta, gli svaghi sono semplici, i criminali al massimo sono buontemponi che alzano il gomito o inviperite vecchiette che sputano sugli skateboard; tutti si conoscono e in qualche maniera si tollerano reciprocamente, mentre il benessere si esprime in enormi fuoristrada che conducono i cittadini verso un altrove. Gli abitanti del paese appartengono ad una realtà sociale assai lontana dalla nostra e dall’idea che ab-

biamo degli USA. Spesso i film d’oltreoceano ritraggono città ultramoderne, forse violente ma luccicanti di neon e di altissimi grattacieli, o di ville lussuose. Oppure si rifugiano nel ricordo mitizzato del West della frontiera, e nei grandi spazi sconfinati. Gli ambienti della provincia americana, poco frequentati dalle cineprese, fanno da sfondo all’allucinata quotidianità degli spaesati personaggi di Signs. Le citazioni volute o inconsapevoli contribuiscono ad aumentare il senso di angoscia: Bucks County non è il ridente villaggio dell’infanzia di Superman, il campo di mais riporta alla memoria Grano Rosso Sangue, l’austera fattoria rammenta certe case descritte da Stephen King, la caccia alla misteriosa presenza ammicca al bellissimo incipit di E.T. L’Extraterrestre. Graham vive in una casa colonica, eppure l’edificio ha interni cupi, degni di Piano piano dolce Carlotta, e, già prima di divenire teatro dell’assedio, trasmette un senso di claustrofobia, analogo a quello provocato dalle lunghe carrellate tra il granturco cresciuto, assai più alto di una persona adulta. La cantina non può che ricordare George Romero e la sua filmografia sui morti viventi; di certo Steven Spielberg deve essersi ispirato a quelle sequenze drammatiche per la sua cantina ne La Guerra dei Mondi. Neppure il cielo si salva dal generale senso d’inquietudine, percorso com’è da strane voci che parlano

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Cinema FANTASCIENZA una lingua sconosciuta, ingombrato da misteriose masse invisibili, e dagli uccelli che impazziti lo percorrono senza più orientamento.

Il Vangelo secondo Alfred Hitchcock.

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Roy Reddy, dopo aver rinchiuso nella cucina di casa sua una creatura aliena, si appresta a lasciare la città per rifugiarsi al lago. La famiglia Hess vota per restare. Barricati nello scantinato, gli Hess tentano strenuamente di resistere all’assalto da parte degli alieni. Durante lo scontro, Morgan accusa un attacco d’asma, e non ha con sé la medicina.

La resistenza

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Sorprende piacevolmente il modo di creare tensione usato dal regista, che s’ispira direttamente ad Alfred Hitchcock. Ne rielabora lo stile in forma personale e introspettiva, oltre a citare esplicitamente Gli Uccelli – per il comportamento anomalo degli animali, per la stanza dalle finestre sbarrate da assi, per i dialoghi in paese. Tanto è reverente l’affetto di M. Night Shyamalan per il “Maestro del Brivido”, da imitarlo nell’abitudine di ritagliarsi sempre un’apparizione nelle proprie pellicole. In questo caso, interpreta l’uomo che ha investito la moglie del protagonista, e che diviene, anche nella finzione, regista delle vicende umane dei personaggi. E come si può vedere, è giovanissimo! Fin dalla prima inquadratura, quella che ci mostra la foto di famiglia di Graham, si avverte che il modo di comunicare con lo spettatore è diverso da quello stereotipato di certa cinematografia horror. Nel giro di un paio di minuti di proiezione ci vengono trasmesse tantissime informazioni sui protagonisti, molte più di quante non avrebbero comunicato i dialoghi. Tutta la pellicola procede con l’accumulare dettagli sull’ambiente e sui comportamenti; talvolta la mancanza di qualche particolare viene evidenziata (come l’alone del crocifisso rimosso dalla parete), suscitando domande in chi osserva. A poco a poco lo spettatore provvede ad elaborare con la sua immaginazione i dati che gli giungono dalle immagini. Nessun fotogramma è superfluo, ogni inquadratura è funzionale per suggerire un’interpretazione degli eventi, un’atmosfera. Gli stessi sentimenti dei personaggi sono espressi dal dialogo ed ancor meglio dalle immagini. Una certa lentezza è obbligatoria per poter innescare questo meccanismo di coinvolgimento emotivo: la velocità è lasciata alle concitate scene d’azione. Oggi parecchi registi credono di poter far fare i salti sulle poltroncine ricorrendo a effetti speciali elaborati e iperrealisti, e a scene truculente, montate con ritmo indiavolato per tutta la durata del film, meglio se con l’accompagnamento di buona dose di hard rock. Quasi sempre, l’esito di tanti sforzi accontenta solo i più giovani, anche perché troppo spesso i prodigi tecnici tendono a sostituirsi alla sceneggiatura, piuttosto che inserirvisi quando è indispensabile. Signs dimostra come la vera suspance nasca e cresca in ben altra maniera. La tensione si origina dai personaggi stessi, e dalla loro complessa psicologia; dalla sceneggiatura sempre solida, dagli ambienti, così claustrofobici, dalla colonna sonora che rende al massimo il senso di angoscia. Occorre far leva su motivazioni universalmente valide: il buio, i passi e i rumori della creatura nascosta, i latrati, la presenza indeterminata ed ostile, il senso della perdita, la disperazione, le troppe incertezze e l’attesa

Cinema: Signs


FANTASCIENZA

di chiarimenti. Ingredienti validi oggi come lo erano cinquant’anni fa, tanto più che gli effetti speciali sono limitati al minimo e quindi poco risentiranno delle future evoluzioni tecniche. Le astronavi sono solo luci bianche raggruppate nel cielo buio; di giorno scompaiono. L’alieno non viene mai esibito. Viene percepito, fatto immaginare. Se ne intravede una gamba che sguscia tra il fogliame, nel campo di Graham. Alla televisione c’è il video amatoriale brasiliano: breve e sfocato, volutamente simile alle migliaia di filmati di compleanni girati in famiglia; in esso, l’extraterrestre è un umanoide magro, che attraversa una strada. L’esemplare catturato da Ray è rinchiuso in una stanza e se ne scorgono le dita tagliate dal coltello di Graham. Tutta la sequenza dell’attacco alla cantina è un crescendo di tensione, e così lo scontro ravvicinato tra Merril e la creatura. Finalmente vediamo l’extraterrestre per intero: ma invece di averlo davanti descritto con insistenza nei minimi dettagli, lo scorgiamo riflesso nel monitor della tv, nel vetro del bicchiere colmo di acqua, in penombra, in controluce, da lontano… La nostra fantasia provvede ad aggiungere i dettagli!

Io voglio credere? Niente è quello che appare, nei film di M. Night Shyamalan. Signs è senza dubbio una film pellicola atipica, che può lasciare perplessi proprio perché i suoi maggio-

ri pregi possono apparire come altrettanti difetti. Pur trattando di un’invasione aliena, Signs è in realtà uno stimolo alla riflessione sul rapporto tra l’uomo e la divinità, o piuttosto, tra l’uomo e la sua voglia di credere a quanto va oltre i suoi sensi. Il protagonista è un sacerdote, figura di riferimento per la piccola comunità, interpretato da un parecchio invecchiato Mel Gibson. Viene preso in esame il culto cristiano protestante, poiché è tipico dagli USA; consente che il ministro di culto sia sposato, e quindi permette lo svolgersi del dramma umano del personaggio. La tragica separazione dalla giovane moglie ha un impatto emotivo assai più forte rispetto alla perdita di un parente stretto, o di un amico di vecchia data. Il dibattito coinvolge tutto il genere umano, e lo divide in due nette metà. Ci sono persone che credono solo a quello che possono vedere, considerano gli eventi favorevoli come altrettante coincidenze fortunate, si credono moderne e razionali, non perdono tempo a pregare. E ci sono gli altri, quelli che credono nel divino oppure si sentono piccoli rispetto ai misteri dell’esistenza; sono pronti a voler credere, alla verità religiosa oppure a quella del possibilismo scientifico. Tutta la pellicola alterna la contrapposizione delle due maniere di concepire la vita, risolvendosi poi in un recupero della fede da parte del protagonista. Si può obiettare riguardo alla profondità di un Credo che si nutre di miracoli e che tutto misura secondo premi e punizioni. Il reverendo Graham viene messo a dura prova

Cinema: Signs

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Cinema FANTASCIENZA

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L’alieno, lo stesso ferito da Graham a casa di Reddy, avvelena Morgan. L’alieno si mostra estremamente vulnerabile al contatto con l’acqua, che Bo ha sparso su decine di bicchieri per tutto il salotto. Graham tenta di rianimare il figlio; l’asma di cui soffre ha impedito a Morgan di inalare il veleno.. Il colpo risolutivo di Merrill.

“Colpisci forte”

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dalla vita, tanto che il suo rapporto con il sovrannaturale oscilla tra l’amore e l’odio a seconda di quello che gli succede. La gente si ricorda di Dio quando teme l’Apocalisse, come se il CreatorePadre dovesse dispensar sculaccioni o caramelle a seconda di come si comporta la creatura-figlio. Una fede forse un po’ infantile, che ben lega col piccolo mondo puritano della provincia americana: lo stesso universo dove, in dosi variabili, convivono fondamentalismi cristiani, sette, predicatori esaltati dalla buona fede oppure dalle offerte dei fedeli, Ku-Klux-Klan, ed una modernità fatta di saggi di danza e gite al centro commerciale, di tv via cavo e Internet, di grosse automobili. Graham Hess appartiene a quell’ambiente ed è naturale che la pensi secondo la mentalità comune; non fosse per quell’incidente, così crudele da cambiare una vita. Quanto accade alla moglie del sacerdote è uno scherzo crudele della Provvidenza (o meglio, della provvida sventura di manzoniana memoria), forse narrato insistendo troppo nei particolari più strappalacrime. Sembrerebbe un’impossibile trovata da melodramma, se non fosse che il regista è figlio di medici, e laureato in medicina a sua volta. Con una simile preparazione alla spalle, è affidabile come esperto di casi legali, ed è acuto conoscitore delle reazioni umane in situazioni estreme, più del grosso degli autori di detective story o thriller. Le coincidenze – o miracoli ? – la fanno da padrone, al punto che è quasi impossibile apprezzare il film se si vuole evitare di mettersi in discussione. Occorre maturità per astrarre dai fatti narrati (ovviamente improbabili, ed esemplari quanto una parabola) l’universalità della sfida del credere. Può non essere facile accettare che coesistano diversi segnali del sovrannaturale, stimoli che coinvolgono persone di epoche, religioni e culture distanti. I “Segni” sono molteplici, laici o confessionali: la piccola Bo con i suoi brutti sogni e il suo tic per l’acqua, che crede contaminata; le tracce nel grano; le ultime parole della signora Hess… Sacro e profano si mescolano in una fusione che lascia spazio a tutte le varie sfumature di quel “I want to belive” che tanto piaceva a Fox Mulder, l’investigatore del telefilm X-Files. Anche un ateo o un agnostico possono credere, o perlomeno non negare quanto va oltre quello che i sensi mostrano. Tra gli scienziati troviamo laici come Rita Levi Montalcini, e credenti come Antonino Zichichi: ennesima dimostrazione che “non esiste alcuna scoperta scientifica che possa essere usata al fine di mettere in dubbio o di negare l’esistenza di Dio…” come non esiste modo di provare il contrario! Tutti possono pensare che quei fenomeni che al momento attuale la scienza non può spiegare, il vasto mondo del paranormale, i miracoli, le ipotesi di contatti alieni, i misteri dell’archeologia, in futuro potranno essere riprodotti e studiati con nuovi mezzi e tecniche di indagine. Così, un’inevitabile delusione attende quanti si attendevano sconvolgenti rivelazioni sui crop circles, su come si formano e sulla loro funzione. Non ci sono paragoni con le tracce di Nazca e di altre località del Sud

Cinema: Signs


FANTASCIENZA Rev. Graham Hess

Scheda Tecnica Titolo originale: Signs Produzione: USA, 2002, Blinding Edge Pictures The Kennedy/Marshall Co. Touchstone Pictures. Durata: 103 minuti Regia e Soggetto: M. Night Shyamalan Fotografia: Tak Fujimoto Montaggio: Barbara Tulliver Scengrafia: Larry Fulton Costumi: Ann Roth Eff. Speciali: Roy Arbogast, Kevin Pike George Polkinghorne, Douglas Trumbull Musica originale: James Newton Howard Produttori: Frank Marshall, Sam Mercer, M. Night Shyamalan Premi: vincitore ASCAP AWARD 2003 (Top Box Office Films, James Newton Howard)

Mel Gibson Merrill Hess

Personaggi

Reverendo che ha perso la vocazione a causa di un incidente mortale che ha coinvolto la moglie. Il confronto finale con l’alieno gli restituirà la Fede e la fiducia nei “segni” del destino.

Fratello di Graham, ex-giocatore di baseball con una gran forza ma un mediocre talento. Cerca di aiutare il revederndo a superare il trauma della perdita della moglie.

Joaquin Phoenix Morgan Hess

Figlio di Graham, affetto da asma. è lui a trovare il cerchio nel grano e a sospettare per primo la presenza degli extraterrestri. Nel finale sarà proprio la sua malattia a salvarlo.

Rory Culkin Bo Hess

Figlioletta di Graham, perseguitata da una strana ossessione che le fa ritenere contaminata l’acqua. Questa sua idea fissa si rivelerà preziosissima per uccidere l’alieno nel finale.

Abigail Breslin Ray Reddy

Paski

Il rigista si ritaglia il ruolo dell’uomo che ha investito e ucciso la moglie di Graham, e che per questo vive nel rimorso. Reddy catturerà un alieno rinchiudendolo a casa sua.

M. Night Shyamalan

Ufficiale di Polizia e amica personale del reverendo Hess. Fu lei ad accorrere sul luogo dell’incidente mortale occorso alla moglie di Hess, e a dare la terribile notizia al reverendo.

Cherry Jones

America, e nemmeno emergono improbabili teorie. Sono segni, e niente più. Compaiono nel primo tempo, in seguito, la loro funzione cessa, e tutta l’attenzione va al dramma esistenziale di Graham. Né vengono accontentati i patiti della Fantascienza più classica, quanti desidererebbero vedere dischi volanti abbattuti e montagne di cadaveri alieni. Non abbiamo notizia della salvezza dell’umanità, nel finale forse un po’ troppo affrettato. Constatiamo che la famiglia del protagonista vede gli effetti devastanti dell’acqua sugli invasori, e immaginiamo che saprà quindi come difendersi in futuro, ma sulla sorte della Terra nulla ci è dato sapere. Nessun trionfalismo è ammesso: ignoriamo cosa sia successo nel frattempo al resto del pianeta.

Probabilmente, se Graham tornerà ad essere Padre Graham, ritroverà ancora la sua parrocchia a cui fare da guida. Oppure il clergyman diverrà una sorta di divisa simbolica, analoga a quella dei supereroi, che indosserà nuovamente per ribadire a se stesso e a un mondo devastato che Dio c’è e i miracoli avvengono ogni giorno. Ovvio a quel punto che la Fantascienza è un McGuffin, un pretesto del genere usato da Alfred Hitchcock. Argomentazioni interessantissime, che valgono una riflessione; Signs merita di essere visto anche solo per le magistrali sequenze che contiene; attenzione però a non restare delusi credendo di trovarvi profusione di alieni, astronavi e belle donne. n Cuccu’ssette

Cinema: Signs

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Cinema

Cinema

FANTASCIENZA

INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO

(Close Encounters of the Third Kind - S. Spielberg, 1977) di Romina “Lavinia” Perugini

U

PRIMA LA MUSICA POI LE PAROLE Il regista che non ebbe paura di guardare il cielo

na portaerei arenata in pieno deserto, un caccia d’epoca rispuntato dal nulla… Eventi straordinari stanno accadendo in diversi angoli della Terra, fatti scientificamente inspiegabili che trascinano con sé, come in una strana caccia al tesoro, un attonito scienziato francese, Lacombe. Con l’aiuto della nasa, egli giunge ad un’unica soluzione dell’enigma: esseri provenienti da altri mondi stanno per scendere sul nostro pianeta. Anche il giovane elettricista Ray, padre di famiglia, dopo un primo avvistamento decisamente folgorante, perviene alla stessa conclusione. Lo stesso vale per Gillian, madre sola che si trova a dover rincorrere inutilmente il suo bambino Barry, attirato da quelle luci stroboscopiche che lo portano via senza una ragione apparente. Spinti da un istinto al di fuori di ogni controllo, Ray e Gillian s’incontreranno più volte, legati da un unico desiderio: raggiungere il luogo dove il contatto sembra imminente. In un altopiano sperduto del Wyoming comprenderanno di non essere stati gli

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Cinema: Incontri ravvicinati...


FANTASCIENZA unici assoggettati a quel particolare richiamo: un campo base già allestito ospiterà loro e quelli che come loro si “sentono” in dovere di essere lì in quel dato momento. “Io la invidio!” confiderà sommessamente Lacombe a Ray, appena prima che quest’ultimo metta piede sull’astronave da poco atterrata, che ripartirà portando con sé uno scorcio della nostra umanità: un uomo ormai con gli occhi rivolti troppo avidamente al cielo per poter restare accanto ad una complice Gillian, legata a lui da un unico bacio ma al contempo da un’esperienza immensa e indefinibile. A lei rimarrà il conforto dell’abbraccio del piccolo Barry, testimone prezioso, insieme a molti altri come lui, di un dono speciale. Un dono recato all’uomo dall’alto, sintetizzato in quello che tra tanti è uno dei beni più inestimabili: la conoscenza. Come sempre il cinema non è fatto solo di pellicola e non si limita mai a raccontare una sola trama; sono proprio quei film che narrano storie al di fuori di se stessi a permettere all’obbiettivo della cinepresa di rubare un po’ di futuro per dare senso al presente. La storia che si espande fino a fuoriuscire dai lembi di Incontri ravvicinati del Terzo Tipo è quella di una mano giovane ma non inesperta, che nel 1977 non solo seppe da che parte puntare la macchina da presa, ma persino elaborare di proprio pugno un soggetto decisamente anacronistico. Steven Spielberg sulla sua tela immacolata ha dipinto un panorama altamente soggettivo, in antitesi coi tempi che correvano, ha dettato regole nuove per quel magico gioco che è il cinema e che trova la sua linfa vitale in un continuo rinnovarsi. Potrà vantare persino il coraggio di esprimersi attraverso una grammatica cinematografica altra, caratterizzata da una certa vena di innocenza che la renderà quasi infantile nella sua dichiarata semplicità. L’elemento ludico è infatti il catalizzatore di questo parto della sua mente. Per il regista è venuto il tempo di abbandonare quella particolare visione negativa rispetto all’ignoto che un certo cinema di genere continuava stancamente a trascinarsi appresso. Il giovane Spielberg si distanzia (…per poi farvi ritorno!) dagli ultracorpi di Siegel e dagli alieni cattivi raccontati sulla carta da Wells. E non sarà la rivoluzione di un giorno ma la base solida su cui poi poggeranno lavori come E.T. e Storie Incredibili. Nel contempo, dimostra non poco carattere nel rifuggire quel formalismo d’autore rincorso da molti artisti del suo calibro: è la scelta coerente di un appassionato che non intende elevarsi al di sopra dello spettatore, ma che preferisce stupirlo

Il contatto 1. 2. 3. 4.

Cinema: Incontri ravvicinati...

Una squadriglia di caccia americani viene ritrovata in Messico; per Lacombe è il primo segno dell’esistenza di vita extraterrestre. Si scopre che il codice musicale inviato dalle stelle contiene coordinate geografiche. Gillian osserva turbata le luci che si stagliano intorno alla casa; nel piccolo Barry destano invece grande curiosità. Roy viene abbandonato dalla moglie.

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Cinema FANTASCIENZA

1. 2. 3. 4.

Roy e Gillian, mossi da un desiderio inconscio, raggiungono il luogo dell’incontro. L’atterraggio dell’astronave aliena. Decine di persone, misteriosamente scomparse negli anni, scendono dalla nave, senza mostrare segni d’invecchiamento. Viene scelta una squadra per imbarcarsi con gli alieni nel loro viaggio di ritorno.

L’incontro

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e divertirlo. Lo dimostrano i 4 premi oscar per gli effetti speciali vinti dai suoi film. Del resto troverà tempo negli anni a venire, complice una maggiore esperienza, per dilettarsi in un cinema d’essai, senza mai rinnegare le proprie origini. D’altro canto c’è anche chi crede, ed è in nostro caso, che Spielberg abbia trovato la sua Damasco proprio nell’intensa semplicità di un padre di famiglia che gioca col cibo nel piatto e si diverte ancora coi trenini elettrici… e forte si insinua l’idea di un parallelismo del regista che gioca con le immagini. Trascende poi da ogni possibile significato l’emozione suscitata dalla stanza di un bambino che si anima di vita propria, i giocattoli escono dagli scaffali e il film inizia a volare alto proprio quando l’alter ego del regista, il piccolo Barry, si prodiga nel dar la caccia a robot e soldatini. Pare quasi che la mano esperta del giovane regista sia guidata da Esopo: è il cinema delle favole, con le stelle a ricordarci che forse stiamo sognando, poiché il sogno più incredibile è celato in “quei grandi” che non temono l’ignoto, anzi, lo rincorrono con la curiosità di chi scopre il mondo per la prima volta. E quando gli adulti sono capaci di ricordare d’essere stati bambini, quando il dualismo buoni e cattivi per una volta non ha ragione d’esistere e per comunicare si preferisce la musica al posto delle parole, è incontrovertibile il fatto che sia giunto il momento di farsi un nodo al fazzoletto. È un gran peccato constatare solo ora in pieno quale enorme rilevanza – da ricercare prettamente all’interno di una chiave di lettura contenutistica – Incontri ravvicinati abbia acquisito alla luce degli eventi che hanno segnato questo inizio secolo; visto in questo nostro presente da occhi vergini, fa pensare ad una pellicola venuta da un altro mondo. Il fantastico o fantascientifico non è reso manifesto tanto dall’alieno amico che passa per una visita di cortesia… Il mitologico è celato nuova-

Cinema: Incontri ravvicinati...


FANTASCIENZA

Titolo originale: Close Encounters of the Third Kind Produzione: USA, 1977, COLUMBIA PIC. Durata: 131 minuti Regia: Steven Spielberg Soggetto: Steven Spielberg, Jerry Belson, Hal Barwood, John Hill, Matthew Robbins Fotografia: Vilmos Zsigmond Montaggio: Michael Kahn Scengrafia: Joe Alves Eff. Speciali: Roy Arbogast, Kevin Pike George Polkinghorne, Douglas Trumbull Musica originale: John Williams Produtt.: Julia Phillips, Michael Phillips Premi: vincitore OSCAR 1978 (Best Cinematography, V. Zsigmond); vincitore 3 SATURN AWARD 1978 (Best Director, S. Spielberg - Best Music, J. Williams - Best Writing, S. Spielberg); vincitore Premio DAVID di DONATELLO 1978 (Miglior Film Straniero, J. Phillips, M. Phillips)

Roy Neary

Personaggi

Scheda Tecnica

Tecnico riparatore dell’alta tensione, padre di famiglia, abbandonerà tutto quanto per rincorrere un unico desiderio: cogliere una nuova occasione d’incontrare gli alieni.

Richard Dreyfuss Claude Lacombe

Ufologo francese a capo del team di scienziati della NASA; grazie agli avvistamenti e all’analisi delle varie tracce, riuscirà a promuovere un contatto con la specie extraterrestre.

François Truffaut Gillian Guiler

Inseguirà inutilmente suo figlio, rapito dagli alieni, e si unirà a Roy nella ricerca del luogo dell’incontro, guidata dallo stesso spasmodico desiderio che anima il tecnico.

Melinda Dillon Ronnie Neary

Moglie di Roy; spaventata dagli assurdi atteggiamenti del marito, non sarà capace di comprenderlo e preferirà allontanarsi da lui portandosi appresso i figli.

Teri Garr

David Laughlin Cartografo che assiste Lacombe nelle sue ricerche, nel fondamentale ruolo di traduttore; contribuirà in maniera decisiva alla comprensione del messaggio “musicale” alieno.

Bob Balaban

Barry Guiler

Attratto dal potente richiamo alieno, si allontanerà da casa, inseguito invano dalla madre; farà poi ritorno tra le braccia di Gillian in occasione del contatto finale.

Cary Guffey

mente nell’anacronismo dell’uomo che guarda al cielo senza timore, oggi che l’alieno fa troppa paura, è troppo umano ed è di questo pianeta; oggi che purtroppo anche il piccolo Barry/Steven sembra essere cresciuto, sembra aver dimenticato d’essere stato bambino e di aver avuto il coraggio per anni di restare con la testa tra le nuvole. Ma, come diceva Sant’Agostino, “l’inquietudine caratterizza il cuore del nostro cuore”, ed è questa l’ipotesi più ottimista alla quale ci atteniamo. D’altro canto potremmo pensare che Spielberg, come spesso accade, abbia perso nel trascorrere degli

anni un po’ della sua originaria innocenza, per cedere il passo con La guerra dei mondi a quel vecchio dualismo alieno buono/cattivo un tempo accantonato. Forse non sarebbe del tutto errato azzardare un suo accostarsi ad un cinema di stampo palesemente hollywoodiano con tutto ciò che questo avvicinamento comporta. Ma in onore di quel nodo al fazzoletto e di un regista bambino, resta eterno e marchiato a fuoco, passando per gli occhi e per le nostre orecchie fino al cuore, un finale imperituro, costruito magistralmente in un crescendo emotivo al pari del Bolero di Ravel. n Romina Perugini

Cinema: Incontri ravvicinati...

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FANTASCIENZA

CONTACT

(Contact - R. Zemeckis 1997) di Francesco Viegi

E

leonor Arroway è una ragazzina molto intelligente dotata di uno spiccato talento per le scienze. Perduta la madre (morta per complicazioni post parto), vive nel Wisconsin con il padre Ted che, volendo incoraggiare il suo amore per la scienza, le insegna ad usare la radio e le regala un telescopio. Una sera come tante altre, proprio mentre Ellie sta osservando le stelle dalla terrazza di casa, Ted muore d’infarto lasciandola sola con il telescopio, la radio ed il senso di colpa. Qualche anno più tardi Eleonor è diventata una brillante scienziata che lavora per il SETI, il programma di radioscopia che cerca forme di vita aliena nel cosmo. Trasferitasi in Sud America presso un importante centro di ricerca astronomica, conosce il “reverendo” Joss Palmer, un giovane studioso di teologia con il quale vive una breve, ma intensa, storia d’amore. I contrasti con la comunità scientifica e un improvviso taglio ai fondi disposto dal professor David Drumlin costringono però Ellie è ad abbandonare il centro. Solo l’intervento di un oscuro magnate di nome Hadden la salva dalla rovina. Grazie al sostegno di quest’eccentrico industriale, la protagonista riesce ad affittare i radioscopi del New Messico con i quali prosegue le sue ricerche per altri quattro anni, senza peraltro ottenere alcun risultato. I continui insuccessi logorano l’entusiasmo dei suoi colleghi tanto quanto quello del governo degli Stati Uniti, che pare intenzionato a non rinnovarle la concessione. La “fede” adamantina della protagonista tuttavia non vacilla; pronta ad affondare con la sua stessa nave, Eleonor tira dritta per la sua strada e, in una notte senza nuvole, i suoi sforzi vengono premiati: mentre ascolta la voce del cosmo seduta sul cofano del suo pick-up in mezzo al deserto, un messaggio proveniente da Vega comincia a pulsarle nelle orecchie. È l’inizio dell’escalation: in poche ore la notizia fa il giro del mondo, e in qualche giorno il messaggio alieno

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Cinema: Contact


FANTASCIENZA viene raccolto per intero. Si tratta di un codice complesso, strutturato su più livelli, che Ellie riesce a decriptare grazie all’intervento di Hadden. Il messaggio contiene il progetto di un mezzo di trasporto, un’astronave. I paesi più ricchi e tecnologicamente avanzati si uniscono al governo degli Stati Uniti formando un consorzio che costruirà un prototipo del veicolo spaziale. Nel frattempo, una commissione internazionale di cui fa parte anche Palmer (diventato consigliere spirituale del Presidente) viene incaricata di selezionare la persona più idonea ad affrontare il viaggio. La candidatura di miss Arroway è ostacolata proprio dal “reverendo”, una cui domanda costringe Ellie ad ammettere di fronte alla commissione di non credere in Dio. La scelta cade allora su Drumlin; il professore ha saputo sfruttare a proprio vantaggio i successi della giovane e idealista ricercatrice, pur non avendo mai ha creduto nel suo lavoro. A pochi giorni dal ‘“decollo”, mentre tutto il mondo osserva con il fiato sospeso gli ultimi test, un fanatico religioso camuffato da tecnico si fa esplodere sul ponte principale del prototipo, distruggendolo e uccidendo Drumlin. Sembra finita, ma ancora una volta Hadden, deux ex machina dell’intera storia, offre ad Ellie una seconda opportunità. In Giappone è stata infatti costruita una copia identica dell’astronave, pronta per essere usata. Finalmente la protagonista può staccare il biglietto per andare nello spazio, incontro a quelle forme di vita che tanto a lungo ha cercato. La ragazza si trova catapultata su una specie di ottovolante spaziale che, trasportandola attraverso una serie di tunnel di luce, la conduce prima fino a Vega e poi in un non precisato luogo dello cosmo dove finalmente può incontrare gli Alieni. Il luogo ha l’aspetto di una spiaggia che Ellie amava disegnare da bambina, l’alieno ha le sembianze del padre morto. Superato lo stupore iniziale, la protagonista vorrebbe porre mille domande, ma c’è appena il tempo per scoprire che nel cosmo non siamo soli e che altri prima di noi hanno compiuto un percorso simile al nostro. “Piccoli passi” le dice l’alieno placando il fermento che agita il cuore della cosmonauta. Poco alla volta verrà anche il nostro turno. Tornata sulla Terra, Ellie scopre che nessuno ha potuto condividere la sua esperienza: per il mondo esterno, le 18 ore da lei vissute dentro all’astronave sono trascorse in un istante; il veicolo, anzi, risulta non essersi mai mosso dall’infrastruttura di “lancio”. Il mondo non ha potuto vedere e quindi non le crede. Una commissione speciale si riunisce per

Cinema: Contact

L’ascolto 1. 2. 3. 4.

Eleonor bambina muove i suoi primi passi da radioamatore nella casa paterna. Arrivata in Sud America, Ellie conosce i membri del nuovo team di lavoro, fra cui Kent il non vedente. Eleonor e Palmer nei pressi del gigantesco radiotelescopio di Arecibo. “Silurata” da Drumlin, Ellie cerca nuovi fondi per portare avanti il suo progetto.

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Cinema FANTASCIENZA giudicare l’esito dell’intero progetto e la fondatezza della testimonianza della “cosmonauta”. Pur riconoscendo la mancanza di prove scientifiche, e ammettendo che, a ruoli invertiti, sarebbe stata scettica quanto gli esaminatori, Eleonor conferma la propria versione chiedendo di essere creduta. L’esito del processo è tuttavia sfavorevole. Solo a procedimento concluso, una telefonata rivela allo spettatore l’esistenza di un dato oggettivo: la durata della registrazione (illeggibile) effettuata durante l’esperimento è esattamente di 18 ore. Il film si chiude col riavvicinamento tra Ellie e Palmer, il quale confessa di credere al racconto della ragazza e la sostiene pubblicamente di fronte ai media.

Commento. A dispetto di una trama non proprio originale, il film, tratto dall’omonimo libro di Carl Sagan, regala allo spettatore diversi buoni motivi per comprare il biglietto: la recitazione della protagonista (brava, convincente ed ispirata), una regia ricca di metafore suggestive, la cura nelle descrizioni tecniche (di astronavi, sistemi di comunicazione, ecc), il rapporto con l’alieno, la dicotomia scienza-fede. L’immaginario tecnico utilizzato nel film è molto convincente. Partendo da strumenti classici quali la matematica, il telescopio ed il radioscopio, il regista arriva a proporre allo spettatore un’astronave a forma di sfera che per viaggiare rotea su se stessa all’interno di una serie di anelli a loro volta ruotanti. Si tratta di una Fantascienza “plausibile”, nel senso che, se la matematica come

Carl Sagan 1. 2. 3. 4.

Nel deserto del New Mexico, Ellie riceve per la prima volta il segnale alieno. Insieme al suo team, Ellie raccoglie l’intero messaggio. Ellie, Drumlin e Kitz alla Casa Bianca per parlare con il Presidente. Finalmente Ellie incontra di persona Hadden, che le fornisce la chiave per decifrare il messaggio.

Il segnale

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carl Sagan (1934-1996) è stato uno dei maggiori e più noti astrofisici statunitensi del nostro secolo. Per molti anni professore di astrofisica alla Cornell University (Ithaca, Stato di New York), insieme a J. B. Pollack e R. M. Goldstein ha effettuato importanti studi radar su Marte. Inoltre, fu tra i primi a determinare la temperatura superficiale di Venere. Verso gli anni Cinquanta cominciò a interessarsi attivamente agli studi finalizzati alla scoperta di eventuali forme di vita intelligenti extraterrestri.

Cinema: Contact

Negli anni Settanta collaborò con la NASA per le missioni Mariner, Voyager e Viking. Sfruttando le proprie competenze biologiche oltre che astrofisiche, Sagan si occupò a lungo degli studi relativi all’origine della vita sulla Terra e di esobiologia. Ha inoltre partecipato attivamente alla nascita del progetto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence). Infine, è stato fondatore della Planetary Society e direttore del Laboratory for Planetary. Oltre che nella sua attività scientifica, Sagan è stato costantemente impegnato in


FANTASCIENZA un’instancabile opera di divulgazione. È stato autore di una fortunata serie di documentari televisivi (Cosmos). Ha inoltre scritto numerosi libri di divulgazione e di narrativa scientifica e fantascientifica, tra cui ricordiamo: La vita intelligente nell’Universo, Contatto, Il romanzo della scienza, Cosmo, Il mondo infestato dai demoni, Miliardi e Miliardi. Con il libro I draghi dell’Eden (1977), che affronta il problema dell’evoluzione dell’intelligenza umana, vinse il premio Pulitzer. Gli vennero conferite numerose lauree ad honorem e ottenne inoltre la prestigiosa medaglia Oersted

dell’American Association of Physics. L’ultimo libro da lui pubblicato in vita, Il mondo infestato dai demoni, rappresenta una sorta di testamento spirituale in cui Sagan mette in guardia l’umanità contro il proliferare di un nuovo oscurantismo che assume le forme delle dilaganti pseudoscienze e false credenze. L’impegno di Sagan nella difesa della razionalità contro ogni forma di superstizione trova conferma nel fatto che è stato uno dei promotori dello CSICOP (Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal), il precursore del CICAP.

www.cicap.org/articoli/at100948.htm

Il messaggio 1. 2. 3. 4.

Eleonor espone al Presidente il progetto per la costruzione dell’astronave, inviato dagli alieni. Giunta all’ultima fase della selezione, Palmer le chiede se crede in Dio. Drumlin cerca di giustificarsi dandole una lezione sulla vita, Ellie risponde: “credevo che il mondo fosse come noi lo facciamo”. Una bomba piazzata da un fanatico distrugge l’intero progetto e uccide Drumlin.

linguaggio, il telescopio come occhi ed il radioscopio come orecchie costituiscono la base scientifica dell’odierna esplorazione spaziale intesa specialmente come ricerca di altre forme di vita, le più recenti teorie fisiche ipotizzano una forma di viaggio cosmico molto diverso da quello “tradizionale” (che tanta parte dalla Letteratura e dalla Cinematografia ha influenzato). In questo film le forme aerodinamiche di certe astronavi sono sostituite da forme sferiche, i potenti motori a razzo cedono il passo agli acceleratori di particelle, perché se ci sarà un viaggio nello spazio di certo non saranno le leggi dell’aerodinamica a governare il fenomeno fisico, ma piuttosto quelle della fisica quantistica. Mentre la sfera ruota avvolta da un’intensa luminescenza, Ellie intraprende il suo percorso verso l’ignoto. Un viaggio nel tempo e nello spazio che per gli altri avrà il sapore del “niente di fatto” (la sfera sembra cadere in acqua senza essersi mai mossa), un percorso nell’altrove, o meglio “nell’altroquando”, che le permetterà di trovare risposte alle sue domande e dare un volto all’oggetto della sua ricerca scientifica e personale. La ricerca dell’alieno scaturisce infatti dal vuoto interiore della protagonista che ha perso prematuramente i genitori. In particolare, la mancanza del padre, che le mostrava le stelle dal tetto di casa, costituisce “la differenza di potenziale” che la spinge a cercare, in quelle stesse stelle, la presenza che colmerà quel vuoto, il volto dell’alieno… E, quando finalmente crede di averlo trovato, quest’ultimo le si manifesta sotto le spoglie del genitore perduto. Ecco la vera novità del film. Il regista ci propone un alieno con una pelle nuova, diverso da

Cinema: Contact

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Cinema FANTASCIENZA Scheda Tecnica Titolo originale: Contact Produttori: Steve Starkey, Robert Zemeckis Produzione: USA, 1997, Warner Bros. Premi: vincitore ASCAP Award 1998 Durata: 150 minuti Regia: Robert Zemeckis (Alan Silvestri, Top Box Office Films); Tratto da un romanzo di: Carl Sagan nomination OSCAR 1998 Soggetto: Carl Sagan, Ann Druyan (Randy Thom, Tom Johnson, Dennis S. Sands, Sceneggiatura: James V. Hart, Michael Goldenberg William B. Kaplan - Best sound); vincitore 2 SATURN AWARD 1998 Fotografia: Don Burgess Montaggio: Arthur Schmidt (Best Actress, Jodie Foster - Best Performance by a Scengrafia: Ed Verreaux Younger Actor/Actress, Jena Malone); vincitore HUGO Award 1998 Costumi: Joanna Johnston Musica originale: Alan Silvestri (Best Dramatic Presentation) quello classico letterario. Si tratta di una creatura dotata di grande empatia, che si mostra con un aspetto scelto in funzione dello stato emotivo e del vissuto di coloro con i quali entra in contatto. L’extraterrestre manifesta la propria alterità non attraverso il mai visto, l’assoluta novità, ma tramite il noto, il familiare, attraverso le fattezze di un individuo della nostra specie al quale siamo legati da un pro-

Il vaggio 1. 2.

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La copia giapponese del prototipo funziona perfettamente. Eleonor, catapultata nell’universo, ne contempla l’incredibile bellezza.

fondo rapporto, di modo che ci si concentri sull’unica novità con la quale vale la pena di confrontarsi, quella scaturita dal messaggio. È questo il “piccolo passo” proposto dai vegani: la comprensione dell’alieno, del diverso, transita attraverso l’ascolto. Il “contatto” diventa così confronto non fra un soggetto che scopre e un oggetto da scoprire, ma fra due soggetti alla pari, e l’alieno diviene uno specchio, un’occasione per confrontarsi con se stessi, una metafora del tumulto interiore che turba l’animo della protagonista, pungolato dalle domande: “chi sono? dove vado? da dove vengo? Esiste Dio?”. La figura dell’extraterrestre tratteggiata in Contact mette inoltre in discussione la scienza della fede e la fede nella scienza. Proprio questa dicotomia costituisce un altro punto di forza della pellicola. Il sacerdote, uomo di fede, costante referente maschile per la protagonista, utilizza spesso argomentazioni alle quali la scienziata, scettica più per formazione che per natura, controbatte puntualmente senza mai cedere anche un solo millimetro di terreno. Significativo quindi che alla fine del film, durante il processo che Ellie è costretta ad affrontare, dalla sua bocca escano parole simili a quelle del reverendo; Ellie chiede di essere creduta anche se non ha prove, chiede, in un certo senso, un atto di fede. La giovane astronauta non è diventata improvvisamente una credente, è sempre stata e sempre sarà una scienziata, ma ha capito che per illuminare certe zone buie della scienza occorre credere in qualcosa che non si può vedere e che pure intimamente sappiamo esistere, occorre avere il coraggio di allungare la gamba, stendere il piede e muovere un passo nel buio, stringendo salda nelle

Cinema: Contact


FANTASCIENZA La fede mani la fiaccola donataci da Prometeo. In questo consiste la vera conquista di Ellie. Singolari le immagini scelte dal regista, Robert Zemeckis, per aprire 1. Eleonor incontra l’entità aliena, che ha asil film, con le voci della Terra che si diffondono nello spazio. La visione sunto le sembianze di suo padre. dell’universo, delle sue dimensioni, della sue distanze, è associata al pro2. Tornata dal viaggio, affronta la commisgressivo affievolirsi di queste voci fino al totale silenzio. Nella sequenza sione d’inchiesta; gli strumenti di registraimmediatamente successiva quegli stessi limiti si raccolgono all’interno zione non mostrano traccia del favoloso dell’occhio di Ellie bambina che ha già nello sguardo, mentre ascolta le incontro, ed Ellie non viene creduta. voci dei radioamatori con i quali sta imparando a mettersi in contatto grazie 3. Nel bel mezzo del deserto del New Messico, all’insegnamento del padre, quegli stessi universi che cercherà di esplorare Ellie ascolta la voce del mondo meditando da adulta. Da una parte c’è così l’universo che contiene Ellie e con lei la sulla straordinaria esperienza vissuta; Terra, le galassie ecc… dall’altra c’è l’occhio di Ellie che contiene in sé qualcosa in lei è cambiato per sempre. ciò che ancora deve vedere, quei limiti stessi del cosmo che ci è dato soltanto supporre. Dunque l’universo contiene Ellie, ma anche Ellie contiene l’universo. Il film si apre con voci che si affievoliscono fino al silenzio, il prosieguo mostra Eleonor intenta a captare voci dal silenzio dello spazio più profondo. Per tutta la durata del film la protagonista è costantemente in ascolto. Suggestivo anche l’uso dell’immagine della cartina degli Stati Uniti, su cui Ellie bambina infila puntine da disegno in corrispondenza delle voci dei radioamatori che riesce a captare, così come da adulta mappa i vari sistemi stellari secondo ciò che rilevano i suoi strumenti. Non è un caso che la medesima cartina si trovi nella stanza di Ellie anche in Messico. È l’unico oggetto che porta con sé ovunque vada, assieme alla foto in cui è ritratta col padre ed alla bussola di Palmer, altra metafora interessante usata dal regista. La bussola è un oggetto capace di indicare la direzione, ma non dice nulla sulla meta: una perfetta metafora della fede. Ellie ha fede in qualcosa che non vede e di cui non ha prove, esattamente come Palmer crede in Dio. Della sua esperienza extraterrestre lei parla sempre in termini di “rivelazione”. Ha fede negli alieni senza bisogno di vederli e riesce a vederli proprio in virtù della sua fede. L’aver sempre creduto in loro (nella loro esistenza) le permetterà poi di credere a loro, alle loro parole, non considerandole una semplice allucina- darle una lezione sulla vita e sul mondo: “credevo che zione. In fondo Eleonor Arroway ha tutte le caratteri- il mondo fosse come noi lo facciamo”. Ed in questo stiche di una novella Giovanna D’Arco, è una sorta di film, tramite la figura di Ellie, scienza e fede si toccamistica della scienza, una pulzella d’Orleans pervasa no, quasi che nello spazio cosmico, reso curvo dalla dalla fede in Tecnos. Subisce un processo, ma non ri- gravitazione, queste due “rette parallele” cessassero di tratta; la sua ricerca è pura nei presupposti, nei modi appartenere alla geometria piana tipica dell’astrazione e nei fini. mentale, e tramutando in ellissi, finissero per incroLa sua Weltanschauung è riassunta nelle parole ciarsi in almeno due punti: l’uomo e Dio. n Francesco Viegi che rivolge al professor Drumlin quando lui cerca di

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FANTASCIENZA

Personaggi

Eleanor “Ellie” Arroway

David Drumlin

Appassionata scienziata ed entusiasta ufologa, dedica tutta la sua esistenza all’unico progetto degno d’interesse: entrare in contatto con forme di vita extraterrestri. Ci riuscirà.

Abile approfittatore del talento altrui, dopo averne ostacolato le ricerche, sfrutterà la propria posizione e le intuizioni di Eleonor per soffiarle il posto da astronauta.

Jodie Foster

Tom Skerritt Palmer Joss

Michael Kitz

Esperto di teologia e fervente credente, cercherà, anche sbagliando, di proteggere Eleonor da se stessa e dai pericoli in cui ama cacciarsi, essendone sinceramente innamorato.

Spiacevole capo della commissione che soprintende la missione; si dimostrerà interessato principalmente alle implicazioni politiche dell’intera faccenda.

Matthew McConaughey

James Woods Kent

Rachel Constantine

Amico paziente e prezioso collaboratore della vulcanica Ellie, la aiuterà nei momenti più delicati con la sua saggezza e il suo formidabile udito reso più acuto dalla cecità.

Inflessibile segretaria del Presidente,; sarà lei a insegnare ad Eleonor la via per districarsi nei complessi e delicati meccanismi dell’etichetta e della burocrazia.

William Fichtner

Angela Bassett Fisher

Willie

Meticoloso e preparato ricercatore, facente parte del team di lavoro che, capeggiato da Ellie, riuscirà a captare e decifrare il messaggio inviato dagli extraterrestri.

Geoffrey Blake

Dinamico e pasticcione ricercatore che collabora con Eleonor al progetto di ricerca del SETI, e che col suo buon umore mantiene alto l’ottimismo del gruppo di lavoro.

Maximilian Martini Joseph

S.R. Hadden

Fanatico religioso che osteggia il progetto con ogni mezzo; dalla prosopopea passerà alla tragica azione: farsi esplodere sulla rampa di lancio del prototipo, distruggendolo.

Jake Busey

Eccentrico magnate, aiuta Eleonor con ogni mezzo, apprezzandone la straordinaria determinazione e condividendone l’enorme passione per la scienza.

John Hurt Ellie giovane Dolce e curiosa; orfana di madre, si mostra interessata alle scienze ascoltando con attenzione le spiegazioni del padre che cerca inoltre di accudire premurosamente.

Jena Malone

Ted Arroway Il padre affettuoso di Ellie; incoraggia l’interesse e la passione per le scienze della figlia, introducendola al mondo dei radioamatori e allo studio delle stelle con il telescopio.

David Morse Direttore di missione

Scrupoloso direttore della missione spaziale; attento ad ogni dettaglio tecnico, a dispetto del suo scetticismo, mette sempre al primo posto la sicurezza della giovane astronauta.

Tucker Smallwood

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Entità aliena Impalpabile, evanescente e multiforme creatura, capace di aprire all’uomo uno spiraglio sullo sconfinato e meraviglioso mondo dell’esplorazione spaziale.

David Morse

Cinema: Contact


Pin-Up FANTASCIENZA

r e t s o F e i d o J Pin-Up: Jodie Foster

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Cinema

Cinema

FANTASCIENZA

ALIEN NATION

(Alien Nation - G. Baker, 1988) di Romina “Lavinia” Perugini

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ALIENI TROPPO UMANI… …in un futuro eternamente attuale

arebbe interessante scoprire se a Graham Baker, regista la cui filmografia delinea una spiccata tendenza a trattare il fantastico e il fantascientifico, importasse veramente il profondo quanto sfaccettato tema delle intolleranze, dell’emarginazione e della diversità. La letteratura di genere da un lato e la cinematografia dall’altro hanno insegnato che l’alieno è la maschera pirandelliana migliore atta a riflettere vizi e virtù che sono del tutto terrestri. Allegoria emblematica di quanto un extraterrestre possa saper dire anche senza parlare è l’indimenticabile prova di Joe Morton nell’esilarante Fratello di un altro pianeta. Senza tralasciare tutta una serie di interpretazioni sottilmente articolate dell’argomento a partire da Star Trek passando per Starman. Assolutamente un peccato che la nazione di alieni fotografata da Baker non solo non tenga conto di quello che altri prima di lui hanno saputo rappresentare, ma che tratti una commistione di generi neanche troppo ben miscelata, dove poliziesco e fantascienza si alternano in uno snervante passarsi la palla senza il coraggio di andare in porta. È una tara pesante la scelta infelice di sintetizzare grossolanamente in 91 minuti tematiche sociali di spessore non indifferente, minuti consacrati al festival del già visto. Questo plauso è dovuto al cospetto d’una tale padronanza della grammatica filmica e così notevole pragmatismo di linguaggio da tradursi, in realtà, nella scelta poco furba di archiviare ogni momento emotivamente più intenso in favore di sparatorie poco credibili e inseguimenti in autostrada alla “Chips”. Perché, per dirla tutta, anche i nostri eroi viaggiano in coppia come i famosi poliziotti e fanno pure lo stesso mestiere, solo che uno è James Caan e l’altro, Mandy

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Cinema: Alien Nation


FANTASCIENZA Patinkin, ha le sembianze di un alieno. L’anomalo binomio è il frutto di una Los Angeles che nel 1991 deve vedersela con l’immigrazione di massa di una specie aliena esteriormente molto simile all’uomo: nonostante alcuni cenni di intolleranza, l’integrazione dei neoinseriti – questo il nome della nuova razza – sembra possibile. Così bene integrati tanto da fare anche i detective. In seguito alla morte del proprio compagno, avvenuta durante una sparatoria, l’agente Matthew Sykes trova in Samuel Francisco un nuovo collega. Facile prevedere che si tratterà di un reciproco sopportarsi. Il primo, umano, sempre col pugno serrato e una mano alla fondina, col fare di chi la sa lunga, l’altro predisposto al dialogo e spesso e volentieri decisamente ingenuo. Memorabile senza dubbio il maldestro tentativo di Sykes di definire un preservativo al compagno, che termina con un gustoso scambio di battute dove il dire dell’umano che l’oggetto tende per sua natura ad essere elastico e quindi a cedere trova per tutta risposta un “E cede così tanto?”. I momenti dedicati alla caratterizzazione degli alieni purtroppo vengono puntualmente liquidati in un paio di battute, quando invece nasce nello spettatore la curiosità di saperne molto di più su questi pseudo-umani con due cuori che si ubriacano bevendo latte acido e accettano di farsi chiamare con nomi del tutto assurdi come Harley Davidson o Humphrey Bogart. Sia beninteso che preferire la solita trama poliziesca basata sul traffico di stupefacenti ci appare come la soluzione da privilegiare rispetto ad un’analisi socio-culturale che, sulla falsariga del genere fantascientifico, racconti le problematiche dei rapporti tra etnie diverse. E infatti l’interessantissima indagine procede con un graduale avvicinamento tra i due sbirri, prima antitetici e di colpo grandi amici, impegnati, tra sparatorie e inseguimenti, nel tentativo di catturare un potente politico neoinserito a capo della malavita. Nell’epico scontro finale c’è addirittura il protagonista James Caan che fa le prove generali per il ruolo molto più dignitoso che ricoprirà in Misery: lo vediamo tutto preso nell’improbabile intento di apparire sgomento quando, dopo la solita morte apparente, il cattivo di turno lo coglie di sorpresa alle spalle. Terminato il momento di intensa suspense, puntualmente sottolineato da una colonna sonora che ci dispiace dirlo ma sembra gridare “questo è un film degli anni 80”, Baker ci tiene a rincuorare lo spettatore: il rapporto professionale dei due lascerà spazio anche ad un legame più confidenziale, tanto che entrambi si ritroveranno a festeggiare assieme le nozze della figlia di Sykes. Nulla di nuovo sotto il sole, in primo luogo la scontata ennesima riproposta della “strana coppia”, dove ciò che è terribilmente strano è la totale mancanza di criterio nell’assegnare i ruoli dei protagonisti. Coprire con lattice e trucco il volto di un caratterista del calibro di Patinkin sembra insensato, soprattutto alla luce dell’interpretazione alquanto monocorde di Caan, che non porta nulla di nuovo allo stereotipo dello sbirro col vizio

Cinema: Alien Nation

Il messaggio 1. 2. 3. 4. 5.

Sykes pedagogo, ma il nuovo collega non pare cogliere in pieno le sue lezioni di vita. Gli alieni sintetizzano una nuova droga. Il nuovo stupefacente dilaga in città. Harcourt arringa la folla, sostenuto dalle lusinghiere parole del sindaco. Sykes interroga un’avvenente spogliarellista, ma perde il controllo della situazione.

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Cinema FANTASCIENZA

1. 2. 3. 4. 5.

I metodi poco ortodossi di Harcourt. Gli agenti assistono agli effetti mortali che l’acqua esercita sulla specie aliena. Inseguimento tra buoni e cattivi. Harcourt, dopo uno scontro estenuante con l’agente Sykes, annega. Sykes e Francisco, ormai amici, al matrimonio della figlia di Sykes.

Il segnale

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della bottiglia e situazione familiare disastrata alle spalle. Merita invece una menzione speciale la scelta intelligente di rendere i neoinseriti più umani degli umani stessi, definendoli, seppure sommariamente attraverso una serie di indizi di sapore amaro, avvolti e attraversati da un’aurea di sconfitta latente. Francisco e compagni sono ciò che Ettore è per l’Iliade: perdente in partenza e, proprio per questa sua tragica situazione, meritevole dell’amore del pubblico. Allo stesso modo è impossibile non trovare qualcosa di tanto familiare nel mostrarsi autentici in questo girone degli ultimi, nulla di più terrestre del dolore. Il contatto con lo spettatore in tal senso è sinceramente tangibile, quanto lo è la posizione svantaggiata dell’alieno rispetto alla società che conta, costretto a quei lavori di cui nessuno vuole più occuparsi e obbligato a sopportare insensate critiche ai propri usi e costumi. In un regime di apartheid futuribile resta come fossile ben integro quello che più di umano è dato sapere: l’umana incompetenza sociale. L’agente Sykes è il primo della classe e dimostra di saperla lunga in materia di a-comunicatività. Un vero “idiota” nell’accezione greca del termine più aderente alla sua etimologia: persona carente di interesse civico e della capacità di esplicare le attribuzioni del cittadino. Il problema di fondo, deleterio per la credibilità dell’intera trama, è il salto qualitativo spiccato da questo idiota: lo scioglimento finale difetta rispetto all’iniziale situazione di stasi dialogica, poiché nei fatti, nel succedersi delle scene, l’evoluzione dall’uno all’altro stato non viene mai esplicitata fino in fondo. Se ne deduce, speriamo erroneamente, che, se la mission di Baker era tentare la strada dell’apologo sociale, la soluzione suggerita tra le righe è la sopportazione del diverso. Prendendo le dovute distanze da una così forte visione distopica da far impallidire Orwell, è certo che restare coi piedi per terra ci permette di scoprire la vera chiave di volta, che, come spesso accade, non merita tanta dietrologia: Alien Nation è il risultato del diligente lavoro di chi conosce il proprio mestiere e lo sa fare in maniera eccellente, infatti tecnicamente parlando la pellicola non difetta di alcunché; l’intero impianto narrativo manca però di tutto ciò che si pretende al di là della professionalità: un’anima. Privo d’essenza, il film lascia solo 90 minuti di vuoto, protagonisti che attendono ancora invano uno spettatore che si affezioni a loro, e la conferma di quanto Baker sia un mostro in teoria e una frana in fatto di pratica. A testimonianza di ciò una delle scene iniziali del film: in un cinema della Los Angeles alienata si proietta “Rambo 6”. Baker sa distinguere il cinema immortale da quello di seconda mano. Ad oggi non ci perviene nessuna ipotesi di un seguito cinematografico di Alien Nation, solo gli sfortunati tentativi di riproporne le tematiche in omonimi film e serie televisivi. n Romina Perugini

Cinema: Alien Nation


FANTASCIENZA Matthew Sykes

Titolo originale: Alien Nation Produzione: USA, 1988, 20th century fox Durata: 86 minuti Regia: Graham Baker Soggetto: Rockne S. O’Bannon Fotografia: Adam Greenberg Montaggio: Kent Beyda Scengrafia: Jack T. Collis Casting: Karen Rea Art Direction: Joseph C. Nemec III Costumi: Erica Edell Phillips Trucco: David LeRoy Anderson, Janice Alexander Production design: Jack T. Collis Musica originale: Curt Sobel Produttori: Gale Anne Hurd, Richard Kobritz Premi: vincitore SATURN AWARD 1998 (Best Science Fiction Film) Cast completo: James Caan, Mandy Patinkin, Terence Stamp, Kevyn Major Howard, Leslie Bevis, Peter Jason, Conrad Dunn, Jeff Kober, Roger Aaron Brown, Tony Simotes, Michael David Simms, Ed Krieger, Tony Perez, Brian Thompson, Francis X. McCarthy, Keone Young, Earl Boen, William E. Dearth, Robert Starr, Bobby Sargent, Bebe Drake, Edgar Small, Thomas Wagner, Don Hood, Abraham Alvarez, Diana James, Frank Collison, Tom DeFranco, Angela O’Neill, Seth Marten, Kendall Conrad, Brian Lando, Tom Morga, Regis Parton, Jessica James, Tom Finnegan, Doug MacHugh, Lawrence Kopp, Alec Gillis, Shûko Akune, Stephanie Shroyer, Frank Wagner, Clarence M. Landry, Van Ling, Mark Murphey, Kirsten Graham, George Robotham, Debra Seitz, James De Closs, Douglas Cameron, Jasper Cole

Detective dai modi sbrigativi, segnato dall’omicidio in servizio del suo collega, troverà grazie al nuovo compagno affiancatogli il modo di vendicarlo, ma anche un nuovo amico.

James Caan Samuel “George” Francisco

Personaggi

Scheda Tecnica

Agente neoinserito dal temperamento pacato; spesso goffo, si dimostrerà all’altezza del collega Sykes, assumendo il ruolo fondamentale di tramite tra gli umani e la nuova specie.

Mandy Patinkin William Harcourt

Rappresentante di grande fama e potere della nuova razza, estremamente spietato; grazie alla propria immagine riuscirà a mascherare il traffico della una nuova droga.

Terence Stamp Rudyard Kipling

Braccio destro di Harcourt, suo assistente amministrativo, svolgerà in diverse occasioni i lavori più sporchi. Si dimostrerà inoltre fortemente dipendente dal nuovo narcotico.

Kevyn Major Howard Cassandra

Giovane neoinserita, spogliarellista di mestiere, sarà una testimone estremamente utile ai fini dell’indagine svolta dai due sbirri... che non rimarranno indifferenti al suo fascino.

Leslie Bevis Capitano Warner

Capitano della polizia di Los Angeles, proporrà a Sykes di lavorare in coppia col primo agente neoinserito salito al grado di detective, il riflessivo Francisco.

Francis X. McCarthy Bill Tuggle Amico e collega di Sykes, caratterizzato da una spiccata intolleranza nei confronti dei neoinseriti. Perderà la vita durante uno scontro a fuoco proprio per mano di uno di loro.

Roger Aaron Brown

Cinema: Alien Nation

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Intervista

Intervista

FANTASCIENZA

GRUPPO UFOLOGICO INDIPENDENTE Incontro con Corrado Malanga,

docente di Chimica presso il Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università degli Studi di Pisa, e fondatore del Gruppo Stargate Toscana.

di Francesco Viegi

L 1. 2.

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a presente intervista riguarda il Gruppo Stargate Toscana e le attività che esso svolge in relazione all’argomento “Alieni-Contatto”. Vista la delicatezza del tema e la schiettezza con cui il professor Malanga ha risposto, mi sono chiesto se fosse opportuno riportare integralmente il testo. Ho deciso di farlo per correttezza sia nei confronti del professore, che è stato molto disponibile, che del lettore, che ha pieno diritto di confrontarsi in maniera autonoma e matura con qualsiasi pensiero. Sempre nel rispetto dell’intervistato, che naturalmente si assume la piena ed esclusiva responsabilità per quanto da egli affermato, l’intervistatore e la redazione di TdC hanno scelto di adempiere il loro ruolo informativo in modo giornalisticamente neutro. Intervistatore: In che cosa consiste il Gruppo Stargate Toscana? Professor Malanga: Si tratta di un’associazione culturale regolarmente registrata che si avvale della collaborazione gratuita dei suoi soci. Tale associazione è aperta a tutti, senza esclusione di appartenenza a gruppi politici religiosi od altro. Da chi è composto? L’associazione è composta da persone di tutte le età, le categorie sociali, i partiti politici, le religioni ed i gradi culturali. Persone che

Intervista: Gruppo Ufologico Indipendente


FANTASCIENZA/UFO http://www. ufomachine.org

comunque abbiano in comune l’interesse per i fini dell’associazione.

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Qual è il suo principale scopo e di cosa si occupa? L’associazione si occupa di indagare su quei fenomeni che non trovano spazio in altri contenitori a causa dell’impopolarità degli argomenti trattati, che sovente, se non sempre, vanno contro corrente e soprattutto contro l’abituale modo di pensare della maggior parte degli esseri umani. Trovano dunque da noi interesse di studio: gli ufo, il cospirazionismo, la medicina alternativa, i crop circles [nda: cerchi nel grano], le abduction [nda: la traduzione letterale del termine inglese è rapimento; in ambito ufologico il termine indica il

rapimento di esseri umani da parte degli alieni], l’antiglobalizzazione, il revisionismo storico inteso come ricerca del reale corso degli eventi, le ricerche sulle varie massonerie mondiali, il Nuovo Ordine Mondiale, le scie chimiche eccetera.

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Quali sono i motivi scientifici per i quali è sensato presupporre che gli alieni esistano realmente? Statistici: sennò l’universo sarebbe un grande spreco di spazio. Evidenti: data la stragrande mole di foto, filmati, prove testimoniali, analisi chimico fisiche, effettuate a sostegno di questa realtà e non ipotesi.

Intervista: Gruppo Ufologico Indipendente

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Intervista FANTASCIENZA

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Esiste un protocollo scientifico che regola l’attività del Gruppo? Esiste un protocollo sull’attività che riguarda lo studio sulle abduction aliene, che si può scaricare sul sito www.ufomachine.org (titolo: “Alien Cicatrix”, prima parte) e sul sito www. sentistoria.org (seconda parte). Esistono poi ben 16 ore di filmati scaricabili da Google Video http://video.google.it/ (chiave di ricerca il nome dell’autore, Corrado Malanga) che trattano delle tecniche utilizzate per studiare tali fenomeni. Esiste un manuale di oltre 100 pagine che riprende l’argomento, e che può essere richiesto a me personalmente. Potrebbe spiegare quali sono i cardini di tale protocollo? Primo: compilare il test di autovalutazione TAV; secondo: disegnare un mare, delle onde ed il cielo sovrastante (test di Lallemant)[1]; terzo: scrivere a mano su un foglio un sogno qualsiasi e firmarlo (prova grafica); quarto: primo colloquio con applicazione di Programmazione neuro linguistica; quinto: seduta di ipnosi profonda per far ricordare un evento ufologico realmente vissuto; sesto: ulteriore seduta per far ricordare un evento ufologico di abduction in giovane età; settimo: seduta di ipnosi profonda e colloquio con anima. Questo protocollo è condiviso da altre associazioni? No è una nostra creazione esclusiva. Seguendolo sono stati riscontrati risultati simili? Identici in tutti i casi analizzati. Ad oggi, il Gruppo ha rilevato qualche traccia dell’esistenza di alieni? Il gruppo, ad oggi, ha esaminato più di 400 casi di abduction identificandoli come reali attraverso l’utilizzo del protocollo da noi impiegato. Nota #1: Lallemant

Grafologia, Test delle Stelle ed Onde di Ursula Avé Lallemant. Cfr.: I genitori nei disegni dei figli. Gli animali come test dei giudizi infantili.

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Potrebbe descrivere uno di questi casi di abduction? A caso. Il soggetto dorme nel suo letto; ad un certo punto si sveglia e vede che il muro diventa bianco e trasparente. Entrano in fila indiana alcuni esserini che si pongono attorno al suo letto. Il soggetto è immobile. Uno degli esserini – hanno quattro dita ed il pollice opponibile, sono glabri, scuri, senza iride ma con solo una pupilla nera – risulta più alto degli altri, diciamo 1 metro e 50 contro 1 metro e 20 degli altri. A questo punto entra un essere molto più alto, diciamo 2 metri e 20, con cinque dita e capelli ramati, vestito in tuta blu scuro con un simbolo sul pettorale sinistro identico a quello delle massonerie egizie di nostra memoria. Il soggetto rapito levita attraverso il muro e sale nel cielo fino a entrare in una macchina volante rotonda. Lì viene steso su una poltrona da dentista e operato al palato superiore sinistro, con l’impianto di un microchip palatale. Poi il soggetto viene introdotto in un cilindro trasparente verticale e, in un altro cilindro verticale accanto, viene a formarsi una copia identica di lui. La copia esce dal cilindro e prende il suo posto nel letto di casa sua per un periodo imprecisato. Dopo qualche ora o qualche giorno l’evento si ripete e il soggetto originale risostituisce la copia. Se il soggetto portava con sé anelli, piercing od altro, questi vengono trovati non al loro posto o smontati o addirittura mancanti. È solo uno dei tanti classici racconti. Quali sono le finalità delle abduction (i rapimenti avranno uno scopo)? Lo scopo delle abduction è utilizzare l’anima umana come sorgente di energia immortale, per rendere gli alieni stessi immortali. Siete riusciti a determinare la forma fisica degli alieni? Se sì, potrebbe descriverla? Gli alieni vengono da differenti zone del nostro universo. Tra quelli più noti abbiamo il così detto “orange”, che è un umanoide a cinque dita biondiccio rossastro, con pelle abbronzata e occhi a fessura verticale, l’unico con presen-

Intervista: Gruppo Ufologico Indipendente


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za di femmine. Altezza dai 2 metri ai 2 metri e 20. Poi abbiamo il biondo a sei dita. Bianco di capelli, fronte alta, emaciato in volto, occhi chiarissimi, altezza 2 metri e 80 circa. In realtà, poiché questi esseri non vengono da dimensioni come la nostra e sono immateriali, il corpo col quale si presentano è artificiale. Quando entrano nella nostra dimensione hanno sovente bisogno di un “contenitore” e se lo costruiscono con una macchina. Ci sono poi i sauri. Altezza media 2 metri e 80, d’aspetto sauroide, con coda, artigli nelle mani, scaglie e spina dorsale bene in mostra, e tanto di dita palmate, orecchio esterno chiudibile eccetera. Poi abbiamo gli insettoidi, che sono come delle grosse mantidi alte circa 2 metri quando stanno sedute, o accucciate per meglio dire. Quindi i testa a cuore… soggetti alti 1 metro e 50, bilobati, con occhi grandi, pelle rugosa, calvi, con orecchie molto sporgenti. Esistono inoltre specie di volatili molto alti, sui 3 metri circa, simili ad uccelli antropomorfi: tre dita ungulate, due scapole che imitano due ali ripiegate all’indietro, un bargiglio sotto il mento (solo i maschi); possono levitare e sono muniti di un terzo occhio luminoso al centro della fronte… Eccetera, eccetera.

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Siete riusciti a determinare la loro provenienza? Se sì, da dove vengono? I posti di provenienza sono Sirio, le Pleiadi,

la Balena, Orione, il Leone eccetera...

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Con quali mezzi gli alieni potrebbero effettuare il viaggio fino alla Terra? La velocità della luce non si può superare perché la velocità si esprime come rapporto tra spazio e tempo, che si autovincolano tra loro. Basta muoversi solo nello spazio e solo nel tempo che tale vincolo scompare. La teoria più interessante è quella del fisico Bohm[2] che ritiene, con il neurofisiologo Pribram[3], che l’universo intero sia un ologramma non locale. L’effetto Casimir[4] ha già da tempo dimostrato la possibilità di spostare fotoni, da dentro a fuori di un contenitore, a velocità transluminare a potenziale infinito, probabilmente utilizzando le ipotesi di Bohm. La teoria prevede dunque di potersi spostare nel piano spazio-temporale; la costruzione di una macchina che lo possa fare è la cosa più semplice conoscendo i principi su cui farla lavorare. Nota #2: Bohm

David Joseph Bohm (nato il 20 Dicembre 1917 a WilkesBarre, Pennsylvania, morto il 27 Ottobre 1992 a Londra) è stato un fisico quantistico che ha dato contributi significativi nel campo della fisica teorica, della filosofia e della neuropsicologia, in particolar modo in relazione al modello quantistico ed alla teoria olografica dell’universo. Cfr.: Bohm’s Alternative to Quantum Mechanics, David Z. Albert, Scientific American (May, 1994). http://en.wikipedia.org/wiki/David_Bohm

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Intervista FANTASCIENZA Nota #3: Pribram

Karl H. Pribram (nato il 25 Febbraio 1919 a Vienna, Austria) è professore in Psicologia e Scienze Cognitive presso la Georgetown University, Washington DC. Già neurochirurgo presso la Stanford University, è stato un pioniere per il suo lavoro sulla corteccia celebrale. Noto al grande pubblico per lo sviluppo del “holonomic brain model of cognitive function”. Cfr.: Brain and Perception: Holonomy and Structure in Figural Processing.

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http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_H_Pribram Nota #4: Casimir

Hendrik Casimir, fisico olandese nato a L’Aia nel 1909 e deceduto a Heeze nel 2000, ricercatore per la Philips dal 1942, ritenuto lo scopritore della chiave dell’antigravità, già nel 1948 formulò quello che in seguito venne definito “effetto Casimir”. Cfr.: Haphazard Reality: Half a Century of Science. L’effetto Casimir è la forza che si esercita fra due oggetti estesi separati non dovuta alla gravità o alla carica elettromagnetica ma alla risonanza dei campi energetici presenti nello spazio fra i due oggetti. Tali campi fisici sono descritti in termini di particelle virtuali.

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http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Casimir

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C’è mai stato un contatto registrato dal Gruppo? Se non c’è stato, ritiene possibile che avvenga in futuro? Il gruppo non ha interessi a contattare alieni di qualsivoglia tipo. Né gli alieni hanno interesse nel contattare il gruppo. Gli alieni contattano solo gruppi di elevato potere militare e strategico con i quali appaiono, dalle nostre ricerche, collusi. Se un giorno dovesse esserci un contatto alieno con i componenti del gruppo, questi verrebbero subito sbattuti fuori a forza, perché vorrebbe dire che abbiamo nelle nostre fila alcuni membri collusi con i servizi segreti. Ritiene quindi che gli alieni abbiano interessi politici o strategici relativi al nostro pianeta? Sì. La globalizzazione è una loro invenzione. Le banche sono collegate con loro, le guerre sono loro a volerle. Il popolo deve rimanere sempre nel bisogno di qualcosa e schiavo della tecnologia, in modo da non potersi ribellare in futuro alle grandi famiglie di industriali, colluse con gli alieni da sempre.

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Ritiene che esistano esempi di cronaca degli ultimi 50 anni in cui sia evidente l’ingerenza degli Alieni? L’11 settembre ne è un classico esempio. Parlando di geopolitica ed alieni, qual è la nazione più compromessa? Com’è la situazione in Italia? Non esiste una nazione più compromessa. L’intero globo è ormai a rischio grave. Visto che, secondo quanto detto, gli alieni utilizzano la tecnica per dominare l’uomo, esistono tecnologie che ci hanno “regalato”? No! Occupandosi di revisionismo storico, ha mai rintracciato prove di contatti con extraterrestri nel passato? Ne è piena anche la Letteratura, dai lavori di Von Daniken[5] a Kolosimo[6] eccetera. Alcune informazioni derivano anche dai discorsi che gli addotti (nda: rapiti) fanno in ipnosi regressiva. Infatti la loro anima c’era all’inizio dei tempi... basta chiedergli le cose e questi te le raccontano. La Massoneria è legata storicamente agli alieni? La Massoneria è la longa manus del potere alieno sul pianeta. Le massonerie sono collegate ai diversi gruppi alieni e fanno, attraverso gli interessi delle banche e degli industriali, il bello e il cattivo tempo nell’economia e nella politica dell’intero globo. Se quindi, secondo lei, gli alieni esistono ed in qualche modo sono interessati alle sorti del nostro pianeta, perché non si manifestano apertamente? Agli alieni l’uomo serve vivo ed in buona salute per poterne sfruttare le potenzialità biologiche ed energetiche; a sua insaputa, ovviamente. Hanno mai provato a farlo? Lo fanno in continuazione.

Intervista: Gruppo Ufologico Indipendente


FANTASCIENZA/UFO Nota #5: Von Däniken

Erich Anton Paul Von Däniken, nato il 14 Aprile, 1935 a Zofingen, è un autore Svizzero noto per i suoi libri sull’influenza degli extraterrestri sulla cultura umana fin dalla Preistoria. Attualmente è un membro di spicco della “Archaeology, Astronautics and SETI Research Association” (AAS RA), di cui è un co-fondatore. Von Däniken ritiene che, se esiste una forma di vita intelligente extraterrestre ed essa è entrata nel nostro Sistema Solare, allora dev’essere possibile trovare le tracce del suo passaggio sulla Terra. Egli è anche convinto che l’evoluzione umana possa essere stata manipolata geneticamente dagli extraterrestri. Autore di 26 libri tradotti in più di 20 lingue, ha venduto più di 60 milioni di copie in tutto il mondo. Le prove che Von Däniken ha portato a supporto della teoria del “paleocontatto” possono essere riassunte come segue: a) Sono stati ritrovati alcuni manufatti che rappresentano un livello tecnologico superiore rispetto a quello presente al periodo in cui furono prodotti. Secondo Von Däniken, questi manufatti sono stati creati o dagli extraterrestri, o da umani che da loro hanno appreso le conoscenze necessarie. Alcuni esempi: Stonehenge, la testa della statua di Easter Island ed il meccanismo di Antikythera. b) Nell’arte antica di tutto il mondo può essere osservato un tema comune che illustra gli astronauti, l’aria, lo spazio, i veicoli spaziali, creature non umane ma intelligenti e manufatti ad alta tecnologia. Von

Däniken puntualizza che queste testimonianze sono presenti anche in culture assolutamente non correlate tra di loro. c) Le origini delle religioni sono una reazione al contatto degli umani primitivi con le razze aliene. Gli umani consideravano la tecnologia degli alieni come qualcosa di soprannaturale, e gli alieni stessi come dei. Secondo Von Däniken le tradizioni orali e letterarie della maggior parte delle religioni contengono riferimenti a “visitatori” venuti dalle stelle ed a veicoli capaci di viaggiare attraverso l’aria e lo spazio. Questi riferimenti dovrebbero essere interpretati come descrizioni letterali che sono state modificate nel corso dei secoli e sono divenute più oscure e simboliche. Un esempio è costituito dalla rivelazione di Ezechiele nel Vecchio Testamento, che Von Däniken interpreta come una dettagliata descrizione dell’atterraggio di un’astronave. La comunità scientifica ha rigettato le teorie di Von Däniken praticamente all’unanimità. Scienziati come Carl Sagan e I. S. Shklovskii, tuttavia, hanno trattato l’argomento del paleocontatto. Sagan non esclude la possibilità che un contatto possa esserci stato, ma asserisce che una teoria tanto importante abbia bisogno di prove altrettanto importanti. La maggior parte degli storici tratta le teorie di Von Däniken alla stregua di una pseudoscienza, ma un cospicuo gruppo di lettori sono dell’opinione che le sue idee possano essere vere.

http://www.daniken.com/ - http://en.wikipedia.org/wiki/Von_Daniken

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Esiste una porzione, anche piccola, della comunità scientifica che concorda sull’esistenza degli Alieni sulla base delle stesse motivazioni? La comunità scientifica di solito è costituita da vecchi docenti rimbambiti e da nuovi docenti vincitori di concorsi truccati dai vecchi professori universitari. Una delle cose che non si fa nelle università italiane è la ricerca, che è stata sostituita abilmente dalla politica della sopravvivenza. Non abbiamo interesse a colloquiare con gli scienziati così detti. A noi servono le persone intelligenti. Il Gruppo Stargate Toscana collabora, in qualche modo, con la comunità scientifica? Per carità... sarebbe una perdita di tempo inutile. Il gruppo Stargate collabora con biologi, fisici ingegneri e chimici. La comunità scientifica è un’altra cosa. Quale sarà il futuro del Gruppo Stargate Toscana? Probabilmente ad ottobre chiuderemo, perché abbiamo già scoperto tutto quello che volevamo scoprire; o comunque si cambierà target.. vedremo alla riunione del direttivo. Ne ho già dato notizia su Internet. n Francesco Viegi

Nota #6: Kolosimo

Peter Kolosimo, pseudonimo di Pier Domenico Colosimo, nato a Modena nel 1922, morto a Milano nel 1984. Scrittore e giornalista italiano, è considerato uno dei fondatori dell’archeologia misteriosa, che si propone di studiare le origini delle antiche civiltà utilizzando teorie e metodi spesso non accettati dalla comunità accademica. Premio Bancarella nel 1969 con il libro Non è terrestre, tradotto in 60 paesi, risulta essere uno degli scrittori italiani più conosciuti al mondo. Kolosimo fu anche coordinatore dell’Associazione Studi Preistorici Italia. Pubblicazioni: Il pianeta sconosciuto (1957), Terra senza tempo (1964), Ombre sulle stelle (1966), Psicologia dell’eros (1967), Non è terrestre (1968), Il comportamento sessuale degli europei (1971), Astronavi sulla preistoria (1972), Guida al mondo dei sogni, (1974), Odissea stellare, (1974), Polvere d’inferno (1975), Fratelli dell’infinito (1975), Cittadini delle tenebre (1977), Civiltà del silenzio (1978), Fiori di luna (1979), Italia mistero cosmico (1979), Io e l’indiano (1979), Viaggiatori del tempo (1981), Fronte del sole (1982), I misteri dell’universo (1982), “Pi Kappa”, rivista di mistero, archeologia ed esobiologia, (diretta da Peter Kolosimo), I-II (1971-1973), “Dimensione X”, enciclopedia del mistero (coordinata da Peter Kolosimo), 1-10 (1982), “Italia misteriosa” (a cura di Peter Kolosimo, 1984). http://it.wikipedia.org/wiki/Peter_Kolosimo

Intervista: Gruppo Ufologico Indipendente

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Cronaca

Cronaca

FANTASCIENZA

IL CASO ROSWELL di Elfwine

T

ra gli innumerevoli interrogativi che l’uomo quotidianamente ha imparato a porsi, e grazie ai quali tanti risultati positivi sono stati raggiunti, vi sono quelli che a buon diritto si possono definire MISTERI. Ciò che ci accingiamo a riassumere è proprio uno di questi misteri, che vede protagonisti alte sfere militari, semplici cittadini, autorità compiacenti, e un fenomeno su cui tutti, almeno una volta nella vita, hanno riflettuto, gli UFO (Unidentified Flying Objects). È estremamente arduo sintetizzare in un articolo una storia che produce i suoi effetti da oramai sessant’anni: gli intrecci e le relazioni tra i personaggi e gli avvenimenti iniziano a sbiadire, avidi cacciatori di gloria intorbidiscono ancor più le acque con le loro rivelazioni volutamente fallaci e sensazionalistiche, per non parlare di svariati tentativi d’insabbiamento operati da certi ambienti militari e governativi. Eppure è proprio per tutti questi motivi che il “caso Roswell” continua ad affascinare.

