Anno 1 - Numero 1-2

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Sulle

Anno 1 - Numero 1 - 2 Settembre - Ottobre 2012 Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli

ote dello Spirito Area Carismatica 1. Cantori alla presenza del re 2. Cantare la penitenza

Area Liturgico - Musicale 1. 2. 3. 4. 5.

Cantare e suonare nella liturgia Il canto che riposa nel fondo delle cose Le forme musicali del canto liturgico Criteri per la scelta dei canti Il Papa e la musica

Area Tecnica 1. 2. 3.

La voce infantile Ecco degli utili consigli per chi lavora o ha problemi con la voce Impariamo a suonare un canto 389 Io credo in te Gesù

Gli strumenti musicali nella Liturgia 1. Liturgia e chitarra parliamone 2. L’uso liturgico della chitarra 3. Strumenti musicali per la liturgia

Animazione Domenicale 1. Canti per il Tempo Liturgico 2. Al Servizio della Parola: Salmodie

Inserto Speciale Manuale di improvvisazione per chi suona la chitarra ad orecchio

EDITORIALE «La lode e l’adorazione, da sole non bastano!» La manifestazione dello Spirito di Dio non dipende solo dalla qualità della lode. Dio richiede completezza nella vita del cristiano e nella vita della Chiesa. La Bibbia dice che l’obbedienza vale più del sacrificio (I Samuele 15,22). Qualsiasi sacrifico, anche il sacrificio della lode (Ebrei 13,15). Prima ancora di offrire sacrifici di lode, bisogna essere consacrati (II Cronache 29,31). Un cristiano che sa lodare Dio, ma non sa essergli obbediente, fedele, non sa vivere una vita integra quale testimonianza dell’essere suoi figli, non è un cristiano completo. Una chiesa con un buon gruppo di lode, con dei membri ben disposti alla lode, ma priva di tutto il resto, non risponde al modello biblico! Dio desidera che i Suoi figli e la sua chiesa siano completi. La lode da sola non basta per manifestare la sua gloria


AREA CARISMATICA

Sulle note dello spirito

1.

CANTORI ALLA PRESENZA DEL RE

di Fausto Nicoli e Alberto Civitan (già responsabili del SNMC)

La “visione” classica alla quale si ispirano i ministeri del canto nel Rinnovamento nello Spirito è quella del capitolo 25 del Primo Libro delle Cronache, nel quale si parla del culto all’interno della “Tenda di Davide”, della costituzione di un ministero numeroso e profetico, attraverso il quale si manifesta a Israele la gloria di Dio nella nube. Ma per la dimensione locale del gruppo ci può essere più d’aiuto il brano di 1 Sam. 16, 14-23. Nel brano citatosi racconta che il re Saul veniva spesso oppresso da uno spirito immondo, allora si cercò per lui qualcuno che suonasse la cetra perché potesse “calmarlo”. Quindi venne convocato il giovane Davide, “abile suonatore di cetra”, per stare alla presenza del re. In questo passo, principalmente al versetto 18, possiamo riscontrare alcune caratteristiche importanti per svolgere il servizio della musica e del canto: “ egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio nelle parole, di bell’aspetto e il Signore è con lui”. Le qualità dell’animatore della musica e del canto “Egli sa suonare”. Il concetto dell’abilità nel suonare viene ripetutamente espresso anche nei versetti precedenti. È ovvio che per essere un cantore ci deve essere di base un talento musicale, anche minimo (non esclusivamente saper suonare la chitarra). Ciò vuol dire anche che bisogna imparare, “andare a scuola”, per poter dare al Signore il meglio di noi. “Forte e coraggioso”. Si parla di un cantore rafforzato dallo Spirito, non timido, ma coraggioso, che mette in gioco i suoi talenti e la sua vita per il Signore (pensiamo alla sfida dell’evangelizzazione). “abile nelle armi”. Si tratta, ovviamente delle armi spirituali di cui parla Paolo al capitolo 6 della Lettera agli Efesini. Un cantore deve nutrirsi di preghiera personale di vita sacramentale. “saggio di parole”. Nella Lettera di Giacomo leggiamo che dalla stessa bocca non può uscire benedizione e maledizione (cf Gc. 3,9-12). “Di bell’aspetto”, ovviamente non parliamo di bellezza fisica, ma di una gioia e un entusiasmo che devono trasparire anche esteriormente. Niente cantori musoni, brontoloni, seriosi. Sorrisi e sguardi limpidi. “Il Signore è con lui”. Questo punto riguarda la comunità. La comunità deve avvertire che il Signore opera attraverso il servizio del canto con un carisma speciale e chi canta deve camminare con il Signore. Anche per il servizio del Canto il termine discernimento ultimo è la qualità della vita comunitaria. I cantori devono vivere appieno la dimensione del gruppo, devono essere membra vive della comunità, evitare isolamenti e mancanze di condivisione, o peggio ancora cammini paralleli. Ciò vale specialmente per i ministeri più grandi, nei quali facilmente si annida la tentazione dell’autosufficienza o dell’ambizione (come ad esempio emulare il “modello Rimini”). Animare secondo lo Spirito

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Il servizio del Canto deve svolgersi sempre in comunione e in sottomissione al Pastorale di Servizio. Tale annotazione ha un risvolto importante anche per la preghiera comunitaria carismatica. Un animatore deve conoscere i suoi fratelli, deve sapersi accorgere se un canto facilita la preghiera o è troppo difficile per l’esecuzione assembleare, perché non cada nell’errore di animare solo se stesso.


Un canto può servire a sottolineare la Parola proclamata, può anticipare profeticamente una Parola che poi verrà proclamata, può essere esso stesso Parola proclamata, può essere la parola di risposta dell’assemblea alla Parola proclamata. Per riuscire in questo non ci sono formule, ma bisogna semplicemente vivere nel totale ascolto dello Spirito la preghiera comunitaria: cosa vuole lo Spirito in questo incontro? Il servizio del Canto non può trincerarsi dietro il libretto dei canti, le prove, le tonalità di esecuzione, i problemi di amplificazione. Questi sono strumenti che aiutano la lode, non sono la lode. I membri del servizio del Canto devono essere uomini di lode, non è possibile pensare che un cantore non sia anche un animatore della preghiera, capace di lodare il Signore a voce alta, di esultare nel giubilo, nel canto in lingue, nelalgestualità. Come nell’Antico Testamento, quando i cantori catavano all’unisono “Lodate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia” (Salmo 136,1) si manifestava la gloria di Dio in maniera visibile, anche adesso quando il nostro ministero è svolto con unzione si manifesta la gloria di Dio, ma in maniera invisibile: è lo Spirito Santo che prende possesso dell’assemblea, che inizia a trasformare i cuori, che fa “discendere” la profezia. Se il canto non trasforma la comunità orante, non rende visibile la Pentecoste permanente, interroghiamoci se stiamo svolgendo bene il nostro ministero, se la lode abita realmente nei nostri cuori; forse il canto non ha trasformato ancora nemmeno noi.

Sulle note dello spirito

AREA CARISMATICA

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AREA CARISMATICA

Sulle note dello spirito

2.

CANTARE LA PENITENZA

Il cap. 9 di Giovanni viene proclamato (eventualmente da lettori diversi) per brani distinti, come indicato sotto; dopo ogni brano, l’assemblea interviene con il ritornello indicato (meglio se cantato; naturalmente, si può scegliere qualche altro ritornello di tenore analogo). Il rit. A può fungere anche da acclamazione iniziale; volendo, il canto completo da cui è tratto potrà essere utilizzato nel rendimento di grazie; il rit. B potrebbe essere utilizzato poi anche nella preghiera litanica dell’esame di coscienza. Rit. A: Il Signore è la luce che vince la notte: gloria, gloria, cantiamo al Signore! Rit. B: Perdonaci, Signore: abbiamo peccato vv. 1-5 -> rito A VV. 6-12 -> rito B VV. 12-17 -> rito A Vv. 18-23 -> rito B vV. 24-38 -> rito A vV. 38-41 -> rito B

“Parla il Signore, Dio degli dei. .. Viene il nostro Dio e non sta in silenzio ... Convoca il cielo dall’alto e la terra al giudizio del suo popolo ... Ascolta, popolo mio, voglio parlare, testimonierò contro di te, Israele ... Ti rimprovero, ti pongo innanzi i tuoi peccati” (Sal 50 [49],1.3.4.7.21) Israele è convocato alla presenza del Signore, confrontato con il dono dell’alleanza, per riconoscere la propria infedeltà, e implorare misericordia: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia, nella tua grande bontà cancella il mio peccato ... Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 51 [50],3.5). La Parola è accusa e consolazione, rimprovero e buona notizia, spada a doppio taglio, che mette a nudo la vita dell’uomo rivelandogli, insieme, la misericordia del Padre.

La liturgia della Parola, nelle celebrazioni comunitarie, sarà strutturata normalmente secondo lo schema conosciuto: due (o tre) letture, di cui l’ultima sarà di solito il vangelo; il salmo, o un altro canto adatto, segue la prima lettura. Nulla vieta, tuttavia, che l’ascolto della Parola possa essere articolato diversamente: p. es., attraverso un ascolto più ampio della Scrittura (in uno stile simile a quello della veglia pasquale), oppure, all’inverso, privilegiando un testo solo, e facendolo diventare il cuore della celebrazione. Nel riquadro di questa pagina diamo un esempio di come si potrebbe strutturare l’ascolto della parola, in una liturgia penitenziale, attraverso la proclamazione del cap. 9 del vangelo di Giovanni, intercalata da alcuni ritornelli. È solo un esempio. Quel che non va dimenticato è che la proclamazione-ascolto della Parola è gesto rituale, e non soltanto informazione intellettuale; l’evento della Parola, proclamata e accolta nella fede, è già parte del cammino di conversione. Le condizioni nelle quali si pone questo rito non sono, quindi, prive di rilievo. La liturgia della Parola comprende anche l’omelia, che deve condurre a un adeguato esame di coscienza. La Parola non parla del peccato come di una realtà generica; essa raggiunge il suo scopo quando l’uomo la percepisce come rivolta a sé, alla sua situazione: “Tu sei quell’uomo!”: il grido d’accusa di Natan contro Davide è il grido della Parola che smaschera il peccatore, per condurlo al pentimento: “Ho peccato contro il Signore!”; solo allora può venire il perdono: li Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai” (cf. 2 Sam 12,7.13). Riconciliati con Dio, cantiamo un canto nuovo

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Lo schema celebrativo del RP comporta poi la confessione dei peccati: questa avviene in un modo dapprima comunitario e poi, se lo si prevede, con l’accusa e l’assoluzione individuale. Nell’uno e nell’altro caso, merita di essere sottolineato il momento della confessione comunitaria. Uno degli intenti della riforma liturgica della penitenza, infatti, era quello di dare rilievo alla dimensione comunitaria del cammino penitenziale, che la prassi comune aveva ridotto a un itinerario molto individualistico.


E in questa linea, del resto, che si propone la stessa celebrazione individuale all’interno di un contesto comunitario di celebrazione. “A livello celebrativo molti possono essere i gesti significativi che esprimono sia la solidarietà nel peccato che la riconciliazione. Ad esempio ci si può tenere per mano al momento .del .. Confesso ... ,. per sottolineare la corresponsabilità nel male; così ci si può scambiare il gesto della pace dopo la confessione individuale come segno di riconciliazione. Inoltre si potrebbe fare una colletta in cui ognuno può condividere le sue risorse con i poveri ... Per i peccati cosiddetti sociali, nulla vieta che ci sia anche una riparazione comune... “. Tra i modi di realizzare il rito della confessione comune, il RP offre la possibilità di scelta fra una serie di invocazioni litaniche; è da sottolineare l’opportunità di realizzarle, in parte (p. es. il rit.) o anche totalmente, in canto, dato che questo dà alla forma litanica una forza particolare.Il Kyrie litanico proposto in Celebrare cantando 7, pp. 16-17, può trovare qui un’ottima collocazione. Questo momento della celebrazione è concluso con il Padre nostro: momento fondamentale, perché dà la giusta direzione a ogni celebrazione penitenziale, che è sempre orientata alla proclamazione dell’amore del Padre, che nello Spirito di Cristo ci riconcilia con Sé e ci accoglie nel suo abbraccio di misericordia. Come sempre, ma in modo particolare in questo contesto, bisogna evitare di fare, della preghiera del Padre nostro, una recitazione meccanica, piatta e sbrigativa: ancora una volta, non è una formuletta qualsiasi; anche qui, il canto può essere molto utile. Il canto, che nella celebrazione penitenziale trova diversi spazi (dall’inizio, dove aiuta la comunità nel suo con-venire insieme in atteggiamento penitenziale, alla liturgia della Parola, al momento della confessione comunitaria), ha un ruolo essenziale nella parte finale del rito, che prevede la preghiera di lode e ringraziamento: è la confessio laudis (confessione/proclamazione della lode), strettamente connessa con la confessione dei peccati; alla vita nuova, inaugurata dal perdono di Dio, corrisponderà il canto nuovo, delle labbra e della vita; alla gioia di Dio per il peccatore che si converte (cf. Le 15,7), corrisponde quella dell’uomo, espressa nel canto. Al canto, come si è accennato, possono aggiungersi alcuni segni che esprimano la dimensione comunitaria del1a rinnovata esperienza del perdono: segni che, almeno in qualche occasione più significativa, potrebbero estendersi al di là della celebrazione propriamente detta, p. es. invitando l’assemblea a mangiare e bere qualcosa insieme: la condivisione della mensa è, per Gesù (cf. Mc 2,15-17; Le 15,1-2), uno dei modi privilegiati di esprimere la gioia del perdono offerto e ricevuto.

Sulle note dello spirito

AREA CARISMATICA

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AREA LITURGICO - MUSICALE

Sulle note dello spirito

1.

CANTARE E SUONARE NELLA LITURGIA

di Don Pierangelo Ruaro ( Lucca 11 Novembre 2006)

1.

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“Un passaggio dello Spirito Santo”

Immaginando di avere davanti anche dei giovani, e dovendo parlare del valore del canto e della musica nella liturgia, ho ritenuto necessario premettere alla riflessione specifica il racconto sintetico del cambiamento av­venuto al momento del Concilio: prima di esso si celebrava in un modo, dopo in un altro. Il Concilio è stato definito e ribadito da tutti i papi di questi ultimi 50 anni, “un passaggio dello spirito santo nella vita della chiesa”. Per questo diventa un dovere per chi vuol vivere la sua passione e/o la sua compe­tenza per la musica come servizio alla comunità cristiana, in particolare nel momento culminante della sua vita che è la liturgia, conoscere e mettersi in atteggiamento di comunione con questo evento. Il Concilio si è trovato di fronte a tre problemi ritenuti ormai insostenibili:  Il primo riguarda la distanza progressiva tra l’assemblea e coloro che sono incaricati delle azioni ri­tuali. Le chiese erano architettonicamente divise in due parti: da una parte il luogo dove si svolgono i riti, dall’altra (separata da balaustre) la zona dei fedeli che assistono alla celebrazione: nessuno deve passare da una parte all’altra. Tutto si compie nel presbiterio (anche il coro ne è parte, tanto che i cantori – non c’erano donne ma solo voci bianche – vestono con il camice, come facenti parte del clero).  Il secondo problema è il fatto che il popolo comprende sempre meno il latino.