Il fatto.

Roswell è una piccola cittadina statunitense, situata nello Stato del New Mexico. Un paesaggio arido e stepposo regna incontrastato in questo angolo di America, coloro che vi abitano sono persone semplici, evidentemente non avvezze a ritmi cittadini o a stranezze eccessive. Si è da poco entrati nell’estate del 1947, è il 2 luglio, di sera, e qualcosa di estremamente anomalo sta per verificarsi. Le temperature stagionali hanno subito un brusco ribasso a causa di un temporale, il cielo è percorso da lampi che creano curiosi giochi di luci riflesse sulle nubi scure: è in questo frangente che il signor Dan Wilmot e sua moglie scorgono un oggetto luminoso discoidale volare in direzione della località di Corona, ad altissima velocità. Qualche giorno prima, precisamente il 24 giugno, intorno alle ore 15.00, un uomo d’affari americano di nome Kenneth Arnold, partito dalRoswell Daily Record, martedì 8 luglio 1947 l’aeroporto di Chehalis (nello

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Cronaca: Il Caso Roswell


FANTASCIENZA

Roswell, New Mexico (USA), targa statale - ©Joseph Nonneman

stato di Washington) per partecipare alle ricerche di un aereo dato per disperso, aveva avvistato, mentre era in volo nei pressi del monte Rainier, una formazione di 9 oggetti luminosi del diametro di circa 30 metri. Prendendo alcuni punti noti come riferimento, ne aveva calcolato approssimativamente altitudine (900 piedi, 3000 metri circa) e velocità (1000 miglia/ ora, circa 1500 km/ora). Una volta atterrato, aveva riferito tutto ai rappresentanti della stampa locale che stazionavano in aeroporto per ricevere notizie sull’aereo precipitato. Ritornando ai coniugi Wilmot, si può supporre che stiano ora scambiando un fulmine per un bagliore inspiegabile ed alieno, magari suggestionati dal racconto del buon Kenneth Arnold divulgato qualche giorno prima. Oppure no? Passano alcune ore… Nei pressi di un ranch poco distante dalla cittadina di Corona, situato 120 km a nord ovest di Roswell, un tale di nome William W. “Mac” Brazel rinviene alcune “lamine metalliche” presumibilmente collegabili allo schianto di un qualche velivolo. Incuriosito dalla natura dei frammenti, il 5 luglio il fattore decide di recarsi a Corona, dove la gente è ancora in fermento per le fresche dichiarazioni di Kenneth Arnold. Ancor più insospettito, il 6 luglio Brazel si rivolge alle autorità di Roswell, ed il primo pubblico ufficiale che interpella è lo sceriffo George Wilcox. Wilcox informa a sua volta il Comandante della

Base Aerea di Roswell, generale Blanchard, il quale dà incarico all’addetto al controspionaggio, maggiore Jesse Marcel, di ispezionare il fondo di Brazel. Il risultato del sopralluogo produce l’ordine immediato di trasportare il materiale rinvenuto alla base aerea di Forth Worth. Da questo momento una sequela di avvenimenti sospetti comincia a verificarsi. Il 7 luglio W.E. Whitmore, proprietario dell’emittente radiofonica KGFL, che sta per mettere in onda un’intervista rilasciata da Brazel, in cui il fattore dichiarava di aver visto coi propri occhi un disco volante, riceve una telefonata del segretario della Commissione Federale Comunicazioni di Washington, il quale gli ingiunge di non procedere con la trasmissione. L’8 luglio, Lydia Sleppy, una telescriventista di un’altra emittente locale, la KOAT di Albuquerque, viene informata da John McBoyle, cronista della KSWS di Roswell, in merito al ritrovamento nei pressi della cittadina di un disco volante con piloti a bordo, e dell’intervento dell’Esercito con divieto di acceso alla zona. McBoyle prega la Sleppy di inoltrare la notizia all’American Broadcasting Company (ABC), ma mentre è in corso la trasmissione del messaggio, la linea stranamente s’interrompe. Poco dopo McBoyle richiama la Sleppy e raccomandandole di non procedere e di scordarsi anzi l’intera faccenda. Nella stessa giornata, il tenente Walter Haut, ad-

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Fort Worth, Texas (USA), 8 luglio 1947 (da sinistra): Gen. Roger M. Ramey, Ten. Col. Thomas J. DuBose e Magg. Jesse Marcel in posa con i presunti rottami di un pallone meteorologico. detto all’informazione presso la base del 509° Gruppo Bombardieri di Roswell, rilascia un clamoroso comunicato stampa all’Associated Press, nel quale si rende pubblica la scoperta di un disco volante nei pressi di San Augustin. Il tutto viene avallato dal suo superiore, il colonnello Blanchard. Il generale Roger Ramey, Comandante dell’8a Armata Aerea di stanza a Forth Worth (da cui dipende il 509° Gruppo Bombardieri di Roswell), si affretta tuttavia a smentire il comunicato e a dichiarare che l’incidente ha coinvolto un semplice pallone sonda meteoro-

logico: “… all’esercito non risulta che esista un simile oggetto, cioè un disco volante; non qui almeno…”. In tal senso, è rilevante che il 9 luglio il “Fort Worth Morning Star-Telegram” pubblichi un articolo secondo cui il sergente maggiore Irving Newton, della stazione meteorologica della base di Forth Worth, pare aver identificato l’oggetto rinvenuto come un pallone ray wind, utilizzato per determinare la direzione e la velocità dei venti in alta quota. Nel frattempo il generale Blanchard viene spedito in licenza (in seguito chiederà di essere posto in congedo).

Elementi successivi. Le più forti dichiarazioni inerenti alla presenza di entità aliene sono giunte molto tempo dopo il 1947, precisamente nel 1988, sull’onda di una ripresa di interesse nei confronti dei fatti di Roswell. Un invecchiato Walter Haut, ex capo stampa della base aerea di Roswell, dichiara che “…dissero di preparare un comunicato con le notizie che mi avevano fornito per telefono, ovvero che era stato trovato un disco volante, e di renderlo pubblico personalmente per i vari notiziari che allora venivano trasmessi a Roswell; ed è quello che ho fatto...”, quasi a discolparsi del suo comporta-

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mento di 40 anni prima. Molto importante anche la dichiarazione di Judd Roberts, direttore nel 1947 di Radio KFLG, secondo il quale “…Una persona piuttosto cordiale mi chiamò da Washington e mi disse: «Sappiamo che siete in possesso di alcune notizie [il comunicato stampa di Haut] e volevamo mettervi a conoscenza del fatto che se volete trasmettere qualcosa su questo argomento, cosa che NON deve essere fatta, la vostra licenza correrà qualche pericolo. Quindi, vi consigliamo di NON farlo…”. A prendere la parola è anche Sappho Anderson, moglie del pilota che aveva trasportato i resti del presunto disco: “…mio marito seppe la notizia e mi disse: «Scommetto che lo metteranno su tutti i giornali. Ne sono sicuro. Voglio che tu legga quest’articolo [il dispaccio stampa di Walter Haut] perché è una storia vera. E lo posso dire visto che sono stato io a portare i rottami dell’UFO a Dayton, nell’Ohio...»“. Tra i vari sostenitori della presenza aliena a Roswell, ampio peso è stato dato poi ad una delle prove più discusse riguardanti il caso, forse la più conosciuta: la famosa autopsia dell’alieno. Questo caso è molto recente, datato al 1995, e ha visto protagonista un documentarista londinese, tale Ray Santilli, proprietario di una piccola casa di produzione, la Merlin. Santilli, affermò di avere comperato da un certo Jack Barnett, ex-cineoperatore militare, alcune pellicole (tredici rullini in bianco e nero da 35 mm della durata di 7 minuti ciascuno) girate da quest’ultimo a Roswell nel 1947. Di questi filmati, uno ritrae operazioni susseguenti allo schianto del presunto “disco”, un altro si concentra su un corpo alieno custodito dentro una tenda, e un terzo – la vera pietra dello scandalo –mostra l’autopsia

di due supposti cadaveri alieni. Nel corso degli anni, le opinioni sull’autenticità di quest’ultimo filmato in particolare si sono rincorse e ammassate l’una sull’altra: se ne sono occupati esperti di cinematografia e di effetti speciali, anatomopatologi, fisici, storici della medicina e della tecnologia. Secondo alcuni, esso è genuino, considerando le attrezzature impiegate, i telefoni a filo sullo sfondo, l’impossibilità biologica che l’essere sul tavolo sia un umano, seppur ampiamente deformato… Secondo altri, l’analisi di quegli stessi elementi dimostrerebbe l’esatto opposto, ossia che il filmato è una mistificazione. C’è poi chi ritiene che tutte le pellicole siano autentiche ma che non riguardino gli alieni bensì dei soggetti sottoposti a forti dosi di radiazioni: esperimenti di guerra nucleare. Cronologicamente siamo molto vicini al progetto Manhattan, sperimentato nel deserto del Nevada, un ambiente similare a quello di Roswell. Inoltre, nel filmato delle autopsie, sulla parete si nota un cartello recante l’avviso “Pericolo. Tempo massimo due ore”: dopo due ore, si rischia la contaminazione radioattiva… Se i commenti scientifici sono stati abbastanza uniformi nell’escludere la natura aliena degli esseri filmati, ne sono esistiti altrettanti tesi a dimostrare l’originalità della pellicola usata: essa pare essere stata prodotta dalla Kodak proprio nel 1947, data indicata da un codice numerico impresso sulla pellicola stessa. Il 4 aprile di quest’anno ecco invece la smentita eccellente: in un documentario prodotto dal network British Sky Broadcasting, trasmesso in prima serata dalla rete inglese Sky One, Santilli in persona ammette che il controverso filmato è un falso. Si tratterebbe di una “riproduzione”, un rifacimento (da lui commissio-

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Roswell, New Mexico (USA): il museo - ©Joseph Nonneman nato, e “liberamente” tratto dai suoi ricordi) di un’analoga pellicola del ‘47 che egli ebbe modo di visionare per intero all’inizio degli anni Novanta, e successivamente acquistare. Purtroppo, nel lungo periodo di trattative (due anni) intercorso tra visione e acquisto, la pellicola si deterioriò irrimediabilmente (come non aveva fatto nei precedenti 50 anni). A dire di Santilli, se ne salvarono solo pochi fotogrammi, che furono restaurati e montati nel rifacimento; ma Santilli stesso non è più capace d’indicare quali siano questi presunti frammenti “originali”, né sono in grado di farlo, a quanto pare, i mezzi tecnici degli esaminatori.

Progetto Mogul. Il 15 febbraio 1994 l’Aeronautica Statunitense, in risposta a quesiti parlamentari, ha dovuto chiarire i termini di quello che all’epoca dei fatti era conosciuto come “Progetto Mogul”. Elemento caratteristico della fine degli anni 40 era il timore del governo USA in relazione all’applicazione militare dell’energia atomica da parte dell’Unione Sovietica. Il geofisico Maurice Ewing aveva suggerito un modo per poter rilevare eventuali test atomici sovietici. Egli, infatti, aveva scoperto che, ad un’altezza di 14.000 metri, un elemento ricevente di onde sonore avrebbe potuto captare le medesime onde prodotte da

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eventuali test atomici su suolo sovietico. L’idea era buona, ma i mezzi difettavano, non essendo possibile spingere un normale aereo fino a tali altezze; si pensò allora di l’utilizzare palloni in neoprene da far stazionare alla quota necessaria. Questo progetto, chiamato “Mogul”, fu portato avanti da quello che venne definito balloon group, capeggiato da Athelstan Spilhaus e composto da vari membri dell’università di New York. Dopo varie prove, la base di lancio fu spostata ad Alamogordo, proprio in New Mexico. Il 4 giugno 1947 venne effettuato il primo lancio dal nuovo sito, e molti ritengono che a precipitare sulla proprietà di Brazel sia stato proprio uno di tali palloni. È possibile che il fatto, a dir la verità abbastanza comune, sia stato equivocato a causa dell’assenza sul pallone della tipica targhetta identificativa. È infatti plausibile che all’epoca si volesse mantenere segreto un progetto così importante, e che, a parte il balloon group e pochi altri, nessuno ne fosse a conoscenza. Lo stesso Brazel, sconfessando le sue precedenti dichiarazioni con cui affermava di aver rinvenuto “lamine metalliche”, ammise successivamente che i frammenti trovati consistevano in realtà in “pezzi di gomma, stagnola, carta piuttosto robusta e asticelle”, e abbondante nastro adesivo sul quale erano stampati dei fiori. Tuttavia la rettifica intercorse solo dopo la settimana che Brazel passò trattenuto sotto stretta custodia dai Servizi Segreti (dal 7 al 15 luglio 1947)! n Elfwine

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I Grandi Illustratori FANTASCIENZA

“Flying Saucer over US Air Base”

Chris Foss

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AREA 51 di Gabriele “Ixion” Filippi

L

e stesse luci nel cielo notturno assumono significati diversi se viste da occhi diversi. Per l’esperto di aerei da guerra sono un bombardiere B1 in volo sperimentale, per l’ufologo una navicella aliena, per l’astronomo meteoriti in discesa nella nostra atmosfera… Las Vegas, Hotel Luxor: le finestre di questo singolare albergo si affacciano su un terminale all’angolo nord-ovest dell’aeroporto internazionale McCarran. Da qui decollano dei 737 altrettanto particolari, ma sicuramente meno appariscenti dell’albergo in stile egiziano. Completamente bianchi con solo una striscia rossa lungo la fiancata, sono privi di qualsiasi nome o logo. Negli ambienti dell’aviazione, questi aerei vengono associati alla fantomatica compagnia aerea “Janet”. Ad aumentare l’alone di mistero che circonda questa compagnia fantasma c’è il fatto che alcuni di questi aeromobili possiedono un “tail number” (il codice alfanumerico che identifica univocamente ogni aereo) che ne assegna la proprietà all’Aeronautica Militare Statunitense. Ogni mattina questi aerei decollano per portare al lavoro più di 100 persone ciascuno; un lavoro segreto, svolto in un luogo segreto: l’Area 51. I deserti sono più o meno tutti uguali: un caldo bestiale, qualche cespuglio secco che rotola e la desolazione più totale, senza un segno di vita per chilometri e chilometri. Ma questo non vale se parliamo del deserto del Nevada. A renderlo speciale non sono solamente i suggestivi picchi delle alture che lo circondano, né il Groom

I Boeing 737 “JANET” all’aeroporto McCarran, Las Vegas - Wikipedia

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TECNOLOGIA/CRONACA/MISTERO proprietà federali nel sud del Nevada Territori: Nellis Air Force

Nevada Test Site

Nevada Test Site

Area 51

Legenda: Campo di volo militare Campo di volo civile Città Cittadina o paese

Ubicazione:

Strada pubblica Strada privata Confine di stato Confine di contea

Lake, per quanto interessante possa apparire un lago prosciugato… In un deserto possiamo aspettarci di trovare tutto, tranne strade asfaltate, bunker, degli hangar e una pista di atterraggio lunga otto chilometri. Si tratta di 26.000 km quadrati di deserto “militarizzato” da un base che ufficialmente non esiste, ma che tutti conoscono: l’Area 51. La via di accesso principale è tutt’altro che appariscente. Si tratta di una strada sterrata e polverosa che si stacca dalla statale 375 (chiamata “The Extraterrestrial Highway” per via dei numerosi avvistamenti di UFO lì verificatisi), all’altezza di una grande cassetta della posta di color bianco (una volta completamente nera). 16 km a sud di questo complesso troviamo il Papoose Lake, un altro lago salato asciutto. Nemmeno qui il nostro interesse è catturato dalle bellezze naturali, ma di nuovo da un’installazione militare, ancor più segreta dell’Area 51, denominata S4. è nei laboratori di questa base che ha lavorato per alcuni mesi Bob Lazar, testimone noto aver rilasciato dichiarazioni sulle “particolari” ricerche che vi si svolgevano. Completano la militarizzazione di queste terre desolate (ma non troppo) il poligono nucleare di Tonopah, e la base aerea di Nellis. Divenute accessibili al pubblico, le immagini satellitari hanno reso possibile osservare ciò che per anni era rimasto celato sulle cartine topografiche. Oggi, grazie a programmi come Google Earth, possiamo curiosare su questa zona, nota anche come Dreamland,

interpretando ombre e sagome stampate sul terreno, o leggendo i commenti della Google Earth Community. Ma possiamo solo fantasticare su cosa si nasconda dentro (e sotto) la misteriosa Area 51. Installazioni militari, progetti top-secret, UFO, alieni: tutto questo è Dreamland.

(un)KNOWN AREA 51. Quello che non può essere visto, non esiste. È questa la filosofia adottata dal Pentagono, che per decenni ha contribuito rendere misteriosa l’Area 51. La morfologia del terreno in questa zona costituisce già di per sé un’ottima protezione da occhi indiscreti. Si tratta infatti di un vallata desertica, circondata per chilometri e chilometri da montagne che superano i mille metri di altitudine. Nel corso degli anni, la crescente notorietà dell’Area 51 ha spinto le autorità a perpetrare una politica di espropri, più o meno legali, nel tentativo di frapporre sempre più deserto fra le installazioni e la curiosità di civili e giornalisti. Man mano che la gente si avvicina, la base si “allontana”, allargando i propri confini come una macchia d’olio. Ormai la proprietà del governo è così estesa che non è possibile recintarla. La zona off-limits viene indicata da bandiere arancioni, mentre lungo le strade polverose che portano alla base si trovano segnali che intimano di non proseguire nel cammino. Se bandiere e cartelli non sono sufficienti per dissuadere i più curiosi, allora entrano in azione i

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Cronaca FANTASCIENZA “Cammo Dudes”, una sorveglianza armata gestita da un’azienda privata (probabilmente la EG&G). A bordo dei loro Cherokee bianchi, questi vigilanti si spostano lungo i confini esterni del complesso militare. Protetti dal Dipartimento dello Sceriffo della Contea di Lincoln, sono l’unica forza di polizia degli Stati Uniti che opera in questa area. Le foto satellitari mostrano quella che apparentemente sembra essere una normalissima base militare. Ma, analizzando le foto in modo più approfondito, si nota innanzitutto la completa assenza di strade asfaltate che colleghino la base alla viabilità principale. Ecco quindi che prende forza la tesi secondo la quale gli uomini che lavorano lì vi giungano a bordo di aerei. Continuando a curiosare qua e là, è possibile individuare bersagli giganteschi impressi sul terreno, ingressi di tunnel, edifici isolati spersi fra le montagne. Agghiacciante lo spettacolo che ci riserva il poligono di Nellis: crateri del diametro di 400-500 metri, creati da esplosioni nucleari sotterranee, che si estendono a perdita d’occhio. Inoltre è possibile apprezzare quanto la base dell’Area 51 sia ad uno stato “avanzato”. Decine di hangar, tra cui l’enorme hangar 18 (300 piedi di lato), caserme, dormitori, uffici, parcheggi nei quali si possono notare auto civili, ed un’estesa rete di piste di atterraggio, tra cui la già citata pista di 8 chilometri (probabilmente la più lunga al mondo). Purtroppo le immagini satellitari non ci mostrano cosa si nasconda nel sottosuolo. Ciò che vediamo in superficie è quasi sicuramente la punta di un iceberg. Per il momento non possiamo fare altro che affidarci alle solite testimonianza anonime non confermate. Si parla di 90 piani sotto terra, dove il livello di segretezza aumenta in modo proporzionale alla profondità; o, ancora, di tunnel chilometrici che collegano l’Area 51 con le altre installazioni militari che si trovano nelle zone circostanti. Verità o illazioni, il mistero rimane.

STORIA. La costruzione dell’Area 51 risale sicuramente a prima degli anni Sessanta, ma le notizie di cui siamo in possesso sono già discordanti non solo sull’anno di nascita ma anche sulla paternità e sulle funzioni che inizialmente la base ha svolto. I primi “movimenti” si registrano fra il 1941 ed il 1945: sul lato est del Groom Lake vengono realizzate due rudimentali piste di atterraggio, lunghe approssimativamente 5.000 e 7.000 piedi. Si tratta di piste di

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appoggio ai voli eseguiti dalla base di Nellis. In disuso a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si deteriorano rapidamente. Del decennio a seguire non abbiamo molte notizie; possiamo supporre che la zona abbia continuato a svolgere un ruolo secondario, di supporto alle installazioni militari vicine. Per trovare le prime tracce di edifici, dobbiamo aspettare il 1955. Nell’aprile di questo anno, Tony LeVier, pilota collaudatore della Lockheed, è alla ricerca di un’area adatta al test di un nuovo aereo militare rivoluzionario: l’U-2. Il progetto, sviluppato per conto della CIA e nato già come top-secret, necessita di una location atta a garantire un adeguato livello di segretezza. LeVier, assieme al suo superiore Kelly Johnson e ad un responsabile della CIA, mette gli occhi sul Groom Lake. In pochi mesi la Lockheed Skunk Work completa la realizzazione dell’installazione, denominata “The Ranch”, per una spesa complessiva di 800.000 dollari. La base è costituita da tre hangar, una torre di controllo, una pista di decollo e una serie di case mobili prefabbricate. I tempi sono serrati: nell’estate dello stesso anno un C-124 consegna il primo U-2, ed il nuovo aereo spia compie il primo volo sul Groom Lake, protetto dall’ Ordine Esecutivo 10633 del presidente Eisenhower, che decreta la chiusura dello spazio aereo sopra la base. Pensando allo scenario sociopolitico di quel periodo, in funzione soprattutto dei rapporti fra USA e URSS, è evidente l’importanza strategica del nuovo velivolo. Mentre il Pentagono mantiene il segreto in ambito militare, il Governo lavora nei confronti dell’opinione pubblica. Viene così emanato il Public Land Order 1662 del 20 Giugno 1958. L’atto decreta il sequestro di 38.400 acri (60 miglia quadrate) a favore della Commissione dell’Energia Atomica, in connessione con il vicino poligono nucleare noto come Nevada Test Site. Ciò nonostante, il 21 Settembre 1959, circola una fotografia dell’installazione di Groom Lake. L’immagine, tutt’oggi reperibile, viene scattata dallo USGS (United States Geological Survey), nell’ambito di un progetto per la realizzazione di una mappa geografica globale. Un anno dopo (settembre 1960) iniziano i lavori per l’ampliamento della base, in previsione dell’inizio dei test sui futuri “Black Projects”. L’operazione OXCART – il nome in codice che identifica il progetto di ampliamento – prevede il prolungamento della pista d’atterraggio principale, da portare a 2,5 chilometri, e

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Immagine satellitare del complesso dell’Area 51, scattata il 27 luglio 2003 (Wikipedia)

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Cronaca FANTASCIENZA l’aumento della capacità dei serbatoi di carburante fino a 1.320.000 galloni. Il primo dei rivoluzionari aerei a vedere la luce in questa struttura è l’A-12, predecessore dell’SR-71 meglio noto come “Black Bird”. È l’ottobre del 1962, e la Lockheed firma un contratto da 1 milione di dollari per lo sviluppo di questo progetto. I lavori relativi all’operazione OXCART si completano nel 1965, portando la popolazione dell’Area 51 a 1.835 unità, e affiancando all’attività di test in volo quella di sviluppo di nuove tecnologie a terra. Nel 1967, la DIA (Defense Intelligence Agency)

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Il ricognitore Lockheed U-2 monoposto; il primo volo risale al 1° agosto 1955. Il prototipo stealth concepito dal progetto “Tacit Bue”.

I Black Projects

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invia ai laboratori della base un MIG 21 dando il via a un programma denominato “Have Doughnut”, oggi ancora in corso. Le notizie iniziano a trapelare, la pressione dell’opinione pubblica contro la guerra, e le contestazioni per le ingenti somme stanziate dal governo in ambito bellico, spingono il Pentagono a trasferire lo sviluppo del Black Bird alla NASA. Il 22 Maggio del 1967, un A-12 decolla da Groom Lake per raggiungere la base aerea di Kadena, ad Okinawa. Si tratta dell’inizio dell’operazione “Black Shield”, che prevede l’impiego dei Black Projects per la conduzione di voli di ricognizione e spionaggio sul Vietnam del Nord. Nel 1968 vengono scattate sull’Area 51 altre foto dall’alto, ancora una volta dallo USGS. I test di volo intanto non ottengono sempre esito positivo, e gli incidenti aerei vedono quasi sempre sparire sia velivolo che pilota. Probabilmente il limite viene superato nel 1972, quando si assiste ad un totale oscuramento delle operazioni condotte nell’Area 51, in seguito a un disastroso incidente che porta alla sospensione del progetto “Red Lights” (sino al gennaio del 1974). Su questo progetto, contrariamente ai Black Projects, circolano solo vaghe notizie (probabilmente perché tutt’oggi in corso) che lo collegano con i presunti dischi volanti di provenienza extraterrestre che sarebbero precipitati sulla Terra nel 1947 e nel 1949, nei pressi della notissima Roswell (New Mexico). Si vocifera che i test di volo fossero condotti con prototipi realizzati sulle tecnologie aliene dedotte dai relitti rinvenuti. I primi risultati delle nuove ricerche arrivano il 16 Novembre del 1977: prende corpo il progetto “Have Blue”, finalizzato allo sviluppo del caccia invisibile F117A. I militari danno dimostrazione delle tecnologie stealth sviluppate in occasione del “TACIT BLUE”, una esercitazione condotta nel febbraio del 1982 proprio a Groom Lake. In concomitanza, viene declassificato il Black Project A-12, la cui esistenza viene così pubblicamente rivelata. L’attenzione rivolta all’Area 51 da parte dell’opinione pubblica inizia ad essere invadente. Esemplare in tal senso è l’incursione, nell’aprile del 1983, di 4 contestatori di Greenpeace, intenzionati a raggiungere il Nevada Test Site dopo 5 giorni di marcia attraverso le alture a sud del lago Groom. Viene quindi effettuato nel 1984 un esproprio di altri 89.600 acri di terreno. La mancanza di atti ufficiali che dimostrino la legittimità dell’operazione sollevano un clamore tale che il Congresso è costretto a votarla retroattivamente per legalizzarne la natura.

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Il Lockheed SR-71 Black Bird, variante dell’A-12 (Wikipedia) A scongiurare altri audaci dall’addentrarsi nella zona off-limits, viene schierata una forza di sorveglianza armata (i già citati Cammo-Dudes). Anche se il programma “Tacit Blue” viene concluso, il Pentagono non sembra intenzionato ad abbandonare l’installazione, che ormai ha un livello infrastrutturale molto avanzato. La costituzione della “zona cuscinetto” intorno alla base riesce a tenere lontani occhi indiscreti da terra, ma non da satellite. Viene quindi completamente riorganizzata la gestione delle operazioni, in base alle “finestre d’ombra”. Diversamente dai satelliti meteorologici, infatti, quelli spia non sono geostazionari, non hanno cioè una posizione fissa rispetto alla Terra, ma le ruotano attorno, consentendo pertanto a un monitoraggio solo ciclico, non continuativo. Gli addetti alla sicurezza dell’Area 51 sono così in grado di determinare con certezza le ore nelle quali poter operare in esterno senza correre il rischio di essere spiati. Ad attirare l’Area 51 nell’occhio del ciclone ci pensa però Bob Lazar nel maggio del 1989, tramite un’intervista esplosiva rilasciata alla rete televisiva di Las Vegas KLAS-TV. Lazar dichiara di essere un ingegnere assunto per studiare veicoli extraterrestri custoditi in una installazione segreta vicino al lago Papoose,

poco più a sud del lago Groom: la misteriosa area S4. è la scintilla che scatena l’inferno, rendendo l’Area 51 famosa in tutto il mondo. Non è da meno il clamore suscitato da Jonathan Turley, docente di legge alla George Washington University. Turley avvia nel 1994 una battaglia legale, denunciando le pericolose condizioni in cui lavorano alcuni operai dell’Area 51, e perfino il verificarsi di alcuni decessi. Curiosi in terra, curiosi in cielo, curiosi nello spazio. Tutto il mondo osserva Dreamland. La Air Force decide quindi di aumentare ulteriormente il livello di sicurezza, ufficializzando nel 1995 ancora un esproprio, stavolta 3.972 acri di montagne tra il Freedom Ridge ed il Whiteside Peak. Il sequestro, già messo in atto due anni prima, preclude l’accesso ad un altro punto che gode di ottima visuale sul lago Groom. L’esistenza dell’Area 51 è ormai di dominio pubblico, e lo dimostra il numero di aprile 1994 della nota rivista Popular Science, che riporta una fotografia scattata da un satellite spia sovietico (la foto risale al 17 Luglio del 1988), insieme ad un lungo articolo riguardante la base. Le autorità tentano di smorzare il clamore creatosi. Un esempio eclatante è rappresentato dalla sospensione del caso legale promosso da Turley nel 1996, con

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Cronaca FANTASCIENZA QUALCUNO HA VISTO UN UFO?

Robert Scott Lazar decreto presidenziale 95-45 emanato da Clinton, grazie al quale l’Area 51 viene di fatto esonerata dal rispetto delle leggi in vigore per “necessità di sicurezza nazionale”. L’attenzione rivoltale rende ormai la base la più nota installazione segreta al mondo. Tutti sanno che esiste, ma nessuno sa ancora con certezza cosa nasconda. Nello stesso anno, mentre il progetto Tacit Blue viene declassificato, si eseguono nuovi lavori alle piste di atterraggio, prolungando di 5.000 piedi quella secondaria, la 14L-32R, necessaria probabilmente ai test di volo del “Bird of Prey”, noto anche come BoP, un nuovo velivolo top-secret destinato allo sviluppo delle applicazioni della tecnologia “stealth”. Alla fine del 1999 la base viene trasferita alla Air Force, che continua a lavorare sulle infrastrutture, ripavimentando la “Transient Parking Ramp” (nota come JANET ramp), ampliando l’ingresso Nord (filo spinato, cancelli, nuove guardiole), e avviando poi nel 2001 i test sulla bassa rilevabilità del Lockheed Martin F/A-22A Raptor. Tali test fanno parte dell’ennesimo progetto top-secret sviluppato a scopo militare, il Dynamic Coherent Measurement System (DYCOMS) airborne RCS range (noto come Project 100 o più semplicemente P-100). I lavori relativi alle piste interessano anche il Corridoio 12/30, lungo circa 5.420 piedi e largo 150 Le ultime notizie riguardano il completamento nel 2003 di due nuove cisterne di carburante ed una pista di collegamento con l’Hangar 19.

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La maggior parte delle indiscrezioni trapelate sull’Area 51 ci arrivano dagli addetti occupati al suo interno. Lazar afferma di aver lavorato per cinque mesi allo studio di velivoli di natura extraterrestre. Lo scienziato rilascia numerosi dettagli, primo fra tutti la posizione dei laboratori in cui si troverebbero gli UFO, e puntualizza che lo staff di 22 scienziati di cui avrebbe fatto parte era impegnato in un progetto di retroingegneria, finalizzato cioè ad individuare le tecnologie impiegate nella costruzione di nove dischi volanti. Lazar scende nei particolari, descrivendo i velivoli che avrebbe avuto modo di esaminare di persona. Sulla superficie delle fusoliere mancherebbero giunture, bulloni o saldature, ed i bordi arrotondati sarebbero privi di spigoli vivi. A suo dire sembrerebbero modellati nella cera, come se fossero stati fusi in un monoblocco. Anomali anche gli interni, con sedili ad appena 30 cm dal pavimento. Lo scienziato descrive anche il sistema di propulsione, costituito da una sfera poco più grande di una palla da tennis, capace di irradiare un campo antigravitazionale all’interno di un cilindro cavo lungo quanto il velivolo. Altra fonte d’informazioni sull’Area 51 è George Knapp (il giornalista della KLAS che fu contattato da Lazar), il quale ha reso noto un videotape, ricevuto da un uomo che avrebbe diretto vari programmi nella base di Nellis, in cui si asserisce che fin dal 1950 le autorità statunitensi starebbero custodendo materiale di origine extraterrestre, e addirittura delle creature aliene. A supportare tali tesi ci sarebbero gli svariati avvistamenti di UFO condotti intorno all’area di Groom Lake. Fra i tanti, vale la pena menzionare quello ripreso da una troupe della Nippon Tv guidata da Norio Hayakawa. Il filmato mostra un oggetto che decolla dall’Area 51 a velocità incredibile ed effettua manovre impensabili per un normale aereo. Secondo un dipendente della Lockheed, intervistato da Jim Goodall, scrittore e giornalista specializzato in aeronautica, “alcuni degli oggetti che sfrecciano sul deserto del Nevada farebbero venire l’acquolina in bocca a George Lucas”. Alla fine degli anni Quaranta l’aviazione ha compiuto un notevole balzo in avanti, grazie all’impiego di nuove tecnologie, come la sostituzione della propulsione ad elica con quella a reazione, o con l’introduzione della sagoma della fusoliera così detta “a freccia positiva”. Trattandosi di tecnologie applicate in campo bellico, sono sempre state sviluppate sotto la massima

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TECNOLOGIA/CRONACA/MISTERO

Il bombardiere tattico Lockheed F-117 Nighthawk (Wikipedia) segretezza. Si è quindi sempre trattato di “cose mai viste prima”. È facile pertanto associare i molteplici avvistamenti di UFO ai vari voli sperimentali condotti sull’Area 51. Anche lo stesso Norio Hayakawa, una volta investigatore d’assalto determinato a scoprirne i segreti, definisce oggi l’Area 51 una installazione dedicata alla ricerca e allo sviluppo di nuove tecnologie. Niente UFO. Nessun alieno. O forse no?

BLACK PROJECTS. Ma da dove arrivano tutti questi prototipi? Dalla Skunk Works, in California. Il Black Bird è ormai noto al pubblico ed è fuori produzione; cos’altro giustifica, oggi, l’attività svolta a porte chiuse da questa divisione della Lockheed? Forse possiamo trovare risposta in un documento del Pentagono del 1985, nel quale veniva definito il budget per l’U-2 ed il Black Bird, e dove erroneamente figura un terzo misterioso progetto denominato AURORA PROJECT. Benché il livello di segretezza che protegge l’Aurora Project sia altissimo, una serie di indizi che ci consentono di presagire cosa si aggiri oggi nei cieli di Dreamland. Dopo aver realizzato aerei in grado di volare a velocità supersoniche, e di risultare invisibili ai radar, la prossima frontiera dall’ingegneria avionica è quella di creare un aereo in grado di raggiungere velocità ipersoniche, cioè pari a cinque o sei volte la velocità del suono. Un tale velivolo necessiterebbe di un an-

golo di freccia positivo molto accentuato, onde evitare seri problemi di surriscaldamento dovuti all’attrito con l’aria, e di un volume tale da poter contenere un adeguato sistema di propulsione e maggior carburante, oltre ovviamente l’equipaggio con le relative strumentazioni di bordo. La forma più idonea a soddisfare queste esigenze è quella di un corpo unico triangolare, dalle superfici curvilinee in cui si fondano insieme fusoliera, ali e motore. Il sistema di propulsione dovrebbe essere certamente unico nel suo genere, quindi con un suono caratteristico, diverso da quello di un comunissimo jet o di un razzo. A confermarci il fatto che non stiamo parlando di fantascienza, troviamo traccia di un test di rilevamento radar condotto nel 1992, che coinvolge i controllori di volo del traffico aereo della costa occidentale degli Stati Uniti. I controllori vengono avvertiti della possibilità di individuare velivoli ad altissima velocità, in grado di produrre suoni ed esplosioni soniche (il rumore prodotto da un aereo quando rompe il muro del suono, esso si accompagna a un anello di condensa generato dallo spostamento d’aria che segue l’aereo, che si comprime su quella che lo precede) insolite e frastornanti, simili a terremoti. La mattina del 30 gennaio, nel sud della California, un profondo boato sveglia diverse persone, mentre i sismografi dell’US Geological Survey registrano una scossa di terremoto. Un velivolo non identificato rompe il muro del suono e tocca Mach 3.1. Sono tornati gli UFO. n Gabriele Filippi

Cronaca: Area 51

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FANTASCIENZA

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dagli archivi del Centro Ufologico Nazionale di Massimo “DeFa” De Faveri all’interno: Tra Leggenda e Storia: i Linguaggi del SETI relazione di Paolo Musso

N

ella ricerca di materiale riguardante il tema del “contatto alieno”, un’utile risorsa è rappresentata dal sito web del Centro Ufologico Nazionale (http:// www.cun-italia.net/), punto di riferimento per tutti gli appassionati italiani di ufologia. Fondato nel 1966 con lo scopo di studiare in modo scientifico e non pregiudiziale il fenomeno UFO, diffondendone obiettivamente i dati e le conoscenze, il Centro è un’associazione privata, definita statutariamente come apolitica, aconfessionale e senza fine di lucro. Le attività da essa svolte ricoprono quattro settori primari: il settore indagini, con l’analisi e la verifica sulle segnalazioni di avvistamenti, e la redazione dei relativi rapporti; il settore documentario, con la raccolta, la catalogazione e la conservazione dei dati; il settore scientifico, con l’attività di studio e ricerca sulle informazioni accumulate, effettuata secondo il metodo scientifico e seguendo precise modalità tecniche; il settore divulgativo, con la diffusione obiettiva di fatti e di studi. La coordinazione dei vari rapporti associativi rientra poi nell’ambito del settore organizzativo. Oltre a archiviare il materiale inerente alle tematiche ufologiche nella “Banca delle Documentazioni”, accessibile a tutti gli interessati che si occupino con serietà di ri-

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SCIENZA E TECNOLOGIA La Sezione Regionale CUN del Lazio: http://www.cunlazio.net/

cerca, il Centro produce alcune pubblicazioni cartacee: menzioniamo il bollettino trimestrale “Filo Diretto” (inviato ai soci e a chiunque desideri, come semplice abbonato, aggiornarsi sugli sviluppi dell’ufologia in Italia e all’estero), e il bimestrale “UFO notiziario”, in vendita presso tutte le edicole italiane. Il network on-line del CUN è formato da una ventina di siti web locali, associati e amici, che ben rappresentano la ramificazione territoriale delle attività svolte. Il CUN incarna in Italia quell’esigenza d’iniziativa privata sul tema UFO che nel tempo ha accomunato un po’ tutti i paesi sviluppati, in risposta forse alle posizioni assunte da parte delle autorità ufficiali preposte all’indagine sugli eventi ufologici, considerate spesso, a torto o a ragione, poco esaurienti. Di fatto, a partire dagli anni Cinquanta, le informazioni, le problematiche e le teorie inerenti al fenomeno UFO hanno avuto una diffusione crescente proprio ad opera di associazioni private, come appunto il CUN. Per quanto riguarda l’Italia è interessante capire se, dal 1966 anno in cui il Centro si è costituito, qualcosa sia cambiato a livello istituzionale nella ricerca ufologica, se esistano oggi organismi statali (civili o facenti capo all’Aeronautica Militare) incaricati di occuparsene, e se il CUN collabori con strutture di questo tipo. «Non è affatto un mistero», ci spiega Vladimiro Bibolotti, segretario generale del Centro, «che, fin dalla sua nascita, il CUN abbia avuto in seno alti ufficiali o piloti pluridecorati; per esempio Franco Bordoni-Bisleri, o il Generale Salvatore Martelletti (recentemente alla Presidenza del CUN), o ancora il

Generale Attilio Consolante, membro del Consiglio Direttivo. Vorrei ricordare la partecipazione al Simposio Mondiale di San Marino, nell’anno 2000 sotto la Presidenza Pinotti, dell’allora comandante del Reparto Generale Sicurezza (ex SIOS) dell’Aeronautica Militare Italiana, Colonnello Aldo Olivero, che, in rappresentanza dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, ha riferito sull’attività del suo reparto, incaricato di registrare le segnalazioni di UFO pervenute tramite fonti militari e civili e di elencarle annualmente in uno specifico rapporto. Ma parlare di collaborazioni significa, nei fatti, esporre il CUN allo sciacallaggio degli ufologi di confine, che sbraitano al complotto, ad un asse CUN-militari, o anche peggio. Al contrario, è più che naturale che figure o esponenti qualificati del CUN possano, di tanto in tanto, scambiarsi brevi bilanci o notizie, nell’ambito distinto dei propri ruoli, quello istituzionale e quello associativo.» Per merito anche di queste proficue interazioni, la ricerca ha avuto modo di evolversi, beneficiando peraltro di casistiche via via più ampie e di sempre più efficaci strumenti tecnologici, utili per analizzare le evidenze documentali e testimoniali. Anche la fenomenologia UFO, di per sé abbastanza varia, nel tempo pare aver subito alcuni cambiamenti… Oggi, con l’esperienza di quarant’anni di ricerche alle spalle, qual è la posizione del CUN riguardo all’ipotesi di una presenza sulla Terra d’intelligenze extraterrestri? «Il CUN non ha una posizione preconcetta,» spiega ancora Bibolotti, «né in senso negazionista, né accettando in toto i deliri di chi cerca pubblicità con affer-

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Dal Web FANTASCIENZA mazioni suggestive (ma dubbie, sul piano di una logica di contatto tra umani e possibili civiltà extraterrestri). Ci fa sorridere chi oggi ricorre, per riciclarsi, al concetto di esopolitica, termine intelligente ma ampiamente abusato. Le valutazioni di scenari di contatto sono possibili ma, in genere, da escludersi se provenienti dal mondo USA, specie se da parte di ex-militari, che in realtà sarebbero vincolati al segreto (e che segreto?). Ne abbiamo visti tanti che, pur avendo assunto ruoli apparentemente “scomodi” o delatori, sono stati poi, magari da defunti, celebrati ai massimi livelli dalle stesse autorità militari. Si sa: quando si appartiene a un mondo “particolare” come quello militare o legato all’intelligence, non si va mai in pensione, e anche gli atti conclusivi di una carriera sono spesso diretti da regie bene attente. Sembra infatti che sia in corso una politica sistematica di discredito, attuata mediante la “fuga” di presunte informazioni segretissime, attraverso particolari canali o strutture di intelligence. Lo scopo reale è di imboccare i sedicenti ufologi sensazionalisti (ma dovremo continuare a chiamare costoro ancora con il termine di ufologi?) con notizie da circo esoplanetario, screditando così l’intero il settore della ricerca UFO/ET. Prova ne sia l’incolumità dei protagonisti di queste vicende, diversamente dai pionieri dell’ufologia che spesso sono rimasti invece vittime d’incidenti o morti misteriose. In questi giorni esce un libro molto importante, controcorrente, su vicende lontane occorse nel nostro paese e in altre località del pianeta. S’intitola Contattismi di massa, ed è unico nel suo genere. Ciò che colpisce, leggendolo, è la logicità della politica di contatto che, nell’ipotesi proposta nel volume, sarebbe avvenuta coerentemente tra civiltà diverse, col coinvolgimento di diplomatici, politici,

scienziati di altissimo livello, mondo accademico, militari, importanti figure istituzionali, artisti…Certo, occorre esser cauti nei giudizi, ma almeno, in questo caso, per la prima volta lo scenario esopolitico esce dalla fantascienza cospirazionista. Anche noi come CUN stiamo alla finestra pronti ad osservare implicazioni, sviluppi e ricadute che un testo del genere potrebbe generare nella comunità ufologica seria. E intanto continuiamo il lavoro di ricerca, senza distrazioni o suggestioni, come d’altronde abbiamo sempre fatto – con merito, riteniamo – fino ad oggi.» Come anticipato da Bibolotti, all’argomento UFO è legato indissolubilmente anche quello del “contattismo”, che si è spesso ipotizzato decadere nelle forme estreme delle cosiddette “abduction” (presunti rapimenti di soggetti umani da parte di creature aliene). Abbiamo chiesto quanti casi di “abduction” siano stati studiati in Italia da parte del CUN, e se, fra questi, ve ne siano alcuni da ritenere di particolare interesse, tali da poter essere analizzati come fatti potenzialmente “autentici” (prescindendo dalle cause). «Non vogliamo generare allarmismo», risponde il Segretario del Centro, «né facili miti. Sicuramente nel corso degli anni il CUN si è imbattuto in una certa casistica, molto scomoda da gestire (sia per gli addotti, cioè i soggetti “vittime di rapimenti”, sia per gli inquirenti) ma estremamente interessante. Il livello delle informazioni è tale da farci ritenere di dover mantenere il riserbo, soprattutto per il rispetto e la salvaguardia dei testimoni o dei soggetti stessi vittime di tali eventi!» Queste parole ci lasciano una certa curiosità insoddisfatta, ma, spulciando fra la documentazione che il CUN ha inserito on-line, abbiamo trovato alcuni articoli che il lettore potrà consultare per approfondire

Galileo, la Sezione CUN di Parma: http://www.galileoparma.it/

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l’argomento “abduction”; segnaliamo in particolare: Abductions, nuove frontiere, di Enrico Baccarini, Alieni ed Umani: la politica del contatto di Fulvio Terzi, ed Endorfine e Impianti di Giorgio Pattera. Noi proseguiamo concentrandoci invece, specificamente, sulle problematiche tecniche e culturali relative a un eventuale “primo contatto”, con particolare riferimento alle caratteristiche di intelligibilità “semantica” che un messaggio dovrebbe avere per poter veicolare efficacemente informazioni tra l’uomo e un ipotetico interlocutore extraterrestre. A questo proposito riportiamo, sempre dall’archivio on-line del CUN, l’interessante relazione Tra leggenda e storia: i linguaggi del SETI, sul tema “Uomo, Universo, ET: colonizzatori e colonizzati”, esposta al 1° Simposio Mondiale sulla Esplorazione dello Spazio e la Vita nel Cosmo, svoltosi a San Marino il 6-7 Maggio 2000. In essa è riassunta un po’ la storia dell’evoluzione del linguaggio per comunicazioni extraterrestri. “La prima strategia proposta”, spiega il dott. Paolo Musso, del Dipartimento di Filosofia, Sezione

di Epistemologia, dell’Università di Genova, “fu quella di mostrare immagini che potessero essere “viste” dai telescopi ottici della civiltà aliena: quest’ipotesi era infatti coerente con quanto sostenuto dalle teorie astronomiche del tempo [la prima metà dell’Ottocento, ndr] che credevano plausibile l’idea di una vita extraterrestre nel nostro sistema solare. Sembra che a porsi il problema sia stato per primo il matematico Karl Friedrich Gauss, che a quanto pare propose di tracciare un gigantesco triangolo rettangolo in un’area della Siberia (piantando ampie strisce di alberi in modo da formare i tre lati, e coltivando a grano l’interno per ottenere un colore uniforme); una variante poteva essere quella di rappresentare il teorema di Pitagora costruendo, nel modo appena illustrato, su ogni lato del triangolo un quadrato. Parallelamente, a Vienna, l’astronomo Joseph Johann Von Littrow suggerì di scavare nel Sahara dei canali che formassero figure geometriche di 30 km di lato, da riempire, di notte, con kerosene a cui dare poi fuoco.” Il dottor Musso cita anche Charles Cros, il primo a proporre l’utilizzo di un codice, da trasmettere nel-

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Dal Web FANTASCIENZA la fattispecie riflettendo la luce del Sole verso Marte (pianeta che allora si riteneva potenzialmente abitato) per mezzo di un sistema di specchi. Gli impulsi luminosi avrebbero dovuto rappresentare un numero definito di “unità” di colore, in ordine alternato bianco/nero (una qualsiasi coppia di colori opposti), che, come “tessere” di un mosaico raggruppate in sequenze di pari lunghezza, avrebbero formato “righe” da incolonnare poi una sotto l’altra per ricostruire l’immagine bidimensionale trasmessa. Nel 1920, H. W. Nieman e C. Wells Nieman semplificarono l’idea proponendo di usare impulsi di durata diversa a rappresentare differentemente i due colori, come il sistema punto-linea dell’alfabeto Morse. Si tratta in sostanza del codice binario, lo stesso usato dai computer, il modo più semplice per trasmettere immagini. “Intanto nel 1896”, prosegue il dottor Musso, “Francis Galton aveva suggerito un approccio differente: prima di inviare immagini bidimensionali, egli riteneva infatti più utile spedire una sorta di introduzione alla matematica, in modo tale da essere poi in grado di trasmettere messaggi che descrivessero gli oggetti attraverso le loro misure anziché direttamente le immagini.[…] nel 1953, Lancelot Hogben, nel suo articolo “Astraglossa, o primi passi nella sintassi celeste”, e sulla sua scia Philip Morrison, avevano suggerito, come primi passi, l’invio di numeri (come impulsi ordinari di forma rettangolare) e dei concetti matematici basilari (“più”, “meno” e “uguale”, rappresentati invece da un radioglifico, un segnale con una forma caratteristica). Semplici esemplificazioni aritmetiche avrebbero condotto gli extraterrestri alla comprensione di questi simboli, il che, successivamente, avrebbe permesso l’introduzione di π, e per suo tramite del concetto di numero irrazionale.” “Partendo da questo spunto, Hans Freudenthal […] elaborò un linguaggio che potesse essere veicolo di comunicazione tra creature che avessero in comune soltanto l’intelligenza e null’altro: lo battezzò Lincos (abbreviazione per “lingua cosmica”, in latino). Il linguaggio logico sembrava al nostro autore il più adatto per la comunicazione interstellare, soprattutto per il suo carattere formale, perché la correttezza dei ragionamenti non dipende dal contenuto espresso dagli enunciati ma soltanto dalla loro forma. Freudenthal si proponeva dunque di costruire un sistema formale, con un linguaggio (alfabeto e regole di formazione delle formule del linguaggio) e un calcolo (assiomi e regole da applicare); l’aspetto semantico delle espressioni – cioè il legame con la realtà – doveva invece

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Hans Freudenthal (1905-1990) essere completamente reciso, perché i riceventi extraterrestri avrebbero potuto non essere in grado di comprenderlo. […] Il risultato non fu esattamente quel prodigio di chiarezza che Freudenthal pretendeva, anche perché già la stessa versione “terrestre” del discorso, prima ancora della sua traduzione simbolica, risultava piuttosto singolare. Ecco come, per esempio, egli intendeva comunicare le nozioni essenziali circa la generazione degli esseri umani: “L’esistenza di un corpo umano comincia qualche tempo prima di quella dell’essere umano medesimo. Lo stesso vale per alcuni animali. Mat, madre. Pat, padre. Prima dell’esistenza individuale di un essere umano, il suo corpo è parte del corpo di sua madre. Esso è originato da una parte del corpo di sua madre e da una parte del corpo di suo padre”. Se devo essere sincero, non mi sembra molto più comprensibile del testo in linguaggio formalizzato…” “Come Freudenthal dichiarò esplicitamente nell’introduzione al suo celebre saggio Lincos: Design of a Language for Cosmic Intercourse (North Holland, Amsterdam, 1960), le sue principali fonti di ispirazione erano la Characteristica Universalis di Leibniz, il Formulario di Peano e i Principia Mathematica di Russell e Whitehead: vale a dire, in buona sostanza, il programma del neopositivismo logico. Che tale programma fosse stato dimostrato impossibile per la matematica già nel 1931 dai celebri Teoremi di incompletezza di Gödel, e che, più in generale, il progetto di “costruzione logica” del mondo della filosofia neo-

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SCIENZA E TECNOLOGIA positivista, già ampiamente messo in crisi da Popper, stesse per crollare definitivamente di lì a un paio d’anni sotto i colpi di Kuhn e Feyerabend, non parve evidentemente preoccupare più di tanto il Nostro, che confidava addirittura di poter “coprire con il Lincos l’intero campo dell’umana esperienza”, comprendente fra l’altro “il modo di fischiare al proprio cane, le buone maniere e il modo di comportarsi nelle diverse occasioni, e un sistema di punizioni quando siano trasgredite alcune norme”. Nonostante la sua apparente (o reale) follia, alcune delle idee di Freudenthal erano però valide. La matematica, in effetti, essendo basata sulle caratteristiche più generali della realtà fisica […] deve necessariamente essere la stessa dovunque […] ed essere espressa in modo da risultare comprensibile a chiunque. Ed è altresì vero che basandosi su di essa si possono comunicare alcuni concetti astratti, validi non solamente in matematica. Ecco per esempio come, nel suo celebre libro (poi anche film) Contact, Carl Sagan procede per comunicare i concetti di “vero” e “falso”, non molto diversamente da come intendeva Freudenthal”: 1A1B2Z 1A2B3Z 1A7B8Z «Che cos’è secondo lei?» «Il mio tesserino della scuola superiore? Intendi dire che la A sta per una combinazione di punti e di linee, e che la B sta per una differente combinazione di punti e di linee, e così via?» «Esattamente. Si sa cosa significano uno o due, ma non si conosce il significato di A e B. Che cosa le dice una sequenza di questo tipo?» «A significa “più” e B significa “uguale”. È così?» «Bene. Ma non comprendiamo ancora il significato di Z, giusto? Adesso sta scrivendo…» 1A2B4Y «Capisce?» «Forse. Dammene un altro che termini in Y.» 2000A4000B0Y «Okay, credo di esserci arrivata. Purché non legga gli ultimi tre simboli come una parola, Z significa vero e Y falso.» “Il problema è che tutto ciò resta comunque limitato. Il rischio è che alla fine tutta questa fatica non porti molta più informazione di un mero self-proclaiming message (cioè di un messaggio con cui si comunica

esclusivamente il fatto della propria esistenza, senza alcuna ulteriore informazione). Come ha notato il filosofo del linguaggio Neil Tennant in un suo sferzante saggio (The decoding problem: do we need to search for extraterrestrial intelligence in order to search for extraterrestrial intelligence?), “ciò che è proclamato non sarà appena «Hey, siamo qua», ma piuttosto «Hey, siamo qua, e quel che più conta, sappiamo un po’ di matematica»”. Il che, come nota ancora Tennant, “non sarà terribilmente informativo”, dato che per mandare qualsiasi messaggio è necessario disporre di apparecchiature adatte, sicché “anche il più scarno messaggio self-proclaiming «Hey, siamo qua» ha, come suo corollario pragmatico, «…e quel che più conta, abbiamo dei radiotrasmettitori»”. Tuttavia, proprio per questa ragione, è forse possibile estendere la base di conoscenze comuni. Dopo tutto, per poter disporre di radiotrasmettitori in grado di comunicare tra loro, è necessario avere conoscenze scientifiche abbastanza avanzate. Siccome le leggi della natura sono le stesse in tutto l’universo, e siccome in gran parte possono essere espresse in forma matematica, non dovrebbe essere impossibile usare il linguaggio matematico stesso per comunicare anche la nostra scienza in un modo universalmente comprensibile.” “[…] Per esempio, è chiaro che chiunque abbia una benché minima cognizione scientifica non può non riconoscere in una serie di numeri da 1 a 92, ciascuno accoppiato con un diverso simbolo, l’elenco degli elementi chimici […]. E, una volta in possesso dei loro simboli, nonché di quelli della matematica precedentemente acquisiti con i quali indicare le loro combinazioni, si può fare davvero molta strada. Il rischio anche stavolta, però, non è tanto di non capirsi, quanto di ricadere nella situazione precedente. Parafrasando Tennant, potremmo dire che stavolta ciò che è proclamato non sarà appena «Hey, siamo qua», ma piuttosto «Hey, siamo qua, e quel che più conta, sappiamo un po’ di chimica». Il che, di nuovo, “non sarà terribilmente informativo”, dato che è proprio ciò che ci aspetteremmo da chiunque fosse capace di costruire dei sofisticati radiotrasmettitori. Certamente se ad entrare in contatto fossero due civiltà di diverso livello tecnologico, quella più evoluta potrebbe tentare di far leva sulle conoscenze comuni per trasmetterne di nuove: ciò tuttavia sarebbe interessante solo per l’altra, e solo a patto che il tempo necessario al messaggio per giungere a destinazione fosse inferiore a quello necessario per giungere alle relative scoperte con i propri mezzi; il che, date le distanze implicate, non è poi così

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Illustrazione artistica della sonda Pioneer 10 - NASA

scontato.” “Il vero problema, comunque, è che in ogni caso non si riuscirebbe a oltrepassare l’ambito meramente scientifico […]. E questo è il motivo per cui nei (pochi) tentativi di comunicazione fin qui effettivamente tentati si è sempre finiti per seguire un’altra strada.” “Come già anticipato, il suggerimento pionieristico di Goddard (utilizzare delle immagini incise su una targa metallica, a bordo di una navicella spaziale, ndr) è stato poi ef- fettivamente messo in opera in occasione del lancio di tre sonde interplanetarie (costruite per scopi completamente differenti), le Pioneer 10 e 11 e la Voyager. Ognuna di esse ha a bordo una placca con incise immagini di vario tipo, che, se ritrovate da intelligenze extraterrestri, dovrebbero fornire loro molte informazioni, almeno secondo l’intenzione degli ideatori.” “Vediamo il loro contenuto in particolare. Sulle placche delle sonde Pioneer sono rappresentati i seguenti elementi: due figure umane – un uomo, con l’avambraccio alzato e il palmo della mano aperta in segno di saluto, e una donna –; dietro di loro la forma schematizzata della Pioneer stessa; nella parte inferiore della placca vi è la medesima navicella, raffigurata in scala più ridotta, e il suo tragitto nel Sistema Solare, disegno dal quale si dovrebbe arguire come suo luogo di partenza il nostro pianeta […]. Inoltre, nella parte superiore, si possono vedere riprodotti, mediante due cerchi uniti tra loro da una linea orizzontale, l’atomo d’idrogeno e il momento di rotazione dell’elettrone. Infine vi è un ultimo diagramma da analizzare, posto al centro della placca: quindici linee che s’incontrano in un punto e che dovrebbero indicare la posizione del nostro pianeta (al centro) in relazione alle quindici pulsar più evidenti finora osservate.” “La placca d’oro della Voyager (d’oro perché è uno dei materiali meno deteriorabili), ha in parte gli

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stessi diagrammi delle Pioneer (l’atomo d’idrogeno e la posizione del nostro pianeta indicato dalle pulsar), ma contiene inoltre foto di uomini, donne e bambini di diverse razze, immagini di capolavori artistici e di bellezze naturali del nostro pianeta nonché un registratore, montato sulla piastra stessa, il cui modo d’utilizzo è illustrato per mezzo di disegni. Questi, se correttamente compresi, dovrebbero permettere l’ascolto di dischi con le voci e i canti prescelti per presentare la nostra civiltà: per esempio vi è il saluto di Jimmy Carter, allora presidente degli Stati Uniti, e dell’allora segretario generale dell’ONU, Kurt Waldheim. Vi sono infine raffigurati, sulla parte destra superiore, i segnali corrispondenti ai suoni che l’apparecchio usato correttamente deve produrre. La Voyager, ormai uscita dal nostro sistema solare e sperduta nello spazio esterno, è insomma “un piccolo museo in miniatura della razza umana.” “[…] il vero problema è però che una sonda spaziale sperduta nell’immensità dell’universo non ha praticamente nessuna possibilità di essere ritrovata. Per questo motivo, gli sforzi dei ricercatori del SETI si sono concentrati soprattutto sul metodo della trasmissione di immagini in codice, il quale, pur ideato inizialmente per segnalatori ottici, può tuttavia agevolmente

essere utilizzato anche per la ben più efficiente (su scala cosmica) comunicazione via radio.” “Tale metodo è stato utilizzato per la prima volta da Frank Drake nel 1974, quando egli inviò, dal radiotelescopio di Arecibo (Puerto Rico), il primo radiomessaggio della storia intenzionalmente rivolto ad un’altra civiltà, indirizzandolo verso l’ammasso stellare M13, detto l’ammasso di Ercole. Il codice utilizzato fu quello suggerito inizialmente da Cros e dai Nieman, il binario, ovvero il codice dei calcolatori moderni, che si basa su due valori soltanto, acceso=1 e spento=0. […] perché la ricostruzione dell’immagine non risultasse ambigua, si fece in modo che il numero totale di bit (cioè di impulsi) fosse il prodotto di due numeri primi,[…] da potersi quindi scomporre in un modo soltanto […]. Il messaggio di Arecibo […] consiste di 1699 impulsi binari (ripetuti

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più volte, per un totale di 3 minuti di trasmissione). 1699 è il prodotto di 73 per 23, che sono primi, e questo è appunto il formato della trasmissione: 73 righe per 23 colonne. Sostituendo agli 1 quadratini neri e agli 0 quadratini bianchi si ottengono le immagini che compongono il messaggio. Faccio qui incidentalmente notare che in effetti, a rigore, tale metodo non è proprio del tutto esente da ambiguità, perché potremmo anche disporre i nostri bit su 23 righe per 73 colonne. È vero che in questo modo non si otterrebbe nessuna figura coerente, e che esseri intelligenti appena degni di questo nome dovrebbero pure, prima o poi, pensare di provare anche nell’altro, però, con tante critiche ben più pretestuose di questa, come ora vedremo, mi stupisce un po’ che nessuno l’abbia ancora notato. Per questo mi sembrerebbe meglio usare un formato che fosse dato dal quadrato di un solo numero primo (anziché dal prodotto di due): in questo modo, infatti, potremmo avere davvero una suddivisione univoca (e inoltre i quadrati sono più facili da riconoscere e da scomporre in fattori, soprattutto nel caso di numeri più grandi di quelli usati da Drake[…]).”

“In ogni caso, tornando alla figura, il valore informativo di questa immagine vuole essere di nuovo molto alto, come nei messaggi delle sonde. Nelle prime righe vengono rappresentati, nell’ordine, i numeri da 1 a 10 – perché noi contiamo in base 10, anche se quest’informazione è sconosciuta al ricevente – e successivamente il numero atomico di idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo, che sono gli elementi principali che compongono il nostro corpo. A questo punto c’è un brusco e inaspettato cambiamento di significato: da qui alla fine, infatti, alle figure con valenza numerica se ne affiancano altre con un significato visivo. Vengono simboleggiati la doppia elica del DNA (composto dagli elementi sopra elencati), la figura stilizzata dell’uomo con accanto due numeri (che dovrebbero essere già stati decodificati e compresi), uno per la sua altezza e uno per la popolazione terrestre, e la riproduzione del Sole e i 9 pianeti, con il quadratino rappresentante la Terra lievemente spostato verso l’uomo per indicarne la provenienza. Lo schema termina con una raffigurazione del radiotelescopio da cui il messaggio è stato inviato e col numero corri-

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Illustrazione artistica della sonda Voyager 1 - NASA/JPL

sendo posti tra l’esapode e il satellite stesso.” “B. e F. Melchiorri hanno invece paragonato la placca della Voyager al celebre disco di Festo, ritrovato sull’isola di Creta, un disco di terracotta sulle facce del quale sono disegnate trenta caselle ordinate a spirale e illustrate con bassorilievi che convergono al centro: gli archeologi hanno formulato diverse ipotesi, ma non sanno ancora come decifrare il messaggio.” “Morrison, il fisico che con Giuseppe Cocconi nel ‘59 aveva proposto per primo l’uso della frequenza “magica” dell’idrogeno per la comunicazione interstellare, prendendo spunto dalle difficoltà presentate dal messaggio di Arecibo ha proposto addirittura di inaugurare una nuova disciplina, “l’anticrittografia”, ovvero la tecnica di progettazione di codici facilissimi da decifrare. E, naturalmente, nessuno di loro ha mai perso l’occasione di far notare come ogni messaggio del genere sia immancabilmente viziato da antropocentrismo.” “[…]Ora, a me sembra (e credo che ciascuno lo possa agevolmente verificare da sé) che il problema del messaggio di Arecibo (e in generale di tutti i messaggi iconici fin qui elaborati) sia in realtà uno solo,

spondente al diametro del suo specchio. […]” “Sia il messaggio di Arecibo che quello precedente “di prova”, così come quelli delle navette, sono risultati assai difficili da decodificare per gli stessi terrestri interpellati, benché almeno quelli dotati di preparazione scientifica vi siano alla fine riusciti, almeno in buona parte. Effettivamente i messaggi contengono alcuni evidenti difetti, […]. Le critiche a cui hanno dato luogo, tuttavia, mi sembrano in gran parte esagerate e fuorvianti, e almeno in qualche caso veramente insensate. Vi è stato un autore, per esempio (l’esperto di intelligenza artificiale Michael Arbib), che ha criticato il messaggio di Drake del 1962 perché secondo lui potrebbe essere interpretato in maniera completamente diversa – intendendolo come spedito da una razza di esapodi provvisti di grandi teste – semplicemente capovolgendolo. Nella sua interpretazione, la figura dell’esapode verrebbe formata (per la verità in maniera piuttosto approssimativa…) dal gruppo di simboli che dovrebbero rappresentare gli elementi chimici, mentre la figura stilizzata dell’alieno vista alla rovescia potrebbe essere interpretata come quella del radiotelescopio usato per spedire il messaggio (cosa già un po’ più verosimile), e gli altri simboli, in mancanza di meglio, come “nuvole” che ricoprono il pianeta, es-

e cioè l’eccesso di stilizzazione (che, almeno nel caso del DNA, raggiunge un livello veramente intollerabile, e che è altresì responsabile dell’impossibilità di distinguere agevolmente tra numeri in codice binario e figure). Semplicemente, queste non sono immagini del nostro mondo: sono solo una sua rappresentazione iperstilizzata ed ipersemplificata, più o meno del livello che si potrebbe ottenere con i Lego. […] Non credo che gli alieni avrebbero potuto cadere in errore se Drake avesse rappresentato la figura umana per esempio con una fotografia di Valeria Marini (ma, in verità, anche solo con un disegnino della Lucy di Schulz)! E avrei proprio voluto vedere che razza di esseri si sarebbe dovuto inventare Arbib perché si potessero fraintendere queste immagini semplicemente capovolgendole.” “Insomma, secondo me, tutto quello che si può legittimamente dire analizzando questi messaggi è che delle rappresentazioni iperstilizzate ed ipersemplificate non sono sufficienti per evitare equivoci […]. Se è così, allora miglioriamole! Ma non capisco proprio come ci si possa attaccare a questo per trarne conseguenze filosofiche epocali circa una pretesa incomprensibilità delle immagini in generale, dato che qui, lo ripeto, immagini non ce ne sono. Né capisco come

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SCIENZA E TECNOLOGIA si possa accusare di essere troppo “antropocentriche” delle figure che semmai lo sono troppo poco, al punto da risultare incomprensibili innanzitutto ai normali esseri umani.” “Ci sono però anche altre due obiezioni ricorrenti, secondo le quali l’uso di immagini sarebbe comunque antropocentrico in un senso più fondamentale. La prima sostiene ciò in base al fatto che, anche sulla Terra, vi sono culture che adottano raffigurazioni diverse da quelle che noi consideriamo “realistiche”. Un esempio molto citato è quello degli Abelam della PapuaNuova Guinea, che rappresentano l’uomo come un triangolo, per ragioni rituali. Un altro è quello degli Indiani Sioux, i quali ritengono che un uomo a cavallo visto di fianco sia rappresentato più correttamente disegnandone comunque entrambe le gambe, perché un uomo ne ha sempre due anche quando una è nascosta. La mia risposta è che ad essere antropocentriche sono semmai queste rappresentazioni, in quanto culturalmente condizionate, laddove una fotografia rappresenta invece semplicemente “ciò che si vede”, né più né meno; tant’è vero che tali divergenze teoriche non impediscono affatto né agli Abelam né ai Sioux di riconoscere un uomo in una foto, mentre impediscono a noi di fare altrettanto nelle loro raffigurazioni, se non ne conosciamo i presupposti. E qualsiasi civiltà dotata di una tecnologia avanzata dovrebbe avere sviluppato un sufficiente senso del valore universale della rappresentazione oggettiva del mondo (che è alla base della scienza naturale) da non consentire troppi dubbi sul fatto che essa debba essere la prima a venire usata per comunicare […]. La seconda obiezione, più radicale, dice che l’utilizzo di immagini sarebbe antropocentrico in quanto presuppone l’uso della vista, mentre non è detto che tutti gli esseri dotati di intelligenza posseggano necessariamente questo senso. Ciò può essere vero, ma non riguarda il SETI, perché per esso hanno rilevanza solo le creature intelligenti capaci di sviluppare una civiltà tecnologica evoluta (almeno) fino al punto di costruire radiotelescopi. Ora, in primo luogo è assai dubbio che ciò sia possibile senza l’uso di un senso così fondamentale per orientarsi nel mondo come quello della vista (non a caso sulla Terra si è evoluto almeno tre volte indipendentemente; ma, soprattutto, sarebbe in ogni caso irrilevante, perché non si tratterebbe di un problema di “linguaggio”, ma di interfaccia. Nemmeno noi infatti possiamo vedere gli oggetti della radioastronomia, perché le loro frequenze sono al di fuori dello spettro visibile. Eppure li “vediamo” lo stesso, perché abbiamo costruito un’interfaccia che

La custodia protettiva in oro e alluminio che contiene il disco d’oro “Sounds of Earth” (sonde Voyager 1 e 2). Sulle facce della custodia sono incise le istruzioni per la corretta riproduzione della registrazione.

li traduce per noi in frequenze adatte ai nostri occhi. Quindi, siccome un radiotelescopio capta comunque un’immagine bidimensionale del cosmo nelle radioonde, sia che gli alieni vedano su frequenze diverse dalle nostre, sia che non vedano proprio, in ogni caso, se possiedono radiotelescopi, devono per forza avere anche un’interfaccia che traduca le immagini captate in altre che essi possono “leggere” (nel secondo caso – a cui, ripeto, non credo – per esempio potrebbe trattarsi di un’immagine in rilievo, percepibile al tatto). Se così non fosse, infatti, che cosa costruirebbero a fare i radiotelescopi? Non sembrano quindi esserci obiezioni di principio all’uso delle immagini digitalizzate nelle comunicazioni SETI. Ma, soprattutto, il fatto è che esse sono comunque indispensabili.” Nel prosieguo della sua relazione, Musso pone l’accento sul fatto che la decifrabilità di una forma di comunicazione (per esempio una lingua parlata) non dipende dal suo grado di difficoltà intrinseca, ma dalla possibilità o meno di associarne ai simboli (alle parole) i corretti significati. Il dottore cita l’esempio delle iscrizioni in Etrusco, che continuano a risultare incomprensibili perché di quasi tutte le parole componenti quell’antica lingua s’ignora ancora il significato, nonostante sia invece ben nota la struttura (si conosce interamente l’alfabeto e la sua pronuncia, e parzialmente la grammatica e la sintassi). Al contrario, è stato possibile decifrare i geroglifici egizi, ma solo grazie all’utilizzo di un preciso riferimento, offertoci da quella

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Dal Web FANTASCIENZA pratica “tavola di conversione” che si è rivelata essere la Stele di Rosetta. Nella costruzione di un linguaggio formalizzato che metta in contatto due interlocutori, occorre dunque riferirsi a una base di conoscenza che sia condivisa da entrambi, per esempio le comuni conoscenze matematico-scientifiche, che verosimilmente dovrebbero essere note a ogni civiltà in grado di spedire/ricevere messaggi attraverso lo spazio. “La miglior riprova di ciò”, fa notare Musso, “è che chi non ammette (secondo me sbagliando, ma questo è un altro discorso) l’esistenza di tali conoscenze comuni, ipotizzando che gli alieni possano avere una matematica e una scienza completamente (e non solo parzialmente) diverse dalle nostre, in genere non ammette (qui secondo me a ragione, una volta accettata l’ipotesi) neanche la possibilità di una comunicazione quale che sia”. Ne consegue che, in linea di principio, è impossibile “dare un senso soltanto tramite le proprietà interne del codice alle parole che non riguardino (direttamente o indirettamente) tali conoscenze comuni […] e, più radicalmente, che in fondo il problema del linguaggio da usare risulta del tutto secondario rispetto a quello della scelta del metodo che deve conferirgli il contenuto semantico. […] come ben sa chiunque abbia tentato almeno una volta di parlare qualche lingua straniera, è infatti perfettamente possibile capire e farsi capire abbastanza bene anche avendo una scarsa padronanza della grammatica, purché si conosca un sufficiente numero di vocaboli, mentre l’inverso è, non che difficile, propriamente impossibile. Ma, se la struttura del linguaggio può ancora avere una sia pur relativa importanza, quello che è veramente privo di qualsiasi interesse è il tipo di simbolismo usato: non fa infatti nessuna differenza, ai fini della comprensione, che per indicare il numero 1 si usi appunto il simbolo “1”, la parola “uno” in alfabeto italiano, i simboli del Lincos o quelli dell’immaginario alfabeto Klingon di Star Trek. O meglio, una differenza c’è, ed è che usando un linguaggio già esistente faremmo meno fatica noi a raccapezzarci, potendo più facilmente concentrarci sui problemi veri; mentre i nostri ipotetici partner extraterrestri ne farebbero esattamente la stessa, non un solo grammo di più. In definitiva, dunque, la proposta del celebre astronomo francese Jean Heidmann di trasmettere direttamente l’Enciclopedia Britannica risulta a mio avviso assai meno paradossale di quanto potrebbe sembrare a prima vista.” “[…] Ma allora, problemi tecnici e (soprattutto) economici a parte, tutto quello che dovremmo fare sa-

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SCIENZA E TECNOLOGIA rebbe trasmettere delle fotografie (o, meglio ancora, un film) con le opportune didascalie? […] Certamente, se volessimo soltanto dare un’idea di come siano fatti il nostro mondo e gli esseri che lo abitano, la mia risposta sarebbe: assolutamente sì! Non c’è infatti altro modo, stando a quanto detto finora, di far conoscere ad un alieno un particolare oggetto del nostro mondo se non mostrandoglielo. Tuttavia, in questa maniera resterebbero fuori numerose informazioni non banali circa la struttura interna degli oggetti mostrati e, inoltre, tutta la gamma dei concetti astratti. Una prima, parziale soluzione potrebbe quindi certamente essere costituita dai linguaggi formali che abbiamo visto prima, grazie ai quali è possibile, come si è detto, introdurre almeno i concetti fondamentali della matematica e delle scienze naturali, oltre ad alcuni concetti astratti di portata più generale, come per esempio quelli di “uguale”, “diverso”, “maggiore”, “minore”, “giusto”, “sbagliato”, “finito”, “infinito” e così via. Anche noi infatti usiamo questi concetti in modo analogico, applicandoli a diversi oggetti con (parziali) “slittamenti di significato” determinati dal contesto (per esempio, “giusto” o “sbagliato” in senso morale anziché matematico, “finito” o “infinito” in senso teologico anziché fisico ecc.). Ma, appunto per questo, sarebbe impossibile far capire ad un interlocutore che stiamo usando un determinato concetto in senso analogico se non applicandolo ad un nuovo oggetto dentro un diverso contesto. E questo contesto, se dev’essere diverso da quello scientifico, non potrà, per definizione, essere individuato da un linguaggio costruito interamente sulla scienza. Quindi, per esclusione, dovremo nuovamente far ricorso ad immagini, per esempio usando una scena di pace e una di guerra e contrassegnandole rispettivamente con i simboli (per esempio, nel testo di Sagan, “Z” e “Y”) che avevamo precedentemente introdotto per indicare i concetti di “giusto” e “sbagliato” in senso matematico. Non è detto che gli alieni capiscano (anche se a mio parere la ragione, in qualsiasi parte dell’universo esista, non può fare a meno di funzionare in modo analogico, perché altrimenti non sarebbe in grado di svolgere il suo compito più importante, vale a dire quello di confrontarsi con le novità); tuttavia voglio sottolineare che in questo modo è almeno possibile che essi vi riescano […].” “Una seconda soluzione, parziale e quindi non alternativa bensì complementare alla prima, potrebbe essere quella che è poi la più vecchia del mondo: spiegarsi a gesti. Ovviamente, nel caso di una comu-

nicazione di tipo SETI, non lo potremmo fare in modo diretto. Niente però ci vieta di ricostruire la scena con la solita tecnica del codice binario, e di trasmetterla esattamente come le altre immagini puramente descrittive. Dopo molti anni di studi e pur con oscillazioni ricorrenti e non ancora del tutto superate, pare che a questa conclusione sia giunto infine anche Douglas Vakoch, del SETI Institute californiano – forse il massimo esperto mondiale del problema – come risulta dal Poster Paper da lui presentato alle Hawaii in occasione del Convegno Mondiale Triennale di Bioastronomia Bioastronomy 99 (Kona, 2-6 Agosto 1999), nel quale viene illustrato un metodo per costruire una sorta di filmino (in 3 dimensioni) in cui un uomo e una donna (rappresentati in modo realistico) illustrano appunto a gesti concetti relativi ad oggetti, parti di oggetti e relazioni tra essi.” “Come egli stesso mi ha detto in quella occasione, però, questo metodo lascia fuori i concetti a più elevato grado di astrazione, che sono poi quelli su cui si fondano l’arte, la cultura e la religione, vale a dire tutto ciò che caratterizza la nostra civiltà e che costituisce ciò che noi “siamo” assai più profondamente che la nostra struttura corporea o la nostra composizione chimica.” “È possibile (benché per nulla affatto sicuro) che combinando i due metodi si possano fare dei passi avanti anche su questo difficile terreno. Quel che è certo è che, in ogni caso, nessuno dei due potrà mai evitare di fare uso di immagini.” “[…] il tipo di linguaggio che io auspico per il SETI del futuro, e verso il quale mi sembra ci si stia, pur faticosamente, dirigendo, è un linguaggio integrato, che, su di un impianto base fondamentalmente iconico, sappia inserire opportunamente anche spezzoni di linguaggio formale modellato sulle scienze e sulla matematica. Quanto ai simboli da utilizzare, dovrebbero essere usati il più possibile quelli dei linguaggi naturali già esistenti, scostandosene solo in caso di vera e comprovata necessità. […] Se quanto fin qui detto è corretto, ne dovrebbe seguire che per trasmettere informazioni interessanti occorra un messaggio molto lungo, se non proprio l’Enciclopedia galattica in stile Heidmann almeno qualcosa di paragonabile come ordine di grandezza. Da ciò parrebbe di poter dedurre una conseguenza, che potremmo chiamare “Principio di non mediocrità dialettica”, per simmetria con il cosiddetto “Principio di mediocrità cosmica”. Mentre infatti quest’ultimo afferma che quanto alla possibilità di un dialogo con altre civiltà è la

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Dal Web FANTASCIENZA mediocrità che “paga”, perché la loro esistenza e la possibilità di contatti con esse sono rese plausibili dal fatto che la Terra e l’umanità non sono speciali, ma nella “media” cosmica, il “Principio di non mediocrità dialettica” afferma al contrario che quanto alla concreta effettuazione di tale dialogo a “pagare” è invece “l’estremismo”, giacché i messaggi di media lunghezza dovrebbero essere esclusi (in quanto impossibilitati ad essere realmente più informativi di quelli brevi), riducendo le possibilità dunque all’alternativa secca tra informazione minima (“Hey, siamo qui!”, messaggio meramente self-proclaiming, al massimo munito di un piccolo corredo di immagini tipo “album di famiglia cosmico”) e informazione massima o comunque estremamente elevata (l’Enciclopedia stessa). Dato inoltre il costo spropositato in termini di tempo e di risorse che richiederebbero la compilazione e poi la trasmissione (ripetuta) di quest’ultima a caso nello spazio, sembrerebbe ragionevole aspettarsi che almeno il primo contatto debba avvenire attraverso un messaggio del primo tipo.” “Anche da un’analisi condotta in base a metodi e principi indipendenti, come la presente, risulterebbe dunque confermata l’ipotesi, formulata in precedenza dai radioastronomi principalmente per ragioni tecniche, che il tipo di messaggio intenzionale in cui è più probabile imbattersi sia, in definitiva, una semplice portante radio.” “Vorrei concludere tentando di rispondere alla domanda sul perché, nel dibattito sul linguaggio del SETI, spesso alle (non piccole) difficoltà già esistenti se ne aggiungano altre che derivano da complicazioni apparentemente inutili. […] trovo molto curioso, per esempio, che quasi tutti si sentano in dovere di inventare una simbologia apposita quando andrebbe benissimo una qualsiasi già in uso, dato che tutte sono convenzionali. Ma, a pensarci, forse si potrebbe dire lo stesso della stilizzazione così spinta dei messaggi iconici: perché infatti tutti seguono questa strada, di per sé innaturale, e nessuno suggerisce semplicemente di aumentare la definizione in modo da servirsi delle immagini reali degli oggetti, come ho fatto io? La risposta alla fine è sempre la stessa: si vuole evitare in tutti i modi il rischio dell’antropocentrismo. Ma abbiamo visto che, almeno da questo punto di vista, il timore non è assolutamente giustificato! E allora? Forse la risposta è più banale ed è riassumibile in due parole: troppo facile! Sarebbe troppo facile usare semplicemente la fotografia di un uomo per rappresentare un uomo, la fotografia di un radiotelescopio

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per rappresentare un radiotelescopio e quella di una molecola di DNA per rappresentare una molecola di DNA: meglio inventare una rappresentazione ad hoc che richieda, per essere capita, almeno un po’ di ingegno e di conoscenze matematiche.” “Allo stesso modo, una notazione inventata ad hoc per contrassegnare i numeri non dà nessun vantaggio rispetto all’usare le nostre buone, vecchie cifre arabe, però… Appunto! “Buone e vecchie”. Ma soprattutto vecchie. Possibile che vadano bene anche per il “linguaggio cosmico”? Troppo facile, troppo banale e soprattutto non abbastanza “scientifico” per un compito così alto.” “Lo stesso Vakoch, pur inclinando attualmente, come abbiamo visto, verso un’impostazione più “naturalistica”, non rinuncia ad inserirvi elementi paradossali: per esempio proponendo di usare, per illustrare determinate relazioni spaziali, i 5 solidi platonici (quelli composti da poligoni regolari), allo scopo di comunicare un senso di armonia e di bellezza che, nel contesto, c’entra davvero poco; oppure suggerendo che il filmino venga costruito in 3 dimensioni anziché in 2 (con tanti saluti alla semplicità e univocità della codifica e con una crescita esponenziale – secondo n3 anziché n2 – della lunghezza del messaggio e quindi del dispendio energetico necessario in caso di sua effettiva trasmissione) nell’ipotesi che gli alieni non abbiano il senso della vista e si orientino attraverso il tatto (come se ciò fosse possibile in assenza di un’interfaccia che trasformi il flusso – di per sé comunque unidimensionale – dei bit in un’immagine solida tangibile (la quale interfaccia, se esistesse, sarebbe allora certamente capace di far ciò anche con un’immagine bidimensionale).” “[…] Bene, forse questa mia spiegazione è semplicistica, ma proprio non riesco a fare a meno di sospettare che dietro a tutti questi aspetti “curiosi” e altrimenti apparentemente inspiegabili si celi un pizzico almeno di un fenomeno analogo a quello dei cosiddetti “cargo cult”, vale a dire l’adorazione degli aerei da trasporto che lanciavano viveri dal cielo come rifornimento per le truppe, diffusasi in alcune isole del Pacifico durante la seconda guerra mondiale e diventata il simbolo della tendenza umana (esistente in realtà da sempre e non ancora scomparsa) a divinizzare impropriamente il progresso tecnologico.” “Se ci pensate, nell’immaginario collettivo, l’incontro con gli extraterrestri è sempre concepito con caratteri di eccezionalità, in positivo o in negativo, […] non soltanto per quanto il fatto (a cui in ogni caso

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SCIENZA E TECNOLOGIA

Arecibo, Portorico: il NAIC (National Astronomy and Ionosphere Center), con il celebre radiotelescopio il 99,9 % dell’umanità continuerebbe a pensare per non più di qualche mese, a dir tanto) rappresenterebbe in se stesso, ma anche e soprattutto per le modalità concrete del suo svolgersi. Insomma, noi ci possiamo immaginare, e di fatto ci immaginiamo, tale incontro come l’inizio di una nuova era meravigliosa o di una guerra terrificante, ma semplicemente non riusciamo (voglio dire che facciamo fatica anche sforzandoci) a pensarlo come qualcosa di deludente, cioè qualcosa che sul piano pratico finisse per lasciare le cose più o meno come prima. Allo stesso modo, possiamo pensare di ricevere molti generi di messaggi, come abbiamo visto, alcuni totalmente incomprensibili, altri invece capaci di spalancarci abissi prima neanche immaginabili; ma, di nuovo, quello che proprio non riusciamo a concepire è l’ipotesi di un messaggio banale […] noi proiettiamo (indebitamente) su questo possibile incontro le nostre speranze e paure più profonde, rivestendolo in tal modo di una luce sacrale.” “[…] Il sospetto che voglio insinuare è che questo tipo di mentalità abbia una certa presa, maggiore di quanto in genere si voglia ammettere, anche all’interno della comunità scientifica, e che il ricercare siste-

maticamente tecniche di comunicazione più complicate del necessario ne sia in qualche modo una spia. […] personalmente ritengo che questo sia un atteggiamento controproducente, anche dal punto di vista del SETI stesso: e ciò non solo per le complicazioni aggiuntive che rischia di introdurre nell’elaborazione di un linguaggio effettivamente utilizzabile, ma anche perché una ipotetica civiltà aliena più progredita della nostra (non per questo necessariamente più saggia, ma forse almeno più ammaestrata dall’esperienza) potrebbe anche nutrire qualche remora a rivelare la propria esistenza ad un’altra che dimostrasse questa sorta di “sudditanza psicologica” nei suoi confronti, […] a causa delle esagerate aspettative (e quindi delle inevitabili, successive delusioni) che si verrebbero in tal modo a creare.” Tratto dalla relazione: Tra leggenda e storia: i linguaggi del SETI - P. Musso esposta al “1° Simposio Mondiale sulla Esplorazione dello Spazio e la Vita nel Cosmo” (San Marino, 6-7 Maggio 2000), sul tema “Uomo, Universo, ET: colonizzatori e colonizzati”. n Massimo De Faveri

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Serie TV

Serie TV

FANTASCIENZA

U.F.O.