Si opera una rottura tra le parole dette o cantate e il loro significato.  Dato che l’assemblea non prende più parte ai riti e quindi anche ai canti liturgici, questi ultimi diventano sempre più affare dei cantori e dei musicisti. La conseguenza è che,  da una parte la musica nasconde i riti (per esempio il Sanctus e il Benedictus coprivano tutta la preghiera eucaristica recitata a voce bassa);  dall’altra, i canti dipendono sempre più dalla competenza dei cantori, si fanno sempre più complicati per cui l’assemblea ne rimane esclusa.  Per trovare il canto del popolo, bisogna andare a cercarlo nei pellegrinaggi, nelle devozioni, i rosari, le viae crucis etc. Per riparare queste fratture il Concilio ha lavorato attorno a tre punti fondamentali:  riportare l’assemblea a soggetto primario della celebrazione;  per favorire una partecipazione consapevole dell’assemblea la Parola di Dio viene annunciata nella lingua del popolo e spiegata nell’omelia;  riscoprire, come era ai primi secoli del cristianesimo il canto come forma privilegiata della partecipazione del popolo ai riti. 2.

I Cristiani: la gente del canto

È Perché la Chiesa tiene in così grande considerazione il canto? La risposta più semplice potrebbe essere quella che da sempre i cristiani si sono distinti per il fatto di cantare. Basta pensare che la testimonianza storica (laica, potremmo dire) più antica in cui si parla dei cristiani, risale al tempo di Plinio il Giovane, che ha scritto all’imperatore Traiano per chiedergli come doveva comportarsi con i cristiani. Egli ha presentato i cristiani in questo modo: cono coloro che ‘si riuniscono in un giorno fissa­to per cantare un inno a Cristo chiamandolo come Dio”. Per lui i cristiani erano gente che canta a Cristo, la gente del canto. È una delle più belle definizioni dei cristiani, fatta proprio da uno che li vedeva dal di fuori ma che aveva intuito che cosa li caratterizzava maggiormente. Il cantare però non nasce con i cristiani; cantare è un atto profondamente umano. E la ragione prima del cantare dei cristiani non è religiosa ma antropologica. È importante cantare per i cristiani perché è importan­te cantare per l’uomo. Sono convinto che oggi non ci sia una coscienza sufficientemente radicata dell’importanza di questo modo di comunicare. Anche perché è un’opinione abbastanza diffusa il fatto che il linguaggio del canto e della musi­ca sia per ‘iniziati’, riservato alle persone esperte, e quindi non alla portata di tutti. Sono tante, infatti, le persone, che possiedono un debole controllo vocale per cui faticano a trovare l’intona­zione quando si canta insieme. In realtà il canto (o la musica praticata con la voce, senza il supporto della parola) appartiene all’uomo come prima forma di comunicazione.

Sulle note dello spirito

AREA LITURGICO - MUSICALE

Contrariamente a quanto si pensa (dato che ci viene più facile parlare che cantare), l’uomo ha utilizzato prima il canto e solo in seguito la parola. Quest’ultima, infatti, è una forma di comunicazione già complessa in quanto unisce al linguaggio vocale la razionalità: c’è un dire e un contenuto organizzato da dire. Non a caso per riuscire a parlare un bambino ha bisogno di tempo, prima per imparare ad articolare e a pronunciare i vari suoni e poi per sistemarli secondo dei criteri logici e sintattici. Il canto, invece, è una forma di comuni­cazione che potremmo definire ‘allo stato puro’, al punto che, appena nato, il bambino si esprime in una delle forme più semplici di canto: il grido. Il canto è un segno rivelativo di una particolare situazione in cui si trova una persona. Si canta per co­municare. E l’uomo ha la necessità di comunicare: ‘non è bene che l’uomo sia solo’ (Gen. 2,18a). Prima di essere un linguaggio organizzato (e, per questo, sofisticato e accessibile solo a persone più o meno specializ­zate), il canto e la musica sono espressioni privilegiate della vita, perché comunicano i sentimenti più pro­fondi e le risonanza interiori di avvenimenti importanti dell’esperienza umana. Basterebbe fare un’indagine per vedere quali sono i temi maggiormente ricorrenti nel mondo musicale: l’amore e il dolore, la gioia e la tristezza, la morte e la speranza... Il canto e la musica,

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Sulle note dello spirito

per questo, sono particolarmente adatti ad esprimere il lato ‘spirituale’ della perso­na, la parte più interiore e profonda di noi. “Nessuno sa da dove arrivi. Né da dove, né come, né ‘perché’. Tutti però la sentiamo scendere dentro di noi fino a profondità inimmaginabili e, una volta lì, la sappiamo capace di compiere prodigi per chiunque altro impensabili. La musica, intendo. La lingua più alta. Probabilmente l’unica che ci consente di appoggiare l’orecchio al petto del tempo e percepire il flebile pulsare dell’infinito. Intuizione tra le più grandi dell’uomo. Più grande ancora dell’uomo. Perché alla parola mette le ali e la rende libera di superare qualsiasi ostacolo e raggiungere qualunque latitudine. L’unica lingua che parla a tutti e da tutti si fa capire. Ma anche la sola che tutti sono in grado di parlare senza che sia necessario pos­sederne grammatica e sintassi. Pura e preziosa come l’acqua. Invisibile e indispensabile come l’aria”.

Non si tratta di una citazione di qualche trattato musicale. È semplicemente quanto scrive Claudio Baglioni, all’inizio del booklet, libretto che accompagna il doppio CD uscito un paio di settimane fa. Un omaggio alle canzoni più care della sua giovinezza. Un po’ come dire: ecco la musica che mi ha plasmato, con questa mu­sica sono cresciuto. Ognuno di noi ha le sue canzoni, quelle che ricorda più volentieri, quelle che in qualche modo hanno segnato la sua vita, e alle quali si ritorna appena si può. Questo è il vero potere della musica. Scrive ancora Baglioni: “Di lei mi affascinava il fatto che sembrava venire da un altro mondo (e forse era proprio così), ma più ancora, che era certamente un altro il mondo nel quale riusciva a trascinarmi ogni volta che la finestra della coscienza si spalancava e il vento scoperchiava emozioni, desideri, sensazioni, pensieri.” La musica è una specie di linguaggio dell’anima (e non è un caso che la parola musica e la parola mistero abbiano la stessa radice mu, che dà origine all’antico verbo myo, che significa ‘chiudere la bocca’, per indi­care tutto ciò che non può essere detto a parole e necessita di altri linguaggi, come i gesti o i suoni simbolici. Questo spiega perché ogni volta che l’uomo, di tutti i tempi e di tutte le culture, ha cercato di raccontare, ri­cordare o celebrare qualcosa di importante della sua vita, non si è accontentato della semplice parola, ma ha sentito il bisogno di un linguaggio più forte, capace di esprimere l’indicibile. E spesso ha utilizzato il can­to. In particolare, l’esperienza del rapporto con la divinità è stata vissuta costantemente con l’ausilio del lin­guaggio cantato. Tutti i riti religiosi, di qualsiasi religione, prevedono la presenza del canto. 3.

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Musica e canto nella bibbia

La musica e il canto segnano costantemente la vita del popolo ebraico, prima, e del popolo cristiano fin dai suoi primi passi. Dove Israele sente di vivere un momento importante della sua storia, del suo rapporto con Dio sgorga il canto. Pensiamo ai Salmi: essi sono nati tutti per essere cantati, e alcuni di essi contengono un esplicito invito a lodare Dio con il canto e l’ausilio degli strumenti: “ Cantate al Signore un canto nuovo, cantate inni al Si­gnore con l’arpa...” (Sal. 97/98). Quando Israele sperimenta in maniera travolgente la potenza salvatrice di Dio attraverso il passaggio del mar Rosso, e il relativo conseguimento della libertà, la reazione di tutto il popolo si fa spontaneamente canto: “Voglio cantare in onore del Signore, perché ha mirabilmente trionfato…” (Es. 15,1). I Vangeli annunciano la nascita del Dio Bambino a Betlemme con il canto degli angeli: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli” (Lc. 2,14). Più avanti, quando Gesù entrerà per l’ultima volta a Gerusalemme, viene ac­colto dal popolo che acclama “Osanna! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”


(Gv. 12,13). Nel contesto della Pasqua ebraica, Gesù celebra l’ultima cena: “E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli ulivi” (Mt. 26,30). E san Paolo, che tutti conosciamo per la sua teologia e il suo slancio missionario, potrebbe essere ricor­dato anche come il grande animatore del canto nelle comunità. Basta citare: “Cantate a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni, e cantici spirituali” (Col. 3,16; Ef, 5,19). In tutti questi esempi (e l’elenco potrebbe essere molto più lungo) c’è una costante: si tratta sempre di canto “popolare”, nel senso più genuino del termine. Ci possono essere modalità diverse di esecuzione (tut­ti insieme, a più cori che si rispondono, con la presenza di voci soliste etc.), ma in ogni caso si tratta di un canto destinato a coinvolgere l’intero popolo riunito. L’elemento estetico, pur non essendo ignorato (perché a Dio si cerca sempre di dare il meglio), non è mai al primo posto; più che l’effetto esteriore, conta il fatto stesso del cantare, vissuto come vettore di co­munione ed espressione della unanimità della fede. È questo il significato autentico del canto liturgico che la Chiesa fin dalle origini ha tramandato e al quale la Riforma iniziata dal Concilio Vaticano II° ha cercato di ridare fiato. Se non si parte da qui si rischia di cadere in un continuo equivoco, valutando la bontà o meno della presenza del canto e della musica nella liturgia solamente a partire da criteri artistici. Il Concilio afferma che il canto non è solamente un elemento estetico nella liturgia; esso diventa un linguag­gio privilegiato per la preghiera del cristiano (di ogni cristiano!). Si canta perché, se l’eucaristia è esperien­za di comunione, il canto è il linguaggio più forte che ci permette di fare comunione. Esso permette a tutti i membri di una comunità di esprimersi –

con le stesse parole, pronunciate rigorosamente nello stesso tempo grazie alla precisione del ritmo, cantate esattamente alla stessa altezza grazie alla nostra scala musicale fissa.

Addirittura, quando si canta bene (con i cori preparati), si riesce ad uniformare anche i respiri. Non esiste linguaggio che alla pari del canto riesca ad unire le persone fino a questo punto.

4.

Quando un canto svolge una funzione liturgica?

Per rispondere a questo interrogativo ci viene in aiuto un passo della Bibbia, straordinario, dove il suono e il canto sono descritti come capaci di provocare, quasi chiamare la venuta, l’incontro con Dio. Siamo nel secondo libro delle Cronache: la costruzione del tempio (siamo al tempo del Re Salomone) è ul­timata; il sacro edificio risplende in tutto il suo fulgore e trionfo di arte. Per il Signore è stato fatto e speso il massimo. L’arca è introdotta nel cuore del tempio, ma “ avvenne che, usciti i sacerdoti dal Santo ( ) mentre tutti i leviti cantori ( ) vestiti di bisso, con cembali, arpe e cetre, stavano in piedi a oriente dell’altare e mentre presso di loro centoventi sacerdoti suonavano le trombe, avvenne che, quando i suonatori e i cantori fecero udire all’uni­sono la voce per lodare e celebrare il Signore e il suono delle trombe, dei cembali e degli altri strumenti si levò per lodare il Signore (...) allora il tempio si riempì di una nube, cioè della glo­ria del Signore” (5,11-13).

Sulle note dello spirito

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Sulle note dello spirito

La presenza del Signore non è un evento casuale, magico: solo quando si leva potente la voce dei cantori e il suono degli strumenti il tempio si riempie della sua gloria. Qui il suono e il canto diventano liturgia. Un canto è liturgico se e quando concorre a realizzare il senso e la finalità dell’azione liturgica. E la finalità della liturgia non è di realizzare belle cerimonie, ma di permettere, oggi, l’incontro tra Dio e il suo popolo. Non è sufficiente che il canto ci aiuti a metterci alla presenza di Dio e ad elevare l’animo a Lui. Nemmeno è sufficiente che susciti pensieri e sentimenti piacevoli. Tutti siamo d’accordo sul fatto che cantare nella liturgia non è come andare in concerto. Ma non è neppure come cantare in un momento di preghiera o in una manifestazione di pietà popolare, come un rosario o una processione. Su questo, invece, non siamo così d’accordo. Non basta che un canto abbia un contenuto reli­gioso, come non basta che appartenga al grande tesoro della musica sacra, dato che la liturgia non è un mu­seo. Cantare nella liturgia significa cantare dentro un evento che sta per succedere. Si canta perché l’evento succeda o perché è successo. Diciamolo usando un modo di dire abbastanza comune: si canta per “la gloria di Dio”. Cantare per la gloria di Dio significa cantare perché la gloria di Dio si manifesti; perché Dio scenda in mezzo al suo popolo, appaia agli occhi della fede oltre la soglia delle cose che si vedono, oltre la soglia delle perso­ne che cantano, e faccia succedere quello che Egli vuole far succedere “per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa” come ripetiamo ad ogni eucaristia. Cantare per la gloria di Dio significa cantare non perché Dio resti in alto, lontano, seduto sul suo trono ad ascoltare e ad approvare, ma perché “scenda” e rinnovi il mistero della incarnazione nel cuore dell’assemblea e di ogni credente. Il canto è liturgico se e quando contribuisce a portare Dio su questa terra, affinché la presenza di Dio prenda forma, continui ad avere forma umana come in Gesù di Nazaret, prenda la forma dell’assemblea radu­nata e attraverso di essa si proponga di nuovo come “la luce che salva” al popolo che ancora cammina nelle tenebre. Questo è lo scopo della Liturgia. Questo è lo scopo cui devono servire i nostri riti e i nostri interventi, canto compreso, perché si possa dire che sono liturgici. 5.

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Quando cantare e suonare e fare un servizio?

Il ‘quando’ ci mette già in allarme: non basta suonare e cantare in chiesa per poter dire di fare un servizio. Anzi in certi casi (sia con i giovani che con le corali) può capitare il contrario. Abbiamo appena detto che la liturgia è l’esperienza dell’incontro tra Dio e il suo popolo. Certamente ci sono anche altre esperienze di incontro con Dio (la preghiera personale, l’adorazione ecc.). Tuttavia quella della li­turgia ha una caratteristica tutta particolare: il Signore vuole incontrarsi con noi insieme. La liturgia è l’espe­rienza del nostro incontro comunitario con Dio.


Servizio a chi?

a.

1) a Dio anzitutto;

2) all’assemblea in secondo luogo;

3) attraverso l’animazione di un rito (= gesti, parole, azioni, canti secondo una struttura e un significato precisi).

Servizio a Dio Se questo è il significato dell’esperienza liturgica, allora tutto ciò che in essa facciamo deve essere espressione della nostra fede: anche il nostro cantare e suonare. Ecco un primo grande salto da fare: dal can­tare e suonare perché è bello, perché ci piacciono determinati canti, o perché così la messa stanca meno, al cantare e suonare come modo di esprimere la nostra fede: la mia fede personale, la nostra fede di gruppo, ma soprattutto la nostra fede di comunità. L’Eucaristia è l’esperienza più alta per esprimere la fede comune, il nostro essere Chiesa, la nostra apparte­nenza al popolo di Dio. Ricordiamo che Cristo non ci chiama mai a seguirlo da soli: con il battesimo noi sia­mo stati inseriti in una chiesa, un popolo. Per quanto riguarda la scelta dei canti, essi devono contenere verità di fede (soprattutto quegli aspetti che vengono celebrati in quel determinato giorno o in quella determinata celebrazione).