(U.F.O. - 1970) di Andrea Carta

L

a prima cosa a cui pensai, svegliandomi la mattina del 1° gennaio 1980, fu “da oggi la serie UFO non è più fantascienza”. Basta questo per capire come i telefilm in questione – ambientati nel 1980, come i titoli di testa ricordavano all’inizio di ogni episodio – abbiano influenzato profondamente, ben al di là dei loro stessi meriti, un’intera generazione di italiani, cresciuti negli anni Sessanta con la “TV dei ragazzi” e che mai, fino a quel momento, avevano avuto l’opportunità di vedere in TV qualcosa di più eccitante del sempreverde Zorro con Guy Williams o del “magico” Alverman che aiutava un certo Gianni a conquistare la sua bella. All’estero, per fortuna, c’era chi aveva il coraggio di investire in produzioni televisive originali, senza limitarsi ai classici della letteratura ottocentesca e ai relativi modelli di comportamento, come si usava allora dalle nostre parti – peraltro con risultati non disprezzabili. In particolare, il successo di serie come Star Trek (la prima, ovviamente!) o Lost in space, trasmesse negli USA tra il 1965 e il 1969, e le aspettative suscitate dallo sbarco sulla Luna e da un film come 2001: Odissea nello spazio, avevano fatto capire a molti produttori televisivi che la fantascienza poteva funzionare anche sul piccolo schermo; in quanto agli effetti speciali, da sempre punto debole di questo genere, Kubrick aveva appena dimostrato che disponendo di mezzi adeguati il problema poteva essere risolto. Nasce così, nel 1969, la serie di telefilm UFO, per merito dei coniugi Gerry e Sylvia Anderson, produttori inglesi che avevano già al loro attivo alcune serie televisive per ragazzi di argomento futuristico e di grande successo, nonostante l’impiego di… marionette al posto degli attori. Thunderbirds, replicata ancora oggi, e trasmessa per la prima volta tra il 1965 e il 1967, è soltanto la più famosa di queste produzioni;

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Serie TV: U.F.O.


FANTASCIENZA da ricordare anche Captain Scarlet (1967) e Joe 90 (1968), quest’ultima trasmessa anche in Italia nei primi anni Settanta. Tuttavia, come loro stessi hanno raccontato più volte, l’aspirazione dei coniugi Anderson era quella di realizzare una serie “vera”, con attori in carne ed ossa, e l’occasione si presenta loro dopo la realizzazione del film Doppelganger (Doppia immagine nello spazio), i cui “avanzi di scena” (set, attrezzature e persino qualche attore) vengono riciclati nella produzione di UFO, riducendone molto i costi. La serie comprende 26 episodi, ognuno della durata standard di 48 minuti circa, trasmessi in Gran Bretagna tra il 1970 e il 1971, e arrivati in Italia solo pochi mesi dopo. Considerati, forse un po’ troppo in fretta, come un prodotto “per ragazzi” – come i già nominati Thunderbirds – vengono relegati nella fascia pomeridiana e, come se non bastasse, tagliati e censurati. Spariscono così, dalla versione trasmessa in Italia, i riferimenti al sesso, all’uso di droghe, le scene troppo succinte e quelle troppo violente; i dieci episodi più “scabrosi” non vengono trasmessi affatto. Ciò nonostante, il successo è notevole, da noi come all’estero, tanto da suggerire progetti di ampliamento, con sequel, spinoff, film per il grande schermo e così via; purtroppo, come accade spesso quando si tratta di fantascienza, non se ne farà più nulla. Dalle ceneri di questa serie nascerà invece, pochi anni dopo, l’ancor più famosa Space: 1999 (Spazio 1999), che può essere considerata la vera “risposta inglese” a Star Trek, raddoppiando (con due stagioni e 48 episodi) la durata e il successo di UFO e diventando ben presto un autentico “cult”, molto prima del definitivo salto di qualità che la fantascienza televisiva avrebbe raggiunto solo con The Next Generation. D’altronde non era pensabile che una serie come Space: 1999 potesse venir prodotta prima: i mezzi a disposizione dei coniugi Anderson e della BBC erano troppo scarsi per poter realizzare effetti speciali su larga scala come quelli di Star Trek (interni ed esterni delle astronavi, alieni più o meno strani, paesaggi extraterrestri e così via), e questo nonostante il riciclo del materiale utilizzato per il film Doppelganger (a sua volta un film a basso costo) e altri espedienti volti a risparmiare sui costi di produzione; il più geniale dei quali, indubbiamente, fu l’idea di ambientare molte scene nei pressi di uno studio cinematografico, riducendo così la necessità di dover allestire set specifici. Non potendosi spingere “là dove nessuno si era mai spinto prima”, i coniugi Anderson ricorsero così a un’ambientazione semplice e “terrena”, facendo abilmente leva sulla psicosi da UFO che negli anni Sessanta aveva moltiplicato gli avvistamenti e le dichiarazioni di individui come il famoso George Adamski (che asseriva di essere regolarmente in contatto con gli alieni). Volendo sintetizzare in poche frasi questa ambientazione, è sufficiente dire che gli UFO esistono, ci visitano regolarmente e sono pericolosi; in quanto ai terrestri, hanno imparato a difendersi. Un solo tipo di “astronave” (una specie di trottola), una sola specie di alieni – peraltro identici agli esseri umani – una man-

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La S.H.A.D.O. 1. 2. 3.

Il Quartier Generale della S.H.A.D.O., sotto la copertura dello studio cinematografico Harlington-Straker. Il comandante Straker nel suo ufficio insieme alla segretaria, miss Ealand. Il Centro Operativo della S.H.A.D.O., nell’area segreta del palazzo HarlingtonStraker.

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Serie TV FANTASCIENZA

Base Luna

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Veduta esterna di Base Luna, primo baluardo di difesa contro gli UFO. Il tenente Harrington in sala-controllo. Il tenente Ellis in un momento di relax prima di entrare in azione. I piloti entrano negli scivoli che conducono alle cabine di guida degli intercettori.

Base Luna

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ciata di modellini per raffigurare basi lunari, aerei e sommergibili avveniristici, vestiti bizzarri, un mucchio di lucette, e il gioco è fatto: i risultati, incredibile ma vero, non sono poi così malvagi. Il vero problema di UFO, in realtà, è un altro: cosa direbbe lo spettatore di oggi, abituato a serie come Babylon 5 e Farscape, in cui una trama dettagliata e preordinata si sviluppa in modo coerente dall’inizio alla fine? Non solo in UFO non esiste nulla del genere, e ogni episodio fa storia a sé, ma persino la coerenza interna lascia molto a desiderare, con personaggi che appaiono, scompaiono, cambiano ruolo, importanza, partner, senza alcuna spiegazione, con mezzi danneggiati o distrutti che tornano in piena efficienza nell’episodio seguente e così via. Del tutto inutile sarebbe, in questa situazione, cercare di riassumere globalmente la trama della serie: il meglio che si può fare è descrivere l’ambientazione generale, cercando di sorvolare o di minimizzare le troppe incoerenze. Fatta questa premessa, la trama di UFO non è affatto complessa: gli alieni, uguali in tutto e per tutto agli esseri umani, colorito verdastro a parte (ma è un effetto temporaneo, dovuto al fatto che durante il viaggio respirano un liquido di quel colore), sbarcano spesso sul nostro pianeta in cerca di organi (nel 1969 tutti parlavano di Barnard e dei suoi primi trapianti di cuore…), che si procurano rapendo malcapitati terrestri. La loro razza, come si scopre fin dal primo episodio, è decadente, forse morente, e può sopravvivere solo utilizzando i nostri corpi come “parti di ricambio”: per questo motivo ogni volta che un UFO arriva sulla Terra qualche persona scompare e qualche altra, che ha visto troppe cose, viene uccisa... finché i terrestri, nel 1970, non reagiscono creando la S.H.A.D.O. (Supreme Headquarters Alien Defence Organisation), una struttura militare segretissima il cui unico scopo è quello di sventare la minaccia aliena. All’inizio degli anni Ottanta, epoca in cui è ambientata la serie, la SHADO è sotto il comando di Ed Straker, ex-colonnello dell’aeronautica ed ex-astronauta, che dall’interno del quartier generale, situato in Inghilterra al di sotto di uno studio cinematografico, dirige con freddezza e precisione tutte le operazioni; lo stesso Straker finge di essere un produttore e ogni giorno, pur di

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FANTASCIENZA I mezzi lunari 1. 2. 3. 4.

Il S.I.D. (“Space Indruder Detector”), satellite incaricato di rilevare l’avvicinamento di dischi alieni. Gli intercettori, i velivoli che costituiscono la prima linea di difesa contro gli UFO. Un lanciarazzi cingolato lunare, simile ai “mobile” usati sulla Terra. Un Luna Mobile.

I mezzi lunari

preservare la sua copertura, perde buona parte del suo tempo discutendo con registi, sceneggiatori ecc. di argomenti verso i quali non ha alcun interesse. In quanto alle operazioni della SHADO, queste si riducono, in sostanza, ad una sola: intercettare e distruggere gli UFO in avvicinamento. Un satellite, chiaramente ispirato ad HAL 9000 nel look e nel modo di comunicare, individua le astronavi aliene (delle grosse trottole con un equipaggio di una o due “persone”) quando si trovano ancora a molti milioni di miglia dalla Terra. Contro di esse, da una base permanente sulla Luna, vengono impiegati tre “intercettori” – bizzarri incroci tra un’astronave e un aereo a reazione – dotati di un’unica arma, un grosso missile neanche tanto efficace: all’epoca, infatti, i missili in grado di agganciare e tracciare l’obiettivo non erano molto conosciuti, e il problema si riflette nella precisione degli intercettori, che mancano spesso il bersaglio. D’altra parte, se così non fosse stato, molti episodi non sarebbero durati che pochi minuti! Gli UFO che arrivano sulla Terra vengono presi in consegna dall’arma più spettacolare a disposizione della SHADO: un aereo a reazione (chiamato “Sky 1”) lanciato da… sott’acqua, da un sommergibile (lo “SkyDiver”) in perenne navigazione negli oceani. Questo aereo è il vero asso nella manica di Straker, ed è in grado di risolvere con relativa facilità le situazioni più disperate (Identified, Conflict, Destruction). Se l’UFO riesce ad atterrare, infine, ci pensano i mezzi cingolati (“mobiles”) e pesantemente armati della SHADO e, se necessario, soldati a piedi, muniti di bazooka e lanciarazzi. Gli UFO, strano ma vero, hanno ben poco da opporre ai mezzi della SHADO: armati solo di un raggio laser (potente ma non risolutivo), incapaci di rimanere a lungo nell’atmosfera terrestre senza disintegrarsi (spesso, infatti, si nascondono sott’acqua: Computer affair, Sub-smash, The sound of silence, Reflections in the water), vengono facilmente distrutti dalle armi convenzionali. Gli stessi alieni, che peraltro dispongono solo di mitra non dissimili dai nostri, se restano esposti alla nostra atmosfera cominciano a invecchiare, finché non muoiono nel giro di poche ore. Proprio queste loro debolezze rendono vani i tentativi di Straker (Survival, A question of priorities, The square triangle)

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Serie TV FANTASCIENZA I mezzi di terra e aria

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Lo Shadair: come nel Concorde, la parte anteriore del muso si “raddrizza” in fase di volo, e si piega durante la sosta a terra. Lo Shado VTOL. Il mezzo cingolato “Mobile”. Il Lunar Carrier: dalla coda si stacca il Modulo Lunare, per i voli fuori atmosfera.

I mezzi di terra e aria

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di catturare un’astronave o addirittura un alieno vivo; non che il comandante della SHADO, fedele al motto “il solo alieno buono è un alieno morto”, ci provi spesso (però gli riesce casualmente un paio di volte – Identified, Computer affair)! Pur non essendo gli episodi tutti uguali, certi temi ricorrono frequentemente. All’inizio della serie, per esempio, viene riproposta spesso la situazione “UFO sfugge agli intercettori, arriva sulla Terra e causa grossi problemi” (Identified, Computer affair, Exposed, A square triangle, E.S.P., Kill Straker!, The sound of silence), mentre verso la fine, quando le idee cominciano a scarseggiare, si lascia perdere la mancata intercettazione (anche se in un paio di occasioni ne vengono accennati i motivi) e si salta direttamente alla fase dei grossi problemi (A question of priorities, Sub-smash, The cat with ten lives, The psychobombs, Reflections in the water, Timelash). Molto spesso gli alieni ipnotizzano o condizionano qualcuno perché li aiuti o cerchi di sabotare la SHADO (E.S.P., Kill Straker!, The cat with ten lives, The man who came back, The psychobombs), anche se talvolta preferiscono ricorrere a ricatti o lusinghe (Flight path, Destruction, Timelash, The long sleep); quasi sempre i terrestri diventati complici degli alieni pagano con la vita il loro tradimento, anche se involontario. Vi sono poi alcuni episodi che ruotano intorno alle disavventure del colonnello Foster, protagonista della serie insieme a Straker (Exposed, Survival, Ordeal, Court martial, Kill Straker!), e un paio che spiegano cosa sia accaduto alla famiglia di quest’ultimo (A question of priorities, Confetti check A-OK), letteralmente sacrificata a favore della SHADO e soprattutto della sua segretezza. Se da un lato non si può negare che le trame degli episodi, pur partendo da un’idea con molti limiti, esplorino tutte le possibilità a loro disposizione (e, una volta esauritele, servendosi di spunti al limite del credibile: Reflections in the water, Timelash, Mindbender, The long sleep), dall’altro occorre rilevare che la caratterizzazione dei personaggi non è così accurata come ci si sarebbe potuto aspettare. Straker (magistralmente interpretato da Edward Bishop) è un uomo freddo, calcolatore, quasi spietato, che prende le sue decisioni da dietro una scrivania, suscitando spesso le rimostranze dei suoi uomini, primo fra tutti

Serie TV: U.F.O.


FANTASCIENZA Gli U.F.O. 1. 2. 3. 4.

Un UFO abbattuto. Il colonnello Foster e un alieno, sulla Luna: un rarissimo caso di cooperazione. Un alieno catturato e analizzato dall’équipe medica della SHADO. Un alieno ucciso per errore da una coppia di amanti in procinto di sbarazzarsi del marito di lei.

Gli U.F.O.

il suo vice, il colonnello Alec Freeman (George Sewell). Quest’ultimo, tuttavia, è un semplice esecutore di ordini, che decide poco e agisce ancor meno; la sua presenza serve più che altro a imbastire discussioni tra lui e Straker, così che lo spettatore capisca meglio ciò che sta succedendo. Consci della mancanza di un vero eroe, gli sceneggiatori corsero ben presto ai ripari, introducendo fin dal quarto episodio (Exposed) il personaggio di Paul Foster (un buon Michael Billington), un pilota civile che, arruolato nella SHADO dopo essere rimasto coinvolto nello scontro tra un UFO e Sky 1, diventa uno dei protagonisti, partecipando personalmente alle missioni più pericolose, rischiando la vita almeno una decina di volte e sottraendo a Freeman anche il ruolo di dongiovanni della serie (coerente, in questo aspetto, coi tentativi dell’attore di succedere a Sean Connery nel ruolo di 007). In quanto a Straker, viene dapprima umanizzato, facendo scoprire allo spettatore i suoi lati più “deboli” (A question of priorities, The responsibility seat, Confetti Check A-OK), e infine coinvolto direttamente, pur in aperta contraddizione col suo ruolo iniziale, nelle operazioni più importanti e rischiose (E.S.P., Kill Straker!, Sub-smash, The man who came back, Reflections in the water, The long sleep). Tutti gli altri personaggi di UFO, purtroppo, sono solo dei banali sottoposti: ce ne sono alcuni che compaiono nella maggior parte degli episodi (Nina Barry, il tenente Ford), ma nessuno di loro ha una vera personalità. Fanno eccezione il burbero generale Henderson (Grant Taylor), diretto superiore di Straker e “rompiscatole” di turno (il suo compito consiste nel negare finanziamenti o diffidare di tutti – salvo poi ricredersi alla fine dell’episodio), e il sinistro psichiatra Doug Jackson (l’attore polacco Vladek Sheybal), che non esita a ricorrere a sistemi di indagine poco ortodossi, spesso al limite del lecito, ogni volta che un membro della SHADO si comporta in modo strano. Nel complesso, non è facile tracciare un bilancio di questa serie. Come già si è scritto, non vi sono dubbi che lo spettatore di oggi storcerebbe il naso di fronte a trame semplici, personaggi appena accennati, ingenuità e incoerenze ormai impensabili. D’altra parte è innegabile che proprio la semplicità delle trame renda tutti gli episodi di UFO pienamente comprensibili e go-

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Serie TV FANTASCIENZA

Il tenente Gay Ellis in abiti civili sulla Terra.

1. 2. 3.

Membri dell’equipaggio dello Skydiver davanti alla postazione di pilotaggio. Lo Skydiver in immesione; nella parte anteriore è agganciato lo Sky One. Lo Sky One in volo; decolla direttamente dallo Skydiver, anche se immerso, e costituisce la più efficace difesa in atmosfera.

Lo Skydiver

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dibili anche da chi non si è “fatto le ossa” su Star Trek e magari mastica poco di fantascienza. Come è indubbio che la scarsità degli effetti speciali – più che altro modellini ben fatti – abbia permesso agli sceneggiatori di concentrarsi sui dettagli della trama e sull’accuratezza dei dialoghi, impartendo così ad ogni episodio un ritmo piacevole e non convulso: un ritmo che non costringe lo spettatore a rivedere due o tre volte ogni scena per capire quello che sta succedendo, diversamente da quanto accade oggi nelle serie più celebrate, dove si tende a mettere troppa carne al fuoco in una quarantina di minuti. Certo, i risultati non sono sempre eccellenti: in qualche caso (Close up) l’abbondanza di spiegazioni facilita la comprensione di scene complicate, in altri (Timelash) finisce per appesantire la trama, rischiando pericolosamente la noia. Da giudicare severamente, con l’occhio di oggi, anche l’originalità solo apparente del look, delle ambientazioni, dei comportamenti, che sono in realtà quelli tipici della fine degli anni Sessanta, e questo a dispetto delle pretese futuristiche della serie: quelli che, secondo i coniugi Anderson, dovrebbero essere i “futuri” anni Ottanta altro non sono che gli eccessi dell’epoca trasformati in normalità. Nessun uomo porta più giacca e cravatta, ma gilet aderenti senza colletto (quando non si tratta di banali tute da ginnastica o maglioni a rete spacciati per uniformi), di solito a tinta unita: ebbene, basta guardare cosa vestivano i Beatles (per esempio George Harrison in Yellow Submarine) o i leader cinesi di quel periodo per capire che nell’abbigliamento dei protagonisti di UFO non c’è traccia di vero futurismo. Lo stesso discorso vale per le protagoniste femminili, tutte coi capelli “a onda” e il trucco pesante tipici degli anni Sessanta, nonostante l’uso di bizzarre parrucche viola (indossate dalle donne in servizio su base Luna) nell’intento di dare loro un aspetto almeno un po’ stravagante. E che dire degli arredamenti, dei mobili, di certi festini “beat” a base di pasticche sospette e musica dei Beatles? O delle famose auto usate da Straker e da Foster, quelle con le portiere ad ala di gabbiano, che altro non sono che un’evoluzione dei modelli “sportivi” che andavano di moda all’epoca (a partire dalla prima Porsche Carrera)? E l’ufficio di Straker, che si muove tra i due piani del complesso come fosse un

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FANTASCIENZA

enorme ascensore, non è tipico dei primi film con 007 (per esempio Goldfinger)? Ci sono poi le famose previsioni “azzeccate”, ma quasi sempre “lasciate a metà”: come l’utilizzo massiccio dei computer, che tuttavia continuano imperterriti a usare nastri perforati e un’infinità di lucette inutili, per non parlare delle domande ridicole che vengono loro rivolte (“perché gli UFO si sono fermati in quel settore?”), ma coerenti con certe aspettative sull’I.A. tipiche degli anni Sessanta – e che Kubrick aveva saputo gestire con molta più classe (non certo con battute del tipo “il suo computer ha bisogno di una buona oliata ai transistor”). E il presunto femminismo della serie? Molto si è scritto su come in UFO, per la prima volta, le donne abbiano interpretato ruoli importanti, ruoli “di comando”; ma a ben guardare non ce n’è una che piloti un intercettore, uno SkyDiver, un “mobile” o prenda parte direttamente a un’azione pericolosa. In realtà si limitano tutte a eseguire gli ordini senza discutere e senza mai uscire dall’anonimato: l’unica volta che una di loro prende una decisione importante (Computer affair), finisce sotto inchiesta perché, guarda caso, un

suo collega ci rimette la vita. Pure, all’epoca, UFO riscosse un successo clamoroso, soprattutto in Italia, anche per la scelta errata di trasmetterne gli episodi nella “TV dei ragazzi”: come già si era accennato, e nonostante i tagli e le censure, la serie scatenò nei giovani entusiasmi inaspettati. Al successo seguì il merchandising, con un’incredibile produzione di modellini, album di figurine, fotoromanzi e gadget di ogni tipo; e si arrivò persino – pratica ignobile ma non infrequente – a fondere e rimontare arbitrariamente molti episodi allo scopo di trarne dei (mediocri) film per il grande schermo. E allora, per quanto lo spettatore di oggi possa preferire una fantascienza più matura e complessa, c’è almeno un merito che nessuno potrà togliere ad UFO: avere accostato al genere un’infinità di persone che altrimenti vivrebbero ancora di serie poliziesche e telenovelas. Se Babylon 5, Stargate, Farscape, e gli infiniti seguiti di Star Trek hanno potuto vedere la luce, parte del merito va anche al lavoro dei coniugi Anderson con UFO – e con Space: 1999. Qualcosa di buono ci sarà pure stato, nelle avventure della SHADO! n Andrea Carta

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Serie TV

Episodi

FANTASCIENZA

Elenco episodi

Sono indicati i titoli in inglese e quelli della prima trasmissione RAI (tra parentesi i 10 inediti), e le date di messa in onda in Gran Bretagna e in Italia. Identified Computer affair Flight path Exposed Conflict Survival The Dalotek affair A question of priorities Ordeal The responsibility seat The square triangle Court martial Close up Confetti check A-OK E.S.P. Kill Straker! Sub-smash The sound of silence The cat with ten lives Destruction The man who came back The psychobombs Reflections in the water Timelash Mindbender The long sleep

Finalmente identificato Controllo computer (La via del cielo) Progetto Foster Bonifica spaziale Salvataggio I globi di fuoco (Prima il dovere, poi…) L’incubo Il posto delle decisioni (Il triangolo quadrato) Corte marziale L’ingrandimento (Controllo confetti) Percezioni extrasensoriali (Uccidete Straker) Sul fondo Troppo silenzio (L’occhio del gatto) Distruzione nell’atlantico Missione senza ritorno (Bombe psicologiche) Riflessi nell’acqua (Il tempo si è fermato) (Distorsioni mentali) (Il lungo sonno)

Cmdr. Ed Straker L’autoritario capo della SHADO. “Tutti pensavano che Bishop sarebbe diventato famosissimo, ma così non è stato” – Gerry Anderson.

Ed Bishop Col. Paul Foster Billington voleva interpretare 007, ma gli riuscì solo di apparire ne “La spia che mi amava”, nel ruolo di un cattivo, peraltro ammazzato quasi subito.

Michael Billington

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Dopo l’uscita di VHS e Dvd, gli episodi mancanti sono stati ritrasmessi qualche anno fa su diverse reti private. www.ufoseries.com

Serie TV: U.F.O.

[GB 16/9/1970 – Rai 3/10/1971] [GB 9/12/1970 – Rai 28/1/1973] [GB 20/1/1971] [GB 23/9/1970 – Rai 10/10/1971] [GB 7/10/1970 – Rai 7/11/1971] [GB 6/1/1971 – Rai 21/11/1971] [GB 10/2/1971 – Rai 14/11/1971] [GB 14/10/1970] [GB 14/4/1971 – Rai 11/2/1973] [GB 8/3/1973 – Rai 21/1/1973] [GB 9/12/1970] [GB 1/5/1971 – Rai 31/10/1971] [GB 16/12/1970 – Rai 24/10/1971] [GB 10/7/1971] [GB 21/10/1970 – Rai 18/2/1973] [GB 4/11/1970] [GB 1/11/1970 – Rai 17/10/1971] [GB 17/7/1971 – Rai 4/2/1973] [GB 30/9/1970] [GB 2/12/1970 – Rai 7/1/1973] [GB 3/2/1971 – Rai 14/1/1973] [GB 30/12/1970] [GB 24/7/1971 – Rai 25/2/1973] [GB 17/2/1971] [GB 13/1/1971] [GB 15/3/1973]

Col. Alec Freeman Vice-comandante della SHADO. Sewell lasciò la serie durante una lunga pausa delle riprese e fu sostituito nel suo ruolo da W. Ventham.

George Sewell Col. Virginia Lake Colonnello della SHADO, esperta in programmazione; ha una breve relazine con Foster. Il personaggio sostituisce quello di Freeman.

Wanda Ventham


FANTASCIENZA Dr. Doug Jackson

Gen. James Henderson

Vladek Sheybal

Capo della International Astrophysical Commission. Taylor morì di cancro poco tempo dopo la fine delle riprese, durante le quali era già ammalato.

Grant Taylor

Lt. Nina Barry

Lt. Gay Ellis

Radarista di Base Luna. Compare in quasi tutti gli episodi, anche se il suo ruolo non ha mai goduto di particolare importanza.

Dolores Mantez

Comandante di Base Luna. Presente in 11 episodi, ma in un ruolo di poco spessore, se si eccettua la puntata “Computer Affair”.

Gabrielle Drake

Lt. Keith Ford

Miss Ealand

Addetto alle comunicazioni nel Quartier Generale della SHADO. Prima di unirsi all’Organizzazione, era un intervistatore televisivo.

Keith Alexander

Segretaria personale di Straker, lo assiste sia negli affari della SHADO che in quelli dello studio cinematografico che copre l’Organazzazione.

Norma Ronald

Lt. Joan Harrington

Capt. Lew Waterman

Addetta alle comunicazioni di Base Luna; anche il suo è un ruolo di minima rilevanza, sebbene compaia in 14 episodi.

Antonia Ellis

Lo si vede all’inizio come pilota d’intercettori, poi come capitano dello Skydiver e pilota dello Sky One. Dopo UFO, Myers non ha più recitato.

Gary Myers

Capt. Peter Carlin

Operatrice Ayshea

Capitano dello Skydiver e pilota dello Sky One. Sua sorella era stata rapita dagli alieni, prima che egli entrasse a far parte della SHADO.

Peter Gordeno

Addetta alle comunicazioni nel Quartier Generale della SHADO. è presente in 16 episodi, ma il suo ruolo è puramente decorativo.

Ayshea Brough

Lt. Mark Bradley

Lt. Gordon Maxwell

Pilota d’intercettori. Ha avuto una relazione col tenente Ellis. Per un breve periodo fu promosso comandante di Base Luna.

Harry Baird

Navigatore dello Skydiver. è presente in 8 episodi, ma si tratta di un personaggio di sottofondo che si limita a ripetere ordini.

Jeremy Wilkin

Mary Rutland

Lt. Sylvia Howell

L’ex-moglie di Straker. Pur comparendo in soli 4 episodi, riveste un ruolo decisamente più significativo di quello delle altre interpreti femminili.

Suzanne Neve

Operatrice nello Skydiver. Anch’essa, come il personaggio di Maxwell, compare in 8 episodi, ed ha la stessa limitata importanza.

Georgina Moon Alieno

Miss Holland

Gito Santana interpreta in 4 episodi la parte dell’alieno. Il casco degli extraterrestri è riempito di un liquido che permette loro di respirare.

Gito Santana

Personaggi

Psichiatra ed esperto in interrogatori. Il ruolo più famoso di Jackson è quello di Kronsteen, il “cattivo” scacchista di “007: dalla Russia con amore”.

La celebre Moneypenny dei film su 007 sostituisce in 2 episodi miss Ealand, facendo in pratica il verso a se stessa.

Lois Maxwell

Serie TV: U.F.O.

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Serie TV

Serie TV

FANTASCIENZA

TAKEN

(Taken - 2002) di Elisa Favi

I

l percorso iniziato da Spielberg nel 1977 con Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, proseguito poi con E.T. l’Extraterrestre, trova l’apice e la giusta conclusione con questa lunga storia per il pubblico televisivo. Taken è una sorta di percorso che ci prende per mano attraverso i misteri e le modalità classiche che ricorrono nei rapimenti alieni e nei misteri che hanno coinvolto gli avvistamenti di UFO. Questa miniserie in 10 episodi ad alto budget è arrivata sugli schermi italiani nel 2004, poco più di due anni dopo la messa in onda su Sci-Fi Channel (nel 2002) e dopo aver vinto un meritatissimo Emmy. Anche se il “papà” di Taken è Steven Spielberg, che ha coordinato il progetto, molti autori si sono avvicendati per curarne la regia; tra essi spicca il nome di Tobe Hooper, celebrato dagli amanti del cinema horror come autore di Non aprite quella porta, Salem’s Lot e altre perle da brivido, sfortunatamente molto più trash. Leslie Bohem, lo sceneggiatore, che annovera tra i suoi lavori Dante’s Peak e uno dei film della saga di Nightmare, dipana una trama molto fitta e indubbiamente complessa. Pur cavandosela bene nel gioco a incastro dei vari flashback, la sua sceneggiatura risulta però spesso troppo statica, troppo lenta nell’azione. Taken è una storia intricata lunga cinquant’anni, che inizia nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e termina ai giorni nostri, attraversando quattro generazioni di protagonisti. La vicenda ben nota di Roswell, in cui si ipotizza di astronavi aliene schiantatesi sulla superficie terrestre, è il punto di partenza per accadimenti che legheranno le vite di tre famiglie. Ciò che accade ai padri, alle madri e ai figli rispecchierà gli archetipi degli incontri ravvicinati più comuni: i rapimenti alieni, l’intruso tra noi e le teorie della cospirazione legate a UFO e Governo. Praticamente i cavalli di battaglia delle speculazioni sulla presenza extraterrestre sulla Terra.

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Serie TV: Taken


FANTASCIENZA I Keys sono perseguitati dagli alieni; i componenti di questa famiglia vengono prelevati contro la loro volontà e sottoposti a manipolazioni. Il loro rapporto con gli extraterrestri è conflittuale, di paura. Sono le vittime sacrificali di un piano superiore alla loro comprensione. Tutto comincia con il veterano Russell Keys, tormentato da incubi atroci, e continua con il figlio, anche lui vittima dello stesso destino. I Crawford sono una dinastia militare dedita a nascondere la verità sui contatti alieni, e nel contempo a cercarne disperatamente e egoisticamente un senso. Autodistruttivi, consumati dalla propria sete di conoscenza, non distingueranno più il bene dal male pur di raggiungere il loro scopo: comprendere e sottomettere. La malvagità trasmessa dal primo dei Crawford si estende come un cancro fino all’ultima nipote, che infine potrà guardare con i propri occhi ciò che ha sempre bramato vedere. I Clarke rappresentano quel tipo di rapporto alieno più vicino ai sentimenti idealizzati in Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo. L’infelice e solitaria Sally Clarke viene messa incinta da un reduce gentile e affascinante che in seguito si scoprirà essere un alieno. La futura discendenza di Sally, la bambina prodigio Allie Keys, dotata di poteri sovrannaturali, sarà il culmine dell’intera vicenda, e il fulcro attorno a cui ruoteranno gli eventi che porteranno alla conclusione di questa lunga storia. Nel corso dei decenni, i discendenti delle tre famiglie verranno coinvolti in vari modi nelle misteriose macchinazioni aliene. I loro destini si incroceranno, si ameranno e si combatteranno, componendo puntata dopo puntata una specie di puzzle in cui s’intravedono sprazzi di logica ma i cui significati rimangono sempre ignoti. Attori tutti di buon livello, luci e effetti speciali curati rendono Taken un buon prodotto di genere, che, come accennato in precedenza, talvolta pecca forse di eccessiva lentezza nello svolgimento. Probabilmente con meno scene superflue la fluidità ne avrebbe guadagnato. Da menzionare la piccola attrice Dakota Fanning nei panni di Allie Keys, la bambina che successivamente Spielberg dirigerà ne La Guerra dei Mondi. Oltre alla trama in sé, che ha un vago sapore di film anni Cinquanta sugli extraterrestri, possiamo analizzare Taken con un’altra chiave di lettura, più azzardata. Questo cinquantennio non è che un percorso iniziatico in cui le famiglie si purificano e si evolvono fino a produrre una sorta di messia annunciato, una creatura di bellezza e bontà, summa delle esperienze fuori dall’ordinario vissute. Anche se non ci viene rivelato fino in fondo il piano alieno, c’è dunque una speranza per noi di giungere alla verità, ad uno stadio di esistenza superiore. In fondo si tratta solo di avere fede… n Elisa Favi

Serie TV: Taken

Gli Episodi 01. Al di là del cielo 02. Jacob e Jesse 03. Grandi speranze 04. Prove del fuoco 05. Manutenzione

06. Charlie e Lisa 07. L’equazione di Dio 08. Tutto precipita 09. John 10. Presi

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Serie TV

Perso

FANTASCIENZA

La famiglia

Keys Russell Keys (Steve Burton)

Kate Keys (Julie Benz)

Bill Walker (Ian Tracey)

Becky Clarke (Chad Morgan - Shauna Kain)

Jesse Keys (James Kirk - Desmond Harrington)

Sally Clarke (Catherine Dent)

Thomas Clarke (Ryan Hurst - Kevin Schmidt)

Amelia Keys (Julie Ann Emery)

Carol Clarke (Sadie Lawrence)

Charlie Keys (Devin Douglas Drewitz - Adam Kaufman)

Nina Toth (Camille Sullivan - Brittney Irvin)

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John (Eric Close)

Jacob Clarke (Chad Donella - Anton Yelchin)

Lisa Clarke (Emily Bergl - Alexandra Purvis - Taylor Anne Reid)

Allison Clarke (Dakota Fanning)

Serie TV: Taken

La famiglia

Clarke


onaggi Howard Bowen (Jason Gray-Stanford)

Marty Erickson (John Hawkes)

FANTASCIENZA

Thomas Campbell (Michael Moriarty)

Sue (Stacy Grant)

Owen Crawford (Joel Gretsch)

Anne Campbell (Tina Holmes)

La famiglia

Dr. Kreutz (Willie Garson)

Leo (Ken Pogue)

Lester (Frederick Koehler)

Dale Watson (Nathaniel DeVeaux)

Ray Morrison (Brian Markinson)

Tenente Pearce (Michael Soltis)

Capitano Walker (Roger Cross)

Crawford Julie Crawford (Emily Holmes)

Eric Crawford (Andy Powers)

Mary Crawford (Heather Donahue)

Generale Beers (James McDaniel)

Dewey Clayton (Timothy Webber)

Serie TV: Taken

Sam Crawford (Ryan Merriman)

Chet Wakeman (Matt Frewer)

William ‘Bill’ Jeffries (Michael Jeter)

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Racconto

Racconto

FANTASCIENZA

GALACTRIEL di Cristina “Anjiin” Ristori, 2006

N

on c’era tregua su Kemar 5, non c’era giorno né notte. Solo l’incessante attività da formicaio che trapanava il pianeta sintetico ogni secondo di ogni minuto di ogni ora. Rumore. Martellante. Continuo e stridulo come un ingranaggio arrugginito, sordo come una serie di esplosioni sotterranee. Lester si gettò esausto nel suo cubicolo e sperò che una scarica elettrostatica terminale lo fulminasse lì dove si trovava. Con un calcio accese l’interruttore dell’IA, l’Isolamento Acustico permesso per non più di un ciclo di rotazione, e si tolse le cuffie isolanti che finirono sotto la consolle. Erano efficaci solo al cinquanta per cento, ormai, ma la sua quota-attività non gli permetteva di sostituirle e nemmeno di procurarsi uno dei sofisticati impianti auricolari a schermo continuo. Merda, pensò, mentre l’eco del rumore che permaneva ancora per qualche secondo nella sua testa cominciava a fluttuare via. MERDAMERDAMERDA… Sentì il suo corpo rilassarsi a poco a poco, sulla coperta a fibre sensibili, che gli rispose con un basso ronzio. Furiosamente, strappò dalla parete del cubicolo il cavo di alimentazione, che manteneva la branda a condizioni fisiologiche costanti. Presto avrebbe avuto caldo, ma quello che ogni particella del suo essere voleva, era il silenzio, il silenzio più totale, assoluto, l’assenza anche del ricordo di qualsiasi cosa potesse sembrare un rumore. Ecco. Così andava bene. Bene. Chiuse gli occhi, ancora con la tuta da lavoro addosso, e subito immagini e pensieri cominciarono a ricomporsi come in una danza, volando fuori dagli angoli della sua mente dove si rifugiavano durante i turni di lavoro, al riparo. Ormai nessuno sperava ancora di andarsene da lì, e l’arrivo delle navi da recupero era diventato una battuta che non faceva più ridere. Avevano aspettato così a lungo. Ma l’unico messaggio sugli schermi era “ System Failure”. E intanto il pianeta sintetico si stava disintegrando, la superficie ormai era andata, la cupola ad aria distrutta dalle tempeste di ioni theta che avevano portato la temperatura esterna a più di cinquecento gradi. E a loro non era rimasto che cominciare a scavare, scavare, scavare verso il centro di Kemar 5, dove si trovava il cuore pulsante di quella che doveva essere un nuovo tipo di stazione di transito. Era una corsa impari, tra gli strati esterni che si sgretolavano e loro, i colonizzatori, che arretravano verso il centro dove viveva l’enorme sala macchine, sigillata, e accessibile solo in rete. Ora, solo con i comandi manuali avrebbero potuto avviare il processo di crisi, capace di trasformare Kemar 5 in quello che era all’origine: un’enorme astronave capace di portarli via di lì. Ma più si avvicinavano al nucleo, più il rumore aumentava, amplificato dalla rete di gallerie e di condotti puntellati alla meglio con materiali di fortuna. Se fossero riusciti, se solo fossero riusciti a rimetterla in moto… il rivestimento esterno sarebbe saltato via come un enorme tappo di champagne, perdendosi nello spazio e loro sarebbero stati liberi. Liberi di scollarsi da lì, da

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Racconto: Galactriel


FANTASCIENZA quell’orbita senza senso attorno al nulla. Un debole segnale luminoso si fece strada nei suoi occhi. Il computer segnalava la propria presenza artificiale, pensò stirando la schiena indolenzita. I led azzurri si accendevano e si spegnevano con un ritmo quasi ipnotico, testimoniando la presenza discreta del suo casco convertitore connesso all’hardware, il suo giocattolo, a cui lavorava ormai da mesi. Con quello, sarebbe riuscito ad annullare ogni tipo di onda esterna, elettromagnetica, mentale e sonora. Soprattutto sonora. Tutto sarebbe stato attirato dentro i circuiti, scomposto e neutralizzato. Devo lavorarci su, pensò. Ma il sonno calò su di lui come un maglio, trasportandolo altrove. Kemar 5 continuava la sua orbita sinusoidale attorno al nulla, trasportato dalla vibrazione costante dei motori di scambio. Come un‘enorme calamita, ingoiava onde su onde provenienti dai corpi spaziali più lontani, alimentandosi all’interno di una sacca placentare di vuoto sempre più spessa rotazione dopo rotazione, sempre più rovente per l’effetto serra che si creava assieme all’energia di spin. La spora-virion era quasi morta, quando entrò nell’orbitale d’attrazione di Kemar 5. Il suo confine tra vita e non vita si stava spostando pericolosamente verso il punto di non ritorno. Senza più alcuna capacità di controllo fu risucchiata nella zona di vuoto, dove tutto si polverizzava all’istante. Non ebbe alcun danno, e precipitò nella ionoatmosfera. Né la compressione di gravità né il calore penetrarono la sua capsula. Rimase integra nella sua caduta verso l’instabile superficie. Il pianeta la avviluppò nelle nuvole arancione di polvere cosmica che vorticavano tra i venti magnetici, ingoiandola con appena un sussulto nella rete viva di connessione. L’oscillazione anomala d’impatto fu a stento avvertita dai sensori e si perse nei meandri delle sinapsi. L’elemento estraneo fu investito dalle vibrazioni che permeavano la struttura di quello strano mondo, e scoprì che erano tagliate male ma commestibili. Allora, con il primo palpito di speranza da più di un eone, analizzò in una frazione di secondo tutta la rete e si tuffò nel primo posto tranquillo dove avrebbe potuto selezionare il suo pasto. Nel cubicolo di Lester, i led del costrutto si accesero improvvisamente di violetto, illuminando al neon tutta la stanza, poi ritornarono quiescenti. Il loro battito accelerò il ritmo, con grazia, senza alcun rumore. L’ologramma lo tolse dal sonno, come al solito, dopo due ore. La visione della danzatrice vestita di

veli che aveva programmato in un momento di smania autoerotica non gli dette nessun piacere questa volta, anzi l’ondeggiare dell’olo-girl in una perfetta danza del ventre aumentò l’irritazione del risveglio. «Vattene!» urlò all’incantevole figura che gli sorrideva, provando un senso di soddisfazione quando le forme sensuali tremolarono segmentandosi in mille frammenti colorati prima di sparire. Fottiti. Si era quasi dimenticato cosa fosse una donna vera. Si proibì ulteriori inutili imprecazioni e si costrinse ad alzarsi. Aveva consumato due ore di IA, avrebbe dovuto spegnerlo. Fottiti anche tu, pensò, sedendosi davanti alla consolle dove un groviglio di cavi collegava il computer al suo casco quasi completato. Si sarebbe goduto ancora un po’ di isolamento acustico, in fin dei conti doveva festeggiare. Era il momento del primo test reale sul suo costrutto, e niente doveva interferire. Con la delicatezza di un chirurgo cominciò a staccare i cavi ad uno ad uno, osservando il ritmo luminoso dei led, vivido come non mai. Le batterie si autoricaricavano con l’assenza di onde sonore, e per realizzarle aveva impiegato più del dovuto dei suoi turni di riposo. Si erano ricaricate molto, vista la frequenza dei led. L’ultimo spinotto abbandonò la sua sede e il casco scintillò libero sotto la luce grigia della lampada ad elio. Lester lo alzò delicatamente dal suo alloggio di fili, esaminandolo quasi con preoccupazione; infine,

Racconto: Galactriel

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FANTASCIENZA con un movimento deciso, se lo mise addosso. Liscio, sembrava metallo vero, con le bande laterali che scendevano a coprire i lati del volto e il collettore dei nanochip sulla calotta, una lamina bassa ma affilata dalla fronte alla base del collo. Il frontale alzato mandava riflessi argentei dal suo schermo al mercurio, ancora opaco in modalità off. Chiuse gli occhi, poi con un gesto brusco accese i sensori e staccò l’IA. Il virion si destò di colpo. I suoi circuiti dinamici si espansero in un baleno passando dallo stato latente a quello vitale. La valanga improvvisa di mille magnifici tipi di onde purissime, intrecciate fra loro come i tentacoli di una medusa, fu un’ondata vivificante che lo strappò al silenzio. Rispose con tutta la sua forza, immensamente deliziato, e cominciò a mutare. Lester gettò un urlo che non avrebbe mai udito. Un caos multiforme riempiva quello che doveva essere il regno del silenzio, suoni e voci atonali che cercavano di scavalcarsi uno con l’altro in una corsa frenetica d’intensità verso il centro del suo cervello. Cadde in ginocchio, cercando convulsamente di togliersi il casco senza riuscirci, quando il vortice sonoro sembrò trovare un ordine approssimativo, assottigliandosi in qualcosa di diverso. Un’unica ipnotica melodia colorata di verde coprì i suoi sensi doloranti come un mantello, e lui rimase tremando sul pavimento, cosciente di ogni goccia di sudore caldo che gli scendeva sulla fronte. Cosa diavolo… pensò confusamente cercando di riportare il respiro ad un ritmo normale. Il suo cubicolo sembrava dilatato, le pareti pulsavano in sintonia con la musica che sentiva in testa dandogli l’effetto di una caduta libera nello spazio. Le sue coordinate mentali cambiarono velocemente resettandosi con facilità, mentre tutto attorno a lui cercava una collocazione statica. Nel momento in cui credette veramente di impazzire, la musica cominciò a parlargli. Alzati, Les. Lester non si mosse, i sensi intorpiditi da una fredda paura al curaro. Una scarica di note stonate lo strappò dalla paralisi facendolo scattare in piedi, poi la melodia tornò dolce come una carezza. Sei mio Les. Ti piacerà. «Chi sei? Dove sei?» Ho aspettato così tanto, Les. «Cosa sei?» L’ardore della musica lo sconvolse insinuandosi in ogni microstruttura delle sue cellule, modificando le sinapsi, strappando sequenze biochimiche e creandone di nuove. I campi elettromagnetici dei suoi nuclei

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produssero cariche aliene scagliando i loro elettroni in nuovi orbitali. Il suo genoma si frantumò fluttuando in dimensioni sconosciute e poi, senza fretta, cominciò a ricomporsi. Lester capì di essere in grado di togliersi il casco. Il suo prezioso costrutto rotolò sul pavimento lampeggiando un’ultima volta, e si spaccò in due. Non avvertì nessuna differenza. Si sentiva schermato e straordinariamente forte, un flusso di energia puro che sembrava schizzare fuori dalla sua pelle, trasformandosi in suoni senza età, ma straordinariamente vivi. Appoggiò i palmi sulla consolle del terminale, con la plastica che cedeva sbriciolandosi in frammenti balbettanti e schizzi innocui di energia elettrostatica. Vai così, Les. Sei pronto. Lester guardò l’apertura del cubicolo che si smaterializzava davanti ai suoi occhi. Ho voglia di spazio, pensò estraendo il coltello termico, mentre si dirigeva dove sentiva pulsare le ragnatele biochimiche delle altre entità vitali. La musica si fece rossa, violenta fino all’ossessione. Ebbe appena un senso di fastidio, mentre smontava una dopo l’altra le sagome vagamente conosciute che gli si paravano davanti, e risaliva in un concerto parossistico di onde sonore verso la superficie. Respirò a piene boccate l’aria incandescente di Kemar 5 e mosse il suo primo passo tra il fuoco della ionosfera tetha, guardando il nero dell’universo improvvisamente raggiungibile. Tutto era straordinariamente semplice, adesso. Guardami, Les, cantò la musica davanti a lui, materializzandosi in una forma fisico-sonora vagamente riconosciuta dalla sua memoria. Occhi e volto e una miriade di note luminose che si dilatavano nel colore delle galassie. Lo scambio era stato completato. Sei un dio, Les. La nuova entità Lester, appena creata per la prima volta su matrice umana, si avvicinò a quella che era stata la sua infezione fissandola senza alcuna sottomissione. La creatura dello spazio sorrise scoprendo i denti perfetti, mentre il suo canto si trasformava in parole. Ero l’ultima della mia specie. Fino a questo momento. Lester si avvicinò ancora, costringendola in un abbraccio senza scampo. Non aveva bisogno di sapere. Davanti a lui tutte le strade erano aperte, ora. Anche quella di casa. Diamo inizio al contagio, disse iniziando la più antica delle danze. n

Racconto: Galactriel


Racconto FANTASCIENZA

(Sentry)

di Fredric Brown, 1954

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Racconto

SENTINELLA

ra bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano 50mila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni, quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano mandato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia... crudeli schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata subito guerra; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano 50mila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi Commento se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. Scritto nel 1954, La Sentinella è diE allora vide uno di loro strisciare verso di ventato un classico da antologia. Breve lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise e agghiacciante, ribalta i canoni tradiquel verso strano, agghiacciante, che tutti loro zionali di quella che era la fantascienza facevano, poi non si mosse più. tradizionale: il soldato solo nella terra Il verso, la vista del cadavere lo fecero aliena, coperto di fango e immerso nelrabbrividire. Molti, col passare del tempo, l’orrore della guerra, non ha colore né s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma razza né bandiera. lui no. Erano creature troppo schifose, con Ancora oggi questo racconto shock solo due braccia e due gambe, quella pelle conserva intatto il suo messaggio. Ancora d’un bianco nauseante e senza squame... n oggi ci fa capire che esiste una sola soluzione possibile: quella che rappresenta la Vita.

Cristina “Anjiin” Ristori

Tratto da Tutti i racconti (1950-1972), Fredric Brown, 1992, A. Mondadori Editore.

Racconto: Sentinella

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Racconto

Racconto

FANTASCIENZA

KARANA di Daniela “Dashana” Belli, 2004

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avvero Karana, non ti capisco proprio.» «Perché?» La giovane si sistemò i capelli alla bell’e meglio e si accovacciò sul tappeto. «Ti sembra così strano?» «Ma non provi un certo ribrezzo a congiungerti con quel… con quel…» «Uomo, Elana. È un uomo. Un semplice, comune ma-

schio umano.» «Ma Karana, lo dici in un modo che… che pare quasi ti piaccia!» «Perché no? Ha un odore di daka selvaggio, ma a me piace il gusto di selvatico.» Tirò indietro la testa, gli occhi verde chiarissimo sfavillavano e le creste nasali erano solo un po’ arrossate. Una ciocca umida si era incollata alla fronte, leggermente imperlata di sudore. Quell’esemplare di maschio umano non aveva solo l’odore forte di un daka, ma anche la sua potenza, la sua vitalità. Per un attimo pensò al compagno che la Razdaja le aveva assegnato. Si passò una mano al centro della fronte, come per cancellare qualcosa. «Ti stai comportando come una… perdonami, come una…» La risata di Karana risuonò nelle stanze attigue, facendo fremere le orecchie del piccolo bak che sonnecchiava nel patio. «Sei proprio una bambina… Non cambiare mai.» Elana aveva gli occhi di una tonalità più giallastra della sorella e li sgranava sovente, come se ogni cosa del mondo le procurasse stupore. «Karana…» Ma la ragazza era immersa nel ricordo della notte appena trascorsa. Doveva unirsi ad Arhain ma non lo amava. La Razdaja lo aveva scelto per lei e quest’unione avrebbe portato la prosperità ad Aptèrion. Lei non amava Arhain, non lo conosceva neppure. Non voleva giacere con quel pallido Ek; per questo aveva deciso che, almeno per una volta, avrebbe seguito il suo istinto concedendosi un ricordo da costruire, un cammeo da custodire nell’anima, un diamante che avrebbe consolato le future notti da trascorrere con quel qualcuno che non amava. Aveva ancora addosso l’odore di quell’uomo venuto da lontano, le narici fremevano alla ricerca di ogni piccola essenza rimasta sul suo corpo… «Karana, ti devi preparare. Le nostre sorelle ti aspettano per lavarti e purificarti.» Per un attimo ebbe paura di perdere l’odore che le si era fissato sulla pelle… poi capì che quello impresso nell’animo era più forte di qualsiasi sensazione olfattiva. «Vorrei baciarti.» «Baciarmi? » «Non sai cos’è un bacio?»

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Racconto: Karana


FANTASCIENZA

«Mi farai male?» L’uomo sorrise. Quella giovane bellissima era la donna più attraente che avesse visto da quando aveva dovuto lasciare la Terra, cinque anni prima. Anzi, forse era l’essere più attraente che avesse mai incontrato in assoluto. Era splendida, ma non altera, era fresca come un mattino d’estate nelle Highlands. «Non ti faro male…» Quando le labbra dell’uomo si posarono sulle sue, Karana ebbe un sussulto. Avvertì come un formicolio, le parve che le sue labbra fossero improvvisamente diventate più sensibili. L’uomo mosse delicatamente la lingua, perché lei le dischiudesse. «Che vuoi farmi?»

Luca Vergerio - “Karana” La ragazza arretrò spaventata. «Vuoi ch’io mangi qualcosa di velenoso che mi ucciderà e tu mi porterai come trofeo sul tuo pianeta?» «Hai la lingua anche tu, vero?» I suoi occhi sorridevano per quell’incantevole ingenuità. «La lingua?» «Questa» e dischiuse le labbra per mostrarle il mostro pauroso che l’avrebbe aggredita. «Sì. Ce l’ho.» Anche lei scoprì la punta rosea della sua lingua «Posso baciarti ora? Non ti farei nulla di male.» Prese tra le mani il viso di Karana e di nuovo premette la bocca su quella della ragazza. Il rituale si

Racconto: Karana

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FANTASCIENZA svolse come la prima volta, ma Karana non arretrò. Le due lingue si sfiorarono, si rincorsero, si nascosero, si allacciarono. «Karana, il bagno!» Il ricordo si dissolse come una bolla di sapone, colpito dai richiami, sempre più insistenti, di Elana. Le due sorelle andarono verso la vasca dove altre tre fanciulle aspettavano, le mani colme di fiori profumatissimi che avrebbero reso l’acqua un incanto di aromi. Karana sciolse i suoi lunghissimi capelli, tenuti da uno splendido knath di pietre preziose, un dono della Razdaja, una specie di pegno per l’unione. Lasciò che le sfilassero la tunica bianca e s’immerse nell’acqua aromatizzata dai petali che le sorelle continuavano a portare. Chiuse gli occhi ed il ricordo apparve di nuovo, prepotente. «Hai mai avuto un uomo, Karana?» «Un uomo? Che idea! Qui su Aptèrion non ci sono uomini, tu sei il primo.» «Hai mai avuto un compagno?» «Sto per unirmi.» «Non ti sei mai unita finora? Non hai mai dormito con il tuo fidanzato?» «Fidanzato? Cos’è?» «Il compagno col quale devi unirti.» «Certo che no! Io non amo Arhain, ma ci uniremo» disse quasi scandalizzata. L’uomo avrebbe voluto fare l’amore con lei, ma non sapeva se sarebbe stato giusto. Non era una ragazza qualsiasi, gli sembrava quasi di profanare qualcosa. Fu invece lei ad avvicinarsi a lui. «Però posso dormire con te, se vuoi.» Le creste nasali arrossirono e quelle frontali si gonfiarono leggermente. Poi lo baciò. E tutto fu meraviglioso. Elana le stava massaggiando le spalle con petali di lutka, un fiore profumatissimo, rosso come il fuoco dei vulcani di Hèredak, e nel frattempo le parlava, eccitata come ogni giovane fanciulla appare di fronte all’idea di un’unione, anche se non la propria. Il cicalare della sorella era come il soffio del vento nella valle: si disperdeva lontano; e Karana sembrava volersi lasciar andare a quelle parole, anche se non le stava ascoltando, perché le confondeva con altre parole. «Perché non vieni con me, sul mio pianeta?» «Devo unirmi!»

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«Ma tu non ami il tuo compagno» «è il mio compagno. Devo unirmi.» Sentiva che le sue stesse parole non avevano più senso. Le pareva di parlare di un’altra, di una predestinata, di una donna che avrebbe portato la gioia. Ma sarebbe stato così? E se il suo sacrificio fosse stato inutile? Le venne alla mente lo sguardo della Razdaja. «Devo unirmi… Devo unirmi…» E scappò via, inseguita dai richiami di quell’uomo che le aveva regalato una notte che non avrebbe dimenticato. La sala era enorme e addobbata con molta ricchezza. Le luci abbagliavano ed il profumo dei fiori era quasi soffocante. Karana avanzava, tra due ali di folla inginocchiata. Dall’altro lato procedeva Arhain, lo sguardo fisso nel vuoto. L’anziana Razdaja attendeva, sdraiata in un cerchio di fiori e fuoco, le braccia allargate, gli occhi verso l’alto. Karana arrivò alla destra del cerchio, Arhain alla sinistra. Vi entrarono simultaneamente e si posero, con le gambe leggermente divaricate, ai lati della Razdaja. Iniziò a levarsi, come una specie di canto, un brusio musicale… le voci di tutte le persone presenti crearono un’unica cupola sonora che avvolse i due giovani. Essi tesero le mani, l’una verso l’altro, strinsero l’una i polsi dell’altro. La Razdaja emise un grido. Il fuoco del cerchio si alzò d’improvviso e nascose i corpi di Karana e Arhain. Poi il silenzio. Il fuoco non fremeva più come in un incendio, ma soffocava quasi in brace. Al centro del cerchio un solo corpo, la nuova Razdaja. «Luce alla nuova Razdaja!» gridava la gente. «Luce a Karanarhain!» Elana era tra la gente ed era felice. Sua sorella era stata scelta per l’unione ed era diventata la nuova Razdaja. In fondo alla sala un uomo aveva assistito a tutta la scena. Oramai Karana non c’era più. Sarebbe tornato all’accampamento e poi alla Stazione 181. La Terra sarebbe stata la tappa successiva. Avesse potuto portarci Karana… Si voltò per un istante… Fu forse un’impressione, ma Karanarhain aveva appena appena dischiuso la bocca e la rosea punta della lingua aveva fatto capolino tra le labbra. Uno sguardo di un verde chiarissimo sembrò per un attimo brillare nella diren zione di lui.

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I Grandi Illustratori FANTASCIENZA

Summer Queen

Michael Whelan

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Storia

Storia

FANTASY

CAVALLERIA MEDIEVALE - parte III di Francesco “Muspeling” Coppola La promozione della cavalleria fra i secoli XI e XII (fra rinascita monarchica e Crociate).

Premessa. Dalla disgregazione del Regnum carolingio, l’Europa occidentale si era progressivamente divisa in una rete di potentati locali, laici o ecclesiastici, dopo un’indebita appropriazione di massa a opera dei grandi proprietari terrieri e delle schiere di miles, che, a vario titolo (dal servaggio, al mercenariato, al legame vassallatico), combattevano per loro. Questo puzzle di poteri, si era concretizzato in una sostanziale mancanza di legalità, mediante angherie (termine che nasce proprio in quegli anni) che non risparmiavano nemmeno i pingui possedimenti ecclesiastici, seguendo del resto un’antica tradizione per cui i re, merovingi prima e carolingi poi, attingevano a piene mani dai beni terrieri di chiese, vescovati e monasteri in caso di bisogno. Nonostante questo, i cronisti del tempo (in massima parte chierici) passarono – apparentemente senza fase intermedia – da una comune condanna della violenza e prepotenza dei milites (condanna presente per tutto il secolo XI) alla terminologia di chevalier nel secolo successivo (XII), che assunse un’accezione non più univocamente negativa. Una prima forma di nobilitazione insomma, che preannuncerà l’ascrizione – nel XIII secolo – della cavalleria alla costituenda classe dei nobili. Come mai questo cambio di denominazione e perché questa promozione sociale? Dalla vittoria di Ottone I sugli Ungari a Lechfeld (956) e dalla riforma in seno alla Chiesa Cattolica iniziata dal papa Gregorio VII (1054 circa), è possibile riconoscere la formazione di forti poteri monarchici di stampo universalistico , capaci di raccogliere attorno ai propri vessilli uomini e mezzi per realizzare i piani volti ad accentrare autorità e poteri. In particolare, erano l’Impero Romano-Germanico e il Papato a contendersi il predominio, mentre altrove (in Inghilterra, Francia e Spagna, ma anche nell’Italia meridionale) venivano nascendo nuove dinastie monarchiche interpreti di un concetto di regalità originale che si andrà sviluppando col tempo, spesso col favore dello stesso Papato, interessato sia ad avere validi protettori per i propri possedimenti nei territori . L’universalismo, riferito a Papato e Impero, è la volontà politico/strategica di affermarsi come unico potere sovrano su tutto l’occidente europeo, ciò in richiamo a una ipotetica discendenza ideale o falsificata eredità risalente alla perduta Pars Occidentalis dell’Impero Romano.

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STORIA d’Europa, che alleati capaci di difendere Roma stessa dalle ingerenze imperiali. Nelle lotte per la supremazia e nelle guerre indette da questi nuovi poteri (Papato e anche le nuove dinastie monarchiche nel resto d’Europa Occidentale), l’élite dei guerrieri dotati di usbergo e cavallo, nonché di un valido addestramento, fu sempre più richiesta, talvolta anche per sviare la loro aggressività dalle popolazioni locali, inermi, concentrandola su altri inermi ma di fede diversa e posti oltre i confini della cristianitas. Il cavaliere conobbe il suo secolo d’oro, diventando strumento e attore di lotte e di rivolgimenti politico-sociali, durante e per i quali sviluppò un nuovo equipaggiamento, compiendo un passo avanti verso la codifica di un ordine cavalleresco – con i suoi rituali e i suoi simboli – e verso l’associazione alla classe dei nobiles. I. Fra movimenti e scenari, la promozione del cavaliere. Dall’XI secolo si ebbe la comparsa di nuovi soggetti politici: sorsero signorie territoriali con in più il carisma – vero o inventato – della dinastia regale, si avviò l’esperienza comunale nell’Italia centro settentrionale e si formò uno stato ierocratico nel vescovato romano, in lotta con l’Impero Romano-Germanico. Nello sperimentare le forme di un nuovo concetto di autorità centrale, questi attori politici lottarono sia fra loro che con l’aristocrazia terriera, e, abbisognando della forza costituita dagli specialisti della guerra a cavallo, cercarono di distogliere questi ultimi dall’obbedienza vassallatica verso il loro diretto signore per ricondurla verso la fedeltà a un principio superiore che esse stesse si sforzavano d’inventare e interpretare: da quest’esigenza basilare nacquero, infatti, nuove opportunità d’impiego, in cui i cavalieri potevano combattere per guadagnarsi il favore di un “sovrano superiore”, fosse esso la corona nazionale, il papa o, addirittura, Dio stesso. Fra questi scenari annoveriamo le lotte per la supremazia, (in cui furono impegnati i Capetingi in Francia, i Normanni in Inghilterra, Sicilia e nella stessa Francia, nonché i regni iberici nel lungo percorso della Reconquista), ma anche quella “Guerra Giusta” – e quindi Santa – che il nascente potentato ierocratico romano indisse per la liberazione del Santo Sepolcro: la Crociata. . Ierocrazia: governo dei sacerdoti.

Pietro l’Eremita predica la Crociata II. Movimento primo: lo sviluppo di nuovi ideali (e politiche) monarchici. All’anno 1000, nella Cristianitas occidentale coabitavano diverse dinastie di rango regale le quali, però, si richiamavano a tipi diversi d’ideale monarchico. Nell’Italia meridionale resistevano lembi di dominio bizantino, erede diretto della Pars Orientalis dell’antico Impero Romano che a quel tipo di regalità imperiale continuava a riferirsi. Emulo e avversario di Bisanzio era l’Impero Romano-Germanico che, dalla vittoria di Lechfeld del 956, era sorto richiamando a sé l’eredità di Carlo Magno e la missione di riunire sotto le sue insegne tutto l’Occidente. Altra monarchia che si sviluppò come tale dalla seconda metà dell’XI secolo, con connotazione sempre più universalistica come quella germanica, fu il Papato Romano, non solo in virtù del suo primato d’onore come unica sede apostolica riconosciuta in Occidente (almeno dopo la vittoriosa contesa su Santiago di Compostela), ma anche in virtù della famigerata Falsa

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Storia FANTASY

I predicatori incitano i Crociati Donazione di Costantino. Questo documento, del secolo VIII, veniva spacciato per un decreto del IV secolo fatto redigere da Costantino I allo scopo di destinare l’intero Occidente all’episcopato romano, sancendo anche il principio che, laddove regnavano le autorità religiose, non dovevano coabitarvi quelle laiche: una vera e propria teorizzazione di stato teocratico. Messo fuori gioco l’Impero Bizantino, nello scacchiere occidentale, dalla conquista normanna del meridione d’Italia, la disputa fra universalismi si svolse tra i due aspiranti dominatori dell’intero Occidente, il Papato e l’Impero Romano-Germanico. In questo quadro si ascrivono le cosiddette Lotte per le Investiture, con i sovrani germanici che pretendevano di controllare le elezioni dei vescovi e finanche dei papi all’occorrenza – così come accadeva a Bisanzio e come avevano fatto gl’imperatori romani e i vescovi di Roma che, dalla riforma di Gregorio VII in poi, riuscirono ad affermare nell’ambito ecclesiastico una propria predominanza nonché il ruolo di unici detentori della Ortodossia religiosa (conseguentemente, chiunque dissentisse dai papi era automaticamente definito come eretico). Conseguenza di ciò fu una strut-

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turazione monarchica sempre più accentuata e, d’altro canto, la rivendicazione della Libertas Ecclesie, sia contro i signori locali che avevano costruito le loro chiese private ed erano arrivati a controllare l’elezione di vescovi, abati e persino papi (almeno sino ai fatti di Sutri del 1046), sia contro l’avversario Imperatore. Queste lotte fra universalismi avversi fornirono molteplici occasioni di conflitto e d’impiego per la cavalleria del tempo. Difatti i papi, mancando per ovvie ragioni di combattenti, cercarono di trarre a sé la fedeltà vassallatica dell’élite militare del tempo, i professionisti della guerra a cavallo. A tal fine venne indetta la I Crociata: per offrire ai milites un patronus superiore a cui rivolgere la propria lealtà e le proprie imprese, in chiave penitenziale, per ritagliare fette di territorio agli stati musulmani (o comunque non cristiani) impiantandovi poi teocrazie fedeli a Roma e, non da ultimo, portare all’obbedienza romana il clero ortodosso di Costantinopoli. Alla Prima Crociata ne seguirono altre dirette in Palestina, ma presto il concetto di Crociata fu ampliato e strumentalizzato dal Papato sia contro i detentori di territori esterni alla cristianità (come nel caso della Reconquista o delle crociate contro i popoli slavi e baltici), sia contro i nemici interni, eretici e avversari politici. Inizialmente defilate dalla maggiore scena politica, però, si andavano affermando nuove dinastie regali di stampo del tutto nuovo rispetto al modello imperiale a cui si richiamavano papi e imperatori. È il caso delle costituende monarchie nazionali, il cui fine ideale era unificare una data area geografica, omogenea per religione ma anche per lingua. Si tratta delle dinastie iberiche, di quelle normanne (prima in Normandia e poi in Inghilterra e nelle Due Sicilie), ungherese e polacca, oltre alla più famosa dinastia capetingia in Francia. Questi percorsi furono assai diversi fra loro per data d’inizio, area geografica, sviluppi ed esiti finali, inoltre bisogna considerare che in luoghi come la Francia di quei secoli v’erano diversi competitori al titolo regale, come i conti d’Anjou, di Tolosa e altri ancora. I punti che queste esperienze avevano in comune, però, ci dicono alcune cose: i nuovi re erano anche signori territoriali , proprio come principi, conti, marchesi e signori le cui famiglie avevano dissolto il vecchio regnum carolingio. Tuttavia, a differenza dei semplici titolari di signorie locali, i nuovi monarchi, . S’intende qui, un detentore di potere giudiziario e/o militare associato a proprietà terriere di suo possesso.

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STORIA oltre a essere i maggiori proprietari terrieri nelle zone in cui riuscivano ad esercitare la loro influenza, vantavano anche un primato d’autorità che – parlando generalmente – non imponevano con la semplice forza delle armi, ma interpretando un ruolo di coordinamento e di garanzia della pace e della giustizia, attraverso la coabitazione, in diverse zone, con signorie laiche o ecclesiastiche e città dotate di privilegi e immunità. Difatti, alle cosiddette Paci di Dio, indette dalla chiesa dalla fine del secolo X, si sostituirono le Paci del Re, e sotto protezione regale cadevano tutti i luoghi e le vie di commercio (città, fiere all’aperto, porti fluviali e costieri). Era molto importante però che i signori laici, con le loro masnade e i propri vassalli, giurassero di mantenere la pace nelle mani del sovrano, riconoscendone il ruolo di garante. Del secolo XI, e funzionale al contesto descritto, fu la riscoperta del codice giuridico di Giustiniano, il Corpus Iuris Civilis. Lungo il cammino delle nascenti monarchie nazionali, fra gli aspetti più attinenti ai nostri cavalieri, vi fu spesso la scelta di diventare defensor ecclesiae e curatore dei beni terreni della Chiesa, il ruolo dell’advocatus. Guglielmo di Normandia, per esempio, ricevette le insegne di San Pietro prima della sua spedizione in Inghilterra; i regnanti capetingi ed angioini parteciparono alle Crociate in Terrasanta ma anche nel sud della Francia contro gli eretici, annettendosi con quelle imprese cospicui territori. Il fatto stesso che vi fosse un “Re Santo” francese, denominato tale per la sua fervente e continua partecipazione alle Crociate indette da Roma, è emblematico. I regnanti iberici, al fine di venire legittimati e di aumentare il carisma proprio e della propria famiglia arrivarono a dichiararsi (temporaneamente) vassalli del Papa, così come i Normanni, dopo gl’iniziali scontri con i sovrani episcopali, riceveranno la legatio papale in vista della loro conquista della Sicilia. Dati questi nuovi soggetti politici, impegnati in tali e tanti scenari, tutti bisognosi della forza d’urto dei milites equites, ecco che si prospettarono a questa classe di guerrieri professionisti una serie di occasioni . Compendio di diritto romano, compilato nel secolo VI sotto l’imperio di Giustiniano I, che influenzerà grandemente gli studiosi di quel tempo e anche il dibattito e la lotta politica. La riscoperta del diritto romano andava a tutto vantaggio del principio regale, tramandando l’idea di un Princeps come unica fonte del diritto e della legge, non per niente le prime università nacquero proprio durante il secolo XI, con insegnamenti di diritto e sotto tutela di re ed imperatori.

Il massacro di Antiochia d’impegnarsi per una “più alta causa”. È stato lento il cammino delle monarchie nazionali, ma furono costoro, alla fine, a prevalere sugli universalismi, da ultimo con la deposizione di Papa Bonifacio VIII – che aveva improntato il proprio pontificato all’Imitatio Imperii -, a opera del re di Francia: Filippo il Bello, ebbe la forza di trasferire la sede del Papato da Roma ad Avignone, ponendolo sotto la propria diretta tutela proprio come un imperatore tardo romano o bizantino. Dal secolo XII, le fonti iniziarono dunque a parlarci di chevaliers e non più di semplici milites: da questo momento in poi cominciò ad affermarsi la vera e propria cavalleria di rito. III. Movimento terzo: Le Crociate, uno strumento. Eccoci giunti a parlare del fenomeno storico medievale che ebbe, probabilmente, maggiore risonanza nell’immaginario di un gran numero di persone: la Crociata. Non v’è ombra di dubbio che questo tema abbia

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Storia FANTASY impegnato molto l’attenzione degli storici, con una sequela d’interpretazioni spesso influenzate dall’ideologia politica e religiosa. Di recente, però, con lo sviluppo d’indirizzi di ricerca più interessati alla vita quotidiana soprattutto dei livelli sociali meno abbienti, e grazie all’attuale allergia per la storia tutta fatta di date, battaglie e nomi di re e condottieri, ha preso campo la tendenza a ridimensionare l’importanza di queste “guerre sante d’occidente”. La storia comunale ha evidenziato, per esempio, come le città marinare italiane avessero ripreso vita e iniziativa in ogni senso anche prima del 1095, e come i commerci fra Oriente ed Occidente non abbiano risentito granché della breve conquista ottenuta dai crociati dei regni d’oltremare. Difatti, prima, durante e dopo le spedizioni in Terrasanta, i principali empori a cui erano diretti i mercanti di Amalfi, Genova, Pisa e Venezia erano Costantinopoli ed Alessandria d’Egitto; il commercio con questa città musulmana non risentì granché dell’ostilità fra crociati e musulmani, così come i divieti papali circa il commercio con gli arabi vennero costantemente disattesi. Il famoso storico J. Le Goff è arrivato a lanciare

I Crociati sorpresi dai Turchi

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il paradosso (che cito liberamente) per cui: “L’unico frutto delle Crociate è l’albicocca”. “A ogni persona che abbia preso la via di Gerusalemme con l’intenzione di liberare la Chiesa di Dio, per spirito religioso e non per averne onore e denaro, sarà riconosciuto come atto di penitenza il viaggio che fa.” Urbano II, nel 1095, bandendo la I Crociata, si rivolse espressamente ai cavalieri (saltando a piè pari i loro principi), denotando l’intenzione di deviare queste “energie vive” a proprio vantaggio, educandole all’obbedienza dei principi cristiani, ma soprattutto a quella papale. Già Gregorio VII, nel 1074, pianificò una spedizione militare per “aiutare” i cristiani d’Oriente sconvolti dalla fragorosa sconfitta di Mantzikert (per opera dei Turchi Selgiuchidi), con l’intento anche di “sistemare le cose con la chiesa bizantina”. Tuttavia questa spedizione fallì per i contrasti con l’imperatore Enrico IV, ma, l’anno successivo (1075), il Papa della riforma sentenziò la “superiorità temporale e spirituale del pontefice sulla Cristianità intera”. Ebbe miglior fortuna il suo successore, Urbano II, indicendo il passagium (nome che fu dato al pellegrinaggio armato ai suoi esordi) verso il Santo Sepolcro, allo scopo di liberarlo dagli infedeli. L’appello rinnovato e amplificato poi da vescovi e da predicatori autorizzati (ma presto anche da improvvisati agitatori popolari), riscosse un successo enorme. Le lotte iniziate con la riforma gregoriana avevano acceso gli animi, e la popolazione intera era in cerca del sacro, anche per dare un senso a un’esistenza breve e piena di fatiche e amarezze. Il Papato aveva formulato una sua teoria escatologica per cui i popoli pagani (come erroneamente erano visti allora i musulmani) rappresentavano uno strumento divino per punire la cristianità dei suoi peccati, ed era poi compito dei cristiani – una volta placata l’ira divina – riconquistarsi i territori assoggettati dai nemici di Cristo. A livello popolare, però, circolavano altre versioni di profezie escatologiche . Il passagium era visto come un modo per dare inizio alla “Fine dei Tempi” attraverso ritorno in terra di Cristo per instaurarvi il suo regno giusto, che molti vedevano come fine delle differenze sociali, della divisione fra poveri e ricchi, fra deboli e potenti. I Giusti sarebbero stati premiati ed i peccatori puniti. I predicatori popolari fecero anche largo uso di suggestioni miracolistiche e l’avvistamen . Escatologia: racconto o filosofia teologica che narra degli stadi finali dell’Umanità e del singolo individuo.

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STORIA to di portenti si moltiplicò “miracolosamente” durante i mesi successivi all’appello papale. Non stupisce, quindi, se i primi ad attivarsi – e in gran numero – furono i movimenti popolari, guidati da personaggi come Pietro l’Eremita, che dalla Francia e dalla Germania raccolsero le loro turbe e s’incamminarono verso l’est, verso Costantinopoli. Questi gruppi, però, furono ostacolati dalla loro stessa impreparazione e disorganizzazione, nonché dal fanatismo religioso che gli inimicò anche l’imperatore Alessio Comneno, artefice di quell’appello preso a pretesto da papa Urbano II per indire la sua guerra santa. Considerevolmente decimati già prima di passare lo stretto del Bosforo, i partecipanti a questa I Crociata “popolare” li ritroviamo, forse, citati ambiguamente in seguito nelle cronache musulmane col termine di tafuri, ridotti al cannibalismo per sopravvivere. Gli eserciti messi insieme dai signori laici, invece, avevano un’organizzazione (per quanto ancora insufficiente) e, ovviamente, un’efficacia maggiore. È da precisare, però, che, anche nelle spedizioni “istituzionali”, il numero di cavalieri non superava un decimo del totale dei partecipanti, mentre il resto doveva sicuramente comporsi di una moltitudine di semplici uomini e donne che s’incamminarono alla volta di Gerusalemme. Ciò non stupisca, datosi che un simile pellegrinaggio era stato impostato come “penitenziale” e quindi a parteciparvi doveva esservi gente d’ogni tipo, anche fuorilegge e prostitute. Il successo della I Crociata, con la conquista del 1099 di Gerusalemme, portò alla formazione degli Stati Crociati, nessuno dei quali fu sotto il diretto controllo papale. La vita di questi avamposti di cristianità latina in Oriente fu precaria sin dal principio, visto che la guerra santa cristiana aveva offerto il destro alla formazione di un movimento musulmano di Jihad, la guerra santa dei maomettani; inoltre, i pellegrini che raggiungevano Gerusalemme difficilmente restavano a combattere in difesa dei suddetti Stati, che si trovarono in costante carenza di uomini abili alle armi. Ciò spiega l’indizione di altre Crociate, che ebbero un seguito popolare sempre minore: infatti, dopo la conquista di Gerusalemme, tutti poterono constatare che la “Fine dei Tempi” non era giunta. Già nel 1204 la IV Crociata venne deviata a vantaggio degli interessi commerciali veneziani. In seguito, si assistette ad un’estensione del concetto di “crociata”, che non riguardò più solo un pellegrinaggio armato al fine di scacciare dal Santo Sepolcro gli “infedeli”, ma ven-

La Crociata in “difesa di Cristo” ne utilizzato (col suo carisma sacrale) dal Papato per combattere i dissidenti interni alla Cristianità (i cosiddetti eretici) e gli avversari politici: ne conseguì un crescente discredito per questo istituto già dal secolo XIII. Le Crociate del secolo XII, però, sono il quadro entro cui la cavalleria occidentale maturò le proprie tecniche e armamenti, inoltre annoverò le gesta memorabili che forniranno i topos da cui tanta letteratura cavalleresca trarrà ispirazione. IV. Ordini monastico militari. È in occasione delle Crociate che l’Europa Occidentale mise per la prima volta assieme eserciti di grandi dimensioni, quali nemmeno Carlo Magno riuscì a raccogliere. Le cifre dei partecipanti alla I Crociata riportati dalle cronache sono esorbitanti, fra le 120 e le 360.000 unità, sebbene su esse gli storici stiano ancora dibattendo, più inclini a ridurle fra le 45 e le 100.000; la scarsità di dati certi c’induce a prendere queste cifre con cautela. Poiché una milizia tanto imponente non era mai

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Storia FANTASY stata messa insieme in precedenza, si presentarono indubbiamente serie difficoltà d’approvvigionamento e di coordinamento. Dopo la Crociata, la situazione degli stati latini in Terrasanta rimase precaria: pochi dei crociati giunti da Occidente restavano a difendere quei regni una volta assolto il pellegrinaggio penitenziale al Santo Sepolcro, e l’immigrazione di coloni – dalla Francia soprattutto – era un movimento troppo esiguo per rimpinguare le fortezze e le città murate conquistate ai musulmani; tutto ciò mentre l’intrusione armata crociata produceva i primi segni di risveglio jihadista nei musulmani. Per rispondere alle esigenze di protezione e assistenza ai pellegrini (sia in Europa sia in Terrasanta), per fornire un valido supporto alla difesa dei Luoghi Sacri, furono fondati alcuni ordini religioso-militari che assursero a grande fama e prestigio già nel volgere di pochi anni dalla propria istituzione. L’adozione delle più o meno severe regole monastiche, da parte di cavalieri formatisi alla scuola militare occidentale, fornì a queste truppe un’innegabile organizzazione e disciplina, una capacità di manovra che le disordinate cavallerie laiche non potevano van-

Una fine “gloriosa”

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tare. I vantaggi sul campo di battaglia furono subito evidenti. Questi monaci-cavalieri erano gli unici a potersi permettere di costruire e tenere fortezze in Palestina, erette sul modello occidentale integrato con elementi orientali preesistenti (derivati anche dai resti dei bastioni d’epoca romana e bizantina), che andarono poi a influenzare l’architettura militare dei castelli d’Europa. Il castello di Safed, per esempio – retto dai Templari – annoverava nella propria guarnigione 80 monaci cavalieri, 350 ausiliari, 820 fra inservienti e uomini di fatica e 80 monaci cappellani, addetti alle sole funzioni religiose. IV. 1 – Gli Ospedalieri. Ordo fratrum Hospitalariorum Hierosolymitanorum: questo è uno dei titoli originari con cui furono conosciuti i Cavalieri Giovanniti od Ospedalieri; l’altro è Ordo militiae Sancti Johannis Baptistae hospitalis Hierosolymitani, divenuti poi Cavalieri di Rodi e, infine, Cavalieri di Malta. Questo Ordine ebbe origine nel 1023 da un ospedale od ospizio in Gerusalemme che ospitava i pellegrini diretti al Santo Sepolcro: fondato da mercanti amalfitani, era gestito da monaci benedettini; la struttura era, probabilmente, attigua ad una chiesa dedicata a San Giovanni. Dopo la presa di Gerusalemme, l’ospizio venne ingrandito e il corpo di monaci che vi operava (vivendo secondo la regola agostiniana) assunse entità autonoma col nome di frati Ospedalieri. Il neonato ordine – in quel momento volto solo a fornire assistenza e beneficenza – ricevette donativi e privilegi dal Papa, dai sovrani occidentali e dal Re di Gerusalemme, per cui l’ospizio oltre a ingrandirsi si fortificò. Il primo vero Gran Maestro di questo ordine fu Gerardus, un amalfitano che aiutò i crociati durante l’assedio, anche se, lui vivente, l’ordine mancava ancora dei compiti militari che assumerà solo in seguito. Fu con Raymond de Puy – il quale resse l’ordo sino al 1159 – che i Giovanniti assunsero ruoli sempre più militari nella difesa di Gerusalemme e nelle guerre contro i Saraceni, a cui parteciparono regolarmente dal 1137 in poi. Sorse con Raymond la suddivisione interna in fratres milites (i cavalieri), fratres servientes armigeri e fratres cappellani. Tuttavia l’ordine mantenne le sue primigenie funzioni di ospitalità e di cura agli ammalati, per le quali ricevette donativi e rendite. Per le funzioni di preghiera e di assistenza agli ammalati si ebbero anche istituzioni femminili. La veste assunta

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STORIA dai cavalieri quando non combattevano era costituita da un mantello nero con croce bianca sul petto, mentre in battaglia gli Ospedalieri si distinguevano per una sopraveste rossa con croce analoga. Fu ancora sotto Raymond che si ebbe lo sviluppo e l’espandersi dell’ordine in tutta l’Europa cattolica, con fondazioni e commende lungo l’intero percorso del pellegrinaggio. Nel 1154 papa Anastasio IV concesse agli Ospedalieri l’esenzione dalle autorità dei vescovi diocesani, patriarca di Gerusalemme compreso. Dopo la battaglia dei Corni di Hittin e la perdita di Gerusalemme per mano del Saladino, la sede dell’ordine venne spostata a Marqab, a nord di Tripoli. In Palestina gli Ospedalieri tenevano le fortezze di Bet Gursin, di Beauvoir, di Margat e la famosa fortezza del Crac dei Cavalieri. IV. 2 – I Templari. L’Ordine del Tempio, nacque nel 1119 da alcuni cavalieri laici guidati da Ugo di Payns, che si misero al servizio dei canonici della chiesa del Santo Sepolcro. Già alla sua nascita, svolse precisi compiti militari nella difesa di Gerusalemme e nella lotta contro i Saraceni. All’atto di costituirsi in questo ordine, i cavalieri laici facevano voto di obbedienza, povertà, castità e prendevano il nome di poveri Cavalieri di Cristo, ma, quando Re Baldovino II assegnò loro, come sede, un’ala della moschea di Al-Aqsa – che si diceva fondata sui resti del tempio di Salomone – l’ordine divenne universalmente famoso come quello dei Cavalieri del Tempio. L’ordine incontra subito il favore della chiesa riformata e di San Bernardo, il santo cistercense che sarà uno dei maggiori a propagandare la II Crociata, e già nel 1128 – a 9 anni dalla fondazione – un concilio a Troyes approva la sua particolare regola agostiniana adattata ai compiti militari, assenso ribadito di lì a poco da papa Innocenzo II. Le parole che S. Bernardo spese per promuovere questi monaci combattenti sono interessanti; egli infatti scrisse un trattato, chiamato Elogio della Nuova Cavalleria, in cui contrappose i cavalieri laici, descritti come indisciplinati, legati alle cose materiali del mondo, avidi di ricchezze e gloria, ai “nuovi cavalieri”, austeri, sobri, obbedienti; i primi rischiavano di guadagnarsi solo l’Inferno lottando contro altri cristiani, i secondi, poiché combattevano gli infedeli, erano certamente destinati al Paradiso. Uccidere un saraceno, infatti, non era descritto da Bernardo come un

L’ingresso dei Crociati in Costantinopoli omicidio, ma come un malicidio, in quanto – secondo lui – equivaleva a combattere il Male. Le parole del santo smossero le coscienze e l’ordine conobbe un afflusso di nuovi adepti e donativi, inoltre istituì in questi anni le sue sedi e commende per raccogliere uomini e fondi da mandare a Gerusalemme. I membri di questo ordine si suddividevano in monaci cavalieri, ausiliari armati, monaci cappellani e di servizio alla cui guida stava un Maestro, che faceva capo al Gran Maestro dell’ordine il quale rispondeva unicamente al Papa. In battaglia potevano usufruire anche di corpi di mercenari arruolati fra la popolazione locale (così come facevano gli eserciti bizantini), i cosiddetti turcopoles. La loro divisa era costituita da un mantello bianco con croce rossa sul petto. Come l’Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni, i Templari assolvevano a compiti di ospitalità ed assistenza ai pellegrini, soprattutto nelle loro case o domus che sorgevano lungo le vie del pellegrinaggio e nelle città di transito. Nella Terrasanta, essi reggevano le fortezze di Chastel Blanc, Tortosa, Beaufort, Safed e di Castelpellegrino.

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Storia FANTASY IV. 3 – I Teutonici.

IV. 4 – Altri ordini monastico-militari.

L’Ordine di Santa Maria dei Teutoni, più conosciuto come Ordine dei Cavalieri Teutonici, era aperto a cavalieri provenienti dalla sola area germanica. Fondato a S. Giovanni d’Acri da Federico di Svevia nel 1191 – in ritardo rispetto ai precedenti e più famosi Ospedalieri e Templari –, ebbe inizialmente compiti ospedalieri ma – approvato nel 1199 dal papa Innocenzo III – già durante l’operato del suo terzo Gran Maestro, Ermanno di Salza, si tramutò in un ordine religioso-cavalleresco come i precedenti. Al suo interno i cavalieri e i monaci vestivano mantello bianco con croce nera sul petto; conversi, familiari e suore invece indossavano un manto bruno. Diviso territorialmente in case, province e regioni, era governato dal Gran Maestro. I Teutonici vennero in breve coinvolti in scenari diversi da quello palestinese; sin dal 1215, infatti, furono richiamati in Prussia per “evangelizzare a forza” le popolazioni baltiche. Reggevano in Palestina le fortezze di Chateu Neuf, Montfort e di Castellum Regis.

Com’è stato già detto, il Papato si servì dell’idea di Crociata per promuovere guerre volte alla conquista di territori in mano a genti non cristiane, sperando di ritagliarvi aree su cui esercitare il potere teocratico. La Spagna della Reconquista e le zone baltiche, pur non correlate al Santo Sepolcro, videro pertanto sorgere degli ordini religioso-militari come i tre sopra descritti. In Spagna il più antico fu quello dei Cavalieri di Calatrava, che prendeva il nome dall’omonima località montuosa la cui difesa, nel 1158, fu affidata all’ordine cistercense da Sancho III, re di Castiglia. Riconosciuto nel 1165 da papa Alessandro III, fu protagonista di vittorie e conquiste contro i mori, che gli guadagnarono fama, donativi e rendite. In area baltica, fu fondato nel 1202 da Alberto, vescovo di Riga, l’ordine dei Portaspada, con il compito di proteggere le missioni cristiane nei paesi baltici. Fu riconosciuto nel 1204 da papa Innocenzo III. L’ordine assunse la regola templare e si riconosceva per un manto bianco con cucito un distintivo a forma di spada sotto una croce. Ottenne iniziali vittorie ed estese la propria influenza in Livonia, Lituania ed Estonia, ma l’evangelizzazione militarizzata gli guadagnò la forte resistenza delle popolazioni da convertire; subì una clamorosa e sanguinosa sconfitta nel 1236 a Bauska in Curlandia, motivo per cui papa Gregorio IX decise l’anno successivo (1237) di unirlo all’Ordine dei Cavalieri Teutonici. V. Scenari. Visto l’andamento generale della formazione delle varie monarchie e dell’istituzionalizzazione della Crociata, è possibile osservare più da vicino alcuni singoli fatti che ebbero come protagonisti i nostri cavalieri. V. 1 – Conquiste normanne in Italia meridionale.

I resti della Prima Crociata

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Il caso della costituzione della monarchia in Italia meridionale per opera di genti normanne, è un fatto peculiare: un processo in cui presero parte bande di guerrieri a cavallo guidate da diversi capi, inizialmente senza che nessuno di quest’ultimi predominasse – anche solo teoricamente – sugli altri. I Normanni arrivarono nel meridione d’Italia nei primi anni dell’XI secolo, offrendosi come mercenari al soldo dei vari potentati in cui era suddivisa l’area a quel tempo (con-

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STORIA tee longobarde eredi del ducato di Benevento, città bizantine sulla costa campana più o meno indipendenti come Napoli e Gaeta, i territori realmente in mano all’Impero Bizantino in Puglia e Calabria, infine la Sicilia in mano ai saraceni), dovendo affrontare anche le pretese territoriali del riformato vescovato romano con la sua politica di predominio universalistico. L’afflusso di guerrieri normanni in Italia meridionale ha origine dal costituirsi progressivo di un forte controllo ducale in Normandia, un processo non privo di difficoltà e battute d’arresto, soprattutto quando, nel 1035, morì il duca Roberto lasciando il governo a un suo figlio illegittimo, Guglielmo, di soli otto anni. Rivolte, disordini e la crescente potenza e capacità di controllo della dinastia ducale sul territorio, spinsero diversi proprietari terrieri a cercare fortuna come mercenari nelle zone di conflitto, fra cui l’Italia del sud ove l’Impero Bizantino minacciava di annettersi i ducati longobardi. Bande di mercenari furono inizialmente assoldate perciò dai Longobardi, ma altre anche dai Bizantini, chiedendo terre in cambio dei servigi resi. Il primo insediamento normanno fu quello del capo mercenario Rainuf, ad Aversa nel 1028, legittimato da Sergio, duca di Napoli (in guerra con la vicina Gaeta), che diede in moglie al Normanno sua sorella. Aversa costituì la base per successive acquisizioni a Gaeta e Capua; fu poi istituita la contea normanna di Melfi. I Normanni che ebbero, però, maggior fama e fortuna vennero in seguito, dalla regione del Cotentin: furono i dodici figli di Tancredi d’Hauteville (Altavilla). Tutti e dodici non potevano suddividersi i possessi del padre, furono quindi costretti a partire e offrire le loro armi ai principi in guerra nel meridione d’Italia, così come altri Normanni avevano fatto prima di loro. I due fratelli maggiori del casato di Hauteville, Guglielmo Braccio di Ferro e Drogo, si misero al servizio dell’Imperatore Bizantino e parteciparono persino ad un suo tentativo – fallito – di riconquistare la Sicilia; altre volte militarono per i duchi longobardi. Come i loro conterranei predecessori, questi due comandanti mercenari guadagnarono terre in Puglia. Alla morte di Guglielmo, il fratello Drogo ottenne dall’Imperatore Romano-Germanico Enrico III il titolo di “Conte dei Normanni di Tutta Puglia” (1046). Ciò era già un riconoscimento ufficiale e fonte d’autorità. I successivi avventurieri normanni si rivelarono brutali e già pericolosamente proiettati verso la conquista del Ducato di Benevento, tanto che nel 1053 papa Leone IX mise insieme un grande esercito di Tedeschi e Lon-

Riccardo e il Saladino alla Battaglia di Arsuf gobardi, per fermarli a Civitate. Fu un punto di svolta per i Normanni e per gli Altavilla – guidati allora dai fratelli, Umfredo, Riccardo conte di Aversa e Roberto (il quale si guadagnerà l’appellativo di Guiscardo, ossia “astuto”) – che rivelarono in quella battaglia una buona organizzazione militare e capacità nella manovra delle truppe e nello sfruttare efficacemente la carica con la lancia, tutte abilità che il duca normanno Guglielmo mostrò 13 anni dopo ad Hastings, guadagnandosi il titolo di “Conquistatore”. Pur in forte superiorità numerica, il Papa belligerante subì una sonora sconfitta, fu fatto prigioniero e dovette poi rappacificarsi con i Normanni, riconoscendo la legittimità dei loro possedimenti acquisiti e, soprattutto, quella delle loro future conquiste (con un occhio puntato già alla Sicilia). In seguito nuove guerre portarono all’annessione di diversi territori in tutto il meridione d’Italia. Ecco quale descrizione fa Anna Comnena di Roberto il Guiscardo, un antesignano delle figure caval . Figlia dell’Imperatore Bizantino Alessio Comneno e sua biografa con l’opera L’Alexiade, importante fonte narrativa per la storia bizantina non solo per il secolo XI.

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Storia FANTASY leresche del pieno medioevo: Questo Roberto fu per nascita un Normanno di oscura origine, con un carattere imperioso ed una mente da furfante; egli fu coraggioso combattente, estremamente insidioso nei suoi assalti alla ricchezza ed al potere dei grandi uomini; nel perseguire i suoi scopi fu assolutamente inesorabile, respingendo ogni forma di critica con argomentazioni incontrovertibili. Fu uomo d’altissima statura […] aveva carnagione rosata, capelli biondi, spalle larghe ed occhi che sembravano sprizzar scintille […] in lui tutto era mirabilmente ben proporzionato ed elegante […] Egli non è stato al servizio di alcuno e non deve obbedienza a nessuno al mondo. Nel 1058 i fratelli provarono a condividere il potere, ma l’esperimento fallì, e dovettero in seguito spartirsi le aree d’espansione; tuttavia era oramai chiaro che a comandare i Normanni nel sud dell’Italia era il casato degli Altavilla. Roberto il Guiscardo si diresse alla conquista della città di Bari (1071), dopodiché progettò d’assalire l’Impero Bizantino sull’altra sponda del mare Adriatico. L’attacco fu condotto contro la città di Durazzo

I Crociati circondati dall’armata del Saladino

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solo nel 1082/83, ma fallì anche per il soccorso che la flotta veneziana portò ai Bizantini. Dal loro arrivo in Italia (una cinquantina d’anni circa) era la prima volta che i Normanni si spingevano in mare (utilizzando imbarcazioni capaci di trasportare cavalli). Le vittorie militari, il coordinamento delle truppe e la fitta trama di rapporti diplomatici, con la già citata legittimazione papale, fecero di Roberto il Guiscardo un personaggio di prima grandezza fra i suoi contemporanei, ma occorre tenere presente che a quel tempo i possedimenti normanni in Italia meridionale erano frammentati in contee e ducati. La conquista che prefigurò l’ulteriore sviluppo delle fortune normanne in Italia fu l’acquisizione della Sicilia, condotta dal fratello minore di Roberto, cioè Ruggero, che nel 1088 – in un incontro con papa Urbano II – ottenne anche il diritto di nominare vescovi e di formare diocesi, oltre a poter vestire l’abito talare. Ancora nel 1088 la Sicilia non era del tutto in mano ai Normanni, ma già Ruggiero poteva fregiarsi del titolo di Gran Conte di Sicilia, ritagliando - man mano che proseguiva la conquista - dal territorio isolano possedimenti che affidava in premio ai suoi uomini, ma lasciando a sé (in ogni area in cui si andava suddividendo la nuova Gran Contea isolana) il possesso della maggior parte delle terre. Morto nel 1101 Ruggero, gli successe il figlio Ruggero II, un erede che aveva in mente chiari progetti per il futuro. Nel 1127, costui riesce a ereditare anche il titolo di Duca di Puglia e Calabria, facendosi dare a Salerno la sacra unzione dal vescovo locale e ottenendo (per sé e per i suoi due figli) anche l’omaggio dei maggiori signori dei domini normanni a Melfi. Mancava, però, il titolo regale. L’occasione giunse nel 1130, quando a Roma si ebbero uno scisma e due papi. Ruggero II ne approfittò, e diede il proprio appoggio all’antipapa Anacleto II che lo incoronò nella cattedrale di Palermo, col titolo di Re di Sicilia. La sconfitta del partito dell’antipapa portò problemi per la neonata monarchia, ma ben presto il Papato dovette scendere a patti con questo vicino, divenuto potente, soprattutto considerando le lotte che opponevano l’aspirazione universalista teocratica di Roma con quella laica degli imperatori germanici. Ecco che, in circa un secolo, bande di guerrieri mercenari – che, in caso di mancato ingaggio, si davano al brigantaggio – riuscirono a costituirsi un ampio dominio territoriale, ad acquisire il titolo regale e un ruolo centrale nelle vicende del mediterraneo di quei tempi.

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STORIA Così come avevano fatto in Inghilterra, durante la loro avanzata i Normanni procedettero alla costruzione di donjon, o motte, ciò soprattutto in Calabria e in quelle zone dove più contrastata fu la loro conquista, come nella Piana di Catania in Sicilia ove, ancora oggi (a Paternò e a Motta S. Anastasia) si possono ammirare queste strutture. L’uso delle motte da parte dei Normanni era una strategia volta ad assoggettare le regioni da conquistare: essi costruivano in gran fretta queste basse torri (in legno ove era facile reperirlo, nell’Europa settentrionale, in pietra nel sud Italia) con fossato adiacente anche in pieno territorio nemico, e da lì organizzavano razzie (cavalcate) per depredare le campagne e i borghi, strozzando lentamente le energie dei difensori, sino alla loro resa. V. 2 - La I Crociata. Come si è accennato, la I Crociata venne indetta nel 1095 e propagandata sia dal clero ufficiale sia da improvvisati predicatori popolari che offrirono alla popolazione l’idea di andare a liberare il Santo Sepolcro per portare a compimento le profezie di cui tanto si parlava a quel tempo. Lo spirito escatologico era, infatti, potentemente presente in molti dei crociati della prima ora e soprattutto fra i molti uomini e donne non nobili, non addestrati alla guerra, che si riunirono e si diressero prima dei baroni e dei loro cavalieri verso Oriente. Le armate baronali invece, si mossero più tardi, ma con maggiore organizzazione; il loro numero complessivo si avvicinò forse alle 45 000 unità, che, con i superstiti dei movimenti popolari, potrebbero aver annoverato al loro interno fra i 10.000 e i 15.000 cavalieri. Partirono diversi eserciti dalla Francia settentrionale, alla guida di Ugo di Vermandois, fratello del re; dalla Provenza venne un esercito, guidato dal Conte di Tolosa, Raimondo di Saint Gilles; dalla bassa Lorena giunse Goffredo di Buglione e dalla Normandia il Duca Roberto, così come dalla vicina contea di Fiandra arrivarono uomini e cavalieri alla guida di Stefano di Blois; infine, dall’Italia meridionale normanna, giunse Boemondo di Taranto. Partirono in date e da luoghi diversi, dall’agosto all’autunno del 1096, chi percorrendo la via interna che passava per l’Impero Germanico e poi per l’Ungheria giungeva di lì sino a Costantinopoli, chi discendendo la penisola italiana, imbarcandosi in Puglia per appro-

Boemondo scala le mura di Antiochia dare a Durazzo e fare così l’antica via imperiale Egnatia che portava alla capitale dell’Impero orientale. Tutti s’incontrarono a Costantinopoli o in zone limitrofe e tutti dovettero avere a che fare con l’Imperatore Alessio. I rapporti con quest’ultimo furono tesi, perché pretendeva di ricevere atto di vassallaggio (Alessio aveva richiesto mercenari per combattere i Turchi, dopotutto) e la garanzia di avere restituite le città che i crociati avrebbero liberato. I capi di quella numerosa armata erano invece assai restii a qualsiasi atto di sottomissione: loro erano partiti – nel migliore dei casi – per restituire a Dio la sua Gerusalemme, non per consegnarla ad un imperatore considerato forestiero e scismatico; nel peggiore dei casi essi avevano preso parte a quella spedizione per puro spirito d’avventura e di predazione. Pare inoltre che i Bizantini concedessero con difficoltà il vettovagliamento a quella moltitudine di armati. Infine, al contrario di quanto si aspettavano i capi dell’armata occidentale, l’imperatore Alessio non aveva alcuna intenzione di partecipare in prima persona alla guerra, ma inviò in appoggio ai crociati un suo generale, Tatikios, alla guida di un imprecisato nume-

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La Croce ro di uomini. I primi scontri si ebbero a Nicea, allora in mano ai Turchi. La città era protetta su un versante da un lago, mentre l’altro era aperto all’assalto; il grosso dell’esercito turco era assente a causa di rivolte in un emirato poco distante che avevano richiesto l’intervento del sultano turco Arslan. I Bizantini guidati da Tatikios avanzarono dalla parte del lago e i crociati dal lato di terra, ma a ottenere la resa della città (19 giugno) – riuscendo a portare delle imbarcazioni a ridosso delle mura – furono i primi: ciò significò, per gli occidentali, la perdita del bottino del bramato saccheggio. A compensazione, i capi crociati ricevettero delle somme in monete d’oro e d’argento pari al loro rango, ma questo non aiutò a mitigare gli animi. Dopo Nicea, l’armata occidentale si divise in due tronconi, uno d’avanguardia (guidato da Boemondo) e l’altro a seguire a poca distanza. Il 1° di luglio l’avanguardia crociata venne sorpresa in un’imboscata turca a Dorileo: scoppiò così il primo vero scontro fra crociati e turchi. Boemondo e i suoi – in netta inferiorità numerica

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– affrontando per due ore gli attacchi riuscirono a resistere sino all’arrivo del resto dell’armata. Alla fine furono gli occidentali a prevalere, ma a costo di gravi perdite. Dopo gli scontri a Dorileo, i Turchi scelsero la tattica della terra bruciata, incendiando i campi ed evitando scontri frontali. L’armata crociata patì per la prima volta la fame e la sete, si annoverarono le prime defezioni. Intanto i capi della spedizione si divisero e si dispersero a caccia di città da conquistare; oltretutto da quelle parti vivevano gli Armeni, bendisposti (al punto cedere dei possedimenti) verso chi potesse aiutarli nelle loro lotte. Tancredi e Baldovino assaltarono la Cilicia; il primo riuscì a prendere le città di Tarso e Adana, ma dovette poi cederle al secondo che disponeva di forze maggiori. Baldovino ricevette poi la notizia della volontà del vecchio re armeno, Thoros, insediato in Edessa, di nominarlo suo erede, e senza esitare si reca ad accettare l’adozione. Un mese dopo, scoppiò “provvidenzialmente” in Edessa una rivolta, in cui il vecchio re trovò la morte. Così, nel marzo 1098, Baldovino diventò signore di Edessa, rifiutandosi categoricamente di “restituire” la città all’Imperatore e fondando il primo stato crociato. Intanto Raimondo di Tolosa e Boemondo di Taranto avevano piegato alla volta di Antiochia, mirando alla sua conquista. V. 3 - La presa di Antiochia e Gerusalemme. Antiochia è una città dalle forti difese, sia naturali – sorgendo s’un fianco del monte Silpio e con l’altro lato protetto dal corso del fiume Oronte – sia strutturali, con una efficace cinta muraria e una cittadella dominante sull’acropoli. Per assalirla occorre muoversi in mezzo a una plaga fangosa, mentre gli assediati possono organizzare sortite continue contro gli accampamenti avversari. I crociati su questo fronte cominciano a patire sul serio la fame e malattie come la dissenteria, e sono costretti a destinare uomini alle cavalcate a caccia di cibo. Il 23 dicembre una di queste spedizioni di foraggiamento – capitanata da Boemondo e Roberto di Fiandra – cade in un’imboscata, perdendo molti cavalieri e tutto il cibo razziato. Carestia e malattie si aggravano, tanto da colpire anche alcuni capi dell’armata, che si ritirano verso la costa in cerca di un’aria più salubre; aumentano anche le defezioni.

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STORIA Intanto giunge la notizia che l’Atabeg di Mossul, Karbuqua, dopo aver assediato inutilmente per tre settimane Edessa, sta dirigendo proprio in soccorso di Antiochia, al comando di un esercito più numeroso di quello crociato. Non bisogna, però, sottovalutare la fame di conquista dei capi crociati, che non desistono. Boemondo in particolare, potendo contare sulla collaborazione di un Armeno a guardia di una delle torri esterne della città (si favoleggiava fossero quattrocento), da lui corrotto, lancia una sfida agli altri capitani dell’armata: Antiochia sarebbe stata del primo capitano che fosse riuscito a entrarvi. Sempre Boemondo, accusandolo di patteggiare con i Turchi, riesce inoltre a irritare il comandante bizantino Tatikios (il quale pretendeva la consegna della città al proprio imperatore) al punto da indurlo ad andarsene, con tutte le sue truppe. All’alba del 3 giugno 1098 parte l’assalto. Alcuni uomini di Boemondo scalano le mura, s’introducono all’interno della città e riescono ad aprire le porte all’armata occidentale. Antiochia è così presa, il suo signore viene ucciso durante la fuga, e solo alcuni superstiti della guarnigione turca riescono a chiudersi nella cittadella sull’acropoli. Il giorno seguente, arriva l’esercito di Karbuqua, che assedia i crociati all’interno della città. Vi sono ora bandiere turche sia sulla piana davanti alle mura che sulla cittadella; ma i crociati, presi in mezzo, resistono. Uno dei capi ammalatisi e stanziatisi sulla costa, Stefano di Blois, vedendo in quale situazione disperata si trovano i propri compagni si scoraggia e si ritira, insieme al suo esercito. Il 9 giugno i Turchi sferrano il loro primo assalto alla città, che viene respinto ma a prezzo di gravi perdite. Lo scoramento fra le file degli occidentali raggiunge il culmine e l’armata comincia a disgregarsi. Semplici poveri che avevano iniziato quel cammino con puro spirito penitenziale, ma anche cavalieri e signori, si calano giù dalle mura con delle funi per fuggire; è in seguito a questo episodio che viene coniato – spregiativamente – il termine “funambolo”. Ecco, però che, dalla base popolare della Crociata, nel momento più critico si riaccende lo spirito miracolistico ed escatologico dell’impresa. Alcuni poveri al seguito di Raimondo di Saint Gilles cominciano ad . Termine turco-selgiuchide che letteralmente significa: “Padre del Signore”, indicando così il tutore di un principe. Nella pratica, era questo il titolo dei governatori delle province del sultanato selgiuchide.

La Battaglia di Antiochia avere delle visioni. Un certo Bartolomeo afferma di aver sognato Sant’Andrea, San Pietro e il Cristo stesso, che gli avevano assicurato la vittoria già prima della presa della città. I capi sono increduli, ma Bartolomeo offre una prova: sostiene che in sogno gli è stato rivelato che in un certo punto sotto il pavimento della cattedrale di San Pietro in città, si trova la Santa Lancia (quella con cui il centurione Longino aprì una ferita nel costato del Cristo crocefisso). Vengono effettuati gli scavi e, a quanto pare, una lancia venne trovata davvero. Rinasce la speranza, sembra chiaro ora che Dio vuole che i crociati si salvino, ma in che modo? I capi dell’armata inviano un’ambasciata a Karbuqua, offrendogli di convertirsi o, in caso di rifiuto, di affrontare i migliori fra i crociati con un numero limitato di uomini, una scelta determinata dal fatto che a disposizione degli assediati sono rimasti solo un migliaio di cavalli. Karbuqua rifiuta, desiderando una battaglia vera, in campo aperto. Il 28 giugno allora i due eserciti si dispongono sulla piana dinanzi ad Antiochia e si scontrano.

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Storia FANTASY La superiorità numerica dei musulmani è schiacciante, ma pare che tra essi aleggi la discordia; cronache musulmane riferiscono di un’irritazione degli alleati verso Karbuqua, per la sua arroganza e per il modo (insoddisfacente) con cui aveva condotto l’assedio a Edessa. In breve, nel bel mezzo della battaglia frange dell’esercito turco si allontanano, gettando presumibilmente lo scompiglio fra le fila dell’Atabeg. I crociati, già esaltati da furore mistico, riportano una clamorosa vittoria e c’è chi giura di aver visto combattere al proprio fianco i santi militari Giorgio, Demetrio e Mercurio. Il trionfo contro i turchi non scaccia l’epidemia; alla dissenteria si aggiungono il colera e la peste. Di malattia muore Ademaro, capo spirituale della spedizione voluto da Urbano II. Al che i comandanti si riuniscono per scrivere una lettera al papa: che venga lui a fare la sua guerra ed a conquistarsi il suo pezzo di terra. Urbano II non risponde, ma comincia a predicare l’invio di forze nuove ad Antiochia. Tuttavia, nel 1099, il papa muore senza poter apprendere di persona della conquista di Gerusalemme. Intanto i crociati restano ad Antiochia, i capi divisi

I macchinari da guerra dei Crociati

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dai mai sopiti appetiti di terre. Boemondo rivendica la città in virtù della sfida a cui gli altri baroni hanno aderito, ma a pretenderla è anche Raimondo di Saint Gilles (per sé, o forse, come afferma, per restituirla all’imperatore Alessio); la lite sfiora lo scontro armato. Ma la truppa disapprova, vuol proseguire per Gerusalemme, e Raimondo è costretto a rimettersi in marcia lasciando (con chissà quale rimpianto) Boemondo a signoreggiare su Antiochia. Il 5 gennaio 1099 viene conquistata la città di Ma’arat. Intanto il cammino dei crociati superstiti viene facilitato da appoggi inaspettati: la zona è infatti divisa fra potentati turchi in lotta fra loro, e alcuni di essi trovano conveniente cooperare con gli occidentali fornendo cibo e cavalli. La marcia d’avvicinamento alla Città Santa termina ai primi di giugno del 1099 (il 6 di quel mese è conquistata Betlemme). L’assedio a Gerusalemme è assistito dal “puntuale” arrivo della spedizione navale genovese, lo smantellamento delle cui navi procura il legname per costruire le macchine da guerra che serviranno poi per la conquista della città. Il 15 luglio, dopo aver ricoperto i fossati attorno alle mura, comincia l’assalto. Sia Goffredo di Buglione che Raimondo di Saint Gilles riescono a scavalcare le mura ed a sciamare all’interno di Gerusalemme, da lati differenti. I soliti visionari giurano di aver visto il resuscitato Ademaro incitarli alla conquista. Dopo tanto viaggiare, faticare e patire, lo spirito escatologico riprende il sopravvento, in città i crociati fanno strage di soldati e civili (anche non musulmani) e nelle cronache poi si compiacciono di riportare, anche esagerando, il bagno di sangue a cui si sono abbandonati, giustificandolo come una “vendetta di Dio”. Compiuta la fatica della conquista e il dovere/piacere della strage, si pone il problema del governo della città. Il clero prova a imporre una teocrazia retta da un legato papale, ma i signori – che guidano la vera forza della crociata – eleggono unitariamente, il 22 giugno 1099, Re di Gerusalemme Goffredo di Buglione (che preferisce farsi definire “Difensore del Santo Sepolcro”), il quale affida la guida del clero e la cura delle anime a Pietro l’Eremita, il frate e predicatore popolare che aveva aizzato alla Crociata gli strati più poveri di Francia in nome di Dio e non del Papa. Dall’Egitto arriva la notizia che un’armata fatimita è in marcia per riprendersi la città. La cosa, lungi dall’atterrire i conquistatori di Gerusalemme, sembra andare incontro alle visioni profetiche che predissero

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STORIA (dopo la conquista di Gerusalemme) l’arrivo dell’Anticristo e del suo esercito di demoni; ciò avrebbe – secondo le profezie – anticipato il Secondo Avvento di Cristo. Lo scontro con l’esercito egiziano avviene l’11 agosto 1099 ad Ascalona, e – esaltati come sono – i crociati riescono facilmente a mettere in rotta l’armata nemica. Lo scontro previsto dalle multiformi profezie, naturalmente, avviene e si svolge fra uomini; dell’Anticristo e Cristo Ritornato non vi fu traccia. Il mondo e la Storia continuano con le loro divisioni ed ingiustizie. Delusi, decimati e arricchiti più d’esperienza che altro, la gran parte dei crociati si congeda dalla Terrasanta e se ne torna in Occidente. I nuovi regni crociati vengono così lasciati sguarniti di difensori (una peculiarità cronica della breve vita di quegli stati d’oltremare) e la frattura con Bisanzio – seguita allo scisma di neanche cinquanta anni prima – d’ora in poi diviene un solco profondo che dividerà Oriente ed Occidente. In ogni caso, questa I Crociata rimane nell’immaginario – e anche nella giurisdizione organizzativa – delle crociate seguenti come il modello di riferimento. V. 4 – Il movimento crociato nel secolo XII. Dopo la conquista di Gerusalemme, gli uomini che si recarono in Terrasanta furono innanzitutto dei pellegrini, anche quando al voto di pellegrinaggio associarono quello di combattere per qualche tempo in difesa degli stati latini di Palestina. Durante la II e la III Crociata, gli appartenenti agli eserciti provenienti dall’Europa distinsero la missione di pellegrinaggio da quella di Crociata, e gl’interessi materiali del Papa dal loro personale senso religioso ed etico. La conquista dei diversi capisaldi in Palestina aveva reso certamente più semplice l’afflusso di ulteriori rinforzi ai vari potentati locali, ma erano pochi coloro che, una volta assolto al compito di pregare sul Santo Sepolcro, rimanevano stabilmente a difendere quelle terre. Il movimento di colonizzazione era di scarsa consistenza e, in più, gli occidentali che si erano recati a cercare fortuna in Palestina assunsero ben presto modi di fare e mentalità del luogo, sempre più distanti da quelle dei i crociati venuti a combattere. Gli stati di Edessa, Antiochia, Gerusalemme e Tripoli erano naturalmente impostati sul modello vassallatico-signorile di per sé fragile, soprattutto in

Goffredo entra in Gerusalemme quei luoghi, circondati da stati islamici che si stavano riorganizzando e unendo contro il nemico comune: i Franchi (così come venivano chiamati nelle cronache di parte islamica i crociati di Palestina). Gli eserciti occidentali, oltretutto, confidavano troppo nella forza d’impatto delle cariche della cavalleria, che andava appesantendo via via le proprie corazze, mentre i Turchi erano buoni cavallerizzi e prediligevano manovra e tattica alla mera forza bruta dell’impatto frontale; cosa che, assieme alla maggior facilità di cui godevano gli eserciti turchi e arabi nel rifornimento, una volta trovata una guida unitaria fornì a questi ultimi un vantaggio decisivo. La superiorità militare turca si riscontrò già nell’ottobre del 1147, quando (a Dorileo) l’esercito dell’Imperatore Romano-Germanico, Corrado III, incappò in un’imboscata organizzata dai Turchi, i quali, con una finta fuga, attirarono la disordinata cavalleria crociata, isolandola dalle fanterie e massacrandola. La formazione degli ordini religioso-militari, fu anche una risposta a questa mancanza di disciplina e alla ritenuta eccessiva irruenza dei cavalieri occidentali. Ospedalieri, Templari e Teutonici adottarono regole

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Storia FANTASY di vita monastica e si organizzarono meglio di qualsiasi altra compagine militare d’Occidente. Grazie al loro continuo addestramento, si mostrarono efficienti in battaglia e vennero presto considerati “il fiore della cavalleria occidentale”. Tuttavia il loro numero era inevitabilmente limitato (anche durante il periodo di loro maggiore fame e fortuna, a cavallo dei secoli XII e XIII) e, in più, queste truppe rispondevano unicamente alle loro gerarchie interne, le quali si richiamavano esclusivamente al Papa (almeno sin quando i Gran Maestri non cominciarono a comportarsi con una maggiore indipendenza). Ciò causò difficoltà d’integrazione nel comando e un nuovo fattore di frammentazione e di lotta politica all’interno del fronte crociato. Alla cavalleria, in ogni caso, le Crociate del XII secolo offrirono grandi possibilità di esprimere i propri valori. Le imprese memorabili di cavalieri e principi durante la I, la II e la III Crociata entrarono nella produzione letteraria cortese, creando e prolungando il mito dell’Età dell’Oro della Cavalleria. Durante la II Crociata, Luigi VII, re effettivo dell’Ile de France e nominalmente dell’intera Francia attuale, giunse, assieme alla moglie Eleonora di Aqui-

Goffredo impone tributi agli Emiri

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tania,

ad Antiochia – il signore della città è peraltro Raimondo, zio di Eleonora – con l’intento di attaccare Edessa (caduta due anni prima, nel 1144, nelle mani del nuovo Atabeg di Mossul, Zengi). Decise tuttavia di cambiare piani e visitare prima il Santo Sepolcro a Gerusalemme, ove si trovano già Corrado III, sopravvissuto al disastro di Dorileo, e altri reduci da quello stesso scontro. A Gerusalemme, contro il parere dei signori locali, venne presa la decisione di attaccare Damasco (ove si era asserragliato Zengi) ma davanti a quella città i resti dell’armata crociata incontrarono una disfatta: senz’acqua né cibo e all’approssimarsi di un esercito turco, si disfecero e i vari contingenti ripresero la via d’Europa. Per di più una flotta bizantina attaccò le navi francesi di ritorno e ne catturò alcune, facendo prigioniera proprio Eleonora di Aquitania – che nel frattempo aveva divorziato da Luigi e si era unita in seconde nozze col vassallo Enrico II, duca di Normandia e futuro Re d’Inghilterra, portandogli in dote il ricco ducato d’Aquitania (fatto foriero di scontri in seguito fra le due monarchie). Questi avvenimenti portarono a uno scoramento e a un affievolimento dello spirito di crociata, al contrario il Jihad che Zengi aveva iniziato a propagandare senza troppo successo, ora beneficiò di un nuovo slancio trovando una guida di prima grandezza sin dal 1174, con il generale d’origine curda Salah el-Din, che si guadagnerà fama durevole fra i latini col nome di “Saladino”. Egli compì un passo importante nella propaganda del Jihad, affermando che la Palestina è patrimonio dell’Islam e Gerusalemme suo luogo sacro. Con Saladino, Jihad e Crociata coincidono anche sul piano teorico. Salah el-Din, riuscì dove i suoi predecessori avevano fallito: s’impadronì dell’Egitto scacciandone i fatimiti e in seguito conquistò Damasco (1174) e Aleppo (1183), riunendo così gli stati musulmani della regione sotto il proprio comando. Gerusalemme tuttavia resistette, difesa efficacemente dal suo re, Baldovino IV il Lebbroso, nonostante la scarsità di uomini, con l’aiuto anche dell’Ordine di S. Lazzaro composto da cavalieri lebbrosi come il signore della Città Santa. Nel 1185, con la morte di Baldovino, la contesa per la successione infuriò fra i vari signori cattolici della zona, dividendo ulteriormente le forze dei cristiani. Il Saladino ne approfittò per tornare all’attacco. Lo affrontò uno dei pretendenti al trono di Gerusalemme,

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STORIA Guido di Lusingano, aiutato e (mal) consigliato dai Templari guidati dal loro Maestro, Gerardo di Richefort. Lo scontro decisivo, al quale parteciparono anche Ospedalieri e Teutonici, si svolse nella località passata alla storia col nome di Corni di Hittin (1187), un luogo scelto per i campi pianeggianti che promettevano un buon terreno di manovra per la cavalleria. Il Saladino, sapendo che quel luogo è lontano da ogni punto d’approvvigionamento d’acqua, fece incendiare i campi attorno alle posizioni su cui si sono attestati i crociati, esponendo questi ultimi e i loro cavalli al caldo e alla sete. La battaglia si risolse in un (lento) massacro, i crociati che non morirono sul campo vennero fatti prigionieri, ma gli Ospedalieri ed i Templari catturati furono trucidati. Eliminata la maggior forza avversaria in campo, Salah el-Din ebbe buon gioco nell’espugnare le fortezze crociate in Samaria ed in Galilea, e nel conquistare Ascalona e l’intera zona costiera ad eccezione di Tiro. Stretta in una morsa, Gerusalemme cadde nelle sue mani il 2 ottobre 1187. Dopo la presa della città, le chiese latine (ma non quella del Santo Sepolcro e le chiese di rito orientale) vennero trasformate in moschee e le croci fatte rimuovere. La notizia della disastrosa sconfitta di Hittin e della capitolazione di Gerusalemme – così come della gran parte del territorio in Palestina – genera grande impressione in Occidente, dove si comincia subito a predicare una nuova Crociata, la terza. Questa volta, pare, all’appello risposero più i re e i signori che gli strati popolari, se si eccettuano contingenti detti “dei frisoni” e “dei danesi” non guidati da nobili di alto lignaggio. Il maggior numero di crociati li misero insieme i re di Francia, Inghilterra e l’Imperatore di Germania, Federico Hohenstaufen, detto il Barbarossa, che riuscì a mobilitare all’incirca 15.000 uomini di cui 3.000 cavalieri. Filippo Augusto, Re di Francia pagò personalmente per imbarcare su navi genovesi 650 cavalieri e 1300 scudieri; imprecisate furono invece le cifre sul contingente inglese al seguito di Riccardo Cuor di Leone, che si ritiene sia stato superiore agli appena 2.000 uomini messi in campo dai francesi. Quindi, la cifra totale dei crociati partiti dall’Occidente non doveva superare di troppo le 20.000 unità, di cui 5.000 o forse meno i cavalieri. Federico Barbarossa era settantenne alla data della sua partenza per la Terrasanta (27 marzo 1187) ed era animato dalla sua politica imperiale (che guardava

L’armata siriana dopo una tempesta di sabbia a Carlo Magno e all’Impero Bizantino), oltre che dal mito escatologico tutto germanico detto de “L’Ultimo Imperatore” (per cui l’avvento del Cristo e l’Ultima battaglia avrebbero dovuto essere preceduti dalla liberazione di Gerusalemme per mano di un imperatore tedesco). Federico guidò il suo contingente ben organizzato per l’Ungheria e i Balcani, ma il successivo passaggio per Costantinopoli rappresentava un problema giacché gli imperatori bizantini preferivano venire a patti con il Saladino anziché aiutare gli eserciti crociati. Minacciando di prendere d’assalto la città, Federico ottenne dall’imperatore orientale Isacco il permesso di transito lungo lo stretto dei Dardanelli, ma senza poter far scorta di viveri e acqua. Giunto in Anatolia il Barbarossa si diresse a Iconium, città in mano ai Turchi, espugnandola e procedendo poi verso la Cilicia ove però, nel tentativo di attraversare a nuoto un fiume, il vecchio imperatore morì (10 giungo 1190). La sua armata a quel punto si disgregò, alcuni rinunciarono e tornarono indietro, altri vagarono per l’Anatolia senza meta, e solo una parte di questi decise di continuare verso la Palestina

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Storia FANTASY sotto la guida di Federico di Slavonia. I resti dell’esercito tedesco arrivarono ad Acri, ove si unirono all’avanguardia francese di Enrico di Champagne e alle truppe portate dal Normanno Guglielmo di Sicilia. Tutti insieme, questi contingenti, cinsero d’assedio la città, rinforzati dal rimanente delle truppe che continuarono ad arrivare dal marzo 1189 al luglio 1190, anche se ancora mancavano – ed erano attesi – Filippo Augusto con i suoi appena 2000 Francesi e Riccardo Cuor di Leone con i suoi più di 2000 Inglesi. Filippo e Riccardo, relativamente vicini d’età (25 anni per il sovrano francese e 33 per quello inglese), erano in stretti rapporti – oltre a essere il secondo vassallo (teorico) del primo, a Riccardo è stata promessa in sposa la sorella del Re di Francia, Elisa – e si coordinarono, dandosi appuntamento a Messina prima di dirigersi insieme alla volta della Terrasanta. I due avevano messo insieme i loro contingenti anche attraverso una tassa imposta ai propri sudditi, la cosiddetta Decima Saladina, indice del raggiunto grado di controllo delle due monarchie sui rispettivi domini. La figura che risaltava per abilità militare e temperamento cavalleresco era sicuramente Riccardo, il quale, stanco di attendere le sue navi che dall’Inghilterra avrebbero dovuto passare a prenderlo (ma “distrattesi” con la partecipazione alla presa di Lisbona) si recò da Marsiglia a Messina marciando lungo l’Italia. Durante il passaggio italiano mostrò il suo temperamento indipendente e tracotante, tanto che il papa Clemente III – con il quale era in atto un conflitto – lo paragonò all’Anticristo. Nonostante l’epiteto papale, il sovrano inglese continuò la propria discesa della penisola indisturbato. Raggiunti i territori dei suoi lontani parenti – i Normanni d’Italia – e fatto un ingresso – trionfale – nella città dello stretto, il sovrano inglese venne a sapere che sua sorella Giovanna, vedova del re Guglielmo, veniva tenuta prigioniera da Tancredi di Lecce (che si era impadronito del trono). Prontamente gli diede battaglia costringendolo a restituirgli la prigioniera e a versargli un risarcimento in oro, una parte del quale consegnò a Filippo Augusto, in virtù dell’accordo in precedenza preso di spartirsi i bottini fatti nell’impresa. Riccardo ripartì poi alla volta dell’isola bizantina di Cipro di cui s’impadronì facendone una base per le future operazioni dei crociati, e aumentando nel contempo il suo considerevole tesoro personale. L’8 giugno del 1191 il contingente giunse ad Acri,

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città ancora assediata da quei soldati che l’avevano preceduto, e che a loro volta erano adesso incalzati da un esercito guidato dal Saladino. L’arrivo della flotta anglo-francese – che aveva il predominio sul mare – rianimò i crociati e indusse i difensori della città ad arrendersi, il 13 di luglio. Dopo la presa di Acri, Filippo Augusto, ricevette la notizia di un territorio vacante nelle (ricche) Fiandre il cui signore era deceduto , e rientrò in patria pronto a impadronirsene, ma lasciò i suoi uomini sul posto al comando di Guido di Borgogna, cedendo a Riccardo il comando unico della Crociata. Il re inglese, però, dovette vedersela con dispute interne e fare da mediatore in una lotta per la successione al trono di Gerusalemme fra Guido di Lusignano (il perdente dei Corni di Hittin) e Corrado di Monferrato. In quell’occasione si ebbe, con l’assassinio di Corrado, la prima manifestazione nella storia delle crociate dell’operato degli hashishiyyn , che tanta fama acquisiranno nella letteratura cavalleresca del tempo e successiva. Alle divisioni interne tra i crociati sopperirono l’abilità militare e la perizia tattica di Riccardo, che riuscì a sconfiggere il Saladino ad Arsuf il 7 settembre 1191, dimostrando per la prima volta che il generale musulmano non era imbattibile come si favoleggiava. In seguito alla vittoria, entro dicembre quasi tutta l’area costiera passò sotto mano crociata, e il sovrano inglese poté cominciare la marcia verso Gerusalemme, arrivando però in vista della città solo nel giugno dell’anno successivo, il 1192. Intanto, inquietanti notizie gli giunsero dall’In . Era divenuta, nel frattempo, prerogativa della regalità capetingia, il pretendere l’eredità di quei territori i cui signori decedevano senza lasciare eredi. . Hashishiyyn: setta segreta musulmano-sciita, fondata dal persiano Hasan al-Sabbah nel 1090, organizzata militarmente e con fanatismo religioso e dedita alla pratica degli assassini politici. Hashishiyyn significa letteralmente “Mangiatori di Hashish”, sostanza attraverso la quale il capo della setta – il famigerato Vecchio della Montagna – otteneva una tale e incondizionata obbedienza dai propri adepti da convincerli a gettarsi da una rupe a un suo ordine (almeno così si favoleggiava). I termini “assassinio” ed “assassino” derivano da questi figuri. L’organizzazione aveva sede in una fortezza posta sul culmine di una montagna nell’attuale Iran nord-orientale, ritenuta inespugnabile fin quando i Mongoli non dimostrarono il contrario. Al massimo della sua forza, la setta annoverò circa 60.000 adepti. Venne sradicata nel 1256 da Hulagu, khan mongolo, che espugnò una ad una le fortezze hashishiyyn sino alla cattura ed all’esecuzione dell’ultimo Vecchio della Montagna Rukn ad-din. Il ramo attivo in Siria sopravvisse sino al 1273, finché non subì la stessa sorte di quello iraniano per opera del sultano egiziano Baibars.

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STORIA ghilterra: il fratello Giovanni si stava accordando con il re di Francia per spodestarlo. Riccardo si vide così costretto ad abbandonare l’impresa prima di averla portata a compimento. Allo scopo di porre fine alla contesa per i luoghi sacri, prima di partire propose il matrimonio tra la sorella Giovanna (che dopotutto aveva liberato dal brutale Tancredi) e il fratello del Saladino. Giovanna, però, rifiutò recisamente. Venne comunque fissata una tregua di tre anni, tre mesi e tre giorni (3 settembre 1192), e riconosciuto agli occidentali il possesso di tutta la zona costiera da Tiro a Giaffa, col diritto per tutti i pellegrini inermi di entrare in Gerusalemme e visitare liberamente il Santo Sepolcro. Nonostante l’accordo, Riccardo considerò incompiuta la sua opera, e si rifiutò di andare a visitare la tomba di Cristo e sciogliersi così dal voto penitenziale, meditando invece di promuovere in seguito una nuova spedizione e tornare per fronteggiare il suo rivale Salah el-Din. Anche questi piani del Cuor di Leone, però, andarono in fumo. Passando per le terre del duca Leopoldo d’Austria, infatti, venne fatto prigioniero – nonostante la protezione accordata dalla legislazione papale a tutti i crociati – e tenuto in cattività, anche perché a tal fine il duca austriaco era stato pagato da Filippo Augusto e da Giovanni, fratello di Riccardo. Sarà sua madre Eleonora a pagare i 100.000 marchi per il riscatto. La figura di quest’ultima assunse anche il ruolo, fra il subordinato, il salvifico e quello di “prezioso premio da conquistare o elargire in dono”, della tipica donna (“tipica” almeno come dama d’alto lignaggio) della letteratura cavalleresca. Le vicende di Riccardo Cuor di Leone entrarono infatti di diritto nel novero delle leggende cavalleresche e vi si riscontrano molti elementi ripresi dai compositori di corte. Il destino ultimo del Re inglese andò a coincidere con un altro topos letterario: tornato infine in patria e rappacificatosi col fratello Giovanni (che durante la sua assenza era riuscito a perdere quasi tutti i possedimenti del casato in Francia) si diede a guerreggiare contro il suo rivale ed ex compagno di avventura, Filippo Augusto; ma, il 6 aprile 1199, il grande condottiero che era riuscito a sconfiggere sul campo di battaglia perfino l’imbattibile Saladino, venne ucciso – durante l’assedio al castello di Chalus – da una singola freccia. L’odio dei cavalieri per le armi a getto, sarà mito e realtà sino alla loro fine.

Le illustrazioni presenti nell’articolo sono opera di Gustave Dorè, tratte da “Storia delle Crociate” fonte: ArtPassions (http://dore.artpassions.net/) Conclusioni. Al termine del secolo XII, ecco che la cavalleria occidentale ha compiuto i suoi passi decisivi fino alla formazione della cavalleria di rito, del suo mito e del suo corredo di soluzioni tecniche e tattiche. Ciò fu possibile grazie a nuovi protagonisti della scena politica, i sovrani (universalisti o regionali/ nazionali) che riuscirono a coordinare attorno a sé le forze di regioni più estese di quelle di loro stretta appartenenza. Impegnandosi nelle Crociate, i cavalieri incontrarono nuove culture e nuovi modi di combattere a cavallo, e furono costretti per forza di cose a cambiare il proprio stile di combattimento e cercare di darsi ordine e disciplina. Per questo motivo ebbero tanto successo gli ordini religioso-militari che però rifiutavano gli ideali cavallereschi per abbracciare uno stile di vita diviso fra preghiera e guerra. Fra vittorie e sconfitte, atti di viltà e d’eroismo glorioso, la cavalleria medievale progredì e maturò sino a riuscire nel suo originario intento: divenire una casta chiusa associata all’ordine dei privilegiati laici, la costituenda nobiltà. È, infatti, col passaggio dal XII al XIII secolo che inizia la chiusura nobiliare in cui viene iscritta anche la cavalleria, ai cui ranghi verrà progressivamente negato l’accesso a chiunque non fosse in grado di vantare natali nobili o cavallereschi. Nel chiuso di quelle insule che erano le corti signorili, separati dal resto della società che li circondava da un solco che andava ben oltre il semplice spessore di mura, i cavalieri vissero il loro secolo d’oro. Ma, nel divenire della Storia, i motivi per cui si erano impegnati, le monarchie per cui avevano combattuto e combatteranno ancora (ricevendo promozione sociale), la società europea stessa (di cui i cavalieri sono solo uno dei tanti frutti), cominciano a evolversi e a maturare i semi dei processi che decreteranno – di lì a due o tre secoli – la fine del sogno cavalleresco. n Francesco Coppola

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Lettura

Lettura

FANTASY

il ciclo di:

VIDESSOS

- La Legione Perduta -

(The misplaced legion - H. Turtledove, 1987) di Stefano Baccolini

G

allia 56-57 a.C. Un distaccamento romano di nove manipoli è in missione esplorativa per conto di Cesare nel territorio dei Lexovii. Un’imboscata tesa da questi ultimi costringe il giovane e inesperto Marcus Aemilius Scaurus ad accettare un duello con uno dei capi celtici locali, Viridovix. Dal loro incrociarsi di spade (entrambe non lame comuni) scaturirà una sfera di luce che condurrà i soldati Romani e il condottiero celta in una dimensione parallela, dando l’avvio a una delle più appassionanti e innovative saghe fantasy degli ultimi anni. Dico questo a ragion veduta e in un certo senso faccio eco all’entusiastica presentazione di Alex Voglino, anch’essa assolutamente da gustare. Voglino in primis evidenzia come per la prima volta troviamo un autore, Harry Turtledove, che si appoggia all’ampia tradizione classica per creare un immaginario fantasy: esperimento assolutamente riuscito. Turtledove ama quello che definirei uno sperimentalismo sociale e ucronico, catapultando questi Romani, vissuti nel I secolo a.C., in un mondo che è tutto e per tutto la Bisanzio dell’XI secolo d.C.. A chi, dunque, esitasse nell’affermare che quelli di Turtledove sono romanzi di fantasy storica, dico di riporre le proprie perplessità, è proprio così. L’autore americano si ispira a David Eddings, ma, a differenza del suo maestro, utilizza il proprio background storico per creare uno scenario assolutamente verosi-

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Lettura: La Legione Perduta


FANTASY mile anche se non originale. La trasposizione di questo scenario, a un non bizantinista come me, sembra abbastanza accurata con la sua riproposizione dei contrasti tra nobiltà militare, costituita dai proprietari terrieri, e quella che potremmo definire una nobiltà burocratica. Per quanto riguarda l’ambito antico qualcosa invece zoppica: si parla di legioni manipolari e non di legioni coortali, vengono confusi gli hastati con i triarii (hastatus in latino significa portatore di lancia, ma i veri portatori di lancia nella legione manipolare erano i triarii) e più generalmente è presente un certo pregiudizio, un po’ démodé, che ritiene i popoli antichi più ingenui e le civiltà evolute scafate e corrotte. Ma queste sono inezie. Troverete, ben celate all’interno della trama, alcune citazioni provenienti da autori antichi, come la parabola del faraone Sesostris III (faraone del Medio Regno che governò l’Egitto dal 1878 al 1843 a.C.) e del suo carro, che trova ispirazione dalle pagine di Diodoro (Storie, I, 58). Anche alcuni personaggi calcano la scena della fantasia sulla scorsa della realtà: i litigiosi Pullo e Voreno li troviamo già battagliare nelle pagine di Cesare (De Bello Gallico, 5, 44), e chi credete che sia Alypia, la seriosa figlia dell’imperatore con interessi storici, se non la famosa Anna Comnena, storica bizantina con sangue imperiale. I personaggi sono, dunque, anch’essi assai realistici: non vi aspettate le bicromatiche contrapposizioni tolkieniane tra buoni e cattivi. Le sfumature di grigio sono innumerevoli ma, se manca il candore da un lato, dall’altra parte c’è un protagonista negativo più nero della notte stessa, contro il quale alla fine tutti convergeranno. È un mago di nome Avshar, le cui origini appaiono sconosciute nel primo romanzo, ma nel corso dei successivi tre acquisirà sempre maggior spessore; Turtledove svelerà soltanto alla fine la verità sulla sua natura. La narrazione gravita attorno al protagonista, il giovane tribuno Marcus Aemilius Scaurus, dal carattere deciso nonostante la giovane età, e dalle capacità politiche assai accentuate; nonostante le frequenti burrasche, in qualche modo lo vedremo sempre riemergere intatto. Ma Scaurus è anche un uomo che ama, e per via dell’amore vivrà tutta una serie di interessanti avventure che lo vedranno sballottato fin nel cuore del nemico di Videssos (la Bisanzio alternativa di Turtledove), il regno di Yezd. Il personaggio sicuramente più interessante e riuscito è il centurione anziano Gaius Philippus, monumento vivente alla praticità romana, ma allo stesso

I Libri di Videssos Ciclo della Legione Perduta La Legione Perduta (The misplaced legion - 1987) Un Imperatore per la Legione (An Emperor for the legion - 1987) La Legione di Videssos (The legion of Videssos - 1987) Le Daghe della Legione (Swords of the legion - 1987)

Ciclo di Krispos L’ascesa di Krispos (Krispos rising - 1991) Krispos di Videssos (Krispos of Videssos - 1991) Krispos l’Imperatore (Krispos the Empereor - 1994)

Ciclo dell’Età dei Disordini Il Trono Rubato (The Stolen Throne - 1995) L’Ora della Vendetta (Hammer and Anvil - 1996) Le Mille Città (The Thousand Cities - 1997) La Città Assediata (Videssos Besieged - 1998)

Inediti Bridge of the Separator - 2005

Lettura: La Legione Perduta

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FANTASY tempo timido nelle relazioni affettive e sagace nello scambio di battute (“Ho detto all’imperatore di infilarsi la sua proposta dove un sodomita l’avrebbe apprezzata”). Per un uomo come lui la magia rappresenta, più che per altri, una sfida alle proprie convinzioni ma saprà, al momento giusto e ben piantato dietro il suo scutum, opporsi anche alla violenza e all’abilità del malvagio Avshar. Il medico Gorgidas, un greco originario di Elis, è un altro interessante protagonista di questa vicenda, non posso dirvene la ragione altrimenti… svelerei ogni cosa; ma, a differenza di molte epopee fantasy, dove l’amore adolescenziale sembra essere una caratteristica imperante soprattutto negli ultimi “capolavori” celebrati dalla massa minorenne, qui con Gorgidas troviamo una storia d’amore tutta particolare, che rende questo mondo fantastico più vicino al nostro. Gorgidas è anche un medico di scuola ippocratica e, di fronte ai miracolistici risultati della medicina magica videssiana, dovrà mettere alla prova la sua innata razionalità per apprenderla. Ha ancora una volta un sottile riferimento alla realtà l’interesse che questo dottore rivolge alla Storia: un medico, come lo storico, osserva i sintomi e offre diagnosi e di questa forma mentis erano ben consci gli storici greci antichi. Viridovix, infine, antagonista di spada di Scaurus e unico celta a essere trasposto nella magica Videssos, soffre più degli altri il fatto di essere lontano da casa. Per questo motivo è forse l’unico personaggio che cresce realmente quando alla fine “accetterà” la propria condizione di esule e in un certo senso eleggerà Videssos come sua nuova patria. Molta di questa tristezza rimane, però, nascosta dietro il suo carattere gioviale che gli porterà molte amicizie, innanzitutto tra i suoi antichi nemici Romani, ma anche tra le numerose donne che avrà modo di incontrare. Una piccola postilla sulla magia: essa ha un ruolo minoritario, se non come deus ex machina per dare l’avvio e la conclusione alla vicenda. In un mondo dove la magia sostituisce la scienza, essa non può essere altro che una conoscenza strutturata. Ed eccoci finalmente alla “legge magica della vicinanza e del contagio”, quasi un tormentone in ogni romanzo successivo di Turtledove, anche appartenente a immaginari differenti come il ciclo dell’Oscurità. La religione è un altro aspetto interessante che caratterizza questo mondo fantastico: la contrapposizione tra i due grandi regni rivali di Yezd e Videssos non è solo politica, ma anche ideologica. Yezd è un “impero del male” nel vero senso della parola, essendo

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i suoi abitanti adoratori di Skotos (l’oscurità) mentre i Videssiani credono in un unico dio manifestazione della luce (Phos). In realtà, come si vedrà nel corso della storia, questa contrapposizione religiosa è solo apparente e sfumerà man mano in un classico contrasto di matrice politica, abbandonando i soliti cliché dualistici del fantasy. Ma anche tra gli adoratori della luce esistono varie confessioni e ancora una volta i riferimenti storicizzanti non mancano: Turtledove ci propone, anche se con argomenti dogmatici risibili, una sorta di feticcio del dissidio tra Chiesa Romana e Chiesa orientale attraverso la contrapposizione tra Namdaleni e Videssiani. La narrazione segue generalmente un solo filo conduttore, ma l’autore sperimenterà soprattutto nel terzo e quarto romanzo del ciclo nuovi filoni che alla fine arriveranno a congiungersi in un finale epico. La quadrilogia non ha la tipica prolissità degli scritti di Turtledove e le poche persone narranti rendono la lettura di questi tomi un processo agile e naturale. Una nota dolente è rappresentata dall’italianizzazione dei nomi dei protagonisti nelle ultime edizioni, un processo tutto sommato ridicolo, trattandosi della lingua latina. n Stefano Baccolini

Lettura: La Legione Perduta


I Grandi Illustratori FANTASY

Raven I

Luis Royo

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FANTASY

il ciclo de:

LA SPADA NERA

(Dark Sword - M. Weis e T. Hickman, 1988) di Selena Melainis

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argaret Weis e Tracy Hickman sono due autori prolifici, e di indubbio successo nella narrativa fantasy. Sono noti in primis per il ciclo Dragonlance, che ha avuto una grande fortuna (ed una poco felice trasposizione cinematografica). Conosciutisi durante la stesura di alcune avventure di Dungeons&Dragons (la Weis scriveva sulle sceneggiature di Hickman, lavoravano in pratica per la stessa casa editrice), hanno intrapreso dopo breve tempo una efficace collaborazione letteraria, che ha portato a numerosi cicli e romanzi fantasy divenuti famosi. Il “ciclo della Spada Nera” è composto da tre volumi: La Spada Nera, L’Antica Profezia, Il Trionfo della Spada Nera.

Trama.

In un tempo che pare quello del nostro passato (la corrispondenza verrà confermata nel corso della narrazione), gli uomini dotati di magia, oppressi e messi al rogo quando venivano riconosciuti come streghe, lasciano la Terra per trovare rifugio in un nuovo pianeta: Thimallan. In questo luogo edificano un mondo fondato sulla magia, che è Vita; essa permea tutte le esistenze in un rigidissimo formalismo. Da causa di diversità e condanna diventa strumento del potere, forgia le sbarre di una gabbia invalicabile fatta di riti e imposizioni sociali. Il livello di magia in suo possesso decide la vita di ogni singolo individuo: come deve crescere, chi può sposare, quale tipo di esistenza può condurre… Ogni bambino, alla nascita, è costretto a superare tre prove per dimostrare d’essere in possesso della magia. L’esame viene quasi sempre superato, in misure diverse; ma, in una minoranza pur esigua di casi, il bambino si rivela “non magico”. La sopravvivenza di questi soggetti diventa allora negazione di tutte le fondamenta di Thimallan, intollerabile rischio di diffusione nel mondo di una specie priva di magia, qualcosa da evitare ad ogni costo. Joram nasce con questa maledizione, nasce Morto. Ancora peggio, è il Principe ereditario, e da innumerevoli secoli si tramanda la

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Lettura: La Spada Nera


FANTASY segreta, terribile profezia del Principe che distruggerà il mondo. La sua morte viene decretata ufficialmente dopo il mancato superamento delle prove; l’Imperatore volge le spalle al figlio, mentre solo con fatica, a stento, il neonato viene strappato all’Imperatrice. Il rito per il passaggio alla morte viene celebrato al cospetto di tutta la corte, vestita di blu (feeling blue, in inglese, indica uno stato di depressione, tristezza; da qui il colore del lutto in questo mondo alternativo). L’Imperatrice però si ribella, l’ultimo gesto di una madre disperata: raccoglie le poche energie rimaste e, benché non osi toccarlo, resta a levitare sulla culla del bambino, proteggendolo. Le sue lacrime incidono scie di sangue sulla pelle del neonato. Joram non muore; viene rapito e quindi salvato da una donna che ha perso il suo bambino e che, resa folle dal dolore, alleva il figlio dell’Imperatore come se fosse il proprio. Gli insegna a nascondere la sua menomazione, ad utilizzare ogni risorsa, muscoli, cervello e giochi di prestigio, per coprire con l’inganno la mancanza della magia. Col passare degli anni, l’intelligenza e la volontà di Joram lo spingono a cercare di apprendere l’arte proibita, la Tecnologia: bandita in seguito alle Guerre del Ferro che sconvolsero Thimallan, essa gli permette di vagheggiare la creazione di un’arma micidiale… Non è l’unico d’altronde ad interessarsi a questa Arte, anche altri anelano a quelle conoscenze vietate; il destino li farà incontrare, e proseguire per un cammino guidato da un fato oscuro.

Commento. Come si vive in un mondo in cui il destino è scritto dalle capacità magiche possedute alla nascita? La risposta che pare balzare agli occhi dalle prime pagine di questo ciclo è semplice e diretta: si vive male. Se cercate un fantasy che si sviluppi in modo classico e finisca con un lieto fine, probabilmente questa non sarà l’opera per voi. D’altra parte, essa unisce una trama interessante ad elementi di una certa originalità, come per esempio la presentazione di un intero mondo umano fondato sulla magia, con regole, dinamiche e personaggi di indubbia attrattiva; un pregio per il lettore in cerca di qualcosa di nuovo. Senza contare che gli Autori centellinano con abilità le rivelazioni e le scoperte, mantenendo alta la tensione narrativa durante tutti e tre i libri.