Sulle note dello spirito

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Che cosa esprimono i canti che noi spesso utilizziamo durante le celebrazioni? sono la celebrazione di Dio e della nostra fede in lui, oppure sono la celebrazione di noi stessi, dei nostri gusti, delle nostre sensibilità? Inoltre, se la liturgia è esperienza di incontro con Dio il canto liturgico non può accontentarsi di essere un canto che parla ‘di’ Dio (è la catechesi l’esperienza in cui si parla di lui, lo si spiega, lo si conosce meglio). In liturgia si fa esperienza di ‘incontro con’ Dio e quindi c’è bisogno di canti che ci facciano parlare diret­tamente con Lui. Mi permetto qui di fare la citazione di un mio lavoro pubblicato qualche anno fa. Si tratta di una raccolta di canti pensati per diversi momenti liturgici vissuti, con una comunità parrocchiale prima, e con i ragazzi e giovani del seminario quando sono passato a lavorare con loro. Il titolo di questa antologia è Canterò al Si­gnore”; sarebbe stato diverso se il titolo fosse stato Canterò del Signore, perché in queste due espressioni si nasconde uno degli equivoci più consistenti relativi al canto liturgico. Ho provato a mettere in sequenza alcuni versi presi dai testi di questi canti (tra parentesi c’è il titolo del can­to):

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Sulle note dello spirito

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Sia lode a te, o Padre fonte dell’amore (Festa di nozze) Tu ci sei Padre, ci ami per primo sempre (Tu ci sei Padre) Come debole strumento così fragile e ferito mi convinco del mio nulla e mi affido a te mio bene (Come debole strumento) Da chi andremo Signore? Solo Tu ci porti a Dio (Restate qui) Fino a quando Signore potrai dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? (Salmo di supplica) Tu stendi la mano e non la ritiri, conosci tu solo l’inizio e la fine; a te appartiene la strada dell’uomo, perché tu riscatti col prezzo del sangue (Lo sguardo di Dio) Ora lasciami partire, Signore, nella pace profonda del cuore (Ora) Tu sei la pietra bianca e preziosa gettata via dai costruttori: Dio ti ha scelto per il suo tem­pio, a fondamenta della sua casa. Come un disperso cerca il rifugio a te veniamo, Signore Gesù (Tu sei la pietra).

Tutti questi frammenti di testo hanno un elemento in comune: coloro che cantano hanno di fronte un ‘Tu’ al quale rivolgersi, o di cui mettersi in ascolto, e la liturgia costituisce proprio questa esperienza: l’incontro di Dio con il suo popolo, reso più forte dal canto all’unisono dell’assemblea che, come notava s. Ambrogio, unisce tutte le età e le capacità di espressione. In realtà, molti canti oggi in circolazione si limitano ad avere Dio come argomento; cantano del Signore, ma non favoriscono alcun incontro. Pensiamoci: in fondo, si può tranquillamente parlare di qualcu­no finché è assente! Ma la liturgia non è il luogo in cui “si parla di” uno che può anche essere lontano, per­ché in essa “ci si incontra con” uno che è presente! Proprio perché Gesù dice «dove due o più sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», è soprattutto attraverso il canto che si realizza questo incontro e que­sto dialogo, per cui la comunione diventa più concreta e più solida. Quanti dei nostri canti propongono un dialogo diretto con Dio e in quanti invece, possiamo dire, ‘ci parlia­mo addosso’?

Da ultimo proprio per il carattere comunitario dell’incontro con Dio nella liturgia sono da preferire i canti ‘al plurale’, cioè quelli che esprimono e celebrano il nostro essere ‘chiesa’ davanti a Dio. Salvo eccezioni, i canti individuali trovano spazio meglio in altri momenti di preghiera di gruppo. b.

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Servizio all’assemblea

In liturgia sono tante le persone che fanno qualcosa: il prete che presiede, il lettore, il sacrestano, l’organista, il coro, chi prepara i fiori ecc.: nessuno agisce a titolo privato. Tutti lavorano per l’assemblea, per favorire, o rendere più intenso l’incontro dell’assemblea con Dio. Tornando al canto, nella messa non si canta (o si suona) per rendere più solenne il rito; il canto non è una de­ corazione; tanto meno è l’espressione dell’esibizione di un gruppo di persone; il cantare è il modo più forte di pregare dell’assemblea. C’è uno slogan che gira nei nostri ambienti da alcuni anni: non si tratta di canta­re durante le celebrazioni ma di celebrare cantando. Il compito del coro è proprio di aiutare a celebrare, favorire il celebrare cantando di tutta l’assemblea: lo può fare cantando insieme, sostenendo l’assemblea; oppure alternandosi (ritornelli all’assemblea e strofe al coro); infine il coro può proporre all’ascolto e alla meditazione dell’assemblea alcuni canti (comunque in tema con la celebrazione). Se voglio mettermi a servizio dell’assemblea quando mi ritrovo a scegliere i canti di una celebrazione devo tenere in grande considerazione quali sono le capacità dell’assemblea, le sue possibilità, le sue conoscenze.


In concreto se un coro vuole animare la liturgia non può imporre i propri canti o i propri gusti. Ci saran­no anche momenti in cui esso si esprimerà con il suo linguaggio più tipico, ma, soprattutto in alcuni momen­ti, dovrà misurare le sue scelte sulle capacità e possibilità dell’assemblea. Così, per esempio, un canto troppo ritmico o eseguito troppo velocemente, come pure un canto troppo esteso in altezza non potrà mai essere cantato dall’assemblea. c.

Attraverso un rito

Il duplice servizio a Dio e all’assemblea si esprime attraverso l’animazione di un rito. Da come vengono impostati certi programmi di canti per la messa c’è l’impressione che per molti animatori la messa sia una specie di scatolone in cui ci sono alcuni elementi fissi ma ci sia anche molto spazio vuoto ri­manente, e quindi ognuno ci mette dentro quello che più gli piace. Succede, così, che le letture vanno in una direzione e i canti in un’altra. La liturgia ha bisogno della musica, ma non di qualsiasi musica. Non basta, come pensano molti, far musica: si tratta di fare una musica che rispetti certe regole (quelle della liturgia). E non basta nemmeno che la musi­ca sia bella: già sant’Agostino diceva che bisognerebbe ragionare come si fa circa le scarpe. Non basta ac­ contentarsi che le scarpe siano belle, perché se poi sono strette...son problemi! La messa (e come per la messa, il discorso vale anche per tutte le altre celebrazioni liturgiche) è un rito dal­la struttura ben definita, con una successione di elementi diversi, ognuno con un significato preciso. Quanto animatori musicali, organisti, direttori conoscono il significato preciso di tutte queste sequenze rituali? Quan­to conoscono (verrebbe da dire ‘quanto sanno della sua esistenza!’) l’Ordinamento Generale del messale Ro­mano? In questa successione di elementi il canto si colloca secondo gradi diversi di importanza.  Siccome anche in liturgia è fondamentale fare tutto ‘secondo verità’ (la liturgia non è una finzione), i pri­mi e più importanti canti sono quelli che appartengono alla struttura del rito e nascono come canti: l’alleluia, il santo, il gloria (nelle festività), le altre acclamazioni come il ‘mistero della fede’, il ‘tuo è il Re­gno’ andrebbero per loro natura cantati. Così pure il salmo tra le letture, proprio per la sua natura poetica esige un trattamento diverso dalla semplice lettura. Il primo tipo di canti adatti alla liturgia, quindi, non va cercato fuori, ma all’interno stesso del rito. Purtroppo invece normalmente i nostri repertori sono formati quasi esclusivamente da canticanzoni dai più diversi contenuti (tra l’altro spesso molto generici, o addirittura dottrinalmente incriminabili), e solo in minima parte da proposte per cantare le diverse parti del rito. A parte qualche alleluia e santo normalmente non abbiamo altro.  Un secondo blocco di canti liturgici ha come obiettivo quello di commentare una parola risuonata nel­l’assemblea (es. canto legato alle letture bibliche) o la particolare giornata o il santo del giorno, oppure accompagna un’azione (es. il canto d’inizio e il canto di comunione che accompagnano una processione). Anche questo secondo blocco quindi ha un legame diverso ma ugualmente stretto con quanto si dice e si fa nella celebrazione. Quindi non ogni canto è adatto e svolge un buon servizio alla liturgia. Le osservazioni appena fatte girano praticamente tutte attorno alla necessità di vigilare sui testi che cantano il rito in qualche sua parte o ne rimangono comunque aderenti in quanto ne commentano il suo svolgimento. Ci sono in circolazione testi che lasciano molto a desiderare. Teniamo presente che i testi dei canti che uti­lizziamo nella liturgia non sono solamente l’espressione della fede dell’assemblea che li canta, ma partecipa­no alla strutturazione della fede di ciascuno dei suoi membri (anziani, adulti, giovani e bambini). Canti ge­nerici contribuiscono a formare una fede dai contorni generici; e il recente Convegno di Verona non a caso ha rilanciato l’importanza (la necessità) di riscoprire

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il valore della testimonianza cristiana, e non una testi­monianza generica, ma la testimonianza di Cristo risorto speranza del mondo. Per questo è fondamentale che i responsabili delle celebrazioni si prendano del tempo per riflettere, analizza­re, prima di scegliere un canto. Che i singoli animatori non siano lasciati da soli nella scelta dei canti (che spesso avviene solo perché appetibili melodicamente o perché del gruppo o dell’autore religioso di moda in quel momento). Qui è in gioco l’educazione della fede e il volto che si traccia di Dio. Si può dire qualcosa anche riguardo alla struttura musicale dei canti.  Coerenza fra testo e musica

Parafrasando un famoso passo biblico del Qohelet che ricorda come nella vita dell’uomo per ogni cosa ci sia il suo momento, noi possiamo dire che nelle nostre messe “c’è un tempo per lodare, un altro per chiedere perdono; un tempo per invocare e un altro per intercedere...”. Ci sono sentimenti molto diversi da esprimere e la musica deve tenerne conto! Non si può cantare un testo penitenziale con una melodia festosa; così pure non si può cantare la lode con una musica in tono minore...  Coerenza tra canto e rito (la durata)

Dato che in liturgia la musica è sempre a servizio del rito, anche la sua lunghezza deve essere calcolata. Non posso eseguire alla presentazione dei doni un canto di quattro minuti se il momento rituale me ne dura uno. Così come non ha senso cantare sempre tutte le strofe di un canto: è più opportuno, in fase di programmazio­ne scegliere le strofe più adatte e far durare il canto fino alla conclusione del momento rituale. Il canto liturgico assomiglia, per certi versi, alla musica da film, la quale da una parte è coerente con il tipo di azione che commenta (drammatica per una scena drammatica, serena per una scena tranquilla...), dall’altra dura esattamente il tempo occupato dalla scena. Un canto pensato per la liturgia dovrebbe avere tra le sue caratteristiche anche quella della ‘elasticità’, cioè della possibilità di essere adattato alle esigenze del rito concreto che si sta celebrando.  Investire in formazione

Se si vuole che quello del canto diventi un autentico servizio a Dio e alla comunità è necessario dedicare spa­zi adeguati alla formazione. Bisogna trovare, accanto ai tempi tecnici per imparare i canti, anche il tempo per riflettere sul senso di ciò che si fa. Mi piace pensare che l’attività dei cori nelle parrocchie venga pensata alla pari degli altri gruppi ec­clesiali, azione cattolica, caritas, gruppo missionario etc. Il coro parrocchiale come momento in cui, non solo ci si trova per provare tecnicamente i canti per la domenica o per qualche concerto/rassegna, ma anche ci si trova per camminare nella fede, proprio a partire dai materiali musicali che vengono proposti. Un buon canto liturgico non può che essere anche un buon materiale per una meditazione, una catechesi. Investire in formazione significa anche mettere i responsabili (direttori, strumentisti, cantori) nella condizio­ne di poter crescere in competenza. Esistono diverse esperienze in Italia ormai collaudate a questo riguardo. Io posso farmi testimone, avendovi partecipato come animatore-istruttore o docente, del COPERLIM (Corso di perfezionamento Liturgico-Musicale) promosso dalla CEI, e dei campi scuola promossi dalla Pastorale Giovanile Nazionale e dall’Associazione Universa Laus Italiana. Ma penso che le occasioni siano molte di più: basta informarsi. Quella di oggi, dato che per la vostra diocesi è la prima, mi auguro possa aprire la stra­da ad una serie di altre proposte e che queste incontrino l’interesse e il coinvolgimento di molti animatori.  Oltre il ‘gruppo’... la ‘Chiesa’

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C’è un ultimo punto che voglio toccare, pensando a diverse esperienze vissute con i cori giovanili. Ma vorrei trattarlo come qualcosa che riguarda tutti. Perché in tutti c’è la tendenza ad anteporre la propria sensibilità alle esigenze della comunità. Qui non è in gioco un tipo di repertorio, giovanile o non giovanile; è in gioco qualcosa di assai più grande, un aspetto fondamentale della spiritualità


cristiana: la dimensione ecclesiale della fede. Quando un gruppo partecipa alla celebrazione domenicale compie fondamentalmente un gesto di apertura: deve ricordare a se stesso che il gruppo non è tutto; che il gruppo appartiene ad una famiglia più grande. Partecipare all’Eucaristia domenicale è riconoscere di far parte di questa famiglia più grande che è la Chiesa. La liturgia, soprattutto quella domenicale, che costituisce l’esperienza nella quale si esprimono normalmentele realtà corali, è il momento in cui tutti possiamo riconoscerci, vederci come Chiesa. È l’esperienza con la quale le diverse componenti di una comunità, espressioni della ricchezza dei doni dello Spirito, si incontrano, si accolgono e insieme fanno comunione con l’unico Signore. Per questo motivo, è mia profonda convinzione che il canto liturgico debba utilizzare un linguaggio che fa­vorisca l’incontro: un linguaggio di comunione, quindi, non un linguaggio che distingue o che separa. E un modo di esprimere questa appartenenza è anche quello di mettere da parte (almeno in secondo piano) i propri gusti, i propri linguaggi, per cominciare a parlare, in segno di comunione, anche i linguaggi degli altri. Non entro nei particolari ma penso che sia facile trarre delle conseguenze per quanto riguarda i repertori pen­sati dai vari gruppi per le messe domenicali. Conclusione Quando il nostro cantare e suonare diventano un servizio? 1)

Quando in tutto quello che si fa non si cerca tanto la propria personale soddisfazione, quanto il bene e la crescita dell’assemblea.

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Quando ci si ricorda che prima di essere cantori o strumentisti siamo dei cristiani convocati dal Signore per ascoltare la sua Parola, per rispondere e pregare insieme con gli altri. Quando si conclude un canto, quindi, non si deve considerare concluso il compito del coro, per cui finché si proclama il Vangelo o viene fatta l’omelia, si sfoglia il libretto o la cartella dei canti o si parla con l’amico o l’amica. Quando termina il canto il nostro compito di cristiani continua.

La preziosità del nostro servizio passa certamente attraverso l’esecuzione precisa dei canti ma prima ancora passa attraverso la nostra testimonianza di cristiani che celebrano nella lode.

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2.

IL CANTO CHE RIPOSA NEL FONDO DELLE COSE

di Ramon Saiz-Pardo Hurtado (Pontificia Università della Santa Croce - Roma)

Nella musica liturgica si deve riflettere il ministero dell’incarnazione*

In una certa occasione qualcuno mi domandò se in cielo ci sarà la musica. Non era il momento di lunghi discorsi. Ci pensai un po’, poi risposi: «Senza dubbio; non si potrebbe immaginare lo splendore dell’assunzione della Vergine senza splendide musiche».