Non si tratta di una storia dirompente, rispetto ai romanzi fantasy in generale: in fondo di mondi alternativi ed eroi non così puri si è sempre sentito parlare; tuttavia, la volontà di stupire e ribaltare certi luoghi comuni è evidente. La suddivisione in caste (un involontario o almeno indiretto omaggio all’India antica, e anche non tanto antica) è un ulteriore elemento di riflessione. Similmente a quanto accade in India, a Thimallan c’è una ragione “magica” e natale alla base della stratificazione sociale, resa particolarmente rigida dal fatto che le differenze magiche, nel mondo ideato da Weis e Hickman, sono oggettive. Anche nel Medioevo la divisione in classi sociali era così intensamente pervasiva e schematizzata, legata ad una precisa situazione economica, e ad una regione (l’Europa, ma una valutazione simile può essere fatta anche per il Medioevo giapponese) ferma e chiusa nei confini blindati di un’economia immobile. Non appena questi fattori mutarono, il cambiamento fu dirompente. A Thimallan i cambiamenti devono ancora arrivare, e tutto è cristallizzato (un simbolo forse ne è l’Imperatrice, ingabbiata e prigioniera della Vita, quando tutto ciò che la riguarda è morte), un mondo chiuso ed ostile. Questa chiusura assoluta richiede una soluzione

Lettura: La Spada Nera

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FANTASY estrema; il timore di una profezia, come sempre accade anche nei miti greci, contribuisce ad avverarla fino alle sue ultime conseguenze: in questo caso, la distruzione totale. Tra gli altri fattori che presentano novità c’è il protagonista del ciclo, Joram. Il classico paradigma del “primattore” puro ed valoroso è stato contaminato da notevoli variazioni fin dagli albori del fantasy, portando a parlare spesso di anti-eroi piuttosto che di eroi, ma Joram riunisce in sé una serie di sfortune uniche: esiliato tra gli esiliati, è un capro espiatorio che si fa carnefice. In un mondo di ombre è l’occhio della tragedia, e di certo non attira tutte le simpatie del lettore, anche se il suo agire è comprensibile. Che dire poi della rigida gerarchia ecclesiastica? Fuggiti alla caccia alle streghe, gli esuli creano una nuova caccia alle streghe rovesciata, perpetrata fin dalla culla, con motivazioni ribaltate: esclusi da un mondo di discriminazioni, ne creano uno ancor più intollerante e chiuso, dove perfino la sessualità è frustrata e controllata (una specie di eugenetica magica: quale modo più sicuro di evitare nascite sbagliate, se non quello di predeterminare con la magia i talenti da abbinare?). Rispecchiando un rifiuto della Chiesa in quanto ordine, classico di certe correnti di pensiero del mondo protestante, sulla gerarchia sacrale cade il biasimo maggiore: inadatta a portare avanti le esigenze dei singoli, è la prima “colpevole”, uno strumento di potere cieco e meccanico. L’unica soluzione pare allora essere la ribellione, e se Joram è il portavoce di questa spinta non ne è però l’unico sostenitore. Saryon, un genio matematico ed un Catalizzatore (il genere più basso di maghi, che hanno la capacità di trasferire energia magica dalla Terra ad altri ma non di usarla in prima persona), è il primo personaggio di cui conosciamo pensieri ed emozioni. Da subito gli Autori chiariscono che anche per lui questo è un mondo oppressivo. La sua via di fuga da un destino che voleva diverso è la Tecnologia, chiamata anche il Nono Mistero (nove sono i Misteri che danno forma alla vita di questo mondo: Tempo e Spirito sono stati persi nelle terribili Guerre del Ferro, mentre Aria, Fuoco, Terra, Acqua ed Ombra permangono tuttora). Quella della Tecnologia è un’arte proibita perché ha causato morte e distruzione nelle Guerre del Ferro, e questa tentazione, questa sete incontrollata di conoscenza porterà Saryon ad avvicinarsi a Joram, a cono-

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scerlo, a tradirlo in una disperata ricerca di normalità ed infine a salvarlo sacrificandosi per lui. Una figura più classica è invece quella di Gwendolyn, una nobile giovane della capitale – la città di Merylon – che s’innamora di Joram. Bella, delicata, è per Joram il bene più prezioso. La sua figura è al contempo interessante e mancata: affascina, nel momento in cui questa ragazzina innocente e pacata, guidata dal cuore, non può fare a meno di mettersi al fianco di un ribelle; può deludere invece nei momenti in cui pare essere poco consapevole di questa sua scelta, risultando decisamente inattiva; un orpello quasi, che non può che piegarsi alla volontà di Joram. Rischia così di apparire un personaggio incompiuto, al contrario di Saryon, per esempio, il quale combatte interiormente ed esteriormente per raggiungere e difendere le sue scelte. A risollevare le sorti del personaggio di Gwendolyn subentra la pazzia che la prende nel terzo libro, un elemento che arricchisce la trama. D’altronde, nel ciclo sono pochi i personaggi femminili che dimostrano equilibrio: i momenti iniziali ci mostrano un’Imperatrice resa folle di dolore per la nascita di un figlio Morto; e non aiuta la figura della madre “adottiva” di Joram, impazzita dopo la condanna inflitta al marito (viene tramutato in una statua di pietra), e la morte del vero figlio. Una delle scene che forse rendono maggiormente l’idea delle forti contrapposizioni presenti in quest’opera coinvolge proprio Joram e la sua seconda madre; accudendolo e spazzolandogli i capelli, da bambino, ella gli racconta del marito, che crede padre di Joram… È un’immagine familiare, quasi delicata, non fosse per il fatto che Joram non è suo figlio, e che la voce della donna è aspra e parla di vendetta, il racconto è una tragedia che si consuma tra realtà e paranoia; le mani che dovrebbero essere gentili tirano e strappano i capelli, fino alle lacrime. Tutto è dolore. L’impressione resta quella di madri snaturate: un’Imperatrice che abbandona il figlio, una pazza che lo alleva… una natura che promette magia, ma che la nega a qualcuno, crudelmente. Parlare di questo ciclo come di un’opera impegnata è un’esagerazione. Resta in ogni caso una lettura interessante, e piacevole. Meno piacevole è semmai la domanda, l’incognita alla base rintracciabile in ogni evento della narrazione: possibile che l’uomo sia veramente così incallito da trasformare in un incubo anche il Mondo Promesso? n Selena Melainis

Lettura: La Spada Nera


I Grandi Illustratori FANTASY

“The Complete Enchanter”

Peter Jones

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FANTASY

LA FIGLIA DEL RE DEGLI ELFI

(The King of Elfland’s Daughter - Lord Dunsany, 1924) di Francesco “Muspeling” Coppola Cristina “Anjiin” Ristori

C’

Lord Dunsany, il sognatore ribelle

era una volta, un secolo fa, un Impero. Era vasto, potente e apparentemente sconfinato; si faceva vanto del livello tecnologico raggiunto e della propria modernità. Nei circoli culturali, nelle università, e finanche per le strade, era tutto un fervere e un sognare – fra bombette, strilloni e ombrelli al braccio, fra i primi treni ed i primi cinematografi – di macchine e di viaggi verso la Luna o nei mari più profondi. Ciò che vi imperava era lo scientismo e l’immaginario riguardava le “Magnifiche e Progressive Sorti dell’Umanità”. Venne un uomo, nella capitale di detto Impero, figlio di una terra resa schiava da quel potere e da quella modernità: il suo nome era Edward, Lord of Dunsany. Costui vide le fabbriche e ne notò le ciminiere che attossicavano il cielo; guardò al gran fiume che tagliava l’orgogliosa capitale, e ne vide le acque putrescenti che fluivano inerti al mare. Vide la struggente bellezza dell’Irlanda, l’Ibernia del mito e sua terra d’origine, asservita ai nuovi conquistatori e la sua originaria cultura negletta e proibita. Tutto ciò che era antico, a quei tempi, si descriveva come “vecchio”, e ciò che era secondo natura, si proponeva come “povero” o “rozzo”. Lord Dunsany si ribellò a tutto questo e, forte della sua cultura e della sua posi-

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Lettura: La Figlia del Re degli Elfi


FANTASY zione aristocratica, riversò le proprie energie su carta e si riunì a figure come Yeats, Shaw, Joyce e molti, molti altri, nel movimento del Golden Dawn. Erano gli anni turbolenti in cui altri patrioti irlandesi prendevano materialmente le armi, e ripercorrevano la ciclica strada della rivolta aperta, della repressione sanguinosa e dell’esilio. Questo irresistibile moto di ribellione portò l’autore a viaggiare in altri tempi e dimensioni, nonché a visitare per primo mondi fantastici completi di storia e di mito. La sua influenza fra i sognatori fu enorme: da Lovecraft a Howard, da Tolkien alla Le Guinn, Moorcock, Borges ed Eddings, tutti gli furono debitori, e noi con loro, giacché quel sognatore ribelle è all’origine di gran parte di ciò che oggi chiamiamo “Fantasy”. Un gran peccato che le sue opere siano quasi del tutto sconosciute, anche ai patiti del fantastico, nelle magre sponde d’Italia. Famoso per opere teatrali come The Glittering Gate (1909), ma anche per short stories come The Gods of Pegãna (Gli Dei di Pegana, scritta nel 1905), Dunsany ha prodotto più che altro storie brevi viaggiando in lungo ed in largo per le lande di Fantasia, senza tuttavia dimenticare mai il mondo che lo circondava. Citiamo ad esempio l’esilarante e significativo The Day of the Poll (1910) in cui si potrebbe riconoscere molto dei tempi nostri; la raccolta Tales of three Hemispheres, scritta in un tempo in cui tutto si misurava, e si credeva che un numero non fosse interpretabile (anni prima della teoria dei Paradigmi della Scienza formulata da E. Kuhn); l’esotico racconto The Sword of Welleran (La spada di Welleran, del 1908), in cui un’antica civiltà perduta, minacciata dai vicini invasori, ritrova gli eroi del passato che tornano a difenderla, guidati dalla spada dei Welleran, quasi un idolo dotato di volontà propria. Di tutta la vasta, varia e seminale, produzione di Dunsany, in Italia è stato pubblicato (per merito della Casa Editrice della Terra di Mezzo) il romanzo: La Figlia del Re degli Elfi, ovvero la ricerca del sottile confine che separa il quotidiano dalla magia. Auspichiamo vivamente che qualcuno dei nostri editori, meritevoli di aver pubblicato recentemente opere di autori Fantasy d’inizio ‘900, vogliano regalare anche a noi il piacere di conoscere i Demoni e gli Dei di Lord Dunsany, il Lord dei Sognatori. n

Francesco Coppola

La Figlia del Re degli Elfi Il regno di Erl e il mondo incantato di Elfi, Elfland nella dizione inglese, coesistono da tempo immemorabile, separati da un’impalpabile barriera. Nel primo, l’esistenza di uomini, animali e cose è soggetta all’inesorabile scorrere del tempo e al mutare delle stagioni; nel secondo, la vita di ogni creatura magica trascorre immutabile e immutata nel corso dei secoli, cristallizzata nella sua immortale bellezza. Solo a volte gli umani, e specialmente i bambini, attraversano il confine di Elfi attirati dalla sua misteriosa diversità, ma non fanno più ritorno. Tutto sembra procedere così da sempre, ma, poiché il mondo umano è mutamento, un bel giorno il Parlamento del regno di Erl rivolge al suo sovrano una singolare richiesta: un nuovo monarca dotato di poteri magici, che possa dare più lustro e importanza al regno. Il vecchio re (e questo accade davvero solo nel mondo delle fiabe) non solo acconsente, ma incarica il suo primogenito Alverico dell’unica missione in grado di realizzare il desiderio del popolo: penetrare nel regno incantato di Elfi e rapire Lirazel, la figlia del Re degli Elfi, per sposarla. Dalla loro unione potrà nascere l’erede al trono che il popolo vuole, metà umano e metà magico. Grazie alla spada incantata forgiata apposta per lui dalla strega Ziroonderel, Alverico riesce nell’impresa. Ma, ad Elfland, il tempo scorre in modo assai diverso da quello degli uomini: quando Alverico, dopo una sola notte passata nel regno incantato, ritorna in quelle che Dunsany chiama “Terre Conosciute”, scopre che ad Erl sono passati dieci lunghi anni, durante i quali suo padre è morto. Divenuto pertanto re, Alverico sposa la sua amata, che gli dona un figlio, Orione. Ma la reale famiglia non è affatto destinata a vivere felice e contenta, perché questo non è il gioioso epilogo d’ogni favola che si rispetti, bensì appena l’inizio. Lirazel rimpiange la sua terra natale e un giorno, con l’ausilio di una potente magia paterna, ritorna ad Elfi abbandonando figlio e marito. La barriera magica che separa i due mondi si è intanto rarefatta, permettendo a poco a poco l’arrivo ad Erl di uno stuolo di creature inquietantemente attive, che iniziano a infestare il piccolo reame. Fantasmi,

Lettura: La Figlia del Re degli Elfi

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FANTASY gnomi e fuochi fatui corrono e svolazzano tra i perplessi e un po’ scioccati abitanti, s’insediano nelle loro case e spaventano persone e animali, portando un notevole turbamento. Il re Alverico decide di andare a riprendersi la moglie fuggita, compito che si dimostrerà molto più difficile del previsto: è proprio la magia della sua spada incantata ad impedirglielo, per motivi che sarà Ziroonderel a svelargli, ma dopo anni e anni di lunghe e inutili peregrinazioni. Alla fine, il Re degli Elfi opererà il suo ultimo e più terribile incantesimo, per donare nuovamente il sorriso all’amatissima figlia che non riesce a dimenticare le persone care abbandonate nel mondo degli uomini. Proprio nel momento in cui gli abitanti di Erl cercano di liberarsi da tutta la magia incautamente desiderata, attraverso gli inutili conciliaboli dei dodici vecchi del Parlamento e le maledizioni del prete del villaggio, il magico confine del Crepuscolo apparirà all’orizzonte, avanzando come un’onda di sole, ingoiando il piccolo reame nella sua eterna bellezza cristallina e facendolo diventare parte di Elfi. Epilogo Romantico e poetico, eppure non lascia per nulla la sensazione di lieto fine. Molto più di una storia tradizionale in cui l’eroe conquista la principessa, Lord Dunsany (Edward John Moreton Drax Plunkett, XVIII barone di Dunsany, 1878 -1957) ci narra una favola allegorica di straordinario potere mitopoietico, dove le parole stesse sono a colori e le immagini descritte cantano un linguaggio singolarmente musicale. La quest dell’eroe, la sua arma incantata, e soprattutto l’elemento magico, sono temi classici di tutta la produzione fantastica successiva, ma l’opera di Dunsany non racconta il fantasy, bensì lo evoca attorno al lettore. La spada di Alverico nasce dalle arti arcane di una strega, dai fulmini raccolti nel suo giardino, dal canto di dolci ricordi perduti e l’urlo di terribili maledizioni, nonché dal fuoco magico alimentato dalle “ossa di un materialista”. E questa particolare immagine creativa è un diretto accenno critico nei confronti di quelle ideologie umanistiche e razionalistiche tipiche della società in cui Dunsany si trova a vivere, in base alle quali tutto deve essere scientificamente dimostrato e dimostrabile. La capacità onirica che questo autore dimostra nel descrivere un mondo del chissà dove e del chissà quando, in cui le colline azzurre di Elfland (il Confine del Crepuscolo) sfumano tra le siepi e i campi colti-

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vati delle Terre Conosciute degli Uomini, ha il suono stesso della fantasia ed è capace di mescolare presente e passato, sogno e realtà. Non vi è alcuna lotta tra il Bene e il Male, perché il tema centrale è l’impatto dell’immaginario sulla vita reale e sulle regole che la governano: un’osservazione attenta dell’animo umano, sempre teso a desiderare qualcosa di diverso da ciò che ha, salvo rimpiangerne poi le conseguenze. Il popolo di Erl desidera la magia senza conoscerla veramente, Lirazel è affascinata dal mondo degli umani ma non riesce ad integrarsi con esso e neppure a dimenticarlo una volta tornata a casa, la spada magica di Alverico prima gli permette di arrivare allo scopo desiderato e poi glielo allontana inesorabilmente. E Orione, il fanciullo proveniente da due mondi, incarna con inquietudine il dualismo che lo rende appartenente sia ad Erl che ad Elfi, e irrimediabilmente attratto dalla sua metà magica. Non si parla di amore tra i due protagonisti, ma piuttosto di attrazione tra due realtà opposte, ciascuna delle quali offre all’altro il fascino irresistibile della diversità ma anche le difficoltà che ne derivano. Lirazel incarna la magia: è una creatura fatata e completamente pagana, non tiene a mente le regole degli uomini pur cercando di adattarvisi. Cerca di compiacere il marito come una bambina ubbidiente, ma non riesce a comprendere fino in fondo cosa desideri veramente da lei quel mondo in cui tutto cambia. Adora gli spiriti elementari della natura, i sassi che può toccare e le stelle che può ammirare, e per questo, agli occhi di chi la circonda, è sempre e comunque una creatura “diversa”, una “sirena che ha scordato il mare”. La difficoltà di conciliare l’immaginario fantastico con ragione e fede, nel romanzo di Dunsany si mostra in pieno, esattamente come accade nella realtà: c’è chi nega e chi combatte, c’è chi subisce. Ma c’è anche chi guarda con curiosità verso le Colline del Crepuscolo, desiderando di varcarne il confine, con le bellezze ed i rischi che questo comporta. Il regno di Erl ottiene tutta la magia un tempo desiderata, e diventa parte di essa; ma scompare dalle Terre Conosciute, uscendo per sempre dal ricordo degli uomini. E forse la morale, se vogliamo trovarne una, “è antica di oltre duemila anni”: bisogna porre molta attenzione in ciò che si desidera, perché gli dei, prima o poi, lo concedono. n Cristina Ristori

Lettura: La Figlia del Re degli Elfi


I Grandi Illustratori FANTASY

“Fog and Gold”

Luis Royo

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FANTASY

il ciclo de:

LA SPADA DELLA VERITà

(The Sword of Truth - T. Goodkind, 1994) di Cristina “Anjiin” Ristori

I

l lettore di Fantasy a volte vuole essere rassicurato. Vuole aprire un libro, e leggere di maghi e di draghi, di cavalieri impavidi e tiranni spietati, di amori tormentati e donne splendide. Del Male che viene sconfitto e del Bene che trionfa (non troppo facilmente però). Nessun messaggio subliminale quindi, nessun riferimento occulto di tipo socio-culturale; solo sentimenti schietti e facilmente riconoscibili, ben inquadrati in una storia avventurosa e capace di trasportare davvero nel mondo di Fantasya. La famosa saga di Goodkind, La Spada della Verità, sembra rispondere in pieno a quest’esigenza, attraverso una trama classica, un’ambientazione più che tradizionale e una psicologia dei personaggi tutto sommato prevedibile. Magia, tantissima magia, e quel tanto di pathos capace di coinvolgere il lettore senza escludere, comunque, un lieto fine. Un’opera superficiale e rilassante, si potrebbe pensare. Invece non è così: al di là della rassicurazione, al di là del puro svago, appare via via evidente la filosofia personale dell’autore, la sua idea di cosa è Uomo e cosa è Eroe, veicolata in una veste peraltro molto gradevole da indossare. Il rischio sottile insito in ogni lettura è qui: bearsi dell’abito senza la curiosità di scoprire cosa ci sia sotto. Il Ciclo della Spada della Verità ha riempito a tutt’oggi 10 volumi (15 nell’edizione italiana), e riassumere un’opera di questa lunghezza non è semplice; la trama è molto complessa e, per quanto ogni volume sia in certo modo autoconclusivo, la quantità di avvenimenti, personaggi e ambientazioni da seguire contemporaneamente

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Lettura: La Spada della Verità


FANTASY

risulta assai vasta. Ma già il primo volume fornisce indizi sufficienti a comprendere l’atmosfera dell’intera saga. Il Confine, la barriera magica che da decenni protegge le pacifiche Terre dell’Ovest dalle turbolente Terre Centrali, si sta sgretolando a causa delle oscure mire di un despota negromante, il sanguinario Darken Rahl. Dal Confine cominciano a filtrare creature ignote, minacce oscure e, un bel giorno, anche un’affascinante fanciulla in cerca di aiuto, Kalhan Amnel. Aiuto che naturalmente verrà subito trovato nella persona di Richard Cyper, il protagonista maschile della saga, umile guardaboschi che neanche immagina cosa gli toccherà affrontare di lì a poco. La giovane e misteriosa straniera, inseguita da spietati assassini, è alla ricerca dell’ultimo Grande Mago (Zeddicus Zu’l Zorander), l’unico in grado di nominare un “campione del Bene”, il Cercatore, a cui affidare la Spada della Verità, ovvero l’arma incantata determinante nella lotta contro il Male. Solo in questo modo si potrà fermare il malvagio Rahl, signore del D’Hara, seriamente intenzionato ad utilizzare dei costrutti magici potentissimi (le Scatole dell’Orden) per dominare il mondo. Naturalmente l’ignaro predestinato è proprio il nostro Richard… Questo è appena l’inizio della vicenda; la storia si popolerà di creature d’ogni genere, mostri sanguinari e intrighi misteriosi, maghi e magie varie, streghe, mezze streghe e simil streghe, spiritelli buoni e cattivi, guerrieri alla Conan, selvaggi provvidenziali, esseri fatati d’acqua di terra e d’aria, libri, scatole e bambole

Keith Parkinson - “Stone of Tears” magiche, incantatrici che sembrano suore ma in realtà sono ben altro, guardie del corpo sado-maso in tuta rossa… e chi più ne ha più ne metta. Una vicenda ricca di colpi di scena insomma, che, pur basandosi su cliché tradizionali (due eroi belli e buoni, il mago potente ma un po’ buffonesco, una letale arma magica e svariati cattivi desiderosi di sterminare tutti), nel complesso si può definire ben fatta. Almeno nei volumi iniziali, infatti, Terry Goodkind riesce trasformare una trama scontata in qualcosa di più, dimostrando un tocco indubbiamente originale, e la capacità di avvincere il lettore. Prova ne sia il successo che l’autore ha riportato in questi anni presso il grande pubblico: avventura, buoni sentimenti e un pizzico d’erotismo sono, d’altra parte, elementi sempre vincenti; assieme alla violenza, quando viene presentata come giusta e giustificabile. Quello che però appare nel prosieguo dell’opera è un notevole calo di qualità; anche nel mondo del Fantasy, le vicende possibili e immaginabili di uno stesso gruppo di personaggi hanno un limite. Subentra la sensazione di un buonismo sempre più esasperante ed esasperato, associato ad uno straripante culto della personalità individuale: gli eroi della vicenda combattono costantemente per il Bene Comune, ma sono sempre e comunque gli unici depositari della Vero e del Giusto. Non a caso, la bella Kalhan ha il titolo e i poteri di Madre Depositaria (Mother Confessor nell’originale, una specie di giudice supremo), e Richard è il Cercatore (The Seeker) di quella Verità che sembra

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Keith Parkinson - “Soul of the Fire” svelarsi sempre e solo a lui. Tutto questo, alla fine, assume risvolti tra il ridicolo e l’inquietante. “La gente è stupida” dice la Prima Regola del Mago “date loro una motivazione appropriata ed essi vi crederanno, o perché lo vogliono o perché hanno paura

Keith Parkinson - “Faith of the Fallen”

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possa essere vero”. E tale regola viene costantemente applicata durante tutta la narrazione, dividendo ab origine coloro che sono destinati ad essere protagonisti, dai semplici comprimari sacrificabili. La magia che permea e anima tutta la saga, viene spiegata minuziosamente nei suoi molteplici aspetti: magia Aggiuntiva e magia Detrattiva, la prima assai comune, la seconda ormai rarissima. Ovviamente Richard le possiede entrambe, come anche Kalhan: creatura magica dotata di un corpo splendidamente umano, essa incarna il modello di donna perfetta, al di là d’ogni possibile iconografia eroica femminile. E naturalmente una Madre Depositaria non può non divenire la compagna del Prescelto, affiancandolo nelle alterne vicende che si rovesciano sopra di loro. Poi c’è la Spada, che dà il titolo all’intera opera: la sua magia è intricata e prende vita solo nelle mani del Cercatore, che deve essere abbastanza forte e determinato da reggere le conseguenze derivanti dal suo uso. L’Arma e il Guerriero diventano una cosa sola, in presenza del pericolo, ma è la mente che guida lo strumento: la Spada si anima bevendo i sentimenti violenti nel suo possessore, ma uccide solo se la mano che la impugna è convinta di eseguire un atto di vera giustizia. “C’era stato un tempo in cui paura e incertezza lo rendevano riluttante ad arrendersi alla furente

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tempesta scatenata da quell’antica spada forgiata da maghi, e lo facevano esitare a rispondere con la propria furia a quell’invocazione, ma aveva ormai imparato ad abbandonarsi all’estasi della rabbia. Aveva imparato a unire la propria volontà alla furia del giusto. Era quello il tipo di potere che guidava verso il proprio scopo.” [Richard, Catena di Fuoco, cap. 6] Questa ennesima arma senziente tradisce il Cercatore solo una volta, in presenza dell’anti-magia di un’altra rappresentazione figurativa della saga: le Mord Sith. Donne guerriero addestrate alla tortura, e guardie speciali di ogni Lord Rahl, esse possiedono un costrutto con poteri straordinari, l’Agiel, capace di sottomettere ogni magia avversaria. Inizialmente simbolo della malvagità più crudele al servizio di Darken Rahl, queste amazzoni sanguinarie vengono “redente” dal suo successore Richard, ma in questo senso: mantengono tutte le loro caratteristiche violente, ma votandosi alla causa giusta. Probabilmente elementi simili sono troppo utili a qualsiasi conquistatore per poter essere soppressi e quindi, sotto il nuovo signore, esse passano direttamente dalla sala delle torture a cucinare zuppe e biscotti, nonché a giocare con timidi passerotti in giardino… sempre inguainate nel cuoio rosso, però. Situazioni adattabili, quindi, ed anche una magia che, in qualche modo, si adegua sempre alle varie circostanze morali e materiali. Ad un certo punto, i personaggi che tanto ci hanno ammaliato con le loro passioni, avventure e sofferenze a lieto fine, cominciano ad assumere un altro aspet-

Keith Parkinson - “The naked Empire” to. Viene istintivo chiedersi chi e cosa sia veramente l’Eroe per Goodkind: Richard non è solo bello e buono, è un Superuomo. Le sue decisioni, quali che siano, sono giuste. Le sue certezze, insindacabili a priori. Le sue azioni, per quanto violente e contro le regole, sono quelle votate al Bene Comune – se questo coincide con le convinzioni sue personali, naturalmente – che, comunque, riguarda solo amici e alleati; per gli altri non c’è nessuna pietà. Richard Cyper, in realtà Richard Rahl, risulta essere il figlio dell’odiato nemico Darken, ma il suo nuovo status non si limita all’acquisizione del nome: ucciso il padre, diventa Signore del D’Hara e padrone di un immenso esercito. Viene a sapere d’essere anche nipote del Grande Mago (sicuramente una famiglia complicata da gestire) e assume ogni ruolo possibile associato a queste nuove identità: odia la magia, ma ne fa ampio uso, perché si scopre il più potente incantatore esistente; odia uccidere, ma uccide perché il Male evoca la sua Rabbia attraverso la spada: come viene affermato nel volume Faith of Fallen “la pietà per il colpevole è un tradimento verso l’innocente”. Come dire, in sostanza, “odio così tanto la violenza che ucciderei subito chiunque ne facesse uso”. Questo ennesimo Chosen One è guerriero, mago e amante perfetto. Nessuno gli resiste, almeno non per molto. I suoi fedeli sudditi lo invocano salmodiando il suo nome ogni giorno, in modo simile alla preghiera

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Keith Parkinson - “Pillars of Creation” musulmana verso la Mecca, ricevendone una protezione ad hoc che viene chiamata “legame magico”. I suoi avversari lo odiano quanto i suoi seguaci lo amano, ma, si sa, molti nemici, molto onore. La sconfitta dell’Eroe è impensabile, almeno fino all’ultimo capitolo della saga edito in Italia (Catena di fuoco); ma c’è sempre la speranza che qualcuno riesca nei suoi intenti omicidi almeno nel prossimo romanzo.

Last but not least: Catena di fuoco (Chainfire - 2005) Nel corso della saga, le situazioni cambiano, e i nemici cambiano, ma la trama è sempre quella: Richard e Kalhan, costantemente separati da un crudele destino, riusciranno a ritrovarsi dopo vari massacri, torture e lamenti? Certo che si. Ciò che colpisce più di ogni altra cosa è la “Jordanizzazione” di Terry Goodkind. Quello che era un perfetto equilibrio descrizione/azione, si è da tempo pericolosamente sbilanciato verso una logorrea espositiva che spinge in modo irrefrenabile a saltare pagine su pagine. È sopportabile, in un qualsiasi romanzo, leggere continuativamente due fogli stampati (quattro facciate) per un colpo di spada? O il tormentone presente a piè sospinto “Io devo trovare Kalhan perché la amo”? D’accordo, lui la ama, ma il lettore a questo punto non può che augurarsi un ritrovamento istanta-

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neo. Riprendendo velocemente le fila della vicenda, l’ultimo romanzo edito in Italia nel 2006 (Catena di Fuoco) presenta la seguente situazione: eliminato da tempo Darken Rahl, avversario tutto sommato troppo grezzo e prevedibile, l’acerrimo nemico delle Terre Libere (e un po’ capitaliste) è l’imperatore Jagang, capo dell’Ordine Imperiale è soprannominato il Tiranno dei Sogni, in quanto proprio attraverso i sogni esercita la capacità di dominare le menti ed i corpi altrui. Da questo Potere sono immuni, neanche a dirlo, solo i seguaci di Lord Rahl. Jagang è al servizio del Guardiano, entità che governa il regno dei morti e dell’Ombra, contrapposto al Creatore, divinità della vita e della Luce. Il Guardiano odia la vita perché è la sua nemesi, e la promessa per i suoi servitori è l’immortalità felice… nell’altro mondo, naturalmente. L’Ordine Imperiale è regolato da leggi sanguinarie e disumane, che sembrano un misto tra un’ideologia clerico-stalinista e musulmana estremista, il regno di Schiavitù contro Libertà, Odio contro Amore ecc. Quattro delle tenebrose schiave di Jagang, le Sorelle dell’Oscurità, rapiscono Kalhan, cancellandone ogni memoria in coloro che l’hanno conosciuta, tranne ovviamente nella mente e nel cuore del suo amato che è protetto dall’incantesimo della Spada. E “Catena di fuoco” è proprio il nome della malia usata, che assomiglia curiosamente ad un supervirus informatico.

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FANTASY Ciclo della Spada della Verità L’Assedio delle Tenebre La Profezia del Mago (Wizard’s First Rule, 1994) Il Guardiano delle Tenebre La Pietra delle Lacrime (Stone of tears, 1995) La Stirpe dei Fedeli L’Ordine Imperiale (Blood of the Fold, 1996) La Profezia della Luna Rossa Il Tempio dei Venti (Temple of the Winds, 1997) L’Anima del Fuoco (Soul of the fire, 1999) La Fratellanza dell’Ordine (Faith of the Fallen, 2000) Debito di ossa (Debts of Bones – prequel – 2001) I Pilastri della Creazione (The Pillars of Creation, 2001) L’Impero degli Indifesi (Naked Empire, 2003)

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Probabilmente nemmeno il Fantasy riesce a rimanere immune da certe influenze: anche un altro costrutto magico, il “libro da viaggio” utilizzato dalla Priora delle Sorelle della Luce, ricorda molto da vicino un computer. Ad ogni modo, si scatena la battaglia personale del Cercatore per ritrovare la sua anima gemella, abbandonando tutto e tutti nel perseguire il suo intento con un sussulto di individualismo egocentrico veramente notevole. L’esercito del D’Hara decimato dalle truppe dell’Ordine è bene che si arrangi senza di lui, come pure Jillian, giovane sciamana di una terra sperduta che lo accoglie come un dio: l’unica risposta che ottiene dopo averlo aiutato è “non sono un dio, ciao devo

Trilogia della Catena di Fuoco Catena di fuoco (Chainfire, 2005) Phantom, 2006 andare a fare cose più importanti”. Richard abbandona persino la sua amata Spada nelle mani di una specie di Gollum al servizio di una strega (Shota), in cambio di preziose quanto oscure informazioni. La filosofia di Ayn Rand [Alissa Zinovievna Rosenbaum, 1905-1982, americana], fondatrice dell’Oggettivismo, viene attinta a piene mani rasentando il plagio, ma il concetto tipicamente randiano “nessuno ha il diritto di esigere il rispetto dei valori dagli altri tramite la forza fisica, o di imporre idee agli altri tramite la forza fisica” è costantemente affermato e regolarmente disatteso da buoni e cattivi. Questi ultimi, in quanto tali, forse un po’ più giustificabili. “Se non riuscite a portare dalla vostra parte questi seguaci dell’Ordine, allora dovete ucciderli perché, statene certi, se ne avranno la possibilità loro uccideranno voi […]Dovete portare il combattimento ovunque, fate in modo che non resti alcun posto sicuro per quanti predicano la morte”. [Richard, Catena di fuoco, cap. 15] Goodkind è e si definisce un Oggettivista, e Richard il Cercatore sembra essere proprio il tipico eroe randiano: un protagonista le cui capacità e convinzioni razionali vengono portate avanti ad ogni costo, anche in conflitto aperto con l’umanità intera, in nome dell’individualità e del diritto dell’uomo ad esistere in quanto tale. Ma la rielaborazione di questa ideologia già estremista di per sé è sicuramente molto personale, e sembra non soddisfare del tutto neppure gli oggettivisti stessi. Il volume si conclude con uno spiraglio sulla Verità (Kalhan esiste, WOW!), di cui tutti si dovranno convincere, con le buone o con le cattive. Prima di fare ulteriore ironia, aspettiamo fiduciosi la prossima puntata (Phantom), ancora inedita in Italia, a proposito della quale un lettore americano [Amazon. com review] ha così commentato: “…Non collezionerò più [i libri di Goodkind], né leggerò quelli nuovi, dovendo oltretutto pagarli, e poi anche il tempo è denaro”. n Cristina Ristori

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il ciclo di:

ELRIC DI MELNIBONé

(The stealer of souls - M. Moorcock, 1972) di Andrea Tortoreto

T

orna in libreria, per merito della Fanucci, uno dei capolavori di maggior successo nella storia dell’heroic fantasy: la Saga di Elric di Melniboné. Il corposo ciclo, che vide la luce nei primi anni Sessanta, è opera di un autore degno di essere annoverato, senza alcuna esitazione, tra i grandi classici della letteratura fantastica del secondo Novecento: l’inglese Michael John Moorcock. Elric di Melniboné, il tormentato negromante albino protagonista della saga, comparve per la prima volta nel racconto Dreaming City pubblicato nel 1961 su New Worlds, rivista di cui lo stesso Moorcock diverrà direttore a partire dal 1964 e che costituirà poi, grazie al deciso cambio di rotta da lui stesso promosso, un fondamentale punto di riferimento per tutta la Science Fiction britannica. New Worlds comincerà infatti a dare ampio spazio alle avanguardie, alle nuove voci del Fantasy e della Fantascienza contemporanea, in un coacervo di grande qualità dal quale emerse proprio il personaggio creato dalla fantasia dell’allora giovane direttore. Le prime storie di Elric ebbero una risonanza così vasta, un tale successo di pubblico da spingere lo stesso Moorcock a riorganizzarle e in parte a riscriverle, per dar vita a un grande ciclo fantasy il cui primo celebratissimo volume usci nel 1972. La saga è stata poi approfondita e ampliata attraverso successivi romanzi fino agli anni Novanta, mentre la prima traduzione italiana risale al 1978. L’iniziativa della Fanucci rappresenta quindi una gradita opportunità di assaporare nuovamente l’opera del grande narratore inglese in una riedizione integrale dell’intero ciclo, ma costituisce soprattutto una grande occasione per chi volesse scoprirla per la prima volta, attraverso un’edizione curata, completa e per di più tascabile.

Cenni sulla trama - Elric è l’imperatore dell’antichissimo e glorioso impero di Melniboné, l’Impero Fulgido ormai ridotto a una pallida effige dell’incontrastabile e poten-

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Lettura: Elric di Melniboné


FANTASY te apparato di un tempo; i Regni Giovani, premono ai confini guadagnando lentamente, ma inesorabilmente, terreno. Gli stessi Melniboneani, che hanno costruito la grandezza del loro regno sulla crudeltà e la ferocia, si stanno illanguidendo, e il cinismo ha lasciato spazio all’indolenza. Soltanto i draghi, fedeli e secolari alleati, e l’appoggio delle divinità del Caos (primo fra tutti Arioch, Duca delle Sette Tenebre) permettono all’impero di reggere l’urto limitando i danni. Su questo scenario, che Moorcock affresca in modo esemplare dando vita a un mondo cupo capace di riportare alla mente le ambientazioni di Edgar Rice Burroughs e, soprattutto, del grande padre dell’heroic fantasy, Robert Erwin Howard, si muove la personalità scissa e tormentata di Elric. L’imperatore albino, fiaccato e indebolito nel fisico come lo è la struttura dell’impero che governa, è costretto ad assumere droghe, a ricorrere a oscuri preparati per sostenere il corpo debilitato. La sua mente è però sorretta da una sensibilità e da un’intelligenza che non hanno eguali tra i rappresentanti del suo popolo; è questo che spinge Elric a ripensare, a mettere in discussione la stessa cultura e le tradizioni che sostengono l’impero melniboneano, delle quali lui stesso è frutto. Assistito da una solidità interiore appena mascherata dai dubbi e dall’apparente debolezza, Elric si troverà a lottare sia contro la sua stessa famiglia per il controllo dell’impero, sia contro i Giovani Regni per il mantenimento della solidità dei confini. Sarà costretto alla guerra per conquistare la splendida Cymoril, e a compiere imprese mirabolanti per giungere in possesso del libro del Dio Morto, in una fantasmagorica serie di avventure descritte con un ritmo incalzante e uno stile vigoroso.

Un protagonista originale - La figura del protagoni-

sta costituisce l’asse portante dell’opera del narratore inglese: la sua ambiguità, il suo dramma interiore simboleggiato dal rapporto con Stormbringer, la spada-demone che lo guida in battaglia assetata delle anime dei nemici, e lo rende invincibile ma spingendolo anche a perpetrare atroci delitti, il suo ribellarsi interiormente a un destino che non può effettivamente contrastare, tutto questo rende Elric un personaggio affascinante, unico nel panorama della letteratura fantasy, che poco ha del cavaliere valoroso, impavido e incrollabile nella sua missione. Siamo piuttosto di fronte a un antieroe corrotto nelle membra come nell’anima, a un volto oscuro che però lascia trapelare, dalle profondità di uno sguardo sfuggente, la luce ferma della saggezza, a volte addirittura della pietà.

Questa intima e irrisolvibile scissione rende Elric più umano di tanti altri eroi della letteratura di ogni epoca, ce lo avvicina nella sua fallibilità, nel suo essere vessillo della finitudine, della limitatezza intrinseca a ogni essere umano e del costante sforzo compiuto da ognuno per oltrepassarla.

L’Universo secondo Moorcock - In questo suo con-

fronto titanico però, il negromante albino è, in realtà, pedina inconsapevole su una scacchiera ben più vasta e importante di quella che concerne solamente il suo impero. Questa considerazione conduce a parlare della vasta e dettagliata cosmologia ideata da Moorcock, che lascia facilmente spazio a considerazioni di natura religiosa e filosofica. Il tema classico della contrapposizione eterna tra Bene e Caos è infatti riletto all’interno di una concezione relativistica, nella quale le stesse forze del Bene non combattono per la vittoria, ma soltanto per assicurare il mantenimento dell’equilibrio; il Caos costituisce un elemento ineliminabile, imprescindibile per la stessa esistenza del Multiverso, ossia l’infinita, inesauribile realtà nella quale trovano posto tutti i mondi e le epoche esistenti. Questo cosmo multiprospettico è il teatro dello scontro universale, ed Elric, eroe corrotto dal Caos, altri non è che l’ennesima palingenesi del Campione Eterno, l’entità che in ogni mondo e in ogni epoca costituisce il punto focale, l’ago della bilancia di questa lotta infinita. La corruzione è necessaria all’esistenza del Campione come lo è al mantenimento dell’equilibrio che sostiene il Multiverso, ed Elric è, in questo senso, l’incarnazione dell’equilibrio stesso, e della sofferenza, dell’inevitabile travaglio connesso al suo mantenimento. Ogni evento, la vita e la morte, la guerra e la pace, la sconfitta e la vittoria, ma anche ciò che a prima vista può apparire insignificante, vanno ricondotti al tutto, riconsiderati alla luce di un ben preciso quadro metafisico; esso rappresenta il senso ultimo dell’universo moorcockiano e, anche e soprattutto, la solida nervatura che percorre la totalità dei suoi scritti restituendoceli come all’interno di una vasto puzzle, dove ogni frammento deriva il suo significato da tutti gli altri. Questa chiave di lettura mostra la profonda unità di tutta la saga e ne costituisce al contempo un ulteriore elemento di originalità e di interesse; un altro tassello che aggiunge forza al complessivo invito ad accostarsi a un’opera di sicuro interesse, non solo per i più fedeli appassionati di letteratura fantasy. n Andrea Tortoreto

Lettura: Elric di Melniboné

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KRULL

(Krull - P. Yates, 1983) di Cuccu’ssette

Q

uesto mi fu dato a sapere: che molti mondi furono ridotti in schiavitù dal Mostro e dal suo esercito di massacratori. E questo ancora mi fu dato a sapere: che il Mostro sarebbe venuto qui, nel nostro mondo, il mondo di Krull, e che la sua fortezza nera sarebbe apparsa sulle nostre terre, che il fumo dei villaggi incendiati avrebbe oscurato il cielo, e le urla dei morenti avrebbero echeggiato per le valli deserte. Ma una cosa non mi è data a sapere, se sia vera una profezia che una fanciulla di antica stirpe diverrà nostra regina, e sarà lei a scegliere il suo sposo re e che essi insieme regneranno sul nostro mondo e che il loro figlio regnerà sull’intera galassia....

Questo matrimonio non s’ha da fare!

Bastano poche suggestive frasi declamate… e la fantasia ci rapisce per trasportarci sul pianeta Krull. È un mondo lontano, illuminato da due lune, coperto da boschi e selvaggi deserti, popolato da creature leggendarie, alcune simili agli esseri umani, altre diversissime. È governato da sovrani a volte in lotta tra di loro; per civiltà e tecnologia può assomigliare al nostro medioevo. Un triste giorno, dal cielo scende la Fortezza Nera, una montagna di roccia scura che arriva dallo spazio portando distruzione ovunque si posi. Si tratta di un immenso castello volante abitato dal Mostro, una ripugnante creatura aliena, e dai suoi servi, i Massacratori. Solca la galassia in cerca di pianeti da conquistare. Davanti al pericolo incombente, due potenti regni tradizionalmente nemici si alleano. Per decisione della giovane principessa Lyssa, l’unione verrà cementata dalle nozze con il principe Colwyn, figlio del re nemico. Su di lui, infatti, la giovane ha sentito racconti di gesta, sa che è un forte guerriero e gli ha giurato eterno amore – pur conoscendolo così poco. La cerimonia, tenuta in una grande sala alla presenza dei sovrani e dei dignitari, al

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FANTASY primo sorgere delle lune, viene interrotta dall’irrompere dei Massacratori. Cadono ad uno ad uno tutti i difensori; la principessa fugge, ma presto viene catturata e portata nella Fortezza Nera. Lo sposo, ferito, viene lasciato per morto tra le macerie. Ma il principe, soccorso dal vecchio saggio Ynyr, sopravvive. La sua famiglia è stata sterminata, adesso è lui il Re, e deve assumersi le responsabilità della corona. Salvare il Regno e forse lo stesso pianeta dal Mostro, liberare Lyssa: un’impresa che appare sovrumana, tanto che per affrontarla sono necessarie armi speciali. Colwyn parte così al recupero del Glaive, un’arma magica destinata solo a un vero Eroe. Nel tardo Rinascimento il “glaive” era un’ arma formata da un manico di lancia con innestata una lama da scimitarra, utile per atterrare la cavalleria corazzata. Il Glaive di Krull assomiglia ad un grosso shuriken, ha la forma di una stella a cinque punte dotata di lame retrattili. Una volta lanciato contro il nemico, è in grado di colpire il bersaglio ripetutamente, e tornare indietro, guidato dalla forza del pensiero del possessore. Nominato nelle leggende, esso è più un amuleto che un’arma, e giace da epoca immemore in un pozzo pieno di lava, nelle viscere di un’inaccessibile montagna. Recuperato il magico artefatto, Colwyn deve ora riuscire ad anticipare gli spostamenti della Fortezza Nera, poiché ogni giorno essa scompare per riapparire in un luogo sempre diverso. Per questa ragione il principe si dirige verso l’Oracolo di Smeraldo, un veggente che forse può svelare il luogo esatto dove comparirà la temuta dimora del mostro. Nel viaggio incontra un mago pasticcione, dei briganti evasi dalle galere, un ciclope… Chi per un motivo chi per l’altro, tutti odiano i Massacratori, e sono pronti a unirsi al principe e a Ynyr. Il cammino è costellato di difficoltà, scontri, inganni. Consapevole delle intenzioni del principe, il Mostro manda i Massacratori a fermarne l’avanzata, con ogni mezzo, e intanto cerca inutilmente di conquistare la fiducia di Lyssa. Gli agguati si susseguono, sosia alieni vengono sostituiti a volti familiari, drammi del passato riaffiorano portando morte e perdono, dolore e redenzione, e alcuni personaggi si sacrificano pur di consentire al principe di proseguire la missione. Cavalcando i velocissimi cavalli di fuoco, il gruppo di impavidi eroi raggiunge infine la Fortezza Nera, per lo scontro decisivo. Lieto fine assicurato, anche se non così lieto come si potrebbe credere.

Cinema: Krull

Il Rapimento 1. 2. 3. 4.

Il castello di re Eirig sede delle nozze. Colwyn e Lyssa si recano all’altare passando tra le fila dei cavalieri. I massacratori irrompono nel castello facendo strage dei convitati; re Eirig e re Turold vengono uccisi, e Lyssa rapita. Colpito da una scarica laser e creduto morto, Colwyn giace in mezzo ai cadaveri, finché Ynyr non giunge a soccorrerlo.

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Cinema FANTASY Protagonisti ed eroi.

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Colwyn nella grotta incandescente dov’è custodito il Glaive. Ynyr raccomanda Colwyn di usare il Glaive solo quando sarà necessario. Ergo il Magnifico entra in scena. Colwyn dimostra di essere il principe, aprendo con la chiave reale i ferri ai polsi dei fuorilegge.

Il Glaiv

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Principi coraggiosi e impavidi, bellissime principesse da salvare, mostri cattivi e creature incantate, armi magiche e incantesimi, prove da superare… Come scrisse il Padre della Fantasy Lyon Sprague de Camp, “sono fantasie avventurose che si svolgono in mondi immaginari preistorici o medievali, quando – è divertente immaginarlo – tutti gli uomini erano forti, tutte le donne belle, tutti i problemi semplici e la vita tutta un’avventura”. Krull è invece una fiaba, anche se negli aspetti più esteriori assomiglia a un fantasy epico ed eroico. La voce fuori campo del Narratore crea un incipit analogo al tradizionale “c’era una volta”. Il racconto si affida al punto di vista di personaggi che poco hanno in comune con le aspettative di gloria, lo stile di vita nomade, il culto della libertà tipico dei più amati eroi, Conan su tutti. Colwyn lotta per una giusta causa – salvare Lyssa e il suo regno – tuttavia non cede al piacere errabondo dell’avventura. Senza la minaccia del Mostro e dei Massacratori, sarebbe stato con ogni probabilità uno dei tanti signorotti che fanno la guerra quando non possono fare l’amore o banchettare, e considerano la gloria come qualcosa di superfluo. Ne è prova indiretta il fatto che, sebbene se la cavi molto bene con la spada e abbia l’aspetto di un baldo avventuriero, Colwyn conosce poco delle tante meraviglie del suo regno incantato. I protagonisti dei racconti che Lyon Sprague de Camp battezzò “Heroic Fantasy” di solito vagano per il mondo spinti dalla sfida all’ignoto, dalla curiosità e dal piacere di raddrizzare i torti. Gustano la vita alla giornata e non desiderano sostituirsi ai bravi principi (azzurri o buzzurri) per terminare le loro esistenze in gabbie dorate. Tanto che, quando hanno ristabilito la giustizia, presto o tardi si allontanano in cerca di nuove imprese. Colwyn è fatto di altra pasta: sconfitto il crudele Mostro, se ne tornerà a ricostruire il regno e a mettere in cantiere l’erede che governerà la galassia. Né Lyssa ricerca nuovi orizzonti; è l’ennesima principessa (o… princifessa?) bella e in pericolo. È incapace di combattere, quando viene rapita è pronta a passare una spada al cavaliere che la difende, ma non pensa proprio a recuperare un’arma per sé. Nel duello finale, pronuncia le fatidiche parole che completano la cerimonia dell’Acqua e del Fuoco, e quindi dà all’amato l’arma risolutiva, la fiamma frutto del potere di entrambi. Tuttavia non impugna spade né bacchette per incantesimi arcani, lascia combattere Colwyn e si

Cinema: Krull


FANTASY rincantuccia tra le colonne. È anche a digiuno di magia, e, forse, rivela la sua modernità soltanto nel voler affermare il suo diritto a decidere chi sposare. Lyssa non vuole essere scelta dal principe consorte, o conquistata come se fosse un premio, vuole una persona che la ami al punto di affrontare ogni ostacolo in suo nome. Non si accontenta di un pretendente qualsiasi assegnatole da un sistema di matrimoni combinati. Si ribella quindi al Mostro e alla sua volontà, oppone un deciso rifiuto alle sue lusinghe, in nome del suo incondizionato – e tutto adolescenziale – amore per il principe. Una passione che può essere parente stretta dell’affetto che lega parecchi teenager ai propri idoli, ma è distante dal sentimento di una persona adulta e matura. I personaggi secondari sono quelli che si avvicinano maggiormente all’idea di avventurieri fantasy. Ergo il Magnifico, un mago pasticcione e goloso di torte che, invece di trasformare gli avversari in animali, per errore muta forma lui stesso. La curiosità lo porta a ficcarsi nei guai, rendendolo spesso protagonista di scenette tragicomiche. È d’animo mite e ha un cuore d’oro; si prende cura del piccolo orfano Titch e, per difenderlo, diverrà un vero Eroe. Il dolente Rell è un Ciclope, taciturno e malinconico; la sua specie ha sacrificato un occhio pur di poter vedere il futuro, ma è stata ingannata: la preveggenza riguarda soltanto il momento della loro morte, fato a cui non possono ribellarsi (la pena morire ugualmente di lì a poco di una morte ancor più atroce). Il vecchio Ynyr ha alle spalle un turbolento passato, non è sempre stato un eremita, anzi è divenuto saggio a prezzo di tante disavventure. Purtroppo il lato dolente e umano della sua storia emerge nella sua ultima, fatale avventura, facendolo apprezzare solo quando ormai ha esaurito il suo compito. Molto tradizionali sono Torquil, il capo degli evasi, e la sua banda – quasi comparse. Il piccolo Titch ammicca ai giovanissimi, ma ha poco risalto, troppo poco per poter innescare un meccanismo di identificazione nei bambini. A parte l’indimenticabile Vedova della Ragnatela, gli altri ruoli sono funzionali al dipanarsi degli eventi (i Re, il Veggente di Smeraldo), fanno colore locale (la corte riunita per il matrimonio, i cavalieri, alcuni banditi e le donne che raggiungono l’accampamento), o sono parte delle prove da superare (i Massacratori, la doppelganger che abborda Colwyn e poi non ha il coraggio di ucciderlo).

Cinema: Krull

Il Veggente 1. 2. 3. 4.

Il Veggente degli Smeraldi tenta inutilmente di scoprire dove apparirà la Fortezza Nera. Rhun e Kegan sbeffeggiano Torquil: gli smeraldi che ha rubato si sono tramutati in pietre senza valore. L’ agguato dei massacratori. La compagnia dà il benvenuto a Rell, il possente Ciclope.

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Cinema FANTASY

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La faticosa avanzata nella palude. La compagnia rischia di essere inghiottita dalle sabbie mobili; Menno, uno dei fuorilegge, non riesce a salvarsi. Un mutaforma inviato dal Mostro assume le sembianze del Veggente. La compagnia bivacca da Merith, una delle numerose “mogli” di Kegan.

La Palude

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Dato che la vicenda è narrata prevalentemente dal punto di vista dei protagonisti, e non degli aiutanti avventurieri, l’atmosfera fiabesca viene valorizzata al massimo, a scapito del gusto heroic fantasy che rimane circoscritto ai personaggi secondari. Colwyn viene spinto ad agire sempre da Ynyr, che in molte occasioni sembra essere onnisciente; quasi fosse lo sciamano che introduce i ragazzi alla vita adulta attraverso riti tramandati nelle generazioni. Il vecchio saggio guida con mano ferma il percorso di iniziazione del giovane, che, grazie alla disciplina burbera ma amorevole impartitagli, matura. Per il principe e la sua guida, non ci sono mai indecisioni su cosa sia necessario fare, né dubbi di carattere etico si pongono alle loro coscienze. D’altra parte su Krull o si è Buoni, o si è Cattivi, senza sfumature intermedie. Ci sono alcuni delinquenti nel manipolo di eroi, forse addirittura assassini, ma non sappiamo chi di loro abbia commesso i più atroci crimini, né assistiamo a delitti. Siccome non associamo i volti dei briganti ad azioni moralmente discutibili, tutti divengono “buoni”. Durante il viaggio, da banditi si trasformano in avventurieri, da avventurieri in eroi, nobilitandosi. Abbiamo una “sporca dozzina”, purtroppo edulcorata fin dalle prime sequenze, poiché il cambiamento è trattato con i ritmi tipici dei film d’avventura, e si risolve negli spazi limitati concessi a personaggi non protagonisti. Né ci sono importanti figure negative che si affiancano all’inumano alieno: i Massacratori sono soltanto pericolosi ostacoli, privi di una personalità distinta. La netta divisione morale appartiene alla rappresentazione del mondo tipica delle fiabe, ed è assai meno apprezzata nella letteratura fantasy. Pur prevedendo la lotta tra Bene e Male, parecchi tra i più memorabili eroi del Fantasy si muovono senza compiere scelte nette, o passano intense trasformazioni interiori: come Raistlin Majere, Severus Piton, Drizzt Do’Urden, Darth Vader, e lo stesso Frodo Baggins… Non sono nominati Dei adorati su Krull, si afferma piuttosto una filosofia di vita vagamente ispirata al Taoismo, e l’esistenza di un Fato superiore, difficilmente mutabile, come testimonia la triste esistenza dei Ciclopi. Una trovata che rende indimenticabile Rell, ma non aiuta a liberare i personaggi dalla predestinazione che li affligge.

Cinema: Krull


FANTASY La Vedova

Fantasy riuscito... da favola! L’esposizione piana – così tipica del racconto popolare – influenza i diversi momenti del film; le avventure affrontate si risolvono in piccoli episodi legati tra loro, lineari nella successione. Personaggi e ambienti riflettono in pieno le funzioni descritte dall’antropologo russo Vladimir Propp. Lo studioso, esaminando i riti iniziatici e confrontando le fiabe tradizionali proprie di popoli lontani e vicini, trovò alcuni elementi che si ripresentano in questo tipo di narrazione, indipendentemente dalla cultura che l’ha prodotta All’inizio c’è sempre una situazione di equilibrio: in questo caso il pianeta Krull, scosso sì da qualche guerra ma nell’insieme abbastanza pacifico. L’equilibrio viene poi rotto a causa di qualche fattore esterno: l’arrivo della Fortezza Nera. C’è il danno prodotto dall’antagonista: il mostro rapisce Lyssa e uccide la corte. L’eroe viene allontanato: Colwyn deve andarsene e preparare il contrattacco. Seguono le peripezie dei protagonisti: il recupero dell’arma magica, l’incontro con gli Aiutanti, gli ostacoli e le prove imposte dall’avversario, la separazione dai compagni caduti, fino allo scontro conclusivo che ricrea l’equilibrio iniziale nella maniera più classica. Proprio per la sua natura di fiaba, la verosimiglianza lascia a desiderare, non soltanto per la prevedibilità dei protagonisti, quanto per tutta una serie di approssimazioni che limitano quelle pretese di credibilità – di solito richieste ad un fantasy classico. Le varie prove affrontate da Colwyn si susseguono scandite con la rigidità adatta ad un videogame vecchio stampo; o – a volere essere perfidi – di uno show di Giochi senza frontiere. Schematicità diffusa in molti racconti popolari di magia, valorizzati proprio dalla ritualità del succedersi di prove, dalle formule e proverbi e canzoni ripetute… È un modo di narrare che può coinvolgere, con tutta la sua forza poetica, oppure annoiare gli spettatori più smaliziati e scettici, poiché è legato a un mondo arcaico che l’Occidente delle Progressive e Magnifiche Sorti dell’Umanità troppo spesso rifiuta. Le fiabe rappresentano il mondo secondo desideri e aspirazioni condivise, attraverso situazioni semplificate e personaggi essenziali. Principi, sapienti e principesse non sono come essi erano o potevano essere, ma come la gente s’immaginava che fossero in un’epoca priva di grossi mezzi di comunicazione. La “Spada e Stregoneria” cerca di ritrarre invece eroi imma-

Cinema: Krull

1.

2. 3. 4.

Morto il Veggente, Ynyr è costretto a rivolgersi alla Vedova delle Ragnatele, per scoprire la prossima ubicazione della Fortezza Nera. Il ragno gigante a guardia della Vedova. La Vedova delle Ragnatele “dona” a Ynyr la propria vita per salvare la principessa che porta il suo stesso nome: Lyssa. In sella ai “cavalli di fuoco”.

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Cinema FANTASY

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Rell si sacrifica per consentire ai compagni di accedere alla Fortezza Nera. Il pavimento di un corridoio si apre, ed Ergo e Titch finiscono separati dagli altri. Torquil, Oswyn e Bardolph cadono in una delle tante trappole della Fortezza. Grazie al Glaive, Colwyn libera Lyssa e neutralizza i massacratori.

Nella Fortezza

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ginari, lasciando però ben fissata loro verosimiglianza e credibilità pur nella volontaria sospensione di alcune delle leggi che ordinano il nostro mondo. Non c’è da sorprendersi, in quest’ottica, se il film Krull presenta un viaggio iniziatico con tutti i limiti ed i pregi della fiaba, e abbonda di ingenuità e licenze. Il castello che ospita il matrimonio è posto in mezzo a una pianura circondata da montagne, invece di essere arroccato sulle pendici. È un edificio isolato, senza traccia di città o villaggio vicino; le sale sono solenni, ampie e prive di mobilia. I Massacratori uccidono e sostituiscono il Veggente di Smeraldo approfittando del fatto che tutti procedono in fila indiana sulle sottili strisce di terra emersa della palude; non è credibile che il gruppo lasci solo in un posto simile il vecchio stregone cieco, pur così importante per il buon esito dell’impresa. L’arma magica più potente viene tenuta alla cintura fino allo scontro decisivo: la sentiamo descrivere come una reliquia indispensabile, poi la vediamo in azione solo in poche sequenze che rendono limitata giustizia ai suoi mirabolanti poteri. È ovvio che gli effetti speciali necessari per dare vita al Glaive erano complessi e costosi, e la consulenza di un maestro d’armi era comunque indispensabile per realizzare combattimenti decorosi. Il risultato è però semplicistico, anche perché il recupero dell’arma leggendaria è la prima impresa compiuta dal principe, non l’ultima: e pare che sia il possesso della reliquia ancestrale a qualificare Colwyn come eroe, più che la sua capacità effettiva di usare il manufatto. E a proposito di poteri: il principe, dopo aver liberato l’amata e ferito il Mostro, non riesce a recuperare il Glaive, ma unisce il suo potere a quello di Lyssa e si esibisce in magie esorbitanti quanto improvvisate: palle di fuoco, fiammate, mica conigli nel cappello a cilindro! Fino ad allora, aveva usato solo una spada e un pugnale, né sembrava intendersi di incantesimi… C’era una volta… ucci ucci sento odor di cristianucci… specchio specchio… e vissero felici e contenti… Gli attori sono affermati e decorosi caratteristi o giovani agli inizi di una prestigiosa carriera – come Liam Neeson e Robbie Coltrane. Oppure, sono improbabili divi, come Lysette Anthony e Ken Marshall, reso famoso in Italia dallo sceneggiato Marco Polo, a cui fece seguito una carriera televisiva non sempre esaltante. Incolpare il modesto cast di recitare battute scontate o didascaliche è fondamentalmente ingiusto. Nessuno pretende originalità dai

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FANTASY dialoghi delle fiabe, né verosimiglianza, o introspezione. Inutile allora esigere da Krull ed dai suoi attori quello che non potrebbero offrire nemmeno i capolavori letterari dei Fratelli Grimm, di Charles Perrault, di Italo Calvino.

Krull: Invaders of the Black Fortress, the Dungeons of Krull... Il film, secondo la censura americana, è adatto anche a persone giovani, purché ci sia un adulto vicino; tuttavia non si rivolge alle famiglie. Pur trattandosi di una deliziosa fiaba fantasy, non risparmia dettagli horror. Le atmosfere cupe donano un tono adulto alla vicenda, senza esagerare con superflue scene ributtanti. Il Mostro viene fatto immaginare: con grande abilità, è svelato poco alla volta, inquadrandone ora un occhio, ora qualche imprecisato dettaglio del corpo palpitante. La mano squamosa che stritola lo smeraldo del Veggente, l’ombra gettata dal corpo deforme, un’iride rossa solcata della pupilla verticale in un volto che pare uscito da un dipinto dell’artista svizzero Hans Ruedi Giger… Ogni dettaglio suggerisce, senza mostrare, nemmeno nel duello finale. Sarebbe stato facile far saltare fuori un orrido essere fatto magari di lattice e trippa, come nella migliore tradizione dei Bmovies! Invece si obbliga lo spettatore a far uso del miglior (e più economico) effetto speciale di tutti i tempi, ovvero l’immaginazione. Si gioca sull’ambiguità, con grande intelligenza. La simbiosi tra la bestia aliena e la sua fortezza, che è dimora e parte del corpo dell’essere (un po’ come una conchiglia), è una delle migliori trovate della pellicola. Le scenografie rendono alla perfezione la sintesi di tecnologico e organico: sale con colonne che assomigliano a costole, finestre simili a occhi, ponti come tibie, corridoi che si modificano a piacimento del proprietario, stanze che si creano e poi scompaiono. Krull è una delle poche pellicole degli anni Ottanta che, pur abbondando di effetti speciali, risente limitatamente dell’enorme evoluzione tecnologica. Ogni inquadratura è curata, tanto da far sospettare che le diverse avventure affrontate dal principe siano un pretesto per fare sfoggio di meravigliosi capolavori di scenotecnica, effetti speciali all’avanguardia, panorami mozzafiato. La colonna sonora è orecchiabile ed epica, e sottolinea le varie sequenze creando il giusto pathos. Ci sono richiami fantascientifici; tuttavia

Cinema: Krull

La Vittoria 1. 2. 3. 4.

Il suo potere unito a quello di Lyssa fornisce a Colwyn la forza magica per sconfiggere il Mostro. Titch ed Ergo, trasformatosi in tigre, sono riusciti a sfuggire ai massacratori. I superstiti osservano esausti ma salvi il crollo della Fortezza Nera. Il coraggioso Torquil riceve da Colwyn la nomina a Gran Maresciallo.

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Cinema FANTASY affermare che Krull e Guerre Stellari siano film analoghi è un paragone inappropriato, voluto di certo per sfruttare la fama della più celebre saga. I titoli di testa scorrono sul buio tempestato di stelle dello spazio profondo, solcato prima dalla magica arma, poi dai giganteschi pezzi di roccia, che si dirigono minacciosi verso il pianeta. La Fortezza Nera si avvicina alla superficie di Krull con le stesse modalità di un’astronave. Ne escono cavalieri dall’armatura che ricorda sia un esoscheletro sia un robot; orridi automi animati dalla creatura vermiforme annidata nella boccia che occupa il loro cranio. Sono dotati di armi ad asta, e lanciano raggi mortali, come i fulminatori di Guerre Stellari. È oggettivo che i migliori effetti speciali a disposizione nei primi anni Ottanta fossero proprio quelli realizzati dalla Industrial Light and Magic per la Lucasfilm. Le applicazioni più convincenti possibili erano limitate a raggi laser, fulmini, fiammate... situazioni già presentate nel più famoso film, e riproposte in Krull. Altri ritocchi della pellicola sono assai più ingenui, come i tentativi di morphing, quindi la sceneggiatura cerca di limitarli al minimo indispensabile: le trasformazioni di Ergo, il viso del ciclope… Oppure ripiega su tecniche tradizionali, esaltate però da scenografie artistiche e da un’esperta fotografia, come avviene per la sequenza della ragnatela – simile per certi aspetti a quella presente ne Il ladro di Baghdad (1940) – e per il Mostro e la sua Fortezza. Oltre a questi dettagli, c’è ben poco di fantascientifico. Il Narratore ci informa che il figlio di Colwyn regnerà sulla galassia, eppure non vediamo nessuna astronave solcare i cieli di Krull, e le uniche armi avveniristiche sono in mano ai Massacratori. Colpa di certa letteratura che sfruttò commistioni fra Fantascienza e Fantasy e rese popolari improbabili ambientazioni sospese tra futuro e passato: romanzi di U. K. Le Guinn, M. Z. Bradley , di Tanith Lee… Per scopi commerciali, Krull è stato ridistribuito negli States con titoli diversi, senza però chiarire l’equivoco: i nuovi titoli ammiccavano ai dungeon del gioco Dungeons and Dragons, scatenando nuovi malintesi, visto che la vicenda ha poco a che fare con il più celebre gioco di ruolo! In realtà le vicende del lontano pianeta Krull possono coesistere con la space opera più amata; ma niente ci autorizza a ritenere che il Mostro sia un Sith o abbia a che fare con l’Impero. Si potrebbe invece accostare il Mostro ai Grandi Antichi del ciclo dei Miti di Cthulhu di H.P. Lovecraft. Ma l’analogia si esaurisce soprattutto nell’incredibile somiglianza estetica. Lo

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Scheda Tecnica Titolo originale: Krull Produzione: UK, 1983, Barclays Mercantile Industrial Finance Columbia Pictures Corporation Durata: 116 minuti Regia: Peter Yates Casting: Pasty Pollock Sceneggiatura: Stanford Sherman Fotografia: Peter Suschitzky Montaggio: Ray Lovejoy Scengrafia: Stephen B. Grimes Costumi: Anthony Mendleson Effetti speciali: Mark Meddings, John Evans Musica originale: James Horner Produttore: Ron Silverman

scrittore immaginò la presenza di mostruose creature extraterrestri, presenti sulla Terra già in epoche remote, adorate come divinità o confinate negli abissi, presenze nascoste sempre pronte a tornare per reclamare il mondo come loro regno e precipitare l’umanità negli abissi della follia. Il Mostro che atterra su Krull assomiglia a quanto descritto dall’Autore di Providence; le analogie sarebbero emerse in modo netto se gli sceneggiatori avessero avuto il coraggio d’insistere sui tasti dell’orrore più esplicito e pauroso. Invece hanno ripiegato su un villain di aspetto spaventoso, ma dagli intenti chiari e ben comprensibili dai mortali… Krull si lascia vedere e rivedere, a patto di accettare le caratteristiche di fiaba che gli sono proprie. Per quanti erano adolescenti negli anni Ottanta, è un film di culto; nonostante i suoi limiti, ha avvicinato un’intera generazione al fantasy, ponendo le basi per gli sviluppi successivi del genere. Di solito, quanti ricordano di aver assistito a suo tempo alla proiezione al cinema, ne hanno un ricordo positivo, pieno di affetto. Pretendere che sia una pellicola di fantascienza, un horror o un fantasy “Sword and Sorcery”, genera delusione. Piacerà invece a quanti, soffocati da una televisione rigurgitante trasmissioni usa e getta, vogliono sognare con una bella una favola di altri tempi, che va dritta al cuore degli animi sognanti di ogni età e lascia emozioni durevoli. n Cuccu’ssette

Cinema: Krull


FANTASY Principe Colwyn

Principessa Lyssa

Ken Marshall

L’indomita principessa rapita, ma non piegata, dal Mostro; attende con incrollabile fiducia l’arrivo del suo principe Colwyn.

Lysette Anthony Torquil

Ynyr

Temerario, leale e rispettato dai suoi uomini, è il capo della banda di fuorilegge “arruolata” da Colwyn per dare l’assalto alla Fortezza Nera.

Alun Armstrong

Saggio dal passato burrascoso, soccorre Colwyn dopo l’attacco dei massacratori, e ne diventa consigliere guidandolo verso la Fortezza Nera.

Freddie Jones

Ergo il Magnifico

Rell il Ciclpoe

Mago pasticcione, il primo compagno ad aggregarsi a Colwyn e Ynyr; durante il viaggio, dimostrerà le sue qualità proteggendoTitch.

David Battley

Malinconico ciclope, dalla forza prodigiosa e dalla dolente facoltà di poter prevedere l’istante della propria morte; sarà essenziale per la missione.

Bernard Bresslaw Titch

Oswyn

Bambino servitore del Veggente degli Smeraldi; dopo la morte del vecchio, la compagnia (Ergo in particolare) si prenderà cura di lui.

Graham McGrath

Il più giovane della banda dei fuorilegge di Torquil, e anche il primo ad accettare di unirsi a Colwyn nella missione contro il Mostro.

Todd Carty

Rhun

Kegan

Il più scettico dei fuorilegge, è restio a partecipare all’impresa di Colwyn, ma alla fine darà la vita per la causa, nel tentativo di espugnare la Fortezza.

Robbie Coltrane

Fuorilegge donnaiolo ma coraggioso, all’interno della Fortezza non esiterà a sacrificare la vita per salvare quella di Torquil.

Liam Neeson

Bardolph

La Vedova delle Ragnatele

è uno dei pochi della banda di fuorilegge a riuscire a entrare nella Fortezza Nera, ma cade vittima di una delle tante trappole che vi si celano.

Dicken Ashworth

Personaggi

Il coraggioso principe che, alla testa di un gruppo di avventurieri e fuorilegge, assalta la Fortezza del Mostro per liberare l’amata principessa.

In passato amata e abbandonata da Ynyr, e vendicatasi uccidendo loro figlio, espierà la sua colpa aiutando Colwyn a trovare la Fortezza Nera.

Francesca Annis

Il Veggente degli Smeraldi

Vella

Solo lui è in grado di prevedere gli spostamenti della Fortezza Nera, ma il Mostro lo uccide prima che possa essere d’aiuto a Colwyn.

John Welsh

Servitrice del Mostro, il suo compito è sedurre Colwyn o ucciderlo, ma, invaghitasi del principe, tradirà il suo padrone pagando con la vita.

Belinda Mayne Re Eirig

Re Turold

Il padre di Lyssa, restio all’alleanza con Turold e a concedere in sposa la figlia a Colwyn, perirà nel tentativo di difenderla dai massacratori.

Bernard Archard

Il padre di Colwyn; muore combattendo nel castello di Eirig, cercando di respingere l’assalto dei massacratori durante il matrimonio.

Tony Church

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Cinema

Cinema

FANTASY

LA SPADA A 3 LAME

(The sword and the Sorcerer - A. Pyun, 1982) di Francesco Viegi

T

itus Cromwell (Richard Lynch) è un Re malvagio che da molti anni brama di conquistare il fiorente regno di Re Richard, e pur di raggiungere il suo scopo non esita a risvegliare il potente ed oscuro mago Xusia (Richard Moll). Sconfitto sul campo di battaglia, il buon Richard viene trucidato davanti agli occhi del figlio Talon che tuttavia riesce a fuggire con l’arma del padre, la “Spada a tre lame”. Undici anni più tardi il piccolo Talon è divenuto un invincibile guerriero (Lee Horsley) che, alla testa di un gruppo di valorosi combattenti, offre la sua lama a chi è disposto a pagarne il prezzo. Giunto nella città di Ehdan, capitale del regno di Cromwell, s’imbatte per caso nella bella Alana (Kathleen Beller) la quale, assieme al fratello Mikah (Simon MacCorkindale), sta tentando di spodestare dal trono il perfido re. Celando la sua reale identità, Talon abbraccia la causa dei rivoltosi, ma lui e i due fratelli finiscono imprigionati nella tela intessuta dal perfido Machelli (George Maharis), il consigliere del re. Costui, doppiogiochista, vorrebbe approfittare della situazione per impadronirsi del potere. Spinti dalla lealtà verso il proprio condottiero, i compagni d’arme di Talon, guidati da Darius (Joe Regalbuto), si uniscono ai rivoltosi ed assaltano il palazzo reale proprio la notte in cui Cromwell sta per sposare l’indomita Alana. All’interno del castello si sussegue un’impressionante serie di colpi di scena: Talon si libera dalla croce alla quale era stato inchiodato (strappando i chiodi a mani

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Cinema: La Spada a 3 Lame


FANTASY nude) e dà il via alla rivolta, il matrimonio va a rotoli, ma Alana viene rapita e condotta nei sotterranei dal machiavellico Machelli che si rivela essere Xusia (di cui Cromwell a suo tempo credeva di essersi sbarazzato). Il perfido stregone, muovendo le pedine sullo scacchiere, è riuscito a creare quella situazione di perfetto caos che potrebbe permettergli di eliminare in un sol colpo Talon e Cromwell, impossessandosi così del regno e di Alana. Sia Cromwell che Talon raggiungono Xusia nei sotterranei, dove ingaggiano il duello finale dal quale l’eroe uscirà vincitore. Finalmente la pace e la giustizia potranno tornare nel regno. Il film si conclude con la partenza di Talon, che, ormai calato nel ruolo di paladino della giustizia, cede il trono a Mikah e parte con i suoi uomini per una nuova avventura.

La sconfitta...

Commento.

La sconfitta...

Uscito nel 1982, questo fantasy a basso budget si presenta allo spettatore con due facce, come una moneta. Se da un lato le scenografie, i costumi e le musiche sono scadenti, a tratti persino grotteschi, la trama è divertente e l’intreccio piuttosto originale. Sulla scacchiera si muovono contemporaneamente molti personaggi: lo stregone Xusia, il ribelle Mikah, l’affascinante Alana, il valoroso Talos ed il malvagio Cromwell. Tutti hanno scopi, obiettivi ed aspettative diverse. Difficile, per lo spettatore, capire come andrà a finire. L’incertezza è favorita dall’abbondanza di “colpi di scena”. Escludendo il prologo, nei restanti 70 minuti Talos sfugge a Cromwell, s’invaghisce di Alana, libera Mikah dalle prigioni, viene a sua volta imprigionato e finalmente sconfigge il nemico vendicando il padre. Contemporaneamente Mikah organizza la rivolta, viene liberato, cade nuovamente in trappola e diventa Re. Determinante, in questo continuo scambio di ruoli, il doppio gioco del mago Xusia, che dopo essere scampato al tradimento di Cromwell torna sulla scena sotto le mentite spoglie del consigliere Machelli, tramando per ottenere vendetta e potere. Il film è dunque sostenuto da un ordito piuttosto ben fatto, vero (ed unico) punto di forza. Particolarmente originale la scelta del finale: sconfitto il nemico e vendicato il padre, Talon rinuncia al trono cedendolo a Mikah, di certo meno prestante ma

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La pacifica città di Ehdan risplende ignara della sorte che sta per compiersi. Il giovane Talon sfugge alle grinfie dell’invasore. Virdugo ricatta i prigionieri per estorcergli preziose informazioni. Nelle prigioni del castello Cromwell offre salva la vita a Mikah in cambio dei nomi degli altri ribelli. Alana cede al ricatto acconsentendo alle nozze con Cromwell.

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Cinema FANTASY Scheda Tecnica Titolo originale: The Sword and the Sorcerer Produzione: USA, 1982, SoRCERER Prod. Durata: 101 minuti Regia: Albert Pyun Soggetto e sceneggiatura: Tom Karnowski, Albert Pyun, John V. Stuckmeyer Fotografia: Joseph Mangine Montaggio: Marshall Harvey Scengrafia: George Costello Costumi: Christine Boyar Musica originale: David Whitaker Produttori: Brandon Chase, Marianne Chase Premi: vincitore SATURN AWARD 1983 (Best Supporting Actor, Richard Lynch)

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Talon si libera dalla croce a cui Cromwell lo aveva fatto legare. Cromwell è costretto a rifugiarsi nelle segrete con Machelli e la bella Alana. Grazie alla magica Spada a Tre Lame, Talon sconfigge prima Xusia e poi Cromwell. Talon ed Alana salutano i valorosi amici che li hanno aiutati nell’impresa.

...e il riscatto

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altrettanto coraggioso e ricco di qualità morali. Il protagonista sceglie di continuare a percorrere la strada dell’eroe. Eppure, nonostante la storia risulti piacevole, il film non decolla. L’utilizzo a sproposito di costumi provenienti da atmosfere troppo diverse fra loro e la pessima realizzazione di alcune scenografie impediscono all’epica di emergere con forza. Gli effetti speciali, paragonati con quelli di film girati nello stesso periodo (Krull, Tron, Guerre Stellari, E.T.), appaiono inadeguati e scadenti. Curioso e divertente l’uso dell’immagine del dito che s’illumina (simile a quella adottata da Steven Spielberg per il suo Extraterrestre) scelta dal regista per sottolineare l’utilizzo di poteri magici da parte del mago Xusia. La debolezza della colonna sonora toglie definitivamente ogni traccia d’aura mitica alla pellicola, facendola spesso scivolare nel grottesco. Probabilmente è per questi motivi che il regista (e co-sceneggiatore) Albert Pyun piega la sceneggiatura al comico tentando di nascondere le scenografie di plastica dietro ad irridenti dialoghi pieni di doppi sensi. Rendendosi conto di non avere i mezzi per poter ottenere un prodotto fortemente epico, cerca di mediare tra la musica, i costumi e le scenografie e la ricchezza dell’intreccio con qualche battuta, intesa a smorzare lo stridente contrasto tra i propositi ed i mezzi investiti dal produttore Brandon Chase. Difficile quindi formulare un giudizio sul film. Se da una parte il regista e gli attori ci offrono un’ora e mezza di decoroso intrattenimento, dall’altra resta l’amaro in bocca per una trama piacevole sviluppata male, per un film che avrebbe potuto essere molto più avvincente se non si fosse dovuto scontrare con i problemi di budget, autentico scoglio per l’intero genere fantasy. Per decidere se affittare il DVD, lo spettatore potrebbe lanciare in aria una moneta, facendo a testa o croce. n Fancesco Viegi

Cinema: La Spada a 3 Lame


FANTASY Principe Talon

Lee Horsley

Assetato di potere, risveglia l’oscuro stregone Xusia per sconfiggere gli eserciti del buon Richard e conquistarne il regno.

Richard Lynch

Principessa Alana Contesa da tutti per la sua avvenenza ed il suo lignaggio, intesse la trama della rivolta per spodestare il malvagio usurpatore.

Kathleen Beller

Xusia

Tradito da Cromwell, giura vendetta; utilizzando le arti magiche cercherà a sua volta di conquistare il trono e il cuore di Alana.

Richard Moll

Principe MIkah Guida la ribellione che cerca di spodestare Titus Cromwell dal trono usurpato; grazie all’aiuto di Talon, riuscirà a sconfiggere il malvagio re.

Simon MacCorkindale

Machelli

Ambiguo cancelliere del re, si muove tra i ribelli ed i generali di Cromwell giocando contemporaneamente su più tavoli la propria partita.

George Maharis

Darius Fedele compagno d’armi di Talon, non esiterà a ravvivare la fiamma della rivolta nel momento del bisogno soccorrendo l’amico recluso.

Joe Regalbuto

Re Richard

Saggio sovrano di Ehdan, cade in battaglia nel vano tentativo di respingere le armate nemiche sostenute dai magici poteri dello stregone Xusia.

Christopher Cary

Principe Talon (giovane) Figlio primogenito del re, riceve in custodia la magica spada a tre lame grazie alla quale un giorno potrà riscattare il regno.

James Jarnigan

Regina di Ehdan

Sposa devota e madre premurosa, lotta fino alla fine, tentando di uccidere il tiranno invasore a tradimento; pagherà con la vita.

Corinne Calvet

Elizabeth Concubina del re usurpatore, trama alle sue spalle aiutando la resistenza con le sue preziose informazioni; perirà piuttosto che tradire.

Anna Bjorn

Verdugo

Sadico torturatore e carceriere del castello, viene utilizzato dal perfido Cromwell per estorcere nomi e notizie ai prigionieri ribelli.

Robert Tessier Morgan

Eccentrico compagno di ventura del valoroso Talon, guiderà la rivolta a fianco di Darius finendo per farsi imprigionare.

Earl Maynard

Personaggi

Abile combattente, alla testa di un pugno di valorosi mercenari, mette la sua spada al servizio delle cause giuste e delle principesse indifese.

Titus Cromwell

Craccus Fedele Capitano dell’esercito di re Richard, combatte a fil di lama le truppe nemiche, guidando i suoi uomini con abilità e coraggio.

Jeff Corey

Il DVD utilizzato per la recensione è stato gentilmente concesso da MORELLI’S MOVIE GUIDE http://www.morellismovieguide.com - si ringrazia Tiziano Spigno per la collaborazione

Cinema: La Spada a 3 Lame

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Fumetto

Fumetto

FANTASY

MAGIK (Magik)

di Emanuele “Krisaore” Palmarini

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llyana Rasputin viveva nel collettivo di UstOrdynski in Siberia ed aveva solo 6 anni. Era la sorella di Piotr Rasputin (Colosso, degli X-Men, un mutante in grado di trasformare il proprio corpo in acciaio organico) e di Michael Rasputin (futuro capo dei Morlock, con il potere incredibile di alterare la realtà a suo piacimento). Con una famiglia del genere, difficile poter vivere in tranquillità. Rapita dal supercriminale Arcade, Illyana viene salvata dagli X-Men ma, poco prima di fare ritorno a casa, cade nelle grinfie del demone Belasco (servitore degli dei antichi) che la trasporta nel suo dominio, il Limbo, una dimensione popolata da demoni. Il supergruppo di eroi la segue; ma nel Limbo (dove il Tempo e lo Spazio si muovono diversamente rispetto al mondo Marvel) gli X-Men apprendono che una versione alternativa di loro stessi, proveniente da una realtà diversa, li aveva preceduti, sempre con lo scopo di liberare Illyana, e aveva fallito. Aiutati da una Ororo Munroe (alias Tempesta, con il potere mutante di controllare il tempo atmosferico) alternativa, dotata di capacità magiche, riescono a tornare nella dimensione normale, ma senza Illyana. La piccola “Fiocco di Neve” (come l’ha sempre chiamata il fratello) ricompare tuttavia da sola, dopo un attimo… ma per lei, nella realtà demoniaca, sono trascorsi 7 lunghi anni. In seguito, con il nome di Magik, si unirà ai Nuovi Mutanti e vivrà tante fantastiche avventure, contro i satiri di Emma Frost, la Regina Bianca del Club Infernale (un esclusivo club di ricconi mutanti che vogliono controllare l’economia e la politica mondiali), supercriminali e mutanti malvagi, fino a quando non ritornerà bambina e contrarrà il virus legacy che le sarà fatale.