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Non è azzardato: schiere di angeli vanno incontro alla loro regina che giunge in corpo e anima. La musica è solenne; trabocca affetto, bellezza, allegria. Tutto è sublime. Alla fine, arriva. E il Figlio, che iniziò l’esser uomo in seno alla Trinità, accoglie sua madre. Tale situazione deve avere dei punti di contatto con ciò che accade durante la celebrazione di una messa. Benedetto XVI spiega che la liturgia terrena è liturgia solo in quanto si unisce alla liturgia celeste. Così, per esempio, tutti i prefazi della messa si concludono sempre con l’invito a tutti a cantare il Sanctus insieme agli angeli. Il Papa spiega che in qualche modo, gli uomini chiedono di essere ammessi al coro celeste. E aggiunge, con un pizzico di humor, che il nostro canto deve esser tale che gli angeli lo possano ascoltare. Una volta entrati nel contesto, è facile rendersi conto che uno canta verso un «Tu», per adorare Dio. Nell’udienza generale dello scorso 31 agosto, Benedetto XVI tornò a riferirsi alla bellezza. Sottolineava tra le capacità possedute dall’arte, quella di parlare: è una porta aperta sull’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno molto al di là del quotidiano. Segnalava inoltre alcune espres-


sioni artistiche quali autentici percorsi verso Dio, la Suprema Bellezza. Anzi – dichiarava – sono un aiuto per crescere, nell’orazione, nella relazione con Lui. «Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza (...) Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio». In altri contesti, facendo un passo avanti, il Papa ha spiegato le parole del Vaticano II riferite alla musica liturgica quale parte necessaria e integrante della liturgia solenne (cfr. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum concilium, 112). La musica, ha affermato Benedetto XVI è essa stessa liturgia. Perché sostengo che le considerazioni sul piano liturgico rappresentano un passo in più? Non è vero che si può pregare in qualsiasi situazione? Senza dubbio. Però nella liturgia, l’Eucaristia significa che Dio ha risposto. L’Eucaristia, spiega il Papa, è Dio in quanto risposta, quale presenza che risponde. Nella liturgia, l’iniziativa della relazione dell’uomo con Dio non è dell’uomo, bensì dello stesso Dio. E inoltre l’uomo non è solo, ma con l’intera Chiesa, corpo di Cristo. L’orazione liturgica si realizza nel contesto della morte e risurrezione di Cristo, dell’amore che ha vinto la morte. La forza di questi termini fa presagire che la stessa musica liturgica possiede una propria specificità. Attualmente la musica liturgica si propone in termini problematici. Il Papa spiega che la soluzione non si trova affrontando direttamente gli aspetti pratici. Ad esempio, è chiaro che molte volte gli incaricati della pastorale non si intendono con i musicisti e viceversa. Si tratta di un problema che è sempre esistito, e che sempre esisterà. Ma questo non è il lato fondamentale. Per trovare le soluzioni è necessario conoscere e comprendere l’essenza della liturgia. Avviamoci ad affrontarla in due punti. Nella liturgia si attua la redenzione dell’uomo. L’uomo, dopo il peccato, si rende conto che non è in grado di tornare a Dio con le proprie forze. Dio stesso gli promette un redentore. Cristo, il Buon Pastore, viene a prenderci sulle sue spalle e portarci di ritorno a casa. Si incarna e accetta di venir crocifisso, per poi risorgere e salire al cielo. Nella messa, attualizzazione del sacrificio del Calvario, Cristo ci fa pregustare il suo ritorno glorioso, e ci assimila a sé. Cristo, con le sue braccia aperte, ci attrae verso di sé dalla croce. Lì si congiungono la misericordia divina e la miseria umana. Con tale amore radicale, la morte stessa viene trasformata in resurrezione per amore e l’uomo è trasformato e salvato, innestato in Cristo. Data questa forte premessa, qual è il luogo e il ruolo della musica liturgica? La liturgia parla di tutto questo amore di Dio per l’uomo. Anzi, mette in atto tutto questo amore, perché Dio è il suo protagonista. La bellezza della liturgia è lo splendore delle meraviglie che si stanno operando. Ma è Cristo stesso, risorto, il soggetto di tale bellezza, ed è Lui che ci permette di intravvedere ciò che sta accadendo. Nella esortazione apostolica Sacramentum caritatis, Benedetto XVI scrive:

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«La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale. La bellezza della liturgia è, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra». E qui entra in gioco, infine, la musica. Perché in ciò che Dio rivela all’uomo, nel suo tradursi in parole umane, una parte rimane indicibile che soltanto con il canto si può pronunciare e comprendere. In occasione di un concerto, non molto tempo fa, il Papa affermò: questi suoni «mi hanno fatto dimenticare il quotidiano e mi hanno trasportato nel mondo della musica che per Beethoven significava “una rivelazione più alta di ogni sapienza e filosofia”. La musica, di fatto, ha la capacità di rimandare, al di là di se stessa, al Creatore di ogni armonia, suscitando in noi risonanze che sono come un sintonizzarsi con la bellezza e la verità di Dio — con quella realtà che nessuna

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sapienza umana e nessuna filosofia possono mai esprimere». Si tratta di comprendere come si intrecciano gli elementi di cui sopra. Il criterio fondamentale della musica liturgica non è il gusto personale. Nemmeno lo è il quanto possa una data musica contribuire a facilitare la preghiera. Il paragone, sebbene non diretto, è chiaro: le letture della messa non debbono esser sostituite da nessun libro di spiritualità, per quanto esso inviti alla preghiera. La preghiera con il libro di spiritualità avrà il suo contesto, come ciascuna musica ha il proprio. Il criterio si trova nella dinamica dell’incarnazione del Verbo. Si tratta di un movimento in due fasi: Il Figlio di Dio si è incarnato. Il Verbo, la Parola, si è materializzato. Così si è avvicinato fino alla nostra realtà, fino ai nostri sensi. Così ha inaugurato l’essere uomo in Dio. Lungo questa linea scorre la realtà dei sacramenti. La morte, la resurrezione e l’ascensione al cielo di Cristo possono esser considerate come una successiva spiritualizzazione. Andare incontro al Cristo risorto nella liturgia è una spiritualizzazione. Questo però deve essere ben compreso, perché Cristo non ha abbandonato il corpo. Perciò si tratta di una spiritualizzazione della carne. Nella nostra realtà corporale, il Verbo ci purifica, ci assume e ci fa figli di Dio: ci rende conformi al Lògos. Questo doppio movimento si ha nella musica liturgica. Da una parte, i sacramenti verrebbero a trovarsi senza un luogo loro proprio se non si compiono in una liturgia che segue l’espansione del Verbo in una dimensione corporea e nell’ambito dei nostri sensi. Da ciò deriva la necessità di giungere alle sfere più profonde del comprendere e del rispondere, che si aprono nella musica. Il Verbo, la Parola si fa musica della fede quale incarnazione. Il legno e metallo si fanno suonare: materiali che, senza coscienza né libertà, vengono usati per produrre un suono ordinato, ricco di significato. È qui che – afferma il Papa – si deve scoprire il canto che riposa nel fondo delle cose, e tradurlo in musica della fede. Inoltre, tale farsi musica della fede è già, in se stesso, la seconda parte del movimento, la spiritualizzazione della carne. Il Papa lo spiega in termini di integrazione. La musica adeguata deve integrare i sensi nell’intimità dello spirito. Per di più, tale integrazione non avviene nell’uomo stesso, se non nel movimento che lo innalza ulteriormente verso l’intimità del Verbo. Si giunge, in fine, a scoprire quale sia il luogo e il ruolo della musica liturgica. «Rende libera la via ingombra verso il cuore, verso l’intimo del nostro essere, là dove questo viene a contatto diretto con l’essere del Creatore e del Redentore. Ovunque ciò si verifica, la musica diventa la strada che conduce a Gesù; la via per la quale Dio mostra la sua salvezza». Nel contesto sacramentale, la musica è un codice che supera le parole e la pura razionalità. La musica liturgica apre a una maggiore intimità con Dio, amplia il vocabolario nell’unione con il sacrificio di Cristo. Con essa, il cuore dell’uomo si rende maggiormente capace di nutrirsi dei sentimenti del Cuore di Cristo, e portando con sé la creazione, si lascia introdurre nel dialogo della Trinità. Cosa c’è di meglio che il bello per parlare della bellezza dell’amore di Cristo in Croce? Chi meglio dello Spirito Santo, è in grado di conformare il bello, in modo che parli veramente di Cristo? La liturgia non è un happening di buona fattura. La liturgia è una festa, perché la redenzione

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compiuta da Cristo ha dato una reale risposta alla morte. Capito questo, e che non si tratta di risolverla sulla base di un’abile psicologia o di volenterosi dilettanti, ciò che importa è il Mistero, soprattutto l’azione di Dio e la conseguente risposta l’uomo; solo allora si può parlare di conclusioni pratiche. La musica liturgica deve servire a un messaggio che si realizza nel dialogo intimo — proprio della liturgia — che, in presenza della grazia, si realizza tra Dio e l’uomo. Se la liturgia terrena si realizza in unione con quella celeste, la musica stessa deve adeguarsi alle circostanze. La liturgia non si fa, ma si accoglie; lo stesso per la musica. In quanto festa, la liturgia si veste di splendore e richiede il potere trasfigurante dell’arte. Inoltre, il vero luogo di nascita dell’arte è la liturgia. Quando l’arte viene sottoposta alle leggi del mercato — come avviene con la musica pop — viene annullata in quanto arte. È chiaro, quindi, che non tutta la musica è adatta. Una musica che si propone come liturgica deve esser purificata, come il cuore dell’uomo. La musica adatta deve essere docile e riportare l’uomo al contatto con Cristo, alla sua integrazione verso l’alto. Il salmo afferma psallite sapienter. Talvolta si traduce in cantare bene. Però allora: che cosa significa questo riferimento alla saggezza (sapienter) nel canto? Il Papa lo spiega con l’affinità che esiste tra saggezza e musica. In ambedue l’uomo si coinvolge interamente, con tutte le dimensioni del suo essere. Dio ci interpella nella totalità del nostro essere, e l’espressione musicale fa parte della autentica risposta umana. Così, spiega il Papa, il cantar bene è entrato nella coscienza della Chiesa, quale esigenza a livello artistico, per adorare Dio. Le modalità espressive offerte dalla musica sono necessarie per la nostra risposta. Da ciò il compito: com’è possibile giungere a una musica liturgica adeguata? Un esempio elementare: se una cultura non consente di presentarsi in società con un abbigliamento inadatto, tanto meno permetterà che il sacerdote salga a celebrare la messa con una patacca sul camice. Su questo non c’è dubbio. E, tanto più, la musica, che è liturgia, perché dovrebbe essere ammessa se è difettosa? Un atteggiamento simile non equivale a ridurre a priori le possibilità che Dio offre per unirsi a Lui, proprio nella convergenza tra la corrispondenza la grazia? La traduzione in termini più immediati è multipla e merita un discorso a parte. Si può però portare qualche esempio. Supponiamo conosciuto il Magistero sulla musica liturgica e teniamo conto dei precedenti argomenti teologici. Che dire del compositore e dell’ascoltatore? Il compositore di musica liturgica deve essere in grado di assumere la responsabilità dell’ineffabile che la musica può contenere. Le grandi composizioni liturgiche sono una esegesi del Mistero rivelato. Il punto di riferimento proposto da Ratzinger è la costruzione del Tempio in Israele: Dio comunicò a Mosè la forma che esso doveva avere e gli artisti lavorarono per riprodurre la volontà divina. La creatività è partecipazione alla creatività di Dio. L’implicazione è duplice. Da una parte, il compositore deve porsi in condizioni di sentire le indicazioni di Dio. Perciò conta su un aiuto insostituibile: la musica sacra nasce come un dono dello Spirito Santo. In secondo luogo, il compositore deve essere esperto. Senza professionalità non è possibile ascoltare fedelmente messaggio, e tanto meno trasmetterlo. Per quanto si riferisce all’ascoltatore, è facile comprendere la grandezza del tesoro che la musica liturgica offre e, pertanto, come deve essere accolta e anche come deve intendersi la partecipazione attiva alla liturgia dal punto di vista della musica. Musica liturgica non significa musica tediosa o semplicemente brutta. Musica liturgica non può significare musica banale o canzoni da falò. Tanto meno può significare musica propria di circoli esclusivi di eruditi. Oggi mancano modelli. Il Papa ha proposto delle vie per provare a incontrarli. Attualmente si sta lavorando. Sono necessari un po’ di pazienza, un po’ di fiducia, e molta preghiera. * fonte: L’osservatore Romano, 08/12/2011

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3.

LE FORME MUSICALI DEL CANTO LITURGICO

di Guerrino Orlandini (Fonte: Celebrare cantando - n. 2 - Febbraio 1994)

“Cantate inni a Dio, cantate inni al vostro Re, cantate inni con arte”; è l’invito che ci viene dal Salmo 46 (vv. 7-8). La musica liturgica non può essere una musica qualunque: deve essere bella, fatta “con arte”. E per essere tale, deve anzitutto rispettare le forme musicali in cui si esprime la preghiera liturgica. Uno dei difetti più vistosi delle nostre celebrazioni liturgiche è la pianificazione dei canti; tutte le parti cantate eseguite nello stesso modo: stesso ritmo, stessa intensità di voce, stessa alternanza (spesso: nessuna alternanza) di voci, stesso accompagnamento strumentale. Ora la preghiera liturgica è strutturata con testi letterariamente diversi, espressi da forme musicali diverse, che esigono diversità di interpretazione, di esecuzione, di accompagnamento. In rapporto ai testi, le forme musicali più in uso nelle nostre assemblee sono: l’acclamazione, la canzone a ritornello, l’inno, il salmo. L’acclamazione È una forma popolare” presente nella liturgia di tutte le religioni. E il grido di gioia, di un grido di stupore e di speranza ... stupore, di attesa, d’invocazione, di speranza che esplode da una assemblea che sta vivendo un momento forte e vi partecipa con tutta l’anima. Nella liturgia cristiana è il grido della comunità che vive con L’acclamaziointensità e non subisce con rassegnazione! - l’evento che sta alla base della sua fede e della ne: un grido di sua vita. Nella celebrazione eucaristica abbiamo tante acclamaziostupore e di ni: Amen, Alleluia, Santo santo santo, Benedetto nei secoli il Signore, Gloria a te o Cristo, Mistero della fede, Tuo è il regno speranza ... Se vogliamo che le nostre assemblee partecipino vivamente alla celebrazione dobbiamo educare ad acclamare. Ma l’acclamazione, per raggiungere il suo scopo, deve essere veramente acclamata, quindi: – – – –

cantata, non recitata, perché recitata perde la sua carica; cantata con una frase musicale breve, semplice, immediata, travolgente; sostenuta da un accompagnamento pieno e sonoro che ne aumenti l’intensità; direttamente legata a quanto precede, quindi senza battute di introduzione. “Beato il popolo che ti sa acclamare”, canta il Salmo 88 (v. 16): perché un popolo che sa acclamare è un popolo che sa pregare.