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Fumetto: Magik


FANTASY/SUPEREROI

Non basterebbe un’intera rivista per narrare tutte le disavventure che colpiscono ogni singolo personaggio degli X-Men, divenuti molto più popolari dopo la versione cinematografica (che con il fumetto ha però ben poco in comune). Questo speciale, uscito in originale in America con il titolo Magik: Storm & Illyana, è uno dei capolavori dell’era d’oro dei mutanti, e merita una citazione particolare. L’ideatore è Chris Claremont (conosciuto anche come X-Chris), autore della maggior parte delle storie Marvel dal 1976 fino al 1991 (quando lasciò i mutanti per poi tornare 7 anni dopo), il quale, pur forzando un poco la mano, ha colmato un vuoto con fantasia e qualità. Dobbiamo a lui la nascita dei Nuovi Mutanti, e di molte delle storie di Wolverine e di Excalibur. Illyana Rasputin ha un potere mutante alquanto singolare: può comandare dei cerchi di teletrasporto sia nel tempo che nello spazio, passando però per il Limbo di cui è divenuta Signora dopo aver sconfitto Belasco in un duello magico. Questo potere è creato un po’ ad arte ma, al tempo, ogni supergruppo doveva essere ben bilanciato, e includere quindi un suo teleporter. Ne aveva in origine uno la seconda generazione di X-Men con Kurt Wagner alias Nightcrawler, poi la Confraternita dei Mutanti malvagi grazie a Spirale, e gli Accoliti di Magneto usando Amelia Voght; tanto per citarne alcuni. Era comunque terminato il periodo dei poteri più fantasiosi e strani. Charles Francis Xavier (Professor X) insegnava che con le sole capacità mutanti non si

sopravviveva, non si battevano nemici come Magneto o il Re delle Ombre, bisognava invece imparare a lavorare in sintonia con gli altri e combinare i diversi poteri in maniera sempre efficace. Allo scopo di addestrare i mutanti al gioco di squadra e all’uso e controllo delle proprie capacità, viene addirittura creata la “Stanza del Pericolo”, un immenso salone poi potenziato con incredibili effetti olografici solidi (frutto della tecnologia Shi’ar), campo di battaglia in prova per i supergruppi, che avrebbe aiutato i figli dell’atomo a prepararsi per affrontare qualsiasi pericolo. Ogni team che si rispettasse, oltre al teleporter, aveva sempre qualcuno con una superforza, il membro capace di volare e qualche potere telepatico o telecinetico che non guasta mai. Il resto era poi lasciato a

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Fumetto FANTASY

quel qualcosa in più che distingueva i gruppi tra loro. I Nuovi Mutanti per esempio ebbero Douglas Ramsey, capace di comprendere ogni linguaggio, un potere per la verità non molto utile (tant’è che Ramsey combinava qualcosa solo quando si univa con l’essere tecnorganico Warlock, venuto da un altro pianeta). La fine di questo personaggio segna una rottura in Illyana, che scaturirà poi nella saga Inferno, un colosso dell’Universo Marvel. Ma torniamo al nostro speciale… C’è da notare la solita presenza della morale ipocrita tipica dei racconti della Marvel. Il Limbo corrompe gli animi, li rende malvagi, anche quelli più puri; perfino nella tenera “Fiocco di Neve” Belasco scopre un’anima malvagia che non vede l’ora di uscir fuori. Eppure il bene, anche se lottando in maniera estenuante, riesce sempre a trionfare. Non si risolvono i

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problemi, non si eliminano i nemici, li si perdona e si va avanti, continuando a combattere infinite guerre, perché grandi poteri comportano grandi responsabilità e gli X-Men non uccidono. Così Claremont inventa lo stratagemma della corruzione mancata. Illyana scopre il suo potere, divenendo Magik, dopo essere stata allenata alla magia da Tempesta e all’arte del combattimento con la spada e il pugnale da Kitty Pride (alias Shadowcat, capace di controllare la propria densità corporea ed attraversare gli oggetti). Tornata indietro nel tempo, ha modo di assistere a un duello vittorioso di Tempesta contro Belasco; si rende allora conto di come la ferita apparentemente mortale riportata dal demone non avesse altro effetto che quello di spingere Ororo verso il lato oscuro della propria anima. Così Illyana, al momento del suo scontro finale, risparmia Belasco, vincendo pur perdendo, salvando la propria integrità, evitando per il momento di trasformarsi completamente in Darkchilde, la versione distorta di sé riportata alla luce dal demone (attraverso un rito magico, il simulacro di Illyana, in forma di sfera di energia – un’ematite – viene racchiuso in un ciondolo, il primo di cinque che legheranno sempre più la giovane a Belasco, anche se alla fine dello speciale questa parte di trama verrà abbandonata e le ematiti si fermeranno a tre). Tutti i ragazzi Marvel, a parte alcune eccezioni, nonostante la giovane età ragionano e si comportano in modo maturo, hanno un forte senso di responsabilità e si dibattono in dilemmi interiori tipici degli adulti. Magik non fa eccezione ma, in questo speciale, s’intrecciano momenti di odio e di profonda umanità, che le forniscono uno spessore senza precedenti per un personaggio Marvel, nel breve arco di una sola storia. La

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vera lotta è tra Magik e Darkchilde, una battaglia interiore che accompagnerà Illyana fino alla Saga Inferno, quando rinuncerà al suo retaggio demoniaco e magico per tornare bambina e salvare il mondo. Le scene seguono il percorso di Illyana durante gli anni passati nel Limbo. La conosciamo bambina che si chiede cosa sia bene e cosa sia male; poi la vediamo combattere e perfino uccidere, per sopravvivere; infine la ritroviamo all’età di quattordici anni, completamente cambiata, temprata dalla varie violenze psicologiche perpetrate su di lei in nome di un presunto suo bene. Per quanto riguarda i poteri, non bastando le capacità di teleporter a fare di Magik/Illyana uno dei membri più importanti dei Nuovi Mutanti (considerando che, al di fuori del Limbo, le sue capacità magiche risultano limitate), Chris Claremont ha deciso di dotarla di un’arma: una spada in grado di uccidere il magico senza avere effetto sul mondo fisico. Illyana la crea come summa di tutti i suoi poteri, una sorta di equivalente della lama psionica di Elizabeth Braddock (alias Psylocke) rispetto ai poteri telepatici di quest’ultima. La “Spada dell’Anima”, così chiamata dalla sua

creatrice, avrà vita propria nel mondo Marvel, diventando un tesoro prezioso di cui qualunque essere dotato di poteri magici cercherà di impadronirsi. Prima di morire, Illyana donerà la Spada all’amica del cuore Kitty Pride. Successivamente, Amanda Sefton (Daytripper) la consegnerà alla madre Margali Szardos, che la userà per farsi largo nel “percorso” dei maghi, la Strada Ventosa, uccidendo i rivali che la precederanno. Inutile dire che la storia appassiona fino all’ultimo disegno, seguendo l’evoluzione del personaggio di Illyana in un mondo magico dove neanche il tempo e lo spazio sono variabili su cui fare affidamento. Gli unici punti fissi sono la volontà di sopravvivenza della piccola “Fiocco di Neve” e la sua capacità di crearsi una vita in un luogo dove la vita stessa viene per definizione aberrata, tra demoni e mostri abilmente disegnati dai fratelli Buscema e Ron Frenz – che peccano però nel trasformare magia e poteri mutanti in semplici effetti psichedelici – e abilmente inchiostrati da Tom Palmer. n Emanuele Palmarini

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Animazione

Animazione

FANTASY

HE-MAN, I DOMINATORI DELL’UNIVERSO

(Masters of the Universe - 1983) di Paolo Motta

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ggi noi li chiameremmo action-figures, ma negli anni 80 non esisteva un termine specifico per definire quei pupazzi snodati rappresentanti nerboruti culturisti. Nonostante ciò, la linea di giocattoli Masters of the Universe (tradotto in “Dominatori dell’Universo”) fu tra i più grandi successi commerciali per la Mattel in quel periodo, subito dopo Barbie e Big Jim. Da un lato c’erano i buoni, in maggioranza di aspetto umano, capeggiati dal valoroso He-Man con i capelli biondi pettinati a caschetto e la spada magica in pugno; dall’altro, con fattezze mostruose spesso riconducibili ad incroci uomo-animale, stavano i cattivi agli ordini del diabolico Skeletor. Era quest’ultimo un personaggio che un bambino difficilmente può scordare: muscoli coperti da una pelle azzurrognola, e come faccia un teschio incappucciato simile alla Morte nell’immaginario popolare. In realtà Skeletor era ispirato ai molti stregoni dalla faccia di teschio ideati dallo scrittore texano Robert Erwin Howard. In effetti lo stesso He-Man, abbigliato con stivali, perizoma in pelle, bracciali e un’armatura che ne copre pochissimo il corpo, potrebbe considerarsi un erede degli eroi “barbari” nati dalla penna di Howard, indomiti combattenti quali Conan il Cimmero, Re Kull, Bran Mak Morn, Turlogh il Nero ecc. Oltre a Skeletor, il biondo guerriero si trova peraltro ad affrontare gli Uomini-

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Serpente, citazione spudorata delle temibili creature che, nell’universo howardiano, dominarono la Terra prima dell’avvento del genere umano. La differenza è che Conan e compagni ricorrono a dosi di violenza molto superiori a quelle di He-Man, il quale addirittura nemmeno uccide i nemici. D’altronde il personaggio Mattel si rivolge essenzialmente ai bambini, mentre gli eroi howardiani hanno un target più ampio che va dall’adolescente all’uomo maturo. In aggiunta gli viene fornita una doppia identità degna di un supereroe fumettistico: dietro al nostro eroe si nasconde l’apparentemente pavido e innocuo principe Adam, che, grazie alla succitata spada magica si trasforma in “uomo più forte dell’universo”. Al suo fianco c’è il maghetto pasticcione Orko, l’integerrimo scienziato Man-At-Arms, il forte Fisto dalla mano d’acciaio, il trasformista Man-E-Face ed un’infinità di altri intrepidi paladini del Bene. A dar man forte a Skeletor trovavamo invece lo sciocco e scimmiesco Beast-Man, Mer-Man l’uomo anfibio, Blade, maestro di scherma… e via delirando in una lista di mostri che comprende persino Stinkor, un uomopuzzola! Sia l’eroe che il villain hanno poi una controparte femminile: per He-Man si tratta della coraggiosa guerriera Teela, figlia adottiva di Man-At-Arms, mentre per Skeletor c’è la diabolica incantatrice Evil Lyn. Due personaggi, questi, che sollecitarono le prime fantasie erotiche dei bambini di allora. La Mattel non esitò a lanciarsi in operazioni di merchandising, parallelamente alla produzione di sempre nuovi giocattoli legati ai Masters: nacquero fumetti, magliette, costumi per carnevale, gadget vari. Anche la serie TV a cartoni animati rientrava in questa gran-

de campagna per la conquista del mercato. In effetti i bambini furono presi da una vera mania per He-Man e Skeletor, come accadrà in seguito per le Tartarughe Ninja e per i Pokémon. Pur essendo nato da motivazioni così apertamente “mercenarie”, il cartone He-Man e i Dominatori dell’Universo, uscito nel 1983, si rivelò un’opera di non pochi pregi. Ad occuparsi della produzione fu la Filmation, la compagnia che lavorava anche alla versione animata di Star Trek. Le sceneggiature furono affidate a Paul Dini, un ottimo autore a cui si dovranno in seguito Ewoks, Batman e Batman Beyond, nonché diversi episodi del telefilm Lost, e a Joe Michael Straczynski, il futuro creatore del cult fantascientifico Babylon 5. Dello staff tecnico fecero parte inoltre i nomi degli animatori Tom Tataranowicz e Bruce Timm che, per dare maggiore realismo anatomico ai personaggi, si rifacevano alla lezione ricevuta da Ralph Bakshi (del quale Tataranowicz è stato collaboratore) con il lungometraggio Fire and Ice: prima venivano fotografati dei veri culturisti in carne e ossa all’interno di appositi studi di posa, poi queste foto venivano ricalcate dai disegnatori. La serie rientrava in un genere poco noto all’epoca, il science fantasy, nel quale la scienza si sposa con il mito e la magia. He-Man compie le sue avventure sul pianeta Eternia, dove esistono armi laser e astronavi, ma la società sembra ricalcata su quella del Medioevo europeo, con re e regine, maghi, cavalli, castelli e villaggi di contadini. La spada incantata è un dono della saggia maga Sorceress che difende il Castello di Greyskull, sede dei segreti magici di Eternia. Il malvagio Skeletor, anche lui cultore della stregoneria, di-

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Animazione FANTASY spone a sua volta di grandi poteri occulti che non esita ad usare per perseguire il suo sogno di conquistare il pianeta usurpando il trono ai legittimi sovrani, Randor e Marlene, genitori di Adam/He-Man. Nel corso della serie apprendiamo che Marlene era un’astronauta terrestre precipitata su Eternia. Il principe Adam è quindi per metà terrestre, particolare che lo rese più simpatico allo spettatore. Un fumetto mai pubblicato in Italia arricchiva la genealogia dell’eroe immaginando una parentela persino col suo arcinemico Skeletor: questi in origine sarebbe stato Keldor, il fratello di re Randor, rimasto sfigurato. Nel cartone animato non se ne fa menzione, nonostante la trovata, a mio parere, avrebbe reso il contrasto tra il protagonista e le sua nemesi ancora più serrato. Sebbene le trame dei vari episodi fossero molto semplici e spesso segnate da una buona dose di moralismo, He-Man e i Dominatori dell’Universo ottenne un successo tale che nel 1985 originò uno spin-off, She-Ra Principessa del Potere, al quale aveva lavorato grosso modo lo stesso staff della serie madre. La qualità delle sceneggiature risultò però superiore grazie all’inserimento di un lato oscuro nel passato della protagonista, la principessa Adora, sorella gemella del principe Adam, rapita appena nata dal perfido Hordak, un essere dal viso da pipistrello che indossa un mantello nero ed è in grado di trasformare il suo corpo in qualunque congegno meccanico o elettronico. Hordak comanda un vero e proprio esercito, l’Orda Infernale, con il quale tiene sotto dittatura il pianeta Aeteria V dopo aver tentato di conquistare Eternia V e tenta invano la conquista di Eternia. Adora, portata su Aeteria ed educata dal suo rapitore, una volta adulta diviene il comandante delle guardie di Hordak (che lei considera ormai un patrigno). Soltanto in seguito, grazie a He-Man, la donna si redimerà e, trasformandosi tramite l’ennesima spada magica nell’invincibile amazzone She-Ra, si unirà ai ribelli che combattono l’Orda Infernale. Stavolta anziché difendere lo status quo (il regno

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giusto di Randor e Marlene) come faceva suo fratello su Eternia, Adora/She-Ra deve rovesciare un impero del male (il regime di Hordak). La memoria corre a Luke Skywalker nella saga di Guerre Stellari; al fianco del villain, oltre a vari mostri, ci sono pure delle guardie robot che ricordano i soldati dell’Impero ideati da George Lucas. La trama, inoltre, anticipa fortemente quella di Xena Principessa Guerriera, sfruttando l’idea di una combattente pentita in cerca di riscatto. Rispetto all’eroina greca ideata da Rob Tapert e John Schulian, però, la Principessa del Potere risulta meno aggressiva e complessa. Ciò per riguardo al target infantile a cui inevitabilmente la Mattel e la Filmaction rivolgevano il loro prodotto, che costringeva a una certa dose di auto-censura. Mentre il percorso di Xena per liberarsi dalla crudeltà che la contraddistingueva quando era una Signora della Guerra è difficile e non privo di “ricadute”, She-Ra, dopo l’iniziale pentimento, sembra non avere di questi problemi. Era una combattente tutto sommato leale quando parteggiava per l’Orda Infernale, e lo è altrettanto combattendo per la ribellione. In ogni caso anche She-Ra ha un suo approfondimento psicologico, poiché Adora deve comunque affrontare il rimorso per suoi errori passati. Se aggiungiamo che nella linea di giocattoli Mattel tutto ruotava semplicemente sull’invidia che un’altra guerriera provava per la bellezza di She-Ra (Hordak e l’Orda Infernale appartenevano alla linea di He-Man), si può affermare come Dini, Straczynski e gli altri autori abbiano qui potuto veramente riaffermare una loro libertà creativa. He-Man e She-Ra hanno segnato sia Paul Dini, che metterà una notevole dose di fantasy nel successivo cartone Ewoks dedicato agli orsetti della saga di Star Wars, sia Straczynski, che scriverà il sottovalutato ma interessante Jayce and the Wheeling Warriors. He-Man e i Masters, confrontati con Princess of Power restarono comunque per la Mattel la trovata più

Animazione: He-Man


FANTASY/FANTASCIENZA

redditizia, dal momento che le bambine preferirono Barbie a She-Ra, mentre i maschi si trovarono certo in imbarazzo a chiedere ai genitori di comprare loro action-figures di principesse con tanto di chiome pettinabili. Anni dopo, la compagnia tentò in almeno due occasioni di rilanciare la linea di giocattoli Masters of the Universe. Per tale motivo si decise di finanziare due nuove serie animate (sebbene la Filmation avesse nel frattempo chiuso i battenti). Nacque così nel 1989 una nuova serie TV intitolata semplicemente He-Man, dove viene ridotto al minimo l’elemento fantasy per dare maggior rilievo a quello fantascientifico. Il biondo ed erculeo eroe porta ora capelli corti e dalla nativa Eternia si trasferisce sul più tecnologico pianeta Primus, governato da un consiglio di saggi racchiusi in cristalli giganti. Al suo fianco c’è una sorta di truppa scelta comandata dal capitano Hydron, che ricorda un po’ i personaggi di un’altra linea Mattel, anch’essa trasferita sullo schermo, ossia Captain Powers e i Combattenti del Futuro. A minacciare Primus ci sono i temibili mutanti di Denebria, tra i quali troviamo nuovamente Skeletor, non più in veste di leader ma in quella di subdolo consigliere. Il lavoro non è male, ci sono anche qui mostri e dark lady, ma chi amava il mondo medievaleggiante della serie classica finì per trovarsi un po’ disorientato da questo nuovo contesto da cui sparirono anche tutti i comprimari più conosciuti (Teela, Orko ecc.). Il cartone fu quindi un flop. Solo tempo dopo, nel 2002, i dirigenti Mattel decisero di investire il loro denaro in una

quarta serie, questa volta puntando di nuovo sul genere science fantasy e ripescando, seppure con un look differente, i personaggi originali. Nel progetto vennero coinvolti persino degli appassionati della serie classica che ne ricostruirono al meglio lo spirito. Alle musiche poi troviamo un artista che ha un rapporto particolare con il sword & sorcery, ossia Joseph LoDuca, il quale, oltre ad essere un collaboratore di Sam Raimi fin dai tempi de La Casa, ha composto le colonne sonore per i telefilm Hercules e Xena Principessa Guerriera (quasi per sottolineare un legame tra questi diversi character televisivi). Nemmeno stavolta, tuttavia, il pubblico rispose bene. Ultimamente si vocifera dell’intenzione di produrre un film con attori in carne ed ossa diretto addirittura da John Woo (Face-Off, The Killer). Già a suo tempo ci fu un tentativo di questo tipo con la pellicola I Dominatori dell’Universo, con Dolph Lundgren a impersonare He-Man e il bravo Frank Langella nei panni di Skeletor. Anche lì gli esiti furono infelici. Forse sarebbe meglio abbandonare questi tentativi di resurrezione. Probabilmente le produzioni Filmation – tra cui vale la pena ricordare Ghostbusters e il western futuribile Marshall Bravestarr – sono essenzialmente legate al contesto storico-culturale degli anni 80, e cercare di riciclarle sarebbe come voler ripetere le comiche di Stanlio e Ollio oppure l’horror inglese targato Hammer. Senza contare che le serie originali di questi due eroi sono ormai di diritto un classico dell’animazione. n Paolo Motta

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Serie TV

Serie TV

ANIME

ZAMBOT 3

(Muteki Choujin Zambot 3 - Y. Tomino, 1977) di Massimo “DeFa” De Faveri

C

irca un secolo fa, transfuga dal remoto pianeta Biar distrutto dalle forze di un essere chiamato Gaizok, un pacifico gruppo di alieni raggiunse la Terra e vi si stabilì con l’intenzione di costruirsi una nuova vita. Oggi anche Gaizok ha incrociato il nostro mondo, e le tre famiglie discese da quegli extraterrestri (i Jin, i Kamikita e i Kamie) sono costrette a riprendere le armi per proteggere l’Umanità. La lotta, senza quartiere, sarà resa ancor più tormentata dal pregiudizio dei Terrestri verso coloro che li stanno difendendo. Zambot 3 (Muteki Choujin Zambot 3), trasmesso per la prima volta in Giappone nell’ottobre del 1977, rappresenta un prodotto atipico e, sotto vari aspetti, innovativo del genere robotico, del quale riprende sì l’ultima tendenza (quella del robot componibile) ma calandosi in uno scenario sociale che, se non si può ancora definire realistico, è certamente molto meno infantile rispetto a quanto s’era visto fino ad allora. I precedenti (dal ‘72, anno d’uscita di Mazinga Z) avevano abituato il pubblico ad aspettarsi, dalle serie sui robot giganti, un schema narrativo costituito da certi precisi elementi, e non da altri: in ogni episodio c’era, in varia misura, l’approfondimento dei protagonisti (e di volta in volta di qualche personaggio secondario), quasi sempre lo sviluppo di sottotrame autoconclusive, e naturalmente l’immancabile scontro tra il gigante d’acciaio (o di qualche superlega particolare) e il mostro nemico. La progressione della trama, di puntata in puntata, riguardava in genere solo questi fattori, e per dare vivacità si giocava tutt’al più sulle variazioni nel rapporto di forze tra i buoni e i cattivi, con l’introduzione di nuove armi o nuovi personaggi. Molto raramente si prestava interesse allo scenario. Nei combattimenti, per esempio, l’attenzione era focalizzata sui robot, e le distruzioni (le città teatro degli scontri di solito venivano letteralmente rase al suolo) avevano una funzione puramente coreografica; terminata la battaglia, i

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Serie TV: Zambot 3


ANIME/ROBOT luoghi distrutti venivano semplicemente dimenticati. È in quest’ultima caratteI componenti ristica che Zambot 3 differisce dai predecessori: i “danni collaterali” prodotti dalle battaglie – ivi comprese quelle vinte – giocano un ruolo fondamentale, in funzione sia scenica che narrativa. Per la prima volta si assiste all’esodo 1. Lo Zam-Bird, pilotato da Kappei, forma tedella gente costretta ad abbandonare i centri urbani, si vedono i campi profusta e busto dello Zambot 3. ghi, i disagi, la carenza di viveri, di mezzi, di materiali... Viene mostrato un 2. Lo Zam-Bull, pilotato da Uchuta, costituivolto un po’ meno edulcorato della guerra, di fronte ai cui orrori la reazione sce la parte centrale dello Zambot 3. più verosimile della popolazione è il risentimento indistinto verso i combat3. Lo Zam-Base, pilotato Keiko, diviene le tenti, aggressori o difensori che siano. Prima ancora che col nemico, è con gambe dello Zambot 3. questo sentimento di profonda ostilità nei loro riguardi, proprio da parte chi stanno proteggendo, che gli eroi dovranno confrontarsi. L’ambientazione acquista importanza e maggior coerenza; e, trovandosi in un contesto che narra di una guerra, la coerenza non può che tradursi in drammaticità. In Zambot 3, il senso del dramma non è vincolato alle sottotrame dei singoli episodi, come avveniva nelle precedenti serie robotiche, ma è un elemento essenziale dell’impianto scenico. Nel rispetto della cornice bellica si vedono “finalmente” invasori che, dichiarato l’intento di sterminare gli esseri umani, agiscono appunto secondo questa logica, ossia finalizzando i loro sforzi non alla semplice sconfitta del robot buono ma... all’uccisione di persone, e quante più possibili! Il riferimento è al tema che ha reso celebre Zambot 3, quello delle bombe-uomo. In un certo momento della serie, che coincide con l’episodio numero 16, e fino all’episodio 19 compreso, gli autori concentrano il tiro sulla nuova strategia terroristica adottata da Killer the Butcher (il pittoresco capo degli invasori, anch’esso componente piuttosto originale rispetto ai soliti cattivi), quella d’impiantare delle bombe a tempo nel corpo dei prigionieri umani, e poi lasciarli liberi, rendendoli inconsapevoli portatori di morte. La “trovata” non è del tutto inedita (era presente, per esempio, anche in un episodio di Guyslugger, altra serie del ‘77, trasmessa qualche mese prima) ma viene qui sviluppata con un tale senso della tragicità abbinata a intento didascalico, da mettere in secondo piano ogni considerazione sul buono o cattivo gusto dell’usare certi eccessi al fine prevalente di stupire, anzi di scioccare. Quello delle bombe-uomo diventa l’elemento cardine su cui si costruisce la trama e si impostano i significati. Ricorre così l’inquietante analogia tra lo sterminio comandato da Butcher e quello metodico perpetrato dai nazisti, con i campi profughi trasformati in campi di concentramento, i mezzi di assistenza divenuti mezzi di rastrellamento, e, nei corridoi delle camere operatorie, le file dei terrestri ignari... simili ad altre penose colonne di prigionieri, in attesa davanti all’ingresso di altri famigerati locali. Nell’episodio numero 17 si assiste al volontario allontanamento delle persone trasformate in bombe: avvisate della loro condizione senza che nulla però si possa fare per mutarla, non resta loro altro da fare che raggiungere luoghi isolati in attesa della fine; c’è chi affronta questo destino con dignitosa rassegnazione, e chi invece cede allo sconforto, e vorrebbe scappare, ma viene trattenuto dagli stessi compagni di sventura. Nell’episodio numero 18, la sorte delle bombeuomo tocca anche ad Aki, la migliore amica del protagonista Kappei; qui la condannata è del tutto inconsapevole, e la morte la coglie in un momento di quiete e felicità, lasciando ancor più sconcertato lo spettatore. Sono due scene che, per impatto espressivo, non sarebbe esagerato definire liriche.

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Serie TV ANIME

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Le tre basi Biar si assemblano per formare l’astronave King Biar.

La King Biar

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Il dramma raggiunge però il suo culmine nel finale, col sacrificio di quasi tutti i personaggi principali, e il confronto tra Kappei e Gaizok in cui si svela la natura di quest’ultimo: non un semplice demone assetato di sangue, ma un freddo supercomputer programmato per mondare la Galassia dalle specie che dimostrano di possedere una malvagità congenita in grado d’inquinarla. Il genere umano è considerato una di tali specie, e l’ingrato atteggiamento con cui esso ha, fino a quel momento, ripagato il sacrificio dei Jin sembrerebbe accreditare questo giudizio. Eppure... il tripudio con cui Kappei, unico eroe superstite, viene accolto al suo rientro sulla Terra ribalta in un istante ogni prospettiva, e trasforma la tragedia appena consumata in un trionfo della speranza: i Terrestri si sono infine ravveduti, e le vite perse per loro dai Jin non sono state spese invano. I toni narrativi di questa serie sono dunque decisamente “forti”, considerando il target di bambini a cui dovevano rivolgersi, ma evidentemente si adeguavano alla maturità del pubblico e ad una naturale evoluzione legata al genere; in nessun momento prevale comunque l’impressione che la violenza proposta sia gratuita, o priva del suo corretto insegnamento morale. Nonostante lo scopo di certe scelte debba considerarsi – almeno in parte – commerciale (allora come ora, fare sensazione significava fare ascolto), quest’opera è stata diretta con sufficiente sensibilità da renderne valido il messaggio educativo: Zambot 3 è un cartone contro i pregiudizi. Dal punto di vista tecnico, occorre rilevare che si tratta del primo anime interamente prodotto dalla Sunrise; da un’opera prima non ci si poteva quindi che aspettare questi elementi d’innovazione e sperimentazione, che renderanno peraltro famosissimi i nomi degli autori… Tra coloro che si occuparono dell’animazione, va citato Yoshinori Kanada – fino ad allora sconosciuto – con le sue originali soluzioni grafiche utilizzate per rappresentare raggi dei laser e giochi di luce (che poi faranno epoca), o le sue – un po’ anarchiche – variazioni nel design, riconoscibili in certe scene dove i tratti dei personaggi, disegnati da Yoshikazu Yasuhiko, divengono più graffianti, deformati, ripresi da prospettive eccentriche... Tutti caratteri identificativi che si ritroveranno assai più espliciti l’anno successivo in Daitarn III. Il soggetto di Zambot 3 è di Yoshitake Suzuki e Yoshiyuki Tomino, quest’ultimo curatore anche della sceneggiatura e della regia. Menzionato Tomino, è quasi superfluo ricordare che proprio con Zambot 3 nel 1977 inizia quella rivoluzione che, proseguendo con Daitarn III nel ‘78, arriverà nel ‘79 a partorire il meka forse più famoso e venduto di tutti i tempi, quel Gundam che cambiò per sempre il concetto di realismo applicato agli anime robotici. Oggi di Zambot, dell’attenzione prestata al tema dell’integrazione, della tolleranza, dell’apertura sociale verso chi proviene – essendovi costretto – da altri “mondi”, non possiamo che constatare la grande attualità, e apprendere un insegnamento: la diversità è un bene prezioso, che ci ha già salvati in passato, e continuerà a farlo in futuro... se noi gliene lasceremo la possibilità. n Massimo De Faveri

Serie TV: Zambot 3


ANIME/ROBOT

Episodi # 1: Zambot Ace, Avanti! Le forze aliene di Gaizok raggiungono la Terra col proposito di distruggere l’Umanità. In difesa del pianeta interviene la famiglia Jin, discendente da extraterrestri provenienti da Biar, un mondo già assalito da Gaizok. Dal mare emerge l’imponente astronave-base dei Jin, la Biar 1, e contro il meka-boost nemico viene inviato lo Zam-Bird, un velivolo capace di trasformarsi nel robot Zambot Ace. A pilotarlo sarà il dodicenne Kappei, rampollo scapestrato della famiglia Jin, che fino a quel momento non aveva avuto altra occupazione che quella di perdere le giornate a contendersi col quasi coetaneo Shingo Kozuki il comando di una banda di ragazzini.

# 2: Un aiuto inaspettato La famiglia Jin trasloca a bordo della Biar 1, mentre sorgono problemi con la locale autorità di Polizia, che chiede spiegazioni sulla proprietà dell’enorme base. Intanto un nuovo mekaboost viene lanciato all’attacco, e per dar man forte a Kappei devono intervenire gli altri due cadetti della famiglia, Uchuta Kamie e Keiko Kamikita, rispettivamente ai comandi del mezzo cingolato Zam-Bull e del velivolo Zam-Base.

# 3: Uniti per la vittoria. Il nonno Hisaemon, patriarca della famiglia, e Ichitaro, fratello di Kappei, studiano le potenzialità della tecnologia in loro possesso, la quale, essendo rimasta nascosta e inutilizzata per lunghissimo tempo, conserva anche per loro diversi enigmi. Contro il meka-boost nemico stavolta lo Zambot Ace non basta: i tre mezzi da combattimento pilotati da Kappei, Uchuta e Keiko devono assemblarsi per costituire il potente robot Zambot 3. Intanto Kozuki comincia a sospettare che i Jin siano in combutta con gli invasori.

# 5: Un mare colmo di rabbia. Kappei cerca, con lo Zambot Ace, di facilitare le operazioni di sgombero della città semidistrutta, ma Kozuki semina il sospetto, accusando i Jin di aver provocato la guerra e mettendogli contro la folla. I dubbi sui profughi di Biar cominciano a tramutarsi in odio.

# 6: Il ritorno di Gengoro. Mossi da un’ostilità sempre più cieca, Kozuki e un gruppo di pescatori prendono in ostaggio Gengoro, il padre di Kappei, per obbligare i Jin a lasciare la Terra. Gengoro dovrà convincere il giovane che l’intento di Gaizok non è combatte# 4: King Biar. re i transfughi di Biar ma distruggere il pianeta, Mentre i tre rami della famiglia si ricongiungo- e che lo Zambot è la sola speranza di salvezza no con l’arrivo dei Kamie a bordo della Biar 2 e per l’Umanità. dei Kamikita sulla Biar 3, e le basi mobili si agganciano formando l’astronave King Biar, le distruzioni causate dalle battaglie contro i mekaboost di Gaizok aumentano, e cresce con esse anche la diffidenza della popolazione nei confronti della famiglia Jin. Kozuki, a cavallo della sua moto e imbracciando un fucile, fa irruzione nella Biar 1, deciso a smascherare le intenzioni di coloro che ritiene nemici della Terra.

Serie TV: Zambot 3

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Serie TV ANIME

# 7: Chi è il nemico? La gente continua ad evacuare le città, e il risentimento verso la famiglia Jin è ormai generalizzato, tanto da coinvolgere anche Michi e Aki, amiche di Kappei. Kozuki addirittura cattura Keiko, usandola come ostaggio per accedere alla sala comando della King Biar e distruggerne le strumentazioni.

# 10: Caccia all’uomo. Il vice-primo ministro giapponese Nozaki tenta la via diplomatica per raggiungere un accordo con i Gaizok e convincerli della neutralità dei Terrestri nella lotta tra loro e i Jin. Incontrano quindi Butcher nella base dei Gaizok, l’enorme Bandok. L’accoglienza del capo alieno sarà però spietata.

# 8: Ritorno a Tokyo. Sumie, la madre di Uchuta, si rifiuta di continuare la lotta e obbliga i Kamie a sganciare la Biar 2 per tornare a Tokyo. Intanto Butcher fa allestire un meka-boost rivestito di un materiale capace di riflettere ogni tipo di energia.

# 11: Nella tana del nemico. Kappei vorrebbe attaccare da solo la Bandok, che però è protetta da un invalicabile scudo di energia. Hisaemon e Gengoro cercano di # 14: La promessa di Aki. penetrare nella base a piedi, per disattivare la In un campo profughi nell’Hokkaido, Kappei barriera. rintraccia Aki e Michi. Aki è ancora risentita verso il giovane Jin, ma lentamente il rapporto tra i due riesce a ricucirsi.

# 9: In lotta contro il tempo. Dopo l’ultimo combattimento, la King Biar e i moduli dello Zambot 3 necessitano di riparazioni, ma la gente locale rifiuta di vendere ai Jin materiali e i pezzi i ricambio. I tre Biar sono costretti a separarsi, e le famiglie a cercare i ricambi ognuna per proprio conto.

# 12: Un triste compleanno. In occasione del suo compleanno, a Keiko viene concesso di far visita ai Kamikita sulla Biar 3. Ma, al suo arrivo a casa, la giovane ha il dispiacere di scoprire che anche i suoi amici di un tempo, Shin’Ichi, Yoshio e Hiromi, sono ora divorati dall’odio contro di lei e la sua famiglia.

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Serie TV: Zambot 3

# 13: La lunga strada del guerriero. Kappei rivede casualmente Kozuki, il quale, sempre in compagnia della sua piccola banda, si sta prendendo cura di Chiko, una bambina rimasta sola e psicologicamente traumatizzata dalla guerra – e dalla vista dello Zambot in particolare. Sentendosi in colpa per i danni e le sofferenze che le battaglie contro i meka-boost continuano a provocare, Kappei decide di non combattere più. Ma proprio Kozuki finirà per farlo rinsavire.

# 15: Il coraggio e l’onore. Le Forze Armate decidono di affiancarsi allo Zambot nella lotta contro Gaizok. Per la prima volta dall’inizio della guerra la famiglia Jin si sente accettata. Giungono i materiali necessari


ANIME per la riparazioni delle basi mobili, ma si crea qualche attrito con i militari, intenzionati a porre la King Biar sotto il comando del generale Lee, inesperto amico di Hisaemon.

# 16: Il dramma delle bombe-uomo. Butcher adotta la spregevole strategia di applicare delle bombe nel corpo dei prigionieri e di usarli poi a scopo terroristico. Intanto Kazu, Kiro e Kimiko, i bambini dei Kamie e dei Kamikita, vengono catturati dai Gaizok, che per restituirli pretendono la consegna dello Zambot.

Episodio 18: Aki e Kappei. I Jin cercano d’individuare la Bandok, dove i Gaizok continuano a produrre bombe-uomo. Anche Kozuki, Michi e Aki vengono catturati, e quest’ultima subisce l’operazione d’innesto dell’ordigno.

# 19: Fuga verso il domani. Prosegue la ricerca alla Bandok, dov’è ancora trattenuto Kozuki. Intanto a bordo dell’astronave nemica i prigionieri si ribellano. Uno di essi, ingegnere, già trasformato in bomba-uomo, riesce a studiare gli schemi dell’ordigno e a # 17: Quando brilla una stella. costruire un telecomando per farsi esplodere a Kozuki e la sua banda sono prigionieri nel sua discrezione. campo profughi di Nanakashu. Uno dei ragazzi, Kenta, riesce a scappare e a raggiungere la King Biar per informare i Jin dello strano modo con cui viene gestito il campo. Maie e Kappei, introducendovisi in incognito, scoprono che la struttura è controllata dai Gaizok, e usata come centro di rastrellamento e fabbrica di bombeuomo.

# 20: Il giorno della partenza. I Jin consegnano al governo i progetti di costruzione dello Zambot e della King Biar. Ma i militari, non contenti e convinti di poter meglio dirigere le operazioni belliche, decidono di sequestrare l’astronave e sostituire i piloti del robot.

Serie TV: Zambot 3

# 21: L’ultima battaglia. La Bandok decolla ed esce dall’atmosfera terrestre. La King Biar la insegue nello spazio, dove i nonni Hisaemon e Maie decidono una mossa suicida: speronare il nemico con la Biar 2.

# 22: La fine di Butcher. I più potenti meka-boost di Gaizok, i Cavalieri della Morte, vengono attivati. Sulla King Biar, gli uomini si preparano alla battaglia finale, evacuando le donne e i bambini con le capsule di salvataggio. Uno dei moduli, quello con a bordo Anae, la madre di Kappei, resta però indietro, e rischia di finire distrutto.

# 23: Splendi per sempre. Un’allucinazioni prodotta dal nemico induce la Biar e lo Zambot a combattere tra di loro, ma Uchuta riesce a intuire l’inganno. Lo Zambot subisce gravi danni, e Uchuta e Keiko decidono di separare i moduli e lanciarsi in un’azione kamikaze contro la Bandok. Toccherà poi a Kappei confrontarsi con Gaizok in persona. n

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Serie TV ANIME

Le

Armi Lo Zambot 3: pilotato da Kappei, la sua

arma più usata sono i due pugnali (ZAMBOT GRAPS) che, uniti, possono diventare una spada (ZAMBOT CUTTER) o una lancia (ZAMBOT BLOW); ai lati delle ginocchia dispone inoltre di due lanciamissili a stella rotanti (BUSTER MISSILES). La sua arma risolutiva è l’Attacco Lunare (MOON ATTACK), ma quella più potente è il CANNONE IONICO, usato solo nel penultimo episodio.

Lo Zam-Bird:

pilotato da Kappei, è armato con due cannoni mitragliatori (BIRD GUNS) e un laser parabolico (TREMBLE HORN). In configurazione Zambot Ace, è in grado di utilizzare una pistola (ZAMBOT MAGNUM) che, all’occorrenza, può diventare un lanciagranate (GRANATES LAUNCHER).

Lo Zam-Base:

pilotato da Keiko, ha funzioni prevalentemente ricognitive; è equipaggiato con una coppia di laser posteriori (BASE FIRE) e un laser anteriore (BASE LASER), e a bordo porta la componente MAGNUM utilizzata dallo ZAMBOT ACE. è inoltre in grado di lanciare telecamere spia per acquisire dati sul nemico.

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Lo Zam-Bull:

pilotato da Uchuta, è dotato di un cannone centrale (BIG CANNON), di un lanciamissili (BIG MISSILE) e di due trivelle (CRUSH DRILLS) che possono anche essere espulse e utilizzate come ganci di traino contro i meka-boost. è inoltre in grado di lanciare i pugni, componenti dello Zambot 3.

Serie TV: Zambot 3


ANIME/ROBOT

Nave Lumaca

Domira

Jidobiraa

Gabidan

Doyozuraa

Garingen

Eregin

Kumogenira

Garuchakku

Amonsugaa

Toashiddo

Baibuon

Mogundaa

Harindaa

Dabongaa

Kamezuon

Desukameru

Buubon

Hirayangaa

Kuraagen

Gorugasu

Gaidaa

Dangarun

Zondaa

Desukain

Herudain

Meka-b finale

I Meka-Boost

Base Bandok

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Serie TV: Zambot 3


Serie TV

Personaggi

Kappei Jin 12 anni. Figlio di Gengoro e Anae, pilota lo Zam-Bird/Zambot Ace, e lo Zambot 3. è un giovane scavezzacollo, che la guerra contro Gaizok farà maturare e diventare uomo.

Keiko Kamikita 14 anni. Figlia di Yasuhiko e Yumiko, pilota lo Zam-Base. è una ragazza dolce e sensibile, ma indomita in battaglia. Nel finale non esiterà a sacrificarsi per distruggere la Bandok.

L’arma principale della famiglia Jin, è formato dall’unione dei tre mezzi da combattimento: lo Zam-Bird, lo Zam-Bull e lo Zam-Base. Viene utilizzato per contrastare i meka-boost nemici. Nell’ultima battaglia verrà quasi completaente distrutto, tanto da indurre Uchuta e Keiko a separare i loro moduli per permettere a Kappei di proseguire la lotta con lo Zambot Ace.

Uchuta Kamie

Zambot Ace

15 anni. Figlio di Tada e Sumie, pilota lo ZamBull. Più maturo e riflessivo di Kappei, è spesso lui a suggerire le strategie e tenere a bada l’impulsività del cugino in battaglia.

è lo Zam-Bird in configurazione robot. Efficace, ma meno potente dello Zambot.

Shingo Kozuki 13 anni. è il capo di una banda di ragazzini, acerrimo rivale di Kappei. Inizialmente schierato contro i Jin, un po’ alla volta si ricrederà, aiutandoli poi nella lotta contro Gaizok.

Aki 12 anni. Amica di Kappei, le vicissitudine della guerra la porteranno ad allontanarsi e poi riavvicinarsi al giovane Jin. Trasformata in bomba-uomo, il suo destino sarà tragico.

Hisaemon Kamikita Patriarca della famiglia Jin, è colui che prende le decisioni. Dedito da anni alla ricerca delle basi Biar nascoste dagli avi, riesce a trovarle proprio poco prima dell’arrivo di Gaizok.

Anae Jin La mamma di Kappei. Energica e coraggiosa, più volte la si vede tenere a bada il rissoso Kozuki. Nel finale, la sua capsula di salvataggio rischierà di non giungere sulla Terra.

Tada Kamie Il dottore, padre di Uchuta. Costretto dalla moglie Sumie ad abbandonare temporaneamente la lotta contro Gaizok, nel finale darà la vita per salvare la Terra.

Yasuhiko Kamikita Padre di Keiko, ha allevato la figlia in un ranch a contatto con la natura. Di indole bonaria, nel finale dimostrerà grande coraggio e abnegazione, sacrificandosi per la Terra.

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Zambot 3

Serie TV: Zambot 3

Kille the Butcher Capo delle forze di Gaizok dalle abitudini eccentriche, che rasentano il kitch. Privo di scrupoli, conduce la guerra in modo sadico. Nel finale si scoprirà che è un cyborg.

Michi 12 anni. Amica di Aki, timida e segretamente innamorata di Kappei. Nel finale sarà lei a raccogliere sulla spiaggia il giovane Jin, ritornato dall’ultima battaglia.

Maie Jin Moglie di Hisaemon e nonna di Kappei, condividerà fino all’ultimo il destino del marito, accompagnandolo quando questi deciderà di speronare la Bandok con la Biar 2.

Gengoro Jin Carismatico padre di Kappei, pescatore di mestiere. Sarà lui, per salvare Anae, a distruggere i Cavalieri della Morte, consentendo così allo Zambot 3 di concentrarsi su Butcher.

Sumie Kamie Egocentrica madre di Uchuta, costringe i Kamie a piantare in asso il resto della famiglia per far ritorno a Tokyo. L’irriducibilità di Gaizok la costringerà però a riprendere la lotta.

Yumiko Kamikita La madre di Keiko. Apparentemente fragile, nasconde invece un carattere forte; è infatti lei a spronare la figlia facendole superare le difficoltà psicologiche della guerra.


ANIME/ROBOT Ichitaro Jin

Kumiko Kamikita

Kiro Kamie

La timida e affezionata sorella di Keiko. Finisce nei guai nell’episodio numero 16 quando, allontanatasi coi cugini Kiro e Kazu, viene catturata dai Gaizok.

Kazu Kamie

Vivace sorellina di Uchuta. Nell’episodio 16 viene catturata dai Gaizok, insieme a Kazu e Kimiko, e tenuta in ostaggio con la minaccia d’essere mutata in bomba-uomo.

Gaizok

Fratellino esuberante di Uchuta. Nell’episodio 16, con l’intento di partire per combattere, scappa insieme a Kiro e Kimiko e finisce catturato da Gaizok.

Chonishiki

Supercomputer costruito da una civiltà aliena con lo scopo di ripulire la Galassia dalle razze dominate dalla malvagità. Svolge con zelo il suo compito, distruggendo interi pianeti.

Kaoru Kozuki

L’intrepido cane di Kappei che accompagna il giovane Jin in ogni avventura. Spesso lo vediamo salire sullo Zam-Bird, a bordo del quale perirà durante l’ultima battaglia.

Nozaki

La sorellina di Shingo. Nelle prime fasi della guerra si smarrisce, durante un combattimento, e viene da tutti creduta morta. Potrà riabbracciare il fratello nel finale.

Generale Lee

Vice-primo ministro giapponese; tenta di negoziare una pace con Butcher, e per poco non viene da questi ucciso. Deciderà allora di unirsi alla famiglia Jin nella lotta a Gaizok.

Prigioniero

Vecchio amico di Hisaemon, assume il comando delle forze di difesa quando le autorità decidono di allearsi con Jin. In battaglia, la sua autorità viene però contestata da Kappei.

Capitano

L’ingegnere trasformato in bomba-uomo che riesce a costruire un telecomando in grado di attivare la detonazione. Si farà esplodere all’interno della Bandok.

Mamma di Aki

L’ufficiale che, nell’episodio 20, è incaricato di sequestrare la King Biar e sostituire i piloti dello Zambot 3. Alla prima battaglia dovrà restituire subito il comando ai Jin.

Baletar

La madre di Aki. Tenuta separata dalla figlia a causa degli eventi bellici, la ritroverà nell’episodio numero 14, presso un campo profughi nell’Hokkaido.

Zubuda

Ridicolo e servile braccio destro di Killer the Butcher, è colui che elabora le strategie d’attacco dei Gaizok. Più che un generale, ha l’indole del maggiordomo.

Gitzer

Personaggi

Il fratello di Kappei. Ai comandi della King Biar, è colui che presta assistenza tattica allo Zambot 3 durante le battaglie. Farà esplodere la Biar contro la Bandok.

è il costruttore che si occupa dell’assemblaggio e dell’armamento dei meka-boost di Gaizok. Spesso partecipa alle scelte strategiche, ideando armi particolari.

Chiki

Caratterizzato da una faccia piena di cicatrici, è il secondo luogotenente di Killer the Butcher, con le stesse mansioni di Baletar, e la stessa goffaggine.

Hamamoto

Bambina traumatizzata dalla guerra, e particolarmente intimorita dalla vista dello Zambot 3. Shingo la trova e si prende cura di lei, che gli ricorda la piccola Kaoru.

Kenta

Sfortunato ragazzino della banda di Kozuki. Lui e il compagno Hayashi finiranno trasformati in bombe-uomo, e non riusciranno a sfuggire alla triste sorte.

Uno dei componenti della banda di ragazzini capeggiata da Shingo Kozuki. è lui a fuggire dal campo profughi che Gaizok usa come fabbrica di bombe-uomo, e ad avvertire i Jin.

Serie TV: Zambot 3

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Serie TV

Serie TV

ANIME

GUYSLUGGER

(Hyouga Senshi Guislugger - S. Ishinomori e N. Ishitaro, 1977) di Massimo “DeFa” De Faveri

T

rentamila anni fa: sulla Terra, dove prospera la progredita e pacifica civiltà dei Soloniani, giungono le forze d’invasione degli spietati extraterrestri Imbem, che in breve tempo conquistano il pianeta. Poco prima della disfatta, il Regno di Solon predispone come ultima risorsa una squadra di combattenti, formata da cinque ragazzi “rimodellati ciberneticamente”; la loro missione è raggiungere e attaccare il pianeta d’origine degli Imbem. Le condizioni climatiche sulla Terra, però, mutano improvvisamente, e il globo precipita in un’era glaciale che cancella ogni traccia della cultura soloniana e allo stesso tempo rende il pianeta inabitabile per gli Imbem, che lo abbandonano. Oggi: rimasti ibernati per tutto questo tempo sotto i ghiacci del Polo Sud, i cinque ragazzi cibernetici (cibanoidi), vengono risvegliati dall’improvviso ritorno sulla Terra dei conquistatori Imbem. Il Regno di Solon ormai non esiste più, ma gli alieni troveranno ugualmente pane per i loro denti! Questo è l’incipit di Guyslugger (氷河戦士ガイスラッガー, Hyouga Senshi Guyslugger, I Guerrieri Glaciali Guyslugger), serie di 20 episodi ideata da Shotaro Ishi[no]mori e diretta da Noburo Ishiguro. L’anno era il 1977; lo schema del gruppo di eroi formato da cinque elementi (in genere tre ragazzi, una ragazza e un bambino – i Gatchaman ne sono un esempio molto famoso) dai ruoli ben suddivisi, e definiti secondo precisi stereotipi sia caratteriali che fisici, stava diventando uno standard. In Guyslugger questo tema viene mantenuto, come pure quello dell’invasione aliena, che in quel periodo andava per la maggiore avendo creato un sodalizio di ferro col genere robotico (l’anno precedente i due argomenti si erano sposati in Gaiking, UFO Diapolon, Combatter, Gakeen, e nel ‘77 ancora in Mechander Robot, Ginguiser, Vultus 5, Balatack e Zambot 3). Non ci si discosta troppo, quindi, dai canoni comuni un po’ a tutte le serie di fantascienza del biennio 76/77, e anche l’animazione e la progressione narrativa sono piuttosto convenzionali, in linea con le produzioni di quel periodo; forse è per questo che di

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Serie TV: Guyslugger


ANIME/CYBORG

Kaya Mito Dovrebbe essere il capo della squadra, ma i cibanoidi tendono a seguire più le decisioni di Ken e Riki. è freddo e calcolatore, abile in battaglia, ma anche scontroso e cinico.

Mari Tani L’unico componente femminile della squadra. Ha un carattere dolce, è altruista, sempre pronta ad aiutare il prossimo, ma in battaglia si dimostra coraggiosa al pari degli altri.

Taro Li Il più giovane dei cibanoidi. è un provetto ingegnere; sua è la progettazione dei caccia da guerra terrestri che, nel finale, affiancheranno la Solon nella lotta contro gli Imbem.

Riki Ono L’unico cibanoide a non avere un volto umano. è fisicamente il più forte del gruppo, anche il più saggio, spesso si pone in ruolo di mediazione tra Kaya e il resto della squadra.

Guyslugger è rimasto poco nella memoria del pubblico, soprattutto in Italia dove ai passaggi televisivi non ha mai fatto seguito un’edizione per il mercato dell’home-video. Tuttavia di questa serie resta un’ambientazione abbastanza originale (con frequenti riferimenti a misteri archeologici e ad antiche civiltà), e altri elementi distintivi che, tutto sommato, la elevano almeno a livello di serie coetanee più ricordate. I risvolti drammatici – una di quelle caratteristiche frequenti nell’animazione giapponese che hanno fatto molto arrabbiare genitori e pedagoghi nostrani – conferiscono alla trama un tenore decisamente serio (non vengono risparmiati la malattia, il disperato e inutile suicidio-vendetta, il sacrificio...) e in taluni casi precorrono temi che verranno poi proposti – destando maggior impressione – in altre opere. Pochi ricordano, infatti, che le celeberrime e scioccanti bombe-uomo di Zambot 3 (serie andata in onda in Giappone un paio di mesi dopo la conclusione dei cibanoidi) furono precedute da quelle presentate nell’episodio numero 15 proprio di Guyslugger. Realizzata in tandem dalla Tokyo Movie (poco

Soloniani

Il pilota della Solon. è il membro più intraprendente, ma anche il più impulsivo, della squadra. Agisce spesso di propria iniziativa, mandando Kaya su tutte le furie.

I Combattenti

Ken Shiki

prima di diventare Tokyo Movie Shinsha) e dalla Oka Studio per conto del colosso Toei Co., questa serie ha un po’ il sapore di un ritorno al passato, sapore ispirato da un design dei personaggi che rispetta in modo fedele lo stile “tezukiano” del primo Ishimori. I cinque cibanoidi richiamano i protagonisti del suo celebre Cyborg 009, della Toei Doga, che aveva furoreggiato in Giappone circa dieci anni prima, e di cui in Italia è giunto solo il primo mediometraggio cinematografico (Joe Tempesta). La storia è piuttosto diversa – pur riproponendo il tema classico di Ishimori, quello dell’uomo tramutato in macchina – ma lo stile grafico rimane lo stesso e verrà mantenuto due anni più tardi nel primo dei due remake dei cyborg (ce ne fu poi uno più recente, che risale al 2001), prodotto, come Guyslugger, dalla Toei Co. (ma realizzato stavolta dalla Sunrise), e divenuto famosissimo anche in Italia col titolo Cyborg, i nove supermagnifici. Si noterà che i cibanoidi Ken Shiki e Kaya Nito sono praticamente identici ai cyborg Joe Shimamura 009 e Bretagna 007. n Massimo De Faveri

Serie TV: Guyslugger

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Serie TV ANIME

Episodi

# 1: Il ritorno dei Soloniani. Già arrivati sulla Terra nel remoto passato, gli extraterrestri Imbem tornano col proposito di conquistarla. In una stazione di ricerca al Polo Sud, il professor Shiki viene attaccato da uno dei loro dischi volanti, ma lo salva il provvidenziale risveglio dei combattenti cibanoidi (Ken, Kaya, Mari, Riki e Taro). Si tratta di 5 ragazzi dal corpo cibernetico, appartenenti alla scomparsa civiltà terrestre dei Soloniani che dagli Imbem era stata distrutta, rimasti ibernati per 30.000 anni e risvegliati proprio dalla riapparizione dell’odiato nemico.

# 3: Il ragazzo dell’Isola di Pasqua. A casa del professor Shiki si riceve una telefonata che preannuncia un attentato alla funivia del monte Atonosu. In realtà è un espediente di Mor per attirare sul posto i cibanoidi e verificare che si tratti di Soloniani. Costui, abitante dell’Isola di Pasqua, è infatti a conoscenza della storia del Regno Solon e degli Imbem, e intende insegnare ai Soloniani le basi di un’antica lingua, la cui comprensione è necessaria per rintracciare un elemento ad altissimo contenuto di energia, chiamato stronio. Il tempo stringe però, perché al giovane, malato di leucemia, non resta molto da vivere.

# 5: La Città Fantasma. Il professor Shiki sparisce durante l’esplorazione di un’antica galleria che sembra avere qualcosa a che fare con lo scomparso Regno di Solon. Mobilitati alla sua ricerca, Ken e Mari scoprono l’accesso a una spettacolare città automatizzata, costruita dai Soloniani ma mai abitata.

# 6: Il Segreto del Pianeta Shusen. Le ricognizioni dei dischi volanti Imbem sembrano convergere sulla regione di Asuka, dov’è situato un antico tumulo. Ken, fingendosi l’archeologo Saeki, si lascia rapire dal nemico per scoprire cosa c’è sotto. # 2: L’astronave scomparsa. Presentati alle autorità militari dal professor Shiki, i ragazzi cibanoidi vengono poi inviati sulla Luna per indagare sulla misteriosa sparizione di un’astronave carica di scienziati. Nel frattempo, sulla Terra, si lavora alla costruzione di una base speciale presso l’Istituto Geologico di Shiki, da adibire al coordinamento delle forze che dovranno opporsi agli invasori Imbem.

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# 4: La Battaglia nel Mare del Diavolo. Una petroliera e un aereo spariscono senza lasciare traccia. Partito a bordo di un sottomarino per investigare, il professor Shiki viene attaccato dagli Imbem, e i cibanoidi sono costretti a intervenire. La situazione fra i cinque ragazzi però è tesa, a causa del comportamento scostante di Kaya.

Serie TV: Guyslugger


ANIME/CYBORG

# 7: Il Dono degli Antenati. Imprudentemente, Ken accompagna Hiroshi, figlio del professor Shiki, a fare un giro nello spazio con l’astronave dei cibanoidi, la Solon. Il veicolo spaziale viene però intercettato e abbattuto da un disco imbem, che ne danneggia irreparabilmente la trivella frontale. Senza la sua arma più efficace, la nave è inerme di fronte agli attacchi nemici… Ma, prodotta da un antico cerchio di pietre presente nel luogo dove la Solon è precipitata, una strana forza sembra emergere in soccorso dei cibanoidi.

# 8: Il Patto di Sangue. Al fine di potersi più facilmente avvicinare alla Terra, gli Imbem organizzano un piano per installare sul pianeta un dispositivo che interferisca con i radar. Durante una ricognizione che rischia di smascherare le intenzioni nemiche, un aereo del Centro Geologico di Shiki, guidato dal giovane Goro, viene abbattuto, e il pilota perde la vita. Saburo, suo fratello, è fermamente intenzionato a vendicarlo.

# 9: La Ragazza Ibernata. Seguendo un segnale soloniano automatico, i cibanoidi si dirigono al Polo Nord. Gli Imbem, però, li precedono, rintracciando la fonte della trasmissione e trovando, sepolta nei ghiacci, una capsula d’ibernazione soloniana. Al sopraggiungere dei cibanoidi, gli Imbem sono costretti a cedere il contenitore, ma dopo averlo ricoperto con un potente acido. All’interno è ibernata Yuki, una sesta combattente cibanoide, amica del cuore di Mari. Quando l’acido comincia a corrodere l’involucro che la contiene, la vita della dormiente è messa in grave rischio.

# 11: Il Sottomarino Fantasma. Il relitto di un U-Boot tedesco della II Guerra Mondiale attacca e distrugge un sottomarino nucleare, generando un clima di grave tensione tra le potenze della Terra, che si accusano a vicenda dell’attacco. Naturalmente, sotto c’è lo zampino degli Imbem. Pur restii a intromettersi negli affari interni dei governi terrestri, i combattenti soloniani intervengono.

# 12: Il Sosia. Gli Imbem, stavolta, sono a caccia di uranio nello Sri Lanka, dove il professor Fujiwara, caro amico del professor Shiki, sta effettuando delle ricerche archeologiche. Dopo aver ucciso # 10: Il Dolore di Jiro. Grazie a un congegno che controlla le onde l’archeologo, gli alieni lo sostituiscono con un cerebrali degli animali, gli Imbem investono sosia, che inviano a piazzare una bomba a borTokyo con un’orda di topi famelici. L’esercito do della Solon. non è sufficiente a gestire l’emergenza, devono perciò mettersi in azione i combattenti soloniani. Il congegno è però in grado di comandare anche i cani, compresa Lulù, la compagna del cane cibanoide Jiro (Hiro).

# 13: Attacco alla Solon. I cibanoidi abbattono uno strano UFO, diverso rispetto ai normali velivoli usati dal nemico. A bordo trovano un bambino imbem; lo cattu-

Serie TV: Guyslugger

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Serie TV ANIME rano e lo portano all’Istituto Geologico, senza immaginare che si tratta di un agente inviato a distruggere la Solon, e posseduto da un organismo alieno che gli conferisce pericolosi poteri.

una trappola per attirarli nel deserto e attaccarli. La battaglia sarà resa ancor più dura per ambo le parti dalle condizioni climatiche estreme.

# 16: Yuko con le Vesti d’Angelo. Una ragazza afferma di essere stata rapita da una nave spaziale, e un velo bianco di fattura extraterrestre in suo possesso, ereditato da sua nonna, sembrerebbe provare che qualcosa di # 14: Ritorno alla Terra Natia. strano potrebbe esserle realmente capitato. Quattro alieni del pianeta Moloco disertano I cibanoidi sospettano che la giovane sia una dalle truppe imbem e raggiungono la Terra. discendente di Imbem scesi in tempi antichi Il loro scopo è chiedere aiuto ai Soloniani per sulla Terra. poter far ritorno al loro mondo d’origine. Le autorità terrestri non sono disposte a rischiare l’incolumità dei cibanoidi, ma questi ultimi agiscono di loro iniziativa.

# 17: Duello sulla Sierra. L’imperatore Babaru affida pieni poteri ai due migliori combattenti imbem, e li invia sulla Terra a sostituire il generale Degas e ad occu# 15: Operazione Kamikaze! parsi personalmente del problema Soloniani. I All’Istituto Geologico, l’ingegnere Joy Inohue, due decidono di sfidare i cibanoidi a un duello con l’aiuto di Taro, sta realizzando il prototipo all’ultimo sangue sulla Luna. di una nuova nave spaziale da combattimento da affiancare alla Solon nella lotta contro gli Imbem. Gli alieni, però, corrono ai ripari, catturando il suo vecchio insegnante Ishikawa e poi lo stesso Inohue e due suoi amici, e impiantando loro una bomba a tempo nel cranio.

# 18: La Battaglia del Deserto. Gli Imbem intendono costruire nel Sahara una base strategica da cui procedere poi alla conquista della Terra. Per fare ciò occorre prima liberarsi dei cibanoidi; viene allora predisposta

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Serie TV: Guyslugger

# 19: Esilio su Imbem. Koji Ushike, amico di Reiko e figlio di un professore scomparso, dimostra di conoscere l’esistenza della Solon e degli alieni Imbem, e usa queste informazioni per ricattare il professor Shiki: rivelerà al mondo il pericolo rappresentato dagli invasori alieni, se i cibanoidi non accetteranno di portare agli Imbem una sua misteriosa lettera, scritta in una lingua particolare che né Shiki né i Soloniani sono in grado di decifrare.

# 20: Obiettivo: Pianeta Imbem. L’imperatore Babaru ordina al generale Degas di sferrare un attacco risolutivo alla Terra, utilizzando in blocco tutte le forze imbem presenti nel Sistema Solare. La Solon affronta l’offensiva, coadiuvata dalle forze di difesa terrestri, che si avvalgono delle nuove navi progettate da Taro e da Inohue. I combattenti soloniani annientano l’armata nemica, ma non si arrestano; sono intenzionati a portare finalmente a compimento la loro missione originaria, per la quale la squadra era stata formata, 30.000 anni prima: raggiungere il pianeta Imbem ed eliminare una volta per tutte la minaccia rappresentata dai temibili alieni. n


ANIME/CYBORG

Comandanti Episodio 5

Episodio 6

Episodio 7

Episodio 8

Imbem Episodio 4

Episodio 3

Episodio 2

Episodio 1

Episodio 11

Episodio 11

Episodio 10

Episodio 9

Episodio 13

Episodio 13

Episodio 12

Episodio 12

Episodio 17

Episodio 16

Episodio 15

Episodio 14

Episodio 19

Episodio 18

Episodio 18

Episodio 17

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Serie TV: Guyslugger

Imbem #19

Ripin

Babas

Zoruba

Garuba

Degaru

Ganga

Gart

Nazuru Zeruma Sosia Robs

Papan Jegin Dome Sobes

Gabara Jemos Papas Gazeru

Giralu Imbem #3 Dodos Garoru


ANIME/CYBORG

Personaggi

Professor Shiki Geologo giapponese, diviene coordinatore e tutore dei cibanoidi dopo che questi l’hanno salvato da un attacco da parte degli Imbem. è in prima fila nella lotta agli alieni.

Reiko Shiki La figlia maggiore del professor Shiki. Molto amica dei cibanoidi, ma in qualche occasione ne biasima la leggerezza, specie quano Ken mette in pericolo Hiroshi nell’episodio 7.

Itoigawa Sovrintendente alla Difesa. è il capo delle forze armate terrestri, da cui dovrebbero dipendere anche i cibanoidi, sebbene questi ultimi agiscano sovente di propria iniziativa.

Mor Abitante dell’Isola di Pasqua, è l’unico depositario della conoscenza di un’antica lingua, necessaria per rintracciare sulla Terra un elemento altamente energetico: lo stronio.

Saburo Pilota in forza all’Istituto Geologico del professor Shiki, insieme al fratello Goro. Quando quest’ultimo finirà ucciso dagli Imbem, Saburo farà di tutto per vendicarlo.

Yoko Discendente da un gruppo di profughi Imbem scesi sulla Terra. Riuscirà a stabilire un contatto pacifico con gli alieni, tanto che il comandante Degaru si sacrificherà per lei.

Professor Fujiwara Archeologo, amico del professor Shiki, rapito e ucciso dagli Imbem nell’episodio numero 12. Al suo posto, gli alieni inviano un sosia col compito di distruggere la Solon.

Joy Inohue Ingegnere che si occupa, insieme a Taro, della progettazione delle nuove navi da combattimento terrestri. Gli Imbem lo rapiscono e tentano di usarlo come bomba umana.

Imperatore Babaru Rappresenta l’autorità suprema del pianeta Imbem; è per sua volontà che la Terra viene invasa. Nell’episodio finale, per eliminare lui, i cibanoidi punteranno sul pianeta Imbem.

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Serie TV: Guyslugger

Generale Degas Il comandante delle forze Imbem del Sistema Solare. Dopo i suoi numerosi fallimenti, rischierà di essere destituito nell’episodio 17. Comanderà di persona l’attacco finale.

Hiroshi Shiki Vivace bambino, figlio del professor Shiki e fratellino di Reiko. Nell’episodio numero 13, viene posseduto dall’entità aliena Zuzuzu, e cerca di far esplodere la Solon.

Jiro è il cane da slitta del professor Shiki. Rimasto ferito nel primo episodio, viene curato dai Soloniani e trasformato in cibanoide, divenendo un valido elemento della squadra.

Professor Saeki L’archeologo che si occupa degli scavi presso il tumulo shogan, nell’episodio numero 6. Ken lo impersonerà, per farsi rapire dagli Imbem e scoprire così i loro piani.

Yuki Una sesta combattente soloniana, posta in stasi per un difetto nel processo di trasformazione in cibanoide. La sua capsula di ibernazione viene ritrovata nell’episodio 9.

Koji Ushike Amico di Reiko e figlio di uno scienziato scomparso, sceglie spontaneamente di chiedere asilo agli Imbem; per poterlo fare non esita a ricattare i cibanoidi e il professor Shiki.

Bam Bam Alieno del pianeta Moloco. Insieme ad altri tre compagni, diserta dall’esercito degli Imbem e raggiunge la Terra per chiedere protezione ai Soloniani.

Professor Ishikawa Vecchio mentore di Joy Inohue, viene rapito dagli Imbem, e usato poi per catturare lo stesso Joy. Nel cranio gli viene impiantata una bomba a tempo.

Soldato Imbem I soldati imbem hanno una fisionomia che ricora un po’ quella dei soldati di Vega in Atlas UFO Robot. Sono mascherati e indistinguibili l’uno dall’altro.


Pin-Up ANIME

e n a S Mononoke Hime

o r o M 177


Cinema

Cinema

FANTASY

LA PRINCIPESSA MONONOKE, proposta di analisi

(Mononoke Hime - H. Miyazaki, 1997) di Antonio Tripodi

L

La Principessa Mononoke, di Hayao Miyazaki, è uno dei più importanti film di animazione finora realizzati, sia per le sue qualità tecniche che per la sua storia coinvolgente e per i suoi personaggi. Nonostante sia un film per tutti, la sua costruzione e i temi proposti lo rendono apprezzabile anche, e forse soprattutto, da un pubblico adulto. Prendendo spunto dalle somiglianze iniziali con quella che è la tipica costruzione narrativa delle fiabe, questa mia analisi prova ad accostare elementi in apparenza eterogenei, discutendo contemporaneamente di forma e di contenuti, tentando in qualche caso spiegazioni dei simboli e dei messaggi; adottando un punto di vista diverso dal consueto per gettare un po’ di luce sullo scheletro di una storia che affascina ormai da quasi dieci anni gli appassionati di animazione. Nel tracciare le linee guida del mio discorso mi sono riferito essenzialmente a due opere dello studioso Vladimir Propp, cioè Morfologia della Fiaba e Radici storiche dei racconti di magia.

I. Elementi della fiaba Situazione iniziale, infrazione del divieto, allontanamento.

L’esordio della vicenda può essere inquadrato all’interno delle strutture narrative proprie della fiaba (come rilevate da Propp). Abbiamo una situazione iniziale (Ashitaka che conduce una vita relativamente tranquilla nel suo villaggio) che viene perturbata da un intervento esterno (la comparsa di un demone che lancia una maledi-

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zione). L’eroe è costretto ad abbandonare la sua casa a causa dell’infrazione del divieto stabilito da un’autorità superiore: il saggio che sta di sentinella sulla torretta proibisce esplicitamente al ragazzo di venire in contatto con la creatura mostruosa che lo sta attaccando, egli viola suo malgrado questo ordine ed è perciò costretto a lasciare il villaggio. Anche il modo con cui Ashitaka è allontanato dalla sua gente è tipico dei racconti fiabeschi: l’anziana protettrice del villaggio gli propone di recarsi ad Ovest, seguendo a ritroso l’unica traccia disponibile lasciata dal mostro ucciso. Ma già a questo punto la trama comincia, ancora impercettibilmente, a distaccarsi dalla classica struttura narrativa della fiaba: all’eroe non viene qui assegnato nessun compito specifico, né un’impresa particolare che possa riscattarlo, o un oggetto da riportare indietro, o una determinata persona a cui doversi rivolgere per aiuto. Ciò che all’eroe viene proposto è semplicemente di capire ciò che accade, finché i suoi occhi sono ancora limpidi e la sua mente aperta e sincera. Come dire che il viaggio di Ashitaka è, a questo punto della storia, fine a se stesso: il ragazzo è in viaggio solo per scoprire cos’è che lo sta uccidendo, il suo unico compito è vivere per imparare la ragione dalla sua morte.

Rimanendo su un piano più formale, in Ashitaka si sovrappongono i caratteri dell’eroe che subisce l’allontanamento e dell’eroe inviato ad una ricerca.

Problemi.

Anzitutto, non esiste ancora un antagonista nel senso classico del termine: il demone cinghiale viene subito ucciso, quindi potrebbe essere tutt’al più un emissario dell’antagonista vero e proprio (peraltro così non sarà). Neanche Jigo può essere forzato nel ruolo di antagonista, perché mentre Ashitaka è ancora in viaggio ricopre un ruolo di aiutante. Il film prende senz’altro avvio con uno stile di racconto tipicamente fiabesco, ma evolve rapido verso una struttura narrativa che non è esattamente quella della fiaba; in particolare, non è possibile collocare rigidamente i personaggi nelle funzioni tipiche di questo genere. A posteriori, questo discorso vale anche per la situazione iniziale: infatti il cinghiale ucciso da Ashitaka (ed è tale azione a costare all’eroe la violazione del tabù) è stato tramutato in demone da un proiettile d’arma da fuoco fabbricato nella Città del Ferro. Lo stesso prologo si riferisce all’epoca dei fatti come ad un periodo in cui non esiste più la primitiva armonia tra gli uomini e gli dei-animali. Si potrebbe quindi dire che

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Cinema FANTASY lo sconvolgimento della situazione iniziale non è causato da un antagonista, ma da un cambiamento globale che interessa tutto il mondo in cui vivono i nostri personaggi; è una svolta della storia che viene a spezzare la tranquillità della vita di Ashitaka spingendolo lontano da casa. Neanche la situazione finale corrisponde a quella di una fiaba: l’eroe non ritorna a casa, non è reintegrato nella sua posizione precedente né acquista fama o meriti tali da migliorargli l’attuale. Un’altra funzione tipica della fiaba, cioè la consegna di un oggetto magico (in questo caso il ciondolo che viene regalato ad Ashitaka al momento della sua partenza, e grazie al quale il giovane riuscirà a salvare San dal cinghiale impazzito), si estingue già all’inizio, un altro elemento che testimonia la presenza di strutture fiabesche nel nostro racconto ma usate solo come punto di partenza per costruire una vicenda dai significati più complessi e problematici. Allo stesso modo non ci sono “superamenti di prove” propriamente intesi, perché l’eroe non riceve altri oggetti magici. La funzione del “compito difficile” è sì presente più volte, ma senza che Ashitaka raggiunga mai un risultato tipico (il matrimonio). La tanto sospirata guarigione arriva poi in un finale che è molto distante dagli schemi fiabeschi. Una funzione presente in modo abbastanza chiaro è quella del “riconoscimento” (sempre tramite un marchio). Nella mia analisi accosto questo momento con il superamento dei compiti (prove).

II. Gli spazi della storia Foresta, Città, Villaggio.

1. 2. 3. 4.

Dalla torretta di avvistamento, Ji-San e Ashitaka scrutano preoccupati la Foresta. Un essere mostruoso erompe dalla vegetazione, deciso a seminare distruzione. Affrontando il demone, Ashitaka ne viene sventuratamente toccato e avvelenato. Il mostro era il dio-cinghiale Nago, divorato dall’odio; Ashitaka è costretto a ucciderlo.

La follia di Nago

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Gli spazi in cui si svolge la vicenda sono essenzialmente quattro: la Foresta Sacra, la Città del Ferro, il villaggio degli Emishi e le campagne e i villaggi del Giappone tra XV e XVI secolo. Come espresso dallo stesso regista, quest’ultimo ambiente con i suoi personaggi caratteristici (samurai e contadini) rimane sullo sfondo; il villaggio degli Emishi compare solo all’inizio, tutta la parte principale della storia è ambientata tra la Città del Ferro e la Foresta Sacra. Cominciamo le nostre osservazioni dalla Foresta: essa è lo spazio privilegiato dell’ignoto, dell’irrazionale, lo spazio in cui le regole della società umana vengono meno. La Foresta è la sede di presenze magiche e soprannaturali, in questo caso inizialmente benigne ma colme di odio verso il mondo degli uomini, e quindi alla fine di caratterizzazione ambigua. Tradizionalmente, come già nelle fiabe o nei romanzi, la foresta è lo spazio privilegiato in cui l’eroe sostiene le sue prove contro esseri soprannaturali (o con il loro aiuto). Cuore della Foresta è uno stagno sacro in cui lo spirito protettore del bosco assume all’alba la forma di un cervo. Nella Foresta l’esistenza procede scandita dal ritmo delle stagioni, dall’eterno fluire della vita nella morte.

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La Città del Ferro è lo spazio della società umana organizzata, in cui si possono identificare diversi strati sociali ciascuno con la sua funzione: gli uomini si occupano di raccogliere le materie prime (legna e ferro), le donne lavorano il ferro, infine un gruppo di guardie scorta permanentemente il leader (Lady Eboshi); esiste pure un’area di marginalità, vale a dire un gruppo di lebbrosi, che si occupa della costruzione di armi da fuoco. La Città è caratterizzata da una tecnologia di alto livello e da una vita economica complessa. Vi troviamo minatori, tagliaboschi, operai, maniscalchi e commercianti, a rappresentare tutti i settori dell’attività economica, e dunque un tessuto di relazioni sociali sia interne che esterne (relazioni e regole che nella Foresta sono assenti o addirittura rovesciate). La Città è cinta da una palizzata, quindi è inserita anche nella sfera politica del mondo degli uomini (la Città del Ferro, con le sue mura e le sue armi, è un soggetto politico che fa la pace e la guerra con i suoi interlocutori per proteggere la vita e gli interessi dei suoi abitanti). Il fatto poi che tutta la popolazione, donne e uomini sia addestrata all’uso delle armi e chiamata a difendere (ed espandere) la città presuppone l’esistenza di una coscienza civica, ovvero un senso d’appartenenza e di identità.

Centro della Città è la fornace dove le donne fondono il ferro, impiegato per il commercio e per la costruzione delle armi da fuoco. Lady Eboshi dirige con autorità la vita nella Città, cercando di espanderne i confini e i profitti. Tra questi due estremi (città e foresta) si colloca il villaggio degli Emishi. Anch’esso è sede di una società umana organizzata, ma più semplice e pressoché priva di una vera e propria stratificazione. Tutti gli abitanti del villaggio partecipano della stessa vita e delle stesse attività. La comunità di Ashitaka è isolata e la sua economia si basa sulla caccia, sull’allevamento e sull’agricoltura di sussistenza; non esistono relazioni commerciali o politiche dei suoi abitanti con il resto del mondo. La tecnologia a disposizione degli Emishi è basata non già sul ferro, bensì sulla legna e sulla pietra (Ashitaka ha frecce con punte di pietra), materiali più grezzi e lavorati più semplicemente. Le loro armi sono rozze rispetto alle spade e delle lance dei samurai; non hanno a disposizione la polvere da sparo che è appannaggio delle truppe imperiali e della gente di Lady Eboshi. Il centro del villaggio è una sala in cui l’anziana matriarca interroga le pietre per prendere le decisioni più sagge.

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Cinema FANTASY Anche il quarto spazio, quello dei campi e dei villaggi percorsi dai samurai, è uno spazio umano organizzato. Esso ha caratteristiche intermedie tra la Città del Ferro e il villaggio di Ashitaka: la società è composta essenzialmente da guerrieri e contadini, esiste una rete di relazioni politiche e commerciali, gli uomini occupano tradizionalmente i ruoli decisionali. Questo spazio però è in crisi, o quantomeno instabile: i samurai percorrono il paese in una serie di faide e guerriglie, interi villaggi vanno in rovina.