La canzone a ritornello È una delle forme più usate oggi nel canto liturgico, data la sua praticità: offre infatti interessanti possibilità di dialogo fra il Coro o il Solista e l’assemblea. La struttura è molto semplice: un certo numero di strofe intramezzate da un ritornello, proposto all’inizio o dopo la prima strofa. Normalmente il ritornello, affidato all’assemblea, ha una struttura facile da apprendere e da eseguire, mentre le strofa ha uno sviluppo più elaborato e complesso, con o senza polifonia. Proprio perché ampiamente diffusa, la canzone a ritornello richiede un uso intelligente. In pratica si richiede:

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che si rispetti rigorosamente l’alternanza fra Coro o Solista e assemblea: una canzone a ritornello in cui tutti cantano tutto è controsenso, perché viene a mancare il dialogo fra


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le due parti, senza dire che la strofa, musicalmente più elaborata, se cantata da tutta l’assemblea, perde la sua fisionomia; che nella stessa celebrazione non si facciano solo canzoni a ritornello: come sempre, l’uso è opportuno, l’abuso è fastidioso; che non si propongano quelle canzoni in cui il ritornello, per essere facile, finisce per essere povero, scontato, banale, e la strofa, per essere moderna, assume i ritmi e le movenze della canzonetta profana.

Nella canzone - ritornello o senza - più che in ogni altro canto, si deve essere attenti al senso del testo e alla struttura della musica; è da questi due elementi che si deve capire come eseguirla: con quale ritmo, con quale tipo di accompagnamento, in quale momento celebrativo. Parafrasando un celebre proverbio, si potrebbe dire: la canzone giusta al posto giusto (e con il ritmo giusto!). L’inno Alla base della liturgia cristiana sta la lode e il rendimento di grazie: quando questi assumono forma lirica, abbiamo l’inno. La Chiesa, nella sua liturgia, ne fa un grande uso. L’inno è un canto popolare basato sul sistema strofico - isosillabico. Questo significa che l’inno normalmente è composto di un certo numero di strofe; e ogni strofa è composta di un certo numero di versi che, in ogni strofa, sono uguali come numero e come ritmo. Nella celebrazione eucaristica abbiamo lo splendido inno “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”; nella Liturgia delle Ore ogni parte inizia con un inno. Ma c’è un vastissimo repertorio di inni, antichi e moderni, che possono essere usati nei vari momenti della celebrazione. Una forma particolare di inno è il corale che, data la sua struttura solida e di largo respiro, è particolarmente adatto per le nostre normali assemblee. Anche l’inno ha particolari esigenze: – –

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esige anzitutto una struttura musicale che rispecchi e rispetti il ritmo metrico delle strofe: non può essere trattato come un testo non metrico; se è un rito a se stante, come il “Gloria a Dio nell’alto dei cieli” della Messa o l’inno delle varie parti della Liturgia delle Ore, deve essere cantato integralmente, con tutte le strofe; quando invece accompagna un’azione o un movimento (processione di entrata, processione per la presentazione dei doni, distribuzione della comunione eucaristica) deve essere interrotto non appena l’azione o il movimento è terminato; normalmente, data la sua struttura strofica, deve essere eseguito a cori alterni: alternare fra coro e assemblea o dividere l’assemblea in due cori; se è in forma molto elaborata, può essere eseguito anche dal solo Coro; l’accompagnamento deve essere, normalmente, soprattutto nel “corale”, solido e robusto.

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Il salmo I salmi sono preghiere che la Bibbia: sono quindi Parola di il massimo rispetto. Sono di valode, di lamento, di fiducia, di inziali, regali ... Nati nel contesto però tanti riferimenti, di retti o insono entrati in modo massiccio Chiesa.

Il salmo: preghiera da cantare

provengono direttamente dalDio. Anche per questo meritano rio genere letterario: salmi di vocazione; salmi storici, sapiendell’Antico Testamento, hanno diretti, al mistero di Cristo che nella preghiera liturgica della

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Sulle note dello spirito

La Liturgia delle Ore è fatta soprattutto di salmi. Nella celebrazione eucaristica, oltre il salmo responsoriale, la liturgia prevede che si possa cantare un salmo (o altro canto di lode) dopo il silenzio della comunione (PN 56/j ). Inoltre le antifone di ingresso e di comunione sono spesso dedotte da un salmo, che potrebbe essere cantato come canto d’ingresso o di comunione. Il modo normale di pregare il salmo non è la recita, ma il canto: il salmo è una preghiera che è stata fatta per essere cantata. Può essere cantato in forma responsoriale (così normalmente il salmo dopo la prima Lettura), in forma alternata (così soprattutto nella Liturgia delle Ore), in forma mista (due cori che si alternano unendosi in un ritornello).

Nel canto del salmo: il primato della parola

Per l’esecuzione in canto ricordare:

– – –

proprio perché Parola di Dio, il salmo esige una musica sobria, semplice e lineare (una musica troppo melodica o troppo elaborata è da escludere per il canto dei salmi): nel canto dei salmi in primo piano non è la musica, ma il testo; le voci debbono essere contenute, sciolto l’andamento, rispettate le pause all’asterisco, in modo da poter meditare quello che si va cantando; l’accompagnamento deve essere estremamente sobrio: solo di sostegno alla voce per aiutarla a proclamare il testo. L’accompagnamento può essere fatto anche con chitarre o percussioni: ma un accompagnamento di questo tipo è un’arte, non si improvvisa.

Ai salmi sono equiparati i “cantici” sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento. Cantare altri brani della Bibbia, che non siano i salmi e i cantici, è fuori dalla tradizione della Chiesa: dovrebbe quindi essere evitato.

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4.

CRITERI PER LA SCELTA DEI CANTI

di Giovanni Maria Rossi (Fonte: Celebrare cantando - n. 10 - Ottobre 1996)

Anche qui ho mutato titolo alla relazione, perché il precedente accennava a “Canti dell’Ordinario” (dunque ancora una volta a un repertorio inflazionato) e più vagamente a “can ti per le pa rti rituali”: quali “parti,,? di quali celebrazioni? Dunque mi è parso più conveniente ricordare che: 1. c’è una grande molteplicità di repertori; perciò bisogna aver spirito critico, e imparare ad applicarsi ad accurate e oculate analisi, avendo tra le mani una ‘griglia di partenza’; 2. non dovremmo essere statici attorno a un repertorio, ma, piuttosto, dovremmo chiederci se non è il caso di cambiar mentalità (una vera “conversione”), decidendoci a chiarirci le idee sui criteri generali che ci aiutino operare delle scelte appropriate e “aperte”; 3. va comunque ricordato che anzitutto c’è un’autorità (Vescovo, Vescovi, o chi per loro) che stabilisce la liturgicità o meno di un testo e che può anche proporre un minimo repertorio musicale unificante per il proprio territorio (piccolo o grande che sia), in riferimento a determina te celebrazioni e riti. Questo non significa che tali testi e musiche sono senz’altro perfetti: sono approvati d’autorità e basta; dal lato tecnico restano certamente ancora soggetti a revisione critica. Criteri generali Li espongo schematicamente: A. Ci dobbiamo sempre chiedere per prima cosa:

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a) a quale celebrazione complessiva ci riferiamo: Eucaristia? Liturgia delle ore? Vari sacramenti? Altre celebrazioni? b) a quale singolo rito di quella celebrazione? Inizio? In che cosa consiste? Quale forma andrebbe bene? È preferibile sonorizzarlo con musica vocale o/e strumentale, oppure è sufficiente la parola parlata? B. In base alle persone e alla loro tipicità (età, sesso, grado di cultura, provenienza, omogeneità, condizione sociale, esigenze particolari), mi chiederò quale linguaggio e stile musicale impiegare. C. Dobbiamo anche interrogarci su luoghi e ambienti: celebro all’aperto o no? In un grande o piccolo spazio? Se sono all’interno, com’è la rifrangenza: sorda o, all’opposto, rimbombante? E ho pensato ai profumi/odori? Forse non ci rendiamo conto che le sinestesie talvolta sono micidiali e un cattivo odore può far andare di traverso un celebrazione (la musica diventa odiosa, i musicanti incapaci, la Chiesa assurda nel non proibire certe musiche, e via di seguito). Viceversa il giusto profumo può rendere più armonioso tutto l’insieme e magari far diventare più accettabile qualche musica non proprio azzeccata.

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Sulle note dello spirito

Anche il chiaro e lo scuro hanno una loro forte influenza. Un suono chiaro in un ambiente scuro non ha la stessa incidenza psicologica di un suono chiaro in ambiente chiaro. Anche qui ci sarebbe da raccontare qualcosa a proposito di sinestesie (sono molto pratici di questo i musicoterapisti). Non è poi da sottovalutare il fatto di trovarsi in un ambiente ricco di antiche opere d’arte o, al rovescio, in uno spoglio di tutto. Un melisma gregoriano in ambiente monastico è certamente più al suo posto che non in una cappella che sorge tra le favelas del Brasile. E veniamo ora ad alcune dimostrazioni pratiche sulla base di questa griglia per l ‘analisi:

a) b)

c) d) e) f) g)

analisi delle parole (prosaiche/poetiche-bibliche/laiche-vaghe/precise accettabili/ o no; di questa analisi sono evidentemente passibili, come dicevamo sopra, anche testi approvati dall’autorità costituita); analisi (al tavolo e all’ascolto) della musica (melodia, ritmo, armonia, estensione, durata, eventuale possibilità di elaborazione differenziata nell’esecuzione ossia: sola voce, più voci senza accompagnamento, unico strumento d’accompagnamento, più strumenti ecc.; eventuale “’aggiustamento-adattamento” alla mia comunità, quando ci fossero molti elementi che, di quel canto, veramente mi interessano, specialmente se l’autore ha steso una partitura “aperta” e ancor più se lui stesso lo dichiara); analisi (al tavolo e all’ascolto) della relazione parola-musica (la parola è “servita” o no?); di che forma si tratta (inno, responsorio, acclamazione, litania, ecc. ); in base ai primi quattro punti mi chiedo per quale celebrazione e per quale momento rituale può essere adatto; o ora analizzo il linguaggio e lo stile (cioè la modalità scalare, i materiali usati e, di seguito, con quale “stile” questi vengono impiegati: modale, baroccheggiante, ad agglomerati accordali, ecc.); in base a tutto questo decido: per chi può andar bene, perché, in che maniera si cercherà di proporlo per la celebrazione.

Un esempio di analisi: Nei cieli un grido risuonò.

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Parole. Viene spontaneo il confronto con il precedente; qui sì che è Pasqua! Niente di eccelso, ma certamente più nobile, più biblico, più preciso e affermativo (cf. l’inizio: “Nei cieli s’oda risuonar” rispetto a “Nei cieli un grido risuonò!”); ed è certamente più attuale come linguaggio. Musica: la stessa fonte della melodia, in una versione leggermente diversa, secondo lo schema A-B-C (con l’elemento C – il triplice alleluia finale – che si sviluppa in forma a-a’-b). Il tactus (scansione del ritmo) è pari; l’armonia per l’accompagnamento è scarna, facile, ma conseguente rispetto alla melodia. L’estensione è Re4-Re5. S’intravede la possibilità di vari adattamenti. Relazione parola-musica: tolto il levare della prima strofa (“Nei cieli ... “), tutto il resto sembra funzionare bene. Forma: è un inno responsoriale, ma si può fare anche come inno corale (tutti cantano tutto); la forma responsoriale è però senz’altro preferibile. Per quale momento rituale: contesto tipicamente pasquale; la forma buona sia per inizio che per acclamazione dopo la proclamazione della Parola, o dopo un rito pasquale gioioso, ecc. Linguaggio: smaccatamente tonale, costruito su una scala. Stile: classico. Per chi: dovrebbe funzionare con ogni assemblea che abbia un piglio deciso e che abbia un “sentire” classico, corrispondente allo stile. Il movimento melodico-ritmico non lascia spazio a indulgenze tardo-romantiche; e nello stesso tempo esige di essere decisamente stagliato: solo così è veramente “segno” pasquale! Diversamente, il testo cade, e così la pasqualità del testo.


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CRITERI PER LA SCELTA DEI CANTI

di Paolo Iotti (Fonte: Celebrare cantando - n. 1 - Novembre 1993)

Cantare la Messa: un gesto al servizio della preghiera dell’assemblea chiamata a celebrare sotto la presidenza del sacerdote. Per poter pregare con i canti, la scelta di che cosa cantare non si improvvisa. Ecco alcune domande ed alcune riflessioni con cui confrontarsi prima di scegliere i canti per una determinata celebrazione. “Qua l è il tema centrale della Parola di Dio del giorno? Ci sono, nelle letture, altri aspetti particolarmente significativi per la vita della specifica comunità che celebra?” Le letture, nelle messe domenicali e nelle feste, hanno sempre un “tema centrale” che le unisce (soprattutto 1ª ! lettura e Vangelo) ed altri temi, apparentemente marginali. Questi però possono essere particolarmente significativi per ciò che la comunità celebrante sta vivendo all’interno del proprio specifico cammino di maturazione e di crescita. “Su quale tema sarà incentrata l’omelia? Qua le sarà l’idea di fondo che guiderà tutta la celebrazione?” In altre parole: come è possibile realizzare nel concreto quelle indicazioni che vogliono la celebrazione impostata intorno ad un unico. chiaro progetto? Questo presuppone che chi sceglie i canti lo faccia in stretta collaborazione con chi la presiederà. È opportuno riprendere ciò che suggeriscono le norme dell’Istruzione Generale al Messale Romano (più note come IGMR); al n. 73 viene ricordato che la scelta di ogni dettaglio della celebrazione. e quindi anche dei canti “va operata. di comune intesa fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale. sotto la direzione del rettore della Chiesa e sentito anche il parere dei fedeli ... .. Se, ad esempio, le letture e l’omelia verteranno intorno a l tema “Amate anche i nemici’” (VII tra l’anno/A) sarà bene considerare l’opportunità di cantare “Questo è il mio comandamento” (già presentato su C.C. n. 0 pag. 18), ammesso che lo stile musicale e testuale di questo canto aiuti la specifica assemblea per la quale si sta pensando la messa ad esprimere le proprie potenzialità celebrative. E qui si pone allora la necessità di un’altra riflessione:

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“Come sarà (presumibilmente) composta l’assemblea che celebrerà quella specifica messa che devo preparare? Che vuoi dire: qual è il repertorio musicale e vocale più adatto a far pregare tutta l’assemblea (e non solo il gruppo del coro)?” Ogni assemblea ha le sue abitudini che possono si essere cambiate, ma solo con modi e tempi dilazionati; ogni assemblea ha le proprie capacità tecniche (vocali, ritmiche, di recezione testuale), ogni assemblea ha le proprie aspettative nei confronti del gesto del canto.

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Imporre le proprie scelte, come animatori del canto, basate primaria mente sui propri gusti estetici senza tener conto dell’assemblea, può generare disaffezione al canto e, ancora più b”’ave, può essere di ostacolo ad una preghiera davvero comunitaria. Sarà opportuno ricordare a questo proposito che le già citate norme del I’TGMR, al Il. 7, evidenziano con chiarezza che il primo, vero soggetto celebrante è la comunità-assemblea nel suo insieme. L’anali si dei punti fin qui proposti mette in chiaro una realtà basilare: non è possibile, dalla sola analisi del canto, stabilire se un canto sia liturgico. Infatti, possono esserci canti che aiutano a pregare in maniera profonda una assemblea specifica e al tempo stesso essere non adatti ad un’altra. Detto questo è però opportuno fare subito una precisazione complementare: considerare l’assemblea come criterio fondamentale per la scelta dei canti non autorizza l’assemblea stessa e cantare indiscriminatamente quello che vuole in qualunque momento della celebrazione. Perché un canto possa essere utilizzato in liturgia deve possedere in sé certi requisiti:

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che il testo sia corretto dal punto di vista teologico. Si sentono ancora qua e là canti scritti da improvvisati compositori che contengono veri errori teologici e dogmatici. E non basta dire che “tanto Dio è più grande dei nostri errori ... “ che il testo contenga effettivamente messaggi chiari relativi alle verità di fede. (Come sposo che celebra in Chiesa vorrei da mia moglie una promessa di fedeltà un po’ più consistente di quella pronunciata davanti ai verdi prati e ai marciapiedi, per di più ... addormentati .... ) che la musica non richiami in maniera evidente altre realtà culturali diverse da quella celebrativa. Se la parola “’Sacra”, relativa alla musica, ha ancora un valore, questo è da ricercare nella etimologia del termine “sacro”, dalla radice sanscrita “Sak-”, che vuoi dire “separato dall’abituale, specifico dell’azione rituale” che il rapporto testo-musica sia coerente. Come è possibile pregare in maniera piena e consapevole con un testo drammatico, carico di inquietudine e teso a stimolare una profonda riflessione se questo è abbinato ad una musica che, da sola , comunica slancio, allegria, spensieratezza? e ancora, che il rapporto testo-musica non distrugga la struttura fraseologica del testo per rispettare quella di una musica che si vuole copiare perché ritenuta davvero bella. La musica, in liturgia, non è un valore estetico fine a se stesso.

Per finire, due domande relative al contesto liturgico. Per che periodo dell’anno liturgico devo operare una determinata scelta? Per quale momento specifico della celebrazione?

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Un conto è scegliere canti per l’Avvento, un conto è sceglierli per Pasqua; un conto è scegliere un “Signore, pietà”, che deve prevedere l’intervento attivo dell’assemblea, un conto è scegli ere un canto che accompagni la processione offertoriale, che può essere anche eseguito dal solo coro (v. IGRM nn. 30, 50, 60). Per concludere, va ricordato che ogni funzione liturgica ha regole molto precise. La conoscenza delle linee fondamentali dell’IGMR diventa perciò una necessità primaria. L’IGMR ricorda, ad esempio, che l’Alleluia , il Santo, l’Anamnesi (‘”’mistero della fede”) e l’Amen conclusivo della preghiera eucaristica devono essere cantati coinvolgendo l’assemblea in una partecipazione attiva; che il canto del Gloria può essere eseguito anche dal solo coro.


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CRITERI PER LA SCELTA DEI CANTI

di Giovanni Mareggiani (Fonte: Celebrare cantando - n. 2 - Febbraio 1994)

“O facciamo le prove dei canti oppure che coro siamo?”. È l’obiezione che qualche tempo fa mi sono sentito rivolgere quando si programmava il lavoro del coro parrocchiale per il nuovo anno liturgico. Credo che questa affermazione denoti alcune in comprensioni o, perlomeno, sia riduttiva del ruolo di chi canta nella liturgia. Gli obiettivi e i compiti di chi presta questo servizio sono diversi da quelli del coro di professionisti, dopolavoristico, popolare, ecc. e se così è sono diverse le motivazioni ed il tipo di preparazione. Cerchiamo di capire il senso del nostro servizio per trarne qualche impegno pratico. Alcuni cenni di spiritualità Il cantore è un credente che mette a disposizione dei fratelli il dono ricevuto: il canto (1 Cor 12, 4-7). Questo dono deve essere fatto fruttificare (Mt 25, 14-30). Si tratta, innanzitutto, di un progresso nella fede e nella carità che comporterà, di conseguenza, anche un progresso tecnico. “Lo studio diviene impegno spirituale quando a motivarlo è il senso ecclesiale” (M. Falco, Servite il Signore nella gioia, Vallisa). Solo allora saremo animatori consapevoli e soprattutto testimoni della fede. Si dovrà pertanto mettere in luce il rapporto vitale che ognuno ha con la liturgia (particolarmente chi la anima); comprenderne il senso significa capire il proprio ruolo. L’amore verso la comunità, la preghiera, una attenta riflessione e preparazione sul come e perché dell’impegno liturgico ci aiuteranno a celebrare meglio. Compito del cantore è allora non solo quello di eseguire il canto ma di fare in modo che esso sia “sempre più unito strettamente all’azione liturgica, dando a lla preghiera una espressione più soave e favorendo l’unanimità, ed arricchisca di maggior solennità i riti sacri” (Sacrosanctum Concilium, n. 112). Qualche idea

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È un cammino lungo quello che viene richiesto, per il quale è necessario un impegno costante e attento. Verifichiamo: ogni anno programmiamo la attività del coro? I catechisti hanno i loro momenti formativi, fanno progetti; questo accade per noi? In molte parrocchie c’è la consuetudine di iniziare l’anno liturgico con un’assemblea generale di coordinamento; bene, il coro si ritrovi per un incontro specifico dove, nella preghiera e nella riflessione, aiutato dai consigli della comunità, progetti il proprio lavoro che verificherà continuamente al suo interno e con il Consiglio pastorale. Un esempio: il rapporto tra liturgia e catechesi. Consegniamo per tempo i canti della Messa di Pasqua ai catechisti, illustriamo le scelte liturgiche. Questi avranno occasione di presentarle ai ragazzi spiegandone il senso, insegnando i ritornelli comuni, ecc. L’Eucaristia pasquale sarà punto di arrivo comune, il grado di partecipazione sarà elevato ed i nostri amici più giovani si sentiranno veramente “concelebranti” in una assemblea “accogliente”. Le prove Devono essere il momento formativo del coro, sia spiritualmente che tecnicamente. Come strutturarle? Intanto con cadenza costante; è strano pensare, come però succede, che si facciano

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4 o 5 prove per un matrimonio e poi si riduca ad una striminzita serata la preparazione dell’Avvento o della Messa di Prima Comunione. Iniziamole sempre con un momento di preghiera: all’inizio molto semplice, potrà diventare col tempo una vera e propria liturgia (compieta, vespri, un momento preparato “ad hoc” da ciascuno dei partecipanti) dove il canto abbia largo spazio perché sia sempre più stile celebrativo del gruppo. Ci sia la lettura della Parola di Dio della domenica successiva, la sua meditazione e, con il sacerdote o in sua assenza il diacono, i lettori, i catechisti si decidano le scelte liturgico-musicali. Verifichiamo la domenica precedente: è un punto importante che meriterebbe una trattazione a parte. Troppe volte viene tralasciato, ma si tratta di una pratica fondamentale per il gruppo liturgico che ha l’opportunità registrando, sentendo i commenti dei fedeli, di controllare se le ...verificare scelte operate sono state capite dall’assemblea, se hanno creato un clima di preghiera, di gioia, se hanno aiutato a comprendere i correggere riti o se sono state solo cornice esteriore o hanno creato conprogrammare.. fusione, ecc. Correggiamo, dividiamo i compiti; il canto ed ogni altra azione avranno così origine dalla Parola ed aiuteranno noi e la nostra comunità a cogliere meglio il senso della celebrazione. Sembrano tante cose, ma si possono fare bene dedicando loro un po’ di spazio all’inizio di ogni incontro. Non è tempo perso! Al termine, inizieremo lo studio dei canti con uno spirito diverso da quello che animava l’amico dell’obiezione iniziale. Pur nel clima di gioia e serenità che nasce dal trovarsi insieme a cantare sarà bene richiamare alcuni punti: – – – – – – –

la serietà e l’attenzione (non nasce mai buona musica dana confusione); le scelte musicali ultime sono del direttore; i musicisti devono avere già studiato la parte prima delle prove d’insieme (è così tra i professionisti, figuriamoci tra dilettanti!); prepariamo un pò le voci prima di iniziare il repertorio; rispettiamo le scelte del compositore e non inventiamo strani arrangiamenti o manipolazioni; ogni tanto invitiamo persone più competenti di noi (sacerdoti, musicisti, liturgisti, ecc.); ci saranno di grande aiuto; il direttore non si stanchi di approfondire le sue conoscenze liturgiche, musicali, tecnicovocali; motivi le sue scelte, sappia ascoltare consigli e critiche in modo da dare indicazioni chiare, comprensibili, sensate e realizzabili (non mancano i sussidi e, per fortuna, nella nostra Diocesi, i corsi).

Scrivendo queste note, mi rendo conto che esse non sono una ricetta infallibile, applicabile sempre e ovunque, ma ciascuno condividendone l’ispirazione, potrà adattarle alla propria realtà. Capisco le possibili perplessità (. .. la gente ha tanti impegni; siamo sempre i soliti ... ; è già molto avere un gruppetto che canti, ecc.), ma si tratta di credere che vale la pena vivere la propria vocazione al servizio della liturgia fonte e culmine della nostra vita, che “è per noi, ma non può rassegnarsi ad essere come noi” (M. Magrassi, Vivere la liturgia, La Scala).

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5. “VIVIAMO BENE LA LITURGIA SOLO SE RIMANIAMO IN ATTEGGIAMENTO ORANTE” La catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di questa mattina  Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 26 settembre 2012 (ZENIT.ORG) - Riprendiamo di seguito il testo della catechesi tenuta da papa Benedetto XVI durante la tradizionale Udienza Generale del mercoledì, che si è svolta questa mattina in Piazza San Pietro. *** Cari fratelli e sorelle, in questi mesi abbiamo compiuto un cammino alla luce della Parola di Dio, per imparare a pregare in modo sempre più autentico guardando ad alcune grandi figure dell’Antico Testamento, ai Salmi, alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse, ma soprattutto guardando all’esperienza unica e fondamentale di Gesù, nel suo rapporto con il Padre celeste. In realtà, solo in Cristo l’uomo è reso capace di unirsi a Dio con la profondità e la intimità di un figlio nei confronti di un padre che lo ama, solo in Lui noi possiamo rivolgerci in tutta verità a Dio chiamandolo con affetto “Abbà! Padre!”. Come gli Apostoli, anche noi abbiamo ripetuto in queste settimane e ripetiamo a Gesù oggi: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Inoltre, per apprendere a vivere ancora più intensamente la relazione personale con Dio, abbiamo imparato a invocare lo Spirito Santo, primo dono del Risorto ai credenti, perché è Lui che «viene in aiuto alla nostra debolezza: da noi non sappiamo come pregare in modo conveniente» (Rm 8,26), dice san Paolo, e noi sappiamo come abbia ragione. A questo punto, dopo una lunga serie di catechesi sulla preghiera nella Scrittura, possiamo domandarci: come posso io lasciarmi formare dallo Spirito Santo e così divenire capace di entrare nell’atmosfera di Dio, di pregare con Dio? Qual è questa scuola nella quale Egli mi insegna a pregare, viene in aiuto alla mia fatica di rivolgermi in modo giusto a Dio? La prima scuola per la preghiera - lo abbiamo visto in queste settimane - è la Parola di Dio, la Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è un permanente dialogo tra Dio e l’uomo, un dialogo progressivo nel quale Dio si mostra sempre più vicino, nel quale possiamo conoscere sempre meglio il suo volto, la sua voce, il suo essere; e l’uomo impara ad accettare di conoscere Dio, a parlare con Dio. Quindi, in queste settimane, leggendo la Sacra Scrittura, abbiamo cercato, dalla Scrittura, da questo dialogo permanente, di imparare come possiamo entrare in contatto con Dio. C’è ancora un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella preghiera,

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una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la precedente. Mi riferisco alla liturgia, che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora, e attende la nostra risposta. Che cos’è la liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica - sussidio sempre prezioso, direi e indispensabile– possiamo leggere che originariamente la parola «liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n. 1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci ottiene. Il Catechismo indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio. Questo ce lo ha ricordato lo sviluppo stesso del Concilio Vaticano II, che iniziò i suoi lavori, cinquant’anni orsono, con la discussione dello schema sulla sacra liturgia, approvato poi solennemente il 4 dicembre del 1963, il primo testo approvato dal Concilio. Che il documento sulla liturgia fosse il primo risultato dell’assemblea conciliare forse fu ritenuto da alcuni un caso. Tra tanti progetti, il testo sulla sacra liturgia sembrò essere quello meno controverso, e, proprio per questo, capace di costituire come una specie di esercizio per apprendere la metodologia del lavoro conciliare. Ma senza alcun dubbio, ciò che a prima vista può sembrare un caso, si è dimostrata la scelta più giusta, anche a partire dalla gerarchia dei temi e dei compiti più importanti della Chiesa. Iniziando, infatti, con il tema della «liturgia» il Concilio mise in luce in modo molto chiaro il primato di Dio, la sua priorità assoluta. Prima di tutto Dio: proprio questo ci dice la scelta conciliare di partire dalla liturgia. Dove lo sguardo su Dio non è determinante, ogni altra cosa perde il suo orientamento. Il criterio fondamentale per la liturgia è il suo orientamento a Dio, per poter così partecipare alla sua stessa opera. Però possiamo chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare? La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio, che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del Concilio.

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Facciamo un altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo (cfr Gv 17,3)» (Vicesimus quintus annus, n. 7). Sulla stessa linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo, attraverso azioni e parole» (n. 1153). Pertanto la prima esigenza per una buona celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua «Regola», parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens concordet voci, «che la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente. Abitualmente non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato, si converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l’inverso, la parola precede. Dio ci ha dato la parola e lasacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo entrare all’interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi, metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio, simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare con Dio. In questa linea, vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra distrazione. Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione fondamentale. Quando viviamo la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente verso l’alto, verso la verità e verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum. Cari amici, celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo il nostro cuore a Dio e

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stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre. Dio stesso ci insegna a pregare, afferma san Paolo (cfr Rm 8,26). Egli stesso ci ha dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che incontriamo nel Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più consapevoli del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera che sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2564). Grazie. [Dopo la catechesi, il Papa si è rivolto ai fedeli provenienti dai vari paesi salutandoli nelle diverse lingue. Ai pellegrini italiani ha detto:] Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le Suore Missionarie dell’Immacolata e le Carmelitane Missionarie, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: care sorelle, vi incoraggio a proseguire nella missione dell’evangelizzazione rimanendo fedeli ai carismi dei Fondatori. Accolgo con gioia i pellegrini della Diocesi di Belluno-Feltre, accompagnati dal Vescovo Mons. Andrich, qui convenuti in occasione del centenario della nascita del Papa Giovanni Paolo I, e i membri della Fondazione Piccola Opera Charitas, della Diocesi di TeramoAtri accompagnati del Vescovo, Mons. Seccia, nel cinquantesimo anniversario di attività. Saluto i rappresentanti del Centro Alfredo Rampi e quelli di “CasAmica” di Milano, incoraggiandoli a spendere le proprie energie a servizio della sicurezza e della accoglienza delle persone con difficoltà di salute. Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria dei Santi Medici Cosma e Damiano: cari giovani, imparate a curare ogni sofferenza dei fratelli con l’affetto e l’accoglienza; cari ammalati, la migliore terapia per ogni malattia è la fiducia in Dio a cui parliamo nella preghiera; e voi, cari sposi novelli, abbiate cura l’uno dell’altro nel vostro cammino coniugale.

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1.

LA VOCE INFANTILE

1.

Conoscere e trattare il fanciullo cantore

Cari amici, in questa lezione affrontiamo una questione alquanto “spinosa”: trattare la voce infantile. Se affrontare il discorso vocale con persone adulte e motivate è spesso complicato, lo è di più quando si tratta di bambini, perché non si possono certamente fare discorsi complessi. È opportuno dar loro un esempio valido da seguire: la propria voce. A questo proposito vorrei sottolineare che per gli educatori, pur dotati di buona volontà e preparazione è indispensabile aver lavorato a lungo con la propria voce, che deve essere gradevole e ben impostata. Non è possibile avere in mente un’idea di suono se non la si sa esprimere validamente! Quindi prepariamoci noi prima di tutto, seguendo un insegnante (fondamentale!); partecipando a corsi con esperti nel campo della vocalità infantile e non stancandoci mai di aggiornarci. Insomma, pazienza e perseveranza! Detto ciò, passiamo ad esaminare alcune questioni: –

La scelta della tessitura più adatta a far cantare i bimbi.