Rapporti tra gli spazi.

1. 2. 3. 4.

La Saggia Madre consulta le pietre sacre, e decreta l’allontanamento del principe. Prima di partire, Ashitaka riceve dalla sorella Kaya un amuleto di buon auspicio. Il primo villaggio incontrato da Ashitaka lungo il suo cammino. Ashitaka e Jigo al bivacco presso i resti di un villaggio distrutto.

Il bando dal villaggio

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Le connessioni tra gli spazi descritti hanno almeno due chiavi di lettura: il rapporto tra gli uomini e la natura e l’evoluzione delle società umane. La società da cui proviene Ashitaka è la più primitiva. L’assemblea del villaggio è composta da uomini ma le decisioni sono prese da un’anziana “Saggia Madre” (o “Saggia Donna” nella versione inglese), figura in qualche modo erede degli ordinamenti matriarcali delle comunità più remote e delle figure sciamaniche. La cultura è fortemente connotata dalle credenze religiose e il codice di leggi si esprime sostanzialmente attraverso divieti in forma di tabù (“non toccare il demone”, “è proibito vedermi andare via”). Le decisioni sono prese, come già detto, interrogando le pietre, ovvero cercando di mettersi in contatto con le forze magiche e soprannaturali che presiedono l’ordine del mondo, e alle quali va riconosciuto un giusto rispetto. La comunità degli Emishi è quella che vive in maggiore armonia con il mondo naturale: il villaggio ha sottratto al bosco quel tanto che basta alla sopravvivenza dei suoi abitanti, i quali rispettano la natura e gli dei. Anzi, si può dire che il villaggio sia una sorta di passaggio graduale tra il mondo degli uomini e la Foresta: verso la strada che dà sul mondo c’è una porta, pur con stipiti e architrave rozzamente sagomati, verso la Foresta un semplice muretto di pietre. La porta rappresenta cioè un livello di attività umana relativamente alto, anche se non siamo al livello delle società più evolute (poca cosa infatti rispetto alla robusta palizzata della Città); il muretto invece rappresenta un livello più basso (semplici pietre messe l’una sull’altra). Tra il villaggio e la Foresta lo spazio è adibito al pascolo degli animali, vale a dire un’attività superiore alla caccia ma comunque inferiore all’agricoltura. La stessa sala in cui siede l’Anziana ha solo tre pareti, mentre la quarta è di nuda roccia, vale a dire che il confine tra lo spazio umano e quello naturale non è definito rigidamente. Per la gente di Ashitaka la Foresta è lo spazio impenetrabile abitato dagli dei. Il rapporto tra gli Emishi e la natura è bene riassunto nella prima scena, in cui il rispetto per la Foresta convive con la coscienza che essa è comunque qualcosa di alieno, selvaggio e indomito. Una sentinella sta infatti di guardia su un mondo che è comunque percepito come potenzialmente ostile perché sede di forze ignote e incontrollabili. All’apparire del demone

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cinghiale, Ashitaka gli si rivolge con il titolo che gli compete (“divinità o demone che tu sia”) e lo supplica di andarsene (“né io né i miei ti abbiamo mai offeso”); ma, davanti alla concreta minaccia che le forze irrazionali della Foresta distruggano la comunità degli uomini, allora Ashitaka non può fare a meno di difendere il confine violato. Quando infine il cinghiale è ucciso, l’anziana chiede perdono e promette che saranno rese le dovute esequie.. La Città del Ferro si relaziona con l’ambiente naturale in maniera del tutto diversa. La Foresta non è semplicemente sfruttata per le sue risorse naturali (come il legname) ma è aggredita e cancellata per fare posto alle nuove miniere di ferro. La comunità di Lady Eboshi espande lo spazio umano organizzato a spese dello spazio naturale selvaggio, in altre parole sottopone lo spazio proprio dell’irrazionale e del magico ad un processo di razionalizzazione e sfruttamento economico sistematico. La Città è posta su un isolotto in un lago ed è raggiungibile solo attraverso una sottile striscia di terra: la metafora dell’isola come posto privilegiato per lo sviluppo autonomo di una comunità a sé stante, come luogo di un “esperimento sociale” del tutto nuovo, è presente da secoli nella Letteratura. Lo spazio umano della Città del Ferro non va a confondersi gradualmen-

te con lo spazio naturale (come avviene per il villaggio di Ashitaka); al contrario esso è nettamente separato da una palizzata, rinforzata da un terrapieno irto di pali appuntiti, costruita per reggere un assedio. Definizione assoluta dello spazio umano, e atteggiamento di conquista nei confronti dello spazio naturale sono quindi le caratteristiche della Città, che si riflettono nella cultura e nella mentalità degli abitanti. La comunità è diretta con pugno di ferro da una donna-leader che non ha nulla a che spartire con l’anziana sciamana degli Emishi, ma che è semmai il simbolo concreto degli sconvolgimenti sociali in atto. La vita sociale nella Città è regolata dalla suddivisione dei compiti e dai turni di lavoro, in maniera del tutto artificiale e razionale, e il fine delle attività umane non è la semplice conservazione della comunità ma la sua espansione, che si traduce in una scarsa considerazione per le tradizioni e la religione, in un atteggiamento aggressivo e privo di qualsiasi scrupolo nei confronti degli dei del bosco, considerati soltanto degli ostacoli sulla via del progresso. In posizione intermedia si colloca la società tradizionale dei samurai, che sfrutta le risorse naturali ma non in maniera intensiva e aggressiva come la Città del Ferro. Le regole di vita sono quelle di una società patriarcale divisa in classi. La mentalità conserva un

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Cinema FANTASY sentimento di rispetto e timore nei confronti delle forze magiche e divine, ma tale mondo sta comunque cambiando: anche l’Imperatore manda i suoi uomini a dare la caccia al dio-cervo. Per la verità si può dire che la mentalità di questo terzo spazio umano sia ancora presente nella comunità maschile della Città del Ferro. Gli uomini di Eboshi infatti sono legati a idee tradizionali, ad esempio non vedono di buon occhio la posizione delle donne nella Città. Inoltre, nonostante combattano contro gli dei della montagna, non sono completamente scevri da una certa riverenza nei loro confronti (“questo è posto per dei e demoni” dice Kororu ad Ashitaka). Il nuovo ordine di cose incalza invece rapidamente nelle due direzioni proposte da Eboshi e da Jigo che, sebbene diverse in quanto a visione sociale, sono simili per quel che riguarda il rapporto con lo spazio naturale. Una descrizione merita pure l’approccio verso il mondo esterno degli abitanti della Foresta. In essa le forze divine sono volte alla conservazione dello spazio naturale incontaminato; gli animali appaiono divisi secondo le rispettive razze e comunque tra di loro non sempre corre buon sangue. L’approccio degli deianimali verso lo spazio umano è di ostilità, che sfocerà poi in guerra aperta; nei dintorni della Città del Ferro le scimmie tentano ogni notte di rimediare al disboscamento piantando nuovi alberi.

III. Lo spazio dei reclusi Il ghetto della Città del Ferro.

1. 2. 3. 4.

Ashitaka soccorre due uomini feriti appartenenti alla Città del Ferro. Riconosciute le sue buone intenzioni, gli spiritelli kodama guidano il principe nell’attraversamento della Foresta. Ashitaka fa il suo primo incontro con San e gli dei-lupi. L’arrivo allo stagno sacro.

L’ingresso nella Foresta

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Uno degli aspetti più originali ed interessanti della vita nella Città di Eboshi sta senz’altro nel fatto che la costruzione delle armi da fuoco sia affidata ai lebbrosi. Si può immaginare che, con gli uomini impegnati nel disboscamento e le donne impiegate al mantice, la signora faccia ricorso alla forza lavoro rimasta, affidando ai malati un compito per cui sia più importante l’abilità manuale che la forza fisica. La presenza dei lebbrosi nella Città è atipica per due aspetti: essi vivono all’interno della cinta anziché fuori, e hanno un compito a loro affidato. È noto che nella maggior parte delle comunità di un tempo i lebbrosi venivano espulsi e costretti a vivere separati. L’allontanamento del malato al di fuori dello spazio urbano corrisponderebbe al suo passaggio da uno spazio culturale ad un altro, ovvero dallo spazio della vita organizzata allo spazio dell’irrazionalità. L’espulsione, ma anche il confinamento in un ghetto, simboleggiano in qualche modo un passaggio dalla vita alla morte. La comunità della Città del Ferro non espelle i malati perché disconosce lo spazio esterno – sia fisicamente aggredendolo e trasformandolo, sia simbolicamente – non consegna cioè i suoi uomini ad una condizione che non sia contemplata nei suoi schemi culturali. Eboshi raccoglie quelli che nella società ordinaria sarebbero gli individui più deboli, vale a dire le donne e, appunto, i lebbrosi. Il fatto che

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agli individui meno considerati sia affidato il ruolo di costruire e usare le armi tecnicamente all’avanguardia che conferiscono alla Città il suo potere introduce un altro aspetto (il più importante) della questione.

I lebbrosi armaioli.

Si può partire da un’analogia puramente figurativa: i lebbrosi hanno la pelle e la carne marce e putrescenti, proprio come le viscere lacerate degli dei-animali colpiti dai fucili. Sembrerebbe quasi che l’effetto delle palle di fucile sugli animali rispecchi la triste condizione dei costruttori di quelle armi, e la cosa può essere trasferita dal piano fisico a quello simbolico: la maledizione che tocca agli dei colpiti è la maledizione degli uomini. C’è, a mio avviso, una corrispondenza simbolica: gli animali sono maledetti e trasformati in demoni dal potere della scienza umana e di un sistema culturale che li annienta, i lebbrosi sono dal canto loro considerati colpiti da una qualche maledizione soprannaturale; anche su un piano più concreto rimane la singolare somiglianza del modo in cui dei-animali e lebbrosi muoiono: lentamente e con le carni piagate. La lotta tra scienza e natura, e tutti i contrasti di questo tipo raccontati nel film, tutta la complessità delle figure usate, sono riassunti nella vicenda dei lebbrosi della Città.

È come se solo questi malati avessero il potere per far morire gli dei del bosco, perché solo questi lebbrosi recano su di sé la maledizione, la malattia che può divorare corpi vivi dall’interno; la fornace infatti produce lingotti di ferro (di per se neutri) ma nel ghetto il ferro è trasformato in fucili e pallottole. E, ancora una volta, risalta l’ambiguità di fondo della nostra storia, o meglio la sua affascinante complessità nel descrivere la realtà fuggendo i facili giudizi: la terribile Eboshi è l’unica persona che si prende cura di esseri reietti e disgraziati come i lebbrosi, dà loro da mangiare e di che medicarsi e gli offe un’occasione per essere ancora utili alla comunità fabbricando le armi.

IV. Le tecnologie Nei rapporti tra uomini e ambiente.

Il rapporto degli spazi umani con quello naturale e la posizione delle società umane tra loro sono riassunti dalle tecnologie che gli uomini usano. Quella degli Emishi è la più semplice, e sfrutta, accanto al ferro, anche la pietra. L’uso di questo secondo materiale (di pietra sono il confine con la Foresta e gli oggetti sacri) può ben simboleggiare lo stretto rapporto che essi hanno ancora con la natura.

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1. 2. 3. 4.

Attraversata indenni la Foresta, Ashitaka e i feriti giungono alla Città del Ferro. Gli uomini di Lady Eboshi si prendono cura dei feriti. Kororu viene accolto dalla moglie Toki, non troppo amorevolmente. Grati per il suo aiuto, i cittadini ospitano Ashitaka e lo trattano come uno di loro.

Il ritorno fra gli uomini

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La tecnologia degli altri spazi umani è basata sul ferro, e sul fuoco. Il ferro va estratto (e le miniere vanno a loro volta strappate al bosco), fuso e lavorato, il suo utilizzo richiede quindi un’organizzazione sociale più complessa, in questo la tecnologia caratteristica di uno spazio è indice del suo sviluppo sociale.. Potremmo anche dire che la quantità di lavoro speso per ottenere un utensile o un’arma indichi fino a quale grado la natura sia sottomessa allo spazio umano e razionalizzata: l’amuleto di cristallo di Ashitaka, sagomato con pochi colpi, non dispiacerà a San, perché la rielaborazione dell’elemento naturale operata dagli Emishi è minima e non distruttiva. I samurai indossano armature a portano armi di ferro, e questo indica il loro alto livello sociale, ma anche una carta aggressività nei confronti dell’ambiente naturale. L’uso del fuoco che facevano gli uomini della Città prima dell’arrivo di Eboshi, d’altra parte, se era sufficiente a ritagliare loro uno spazio per vivere, non lo era certo a mantenere quella condotta aggressiva che li caratterizza per tutto il film. La distruzione dello spazio della Foresta è realizzata mediante la tecnologia della polvere da sparo, in grado di disboscare più rapidamente la Foresta e, soprattutto, di ferire mortalmente gli dei della montagna. Un pezzo di ferro trasformato in proiettile di archibugio subisce un’elaborazione da parte degli uomini tale da trasformarlo radicalmente; la quantità di lavoro umano investita su di esso (corrispondente ad una certa struttura sociale e culturale) è tale da alienare il ferro allo spazio della natura e portarlo, sotto forma di proiettile, totalmente all’interno dello spazio umano. Il minerale, che prima era soggetto alle regole della natura e degli dei custodi della montagna, diventa, in quanto arma, portatore del sistema culturale umano che ha operato la trasformazione. È per questo che, se penetrati da una pallottola ma non uccisi, gli dei-animali soffrono fino a diventare demoni. La distruzione “dall’interno” dei cinghiali simboleggia la reazione violenta e il collasso dello spazio naturale che viene improvvisamente investito dallo spazio umano. Tale azione distruttiva è tradizionalmente svolta dal fuoco, e i due elementi (ferro e fuoco) sono sintetizzati con efficacia nell’uso della polvere da sparo, che tra l’altro è foriera di cambiamenti sociali. Cuore pulsante della Città, un gigantesco forno trasforma in continuazione il minerale in lingotti, pronti per entrare nel circuito commerciale e industriale proprio degli uomini. La trasformazione è operata dal fuoco, simbolo stesso della civiltà, il primo elemento che ha consentito all’uomo di creare un suo spazio vitale e culturale separato da quello naturale.

V. Gli spazi e l’eroe Mezzi con cui Ashitaka si muove tra gli spazi.

Considerate le realtà con cui viene a contatto durante il suo viaggio, Ashitaka può essere visto come una specie di mediatore tra lo spazio umano

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e lo spazio selvaggio (abbiamo già visto che l’intera cultura del suo popolo risponde ai bisogni della comunità ponendosi però in una posizione equilibrata nei confronti della natura). Tale ruolo è raffigurato in diversi modi: il più evidente è l’animale con cui Ashitaka cavalca, il suo fedele stambecco Yakkuru. Nonostante sia addomesticato rimane sempre uno stambecco, cioè un animale all’apparenza selvaggio, che assomiglia di più a un “prodotto grezzo” dell’ambiente naturale (si può pensare di paragonarlo alle pietre di cui gli Emishi si servono) che ad una animale di una razza appositamente selezionata; Yakkuru porta i finimenti per essere cavalcato e vive nel villaggio, dagli uomini riceve il suo cibo: possiamo dire che rappresenta l’animale di transizione tra le bestie selvatiche della Foresta e i cavalli e i buoi delle società umane progredite. Nel corso del film Ashitaka cambierà cavalcatura, nel momento in cui la sua azione sarà volta a salvare San dagli uomini di Eboshi. Persa la sua cavalcatura, ci sembrerebbe naturale che, per accorrere il più presto possibile in aiuto della ragazza, l’eroe debba montare in groppa al lupo… Ma cavalcare il dio-animale è prerogativa di San, che è quasi perfettamente intergrata nello spazio naturale; Ashitaka invece proviene pur sempre dallo spazio umano, per questo non gli è consentito (né lui stesso troverebbe naturale) sfruttare il lupo come mezzo di trasporto. È il lupo stesso che propone al ragazzo di essere cavalcato: “Sei lento! Salimi in groppa”. La scena ha un duplice significato: tramite il lupo, la comunità degli dei della montagna riconosce che il ragazzo non è un loro nemico, e che anzi sta operando a loro favore – in questo modo il ragazzo “eredita” la cavalcatura di San e viene integrato nello

spazio naturale –; secondo, non è Ashitaka che impone la sua volontà all’animale, il lupo è cavalcato senza essere stato addomesticato. Il lupo si offre di fare da cavalcatura perché riconosce che il ragazzo è troppo lento, in un certo senso è lui ad essere addestrato dal lupo: l’abilità umana nella corsa è riconosciuta come insufficiente e viene integrata con la superiore abilità posseduta dagli abitanti dall’ambiente naturale. Non è Ashitaka che porta il lupo nel suo spazio culturale (umano) domandolo e addestrandolo, anzi avviene semmai il processo contrario, è il dio-lupo che riconduce Ashitaka nello spazio naturale perché riconosce che il ragazzo è animato da sentimenti sinceri. A questo punto vale la pena di ritornare brevemente su Yakkuru. Quando San porta Ashitaka allo stagno del dio-cervo, toglie allo stambecco i suoi finimenti: in quel luogo l’animale è recuperato allo spazio naturale e sottratto allo spazio umano. Quando invece Ashitaka è estromesso dallo spazio naturale (una volta guarito) Yakkuru ricopre ancora il suo ruolo di cavalcatura, tornando all’interno dello spazio umano simbolicamente ancor prima che fisicamente.

Tecnologie nei passaggi tra Città e Foresta.

Così come il loro rapporto con la natura, anche i passaggi degli uomini da uno spazio all’altro si riflettono nelle tecnologie che usano. Gli abitanti della Città si muovono tra essa e la Foresta sempre impugnando i loro fucili; è la forza di queste armi che gli consente di invadere il bosco e sottometterlo. Per quanto riguarda Ashitaka, non lo vediamo mai impugnare un archibugio, poiché egli resta sempre in disaccordo con Eboshi riguardo alla distruzione della natura selvaggia, per-

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Cinema FANTASY petrata grazie alle armi da fuoco. Quando Ashitaka entra nella Foresta assieme a San e quando, alla fine, vi ritorna a cavallo del lupo, non porta con sé nemmeno il suo arco, entrando nel regno della natura egli si libera insomma di ogni tecnica umana.

Gli spazi e il cibo.

Durante il film vediamo per tre volte il protagonista consumare un pasto, sempre in modi diversi. Il modo in cui Ashitaka si nutre è di volta in volta collegato al luogo in cui si trova. La prima scena coglie l’eroe sulla via dell’esilio, aiutato dallo sfuggente Jigo. Il ragazzo svela alcune cose, tacendo però la sua provenienza (nonostante Jigo non fatichi troppo ad indovinarla), per mangiare usa inoltre una ciotola sua propria e non riceve aiuto dagli abitanti del luogo. Ciò che più conta, in quello che potremmo chiamare “il pasto dell’esiliato”, è il luogo in cui è consumato, cioè vicino ai resti di abitazioni abbattute da qualche calamità, i cui abitanti sono morti o fuggiti: al personaggio in esilio manca infatti un tetto vero e proprio, il suo fuoco è un semplice bivacco, e lo spazio che attraversa è scosso da violenze e disordini, la diffidenza verso il compagno sottolinea la solitudine del viandante. La seconda volta che è seduto a mangiare Ashitaka si trova invece nella Città del Ferro. Qui circondato da molti uomini che lo accolgono con favore, svela il suo nome, siede in una casa ampia, usa le stoviglie e il cibo che gli vengono offerti, e davanti a lui arde il focolare della comunità. In questo momento l’eroe è rientrato nella società grazie all’aiuto prestato, e sedendo al pasto in comune degli uomini è momentaneamente integrato nella comunità della Città. In entrambi i casi il cibo mangiato è il riso, prodotto dell’agricoltura e per di più ottenuto grazie al commercio, infatti i contesti corrispondenti sono spazi umani progrediti. Nella terza scena Ashitaka è invece nella Foresta, il cibo mangiato è molto più semplice. La cosa più importante è che e il ragazzo viene nutrito direttamente da San, come un cucciolo dalla madre; anche la momentanea integrazione tra gli abitanti del bosco viene quindi rappresentata con il nutrimento dell’eroe.

1. 2. 3. 4.

Ashitaka mostra a Lady Eboshi la sua ferita e il proiettile che ha reso folle Nago. Lady Eboshi accompagna Ashitaka a visitare la Città del Ferro. Il mantice dove sono al lavoro le donne, che si occupano della fusione del metallo. Il ghetto dei lebbrosi: qui il ferro viene lavorato e assemblato in fucili.

La Città del Ferro

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VI. Personaggi in esilio al confine tra due mondi “Morte” dell’eroe e passaggio a un altro livello di esistenza.

Ashitaka e San sono come due fantasmi. Il primo si mette in viaggio dopo essersi tagliato il codino e averlo deposto al cospetto degli spiriti protettori del villaggio, dopo essere cioè “morto” per la sua gente. Violato il divieto impostogli, è stato marchiato a vita da una maledizione. Il modo stesso in cui parte è emblematico: non di giorno, investito di qualche incarico importante, ma di notte, protetto dal buio e con il viso nascosto. Non è consentito salutarlo perché è “contaminato”, è diventato esso stesso uno scandalo e un tabù per il villaggio; egli è un morto, un fantasma.

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Nel corso del suo viaggio, prima che venga accolto nella Città del Ferro, il ragazzo cerca sempre, per quanto gli è possibile, di mantenere un comportamento discreto e il viso coperto; anche dopo l’incontro con Jigo se ne va di nascosto. Dal momento del contatto con il demone-cinghiale, Ashitaka perde i suoi connotati puramente umani per diventare una specie di tramite tra lo spazio degli uomini e lo spazio della natura. Dal punto di vista della trama, il bando del ragazzo gli deriva dall’essere stato toccato da un demone piuttosto che da una creatura benigna, ma da un punto di vista simbolico la sostanza dell’episodio è altra. Ashitaka è costretto suo malgrado a uscire dallo spazio umano razionale per avvicinarsi a quello naturale magico, e ciò avviene in due momenti. Dapprima abbiamo la violazione del tabù: sebbene gli Emishi vivano in buona armonia con la natura (armonia che però sta venendo meno anche per loro), conservano la coscienza del fatto che lo spazio umano razionale è distinto da quello animale e selvaggio, e ciò si esplica nel divieto di contatto. L’uomo e la sua cultura devono restare distinti (anche se non necessariamente in conflitto) dalla natura e dalle sue forze incontrollabili. In secondo luogo, dopo lo scontro con il demone egli rimane in possesso di una forza sovrumana che lo renderà invincibile in battaglia, acquista cioè una facoltà magica. La proiezione di questo evento nel suo sistema culturale è la perdita dello status sociale, della

sua identità. Ashitaka non esiste più in quanto principe degli Emishi (è morto, come già detto), è diventato un eroe sospeso tra due mondi, portatore di valori umani e sovrumani insieme. Il villaggio lo bandisce perché in lui non è più riconoscibile un membro effettivo della comunità, dal momento che egli possiede, e al tempo stesso ne è dominato, una forza magica. La collocazione dell’eroe in uno spazio semi-divino (la natura è qui il regno degli dei) o comunque magico, lo porta in una specie di aldilà, lo porta ad essere simbolicamente “ucciso”. In questi due eventi, in sostanza, si consuma l’uscita dell’eroe dallo spazio propriamente umano: in tutte le situazioni seguenti, il personaggio attraverserà sistemi umani e naturali senza però arrivare ad integrarsi totalmente in essi, vale a dire che il ragazzo è fatto uscire dal suo sistema culturale per non farvi più ritorno, né per essere integrato definitivamente in un’altra situazione. La situazione finale (la cui ambiguità non è comunque risolubile) contiene sì un elemento positivo, la promessa di una possibile convivenza futura tra uomini e natura, ma diversa dalla primitiva armonia simboleggiata dalla civiltà degli Emishi. Questo villaggio (per quanto vicino in ogni senso alla Foresta) costituisce piuttosto il primo luogo (spaziale e temporale) di rottura dell’armonia tra Foresta e uomini (lo stesso prologo del film è molto esplicito). Il buon rapporto tra gli Emishi e la natura è inoltre un retaggio di tempi

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Cinema FANTASY più remoti, mentre l’eventuale armonia auspicata nel finale è un prodotto problematico di una situazione di cambiamenti spesso traumatici. Riguardo a San, la sua caratterizzazione come “fantasma” è anche più semplice (Mononoke significa appunto fantasma). Ripercorrendo una tradizione consolidata nella letteratura come nel cinema, Miyazaki ci ripropone il tema di un personaggio umano che, orfano in tenera età, è stato allevato dagli animali e condivide la loro vita. Ma nel mondo ambiguo e problematico che il regista descrive, l’identità di San viene messa in discussione. Oltre ad dover affrontare il rifiuto da parte di una frangia del mondo naturale (le scimmie, per esempio), l’incontro con Ashitaka la riporta di fatto a dovere riconsiderare la sua posizione all’interno del conflitto imminente (non per quanto riguarda la scelta di campo, ma per quanto riguarda il ragazzo). Man mano che la storia procede, San sente sempre più forte un senso di sradicamento. La sua situazione già ambigua è del tutto stravolta nel finale: il mondo di San e la sua famiglia sono distrutti, né per lei è possibile rientrare nello spazio umano (a cui non è mai appartenuta); si ritrova più o meno come Ashitaka all’inizio, cioè esclusa dal proprio sistema di vita e costretta ad inventarsi un altro modo di relazionarsi con il mondo. Entrambi i personaggi presentano questa caratteristica: investiti del ruolo di mediatori tra lo spazio umano e naturale sono sradicati, non hanno chiara appartenenza, sono quasi dei fantasmi sospesi in un limbo. Anche San è infatti investita di un ruolo di mediazione, anche se in modo più debole rispetto ad Ashitaka. È il ragazzo che in ogni occasione cerca di stare in equilibrio nel conflitto tra uomini e natura, ma l’atteggiamento apparentemente netto di San non deve trarre in inganno. Se infatti è possibile individuare due poli opposti nelle figure del dio-cervo e di Eboshi (nello stagno sacro e nella fornace), gli altri personaggi si dispongono su tutta una gamma di atteggiamenti. A cominciare dal suo aspetto fisico, San rappresenta un essere umano integrato quanto più possibile (ma mai completamente) nel sistema naturale e irrazionale.

Morte della ragazza-lupo nella Città degli uomini.

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San si avvicina nottetempo alla palizzata della Città del Ferro; il suo obiettivo è assasinare Lady Eboshi. Il colpo che infrange la maschera di San. Ashitaka s’ntromette nel duello tra San e Lady Eboshi. Pur gravemente ferito da un colpo di fucile, Ashitaka riesce a portare San in salvo.

L’attacco di San

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Il distacco di San dalla Foresta e la sua collocazione nel limbo a cui appartiene Ashitaka (la sua uccisione simbolica) avviene in un momento preciso, quando cioè la sua maschera da guerra è spazzata via da un colpo di archibugio. La scena è bene interpretabile all’interno delle coordinate che ho tracciato finora. La maschera è il metodo per eccellenza di celare la propria identità, di cambiare la coscienza di sé. San si reca ad uccidere Eboshi con la maschera, perché in tal modo può dimenticarsi di avere un volto umano e può essere simile ad una bestia guerriera. In questo senso, la maschera stessa è il primo simbolo dell’alienazione di San, dell’esile definizione della sua identità. Quando la maschera cade, scompare il lupo e ricompare la ragazza.

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Ma un altro significato più generale può essere riscontrato. Con la maschera San impersona un animale, ovvero si qualifica come colei che può entrare in contatto diretto con le forze magiche del mondo naturale, come colei che ha in dono la forza dei lupi ed è integrata nel loro spazio. Senza maschera, questo cerchio magico che la protegge è pure spezzato, in un certo senso San perde la forza di lupi e diventa una ragazzina vulnerabile in mezzo alle guardie di Eboshi. Come Ashitaka “muore” appena viene investito di un potere sovrumano, parallelamente San realizza il suo passaggio quando lo perde. Il discorso può essere ulteriormente allargato, riportando l’episodio sul terreno dell’evoluzione della società. San con la sua maschera (o comunque i suoi segni sul viso e la sua collana di zanne) rappresenta l’uomo che cerca di essere integrato nello spazio naturale per riceverne la forza, come nelle più primitive società di cacciatori. Lo maschera è il simbolo dell’identificazione con l’animale totemico da cui si trae la forza magica necessaria a sopravvivere nello spazio naturale; con essa il cacciatore è mezzo uomo e mezzo animale: il contatto con l’irrazionale è voluto dall’uomo che mira così ad essere al pari degli animali della Foresta. Ashitaka, dal canto suo, rappresenta già una fase successiva, in cui la società ritiene importante cono-

scere e interpretare i segni dati dagli spiriti, ma non giusto identificare uomo e animale. Per lui il contatto con le forze magiche è causa di sciagura: il ragazzo è portato al livello di San, messo cioè a confronto con un potere a malapena controllabile. Nella Città del Ferro la maschera di San è spezzata, il che può simboleggiare il definitivo abbandono, da parte degli uomini, della ricerca della forza magica della natura, per dedicarsi alla ricerca del progresso scientifico. Non a caso la maschera è colpita da una palla di fucile, la nuova arma che rappresenta l’espansione dello spazio razionale su quello selvaggio e la soppressione della magia con la tecnica. Un mondo finisce e un altro ne inizia, un sistema di valori viene cancellato e sostituito. Il fatto è traumatico e definitivo, la trama ha già raggiunto un primo climax (infatti la valenza simbolica dell’episodio risulta del tutto analoga a quella successiva dell’uccisione del dio-cervo). Il resto del film, con la sua ambivalenza di fondo è un tentativo di ricucire lo strappo, la rappresentazione della speranza che una riconciliazione possa avvenire in futuro.

Personaggi mediatori.

La scena del duello tra San ed Eboshi vede Ashitaka impegnato nel suo ruolo di intermediario. Il ragazzo comincia da semplice spettatore e finisce con l’impor-

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Cinema FANTASY re la propria scelta alle contendenti e all’intera Città del Ferro. I primi gesti di Ashitaka sono infatti del tutto passivi: guarda San attaccare la Città e corre dietro allo scontro. Poi però si fa avanti, raggiunge la ragazza che si sta battendo con Eboshi, e riduce le due all’impotenza; a quel punto è padrone della situazione (la scena in cui il ragazzo irrompe tra le contendenti ricorda senz’altro l’analogo gesto di Yupa in Nausicaa della Valle del Vento, anche se qui è più ricco di significato). Per avere ragione delle guardie di Eboshi, Ashitaka usa la sua forza sovrumana. Nel momento in cui il ragazzo piega la spada di Gonza, accetta di usare il suo potere magico ovvero, secondo quanto detto finora, accetta il proprio ruolo di mediatore tra uomini e natura, ruolo possibile anche a causa del fatto che la forza che egli impiega gli è costata l’esclusione a pieno titolo dalla società degli uomini. La forza maledetta che ha catapultato Ashitaka nel limbo, rendendolo un tramite tra Foresta e Città, gli consente all’atto pratico di svolgere la sua funzione (intendendo comunque “funzione” in senso molto generale).

VII. Superamento di prove e riconoscimento Riconoscimento dell’eroe nello spazio naturale.

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Nonostante il suo odio per gli umani, San non può uccidere chi le ha salvato la vita. San porta Ashitaka allo stagno sacro e, mediante il taglio di un ramoscello, intercede presso il Dio della Foresta per salvarlo. Il Dio nelle sembianze di “Colui che cammina nella Notte”. ...e in quelle del Dio-Cervo.

Il riconoscimento

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Il primo passaggio di Ashitaka nella Foresta avviene quando egli salva due dispersi della Città del Ferro, che trova feriti nel bosco. Kororu (uno dei due) è più impaurito di Ashitaka nell’attraversare il bosco, perché è un mondo da cui si sente totalmente alieno e che, anzi, percepisce come pericoloso. Il nostro protagonista invece attraversa la natura con rispetto, sa di appartenere ad un altro mondo ma è in grado di interpretare i segni degli spiriti (dialogo con gli spiritelli, i kodama). Parlando della scena in generale, si può dire che Ashitaka ottiene il permesso di attraversare la Foresta grazie all’aiuto che presta ai due sventurati. Se questa fosse una fiaba tradizionale, il kodama che indica ad Ashitaka la via attraverso il bosco sarebbe un “aiutante”, e la prova che il ragazzo deve superare è quella di prestare assistenza alle persone in difficoltà e rispettare il luogo ove si trova, ricevendo in cambio un’indicazione. E questo schema mi pare comunque applicabile alla nostra situazione. Dopo la prova della compassione verso i suoi simili, Ashitaka supera anche, grazie al suo atteggiamento rispettoso della natura, quella nei confronti degli dei, ed è così ammesso allo stagno sacro. Presso lo specchio d’acqua il ragazzo può così alleviare il dolore della sua ferita. Durante il suo primo passaggio nella Foresta Ashitaka fa anche il suo primo incontro con San e il branco dei lupi. In questa occasione troviamo lo svolgimento di un’altra funzione narrativa propria della fiaba, ovvero il “riconoscimento dell’eroe”. Essa fa tradizionalmente seguito al superamento di una prova. Ma la cosa che vale più la pena di evidenziare è che il riconoscimento avviene attraverso un preciso marchio, in questo caso la ferita dell’eroe. Infatti, benché il ragazzo non mostri la piaga del suo braccio, la

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situazione è costruita in modo da lasciare pochi dubbi. Anzitutto, Ashitaka coglie San nel momento in cui cerca di alleviare le sofferenze della dea-lupa colpita da una pallottola la notte precedente; si ha una corrispondenza tra ciò che è capitato all’animale e ciò che è successo al principe: i due portano lo stesso marchio, la stessa maledizione li sta consumando. Oltre a ciò, siamo di fronte alla prima scena in cui Ashitaka rivela apertamente la sua identità (non di nascosto, come con Jigo, mentre era ancora in viaggio e non disposto a rivelarsi pubblicamente), e lo fa non davanti agli uomini, ma davanti ai custodi della natura. Ciò corrisponde a quanto già detto riguardo al rapporto del protagonista con gli spazi della vicenda. “Morto” al mondo per via del suo contatto con le forze magiche, tabù per i suoi stessi simili, Ashitaka cela ad essi il suo nome e il suo volto; ma agli spiriti del bosco egli si può rivelare perché ormai è entrato a far parte (seppure non del tutto) dello spazio soprannaturale, e ciò proprio a causa della ferita inflittagli dal demone cinghiale. In quest’ottica, il riconoscimento dell’eroe avviene di fronte al mondo che in parte è diventato anche suo. In un certo senso la ricerca dell’eroe è finita, perché ha trovato il dio-cervo che potrebbe risanarlo, ed è stato riconosciuto come amico della Foresta. Ma la vicenda è spinta oltre, verso orizzonti più ampi, dall’irresolubile ambiguità della situazione: il segno del

riconoscimento (la prova dell’impresa compiuta) è un segno “negativo”, un marchio di infamia, che la natura riconosce come simbolo di violenza. In altre parole, Ashitaka entra nello spazio magico in virtù di una forza dalla quale questo stesso spazio è consumato e distrutto. D’altronde nella medesima scena, mentre si presenta a San, il ragazzo comincia a ricucire lo strappo con il mondo degli uomini. L’aiuto prestato ai due dispersi uomini di Eboshi lo immette nuovamente nel circuito della solidarietà umana (Ashitaka diventa un alleato de facto della Città del Ferro perché salva la vita a due dei suoi abitanti), e sospende il suo bando dal mondo civilizzato. In sostanza, questa scena completa la descrizione del personaggio nel senso già accennato: mediatore tra lo spazio umano e naturale in virtù della sua maledizione.

VII. prove e riconoscimenti: il mediatore tra uomini e foresta Ashitaka nel ghetto dei lebbrosi.

Ashitaka ha una piaga che si estende e lo porterà alla morte – come preconizzato dalla Saggia Madre –,qualcosa quindi di fisicamente analogo alla condizione dei lebbrosi. Nello spazio umano questi perso-

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Ashitaka è ormai stato pienamente accettato da San come membro della Foresta. La ragazza difende Ashitaka al cospetto di Okkoto, il saggio capo degli dei-cinghiale. Il Dio-Cervo ha guarito la ferita prodotta dal fucile, ma l’infezione trasmessagli da Nago continua a tormentare Ashitaka. Ashitaka dona a San l’amuleto di Kaya.

San e Ashitaka

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naggi vivono nascosti e mascherati, l’eroe a causa del suo esilio e i lebbrosi a causa della loro malattia. Sia il ragazzo che i malati soffrono l’esclusione dal loro mondo e dalla loro gente. Il principe degli Emishi è condannato all’esilio, è escluso, i lebbrosi sono confinati ed emarginati, e questi due diversi modi di subire un bando sono dovuti alle diverse società da cui provengono. I lebbrosi sono in qualche modo “morti” e “maledetti”; il luogo in cui sono costretti a vivere aspettando la fine è poco più di un vestibolo della loro tomba, in esso la loro vita già condannata si consuma pezzo per pezzo: la società insomma li annovera più tra i defunti che tra i viventi, a causa di una malattia a tutti gli effetti considerata soprannaturale, frutto di maledizione. E anche nella Città del Ferro, dove la gente non teme gli dei, il fatto che i malati si rendano utili lavorando lascia intendere che, se non lo facessero, pure lì, nel luogo votato al lavoro e al culto della tecnica, sarebbero visti solo come un peso. Il riconoscimento di Ashitaka nella Città, la sua identificazione, è ancora una volta legato al suo marchio. Quando scende dalla barchetta è ancora a viso nascosto, ancora in incognito; quando invece racconta ad Eboshi il motivo della sua venuta, lo fa sciogliendo la fasciatura che nasconde la sua piaga. E si può notare che il ragazzo compie questo gesto rivelatore proprio mentre la Signora sta controllando una partita di lingotti di ferro, lingotti come quelli da cui era stato ricavato il proiettile che ha causato la ferita del ragazzo. In questo caso il riconoscimento è accompagnato dall’esibizione del proiettile estratto dal corpo del cinghiale come prova che Ashitaka dice il vero e che è effettivamente arrivato nel posto giusto (funzione del riconoscimento tramite un oggetto). L’ammissione nella stanza dei lebbrosi corrisponde in qualche modo al premio che l’eroe riceve per avere portato a termine la sua ricerca ed essere stato riconosciuto positivamente; infatti, quando Eboshi vede che il ragazzo soffre a causa sua, è disposta a svelargli la verità sulla sua ferita e sul cambiamento che sta sconvolgendo i rapporti tra gli uomini e la natura. Davanti ai lebbrosi marchiati al suo stesso modo, e come lui simbolicamente morti, Ashitaka affronta un nuovo riconoscimento. Come se entrasse in risonanza con i fucili fabbricati in quel luogo, la forza distruttrice si risveglia nel braccio del ragazzo, che solo a fatica riesce a dominarla. Spesso vediamo poi che Ashitaka trova sollievo immergendo il suo braccio nell’acqua, mentre la violenza del suo potere si risveglia in presenza dei samurai e degli armaioli; come se il mondo corrotto degli uomini che ha prodotto il suo male lo infiammasse ogni volta, mentre nello spazio della natura stesse in qualche modo la forza che può cancellarlo.

Riconoscimento e maturazione dell’eroe.

La funzione del riconoscimento non è associata solo ad un segno distintivo (la ferita) o all’esibizione di un oggetto (la pallottola), ma anche al

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superamento di una prova. La prova principale che il ragazzo affronta (prima del salvataggio di San) è proprio quella nel laboratorio dei lebbrosi. Di fronte a ciò che sta distruggendo lui e il mondo, l’ira che ha in corpo tenta di rispondere portando ancora distruzione, come stava facendo il cinghiale piombato al villaggio degli Emishi, ma il ragazzo supera la prova riuscendo a dominarsi. In questo momento Ashitaka diventa pienamente padrone del suo potere, perché si dimostra in grado di gestirlo in ogni situazione senza lasciarsi trascinare da esso. Fedele al monito della Saggia Madre, viste le cause della sua malattia con occhi ancora sinceri, non ripete l’errore del cinghiale infuriato che fu consumato dalla propria rabbia, e gli è quindi concesso di disporre come vuole della sua forza sovrumana, perché le prove che ha superato garantiscono che la userà per il meglio. Ashitaka cambia definitivamente ruolo, da quello di eroe alla ricerca a quello di eroe in grado di cambiare la storia dentro cui si muove. Ciò fa in qualche modo da preludio alla scena in cui il ragazzo porterò in salvo San nella Foresta: questo compito sarà svolto con un grado di consapevolezza maggiore rispetto a prima, come testimoniato dal carattere pubblico del nuovo riconoscimento e dall’uso deliberato del potere magico fino al limite delle possibilità di Ashitaka.

Anche in questo punto comunque si nota il distacco della trama da quella di una fiaba canonica. Una volta svelata la verità al ragazzo, il quale può così superare la prova, Eboshi non offre nessuna ricompensa (oltre a quella di una generica ospitalità): Ashitaka non ottiene la guarigione dal suo male, né può ritornare al suo villaggio. Inizia allora un’altra vicenda, quella di un ragazzo che usa il suo potere per non sprecare i giorni che gli rimangono da vivere: sappiamo già dove si dirigerà il corso degli eventi, perché prima di arrivare in Città l’eroe è già passato per il cuore del bosco, lo stagno sacro; ora egli è maturato, ha visto e compreso con occhi limpidi ed è pronto per i successivi compiti. A sottolineare questa situazione atipica, e come a suggellare la rinuncia di Ashitaka alla vendetta, giungono le parole del lebbroso costretto nel suo giaciglio, che cambia ancora il punto di vista di un eventuale giudizio, o anzi lo rende impossibile: la terribile Eboshi, distruttrice della natura e degli dei è l’unica a prendersi cura dei malati rifiutati da tutti.

Duplicazione della struttura narrativa.

Dal momento in cui Ashitaka si svela di fronte ad Eboshi, la trama del racconto viene duplicata: si ha di nuovo una situazione iniziale (il ragazzo è accolto

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Cinema FANTASY fraternamente della comunità della Città), un attacco degli deianimali, uno scontro in cui il ragazzo usa il suo potere (prima contro i samurai, ora contro la guardia cittadina), la cacciata di Ashitaka a causa della sua ferita, l’arrivo dell’eroe allo stagno sacro grazie all’aiuto di un personaggio legato alla Foresta (prima il kodama, ora San) che riconosce le sue buone azioni. La differenza essenziale sta nel fatto che Ashitaka ha già terminato il suo primo viaggio. L’incontro dell’eroe con i lebbrosi è la conclusione, anche a livello di esperienza e maturità acquisite, della ricerca iniziata con le parole della Saggia Madre; quindi i passi successivi si ripetono partendo però dalla Città anziché dal villaggio, e la differenza culturale dei due spazi comporta una serie di conseguenze. Il punto di arrivo è di nuovo lo stagno sacro, qui però interviene un elemento nuovo (cioè la guarigione della seconda ferita del ragazzo) che introduce il soggiorno dell’eroe nella Foresta.

Uscita di Ashitaka dalla Città.

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Lady Eboshi e Jigo, emissario dell’Imperatore, contrattano la cattura del Dio-Cervo. Approfittando dell’assenza di Lady Eboshi, i samurai attaccano la Città del Ferro. Gli uomini della Città ripiegano precipitosamente dietro la palizzata. A difendere la Città sono quasi esclusivamente le donne e i lebbrosi.

L’assalto dei samurai

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L’uscita dell’eroe dalla Città e il suo nuovo ingresso nella Foresta avvengono secondo uno schema del tipo “superamento della prova e ricompensa”, dove la prova consisterebbe nel salvare la vita di San minacciata degli uomini. La situazione qui è in effetti più complessa, in quanto San non vuole affatto essere salvata, e la posizione che Ashitaka assume è particolare; non sarebbe corretto poi ridurre il ruolo di San a semplice latrice della ricompensa che spetta all’eroe (a semplice “aiutante”), in quanto anche la ragazza agisce al di fuori degli schemi e prova verso il ragazzo sentimenti contrastanti. Ashitaka sfrutta la sua forza per imporre la sua volontà di pacificazione alle più bellicose San e Eboshi. A questo punto egli si fa carico di restituire la ragazza alla Foresta, vale a dire di riportare all’interno dello spazio naturale qualcuno che non appartiene allo spazio umano e che nella Città troverebbe solo la morte: scena parallela e inversa al salvataggio dei fuggiaschi il giorno prima. È ancora coinvolta la funzione del riconoscimento, nel momento in cui Ashitaka cammina verso gli uomini e le donne della Città emanando dal braccio la forza demoniaca che a stento può trattenere. Questo riconoscimento è pubblico, esplicito, e tramite la presenza di San è compiuto non solo davanti alla Città ma anche davanti alla Foresta. Vorrei però individuare due momenti diversi nel riconoscimento dell’eroe, corrispondenti rispettivamente all’uscita dalla Città e all’ingresso nella Foresta. Il primo momento lo si potrebbe definire di riconoscimento “negativo”: tramite il suo marchio Ashitaka si identifica come colui che è stato cacciato dal mondo degli uomini, e se finora la sua presenza era stata tollerata perché il ragazzo si era mostrato capace di controllare e reprimere il suo potere, nel momento in cui lo usa si pone al di fuori e in conflitto con la Città. Ciò si traduce immediatamente in una seconda cacciata. Mostrando il suo vero volto, quindi, l’eroe non è riconosciuto bensì rinnegato.

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Volendo rintracciare ancora una volta gli schemi della fiaba nella trama, la vicenda potrebbe essere così descritta: la prima prova nei confronti degli uomini è superata salvando i feriti nel bosco, e ciò comporta come ricompensa l’arrivo nella Città, il riconoscimento avviene mediante la repressione della forza magica. La prima prova nei confronti degli dei è superata rispettando il loro bosco, e la ricompensa è l’arrivo allo stagno, il riconoscimento avviene mediante l’ammissione di Ashitaka di essere ferito e non completamente “umano”. La seconda prova nei confronti degli uomini invece fallisce perché Ashitaka mostra il suo potere, il risultato è la cacciata per avere nuovamente infranto il tabù. E qui si svela ancora una volta la complessità della nostra storia. Il riconoscimento negativo di fronte agli uomini non corrisponde immediatamente ad uno positivo di fronte alla ragazza lupo; nel primo momento del suo riconoscimento (quando spezza le armi delle guardie), Ashitaka ricopre il suo ruolo peculiare di mediatore intromettendosi tra le donne duellanti, ed in tale ruolo fa fatica ad essere accettato pure dai rappresentati della natura. Vale la pena di evidenziare che questo passaggio avviene mediante una forzatura dei confini dello spa-

zio umano. Nel momento in cui il ragazzo è colpito dalla fucilata, la sua maledizione è come raddoppiata, l’interpretazione che ne darei è pressoché questa: presa San sotto la sua custodia grazie al suo potere magico, Ashitaka si presenta alla gente della Città come un emissario dello spazio sovrannaturale che essa combatte. E se è vero che la sua ferita è maledizione pure nella Foresta, nella Città il ragazzo diventa nuovamente un tabù, e lo spazio umano compie un secondo bando del “morto”. Questo secondo bando, declinato secondo gli schemi culturali della Città del Ferro, non si traduce in un’esclusione pacifica ma in un rigetto violento. La collocazione dell’eroe nell’aldilà magico diventa un tentativo di eliminazione fisica; contro la persona di Ashitaka vediamo esplicarsi la stessa condotta che la gente della Città usa nei confronti della Foresta. Il colpo di fucile che Ashitaka subisce al posto di San è l’estremo tentativo dello spazio umano (nella sua espressione più “avanzata”, ovvero, nell’iconografia propria di questo film, una donna che brandisce un’arma da fuoco) di distruggere e portare entro i suoi schemi gli elementi dello spazio naturale (anche eliminandoli fisicamente, assegnandogli il ruolo degli sconfitti). Anche San aveva poco prima valicato la frontiera della Città, ma dall’esterno e con difficoltà, ed era ve-

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Cinema FANTASY nuta per uccidere. Ashitaka invece esce dalla porta principale, e lo fa per salvare: il mediatore tra Città e Foresta è in grado di forzare dall’interno il confine dello spazio umano, la sua azione non conosce barriere. In questo, la cacciata che il ragazzo subisce nella Città è diversa da quella subita nel villaggio: anzitutto la morte del reietto non è solo simbolica, ma reale (o almeno tale la si vorrebbe), in secondo luogo la modalità di allontanamento traduce la diversa mentalità dei due ambienti. Ashitaka è ripudiato dal villaggio perché è riconosciuto come appartenente ad un altro mondo. Ma la Città del ferro porta continuamente avanti la soppressione della natura, lo spazio magico, e pertanto non può collocare il ragazzo in un mondo ad essa alieno, perché questo mondo sta subendo il tentativo di essere inglobato nello spazio culturale della Città: ad Ashitaka va trovato un posto nello schema di valori della Città e, in quanto visto come emissario degli dei o dei demoni, il suo posto non può che essere quello dello sconfitto e ucciso. Per questo davanti al ragazzo il cancello è chiuso e la guardia armata, e alle sue spalle i fucili spianati.

Ingresso di Ashitaka dalla Foresta.

1. 2. 3. 4.

I cacciatori di Jigo, coadiuvati dagli uomini di Eboshi, fanno strage dei cinghiali. Molte perdite si contano anche fra la gente di Eboshi. I cacciatori hanno usato l’esplosivo per fermare la carica dei cinghiali. Ashitaka cerca di liberare uno dei lupi, sopravvissuto al massacro.

Il massacro dei cinghiali

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La fase successiva si svolge anch’essa con lo schema tipico: la seconda prova di fronte agli dei è superata portando San fuori dalla Città, la ragazza beneficiata si presta a fare da aiutante e supera per conto di Ashitaka le successive prove di fronte agli animali, il premio è di nuovo l’arrivo allo stagno del dio-cervo; il marchio di riconoscimento è, in questo secondo momento, la ferita appena inferta al ragazzo dalla donna di Eboshi. Con essa il ragazzo è ancora di più simile agli dei animali perché la sciagura gli è nuovamente inferta a causa loro e nello stesso modo. Da questo momento il testimone dell’azione passa a San, che conduce Ashitaka in fin di vita nel cuore della Foresta, dove viene privato dei suoi attributi umani: senza arco, senza mantello (ormai il riconoscimento è completamente avvenuto), non sta più a cavallo di Yakkuru (sarebbe un’azione di controllo umano sulla natura). È San che media per vincere le resistenze che lo spazio naturale oppone all’accoglimento di un estraneo; in maniera analoga a quanto il ragazzo aveva fatto per salvarla dagli uomini, adesso è lei a frapporsi tra il ragazzo e un branco di scimmie che lo vorrebbero divorare. Infine Ashitaka è ammesso allo stagno sacro del dio-cervo. Il dio-cervo è il custode e l’incarnazione della natura: sotto i suoi piedi i germogli nascono e appassiscono in brevissimo tempo, riproducendo l’intero ciclo delle stagioni ad ogni passo. La legge che regola la Foresta è infatti la naturale alternanza di vita e morte, ogni germoglio nasce per appassire e lasciare i semi di una nuova vita. San pone vicino al ragazzo uno stelo di pianta appena sbocciato, e il dio-cervo lo risana dalla sua seconda ferita dopo avere fatto appassire la piantina. Il germoglio funge da segno di riconoscimento, con esso il ragazzo è qualificato come membro della Foresta, come meritevole della pietà

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FANTASY

del dio. Ma la prima piaga di Ashitaka non viene sanata, e continuerà qualificarlo come protagonista e mediatore tra i due mondi in conflitto. Qui mi sembra di poter evidenziare un punto significativo: viene guarita (sacrificando una pianta, cioè un membro effettivo del bosco) solo la ferita ricevuta per aver difeso un membro della Foresta, cioè quella che qualifica Ashitaka come amico degli dei-animali, quella che lo fa riconoscere e accettare dal mondo della Foresta (rientrando ancora una volta nello schema prova-riconoscimento).

IX. L’eroe nella foresta Il mondo dei morti.

Alla fine dei suoi due viaggi Ashitaka rientra nella Foresta, non più per un breve passaggio bensì per restarvi qualche tempo. Sperimenta così il modo di vivere dei tre spazi principali che definiscono la storia. A questo punto l’eroe è simbolicamente morto sia per il suo villaggio natio che per la Città del Ferro, ed entra nell’aldilà, nel mondo degli spiriti. Difatti la Foresta è lo spazio del magico e del divino, in contrapposizione agli spazi umani razionali; e se la cacciata di Ashitaka dagli spazi umani corrisponde ad una sua uccisione simbolica, allora è abbastanza na-

turale vedere nel bosco l’aldilà, il regno dei morti (senza che questa connotazione diventi l’unica). A conforto di questa interpretazione, l’eroe giunge alla Foresta quando è in effetti molto vicino a morire realmente, e San lo depone sulle rive dello stagno sacro e lo affida alla volontà del dio-cervo, il solo capace di regolare il fluire della vita nella morte e di guarire. Il ramoscello posto vicino al ragazzo (rimanendo valide le cose dette sopra) potrebbe essere anche visto come una specie di ornamento tombale, o come il segno che la vita del ragazzo è legata a quella di tutti gli altri esseri viventi. Quando il dio-cervo guarisce la ferita di Ashitaka il germoglio avvizzisce e secca; mi sembra lecito pensare che il caso opposto sarebbe equivalente, nella logica della Foresta: la morte di Ashitaka e la crescita di una pianta rigogliosa in cambio della vita di lui.

La rinascita.

Giunto nel mondo dei morti, per l’eroe arriva anche il momento della rinascita. Ciò che lo richiama in vita è l’affetto di San, che con la sua preghiera è in grado di propiziarsi l’azione favorevole del dio-cervo (di fronte al quale vita e morte sono piuttosto equivalenti). Ashitaka ha visto il cuore ardente della Città del

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Cinema FANTASY Ferro e ha seguito la via degli dei-animali fino quasi a morire, ora invece può sperimentare il potere benefico dello spazio naturale, ma solo perché San gli regala una nuova vita. La rinascita del ragazzo è sottolineata nella scena fondamentale in cui lei lo imbocca come un pulcino. Non è solo il nutrimento fisico che San dà ad Ashitaka, ma è anche il suo affetto (al quale lui risponde subito con parole stentate); la giovane si comporta come una madre che accudisce un bambino indifeso appena venuto alla luce. Nella persona della ragazza-lupo, la Foresta si prende cura del suo nuovo protetto con lo stesso amore con cui avrebbe visto crescere il ramoscello che il dio-cervo ha sacrificato. Insomma, la Foresta rappresenta sì l’aldilà e il regno dei morti, ma non in senso rigido. L’eroe, che ha la facoltà di mediare tra gli spazi non appartenendo più a nessuno di essi in modo univoco, è l’unico in grado di svelare l’ambivalenza dello spazio magico, l’unico in grado di recarsi nell’aldilà per rinascere e tornare nel mondo degli uomini. Spazio inviolabile per gli Emishi, semplice fonte di materie prime per Eboshi, gli uomini temono il potere distruttivo che alligna nel bosco e che viene anzi scatenato dall’invasione violenta perpetrata con il fuoco e l’esplosivo. Soltanto ad Ashitaka, che non si è lasciato sopraffare dall’odio, è concesso di riscoprire il volto nascosto e il potere benefico della Foresta, quindi per lui l’aldilà è un posto da cui si può rinascere. Oltre a ciò, a sottolineare la momentanea integrazione dell’eroe nello spazio naturale, vediamo nella scena successiva un nuovo riconoscimento, stavolta pubblico. Due sono stati i riconoscimenti davanti agli uomini (uno al cospetto di Eboshi, il secondo di fronte a tutti), due sono anche quelli davanti agli animali: in questo caso Ashitaka si svela a tutti i rappresentanti del bosco (non solo i lupi, ma anche i cinghiali), e lo fa direttamente mostrando la ferita e raccontando la propria storia, testimoniando di portare impressa su di sé la stessa maledizione che sta divorando la Foresta e i suoi abitanti.

X. Il finale 1. 2. 3. 4.

San cerca di difendere Okkoto, in fin di vita, dai cacciatori. Ashitaka a cavallo del lupo si precipita ad avvisare Eboshi dell’attacco alla Città. Okkoto ha ceduto all’odio ed è mutato in demone, come Nago, imprigionando San tra le sue “spire”. Ashitaka, rischiando la vita, libera San.

La fine di Okkoto

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Il ruolo dell’eroe.

Nel finale della vicenda, il ruolo di mediatore di Ashitaka entra progressivamente in crisi. La sua azione non è più efficace, e anche il ragazzo è travolto dagli eventi; giunto alla Città e sul luogo della battaglia con i cinghiali, può solo constatare i disastri provocati dalla guerra. L’unico suo scopo, fino alla morte del dio-cervo, è quello di salvare San dal grave pericolo che la minaccia, poi assieme alla ragazza tenta di restituire la testa mozzata allo spirito; anche Ashitaka è insomma costretto a rispondere in modo passivo allo scatenarsi degli eventi, in un momento in cui le menti degli uomini e degli dei-animali sono egualmente accecate dalla furia vendicativa. Il collasso dello spazio naturale e il suo sovvertimento, già prefigurato nella scena iniziale del film, è qui rappresentato dal dio-cinghiale Okkoto

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FANTASY che, divorato dal male, ingoia San minacciando di ucciderla: se all’inizio un cinghiale aveva aggredito un membro pacifico delle comunità umane, ora l’aggressione divora un membro stesso della Foresta, per quanto atipico come San. In questo momento la ragazza subisce, come prima Ashitaka, la sua seconda uccisione simbolica sempre a causa della forza maligna che sta devastando il mondo; lo svolgimento dei fatti è, per i due ragazzi, del tutto simmetrico: lui riceve la prima ferita da un abitante del bosco e la seconda dagli abitanti della Città, nel momento in cui lo considerano come nemico, lei invece subisce il primo attacco dagli uomini e il secondo da un dio-animale dalla mente annebbiata. E anche il salvataggio della ragazza corrisponde in qualche modo a ciò che lei prima aveva fatto con Ashitaka, ma in maniera diversa. Infatti, nel momento in cui la Foresta comincia a crollare e l’azione dello spazio umano su di essa sembra essere incontenibile, ciò che sopravvive sono soltanto le relazioni di affetto tra le persone. La luce che guida il ragazzo nel suo estremo tentativo è il bagliore dell’amuleto che egli aveva recato con sé dal villaggio e poi donato a San, cioè il segno tangibile dei legami, dei ricordi, dell’amicizia. Anche il recupero di San alla vita avviene in due momenti: prima è l’amore della sua madre-lupa a salvarla da Okkoto, poi la lupa consegna la ragazza alle cure di Ashitaka, come a stabilire un passaggio di consegne e di affetti. Si potrebbe dire che, come la ragazza ha salvato l’eroe dalla Città ostile introducendolo nel bosco, così ora lui tenta di salvarla dalla Foresta che non la riconosce più, riportandola verso il mondo degli uomini (in fondo la pietra che il ragazzo recava con sé era il ricordo della vita che conduceva prima di diventare un “morto” e un esiliato). Tuttavia preferisco evidenziare che, nel momento della prova finale, sulla scena ci sono due persone che hanno costruito tra loro un legame, difatti nelle ultime scene Ashitaka e San agiranno all’unisono.

L’agguato al Dio-Cervo 1. 2. 3. 4.

Lady Eboshi, anch’essa accecata dal suo odio, spara al Dio-Cervo. Il colpo stacca la testa al Dio-Cervo, proprio al tramonto, quando la creatura è in procinto di trasformarsi. Con un ultimo guizzo di vita, la dea-lupo Moro balza su Lady Eboshi staccandole un braccio. Jigo e i suoi fuggono con la testa del Dio.

Morte degli dei-animali.

Nella fine degli dei-animali, la lupa e il cinghiale, possiamo in qualche modo riconoscere le due alternative davanti a cui Ashitaka stesso è stato posto, cioè impazzire per il male subito oppure conservare la mente lucida e cercare di difendere i suoi affetti. Infatti la lupa, come il ragazzo, è in grado di non lasciarsi sopraffare dalla ferita maligna inflittale e di salvare San dal pericolo mortale. Oltre a ciò, anche i due animali sono di fronte al dio-cervo, che però stavolta chiude il ciclo delle loro vite. Diversamente dall’eroe, che si è meritato la rinascita, i due muoiono nel momento in cui il loro mondo è alla fine, quali pieni appartenenti ad esso. La morte del dio-cervo è un poco più complessa da descrivere. L’animale sacro rappresenta sostanzialmente il ciclo della natura, la vita stessa che anima il bosco, è il guardiano di ciò che cresce spontaneamente per poi appassire: tale natura è espressa nel fatto che anche questo spirito supremo esiste in due differenti forme che si alternano ciclicamente secondo il giorno e

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Cinema FANTASY la notte (il cervo o la figura gigantesca di “Colui che cammina nella notte”). Dei due colpi sparatigli, è infatti il secondo, che lo coglie nell’attimo del suo cambiamento di forma, a rivelarsi fatale per il dio-cervo, non tanto perché sia necessario più di un colpo per abbatterlo, quanto perché in quel momento il proiettile spezza il ciclo che l’animale impersona, il ciclo della natura. Si tratta insomma, anche in questo caso, di un attacco che simboleggia la sostituzione del sistema culturale della Città a quello della Foresta, del tutto analogo al colpo di fucile che infrange la maschera di San. Questa spiegazione mi sembra si accordi bene con il gesto che il dio-cervo compie poco prima di essere colpito, quando cioè provoca la nascita di ramoscelli e germogli sul calcio dell’archibugio impugnato da Eboshi. In quel momento il custode del bosco tenta di riportare nel suo proprio spazio il legno che gli uomini gli hanno strappato per trasformarlo in un’arma, e la cosa sembra riuscirgli; ciò che però lo spirito non può fare è riportare sotto il suo dominio il ferro del fucile, perché quel ferro è passato attraverso il fuoco della grande fornace, che vi ha impresso il marchio proprio della civiltà umana (ben al di là del semplice lavoro di intaglio sul legno). In questa scena viene messo in evidenza il ruolo centrale del fuoco (il cui potere è amplificato nella polvere da sparo) nella violazione della Foresta, a conferma del simbolismo antitetico, che attraversa tutto il film, tra questo elemento e l’acqua. L’acqua viene infatti a rappresentare la fonte della vita, l’elemento capace di risanare e di lenire i dolori, l’elemento proprio dello spazio della Foresta, il fuoco invece è la forza motrice del sistema culturale umano, il cuore che pulsa nella Città, che può spargere distruzione e rovina spesso anche tra gli uomini.

Fine e nuovo inizio.

1. 2. 3. 4.

“Colui che cammina nella Notte”, decapitato, avvelena la Foresta distruggendo ogni cosa. San e Ashitaka placano il Dio restituendogli la testa. La Foresta torna a nuova vita. Lady Eboshi ha imparato la lezione: d’ora in poi la Città vivrà in pace con la Foresta.

La rinascita

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Il finale della vicenda porta ad una rottura degli equilibri esistenti e ad uno sconvolgimento globale del mondo rappresentato. Con la morte del dio-cervo muore l’intera Foresta, ma anche gli altri spazi vanno incontro alla distruzione; ciò che Eboshi e l’Imperatore hanno violato è infatti il principio stesso che regola la pacifica vita del mondo, incarnato dall’animale sacro. L’una per creare una comunità sempre più grande e fiorente, l’altro per guadagnare nuovo potere, hanno cercato di sottomettere le forze naturali alle quali in realtà, in quanto esseri umani, sono legati e in certa misura sottomessi. Per questo la natura, spezzata la continuità dei suoi ritmi, diventa portatrice di morte e distruzione. Una volta distrutto il fragile equilibrio dello spazio magico, anche gli spazi razionali entrano in crisi. Al collasso della Foresta fa seguito il crollo di tutte le separazioni fin qui viste: il contrasto interno delle comunità umane sfocia nella guerra aperta tra i samurai del signore locale e i difensori della Città, finché gli uni e gli altri non sono egualmente sopraffatti dal sopraggiungere del dio-cervo in cerca della sua testa; le divisioni interne alla stessa Città sono anch’esse annullate nel momento in cui lebbrosi e donne

Cinema: La Principessa Mononoke


FANTASY Scheda Tecnica Titolo originale: Mononoke Hime もののけ姫 Data d’uscita: 7 dicembre 1997 Durata: 128 minuti Regia, soggetto e sceneggiatura: Hayao Miyazaki Assistenti regia: Hiroyuki Ito, Koji Aritomi, Masakatsu Ishizone Dir. artistica: Kazuo Oga, Naoya Tanaka, Nizo Yamamoto, Satoshi Kuroda, Yoji Takeshige Supervisione animazioni: Kitaro Kousaka, Masashi Ando, Yoshifumi Kondo Controllo animazioni: Hitomi Tateno, Katsutoshi Nakamura, Kazuyoshi Onoda, Masaya Saito, Rei Nakagome

Animazioni chiave: Montaggio: Takeshi Seyama Shinji Otsuka, Kenichi Konishi, Hiroko Minowa, Hideaki Yoshio, Effetti sonori: Muchihiro Ito Eiji Yamamori, Mariko Matsuo, Ikuo Kuwana, Masako Shinohara, Musica: Joe Hisaishi Masaaki Endou, Michio Mihara, Makiko Futaki, Kenichi Yoshida, Le canzoni: Toshio Kawaguchi, Yoshinori KaMononoke Hime e nada, Noriko Moritomo, Hiroshi Tatara fumo onnatachi Shimizu, Atsuko Otani, Kenichi cantate da Yoshikazu Mera Yamada, Masaru Matsuse, Atsuko musica e arrang di Joe Hisaishi Tanaka, Ikuo Kuwana, Masaru testi di Hayao Miyazaki Matsuse, Takehiro Noda, Megumi Kagawa, Tsutomu Awada, Takeshi Produttore: Toshio Suzuki Inamura, Shinsaku Sasaki, Katsuya Kondo, Sachiko Sugino Capo prod. esec.: Yasuyoshi Tokuma Fondali: Hiroaki Sasaki, Hisae Saito, Junichi Taniguchi, Kiyomi Prod. esec.: Seiichiro Ujiie Yutaka Narita Ota, Kyoko Naganawa, Masako Osada, Naomi Kasugai, Noboru Yoshida, Ryoko Ina, Sadayuki Arai Produzione: sTUDIO GHIBLI Sayaka Hirahara, Seiki Tamura Distr.: BUENA VISTA HOME ENT. Colori: Michiyo Yasuda

combattono insieme sugli spalti, infine la separazione fondamentale tra Foresta e Città viene cancellata con la distruzione della palizzata e il crescere dell’erba sull’imponente fornace. Ma le forze dello spazio naturale sono, come già detto, intrinsecamente ambivalenti. Una volta recuperata la sua testa, il dio-cervo trasforma la propria morte in un’esplosione di vita e di luce rigeneratrice. Alla distruzione totale fa seguito, una volta sgombrato il terreno, un’alba che vede sbocciare una natura rinnovata: il prezzo di questa rinascita è il sacrificio dello spirito del bosco (così come la guarigione di Ashitaka era costata alla Foresta la perdita di una giovane piantina). La scena in cui Ashitaka intima alle donne della Città di rifugiarsi nel lago riprende, ampliandola di molto, la scena della sua guarigione nello stagno. Infatti nell’acqua sacra di quel posto il ragazzo è stato sanato dalla ferita ricevuta per essersi opposto alla Città e averne forzato il confine. Nel finale, l’imponente barriera dello spazio umano è abbattuta dalla stessa potenza che era nel braccio dell’eroe, e analogamente i membri della comunità sono condotti (compresa Eboshi e i

© 1997 sTUDIO GHIBLI

suoi cacciatori) nell’acqua per essere purificati e ricevere la possibilità di una nuova vita. Lo specchio d’acqua in cui si rifugiano le donne della Città è lo stesso che Ashitaka e Kororu hanno attraversato tornando “dall’aldilà”, cioè il lago che separa lo spazio magico da quello razionale e che svolge la stessa funzione, per gli uomini di Eboshi, che lo stagno sacro ha svolto per Ashitaka. Tutta la comunità sperimenta così la morte (nel contatto forzato con la Foresta) e la successiva rinascita (nell’azione della forza vitale della natura). Il mondo nuovo, insomma, rinasce tutto insieme. Come logica conseguenza dell’annullamento delle divisioni simboliche tra gli spazi, vediamo che cessa la funzione di mediatore svolta da Ashitaka e quindi il ragazzo è guarito dalla sua piaga: con la promessa di nuove unità e armonia viene annullata la condizione di condanna e di esilio dell’eroe, che non è più considerato estraneo negli spazi che attraversa. D’altronde con la fine degli dei-animali cessa di esistere il potere magico e distruttivo generato dal violento incontro tra il nuovo spazio degli uomini e la Foresta, e Ashitaka e San sono infine liberati dalla loro maledizione. I “fan-

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Cinema FANTASY

tasmi” possono ritornare a pieno titolo, da vivi, in un mondo che si apre a nuova vita. A conferma di ciò, vediamo che anche i lebbrosi della Città vengono guariti (la loro piaga è analoga a quella dell’eroe, come detto sopra). La parabola di una grandiosa morte e di una confortante rinascita è quindi giunta al suo epilogo, ma gli eventi non potevano scivolare addosso ai personaggi lasciandoli immutati: Ashitaka conserva la cicatrice della sua ferita, Eboshi ha perso un braccio, la Città e la Foresta dovranno ricrescere con il tempo: segni tangibili, questi, della memoria che deve essere conservata ad ogni costo per non ripetere gli stessi errori. La memoria di essere vivi, e di dovere convivere.

XI. Analogie con “Nausicaa nella valle del vento” Tra le altre opere dirette da Hayao Miyazaki, La Principessa Mononoke eredita vari elementi principalmente da “Nausicaa della Valle del Vento”. Abbiamo il tema di un rapporto problematico tra gli uomini e un ambiente naturale ostile, una protagonista in grado di mediare tra i due spazi, diversi modi di trattare la foresta da parte delle varie comunità umane, infine la stessa concezione di fondo insegna ad andare al di là

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delle apparenze e trovare una soluzione di convivenza piuttosto che distruggere. In Nausicaa è rivolta una maggiore attenzione al mondo degli uomini, del quale si racconta una parabola apocalittica dalle forti tinte fantascientifiche (culminanti nella tremenda apparizione del mostro guerriero); in Mononoke l’attenzione del narratore indugia più a lungo sulla foresta, creando un’atmosfera decisamente fiabesca, sospesa tra la storia e la leggenda. Per quel che riguarda i personaggi, a mio parere c’è una forte analogia tra la Principessa dei Tolmeikiani e Lady Eboshi, sia per il loro ruolo nelle due storie che per il loro carattere di donne leader, carismatiche e dalla volontà forte. A suggellare questa parentela sono le celebri ed emblematiche immagini finali dei due anime: dopo le lotte e gli spargimenti di sangue una tenera piantina germina ancora, una nuova vita sorge quale promessa che un futuro migliore è possibile. La terra sulla quale sbocciano questi germogli è, in entrambi casi, un suolo nuovo a malapena calpestato dagli uomini, un suolo purificato dalla sofferenza e dallo sfacelo grazie al sacrificio della foresta. Da quest’ultima, nonostante tutto, la vita rinasce sempre dopo la morte, e il mondo comincia un altro ciclo. n Antonio Tripodi

Cinema: La Principessa Mononoke


FANTASY Ashitaka

Jigo Monaco al servizio dell’Imperatore, ha il compito di guidare un distaccamento di cacciatori nella Foresta e impadronirsi della testa del Dio-Cervo.

Toki Giovane donna della Città, moglie di Kouroku. Il suo ottimismo e la sua intraprendenza la rendono un punto di riferimento per le compagne, anche nei momenti più difficili.

Kouroku Membro della Città del Ferro e marito di Toki, viene salvato da Ashitaka dopo essersi perso nella Foresta in seguito ad un attacco dei lupi.

Ushikai Uomo della Città del Ferro che introduce Ashitaka nella comunità e gli offre ospitalità; non vede di buon occhio l’arrivo di Jigo e dei suoi cacciatori.

Kaya Giovane sorella di Ashitaka, esce a salutarlo mentre lui parte di notte di nascosto da tutti, donandogli un piccolo amuleto di pietra in suo ricordo.

Moro La dea-lupo, madre adottiva di San e signora del branco di lupi che abitano nella Foresta. È la nemica più terribile di Lady Eboshi e della sua Città.

Nago Cinghiale del branco di Okkoto, si tramuta in un demone per il dolore e la rabbia causatigli da un colpo di fucile; viene ucciso da Ashitaka.

Dio-Cervo Signore e custode della Foresta Sacra, è lo spirito che incarna il ciclo della Natura e l’eterno fluire della vita. Ha il potere di guarire ma anche di uccidere.

Figlia adottiva della dea-lupo Moro, si batte contro la gente della Città per salvare la Foresta Sacra. La sua vita cambia dopo l’incontro con Ashitaka.

Lady Eboshi

Personaggi

Giovane principe degli Hemishi, lascia il suo villaggio diretto verso la Città del Ferro, dove il suo destino si intreccia con quello di San e del Dio-Cervo.

San

È la donna a capo della Città del Ferro; progetta di uccidere gli dei della montagna per cancellare la Foresta e accrescere così il potere della comunità che governa.

Gonza

Brubero capo degli armati della Città e guardia del corpo di Lady Eboshi; viene spesso deriso per il suo scarso coraggio e la sua inettitudine.

Saggia Madre

L’anziana sciamana del villaggio di Ashitaka che guida la comunità e impone al giovane di allontanarsi dopo lo scontro con il cinghiale Nago.

Jii San

In fluente anziano del villaggio degli Hemishi; pur giudicando eccessivo il bando del coraggioso Ashitaka, rispetta la decisione della Saggia Madre.

Yakkuru

Il fedele stambecco di Ashitaka, che accompagna il suo padrone nel lungo e pericoloso viaggio fino al cuore della Foresta Sacra, restandogli accanto anche quando liberato.

Figli di Moro

I lupi che vivono nella Foresta, fratelli di latte di San, sono figli della dea-lupo Moro. Per salvare San aiutano Ashitaka.

Okkoto Dio-cinghiale cieco, a capo di un grande branco, guida i suoi animali fino alla Foresta Sacra per scatenare l’ultimo grande attacco contro gli uomini.

Scimmie Le scimmie che abitano la Foresta ripiantano di notte gli alberi che gli uomini abbattono di giorno. Si oppongono all’ingresso di Ashitaka nel bosco.

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Cinema

Cinema

ANIME

LA SPADA DEI KAMUI

(Kamui no Ken - Rintaro, 1985) di Antonio Tripodi

L’

avventurosa storia di un giovane orfano in cerca di risposte e di vendetta, la fine dell’epoca Tokugawa in Giappone, temibili shinobi dotati di arti illusorie e monaci guerrieri. Tutti elementi che non si fa fatica a trovare in altri anime o manga, a cominciare dall’illustre Lone Wolf & Cub per finire con il posteriore (e più noto) Ninja Scroll; eppure la storia de La Spada dei Kamui è per molti aspetti atipica e, a tratti, difficile da seguire: aggiungiamo infatti un villaggio Ainu, un tesoro nascosto, un viaggio in un altro continente e una continua aggiunta di personaggi, accompagnata da altrettante rivelazioni sulla vera identità di quelli già noti. Niente di nuovo anche in questo caso, almeno in apparenza, dato che altri anime abbondano di ricerche da portare a termine, di viaggi interminabili e di situazioni parentali degne di una telenovela. La trama in breve è questa: Jiro è un ragazzo che vive tranquillo in un villaggio dell’isola di Hokkaido, finché la sua madre adottiva e sua sorella non vengono uccise da un assassino. La comunità accusa lui del duplice omicidio, e il ragazzo scappa via, portando con sé solo la spada ereditata dal suo vero padre. Durante la fuga s’imbatte nel monaco Tenkai e nei suoi shinobi. Dopo averlo indotto ad uccidere il suo vero padre Taroza, facendogli credere che fosse lui il colpevole dei delitti, Tenkai prende Jiro con sé addestrandolo nelle arti marziali. Una volta cresciuto, il ragazzo viene inviato in un villaggio Ainu, il luogo dove vive la sua vera madre e dove lui stesso è nato, nella speranza che scopra il segreto di un favoloso tesoro nascosto secoli prima da un famoso pirata. Anche la madre però viene uccisa (da un ninja agli ordini di Tenkai), e Jiro si rifugia allora presso un vecchio che lo aiuta a decifrare gli enigmi che conducono al tesoro. Sempre braccato dagli shinobi del monaco e dalla sorellastra Oyuki, Jiro giunge

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Cinema: La Spada dei Kamui


ANIME/SAMURAI/AVVENTURA infine in America e trova il tesoro, riportandolo in Giappone e consegnandolo all’esercito imperiale che si batte per rovesciare la fazione dei Tokugawa, per cui parteggia invece Tenkai; infine i due giungono alla sfida risolutrice. Ciò che rende l’insieme un po’ atipico, e che può lasciare talvolta perplessi, è la compressione di questa quantità di nomi e situazioni nello spazio di due sole ore, specie se si considera che molte serie televisive di parecchi episodi vantano intrecci appena più complessi. Le trame dei clan e dei loro shinobi, il tesoro di un pirata, un viaggio nel Far West transitando per la Kamchatka: si passa insomma da un villaggio Ainu sulle pendici di una montagna sacra (la montagna dei Kamui, da cui proviene misteriosamente la micidiale spada di Jiro) ad un saloon nel deserto del Nevada, con tanto di pistoleri rissosi e ubriachi, senza contare una girandola di personaggi dall’identità nascosta; insomma un insieme degno di un romanzo di avventura. E proprio da un romanzo (scritto da Tetsu Yano) è tratta la storia raccontata nell’anime. Tenendo conto di ciò, è più facile capire l’origine di questi elementi e, soprattutto, l’insieme che ne deriva. Jiro attraversa luoghi distanti tra loro e diversissimi per usi e costumi – una situazione tipica di molti romanzi d’avventura con uno spiccato gusto per l’esotico e il favoloso – ma percorre anche gli avvenimenti storici del periodo descritto, nei quali, da sconosciuto che è all’inizio, finisce per giocare un ruolo fondamentale. Per intenderci, vengono in mente episodi della nostra letteratura ottocentesca come Il giro del mondo in 80 giorni o i romanzi di Emilio Salgari. Lo stesso si potrebbe dire per i colpi di scena, le guerre e una certa morale di fondo, tanto cari a una certa narrativa. Ma soprattutto si spiega bene, considerando quest’impostazione romanzesca, il singolare accostamento di elementi reali e fantasiosi. Il villaggio Ainu è rappresentato con cura, i fatti storici sono riportati con precisione, l’America dell’epoca è descritta con verosimiglianza, Jiro si reca ad arruolare dei ninja della celebre scuola di Iga; eppure Oyuki e altri shinobi sono in possesso di abilità guerriere fantastiche, e la scoperta del tesoro resta pur sempre un episodio che sa di leggenda e di favoloso.