Il Padre camilliano Giovanni Maria Rossi, eminente musicista, compositore e musicoterapeuta, durante un corso di vocalità e coralità che ebbi modo di seguire, ci parlò dell’estensione della tessitura della voce del bambino, estensione che va crescendo scalarmente fino al decisivo cambiamento di situazione creato dalla muta. Cito testualmente: “Fino ad un anno d’età il bambino tesse la fonazione tutto sommato, attorno ad un intervallo di terza maggiore. Verso il terzo anno arriva ad un intervallo di quinta giusta. Al sesto anno arriva all’ottava. Soltanto verso i 3 anni, solitamente, un bambino può cominciare ad avere una buona intonazione e soltanto ai 6 anni può cantare nell’estensione di un’ottava.”. Detto ciò egli concluse consigliandoci di non far salire subito i fanciulli oltre il RE4, né tantomeno di farli scendere oltre il DO3. Bisogna avere pazienza e aspettare che la voce si sviluppi pian piano...

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Ciononostante, bambini dotati e opportunamente impostati raggiungono note anche più acute, ma bisogna fare attenzione a non farli stancare troppo. Padre Giovanni parlava anche di DISTORSIONE VOCALE a proposito delle errate abitudini fonatorie acquisite in età infantile, quando i piccoli sono sollecitati a cantare canzoni diffuse dalla radio e dalla televisione senza tener conto che queste sono inadeguate alle loro capacità, oltre che dannose per il loro apparato vocale. Tutte queste precauzioni si spiegano scientificamente: la laringe di un fanciullo è un organo in crescita e come tale non ha raggiunto le sue dimensioni definitive che da adulto gli permetteranno di esternare tutte le potenzialità vocali. I canti che sceglieremo per i fanciulli rispetteranno in linea di massima la tessitura citata prima. –

È utile insegnare ai bambini un minimo di buona respirazione diaframmatica?

La risposta è si. Condizione essenziale: essere molto semplici ed efficaci. I bambini sono estremamente ricettivi, quando le azioni che gli si chiede di compiere sono motivate.

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2.

Il delicato periodo della muta

La muta nella vita dei fanciulli (i maschi in particolare) è quel periodo in cui la voce perde momentaneamente estensione, brillantezza e può diventare rauca, quasi afona. È un periodo piuttosto lungo che va dai 9-10 anni fino ai 17-18 anni. Questi cambiamenti sono da imputare all’azione degli ormoni maschili, prodotti in abbondanza nella preadolescenza dalle ghiandole sessuali maschili (i testicoli) e che annoverano tra gli “organi bersaglio” anche la laringe (il cui ingrossamento è un carattere sessuale secondario). Lo sviluppo laringeo, infatti, porta alla voce adulta, che nei maschi si abbassa di circa un’ottava rispetto alle donne e ai fanciulli.

Nei fanciulli e nelle donne questo LA3, cantato, ha la stessa altezza che presenta sul pentagramma.

Nell’esempio seguente vediamo realizzato quanto accade se chiediamo ad un maschio adulto di intonare il LA3: *Altezza reale della nota emessa da una voce maschile.

Come vediamo, il cantore maschio leggendo il LA3 in chiave di violino lo intonerà naturalmente come un LA2, proprio perché tutta la sua estensione è spostata di un’ottava più in basso rispetto all’estensione di una voce di soprano. Durante la muta il ragazzo può cantare se ha voglia, se si diverte se s’impegna per capire la sua particolare situazione e la sa vivere intelligentemente. È importante anche il ruolo dei genitori e degli educatori che devono spiegargli che la sua laringe sta crescendo ed è perciò molto delicata, quindi dovrebbe evitare di gridare o di cantare smodatamente (cosa abbastanza difficile, vista la sfrenatezza che caratterizza questo periodo).

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Il canto dunque potrà esserci, a patto che gli interventi canori siano di breve durata, di tessitura adeguata, in altre parole limitata, evitando gli estremi (specialmente nei maschi), cioè la zona in cui il pubere sente di non farcela più, sempre ben appoggiati sul fiato, ma con intensità media e ben controllata, dando la precedenza agli esercizi articolatori piuttosto che a quelli melodici.


Cito ancora Giovanni Maria Rossi: “ I genitori e gli insegnanti di un ragazzo in muta dovrebbero ricorrere agli specialisti almeno una volta ogni 3-4 mesi e comunque certamente ogni qualvolta il pubere denuncia problemi. È anche questo un modo (e certamente uno dei migliori) per aiutare a crescere in modo armonico i nostri ragazzi. È senz’altro l’ottimo per indirizzarli alla comunicazione vocale più appropriata”. 3.

Cosa non chiedere al fanciullo cantore

Oltre a rispettare i limiti naturali dei bambini, non bisognerebbe mai stimolarli ad alzare la voce per “arrivare ad una certa nota”: così, infatti, si verifica l’innalzamento della laringe e il restringimento della glottide. Questa emissione si chiama “ipercinetica” nel gergo della foniatria. Quindi, oltre a far assumere ai bambini delle abitudini dannose (molto difficili da estirpare) gli si possono provocare dei danni alle corde vocali (vedi noduli), a causa della elevata pressione aerea sulle stesse.

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2. ECCO DEGLI UTILI CONSIGLI PER CHI LAVORA O HA PROBLEMI CON LA VOCE La tua voce è un bene da conservare e conoscere. Il problema più grande a cui va incontro chi inizia a cantare è la possibilità di procurarsi delle infiammazioni delle corde vocali. La voce sforzata diviene rauca, questa è un’esperienza comune, ma inizialmente è solo uno stato di edema delle corde che con il riposo vocale regredisce completamente. Se si canta di continuo senza applicare una adatta tecnica respiratoria ci si mette invece a rischio di infiammazione cronica delle corde, con successiva formazione di noduli e compromissione grave della voce. Questo avviene prevalentemente per forzature sugli estremi alti delle scale. Attenzione perciò ad ogni segno di “costrizione alla gola” quando cantate, state utilizzando male la vostra voce. – Le corde vocali e la psiche – È un’esperienza comune che quando siamo emozionati, o tristi, o arrabbiati, la nostra voce assume delle intonazioni proprie e può anche essere tremula, stridula o non fuoriuscire per niente dalla gola. Nello stesso modo, se stiamo cantando una canzone particolarmente intensa o che ci evoca sensazioni piacevoli, la interpretiamo meglio, riusciamo a dare più incisività e sfumatura alla voce. Questo perché le corde vocali sono messe in tensione e rilasciate da muscoli comandati dal sistema nervoso autonomo, che risponde direttamente alle emozioni. Perciò è importantissimo ridurre le tensioni nel corpo e nella psiche quando si canta. Respirate profondamente muovendo l’addome e alzate il busto raddrizzando la schiena se sentite sorgere delle tensioni mentre cantate. – Comandare la voce – Il cantante deve imparare a gestire la propria voce in tutte le circostanze, a non tenerla dentro anche se è emozionato e a non lasciarla uscire a briglie sciolte come un cavallo selvaggio quando interpreta una canzone esaltante. Il controllo vocale, sia del timbro che delle modulazioni di volume, è determinante e si acquisisce con la tecnica. Nè più nè meno di come uno sciatore acquisisce padronanza degli sci provando e riprovando le discese e cumulando cadute, o come un neo patentato impara piano piano a ripartire in salita o a parcheggiare nelle situazioni più disparate. Per imparare il ccomando della voce gli esercizi di vocalizzazione sono importantissimi. Non vanno perciò mai trascurati, anche se cantare una canzone invece di vocalizzare sembrerebbe più divertente, con il tempo un grado di estensione che ci sembrava il nostro massimo verrà superato da un grado superiore e piano piano capiremo che la voce si sta impostando. Ecco degli utili consigli per chi lavora o ha problemi con la voce: Bevete più acqua che potete Le corde vocali hanno bisogno molta acqua. Purtroppo l’acqua che beviamo non riesce a toccarle direttamente perché i solidi e i liquidi scendono nell’esofago e non nella trachea (ovvero dove risiedono le nostre corde vocali). Quindi l’unico modo per inumidirle è dall’interno, attraverso il flusso sanguigno. La maggior parte dei dottori consiglia a chiunque di bere almeno otto bicchieri d’acqua al giorno, meglio se lontano dai pasti. Niente latte col miele o tè con limone

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Contrariamente alle vecchie usanze dei nostri nonni le bevande con caffeina (il tè contiene teina che è molto simile) o a base di latticini accelerano la produzione di muco (noto come catarro) che può dare fastidio quando si canta per sessioni prolungate. Inoltre i liquidi caldi fanno dilatare le corde vocali e di tutto l’apparato respiratorio (idem per le bevande troppo fredde che lo fanno


contrarre). Infine il limone e gli altri agrumi accelerano la produzione di saliva e di muco, il che non è proprio l’ideale quando si deve cantare. Smettete di fumare Il fumo della sigaretta passa direttamente a contatto con le corde vocali, asciugandole e scaldandole. Se volete parlare o cantare più a lungo di quello che riuscite fumando, smettendo noterete molti vantaggi. I benefici appariranno dopo qualche mese ma ve ne accorgerete sicuramente! Imparate la respirazione diaframmatica Non è troppo complicato imparare la respirazione diaframmatica e oltretutto ne beneficerà tutto il corpo. Questo tipo di respirazione è quella che utilizzano tutti i neonati e che voi stessi avete adoperato nei primi anni di vita. Se disgraziatamente avete smesso di utilizzarla al meglio potete sempre recuperarla. Bastano pochi e semplici esercizi quotidiani per riuscirci! I muscoli addominali devono supportare il corpo e non la voce Molte persone hanno imparato male la respirazione diaframmatica e pensano che sia tutta una questione di muscoli addominali e tendono a irrigidirli mentre cantano. Non c’è niente di più sbagliato perché impedite all’aria di uscire liberamente e al vostro corpo di risuonare. Per cantare bene bisogna imparare a rilassare quasi tutti i muscoli del proprio corpo. Ricordatevi di scaldare la voce Avete mai visto un corridore partire senza prima scaldare i muscoli? Imparate a scaldare la voce prima di cantare o prima di un discorso. Bastano pochi e semplici esercizi che durano non più di qualche minuto. Alcuni sono anche silenziosi e discreti. Il fiato deve essere sempre correttamente dosato Il fiato che arriva alle corde vocali non è mai casuale. Occorre imparare a dosarlo perché troppo fiato asciuga le corde vocali mentre se fosse insufficiente avreste la voce crepitante. La maggior parte delle persone ha correntemente questo tipo di problema mentre parla e va incontro a potenziali problemi.

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Imparate a riposare la voce Imparate a lasciare riposare la voce. Anche questa è un’arte da apprendere perché imparando a gestire la propria voce riuscirete a mantenere le corde vocali più rilassate anche parlando lo stessono numero di ore di prima. Pensate che alcuni cantanti rimangono in quasi totale silenzio nei giorni precedenti un concerto. Evitate di sovrastare la voce degli altri o i forti rumori di fondo Quando il rumore di fondo o il brusio delle altre persone è troppo elevato per parlare. L’orecchio tende a compensare e se non fate attenzione rischiate di trovarvi a urlare senza accorgervene. Evitate di schiarirvi la voce La maggior parte delle persone è convinta che schiarirsi la voce aiuti a rimuovere il muco dalle

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corde vocali. In realtà lo sposta solamente verso l’alto e la gravità lo riporterà inevitabilmente verso il basso. Occorre imparare altri metodi per rompere l’ansia da prestazione. Evitate di bere alcolici o di utilizzare gocce a base alcolica se dovete usare la voce Gli alcolici sono dei vasodilatatori e quindi fanno scaldare le corde vocali in maniera errata. In realtà appena passa l’effetto dell’alcool vi troverete con le corde fredde e pronte ad avere ogni tipo di problema. Imparare a usare la voce non richiede talento Quando imparate a utilizzare la vostra voce modificherete la percezione che gli altri hanno di voi, anche solo parlando. Chiunque può imparare a cantare e combattere il blocco del palcoscenico, il talento musicale completerebbe il tutto rendendovi una persona del tutto speciale e capace di grandi cose. Tenete un diario quotidiano Se avete problemi alla voce, come abbassamenti della voce, catarro alle corde vocali, irritazione o infiammazione alle corde vocali, oppure noduli alle corde vocali, non cercate inutilmente rimedi perché sono le cause quelle da individuare. Segnate su un diario tutto quello che mangiate, bevete, quello che fate e in che condizioni ambientali vi trovate e vedrete che sarà più facile individuarle. La verità sull’erisimo Una delle dimostrazioni più evidenti dell’ignoranza di molte persone sta proprio nel consigliare l’uso dell’eresimo. L’erba dei cantanti. Innanzitutto va capito che l’effetto pratico dell’erisimo, in quanto erba, è analgesico. Questo significa che attenua le sensazione di dolore, non fa altro. Questo è pericoloso per chi non è esperto perché rischia di spingere la propria voce troppo oltre e di rovinarla molto seriamente. L’assunzione per via bocca dell’erisimo non può in alcun modo toccare le corde vocali perché sono poste nel tratto respiratorio e non in quello digestivo. Tra l’altro l’assunzione di preparati a base alcolica non fanno altri che aumentare la probabilità di disidratare le corde vocali, quindi di rovinarle seriamente. Quindi diffidate delle qualità di chiunque vi consigli l’erisimo per migliorare la voce, ma solo di chi lo consiglia per curare uno stato infiammatorio, abbinato all’assoluto silenzio!

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3.

IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA

di Marcello Manco (musicista e compositore) In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

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1.

LITURGIA E CHITARRA PARLIAMONE

di Anna Vezzani (Fonte: Celebrare cantando - n. 1 - Novembre 1993)

Antichissime sono le origini della chitarra. Si suppone che queste vadano ricercate tra le iconografie tramandateci da monumenti egizi ed assiro-babilonesi, dove non mancano strumenti con cassa, dalla tipica forma a otto e con manico lungo. Ne sono testimonianza alcuni bassorilievi della Xl e XlI dinastia dei re egizi di Tebe (3760 a.C. ) e successivi bassorilievi in Cappadocia. Questi strumenti, trasmessi dagli Egiziani ai Persiani, sarebbero entrati nell’uso degli Arabi che, a loro volta, li introdussero in Europa. Le trasformazioni furono parecchie, soprattutto venendo a contatto con altri strumenti similari e anche l’accordatura e il numero delle corde (da 4 a 6 o 7) subirono, nel corso dei secoli, non poche varianti. Nel 1400 la chitarra si introduceva in tutta l’Europa nella vita musicale dell’epoca quasi quanto il liuto. In Spagna, nel 1600, viene aggiunto un 5° coro verso il grave (1 coro = una corda doppia). Il perfezionamento dei suoi mezzi tecnici, l’uso del pizzicato, gli effetti delle sue fioriture le dettero una grandissima varietà di espressione, facendole così acquistare il favore dei musicisti . Fu usata come strumento da camera, prevalentemente solistico e la sua letteratura, nel ‘500 e nel ‘600, fu molto ampia , soprattutto in Italia e in Spagna. Sul finire del secolo XVIII la chitarra subì un’altra trasformazione: aggiunta di una 6° corda (non più cori, ma corde semplici), ulteriore allargamento della cassa, con conseguente aumento dell’intensità sonora, abbandono della notazione con il sistema dell’intavolatura. Cominciò così un periodo di splendore per lo strumento soprattutto ad opera di ottimi didatti, concertisti e compositori quali gli Spagnoli D. Aguardo e F. Sor e gli italiani M. Giuliani e F. Carulli. Anche Boccherini e Paganini composero brani per questo strumento e lo inclusero in molte opere da camera. Negli ultimi anni del secolo XIX vediamo la chitarra destare l’ammirazione e l’interesse di eminenti musicisti come De Falla, Debussy, Hindemith ... Tra gli autori moderni e contemporanei che hanno composto opere per chitarra ricordiamo Ponce, Turina, Villa-Lobos, Castelnuovo Tedesco, Tansman, Rodrigo, Ghedini, Petrassi, Britten, Brower, ecc ...

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

Caratteristiche dello strumento. Possiamo a grandi linee suddividere la chitarra in 3 parti: 1) Cassa armonica costituita da tavola, fasce, fondo. La tavola o piano armonico è di legno di abete o cedro rosso canadese, al centro c’è un foro tondo di risonanza detto “buca”. Sulla tavola è incollata la cordiera con ponti celio. Le fasce (che uniscono la tavola al ronda sono di legno duro, di solito palissandro, ma anche acero. 2) Il manico, sopra cui c’è la tastiera: 19 tasti metallici che segnano la progressione cromatica dei suoni. La tastiera è d’ebano, un legno molto l’esistente, visto che la lunghezza e la trazione delle corde provoca una tensione fortissima e quindi un costante s forzo del manico stesso che non deve mai spostarsi. 3) Il cavigliere a paletta dove ci sono le meccaniche (chiavi a vite) per accordare le 6 corde singole (3 di nylon e 3 di nylon ricoperto da un filo di metallo avvolto a spirale). Alcuni consigli. La chitarra è uno strumento di legno suscettibile alle variazioni di temperatura; attenzione quindi a non metterla vicino ai termosifoni o in correnti d’aria.

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

Sulle note dello spirito

Le corde con l’uso e con il sudore delle dita perdono la loro brillantezza e sonorità; ricordarsi di sostituirle ... Le corde nuove hanno bisogno di un periodo di tempo per assestarsi; è necessario quindi tener controllata l’accordatura il più possibile, In ogni caso, prima di suonare è sempre necessario verificare che la chitarra sia accordata; quando poi si suona con uno strumento a fiato, anch’esso suscettibile a variazioni di intonazione, bisogna proprio prestare attenzione e soprattutto ... orecchio!!

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2.

L’USO LITURGICO DELLA CHITARRA

di Francesco Lombardi (Fonte: Celebrare cantando - n. 1 - Novembre 1993)

In tema di ‘accompagnamento del canto liturgico con chitarra’ è necessario fare una premessa: la Sacrosantum Concilium non ha fatto alcun riferimento diretto a questo strumento per uso liturgico, le uniche indicazioni esplicite riguardano l’utilizzo dell’organo; sono quindi ammessi ‘altri strumenti musicali’ purché sia autorizzato il loro uso da specifiche autorità competenti. Ora, se è vero che tutto ciò non corrisponde ad un “divieto” all’utilizzo della chitarra nelle liturgie, è altrettanto vero che nessuno ha mai dichiarato esplicitamente che essa “possa” essere utilizzata. A questa realtà formale fa riscontro una pratica chitarristica parrocchiale estremamente diffusa che dipende a nostro avviso da due ordini di motivi: l’estrema facilità ad apprendere i primi accordi e ad accompagnare i canti con la chitarra rispetto all’organo (che richiede più disciplina), il frequente affidamento della gestione del servizio di canto liturgico a i giovani, istintivamente e per “cultura musicale” più vicini alla chitarra che a strumenti a tastiera. Insomma per molte comunità è comodo avere, in mancanza di un Organista almeno un chitarrista che accompagni i canti e che renda “un po’ più vivace la liturgia”, La nostra impressione è però che la diffusione dell’uso della chitarra, e quindi di canti ‘chitarristici’ abbia in parte modificato i gusti musicali dei fedeli, soprattutto giovani, che spesso non riescono così ad apprezzare i canti meno ritmati o di natura organistica. Questo stato di cose, a nostro avviso, deve far nascere una riflessione seria che responsabilizzi gli animatori musicali nell’educazione del gusto musicale dei fedeli in modo ampio ed eterogeneo. Ciò nonostante riconosciamo che, di fatto, la chitarra ha ricevuto negli ultimi decenni, per i motivi suddetti, una vera e propria ‘consacrazione popolare’ a strumento liturgico e potremmo dire addirittura che ormai essa fa parte della tradizione liturgica ‘popolare’ del nostro tempo. Ci sembra quindi saggio dare per scontata la presenza della chitarra nelle assemblee liturgiche e finalmente affrontare l’argomento da un punto di vista puramente tecnico. Come qualsiasi altro strumento musicale liturgico, la chitarra serve ad accompagnare la preghiera al fine di conferire ad essa una maggiore espressività, Sono proprio le tensioni musicali che rendono espressiva la preghiera dando quel ‘di più’ che tanti fedeli nel corso dei secoli hanno apprezzato. Questo è forse il grosso problema della media dei chitarristi: “la capacità espressiva”. E molto frequente infatti, il riscontro di canti resi monotoni dall’utilizzo di “ritmi standardizzati” che accom-

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

Sulle note dello spirito

pagnano lo svolgersi del canto dall’inizio alla fine senza variazioni, se possibile magari con uno stile che sarebbe più adeguato agli ‘zappatori di patate’. La chitarra di per sé non è uno strumento scarsamente espressivo: dipende chiaramente da chi lo suona e dalle abilità tecniche che possiede. Attenzione, non si vuole proporre alle parrocchie di richiedere il diploma di chitarristi ai propri musici, ma si vuole ribadire un concetto di natura più generale: chi svolge il servizio del canto liturgico si deve sentire impegnato a migliorare se stessa e le proprie capacità tecniche per un unico scopo ultimo: stimolare la comunità orante ad una preghiera più fervida e partecipata. In concreto il chitarrista deve imparare a riconoscere la struttura armonica e ritmica di ogni canto, verificare se sono necessari anche due o più pattern di accompagnamento (combinazione di pennata che costituiscono uno schema ritmico) che meglio si adattino alle dinamiche musicali: deve cioè porsi come obiettivo la migliore riuscita espressiva del canto, e studiare quali accorgimenti tecnici occorrono per ottenere ciò. Sono necessari, per realizzare questo, una preparazione tecnica adeguata ed un bagaglio di strumenti tecnici sufficientemente vario. Bisogna ammettere che anche negli spartiti musicali questo problema tecnico più spesso non viene affrontato seriamente, in quanto o non vengono dati suggerimenti di tale natura oppure, quando è stato fatto, non sempre sono state date delle soluzioni pienamente realizzabili. La nostra idea è che gli animatori liturgici che suonano la chitarra trovino dei momenti di incontro per ascoltare insieme le diverse proposte musicali e insieme analizzare gli aspetti sopra evidenziati, per migliorare la propria espressività musicale. Per concretizzare queste proposte è necessario che anche il chitarrista, come animatore musicale di una comunità, si metta in un cammino di studio per affinare le proprie tecniche espressive e quindi migliorare il proprio servizio alla preghiera comunitaria.

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2.

STRUMENTI MUSICALI PER LA LITURGIA

di Monica Riva (Fonte: Celebrare cantando - n. 0 - Marzo 1993)

IL canto liturgico è espressione del popolo di Dio che è raccolto in preghiera. il compito degli strumenti è, quindi, quello di nutrire questa preghiera e di esprimere il mistero di Cristo. Non si tratta, per questo. di stabilire a priori se uno strumento sia adatto o meno a partecipare al rito, ma di individuare tutti quegli elementi, che vanno al di là del puro fattore tecnico, che influiscono sull’azione liturgica e dei quali non si può non tener conto. Nella liturgia sono presenti pratiche simboliche che appartengono alla cultura propria dell’assemblea alla quale è stato, e viene ancor oggi, annunciato il Vangelo. La musica, il canto, gli strumenti fanno parte di questa simbologia, con la funzione di: –

sostegno alla proclamazione della parola di Dio;

– sostegno all’espressione di supplica da parte dei fedeli; – sostegno al rendimento di grazie; – valorizzazione del rito, del gesto, della parola;

contribuiscono, cioè, a rendere attuale il messaggio di salvezza, rivelatoci per mezzo di Gesù Cristo. Rendere attuale non vuol dire che nella liturgia si possa usare indifferentemente ogni tipo di musica. La musica rituale, come musica inserita nella liturgia, è una forma che può o meno distaccarsi da quelle più conosciute. Per il canto, o più specificatamente per la musica, bisogna operare delle scelte, che non sono mai a priori giuste o sbagliate, ma che lo diventano nel momento in cui esprimono o meno la vera sostanza dell’azione liturgica. Su queste prime considerazioni si basa la scelta e l’uso degli strumenti musicali. Il tipo e la quantità di strumenti che si usano nelle nostre parrocchie sono vari, in rapporto alle forme, ai generi musicali e alle assemblee. La scelta di quale strumento suonare, però, spesso viene fatta:

– secondo una distinzione che vede contrapporsi strumenti tradizionali e moderni a strumenti sacri o profani; secondo scelte arbitrarie ed univoche (“questo strumento è più comodo di un altro; questo strumento mi piace o non mi piace”).

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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GLI STRUMENTI MUSICALI NELLA LITURGIA

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Gli strumenti che compaiono nelle nostre celebrazioni sono, per la maggior parte, l’organo e la chitarra, perché sono funzionali tanto nelle piccole come nelle grandi assemblee. Dobbiamo però scoprire e valorizzare tutti gli strumenti di cui disponiamo in modo da inserire al momento, al posto e nella maniera giusta all’interno della celebrazione eucaristica. Dopo la scelta dello strumento, è importante trovarne la giusta collocazione, in modo da rispettare: – la situazione: in una celebrazione solenne, in una grande cattedrale, l’inno d’apertura ha bisogno di essere eseguito da un grande organo. Al contrario il salmo responsoriale, se viene cantato potrà meglio essere servito dagli arpeggi di una chitarra o da un organo con registri dolci. – la forma: sarebbe preferibile non accompagnare canti corali con «Dobbiamo scoprire e valorizzare strumenti a percussione tutti gli strumenti di cui o a pizzico, come pure canzoni particolarmente disponiamo in modo da inserirli ritmate non andrebbero al momento, al posto e nella accompagnate con l’organo. maniera giusta all’interno – ’assemblea: uno degli della celebrazione eucaristica» errori più frequenti nelle nostre celebrazioni è che un gruppo di persone, giovani o meno giovani, imponga il proprio modo di cantare: questo non è servizio, né tanto meno segno di comunione. È quindi molto importante che, a seconda dell’assemblea, l’uso degli strumenti sia il più possibile vario. Per tutto questo non solo è indispensabile una preparazione attenta ed accurata, ma anche un grande senso del servizio e di unità celebrativa. “Gli strumenti siano davvero a servizio dell’azione sacra, della parola, della partecipazione viva dell’assemblea, non complessi spettacoli di liturgia” (Indicazioni e Norme per la Messa dei giovani, n. 15P, p. 65).

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1. CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI MAGGIO Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico. La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

07 OTTOBRE - XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Ingresso 323/294 Canto al Vangelo 18 Anamnesi Pace 79 Ringraziamento 240

kyrie 347 Offertorio 219 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 299/412/337

Gloria 125 Santo 234 Padre Nostro 79 Comunione 266

14 OTTOBRE - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Ingresso 119 Canto al Vangelo 18 Anamnesi Pace 79 Ringraziamento 59

Kyrie 347 Offertorio 311 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 328

Gloria 125 Santo 234 Padre Nostro 79 Comunione 383/378

21 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Ingresso 376 Canto al Vangelo 118 (23) Anamnesi Pace 79 Ringraziamento 333

Kyrie 347 Offertorio 308 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 27/326

Sulle note dello spirito

ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

Gloria 125 Santo 234 Padre Nostro 79 Comunione 216

28 OTTOBRE - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Ingresso 367 Canto al Vangelo 118 (23) Anamnesi Pace 79 Ringraziamento 318/338

Kyrie 347 Offertorio 331 Dossologia Agnello di Dio 7 Conclusione 328

Gloria 125 Santo ex 234 Padre Nostro 79 Comunione 216

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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALI

Sulle note dello spirito

2. AL SERVIZIO DELLA PAROLA La delicatezza del ruolo che il Lettore (salmista) è chiamato a svolgere sconsiglia l’improvvisazione dilagante nell’esercizio di tale ministero e pone l’accento sulla necessità di una formazione attenta e accurata. Il ministero del Lettore(salmista) è un servizio che si fa con impegno e che esige stabilità e continuità. Egli deve essere in condizione di esercitare con competenza, con misura e con stile tutta una serie di importanti meditazioni, per consentire alla Parola di Dio di giungere all’assembleae per far si che la Parola proclamata penetri con efficacia nel cuore dei fedeli. Il dinamismo rituale della Liturgia della Parola impegna in prima persona il Lettore (salmista) facendosi carico: a) di dare voce alla Parola scritta: colui che proclama la Parola di Dio si pone al servizio di essa e dell’assemblea. Perciò tutto acquista importanza: la qualità della lettura, il modo con cui si è preparato, il suo atteggiamento. Non si dovrebbe chiedere mai a nessuno di improvvisare un simile servizio, che esige sempre una preparazione interiore e psicologica. b) di dare soffio alla Parola scritta con la sua voce il lettore deve essere in grado di comunicare a tutti la convinzione che quanto si sta ascoltando è la Parola di Dio. non è, quindi una parola qualsiasi, che può essere ascoltata per abitudine o per conformismo. è una Parola mediatrice di salvezza, perché supera la contingenza e l’ambiguità delle parole umane. c) di dare corpo alla Parola scritta: il Lettore deve sforzarsi di far emergere il significato attualizzante di quanto egli proclama, deve far avvertire a tutti che la Parola di Dio è una realtà viva che interpella l’assemblea. La Parola di Dio non è un vago pensiero della mente, non è una realtà astratta. L’obiettivo fondamentale del ministero del Lettore sta nell’operare il passaggio dalla Parola scritta alla Parola viva. Egli offre la sua voce per l’iterazione dell’azione salvifica di Dio. Perciò è necessario che egli sia adeguatamente formato, “i lettori, siano veramente idonei e preparati con impegno” (OLM 55; IGMR 66). Il lettore deve essere un uomo di fede, deve essere preparato dal punto di vista liturgico e biblico di modo che il suo ministero risulti credibile e convincente, ma deve anche conoscere molto bene i problemi di ordine tecnico che condizionano il suo particolare ministero.

Sulle 48

ote dello Spirito


SALMODIE

07 OTTOBRE - XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Tratto dal Salmo 127 - Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.

Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie. Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion.

Sulle note dello spirito

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Possa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita! Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele! 49


Sulle note dello spirito

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14 OTTOBRE - XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Tratto dal Salmo 89 - Saziaci, Signore, con il tuo amore.

Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio. Ritorna, Signore: fino a quando? Abbi pietà dei tuoi servi! Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti, per gli anni in cui abbiamo visto il male. Si manifesti ai tuoi servi la tua opera e il tuo splendore ai loro figli. Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda.

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21 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Tratto dal Salmo 32 - Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.

Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra. Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo.

Sulle note dello spirito

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Sulle note dello spirito

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28 OTTOBRE - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (Anno B) Tratto dal Salmo 125 - Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.

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Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti


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