La fuga 1. 2. 3.

Entrando a casa, Jiro trova sua madre adottiva e sua sorella assassinate; il villaggio accusa lui, che è così costretto a fuggire. Ingannato da Tenkai, Jiro uccide il presunto assassino, che in realtà è suo padre Taroza. Tenkai prosegue il suo inganno, diventando tutore di Jiro e facendolo addestrare alle arti marziali.

L’Anime. La Spada dei Kamui è stato prodotto nel 1985 con la regia di Rin Taro (X-1999, Metropolis) e si presenta di certo come un lavoro di discreto livello. Il disegno dei personaggi è piuttosto essenziale ma comunque efficace, così come quello dei vasti e suggestivi scenari che compaiono in molte sequenze (il cimitero degli Ainu, o il Nord coperto di neve, o i prati e i boschi): le immagini sono quasi sempre particolareggiate e arricchite da una felice scelta dei colori. Le scene interne meritano a loro volta una nota, con le abitazioni o gli altri spazi che sono sempre rappresentati in modo fedele e curando i particolari (ad esempio la stanza del capo Ainu). Al buon livello dei disegni non si accompagnano forse animazioni altrettanto elaborate, limite che risalta soprattutto nei

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Cinema ANIME

Il viaggio

1. 2. 3. 4.

Inviato da Tenkai alla ricerca di un tesoro, Jiro ritrova la sua vera madre in un villaggio ainu. Jiro ospite del professore Shouzan Ando. I 3 Demoni di Matsumae, assassini inviati da Tenkai. Oyuki, Jiro e Sam in Kamchatka.

Il viaggio

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combattimenti dei ninja, che si svolgono invariabilmente con pochi e sintetici colpi di spada. Nonostante questa carenza le sequenze di azione non sfigurano, grazie anche all’espediente di rappresentare le lotte tra shinobi in modo più surreale che realistico, costruendo un suggestivo mix di immagini e musica adatto a rendere la concitazione e la tensione degli scontri. Fughe o inseguimenti sono rappresentati al ritmo di un sonoro incalzante, con immagini a volte poco più che stilizzate ma efficaci; situazioni di angoscia o perdita di coscienza sfruttano disegni surreali, dalle forme distorte e fluttuanti; queste caratteristiche si possono ritrovare nelle scene dei combattimenti di Jiro contro Oyuki e i tre demoni guerrieri. Alcune sequenze drammatiche costituiscono inoltre una delle caratteristiche più interessanti dell’anime, soprattutto nel prologo, che racconta il massacro della famiglia adottiva di Jiro e la cacciata del ragazzo. Le immagini sono praticamente statiche, con forti contrasti cromatici, quasi dei dipinti per l’impatto visivo, e l’azione si svolge in modo decisamente teatrale. I personaggi sono praticamente immobili, caratterizzati immediatamente da visi espressivi come maschere e da poche parole, o da azioni nette. L’attenzione si concentra di volta in volta sui particolari salienti che bastano da soli a costruire la narrazione: il freddo bagliore della lama assassina, cibo sparso per terra, il profilo di Jiro attonito sulla soglia, l’accavallarsi delle sagome degli abitanti del villaggio, la spada dei Kamui dall’elsa dorata; il tutto messo in risalto, oltre che dai colori, da netti contrasti tra luci ed ombre che fanno risaltare con forza ancora maggiore le immagini. La scena è spezzata dall’urlo disperato di Jiro che salta oltre lo spazio fisico e oltre la condanna del villaggio, aprendo una sequenza di rapide scene d’azione che arrivano, brevemente interrotte dall’apparizione di Tenkai, fino alla morte di Taroza. Un’altra sequenza degna di nota è quella del duello tra Jiro e due cowboy in America. Nonostante sia praticamente gratuita e neanche troppo credibile rispetto alla trama principale, è probabilmente quella meglio costruita, assieme al prologo. Rispolverando metodi collaudati del cinema western, lo scontro è reso in maniera efficacissima usando il minimo indispensabile d’immagini animate: una strada assolata con tanto di cane che la attraversa,

Cinema: La Spada dei Kamui


ANIME/SAMURAI/AVVENTURA le ombre scure dei duellanti, un uso cinematografico di inquadrature e zoom; e poi ancora gli spettatori assiepati davanti al saloon, le mani vicine alle impugnature delle armi, i primi piani che diventano primissimi per poi lasciare di nuovo spazio, a scontro terminato, alla vista dall’alto della strada, fino all’immagine finale della folla stupefatta lungo la strada, ripresa, con una prospettiva molto suggestiva, dal punto in cui si trova per terra la pistola di Jiro (il quale in effetti ha usato la sua infallibile spada). Il carro che irrompe sulla scena contribuisce, alternandosi alle immagini statiche, ad aumentare la tensione che precede gli spari, segnando allo stesso tempo il ritmo di una sequenza che sarebbe altrimenti lenta e troppo immobile. Un altro modo in cui l’attenzione viene focalizzata sul duello è la colorazione dei personaggi: Jiro e i cowboy con colori brillanti, la gente del paese in tinte indistinte color seppia, come fossero i comprimari di una grande foto di gruppo.

Il West 1. 2. 3. 4.

Dopo aver salvato dall’aggressione di due balordi la giovane Tico (in realtà Julie Lucien), Jiro viene curato dagli indiani. Nel saloon “Santa Catalina”, orientali e indiani non sono bene accetti. Due pistoleri (gli stessi aggressori di Tico), si apprestano a battersi in duello con Jiro. Sanpei, Jiro e Julie davanti al tesoro.

Commento.

Il West

Se la storia narrata può in definitiva funzionare, nonostante sia a tratti un po’ contorta e a tratti scontata, non si può dire lo stesso per il modo in cui sono descritti gli ambienti e sviluppati i personaggi. La parte iniziale dell’anime, ambientata interamente nell’isola di Hokkaido e incentrata sostanzialmente sulla storia di Jiro e sulle sue origini, è più lenta e meglio costruita, e anche quella in cui i combattimenti tra gli shinobi hanno maggior rilievo (fatta eccezione per l’ultima sfida tra Tenkai e Jiro). Al contrario, nella parte successiva, le ambientazioni sono rese in maniera più frettolosa e stereotipata, e dal ritorno di Jiro in Giappone dopo l’avventura in America il ritmo dell’anime è notevolmente accelerato: la lotta tra Jiro e Tenkai, sullo sfondo della svolta epocale della storia giapponese, viene resa economizzando tempo e disegni senza troppi riguardi, probabilmente per contenere la durata finale del lungometraggio. Il risultato è una disomogeneità nella struttura e nello sviluppo dell’anime, accentuata dal fatto che l’amalgama in un unico film di scenari tanto variegati è già di per sé problematica, senza contare il lasso temporale in cui si evolve

Cinema: La Spada dei Kamui

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Cinema ANIME La resa dei conti

1. 2. 3. 4.

Lotta all’ultimo sangue tra i ninja di Jiro e quelli di Hanzo. Genjuro Fujibayashi e i ninja di Iga. Duello finale tra Jiro e lo spietato Tenkai. La guerra volge al termine e il vincitore è il generale Saigo, a cui Sanpei è fedele; ma per Jiro non è poi molto diverso da Tenkai.

La resa dei conti

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la vicenda. La scena che vede Jiro tornare alle rovine del suo vecchio villaggio, dove inizia la storia, ha anche il compito di riannodare i fili (ricorrendo al classico espediente del flashback) di una storia proseguita in modo un po’ troppo dispersivo. I personaggi che Jiro incontra durante le sue avventure sono destinati a schierarsi dalla sua parte, venendo talvolta uccisi a causa sua, oppure a diventare suoi nemici ed essere quindi giustamente sconfitti. Nessuno di loro ha una propria personalità, con qualità, vizi e sentimenti che non siano, nel migliore dei casi, appena abbozzati e lasciati subito in sospeso; gli amici di Jiro sono generosi e leali, i suoi nemici infidi e violenti. Il protagonista stesso è talmente invincibile e determinato, talmente convinto di essere sulla strada giusta, che finisce per destare poco interesse, se non nella prima parte dell’anime. L’unico personaggio che sfugge a questi schemi è la bella e malinconica Oyuki, la sola di cui traspaiano sentimenti e contraddizioni. In un anime che comincia in modo molto classico, nel Giappone medievale dei monaci guerrieri e degli shinobi, in cui ancora sopravvive il popolo Ainu, la comparsa di un saloon della frontiera o del tesoro di un pirata destano quantomeno sorpresa, per non dire un certo imbarazzo. Il collegamento tra i vari elementi sarebbe da cercare nelle parole con cui Mark Twain (sic!) si congeda da Jiro nel deserto del Nevada: spesso al progresso tecnologico della società non fa seguito un miglioramento degli uomini, che possono restare rozzi e intolleranti. Questo tema, appena abbozzato nelle scene dell’escursione americana di Jiro, viene riportato al progresso attraversato dal Giappone all’epoca dei fatti narrati (seconda metà del XIX sec.), coinciso per l’appunto con l’apertura (non sempre spontanea) del paese alle potenze straniere, quelle che Jiro visita. E, di fronte agli sconvolgimenti politici e alle rivoluzioni sociali, agli eserciti e alle bandiere, l’eroe proclama la sua indipendenza e libertà. D’altronde una delle immagini finali, che sovrappone la figura di Tenkai a quella di un generale imperiale davanti allo sguardo scettico di Jiro, sembra voler dire che, tra tanti stravolgimenti, certe cose, spesso quelle peggiori, sono destinate a rimanere in realtà sempre uguali. n Antonio Tripodi

Cinema: La Spada dei Kamui


ANIME/SAMURAI/AVVENTURA Doppiatori italiani Jiro: Luigi Rosa Tenkai: Enrico Bertorelli Oyuki: Roberta Gallina Tico: Lara Parmiani Shingo: Claudio Moneta Sampei: Aldo Stella Drasnic: Giovanni Battezzato Chiomaru: Anna Maria Tulli Narratore: Antonio Guidi Genjuro: Massimiliano Lotti Henzo: Luca Semeraro Jiro bambino: Irene Scalzo Oguri: Stefano Albertini Oyaruru: Elisabetta Cesone Sam: Andrea De Nisco Shouzan Ando: Gianni Mantesi Taroza: Enrico Maggi Twain: Mario Scarabelli Hattori: Augusto Di Bono

Scheda Tecnica Titolo originale: Kamui no ken カムイの剣

Morimoto, Nobumasa Arakawa, musiche di Ryudo Uzaki Atsuko Fukushima, Yasuomi Umetsu arrangiamenti di Michiteru Agita testi di Yoko Agi Tratto dal romanzio di Tetsu Yano Dir. animazione: Takuo Noda edito da Kadokawa Bunko Produttori: Masao Maruyama, Dir. artistica: Takamura Mukuo Saroru Ikegami, Taro Rin Data d’uscita: 16 marzo 1985 Fondali: Prod. esec.: Haruki Kadokawa Durata: 132 minuti Kazuo Oga, Tadao Kubota Animazione: Project Team Argos, Mad House Regia: Rintaro Dir. fotografia: Iwao Yamaki Aiuto regia: Susumu Ishizaki, Minako Kusunoki

Montaggio: Osamu Tanaka

Produzione esecutiva: Kadokawa Haruki Office

Suono: Ichiro Tsujii Sceneggiatura: Mori Masaki

Distribuzione: Toei Company Ltd.

Effetti: Hideo Sasaki Character design: Morimi Murano Disegni base: Shigemune Kiyoyama, Kyoko Matsubara, Manabu Ohashi, Takashi Nakamura, Yoshiyaki Kawajiri, Nobuharu Otsuka, Koji

Supervisione musicale: Ryudo Uzaki, Eitetsu Hayashi Le canzoni: Kamui no ken e Kamui no koriuta cantate da Noriko Watanabe

* © 1985 HARUKI KADOKAWA FILMS / TOEI COMPANY per la versione italiana © 1997 - 2001 YAMATO srl

Cinema: La Spada dei Kamui

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Cinema

Personaggi

ANIME Jiro Figlio di un Yamato e di una Ainu; fin dalla nascita cade vittima delle macchinazioni di Tenkai, che lo userà per scoprire l’ubicazione del favoloso tesoro di Capitan Kidd. Il ragazzo riuscirà però a vendicarsi.

Tico/Julie Lucien Figlia di un Francese inviato come spia a Nagasaki e poi ucciso da Tenkai; è stata allevata dagli indiani.

Taroza Il padre di Jiro; è uno shinobi di Satsuma, fedele al generale Saigo, infiltratosi come spia tra le fila di Tenkai. A lui il monaco aveva affidato l’incarico di far luce sull’enigma del tesoro di Capitan Kidd.

Sanpei Come Taroza, è una spia del generale Saigo in incognito tra gli uomini di Tenkai; dopo essere stato uno dei suoi maestri, salverà due volte la vita a Jiro quando Tenkai manderà i suoi ninja ad assassinare il ragazzo.

Shingo Ninja di Tenkai che si occupa dell’addestramento di Jiro. Privo di scrupoli, non esiterà ad assassinare Oyaruru facendo ricadere la colpa sul ragazzo. Drogato da Jiro, finisce ucciso per errore dai suoi stessi uomini.

Ando Shozan Colto professore trasferitosi presso lo Shirotoko per sfuggire alle imposizioni del governo, che censura lo studio e il contatto con le culture straniere. Sarà lui a decifrare gli scritti nascosti nella Spada dei Kamui.

Uraka Giovane Ainu che Jiro salva dall’aggressione da parte degli uomini di Shingo. Uraka è in realtà uno strumento inconsapevole usato dallo stesso Shingo per indirizzare Jiro a Shinopirika, dove vive Oyaruru.

Tsuyo La madre adottiva di Jiro: trovò il bambino in fasce sulle rive di un fiume e lo allevò come fosse proprio, non sapendo che il padre era in effetti Taroza, l’uomo da cui aveva avuto sua figlia Oyuki, poi sostituita con Sayuri.

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Cinema: La Spada dei Kamui

Oyuki Una dei ninja di Tenkai mandati ad uccidere Jiro; in realtà è la sorellastra proprio di Jiro, figlia di Taroza e Tsuyo, rapita da Tenkai appena nata per fungere da ostaggio contro il padre. Venne sostituita nella culla con Sayuri.

Sam Il marinaio della “Samelle” scampato, grazie a Jiro, a un linciaggio a Furukamappu. Jiro lo riscatta dal capitano Drassnick, pagandolo in oro, e da quel momento il marinaio diviene suo amico fedele.

Tenkai Spietato monaco guerriero del Tempio di Tengen. I suoi machiavellici complotti coinvolgono Jiro fin dalla nascita. Attraverso il ragazzo, Tenkai cerca di ripercorrere le orme di Taroza alla scoperta del segreto del tesoro.

Hanzo Crudele ninja al soldo di Tenkai; fu lui a tagliare il braccio di Taroza in combattimento, ripagato poi con la stessa moneta da Jiro a Santa Catalina. Finirà ucciso a Iga, durante l’ennesimo tentativo di assassinare Jiro.

Uomini di Shingo Il loro compito è spronare Jiro, con finte aggressioni, in modo da indurlo a comportarsi come Taroza.

Chiomappu Coraggiosa ragazzina che trova Jiro semi assiderato nello Shiretoko e lo aiuta portandolo da Ando Shozan. Quando Tenkai cercherà d’interrogarla per scoprire i segreti di Jiro, preferirà uccidersi piuttosto che parlare.

Oyaruru La madre naturale di Jiro, moglie di Taroza e figlia del capo del kotan di Shinopirika, dove Taroza stesso era stato inviato per indagare sul mistero del tesoro di Capitan Kidd. Viene avvelenata per ordine di Tenkai.

Sayuri La sorella “adottiva” di Jiro, assassinata insieme a Tsuyo da un sicario di Tenkai. In realtà Tenkai la scambiò nella culla mettendola al posto di Oyuki, quest’ultima la vera figlia di Tsuyo e Taroza.


ANIME/SAMURAI/AVVENTURA

Copo della famiglia Hattori di Iga, fornisce shinobi mercenari sia a Jiro che ad Hanzo. è stato maestro di Tenkai e, in punto di morte nel finale, rivela a Jiro di essere suo nonno, il padre di Taroza.

Capitano Drassnick Il capitano della “Samelle”, che conduce Jiro da Furukamappu alla Kamchatka, e più tardi lo reimbarcherà a Santa Catalina per riportarlo in Giappone. Un duro uomo di mare ma onesto e leale.

Vecchio Ainu Vecchio del kotan ainu di Shinopirika, di cui fa parte anche la madre di Jiro. Accoglie Jiro al suo arrivo nel villagio, rivelandogli la leggenda della Spada dei Kamui, e indicandogli il luogo dove vive Oyaruru.

Tesoriere Oguri Kozukenosuke Tesoriere dei Tokugawa, complotta con Tenkai per finanziare le forze del Bakufu, e ci riesce stringendo un accordo con i Francesi. Finisce però catturato e giustiziato tramite decapitazione, sentenza eseguita da Sanpei.

Genjuro e Nokizaru

Personaggi

Hattori

I fedeli shinobi di Jiro, i due soli superstiti del gruppo di guerrieri mercenari ingaggiati a Iga.

Mark Twain

Scrittore americano (1835-1910), si trova al saloon “Santa Catalina”, nel Nevada, mentre Jiro viene sfidato dai due pistoleri. Rimasto colpito dal coraggio del ragazzo, gli indica la strada per giungere all’isola del tesoro.

Capo Indiano

Capo del villaggio indiano dove Jiro viene curato dopo il suo arrivo in America. è il padre adottivo di Tico, e rivela a Jiro che la giovane è figlia di Francesi, trovata da piccola accanto alla madre morente.

Generale Saigo

Capo dell’Esercito Imperiale, è il generale che sbaraglia le forze del Bakufu. Sotto i suoi ordini, Taroza e Sanpei s’infiltrano tra le forze nemiche, spiando l’operato di Tenkai. Jiro lo incontra nel finale.

I Tre Demoni di Matsumae Formidabili ninja, abili nell’uso di armi particolari e di tecniche che generano allucinazioni; ingaggiati da Tenkai per eliminare Jiro, si scontrano col ragazzo tra i ghiacci dello Shiretoko, ma finiscono uccisi, anche se per sconfiggere l’ultimo di essi, Kiheiji, è necessario a Jiro l’aiuto di Sanpei.

Marinai della “Samelle” Violenti e privi di scrupoli, mettono gli occhi sui sacchetti pieni d’oro che Jiro usa per pagarsi l’imbarco sulla “Samelle”. Aggrediscono il ragazzo per cercare di rubargli il bottino, ma finiscono sopraffatti, grazie anche all’intervento di Oyuki. La rissa indurrà però il capitano Drassnick a sbarcare Jiro.

Personaggi del “Santa Catalina” Saloon Il barista, e i due pistoleri razzisti; questi ultimi importunano Jiro quando il ragazzo entra nel saloon per chiedere informazioni sull’isola di Santa Catalina, sfidandolo poi a duello. I due ceffi sono gli stessi che in precedenza avevano aggredito Tico, poi salvata dallo stesso Jiro.

Vecchia del villaggio Anziana donna del villaggio di Sainomura, dove Jiro è cresciuto. è lei a dare l’allarme dopo l’uccisione di Tsuyu e Sayuri, e, trovando Jiro chino sui cadaveri, lo accusa di essere l’assassino aizzandogli contro il villaggio.

Il lupo di Oyuki Mentre, insieme a Jiro e a Sam, attraversa la Kamchatka, Oyuki trova un cucciolo di lupo bianco e decide di tenerlo con sé. Dopo la morte della giovane, il lupo diverrà fedele compagno di Jiro.

Cinema: La Spada dei Kamui

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Cinema

Cinema

ANIME

LA GRANDE AVVENTURA DEL PICCOLO PRINCIPE VALIANT (Taiyou no ouji: Horusu no daibouken I. Takahata, 1968) di Massimo “DeFa” De Faveri

T

ratto da un’opera scritta per il teatro delle marionette da Kazuo Fukazawa (Chikisani no Taiyou, Il sole di Chikisani), a sua volta basata su un’antica leggenda degli Ainu [nota 1] poi adattata a un’ambientazione nordeuropea per facilitarne la distribuzione in Occidente, Taiyou no ouji: Hols no daibouken rappresenta per certi aspetti uno spartiacque nella storia dell’animazione nipponica. I 3 anni impiegati per realizzarlo (dal 1965 al 1968) coincisero con un infuocato periodo di dispute interne alla Toei Doga, forse ancor oggi il più burrascoso nei 50 anni di vita del celebre Studio. Erano i tempi delle rivendicazioni sindacali, dei dipendenti oberati da carichi di lavoro insostenibili, i tempi degli scioperi e dell’occupazione degli stabilimenti. Il quel clima di forte agitazione, la lavorazione di Hols rappresentò anche un’ottima maniera per tenere impegnati – distogliendoli almeno in parte dalla lotta sindacale – alcuni tra gli esponenti più attivi del movimento di protesta.

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Cinema: La Grande Avventura...


ANIME/FANTASY/AVVENTURA Gli Ainu Gli Ainu sono una minoranza etnica rurale, di ceppo Il progetto venne affidato al veterano Yasuo Ot-

suka (segretario generale del sindacato), il quale, sfrut-

tando la propria influenza – e forse la volontà dei dirigenti di assecondare qualche libertà se ciò fosse servito a sottrarre linfa e truppe agli scioperanti – riuscì a farsi approvare la proposta di un’opera più “adulta” rispetto al target usuale, e a garantirsi un’autonomia creativa e concettuale a dir poco anomala per l’epoca. Gli autori poterono così gestirsi in regime di “democratica” comunione artistica, valorizzando i talenti individuali e attingendo estro e idee da ogni singolo membro dello staff. Ne nacque un’opera “sperimentale”, per certi versi innovativa, testimone del contesto sociale che l’aveva partorita e imprevedibile veicolo di diffusione dei principi che animavano la lotta sindacale. Vanamente imbrigliato dalla confezione giovanile della storia, il tema portante, quello della riscossa “proletaria”, della lotta contro le divisioni e i dissapori interni che rendono le comunità vulnerabili, l’apologia dell’unione che permette al popolo altrimenti debole di contrastare un tiranno dispotico e potente, si fece riconoscere con una veemenza tale da cogliere impreparati gli stessi produttori. Il timore di stimolare ulteriori “fermenti” giocò forse un ruolo nella presentazione in sordina del film e nel blocco prematuro della sua distribuzione nelle sale. Nonostante gli ottimi commenti da parte della critica, infatti, la scarsa affluenza di pubblico al cinema convinse l’azienda a ritirare la pellicola dopo soli 10 giorni di programmazione. Ciò, a tutt’oggi, fa di Hols il lungometraggio con i più bassi incassi della storia Toei. In seguito a quel fallimento, Otsuka lasciò l’azienda e il regista Isao Takahata finì retrocesso. Ben pochi bambini riuscirono dunque ad assistere alla proiezione di Hols nelle sale; esplose invece successivamente l’inatteso entusiasmo di adolescenti e studenti universitari, che furono in grado di apprezzare i modelli ispiratori del film. Era il ‘68, piena Guerra del Viet-Nam, anno di proteste e contraddizioni: Taiyou no ouji: Hols no daibouken veniva, in rapida progressione, acclamato dalla critica, messo fuori gioco al botteghino e consacrato manifesto della ribellione studentesca.

caucasico, ridotta attualmente a poche decine di migliaia di unità, stanziate nell’estremo nord dell’Honshu, nell’Hokkaido, nelle Isole Kurili, e in parti dello Sakhalin e della Kamchatka. Viene considerata una popolazione autoctona, che gli studi genetici fanno discendere dai primi antichi abitatori dell’arcipelago: presente in Giappone già nel periodo Jomon (10.000-300 a.C.), precede di molto l’arrivo e la diffusione dell’etnia giapponese, l’avanzare della quale finì poi per sospingerla a nord. La storia del popolo Ainu, la sua convivenza con i Giapponesi, è purtroppo costellata da episodi tragici; una storia di repressione e discriminazione razziale, poco nota e molto simile a quella patita dai nativi americani. Degli Ainu, che tramandavano la cultura oralmente, si hanno poche notizie storiche in forma scritta (tutte di fonte giapponese); le più antiche provengono dai libri Kojiki (o Furukotofumi, testo sacro shintoista, 712 d.C.) e Nihon Shoki (720 d.C.), che citano gli Ainu come discendenti di una etnia ancestrale chiamata Emishi.

Note storiche A partire dalla seconda metà del XV secolo, i Giappo-

nesi iniziano l’occupazione dell’Hokkaido meridionale, e i rapporti con gli Ainu si fanno drammatici. Nei due secoli successivi si susseguono varie rivolte ainu, tutte represse in modo cruento: le battaglie di Kosyamain (1457), di Syaksyain (1669) e di Kunasiri-Menasi (1789). Nella prima metà del XIX secolo la popolazione ainu, sterminata dalle malattie portate dai Giapponesi e dai popoli provenienti dai mari a Nord, si riduce al 60%. Nel 1868 inizia l’epoca Meiji (1868-1912), con l’annessione dell’Hokkaido al Giappone. Nel 1899 viene approvata la legge razziale, l’Atto di Protezione Aborigena dell’Hokkaido, che distingue la popolazione giapponese da quella ainu; inizia una massiccia opera di “smantellamento” della cultura ainu, che dura fino a metà degli anni 50. L’antica lingua itak praticamente scompare. Sul finire degli anni 60, con la controcultura, la denuncia sociale, le agitazioni studentesche, inaspettatamente scoppia una piccola rinascita ainu. Nel 1994 viene eletto al Parlamento Nazionale Giapponese il social-democratico Shigeru Kayano, di etnia ainu. Nel 1997, per la prima volta, viene proposto in Parlamento un progetto di legge per la tutela della minoranza ainu.

Cinema: La Grande Avventura...

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Cinema ANIME

1. 2. 3. 4.

Trama. Rimasto solo dopo la morte del padre, il giovane e coraggioso Hols parte alla ricerca del suo paese natale, distrutto anni prima dagli stessi abitanti, lasciatisi scioccamente aizzare l’uno contro l’altro dal perfido mago Grunwald. Con sé Hols ha la Spada del Sole, estratta dalla spalla del gigante di pietra Moog, un’arma che, una volta temprata, sarà in grado di sconfiggere lo stregone. Nel corso del viaggio il ragazzo ha modo di dimostrare la propria temerarietà affrontando e uccidendo una delle creature di Grunwald, un terribile luccio gigante che seminava terrore e vittime presso un pacifico villaggio di pescatori. Questi ultimi, con affetto e gratitudine, accolgono Hols nella comunità. Un giorno, inseguendo un lupo argentato, altro emissario di Grunwald, Hols incontra una misteriosa ragazzina di nome Hilda e la conduce al villaggio. La giovane, mite, dolce e dotata di un canto meraviglioso, viene subito accettata dai pescatori, ma col passare del tempo la sua presenza finisce per alterare l’equilibrio della comunità: cullata dalla sua voce melodiosa, la gente tende a trascurare il lavoro e crogiolarsi in una pericolosa apatia. Nel frattempo, al villaggio continuano a verificarsi fatti inquietanti: dopo l’attacco da parte dei lupi, è la volta di un’invasione di topi... La situazione precipita quando il losco Drego riesce a istigare il villaggio contro Hols, imputando al ragazzino il succedersi di questi eventi. La vera responsabile è invece Hilda, in realtà sorella di Grunwald, mandata nel villaggio proprio per uccidere Hols. Il valoroso giovane dovrà subire l’onta dell’allontanamento e affrontare le surreali visioni della Foresta Impenetrabile, prima di riuscire, anche grazie al ravvedimento della stessa Hilda, a riconquistare la fiducia della comunità. Alla testa del villaggio unito, e con l’aiuto di Moog e della Spada del Sole, potrà allora sconfiggere definitivamente il malvagio Grunwald.

La lotta di Hols contro i lupi di Grunwald, scena che precede la sigla d’apertura. Il risveglio di Moog e il ritrovamento della Spada del Sole. I pesci tornano a popolare il fiume dopo l’uccisione del luccio gigante. L’attacco dei lupi al villaggio, una delle sequenze composte da fotogrammi fissi.

L’arrivo al villaggio

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Commento. Nel concepire e realizzare Hols, Otsuka volle accanto a sé uno staff di animatori di prim’ordine, con i quali condivideva il desiderio di sperimentare, di progredire, di aprire la strada a un tipo di animazione in grado d’intrattenere non solo i bambini ma un pubblico di tutte le età. Accanto al mostro sacro Yasuji Mori (uno dei fondatori della “Doga”, la di-

Cinema: La Grande Avventura...

Isao Takahata


ANIME/FANTASY/AVVENTURA visione animazione del colosso Toei Co.), chiamò Yoichi Kotabe (allievo dello stesso Mori), Reiko Okuyama e giovani talenti Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Queste nuove leve, in particolare, furono messe nelle condizioni di esprimere al meglio le proprie idee “riformiste”; Otsuka si privò addirittura della regia per affidarla a Takahata, riservando per sé il ruolo di direttore dell’animazione. Fattosi le ossa come aiuto-regista e poi dirigendo in prima persona vari episodi di Ookami shounen Ken (la prima serie televisiva prodotta dalla Toei), Takahata era all’esordio in un lungometraggio, eppure la sua mano, il suo perfezionismo, la sua cura dei particolari caratterizzarono fortemente Hols. Takahata diresse il film in modo assai più presente e “moderno” rispetto alle prassi lavorative dell’epoca; moderò le libertà interpretative degli animatori pur senza soffocarle, li supervisionò, non lasciò nulla al caso, valutando le idee di tutti ma imponendo alti standard, e mantenendo ben salde le redini e la coesione del progetto. Sotto la sua direzione, come ammise per esempio Kotabe, i disegnatori dovevano dare il meglio di sé, conferire ai personaggi espressioni coerenti, movimenti giustificati, comportamenti verosimili: nessuno spazio per esagerazioni o approssimazioni. Si cercò di curare in modo esigente l’animazione. Certo non fu possibile raggiungere i livelli della “full animation” disneyana, ma si sorpassarono di gran lunga gli standard “tezukiani”, imposti in quel periodo dalle strette tempistiche delle serie televisive. In Hols si cercò un livello intermedio, un compromesso che potesse mantenere alta la qualità formale dell’opera pur contenendo il dispendio di risorse umane e denaro. Il design dei personaggi fu dunque molto essenziale e il numero dei disegni relativamente limitato, ma si usarono con criterio i cicli, si prestò attenzione ai movimenti e agli sfondi, s’inserirono giochi multipiano per fornire l’illusione della profondità (molto suggestive le riprese del villaggio fantasma prima della comparsa di Hilda), e vennero utilizzati spostamenti di camera complessi. Un approccio cinematografico all’animazione che in Giappone rappresentò una novità assoluta. Da citare come esempio è la scena della pesca al villaggio dopo l’uccisione del luccio gigante: una complessa serie di sequenze di gruppo con scorrimento indipendente dei fondali rispetto ai primi piani, e movimenti differenziati e contemporanei dei singoli elementi (personaggi, animali ecc). In Hols, poi, non mancano sequenze visionarie e “particolari”, come quelle ambientate all’interno della Foresta Impenetrabile. È quindi un film dai molti pregi, anche se occorre precisare che le sue lodevoli ambizioni trovarono ri-

L’influsso di Hilda 1. 2. 3. 4.

Cinema: La Grande Avventura...

In un villaggio disabitato, con l’unica compagina degli animaletti Chiro e Tooto, vive la dolce ma misteriosa Hilda. Il meraviglioso canto di Hilda “strega” gli abitanti del villaggio. Gli unici a restare immuni all’influsso di Hilda sono Hols, Garko e Pottom, che lavorano alla tempra della Spada del Sole. L’invasione dei topi.

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Cinema ANIME

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L’infido Drego complotta con Hilda per fomentare la comunità contro Hols. I lupi-spettri di Grunwald portano l’inverno nel villaggio dei pescatori. Le inquietanti visioni della Foresta Impenetrabile. Riuscito a fuggire dalla Foresta Impenetrabile, Hols deve affrontare Hilda.

La battaglia finale

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scontro effettivo solo in parte. La laboriosità di certe sequenze comportò gravi ritardi, e causò addirittura un rinvio dei lavori, determinando poi una compressione della durata e cedimenti qualitativi per recuperare il tempo perso. Emblematico il fatto che, accanto a scene sontuose come quella sopra descritta, ve ne siano altre inanimate, composte da fotogrammi fissi (gli assalti dei lupi e dei topi). Pregio del montaggio è però quello di integrare questi passaggi in modo non traumatico. La stessa sensazione (di bersaglio centrato solo parzialmente) si avverte nella caratterizzazione dei personaggi. Il proposito era quello di aprire un “Passaggio a Nord-Ovest” verso storie animate con risvolti drammatici e personaggi psicologicamente sfaccettati; in Hols, però, la storia non riesce ad essere lineare, intensa e adulta come vorrebbe, e la complessità caratteriale dei protagonisti risulta a volte criptica. Indubbiamente il personaggio più riuscito è Hilda, a tratti resa magnificamente nella sua duplicità, integrata dai due animaletti Chiro e Tooto (di fatto un’estensione del suo stesso personaggio), che rappresentano la buona e la cattiva coscienza, l’angelo custode e il diavolo tentatore. Per contro troviamo invece un Hols impavido ma forse un po’ troppo monocorde, un Grunwald privo di spessore, e la mancanza di altri personaggi che risultino utilizzati a sufficienza da poter presentare un reale approfondimento psicologico. Nel complesso, Hols resta una pellicola per bambini, nonostante il tono generalmente serioso, ma occorre riconoscerne il valore di precursore. Le idee embrionali sperimentate a partire dal ‘65 in Hols troveranno pieno sviluppo in altre opere, che svincoleranno le produzioni giapponesi dal legame di esclusività “animazione/ bambini”, facendole finalmente divergere dalla scia del – peraltro inarrivabile in quel momento – modello Disney. In Italia il lungometraggio è uscito con due titoli diversi: La grande avventura del piccolo principe Valiant e Il segreto della spada del sole.

Il ruolo di Miyazaki. Miyazaki e Takahata avevano già lavorato insieme nel citato Ookami Shounen Ken, quando Otsuka li arruolò per Hols. Fu proprio questo lungometraggio a cementare un sodalizio destinato, dopo la Toei, a proseguire in A Pro, in Nippon Animation e in Tokyo Movie Shinsha, e a consacrarsi poi nel 1985, quando i due fon-

Cinema: La Grande Avventura...

Hayao Miyazaki


ANIME/FANTASY/AVVENTURA L’uccisione del luccio:

in Conan, una delle fasi della caccia allo squalo, nel primo episodio, vede l’animale schiantarsi contro un ostacolo e finire poi sepolto dalle rocce, come il luccio in Hols.

L’addio al padre:

la scena è ricalcata in Conan, protagonista il nonno, ferito dai soldati di Indastria in occasione del rapimento di Lana, sempre nel primo episodio.

Il racconto della fuga:

in Conan è presente una sequenza analoga, nella quale il nonno narra del tentativo di abbandonare la Terra devastata dal conflitto nucleare. Anche in questo caso, come in Hols, viene posto l’accento sull’ottusità di certe dispute, che dividono le comunità e portano inevitabilmente all’autodistruzione. L’aspetto del nonno di Conan durante il racconto ricorda molto quello del padre di Hols.

Il viaggio:

come Hols, anche Conan, rimasto solo, parte alla ricerca di altri sopravvissuti. Il viaggio in barca sancisce il passaggio dalla vita solitaria a una vita sociale. Inizia il percorso dall’adolescenza all’età matura.

darono insieme il celeberrimo Studio Ghibli, autentica fucina di capolavori, miniera di Oscar e premi internazionali. Per Miyazaki, Hols rappresentò certamente il trampolino di lancio verso una carriera maestosa. Fino a quel momento, il suo ruolo in Toei era stato di semplice intercalatore, ma in Hols il suo talento e la sua intraprendenza furono impiegati appieno; si occupò degli scenari e dell’animazione, e tale fu il suo apporto che per lui venne coniata la nuova definizione di “sce-

Hols vs Conan ne designer”. Il lavoro svolto in Hols influenzò molto Miyazaki, che spesso nelle sue opere successive riprenderà contesti e idee già anticipati in questa pellicola; il famoso Mononoke Hime (La principessa Mononoke), per esempio, è ambientato proprio tra gli Emishi/Ainu. È spontaneo rilevare le forti somiglianze tra gli incipit di Hols e Mirai Shounen Conan (Conan [ragazzo

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Cinema ANIME Hiragana e Katakana

平 仮 名

Hiragana e Katakana sono i due al-

片 仮 名

fabeti fonetici autoctoni che, coesistendo e intersecandosi col Kanji (i caratteri ideografici di origine invece cinese), compongono il complesso sistema di scrittura in uso in Giappone. Diversamente dagli alfabeti occidentali, Hiragana e Katakana descrivono suoni sillabici; si tratta di due scritture speculari, formate dai medesimi gruppi di sillabe. I caratteri usati sono 46, a cui si aggiungono 2 segni diacritici, il dakuten (o nigori, impurità) e l’handakuten (o maru, cerchio); le loro combinazioni descrivono 107 sillabe, divise in 4 gruppi: 46 suoni “puri” (seion), 20 suoni “impuri” (dakuon), 5 suoni “semipuri” (handakuon) e 36 suoni “contratti” (yoon). I segni dell’Hiragana, di forma molto morbida, arrotondata, si usano per scrivere parole giapponesi, mentre quelli del Katakana, più spigolosi, vengono utilizzati per le parole di origine straniera, o per quelle onomatopeiche. Recentemente, per consentire di meglio trascrivere e pronunciare termini stranieri, al Katakana sono state aggiunte altre sillabe, circa una trentina.

1. 2. 3. 4.

Il mammouth di ghiaccio devasta il villaggio. Guidati dal coraggioso Hols, gli abitanti del villaggio contrattaccano. Il duello finale tra malvagio Grunwald e Hols, che impugna la Spada del Sole ormai temprata. Gli eroi festeggiano la vittoria.

La battaglia finale

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del futuro]): la fuga del nonno di Conan dal mondo devastato dall’insensatezza della guerra ricalca quella del padre di Hols dal proprio villaggio, distrutto dalla stupidità degli uomini; il design stesso dei due personaggi nella versione “giovane” è pressoché identico. Le scene in cui il padre/nonno morente spiega al figlio/nipote i retroscena della sua fuga e lo invita a percorrere il cammino inverso sono molto simili, così come quelle dell’abbandono da parte di Hols/Conan del luogo solitario della gioventù e il viaggio in barca incontro a una nuova vita sociale. I primi bozzetti del personaggio di Conan ricordano un po’ quello di Hols, anche se Miyazaki optò poi per una versione più leggera e umoristica. L’Hilda buona si rispecchia perfettamente nella Lana di Mirai shounen Conan, mentre l’Hilda glaciale e poi ravveduta ha caratterialmente molto in comune con Monsley, altro personaggio cardine di Conan.

La “questione del nome”. Spesso si sente manifestare un dubbio in merito alla valenza che gli autori avrebbero inteso attribuire al nome del protagonista, Hols. L’incertezza deriva dalle inevitabili approssimazioni di traslitterazione della lingua giapponese. Il suono pronunciato nella versione originale del lun-

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ホ ル ス

ho ru su


ANIME/FANTASY/AVVENTURA

Scena iniziale, l’attacco dei lupi: l’inquadratura segue

il movimento rotatorio dell’ascia, creando l’illusione della profondità di campo.

gometraggio è horusu (con la “r” lievemente ammorbidita verso la “l”, e le due “u” articolate con suono brevissimo, quasi impercettibile); la sua corretta scrittura in Katakana è formata dai tre segni che, “occidentalmente”, traduciamo in ho-ru-su. Per le caratteristiche stesse del Katakana, in quel modo verrebbero scritti anche nomi simili a “Hols”, come “Hors” od “Horus”. Nel giapponese scritto, queste tre parole non potrebbero essere distinguibili. La possibilità di riconoscerle dalla pronuncia si scontra invece con un problema fonetico: i Giapponesi tendono ad articolare i termini stranieri seguendo i suoni della loro traslitterazione in Katakana. Senza un previo chiarimento da parte degli autori, pertanto, sarebbe stato (ed è tuttora)

virtualmente impossibile, per un traduttore, stabilire quale forma utilizzare per la scrittura in caratteri occidentali di quel suono horusu pronunciato “in giapponese” nel film. C’è allora chi, ipotizzando che con quel nome si volesse alludere a Horus, figlio di Iside e Osiride, ritiene che “Hols” sia frutto proprio di un’errata traslitterazione. Chi sostiene questa tesi fa notare la maggior logicità del titolo: “taiyou no ouji” significa “principe del sole”, definizione appropriata per designare appunto il figlio del dio egizio del Sole. Una simile interpretazione, che implicherebbe la volontaria – ma un po’ caotica – commistione di leggende provenienti da aree geografiche diverse (mitologia egizia, folklore popolare giapponese e nomi nordi-

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Cinema ANIME Scena del villaggio fantasma:

la “camera” esegue un movimento panoramico, con il primo piano e gli sfondi che scorrono in modo indipendente.

Scheda Tecnica Titolo originale: Taiyou no ouji, Horusu no daibouken 太陽の王子 ホルスの大冒険

Scenografia: Urata Mataharu

Data d’uscita: 21 luglio 1968

Assistenti regia: Man Takeda, Yoshikatsu Sasai

Regia: Isao Takahata Soggetto: Kazuo Fukazawa Direzione dell’animazione: Yasuo Otsuka Scene design: Hayao Miyazaki Animazioni: Hayao Miyazaki, Yasuji Mori, Yoichi Kotabe, Reiko Okuyama, Akemi Ota, Sadao

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Fotografia: Jiro Yoshimura

dall’opera: Chikisani no Taiyou di Kazuo Fukazawa

Durata: 82minuti

Profondità multipiano

Kikuchi, Masamu Kita

Montaggio: Yutaka Chikura

Fondali: Isamu Dota, Masahiro Ioka, Fumihiro Uchikawa Musica: Yoshio Mamiya Progetto: Seijiro Seki, Satoru Ainota, Toru Hara, Atsumu Saito Produttore delegato: Hiroshi Okawa Produzione: TOEI DOGA

ci), non è però mai stata confermata dai suddetti autori. La spiegazione più ragionevole è che dovendo, per le esigenze di marketing, trasporre in contesto nordeuropeo una leggenda giapponese (quindi né nordica né tanto meno egizia), si sia semplicemente deciso di usare nomi foneticamente similnordici: Hilda, Grunwald... e Hols, o meglio Hors. Patendo dal presupposto che il nome di partenza sia frutto di fantasia (come gli altri, del resto), la traslitterazione esatta avrebbe dunque dovuto essere Hors, perché quello è il suono che si sente pronunciare. Riportiamo di seguito, dal fansite Nausicaa.net (www.nausicaa.net), ciò che disse Otsuka a proposito dell’origine del nome (parole riportate dal signor Kanoh, dell’Istituto di Ricerca Takahata Isao e Miyazaki Hayao): “Attualmente non esistono documenti su come vennero scelti i nomi Hols, Hilda e Grunwald. Il presidente della Toei disse: Una storia Ainu non va bene per il mercato. Abbiamo già patito disastri economici con film sugli Ainu, come Kotan no Kuchibue. Cosa ne dite di cambiarla e ambientarla nel Nord Europa? Seguendo il suggerimento, modificammo Chikisani no Taiyou, con l’idea di sostituirvi usi e costumi dei Lapponi della Norvegia. Così, lo storyboard che preparai fu inizialmente ispirato agli Ainu, ma in seguito, dopo l’ingresso nel progetto di Takahata e Miyazaki, i personaggi furono ribattezzati. Avvenne quando tutti insieme lavorammo alla trasposizione della storia; ritenemmo allora di richiamo nordeuropeo nomi come Grunwald, Hilda ecc. Penso che Hols non fu ispirato dall’Horus egiziano, ma da nomi nordeuropei come Holhel, Holhes, od Holt.” n Massimo De Faveri

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ANIME/FANTASY/AVVENTURA

Intrepido ragazzino, unico sopravvissuto, insieme al padre, di un villaggio preso di mira dal malvagio stregone Grunwald. Anni più tardi, dopo la morte del padre, torna nella sua terra d’origine a combattere il mago.

Grunwald

Bieco e terribile mago, assetato di potere e privo di scrupoli. Attacca e distrugge le comunità sfruttandone i malumori e le divisioni interne. Hols riuscirà a sconfiggerlo proprio grazie alla ritrovata unità dei pescatori.

Hilda Viene trovata da Hols presso un villaggio disabitato, e successivamente accolta dalla comunità dei pescatori. È in realtà la sorella di Grunwald, inviata per uccidere proprio Hols. Nel finale si ribellerà al mago.

Pottom Il figlio del capovillaggio. Grande amico di Hols, lo difende al cospetto del padre quando il giovane viene accusato ti tramare contro la comunità. E sarà ancora lui ad aiutare il fabbro a temprare la Spada del Sole.

Flip Allegro bambino rimasto orfano del padre, ucciso dal luccio gigante. È lui il primo a incontrare Hols ferito, dopo che il giovane era sfuggito a un agguato tesogli da parte del mago Grunwald.

Drego

Perfido consigliere del capovillaggio. Intuisce la doppia natura di Hilda, e non esita a stringere un patto con la giovane per cacciare Hols dal villaggio. Ci riuscirà, manipolando i dissapori e le invidie della comunità.

Capovillaggio

Padre di Pottom e capo del villaggio dei pescatori. Come guida della comunità si dimostra poco autoritario e spesso inetto; si lascia aizzare dall’infido consigliere Drego e caccia Hols dal villaggio.

Lupo Argentato

Implacabile capo del branco di lupi che Grunwald utilizza per seminare terrore; attacca Hols ogniqualvolta se ne presenta l’occasione. Il film inizia proprio con un assalto da parte dei lupi.

Mauni Piccola e spensierata bambina alla quale Hilda è particolarmente affezionata. Proprio quando le perfide macchinazioni di Grunwald minacciano anche la vita della piccola, Hilda si ravvede.

Mamma di Flip Accoglie in casa sua Hols, e lo cura. Il marito cade vittima del luccio gigante in concomitanza dell’arrivo del giovane, e sarà proprio quest’ultimo a vendicarlo, uccidendo il terribile pesce, emissario di Grunwald.

Ganko Il fabbro del villaggio che, aiutato da Flip, porta a termine la tempra della Spada del Sole. È un uomo saggio che non esita di fronte al pericolo; è lui una delle figure guida della rivolta dei pescatori contro Grunwald.

Padre di Hols Anni addietro lasciò il suo villaggio natio portando Hols con sé, per sfuggire all’influenza nefasta di Grunwald. In punto di morte, racconta la sua storia al figlio, e lo invita a far ritorno nelle sue terre di origine.

Personaggi

Hols

Moog

Il forte e saggio gigante di pietra dalla cui spalla Hols estrae la Spada del Sole. All’inizio del film salva Hols dall’attacco dei lupi, e nel finale soccorre gli abitanti del villaggio affrontando il mammouth di ghiaccio.

Mammouth

Il gigantesco animale di ghiaccio che Grunwald cavalca nell’attacco ai pescatori. Con la sua poderosa mole semina terrore e distruzione nel villaggio, finché Moog non lo scaraventa in un baratro.

Koro L’orsacchiotto amico fedele di Hols. Accompagna il giovane in tutte le sue avventure, aiutandolo spesso negli scontri contro i lupi di Grunwald. Diventa anche la mascotte dei bambini del villaggio.

Chiro e Tooto Gli animaletti che accompagnano Hilda, e ne rappresentano la buona e la cattiva coscienza.

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Il Confronto

L

a versione italiana in Cinemascope non è più reperibile, essendo andato perso il negativo originale. Il titolare dei diritti non è stato in grado di fornire materiale alternativo, e la Cinehollywood ha potuto pubblicare solo un’edizione in 4:3 (unica versione italiana in DVD, con titolo La grande avventura del [piccolo]

principe Valiant), dal quadro purtroppo ridimensionato. L’integrità dell’opera ne risulta compromessa, con i fotogrammi ristretti di oltre il 50% e perdita totale dei dettagli fuori centro. Ciò penalizza in particolar modo le sequenze panoramiche e gli scorrimenti multipiano, ma, più in generale, ne risente l’intera visione.

I menù

Versione italiana

ANIME/FANTASY/AVVENTURA

Colore Codice area: tutte Formato video: PAL 4:3 Formato audio: Stereo 2.0 Audio: italiano Durata: 80 minuti Prezzo: 14,90 € Distribuzione: Cinehollywood acquistabile presso: www.cinehollywood.it

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Pin-Up ANIME

, a n e R , n o o i k M e Sato a k Ri

Higurashi No Naku Koro Ni

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Serie TV

Serie TV

ANIME

HIGURASHI NO NAKU KORO NI

(Higurashi no Naku Koro ni - C. Kon, 2006) di Gianluca F. “Uranium” Signorotto

H

inamizawa è un piccolo paese di campagna circondato da alte vette, verdi d’estate e innevate d’inverno. La sua popolazione, prevalentemente gente contadina, vive pacifica di ciò che la terra può offrire. Un incantevole e tranquillo luogo, caratterizzato da panorami ricchi di particolarità e da profumi capaci di riempire l’anima di allegria. Ispirata alla località rurale di Shirakawa nella prefettura di Gifu, Giappone (già dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità), Hinamizawa prende in prestito da questo borgo fermo nel tempo la ricca ambientazione naturale, le stesse strane case dal tipico tetto spiovente risalenti al XVIII secolo denominate gassho-zukuri (grazie alle quali il reale paesino rurale ha riscontrato una rinascita turistica circa trent’anni fa ed è oggi una delle mete più ambite dai turisti di tutto il mondo). Non solo: è anche un luogo eccellente per osservare uccelli e altri animali selvatici. Keiichi Maebara, il protagonista della vicenda, si è da poco trasferito ad Hinamizawa; frequenta le medie nella piccola scuola del paese, dove le classi non sono suddivise per età e gli studenti più grandi – fra cui Keiichi – spesso coadiuvano gli insegnanti nel loro compito di docenza, assistendo chi rimane indietro con il programma e sorvegliando i più piccoli. Keiichi è un ragazzo carismatico, curato nell’aspetto e abbastanza disinvolto da

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Serie TV: Higurashi No Naku Koro Ni


ANIME

riuscire a farsi subito nuove amicizie, legando in particolare con le sue compagne di classe Rena Ryűgű, Mion Sonozaki e le piccole Satoko Hôjô e Rika Furude. Si forma un gruppo affiatato, dedito nel doposcuola a spensierate attività come giochi di carte o di società, o escursioni fra i boschetti nei dintorni del paesino. A Hinamizawa Keiichi (ovvero Ke-Chan, come lo chiamano adesso le ragazze) trova insomma tutto ciò che un ragazzo potrebbe desiderare: libertà, divertimento, contatto con la natura e un “harem” di amiche. Presto però, nella cittadina, cominciano a trapelare notizie di fatti strani… Un giorno, al tramonto mentre si trova in compagnia di Rena nei pressi di una vecchia discarica in disuso, Keiichi incontra Jirô Tomitake, un fotografo freelance in cerca di qualche uccello selvatico da immortalare. Costui lo informa di un inquietante incidente avvenuto quattro anni prima durante i lavori di costruzione di una diga (poi interrotti): il ritrovamento di un cadavere smembrato. Fortemente scosso dal racconto, Keiichi inizia a documentari su questo e altri misteriosi fatti, sempre collegati al progetto della diga la cui costruzione era stata molto osteggiata dagli abitanti del luogo. L’indagine di Keiichi giunge a una svolta decisiva quando il ragazzo apprende che ogni anno, dal 1979 – l’anno degli “oscuri” eventi della diga –, si sono ripetuti un omicidio e la sparizione di una persona, mai più ritrovata, e che questi inspiegabili accadimenti hanno luogo sempre in concomitanza con il giorno del Watanagashi Festival, una festività annuale nella quale i cittadini di Hinamizawa fanno tributo alla divinità locale (Oyashiro-sama). Stando a una vecchia leggenda del posto, che narra di una maledizione, la persona che scompare verrebbe in realtà rapita dagli Oni, ossia dai Demoni locali. Siamo nel 1983... Keiichi sarà presto scaraventato nel mezzo dei misteriosi eventi che circondano il Hinamizawa e il suo Festival, e scoprirà che le sue quattro amiche non sono ciò che sembrano…

1.

2. 3.

Abitazione in antico stile “Gassho-Zukuri”, tipica della regione di Gifu, in Giappone, dove sorge Shirakawa, il paese a cui è ispirato il design di Hinamizawa. Keiichi e Rena ritratti in una scena della serie; sullo sfondo si nota una caratteristica casa Gassho-Zukuri. La scuola media di Hinamizawa, frequentata da Keiichi e dalle sue amiche.

Serie TV: Higurashi No Naku Koro Ni

Hinamizawa

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Serie TV ANIME

1. 2. 3. 4.

Rika e Satoko a scuola. Il gruppo al completo durante il Watanagashi Festival: Keiichi, Mion, Rena, Rika e Satoko. La Polizia sul luogo del ritrovamento di un corpo privo di vita! Chiacchiere nel Watanagashi Festival.

Scene

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Nonostante un “character design” (di Kyuuta Sakai) molto kawaii, con personaggi che alle volte appaiono superdeformati per enfatizzare le situazioni buffe, Higurashi no Naku Koro Ni (Quando Piansero Le Cicale, serie tv inedita in Italia) si distingue per essere una vicenda seria, complicata ed in grado di tenere incollati allo schermo gli occhi dello spettatore. Capace di momenti davvero inquietanti, questa serie è caratterizzata da colonne sonore azzeccate, da ambientazioni molto curate e ricche di particolari, e da scene ed inquadrature geniali, sia che si tratti di scorci di vita quotidiana che di momenti di tensione spasmodica. Riguardo lo stile kawaii, la scelta di usarlo potrebbe sembrare strana, e fuorviare il pubblico nei minuti iniziali, o, addirittura, scoraggiarlo dal proseguire nella visione, eppure è proprio uno dei punti forti della serie; i personaggi risultano gradevoli e attraggono l’attenzione dando un’idea di tenerezza ed ingenuità, ma, indifesi e scherzosi nei momenti “felici”, riescono di punto in bianco ad assumere delle espressività vocali e facciali davvero inquietanti, nei momenti folli, lasciando letteralmente spiazzato lo spettatore e aggiungendo ulteriore tensione a quella già contenuta nella vicenda. Per quanto concerne la scelta narrativa e il taglio di regia (Chiaki Kon), Higurashi no Naku Koro ni è una serie molto atipica: si svolge in quelli che io definirei “blocchi narrativi”, ossia mini capitoli formati da quattro/cinque episodi. Le risposte ai tanti interrogativi che emergono dalla trama vengono in parte fornite al termine dei singoli capitoli (che sotto questo aspetto possono ritenersi autoconclusivi), ma è poi il legame esistente fra i vari blocchi a offrire i pezzi mancanti per completare il puzzle. Per concludere, Higurashi no Naku Koro ni è un’opera ottimamente concepita, che sa far leva sulla psicologia dello spettatore in modo intelligente e inaspettato, quindi in grado di trasmettere tensione e interesse. La perfetta integrazione delle sequenze distensive (e a tratti divertenti) e di quelle tese – a volte perfino macabre –, fanno di questo anime una vera perla. Senza dubbio un “must” per tutti gli appassionati del genere. Ottime la sigla di testa “Higurashi no Naku Koro Ni” cantata da Eiko Shimamiya e quella di coda “Why, or why not” cantata da Hiroyuki Oshima e Rekka Katakiri. n G. F. Signorotto

Serie TV: Higurashi No Naku Koro Ni


ANIME Scheda Tecnica Titolo originale: Higurashi no Naku Koro ni ひぐらしのなく頃に

Script: Rika Nakase, Toshifumi Kawase

Montaggio: Masahiro Matsumura Design colori: Shinji Matsumoto

Animazioni chiave: Tratto da: una “NScriptar engine Akiko Nakano, Ayako Nozawa, Musiche: Kenji Kawai visual novel” della 7th Expansion Hidetoshi Namura, Inosuke Naitou, Le canzoni: Katsuya Yamamoto, Kenji Tojo, Prima trasmissione: Kyoko Sugiyama, Maki Murakami, “Higurashi no Naku Koro ni” 4 aprile 2006 Megumi Yamada, Miyako Tsuji, cantata da Eiko Shimamiya Ryo Kobayashi, Taeko Oda Durata: 26 episodi da 25 min. ca. musica di Tomoyuki Nakazawa arrangiamenti di Tomoyuki Dir. animazione: Takuo Noda Nakazawa, Kazuya Takase Regia generale: Chiaki Kon testi di Eiko Shimamiya Fondali: Regia episodi: Matsuo Asami “Why, or why not” Ken Arai, Yasuhiro Okumura, cantate da Rekka Katakiri e Mahiro Akiba, Nobuhiro Yano, Composizione: Toshifumi Kawase Tadashi Kudo, Yukiko Takahashi Hiroyuki Oshima musica e arrangiamenti di Character design: Kyuuta Sakai Dir. fotografia: Seiichi Morishita Hiroyuki Oshima

© 2006 Seventh Expansion/ Studio DEEN

Rena Ryogo Ragazza problematica e attratta in modo ossessivo da cose che lei sola definisce carine. Ha l’abitudine di recarsi in posti atipici, come la discarica, in cerca di “tesori”.

Satoko Hojo Sensibile bambina, l’allieva più giovane della scuola. Orfana dei genitori, morti in un incidente, abusata dagli zii, suoi tutori legali, troverà aiuto e comprensione in Keiichi.

Shion Sonozaki Gemella di Mion con una cotta per Keiichi, è tornata a Hinamizawa dopo un periodo trascorso in collegio. Spesso lei e Mion si scambiano i ruoli, confondendo tutti.

Miyo Takano Un’infermiera della clinica di Hinamizawa, appassionata della cultura e delle storie del luogo. In alcune circostanze si rivela molto fredda e misteriosa.

Keiichi Maebara Intelligente ma a volte paranoico, è il personaggio principale. Da poco trasferitosi a Hinamizawa, cerca di risolvere il mistero degli inquietanti omicidi che vi si susseguono.

Mion Sonozaki Forte e determinata, è l’allieva più anziana della scuola e capo del gruppo di Keiichi. Si scopre appartenere a una importante famiglia affiliata alla Yakuza.

Rika Furude Bambina dal particolare e divertente modo di parlare. Riverita dagli abitanti di Hinamizawa, svolge l’importante ruolo di “Miko” nel festival del Watanagashi.

Jiro Tomitake Giovane fotografo freelance appassionato di uccelli selvatici, frequenta Hinamizawa alla ricerca di soggetti interessanti da immortalare. Finirà vittima del misterioso assassino.

Kuraudo Oishi è il veterano investigatore della Polizia che sta indagando sui misteriosi avvenimenti di Hinamizawa, determinato a risolvere l’enigma prima di andare in pensione.

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Personaggi

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Ken il Guerriero


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I Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 2.5 AUTORE E TITOLARE DEI DIRITTI DELLA RIVISTA “TERRE DI CONFINE” è IL SITO WWW.TERREDICONFINE.EU LA RIVISTA E GLI ARTICOLI SINGOLI SONO LIBERAMENTE SCARICABILI E CONSULTABILI, MA OGNI LORO ESPOSIZIONE IN LUOGHI DIVERSI DA WWW.TERREDICONFINE.EU DEVE ESSERE COMUNICATA CONTATTANDO IL SITO STESSO, E DA QUESTO AUTORIZZATA. I RESTANTI TERMINI D’USO SONO SPECIFICATI NELLA SEGUENTE LICENZA, IN SUBORDINE A QUANTO QUI PREMESSO. La Licenza L’OPERA (COME SOTTO DEFINITA) È MESSA A DISPOSIZIONE SULLA BASE DEI TERMINI DELLA PRESENTE LICENZA “CREATIVE COMMONS PUBLIC LICENCE” (“CCPL” O “LICENZA”). L’OPERA È PROTETTA DAL DIRITTO D’AUTORE E/O DALLE ALTRE LEGGI APPLICABILI. OGNI UTILIZZAZIONE DELL’OPERA CHE NON SIA AUTORIZZATA AI SENSI DELLA PRESENTE LICENZA O DEL DIRITTO D’AUTORE È PROIBITA. CON IL SEMPLICE ESERCIZIO SULL’OPERA DI UNO QUALUNQUE DEI DIRITTI QUI DI SEGUITO ELENCATI, TU ACCETTI E TI OBBLIGHI A RISPETTARE INTEGRALMENTE I TERMINI DELLA PRESENTE LICENZA AI SENSI DEL PUNTO 8.e. IL LICENZIANTE CONCEDE A TE I DIRITTI QUI DI SEGUITO ELENCATI A CONDIZIONE CHE TU ACCETTI DI RISPETTARE I TERMINI E LE CONDIZIONI DI CUI ALLA PRESENTE LICENZA. 1. Definizioni. Ai fini e per gli effetti della presente licenza, si intende per a) “Collezione di Opere”, un’opera, come un numero di un periodico, un’antologia o un’enciclopedia, nella quale l’Opera nella sua interezza e forma originale, unitamente ad altri contributi costituenti loro stessi opere distinte ed autonome, sono raccolti in un’unità collettiva. Un’opera che costituisce Collezione di Opere non verrà considerata Opera Derivata (come sotto definita) ai fini della presente Licenza; b) “Opera Derivata”, un’opera basata sull’Opera ovvero sull’Opera insieme con altre opere preesistenti, come una traduzione, un arrangiamento musicale, un adattamento teatrale, narrativo, cinematografico, una registrazione di suoni, una riproduzione d’arte, un digesto, una sintesi, o ogni altra forma in cui l’Opera possa essere riproposta, trasformata o adattata. Nel caso in cui un’Opera tra quelle qui descritte costituisca già Collezione di Opere, essa non sarà considerata Opera Derivata ai fini della presente Licenza. Al fine di evitare dubbi è inteso che, quando l’Opera sia una composizione musicale o registrazione di suoni, la sincronizzazione dell’Opera in relazione con un’immagine in movimento (“synching”) sarà considerata Opera Derivata ai fini di questa Licenza; c) “Licenziante”, l’individuo o l’ente che offre l’Opera secondo i termini e le condizioni della presente Licenza; d) “Autore Originario”, il soggetto che ha creato l’Opera; e) “Opera”, l’opera dell’ingegno suscettibile di protezione in forza delle leggi sul diritto d’autore, la cui utilizzazione è offerta nel rispetto dei termini della presente Licenza; f) “Tu”/”Te”, l’individuo o l’ente che esercita i diritti derivanti dalla presente Licenza e che non abbia precedentemente violato i termini della presente Licenza relativi all’Opera, o che, nonostante una precedente violazione degli stessi, abbia ricevuto espressa autorizzazione dal Licenziante all’esercizio dei diritti derivanti dalla presente Licenza. 2. Libere utilizzazioni. La presente Licenza non intende in alcun modo ridurre, limitare o restringere alcun diritto di libera utilizzazione o l’operare della regola dell’esaurimento del diritto o altre limitazioni dei diritti esclusivi sull’Opera derivanti dalla legge sul diritto d’autore o da altre leggi applicabili.

LICENZA

3. Concessione della Licenza. Nel rispetto dei termini e delle condizioni contenute nella presente Licenza, il Licenziante concede a Te una licenza per tutto il mondo, gratuita, non esclusiva e perpetua (per la durata del diritto d’autore applicabile) che autorizza ad esercitare i diritti sull’Opera qui di seguito elencati: a) riproduzione dell’Opera, incorporazione dell’Opera in una o più Collezioni di Opere e riproduzione dell’Opera come incorporata nelle Collezioni di Opere; b) distribuzione di copie dell’Opera o di supporti fonografici su cui l’Opera è registrata, comunicazione al pubblico, rappresentazione, esecuzione, recitazione o esposizione in pubblico, ivi inclusa la trasmissione audio digitale dell’Opera, e ciò anche quando l’Opera sia incorporata in Collezioni di Opere; I diritti sopra descritti potranno essere esercitati con ogni mezzo di comunicazione e in tutti i formati. Tra i diritti di cui sopra si intende compreso il diritto di apportare all’Opera le modifiche che si rendessero tecnicamente necessarie per l’esercizio di detti diritti tramite altri mezzi di comunicazione o su altri formati, ma a parte questo non hai diritto di realizzare Opere Derivate. Tutti i diritti non espressamente concessi dal Licenziante rimangono riservati, ivi inclusi quelli di cui ai punti 4(d) e (e). 4. Restrizioni. La Licenza concessa in conformità al precedente punto 3 è espressamente assoggettata a, e limitata da, le seguenti restrizioni a) Tu puoi distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire, recitare o esporre in pubblico l’Opera, anche in forma digitale, solo assicurando che i termini di cui alla presente Licenza siano rispettati e, insieme ad ogni copia dell’Opera (o supporto fonografico su cui è registrata l’Opera) che distribuisci, comunichi al pubblico o rappresenti, esegui, reciti o esponi in pubblico, anche in forma digitale, devi includere una copia della presente Licenza o il suo Uniform Resource Identifier. Non puoi proporre o imporre alcuna condizione relativa all’Opera che alteri o restringa i termini della presente Licenza o l’esercizio da parte del beneficiario dei diritti qui concessi. Non puoi concedere l’Opera in sublicenza. Devi mantenere intatte tutte le informative che si riferiscono alla presente Licenza ed all’esclusione delle garanzie. Non puoi distribuire, comunicare al pubblico, rappresentare, eseguire, recitare o esporre in pubblico l’Opera, neanche in forma digitale, usando misure tecnologiche miranti a controllare l’accesso all’Opera ovvero l’uso dell’Opera, in maniera incompatibile con i termini della presente Licenza. Quanto sopra si applica all’Opera anche quando questa faccia parte di una Collezione di Opere, anche se ciò non comporta che la Collezione di Opere di per sé ed indipendentemente dall’Opera stessa debba essere soggetta ai termini ed alle condizioni della presente Licenza. Qualora Tu crei una Collezione di Opere, su richiesta di qualsiasi Licenziante, devi rimuovere dalla Collezione di Opere stessa, ove materialmente possibile, ogni riferimento in accordo con quanto previsto dalla clausola 4.c, come da richiesta. b) Tu non puoi esercitare alcuno dei diritti a Te concessi al precedente punto 3 in una maniera tale che sia prevalentemente intesa o diretta al perseguimento di un vantaggio commerciale o di un compenso monetario privato. Lo scambio dell’Opera con altre opere protette dal diritto d’autore, per mezzo della condivisione di file digitali (c.d. filesharing) o altrimenti, non è considerato inteso o diretto a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato, a patto che non ci sia alcun pagamento di alcun compenso monetario in connessione allo scambio di opere coperte da diritto d’autore. c) Qualora Tu distribuisca, comunichi al pubblico, rappresenti, esegua, reciti o esponga in pubblico, anche in forma digitale, l’Opera, devi mantenere intatte tutte le informative sul diritto d’autore sull’Opera. Devi riconoscere una menzione adeguata rispetto al mezzo di comunicazione o supporto che utilizzi: (i) all’Autore Originale (citando il suo nome o lo pseudonimo, se del caso), ove fornito; e/o (ii) alle terze parti designate, se l’Autore Originale e/o il Licenziante hanno designato una o più terze parti (ad esempio, una istituzione finanziatrice, un ente editoriale) per l’attribuzione nell’informativa sul diritto d’autore del Licenziante o nei termini di servizio o con altri mezzi ragionevoli; il titolo dell’Opera, ove fornito; nella misura in cui sia ragionevolmente possibile, l’Uniform Resource Identifier, che il

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LICENZA Licenziante specifichi dover essere associato con l’Opera, salvo che tale URI non faccia alcun riferimento alla informazione di protezione di diritto d’autore o non dia informazioni sulla licenza dell’Opera. Tale menzione deve essere realizzata in qualsiasi maniera ragionevole possibile; in ogni caso, in ipotesi di Collezione di Opere, tale menzione deve quantomeno essere posta nel medesimo punto dove viene indicato il nome di altri autori di rilevanza paragonabile e con lo stesso risalto concesso alla menzione di altri autori di rilevanza paragonabile. d) Al fine di evitare dubbi è inteso che, se l’Opera sia di tipo musicale I. Compensi per la comunicazione al pubblico o la rappresentazione o esecuzione di opere incluse in repertori. Il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE), per la comunicazione al pubblico o la rappresentazione o esecuzione, anche in forma digitale (ad es. tramite webcast) dell’Opera, se tale utilizzazione sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. II. Compensi per versioni cover. Il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE), per ogni disco che Tu crei e distribuisci a partire dall’Opera (versione cover), nel caso in cui la Tua distribuzione di detta versione cover sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. e) Compensi per la comunicazione al pubblico dell’Opera mediante fonogrammi. Al fine di evitare dubbi, è inteso che se l’Opera è una registrazione di suoni, il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere compensi, personalmente o per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. IMAIE), per la comunicazione al pubblico dell’Opera, anche in forma digitale, nel caso in cui la Tua comunicazione al pubblico sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. f) Altri compensi previsti dalla legge italiana. Al fine di evitare dubbi, è inteso che il Licenziante si riserva il diritto esclusivo di riscuotere i compensi a lui attribuiti dalla legge italiana sul diritto d’autore (ad es. per l’inserimento dell’Opera in un’antologia ad uso scolastico ex art. 70 l. 633/1941), personalmente o per tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE, IMAIE), se l’utilizzazione dell’Opera sia prevalentemente intesa o diretta a perseguire un vantaggio commerciale o un compenso monetario privato. Al Licenziante spettano in ogni caso i compensi irrinunciabili a lui attribuiti dalla medesima legge (ad es. l’equo compenso spettante all’autore di opere musicali, cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento nel caso di noleggio ai sensi dell’art. 18-bis l. 633/1941). 5. Dichiarazioni, Garanzie ed Esonero da responsabilità. SALVO CHE SIA ESPRESSAMENTE CONVENUTO ALTRIMENTI PER ISCRITTO FRA LE PARTI, IL LICENZIANTE OFFRE L’OPERA IN LICENZA “COSI’ COM’E’” E NON FORNISCE ALCUNA DICHIARAZIONE O GARANZIA DI QUALSIASI TIPO CON RIGUARDO ALL’OPERA, SIA ESSA ESPRESSA OD IMPLICITA, DI FONTE LEGALE O DI ALTRO TIPO, ESSENDO QUINDI ESCLUSE, FRA LE ALTRE, LE GARANZIE RELATIVE AL TITOLO, ALLA COMMERCIABILITÀ, ALL’IDONEITÀ PER UN FINE SPECIFICO E ALLA NON VIOLAZIONE DI DIRITTI DI TERZI O ALLA MANCANZA DI DIFETTI LATENTI O DI ALTRO TIPO, ALL’ESATTEZZA OD ALLA PRESENZA DI ERRORI, SIANO ESSI ACCERTABILI O MENO. ALCUNE GIURISDIZIONI NON CONSENTONO L’ESCLUSIONE DI GARANZIE IMPLICITE E QUINDI TALE ESCLUSIONE PUÒ NON APPLICARSI A TE. 6. Limitazione di Responsabilità. SALVI I LIMITI STABILITI DALLA LEGGE APPLICABILE, IL LICENZIANTE NON SARÀ IN ALCUN CASO RESPONSABILE NEI TUOI CONFRONTI A QUALUNQUE TITOLO PER ALCUN TIPO DI DANNO, SIA ESSO SPECIALE, INCIDENTALE, CONSEQUENZIALE, PUNITIVO OD ESEMPLARE, DERIVANTE DALLA PRESENTE LICENZA O DALL’USO DELL’OPERA, ANCHE NEL CASO IN CUI IL LICENZIANTE SIA STATO EDOTTO SULLA POSSIBILITÀ DI TALI DANNI. NESSUNA CLAUSOLA DI QUESTA LICENZA ESCLUDE O LIMITA LA RESPONSABILITA’ NEL CASO IN CUI QUESTA DIPENDA DA DOLO O COLPA GRAVE. 7. Risoluzione a) La presente Licenza si intenderà risolta di diritto e i diritti con essa concessi ces-

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seranno automaticamente, senza necessità di alcuna comunicazione in tal senso da parte del Licenziante, in caso di qualsivoglia inadempimento dei termini della presente Licenza da parte Tua, ed in particolare delle disposizioni di cui ai punti 4.a, 4.b e 4.c, essendo la presente Licenza condizionata risolutivamente al verificarsi di tali inadempimenti. In ogni caso, la risoluzione della presente Licenza non pregiudicherà i diritti acquistati da individui o enti che abbiano acquistato da Te Collezioni di Opere, ai sensi della presente Licenza, a condizione che tali individui o enti continuino a rispettare integralmente le licenze di cui sono parte. Le sezioni 1, 2, 5, 6, 7 e 8 rimangono valide in presenza di qualsiasi risoluzione della presente Licenza. b) Sempre che vengano rispettati i termini e le condizioni di cui sopra, la presente Licenza è perpetua (e concessa per tutta la durata del diritto d’autore sull’Opera applicabile). Nonostante ciò, il Licenziante si riserva il diritto di rilasciare l’Opera sulla base dei termini di una differente licenza o di cessare la distribuzione dell’Opera in qualsiasi momento; fermo restando che, in ogni caso, tali decisioni non comporteranno recesso dalla presente Licenza (o da qualsiasi altra licenza che sia stata concessa, o che sia richiesto che venga concessa, ai termini della presente Licenza), e la presente Licenza continuerà ad avere piena efficacia, salvo che vi sia risoluzione come sopra indicato. 8. Varie. a) Ogni volta che Tu distribuisci, o rappresenti, esegui o reciti pubblicamente in forma digitale l’Opera o una Collezione di Opere, il Licenziante offre al destinatario una licenza per l’Opera nei medesimi termini e condizioni che a Te sono stati concessi dalla presente Licenza. b) L’invalidità o l’inefficacia, secondo la legge applicabile, di una o più fra le disposizioni della presente Licenza, non comporterà l’invalidità o l’inefficacia dei restanti termini e, senza bisogno di ulteriori azioni delle parti, le disposizioni invalide o inefficaci saranno da intendersi rettificate nei limiti della misura che sia indispensabile per renderle valide ed efficaci. c) In nessun caso i termini e le disposizioni di cui alla presente Licenza possono essere considerati rinunciati, né alcuna violazione può essere considerata consentita, salvo che tale rinuncia o consenso risultino per iscritto da una dichiarazione firmata dalla parte contro cui operi tale rinuncia o consenso. d) La presente Licenza costituisce l’intero accordo tra le parti relativamente all’Opera qui data in licenza. Non esistono altre intese, accordi o dichiarazioni relative all’Opera che non siano quelle qui specificate. Il Licenziante non sarà vincolato ad alcuna altra disposizione addizionale che possa apparire in alcuna comunicazione da Te proveniente. La presente Licenza non può essere modificata senza il mutuo consenso scritto del Licenziante e Tuo. e) Clausola iCommons. Questa Licenza trova applicazione nel caso in cui l’Opera sia utilizzata in Italia. Ove questo sia il caso, si applica anche il diritto d’autore italiano. Negli altri casi le parti si obbligano a rispettare i termini dell’attuale Licenza Creative Commons generica che corrisponde a questa Licenza Creative Commons iCommons. Creative Commons non è parte della presente Licenza e non dà alcuna garanzia connessa all’Opera. Creative Commons non è responsabile nei Tuoi confronti o nei confronti di altre parti ad alcun titolo per alcun danno, incluso, senza limitazioni, qualsiasi danno generale. speciale, incidentale o consequenziale che sorga in connessione alla presente Licenza. Nonostante quanto previsto nelle due precedenti frasi, qualora Creative Commons espressamente identificasse se stesso quale Licenziante nei termini di cui al presente accordo, avrà tutti i diritti e tutti gli obblighi del Licenziante. Salvo che per il solo scopo di indicare al pubblico che l’Opera è data in licenza secondo i termini della CCPL, nessuna parte potrà utilizzare il marchio “Creative Commons” o qualsiasi altro marchio correlato, o il logo di Creative Commons, senza il preventivo consenso scritto di Creative Commons. Ogni uso consentito sarà realizzato con l’osservanza delle linee guida per l’uso del marchio Creative Commons, in forza in quel momento, come di volta in volta pubblicate sul sito Internet di Creative Commons o altrimenti messe a disposizione a richiesta.

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Anteprima REDAZIONE

N.7 - MARZO/APRILE 2007

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Anteprima

S

c e p

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NUMERO

TERRE DI CONFINE

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www.terrediconfine.eu Anteprima numero 7

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- gennaio 2007

TERRE di Confine

Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 http://creativecommons.org/ - http://www.creativecommons.it/

Lei è libero:

• di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest’opera, previa comunicazione a www.terrediconfine.eu

Alle seguenti condizioni: • Attribuzione. Deve attribuire la paternità dell’opera a Terre di Confine, e comunicarne l’uso come sopra accennato. • Non commerciale. Non può usare quest’opera per fini commerciali. • Non opere derivate. Non può alterare o trasformare quest’opera, né usarla per crearne un’altra. • Ogni volta che usa o distribuisce quest’opera, deve farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza. • In ogni caso, può concordare col titolare dei diritti d’autore Terre di Confine utilizzi di quest’opera non consentiti da questa licenza. Le utilizzazioni consentite dalla legge sul diritto d’autore e gli altri diritti non sono in alcun modo limitati da quanto sopra. http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/deed.it Questo è un riassunto in linguaggio accessibile a tutti del Codice Legale (la licenza integrale, pagine 259-260 [Tdc n.6] - ref: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/legalcode). Limitazione di responsabilità Il Commons Deed non è una licenza. È semplicemente un utile riferimento per capire il Codice Legale (ovvero, la licenza completa), di cui rappresenta un riassunto leggibile da chiunque di alcuni dei suoi concetti chiave. Lo si consideri come un’interfaccia amichevole verso il Codice Legale riportato alle pagine 245-246. Questo Deed in sé non ha valore legale e il suo testo non compare nella licenza vera e propria. L’associazione Creative Commons non è uno studio legale e non fornisce servizi di consulenza legale. La distribuzione, la pubblicazione o il collegamento tramite link a questo Commons Deed non instaura un rapporto avvocato-cliente.


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